L’11 settembre della pancia dell’America
Il 28 febbraio 1993 iniziò il lungo assedio di Waco. Cinquanta giorni di orrore che culminarono nell’intervento della Delta Force in un ranch della cittadina texana e in un sulfureo suicidio di massa, un incendio, appiccato da dentro, dove morirono 76 persone che facevano parte di una setta religiosa, i davidiani, a cui non era stato lasciata alcuna possibilità di fuga. Il complottismo s’impadronì fin da subito di questa brutta storia, in cui perirono fra gli altri 20 bambini e due donne incinta, e strascichi si trovano nel suicidio di Vince Foster, allora vicedirettore della Casa Bianca, dal cui ufficio si volatilizzarono tre cartelle sui fatti di Waco. Fatti che ricordano anche la trama di Q, il celebre libro di Luther Blissett/Wu Ming, che parla di eretici, guerre di religione e caccia alle streghe nell’Europa sconquassata dalla riforma di Lutero, dalle fiamme contro il regno anabattista di Münster, dell’inquisizione e della controriforma. Il clima in cui tutte le vacche sono nere e tutti i complotti, alla QAnon, diventano quasi plausibili.
Ieri l’11 settembre non è arrivato dai cieli, ma dall’interno. L’assedio ai complottisti non è stato fatto a colpi di gas CS dai federali e dalla Delta Force contro una setta che si era già macchiata di orrendi delitti. L’assedio alla democrazia è stato messo a segno da americani, bianchi, che si nutrono di complotti e teorie false e miti infranti. Età media dei protagonisti dell’insurrezione al Campidoglio: 40-60 anni. L’assalto a Capitol Hill è costato quattro morti, tanti feriti e 50 arresti. Complottisti della teoria QAnon e varia umanità, incitata alla violenza dai tweet di un Presidente che invocava una manifestazione “selvaggia” e che non vuole riconoscere la sconfitta elettorale a novembre, la peggiore disfatta dal 1932 con la perdita di Presidenza, Camera e Senato in un colpo solo. Fra i 14 agenti feriti, due versano in gravi condizioni. Quelli che hanno fatto parkour sulle mura del Campidoglio, hanno sfregiato la democrazia attaccando e ridicolizzando i luoghi delle istituzioni, anche se le istituzioni hanno – a loro modo – retto.
Vandalismo e canne fumate in bagno. Perfino inviti a portare armi dentro. Le forze dell’ordine non sono tutte intervenute, se non in ordine sparso, solo oggi il Pentagono attiva 6200 guardie nazionali. Da un video sembra che sia stata la polizia ad aprire i cancelli.
Il Presidente uscente Trump – oltre a sobillare le folle fin dalla sua sconfitta che lui si rifiuta di riconoscere – da settimane twitta farneticanti accuse di brogli, nonostante abbia perso tutte le cause per dimostrare le accuse, poi ha invocato la manifestazione selvaggia che coloro che si sono travestiti da Attila per partecipare all’assedio hanno trasformato in una sorta di parodia delle invasioni barbariche. Ma la farsa non fa per niente ridere, non è una pagliacciata, è un segnale gravissimo da non sottovalutare.
Da ieri sera i Democratici chiedono l’impeachment, procedimento lento, o l’attivazione del 25esimo emendamento che, comunque, richiederebbe giorni, prima di giungere al cambio della guardia. L’Amministrazione Biden – Harris, che ha vinto le elezioni Presidenziali di novembre, entrerà in carica il prossimo 20 gennaio. C’è solo da sperare di arrivarci non in uno stato pre-insurrezionale come le sei ore di vandalismo anti istutuzionale visto ieri nel cuore della democrazia americana, nonostante tutto, ancora oggi, la più grande democrazia al mondo, sebbene irrisa da feroci tweet turchi, sprezzanti frasi pronunciate da russi e cinesi. Da quali pulpiti arrivino le critiche, visto che Erdogan si comporta da Sultano in una Turchia umiliata dalle purghe del dopo tentato golpe, Putin è un autocrate a cui si imputano gli omicidi al polonio, il tentato assassinio di Navalny col Novichok nella biancheria intima e anni fa la tragica uccisione della giornalista Anna Politkovskaja, uccisa sul pianerottolo di casa -, è un altro paio di maniche. Per non parlare della Cina che in queste ore sta massacrando i ragazzi delle proteste di Hong Kong, per riportare l’ordine nella sua One China. Law and Order, il motto del GOP, ieri calpestato dagli scalmanati e scomposti elettori di Trump. Certo, a nessuno verrà in mente per anni di chiedere agli USA di esportare la democrazia, dopo che ha dimostrato di averne una grottesca, drammatica mancanza in casa propria.
Ma mentre scrivo pare che Trump sia isolato nella West Wing, disinteressato a parlare con chiunque, dopo che i social hanno sospeso il suo account, fatto inedito fino ad oggi, Twitter per 12 ore, Facebook e Instagram fino alla fine del mandato. Per timore di attacchi alla democrazia.
La maggior parte dei suoi fan, gli ineffabili seguaci delle teorie di QAnon, dialogano su Parler, il social dei complottisti, No Mask e No Vax, buttati fuori dai social media tradizionali.
La capitale degli Stati Uniti Washington è in stato di emergenza fino al 21 gennaio, per consentire un non traumatico passaggio delle consegne. L’FBI è al lavoro per identificare chi ha istigato alla violenza.
Pensare però che l’America che tutti amiamo riesca a voltare pagina fra una decina di giorni è impensabile. Del resto Trump è solo un testimonial, anche se inaccettabile e indifendibile, ma le milizie bianche che si armano da anni – e durante la pandemia hanno alimentato il boom degli acquisti di semiautomatiche, mentre la gente normale comprava il lievito e panificava come se non ci fosse un domani da Mulino Bianco… – rimangono lì dietro le tendine delle loro villette, implacabili e con le dita sul grilletto.
I dati non supportano la tesi secondo cui i criminali che hanno preso d’assalto il Parlamento sono poveri diseredati vittime delle diseguaglianze, come certa propaganda insinua da anni. Però è vero che invece di parlare di poveri, si dovrebbe parlare di declino dei luoghi che non contano. E di diseguaglianze economiche e sociali che interagiscono con disuguaglianze di riconoscimento. In versione narrativa: Elegia Americana, da guardare anche su Netflix. È il famoso fattore Rust Belt. Ferite da rimarginare, coesione sociale da ricostruire. Il vasto programma dell’amministrazione Biden – Harris, tutto da scrivere, per uscire dal cortocircuito innescato dalla retorica tossica, divisiva, ad alto tasso di propaganda di Donald Trump.
Auguri al Presidente Joe Biden e alla sua vice, la prima donna (anche di colore) Kamala Harris. Recuperare credibilità, autorevolezza e leadership, ieri sfregiate in quella bolgia da inferno dantesco, è la sfida più grande che li aspetta. In un mondo inquinato da Fake News e da sulfurei avvelenatori di pozzi, impregnati di populismo economico e politico, dove la pandemia morde e uccide, anche mentre inizia la vaccinazione di massa, ma la più grande pandemia è stata quella degli autocrati e di chi vuole scalare le democrazie per poi svuotare i Parlamenti. Auguri America, abbiamo bisogno che il Paese delle opportunità torni sulla scena mondiale e rivitalizzi il sogno delle democrazie liberali.