martedì 19 gennaio 2021

L'UOMO IMPOSSIBILE J.G. Ballard



L'UOMO IMPOSSIBILE

(The Impossible Man, The Impossible Man,1966)
J.G. Ballard Tutti i racconti

Con la bassa marea, dopo aver finalmente sepolto le uova nella sabbia sotto le dune, le tartarughe cominciarono il loro viaggio di ritorno verso il mare.  A Conrad Foster,  che  guardava la  scena  accanto a  suo  zio dalla balaustra del lungomare, sembrava che ci fossero poco più di cinquanta metri  dall'acqua  e quindi  dalla  salvezza. Le  tartarughe  procedevano a fatica, i dorsi scuri nascosti tra le bucce d'arancio e idetriti d'alghe portati dal mare. Conrad indicò lo stormo di gabbiani che riposavano sugli argini di  sabbia sommersi  all'imbocco  dell'estuario.  Gli uccelli  erano  rimasti immobili e rivolti verso il mare, come se non provassero alcun interesse per la riva deserta dove il vecchio e il ragazzo aspettavano accanto allo steccato, ma bastò quel piccolo movimento da parte di Conrad perché una dozzina di teste bianche si voltassero all'unisono.
«Le hanno viste...» Conrad lasciò ricadere il braccio sul corrimano. «Zio Theodore, credi...»
Suo  zio  indicò con  il  bastone un'auto  che  percorreva la  strada  a  un cinquecento metri da lì. «Potrebbe essere stata la macchina.» Si tolse la pipa dalla bocca mentre un grido risuonavadall'argine sabbioso. Il primo gruppo di gabbiani si levò in volo e partì in formazione a mezzaluna verso la spiaggia. «Eccoli che arrivano.»
Le tartarughe erano emerse dal loro riparo di detriti lungo la battigia. Avanzarono sulla striscia di sabbia bagnata che scendeva verso il mare, mentre le strida dei gabbiani tagliavano l'aria sopra le loro teste.
Involontariamente, Conrad  si  allontanò verso  la  fila di  chalet  e  il giardino deserto  alla  periferia della  città.  Suo zio  lo  trattenne per  un braccio. Le tartarughe venivano afferrate nell'acqua bassa e gettate sulla sabbia, per poi finire smembrate da una dozzina di becchi.
A un minuto scarso dal loro arrivo, gli uccelli cominciarono a rialzarsi in volo dalla spiaggia. Conrad e suo zio non erano stati gli unici spettatori del rapido banchetto  dei  gabbiani. Un  piccolo  gruppo di  una  ventina di individui  scese  dal suo  punto  di osservazione  tra  le dune e invase la spiaggia, costringendo gli uccelli rimasti ad allontanarsi dalle tartarughe.
Gli uomini erano tutti anziani, tra i sessanta e i settant'anni, e indossavano camiciole e calzoni di cotone arrotolati alle ginocchia. Ciascuno di loro aveva una sacca di tela e un rampone di legno che
 terminava in una lama d'acciaio. Raccoglievano i gusci pulendoli con movimenti rapidi ed esperti,
per poi gettarli nelle sacche. La sabbia bagnata era striata di sangue, e ben presto i piedi nudi e le braccia dei vecchi furono tutti macchiati di rosso.
«Direi che è ora di andare.» Lo zio Theodore guardò il cielo, seguendo il volo dei gabbiani verso l'estuario. «Tua zia ci avrà preparato qualcosa.» Conrad stava guardando i vecchi. Quando passarono davanti a loro, uno del  gruppo alzò  il  rampone sporco  di  sangue in  segno  di saluto.  «Chi sono?» chiese, vedendo che lo zio rispondeva.
«Raccoglitori di gusci... vengono qui durante la stagione. Con quei gusci possono farsi un bel gruzzolo.»
Ripartirono  diretti   al   villaggio:  zio   Tehodore   andava  lento, appoggiandosi al bastone. Mentre lo aspettava, Conrad guardava indietro verso la spiaggia. Per qualche motivo la vistadi quei vecchi coperti del sangue delle tartarughe massacrate era molto più sgradevole della crudeltà dei gabbiani. Poi ricordò che era stato lui stesso, probabilmente, ad attirare l'attenzione degli uccelli.
