domenica 24 gennaio 2021

SENZA FRONTIERE Stefano Burbi





SENZA FRONTIERE 

Stefano Burbi

Va di moda predicare un mondo senza confini, senza muri, ma con ponti e frontiere spalancate; peccato che lo stesso concetto avesse animato anche Alessandro Magno, che dedicò la sua giovane vita a scardinare confini, assoggettando tutti i popoli sconfitti dal suo temibile esercito, Napoleone, che figlio della triade “libertà, uguaglianza e fraternità”, voleva tutti liberi di ubbidirgli, ugualmente sudditi della Francia imperiale, e fratelli a forza, Hitler, che sognava nel suo delirio di onnipotenza un mondo sotto la croce uncinata, Stalin, che tenne unite sotto la bandiera rossa popoli che non avevano nulla in comune, come poi la disgregazione dell’ex Jugoslavia dimostrò, dopo il crollo del muro di Berlino.  L’amore per la propria nazione può essere cattivo se si traduce in un desiderio di prevaricazione verso gli altri paesi: si chiama esasperato nazionalismo. Esasperato, appunto: eccessivo, e si sa, ogni eccesso è negativo, anche di amore, e ne sanno qualcosa i figli rovinati e viziati da un amore genitoriale sbagliato, perché non correttamente distillato. Ma il mondo è diviso in paesi non perché questi combattano gli uni con gli altri, ma perché, suddividendo il territorio, coloro che lo abitano, e che condividono lingua, usi e costumi, cultura e tradizioni, siano amministrati meglio: in fondo anche l’Impero Romano si divise fra due Imperatori, quello d’Occidente e quello d’Oriente, per renderlo più governabile. Il primo dovere di un governante è quello di curarsi di coloro che è stato chiamato ad amministrare. Se ogni governo si prendesse davvero cura dei propri cittadini, probabilmente il fenomeno delle migrazioni di massa non ci sarebbe, o, almeno, non avrebbe le dimensioni che conosciamo attualmente. Certamente, andrebbero rimosse anche altre cause scatenanti gli esodi, di cui si dibatte proprio in questi giorni e di cui sarebbe lungo e faticoso discutere, ma il senso del mio post non cambierebbe. Sarebbe il momento davvero di richiamare alle proprie responsabilità, prima di tutto e prima di qualsiasi altro, i governi dei paesi da cui partono i flussi di migranti, governi, che evidentemente, non fanno abbastanza per i loro cittadini e che non possono pretendere poi che le loro deficienze e manchevolezze siano colmate da altri paesi. Fiumi di denaro sono stati impiegati per trasferire masse di giovani, sani e forti, dall’Africa all’Europa.  E se la stessa quantità di denaro fosse stata impiegata in modo corretto per sviluppare l’Africa? Vogliamo sotterrare l’ascia di guerra ideologica e mettersi d’accordo, una volta appurato che nessuno vuole il male dei propri simili, su cosa sia davvero il bene dei popoli africani? Essere sradicati dalle proprie terre senza una concreta prospettiva o essere aiutati a sviluppare i propri paesi e a godere legittimamente i frutti del loro lavoro in loco, vicini alle loro famiglie? Vogliamo veramente rendere l’Africa un mondo migliore o vogliamo accettare il fatto che la terra abbia zone che, perfettamente abitabili e ricche di risorse naturali, siano condannate ad essere abbandonate, rendendo sovraffollate altre zone del globo? Vogliamo smettere di demonizzare i confini e possiamo cominciare a considerarli per quello che sono, o almeno, che dovrebbero essere, vale a dire un’opportunità?