Il  rumore  di un  camion  sovrastò le  strida  sempre più  lontane  dei gabbiani che tornavano a posarsi sull'argine sabbioso.  I  vecchi se n'erano andati, e la marea montante stava cominciando  a ripulire le macchie di sangue dalla spiaggia. Raggiunsero l'incrocio oltreil primo degli chalet. Conrad  guidò lo  zio  fino all'isola  spartitraffico  al centro  della  strada. Mentre aspettavano che il camion passasse disse: «Zio, hai notato che gli uccelli non hanno mai toccato terra?»
Il  camion  li superò con  un rombo,  oscurando il cielo  con il  suo alto
rimorchio. Conrad  prese  lo zio  per  un braccio  e  fece per  completare l'attraversamento. Il  vecchio  lo seguì,  affondando  il bastone  nel  terreno sabbioso. Poi si ritrasse con un sussulto e la pipa gli cadde di bocca mentre sbraitava guardando l'auto sportiva che sbandava verso di loro sbucando dalla polvere sollevata dal camion. Conrad intravide le nocche bianche del guidatore sul bordo del volante e il volto impietrito dietro il parabrezza mentre la macchina, nell'impeto della frenata, cominciava a slittare di lato lungo  la  strada. Conrad  fece  per spingere  indietro  il vecchio  ma  la macchina  gli  era già  addosso,  e piombò  sull'isola  spartitraffico  in un'esplosione di polvere.
L'ospedale era quasi vuoto. Durante i primi giorni Conrad era stato contento di giacere immobile nella corsia deserta, guardando i giochi di luce dei fiori sul davanzale che si riflettevano sulsoffitto e ascoltando i pochi rumori che arrivavano dalla stanza delle infermiere,dietro le porte a battente. Di tanto in tanto venivano a controllarlo. Unavolta, quando la donna si era chinata a sistemare la gabbia che gliproteggeva le gambe, aveva notato che non era giovane, anzi, era addiritturapiù anziana di sua zia, nonostante la figura snella e i capelli tinti. Ineffetti, tutte le infermiere e le inservienti che si occupavano di lui in quella corsia vuota erano anziane,e ovviamente consideravano Conrad più un bambino che non un ragazzo di diciassette anni, rivolgendosi a lui con una cantilena distratta e amabile mentre passavano lungo la corsia.
Più tardi, quando il dolore della gamba  amputata lo risvegliò dal suo placido  sonno, finalmente  l'infermiera  Sadie cominciò  a  guardarlo in faccia.  Gli  disse che  la  zia era  venuta  a trovarlo  tutti  i giorni  dopo l'incidente, e che sarebbetornata il pomeriggio del giorno dopo.
«...Theodore... Zio Theodore...» Conrad cercò di alzarsi asedere ma una gamba invisibile, morta e pesante come quella di un mastodonte,lo teneva ancorato al letto. «Il signor Foster... mio zio. La macchina lo ha...»
«Lo ha mancato di parecchio, anzi, diciamo di un pochino.» L'infermiera Sadie gli  toccò  la fronte  con  una mano  leggera  come un  uccellino congelato. «Ha solo un graffio al polso, provocato dal parabrezza. Invece non puoi immaginare i vetri che abbiamo dovuto togliere ate: sembrava quasi che avessi sfondato una serra!»
Conrad allontanò la testa da quelle dita. Percorse con lo sguardo la fila di letti vuoti nella corsia. «Dov'è? Qui?»
«A casa. Se ne sta occupando tua zia, ma tornerà come nuovo.»
Conrad  si  rilassò, aspettando  che  l'infermiera Sadie  andasse  via e  lo
lasciasse  solo  con il  suo  dolore alla  gamba  scomparsa. La  gabbia
chirurgica svettava  sopra  la sua  testa  come una  montagna  innevata.
Stranamente, la  notizia  che lo  zio  Theodore era  uscito  quasi illeso
dall'incidente non gli aveva dato nessun sollievo. Dall'età di cinque anni, quando  la  morte dei  suoi  genitori in  un  incidente aereo  lo  aveva reso orfano, il suo rapporto con gli zii era stato, sepossibile, ancora più stretto di quello che avrebbe avuto con la madre e il padre, perché il loro affetto e la  loro  devozione erano  più  consapevoli e  costanti.  Eppure si  ritrovò  a pensare non allo zio o a se stesso, ma all'auto che siavvicinava. Con le sue pinne aguzze e le sue rifiniture era piombata su di loro come i gabbiani sulle tartarughe, con la stessa esplosione di violenza. Steso sul letto con la gabbia sopra  di  sé, Conrad  ripensava  alle tartarughe  che  avanzavano a fatica sulla sabbia bagnata sotto i loro pesanti gusci, e ai vecchi che le aspettavano tra le dune.
Fuori,  le fontane  giocavano  nei giardini  dell'ospedale  deserto, e  le infermiere  anziane  passeggiavano avanti  e  indietro, in  coppie,  lungo i sentieri avvolti nell'ombra.
Il  giorno  dopo, prima  della  visita di  sua  zia, due  dottori  vennero a controllare Conrad. Il più anziano, il dottor Nathan, era un uomo magro
con  i  capelli grigi  e  mani delicate  come  quelle dell'infermiera  Sadie.
Conrad l'aveva già visto e lo ricordava dalle prime,confuse ore del suo arrivo all'ospedale. C'era sempre un vago accenno di sorriso sulle labbra del dottor Nathan, come il fantasma di una facezia ormai dimenticata.
L'altro medico, il dottor Knight, era decisamente piùgiovane e al confronto  sembrava  quasi della  stessa  età di  Conrad.  Il suo  viso  dai lineamenti  marcati e  dalla  mascella quadrata  guardava  Conrad con  una sorta di scherzosa ostilità. Afferrò il  polso del ragazzo come  se volesse strapparlo dal letto egettarlo sul pavimento.
«E così questo sarebbe il giovane Foster?» Guardò Conradfisso negli occhi. «Be', Conrad, non ti chiederò come ti senti.»
«No...»Conrad annuì con fare incerto.
«No cosa?» Il dottor Knight sorrise a Nathan, che gravitava ai piedi del letto come un vecchio fenicottero in una pozza ormai secca.«Credevo che ildottor Nathan ti stesse curando molto bene.» Quando Conrad mormorò qualcosa, timoroso di prendersi un altro rimprovero, ildottor Knight ripartì
imperterrito: «Non è così? In ogni caso, Conrad, a meinteressa di più il
tuo futuro. È per questo che prenderò il posto del dottorNathan, quindi d'ora in poi, qualunque cosa dovesse andare male, potraiprendertela con me.»
Trascinò una sedia di metallo accanto al letto e vi sisedette a cavalcioni, scostando le code del camice con un gestoaffettato. «Non che succederà niente del genere. Allora?»
Conrad sentì i piedi del dottor Nathan che picchiettavano sulpavimento tirato a lucido. Si schiarì la voce. «Dove sono tutti gli altri?»
«Lo hai notato?» Il dottor Knight lanciò un'occhiata al suocollega. «Be',
era  difficile  che non  te  ne accorgessi.»  Guardò  dalla finestra  il  terreno deserto intorno all'ospedale. «È vero, qui non c'è quasi nessuno.»
«Per  noi  è un  fatto  decisamente lusinghiero,  non  trovi, Conrad?»  Il dottor  Nathan  si era  riavvicinato  al letto.  Il  sorriso sulle  sue  labbra sembrava appartenere a un'altrapersona.
«Eh, già...» bofonchiò il dottor Knight. «Evidentementenessuno te l'ha spiegato, Conrad, ma questo non è un ospedale, non nel senso consueto del termine.»
«Cosa...» Conrad fece per alzarsi a sedere,appoggiandosi  alla gabbia soprala sua gamba. «Che intende dire?»
Il dottor  Knight  alzò le  mani. «Non  mi fraintendere,  Conrad.
Naturalmente  è  un ospedale,  anzi,  un'unità chirurgica  altamente
specializzata, ma  è  anche qualcosa  di  più, come  ho  intenzione di
spiegarti.»
Conrad  fissò  il dottor  Nathan.  Il medico  più  anziano guardava  dalla finestra, apparentemente concentrato sulle fontane, ma peruna volta il suo viso era inespressivo, senza l'ombra di un sorriso.
«Inche senso?» chiese Conrad guardingo. «Ha qualcosa a che fare con
me?»
Il dottor Knight allargò le mani in un gestoambiguo. «Per certi versi, sì. Ma ne parleremo domani. Ti abbiamo già affaticato anche troppo.»
Si alzò, continuando a esaminare Conrad con lo sguardo, e posò le mani sulla  gabbia. «Abbiamo  un sacco  di  lavoro da  fare  su questa  gamba, ragazzo. E quando avremo finito sarai piacevolmentesorpreso da ciò che possiamo riuscire a combinare. In cambio, forsepotrai aiutarci - o almeno lo speriamo, non è vero, dottor Nathan?»
Il  sorriso del dottor Nathan, ricomparso come uno spettro,  si  posò di nuovo  sulle sue  labbra  sottili. «Sono  sicuro che  Conrad  sarà disponibilissimo.»
Quandoraggiunsero la porta, Conrad li richiamò indietro.
«Che c'è, Conrad?» gli chiese il dottor Knight, fermandosidi fronte al letto accanto al suo.
«Il guidatore, l'uomo della macchina. Che gli è successo? È qui?»
«Sì,  in  effetti, ma...»  Il  dottor Knight  esitò  poi sembrò  prendere  una decisione.«In tutta onestà, Conrad, non potrai vederlo. So che l'incidente è statoquasi certamente colpa sua...»
«No!» Conrad scosse il capo. «Non voglio accusarlo dinulla... siamo sbucati da dietro un camion. Allora, è qui?»
«L'auto ha urtato contro il pilastro d'acciaio dell'isolaspartitraffico, poi 
ha sfondato il muretto del lungomare. Il guidatore è stato sbalzato sulla spiaggiaed è morto. Non aveva molti anni più di te, Conrad, e sembra plausibile che abbia tentato di salvare la tua vita equella di tuo zio.»
Conrad  annuì,  ricordando il  viso  bianco come  un  urlo dietro  il parabrezza.
Il dottor Knight si girò verso la porta. Quasi in unsussurro aggiunse: «E vedrai che potrà ancora esserti d'aiuto.»
Alletre di quel pomeriggio lo zio di Conrad venne a trovarlo. Seduto su
una sedia a rotelle e spinto da sua moglie edall'infermiera Sadie, salutò il nipote  con  un gesto  allegro  della mano  sana,  non appena  entrato  nella corsia.  Ma  stavolta vedere  lo  zio Theodore  non  risollevò il  morale  di Conrad.  Aveva  atteso quella  visita  con impazienza,  ma  suo zio  era invecchiato  di  dieci anni  dopo  l'incidente e  vedere  quelle tre  persone anziane,  di  cui una  parzialmente  disabile, che  venivano  verso di  lui sorridendo non faceva che ricordargli il suo isolamento inquell'ospedale.
Mentre ascoltava suo zio, Conrad si rese conto chequell'isolamento non
era che una versione estremizzata della sua situazione e diquella di tutte le persone giovani  fuori  dalle mura  dell'ospedale.  Da bambino  aveva conosciuto pochi coetanei, per il semplice motivo che i bambini erano rari quasi quanto un secolo prima lo erano stati gliultracentenari. Era nato in un  mondo  di mezza  età,  dove per  giunta  la mezza  età  non faceva  che spostarsi sempre più lontano dal suo punto di partenza,come l'orizzonte di un  universo  in fuga.  Sua  zia e  suo  zio, entrambi  quasi  sessantenni, rappresentavano ormai  la  linea mediana.  E  oltre quella  linea  c'era  l'immenso esercito carico d'anni degli anziani, che riempivano i negozi e le strade della città balneare, avvolgendo ogni cosa con ilvelo grigio dei loro
ritmi lenti e dei loro passi esitanti.
Per contrasto,  la  sicurezza di  sé  e l'aria  disinvolta  del dottor  Knight,
benché brusche e aggressive, almeno gli facevano accelerarele pulsazioni.
Verso  la  fine della visita, quando  sua zia  si  fu spostata  in  fondo alla
corsia con l'infermiera Sadie per guardare le fontane,Conrad disse allo zio,
«Il dottor Knight mi ha assicurato che possono farequalcosa per la mia
gamba.»
«Ne  sono  certo, Conrad.»  Lo  zio Theodore  gli  rivolse un  sorriso incoraggiante, ma  i  suoi occhi  rimasero  fissi sul  nipote  senza mutare espressione. «Questi chirurghi sono gente molto abile; èstupefacente cosa riescano a fare.»
«E la tua mano, zio?» Conrad indicò la benda che copriva l'avambraccio sinistro di  Theodore.  L'accenno di  ironia  nella voce  dello  zio lo  fece pensare alle calcolate ambiguità del dottor Knight.Aveva già la sensazione che le persone intorno a lui stessero scegliendoda che parte stare.
«Questa mano?» Lo zio si strinse nelle spalle. «Mi haservito per quasi sessant'anni, e  un  dito in  meno  non mi  impedirà  certo di  riempirmi  la pipa.»Prima che Conrad potesse replicare, proseguì: «Ma la tua gamba è un'altrafaccenda, e sta a te decidere cosa farne.»
Subito prima di andarsene sussurrò a Conrad, «Riposati,figliolo. Forse ti toccherà correre prima ancora di poter camminare.»
Due giorni dopo, alle nove in punto, il dottor Knight venne a visitare Conrad. Sbrigativo come sempre, andò subito al punto.
«Allora, ragazzo,»  cominciò,  sostituendo la  gabbia  dopo averla
esaminata «è passato un mese dalla tua ultima passeggiatasulla spiaggia,
ed è arrivato il momento di farti uscire da qui, di nuovosulle tue gambe.
Chene dici?»
«Gambe?» ripeté Conrad. Riuscì ad accennare unarisatina. «Lo dice in senso metaforico, vero?»
«No, in senso letterale.» Il dottor Knight trascinò unasedia accanto al
letto.«Dimmi, Conrad,  hai  mai sentito  parlare  di trapianti?  Magari  a scuola.»
«In biologia...  trapianti  di reni,  cose  del genere.  Roba  da persone anziane. È questo che volete fare con la mia gamba?»
«Ehi!Procediamo con calma. E chiariamo prima un punto o due. Come hai appena  detto,  i primi  trapianti  risalgono a  cinquant'anni  fa, quando sono partiti gliinterventi sui reni, anche se in realtà il trapianto di cornea era praticatogià da tempo. Se poi accettiamo che il sangue sia un tipo di tessuto, il principio del trapianto diventa ancora più antico - per esempio, hai ricevuto una massiccia trasfusione dopo l'incidente, e un'altra quando il dottor  Nathan  ti ha  amputato  il ginocchio  e  lo stinco.  Non  c'è nulla  di sorprendente in tutto questo, non ti pare?»
Conrad  aspettò  prima di  rispondere:  per una  volta  il tono  del  dottor Knight  si era  fatto  cauto, come  se,  per effetto  di  una sorta  di estrapolazione, stesse già facendo le domande sulle qualitemeva che il suo parente avrebbe formulato delle obiezioni.
«No»rispose Conrad. «Assolutamente nulla.»
«Naturale, perché dovrebbe esserci qualcosa di sorprendente? Anche se
va tenutoa mente che molte persone hanno rifiutato una trasfusione pur sapendo che avrebbe significato una morte certa. Al di làdelle obiezioni di carattere religioso, molti di loro eranoconvinti che il sangue di un estraneo avrebbe  inquinato il  loro  corpo.» Il  dottor  Knight si  appoggiò  allo schienale,imprecando tra sé. «Il loro punto di vista è comprensibile, ma va ricordato  che  i nostri  corpi  sono composti  quasi  completamente di materiali estranei.  Non  mi sembra  che  nessuno rinunci  a  mangiare per preservare la  propria  identità, giusto?»  chiese  sorridendo. «Sarebbe  una forma di egoismo spinta alla follia. Non sei d'accordo?»
Quando  il  dottor Knight  lo  guardò, in  attesa  di una  risposta,  Conrad disse: «Piùo meno.»
«Bene.  E  anche nel passato  molte  persone la  pensavano  come te. La
sostituzionedi un rene malato con uno sano non sminuisce in alcun modo la nostra identità, specie se ci salva la vita. L'unica cosa che conta è la prosecuzione della propria identità. Per la loro stessastruttura, le singole parti del corpo sono al servizio dell'integritàfisiologica complessiva, e la coscienza umana è abbastanza grande da garantire un certogrado di unità.
«Ora,  nessuno  ha mai  messo  in discussione  questo  assunto, e
cinquant'anni fa un gruppo di uomini e di donne coraggiosi, per la maggior parte  medici,  hanno donato  volontariamente  i loro  organi  sani a  chi  ne aveva  bisogno.  Sfortunatamente,  tutti questi  tentativi  sono falliti  dopo
poche settimane per effetto della cosiddetta reazione dirigetto. Il corpo ricevente,  benché  prossimo alla  morte,  combatteva comunque  contro  il trapianto come avrebbe fatto contro un qualunque organismo estraneo.»
Conrad scosse il capo. «Credevo che avessero risolto il problema del rigetto.»
«Con  il  tempo, sì.  Era  una questione di  biochimica, non  una
conseguenza delle tecniche chirurgiche utilizzate. Alla fine si è trovata la soluzione  e  ogni anno  sono  state salvate  decine  di migliaia  di  vite  - persone con disfunzioni degenerative del fegato, dei reni,dell'intestino, o addirittura di porzioni del cuore o del sistema nervoso, hanno usufruito di un trapianto. Il problema principale era come fare per ottenere gli organi - si può donare volontariamente un rene, ma non è possibiledonare il fegato
o la valvola mitralica. Fortunatamente molte persone hannodonato i loro organi in caso di morte - in effetti, ormai èespressamente previsto nella clausola  di  ammissione in  un  ospedale pubblico  che,  in caso  di  morte, qualunque parte  del  corpo del  degente  può essere  utilizzata  per  un trapianto.  In  origine le  banche  di organi  riguardavano  solo le  zone del torace edell'addome, ma oggi abbiamo riserve di qualunque tessuto del corpo  umano,  con il  risultato  che qualsiasi  cosa  il chirurgo  richieda  è sempredisponibile, che sia un polmone intero o il più piccolo brandello di tessutoepiteliale.»
Mentreil dottor Knight si concedeva una pausa, Conrad indicò la corsia intorno a sé.«Quest'ospedale... è qui che si fanno?»
«Esatto, Conrad. Questo è uno delle centinaia di istitutiche oggi sono interamente dediti  ai  trapianti. Come  potrai  capire, solo  una  minima percentuale dei pazienti ricoveratiqui rappresentano casi simili al tuo. La chirurgia dei trapianti èstata applicata soprattutto a livello geriatrico, cioè per prolungare la vitaagli anziani.»
Annuì deciso mentre Conrad si alzava a sedere sul letto.«Ora capisci, Conrad, perché ci sono sempre state tante persone anziane intornoa te? Il motivo è semplice: grazie aitrapianti siamo in grado di offrire a persone che normalmente morirebbero tra i sessanta e i settant'anni una maggiore longevità. La durata media di vita è salita daisessantacinque anni di mezzo secolo fa ai novantacinque attuali.»
«Dottore... il guidatore della macchina. Non so il suonome. Ha detto che avrebbe potuto aiutarmi ancora.»
«Dicevo  sul  serio, Conrad.  Uno  dei problemi  dei  trapianti è  la
disponibilità di  scorte.  Nel caso  delle  persone anziane  non  ci  sono
difficoltà, anzi, c'è semmai un eccesso di materiali dirimpiazzo rispetto
alla  domanda.  A parte  una  condizione degenerativa  generalizzata,  la
maggior parte delle persone anziane sono afflitte ingenerale da disfunzioni
diun solo organo, e ogni morte fornisce una riserva di tessuti che possono
tenere  in  vita altre  venti  persone per  altrettanti  anni. Ma  nel  caso dei
giovani,  in  particolare se  hanno  la tua  età,  la domanda  è  cento volte
superiore all'offerta. Dimmi, Conrad, lasciando da parteil guidatore della
macchina,  come  ti sentì  in  linea di  principio  all'idea di  ricevere  un
trapianto?»
Conradguardò le lenzuola. Nonostante la gabbia, l'asimmetria tra i suoi
arti era troppo vistosa per poterla ignorare. «È difficiledirlo. Immagino
che...»
«La  scelta  spetta a  te,  Conrad. O  accetti  una gamba  artificiale  -  un supporto di metallo che ti procurerà infiniti disagi per ilresto della tua vita e ti impedirà di correre, nuotare e fare tuttii movimenti che sarebbero normali per unapersona della tua età -, oppure potrai avere una gamba vera,fatta di carne, sangue e ossa.»
353

Conrad esitò. Tutto ciò che aveva detto il dottor Knightcoincideva con
quanto aveva sentito in quegli anni sui trapianti - nonera un argomento
tabù,ma se ne parlava di rado, specie in presenza dei bambini. Eppure era
certo che quella articolata sintesi era solo il prologo auna decisione ben
più  difficile che  sarebbe  stato chiamato  a  prendere. «Quando  intende
intervenire- domani?»
«Santo  cielo,  no!» Il  dottor  Knight si  lasciò  sfuggire una  risata,  poi
riprese a parlare, per sciogliere la tensione. «Ci vorrannoalmeno due mesi,
e parecchio lavoro. Dobbiamo identificare e segnare tutti inervi e i tendini,
poi preparare un'inserzione ossea molto complessa. Peralmeno un mese
dovrai metterti un arto artificiale - credimi, alla finenon vedrai l'ora di
tornare a camminare su una gamba vera. Ora, Conrad, possoarguire che in
lineagenerale sei favorevole? Ci servono sia il tuo permesso che quello di
tuozio.»
«Credo di sì. Vorrei parlare con mio zio, ma so bene dinon avere altra
scelta.»
«Unaposizione molto sensata.» Il dottor Knight stese la mano. Quando Conrad si  allungò  per stringerla  si  accorse che il  dottore  gli stava deliberatamente  mostrando una  sottile  cicatrice che  correva  intorno alla base del pollice e sparivasul palmo. Il pollice sembrava totalmente parte della mano e al tempostesso staccato da essa.
«Proprio così» gli disse Knight. «Un piccolo esempio ditrapianto che
risale  a quando ero  ancora  uno studente. Ho perso la  falange superiore
dopo essermela infettata nella sala di anatomia. È statosostituito tutto il
pollice. E ha funzionato alla perfezione: non avrei certopotuto diventare
chirurgo,senza un dito.» Poi voltò la mano per mostrare a Conrad il resto
della  cicatrice. «Ovviamente  ci sono  alcune  differenze, in  primo  luogo
nell'articolazione- questa è lievemente destrorsa rispetto allamia, e
l'unghia  ha  una forma  diversa,  ma per  il  resto lo  sento  perfettamente
integrato. E c'è anche un certo piacere altruisticonell'idea di tener viva una
partedi un altro essere umano.»
«Dottor Knight... il guidatore della macchina. Vuoleinnestarmi la sua gamba?»
«Esatto, Conrad.  Avrei  dovuto dirtelo  in  ogni caso:  il  paziente deve dichiararsi soddisfatto  del  suo donatore...  la  gente non  gradisce  molto l'idea difarsi trapiantare un organo di un criminale o di uno psicopatico. Come ti ho spiegato, per una persona della tua età non èfacile trovare un donatore appropriato...»

«Ma, dottore...»  Stavolta,  le parole  di  Knight avevano  disorientato Conrad. «Dev'esserci  qualcun  altro. Non che  abbia  del risentimento  nei suoi confronti, ma... C'è un altro motivo, vero?»
Dopo  un  istante, il  dottor  Knight annuì.  Si  spostò dal  letto  e per  un attimo Conrad si chiese se non stesse per rinunciareall'intervento. Poi girò sui tacchi e indicò la finestra.
«Conrad, mentre  eri  qui non  ti  è venuto  da  chiederti come mai quest'ospedale è vuoto?»
Conrad  fece  un gesto  a  includere le  pareti  distanti. «Forse  è  troppo grande. Quanti pazienti puòcontenere?»
«Più  di  duemila. In  effetti  è grande,  ma  quindici anni  fa,  prima che
venissi  a  lavorarci, non  bastava  quasi a  gestire  il flusso  di  pazienti. Si
trattava perlopiù  di  casi geriatrici  -  uomini e  donne  tra i  settanta  e  gli
ottant'anni  che  si facevano  trapiantare  uno o  più  organi. C'erano  liste
d'attesa interminabili  e  molti pazienti  erano  disposti a  pagare  cifre
maggiorate- bustarelle, se preferisci - pur di essere ricoverati.»
«Edove sono finiti?»
«Una  domanda  interessante: la  risposta  che ti  darò  spiega almeno  in
parte perché sei qui, e perché siamo particolarmenteinteressati al tuo caso.
Vedi,  Conrad,  una decina  o  una dozzina  di  anni fa  le  amministrazioni
ospedaliere  di  tutto il  paese  hanno notato  che  le richieste  di  ricovero
cominciavano a calare. All'inizio si sono sentitesollevate, ma il calo si è
ripetuto di anno in anno, fino alle cifre, attuali, chesono scese all'un per
cento rispetto al passato. E la maggior parte dei pazientisono chirurghi,
medicio infermieri.»
«Ma, dottore, se non vengono qui...» Conrad sitrovò a pensare ai suoi zii. «Se non vengono qui vuol dire che stanno scegliendo di...»
Ildottor Knight annuì. «Esatto, Conrad. Scelgono di morire.»
Unasettimana dopo, quando suo zio tornò a trovarlo, Conrad gli spiegò
la proposta del dottor Knight. Erano seduti sulla terrazzafuori della corsia,
guardando l'ospedale  deserto  oltre le  fontane.  Suo zio  aveva  ancora la
manofasciata, ma per il resto si era ripreso dall'incidente. Ascoltò Conrad
insilenzio.
«Le persone anziane non si fanno più ricoverare: se siammalano restano a casa e aspettano la morte. Il dottor Knightdice che non c'è nessun motivo per  cui,  in diversi  casi,  la chirurgia  dei  trapianti non  dovrebbe riuscire a prolungare la vita più o meno all'infinito.»
355

«Una  specie  di vita,  diciamo.  E come  crede  che potresti  aiutarli, Conrad?»
«Be', è convinto che sia necessario un esempio da imitare,o un simbolo, se preferisci.  Qualcuno  come me,  che  è stato  ferito  gravemente in  un incidente quando la sua vita era ancora in fiore, potrebbeconvincerli ad accettare i veri benefici di un trapianto.»
«Ma  i  due casi  sono  tutto fuorché  simili»  mormorò suo  zio. «Comunque...tu che ne pensi?»
«Il dottor Knight è stato assolutamente franco. Mi haparlato dei primi casi, quando la gente che aveva nuovi organi e arti cadevaletteralmente a pezzi  non appena  le  suture cedevano.  Immagino  abbia ragione. La  vita dovrebbe  essere preservata - se trovassi un uomomoribondo su un marciapiede lo aiuteresti, quindi perché non farlo anchein altri casi? Solo perché il cancro o la bronchite sono meno drammatici...»
«Ti capisco,  Conrad.»  Lo zio  alzò  una mano  per  interromperlo.  «Ma perché crede che le personeanziane rifiutino i trapianti?»
«Ammettedi non saperlo. Ha la sensazione che con l'aumentare dell'età media della popolazione, le persone anziane tendanoa dominare la società e a imporre lapropria mentalità. Invece di vedersi intorno una maggioranza di giovani si trovano circondati solo da persone anziane come loro.L'unica via di fuga diventa la morte.»
«È una teoria come un'altra. Ma c'è un'altra cosa: vuoledarti la gamba del guidatore della macchina che ci hainvestiti. Mi sembra un po' strano: morboso, direi.»
«No, è proprio lì il punto, sta cercando di dirmi che unvolta trapiantata la gamba diventa parte di me.» Conrad indicò la fasciatura dellozio. «Zio Theodore, quella mano. Hai perso due dita. Me l'ha detto il dottorKnight. Hai intenzione di fartele innestare?»
Suozio scoppiò a ridere. «Vuoi trasformarmi nel tuo primo convertito, Conrad?»
Due mesi dopo Conrad rientrò in ospedale per sottoporsi altrapianto che
aveva tanto atteso durante tutta la convalescenza. Ilgiorno prima aveva
accompagnato lo zio a trovare degli amici che vivevanonelle case di
riposodella zona nordoccidentale della città. Quelle gradevoli costruzioni
a un piano in stile chalet, costruite dal comune e ceduteai loro inquilini
con  affitti  molto bassi,  occupavano  una percentuale  notevole  dell'area
urbana.  Nelle  tre settimane  trascorse  da quando  era  stato in  grado  di
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camminare,a Conrad sembrava di averle visitate tutte. La gamba artificiale
della quale era stato dotato era tutt'altro checonfortevole, ma su richiesta
del dottor Knight suo zio lo aveva accompagnato da tuttele persone che
conosceva.
Benché lo scopo di quelle visite fosse renderericonoscibile Conrad per
il maggior numero possibile di anziani prima cherientrasse in ospedale -
lo sforzo per convertirli sarebbe cominciato in seguito,quando la nuova
gamba fosse stata funzionante - Conrad aveva giàcominciato a dubitare
delsuccesso dei piani del dottor Knight. Ben lungi dal suscitare ostilità, la
presenza di Conrad era accolta dagli anziani inquilinidelle case di riposo e
dei  bungalow  con simpatia  e  disponibilità.  Ovunque andasse  i  vecchi
venivano al cancello di casa e gli parlavano, facendogligli auguri per la
sua  operazione.  A volte, mentre  ricambiava  i sorrisi  e  i cenni  di  saluto
degli uomini e delle donne dai capelli grigi affacciati aibalconi o al lavoro
in giardino, gli sembrava di essere la sola persona giovanein tutta la città.
«Zio,  come spieghi il  paradosso?»  chiese facendo  leva  sulle grucce,
mentre proseguivano zoppicando il loro giro di saluti.«Sono d'accordo che
io abbia una gamba nuova, ma non intendono andare inospedale a loro
volta.»
«Ma  tu  sei giovane,  Conrad,  un bambino, ai  loro  occhi. Ti  viene
restituito qualcosa  che  ti spetta  di  diritto: la  possibilità  di camminare,
correre,  ballare. Non  ti  stanno prolungando  la  vita oltre  i  suoi limiti
naturali.»
«Limiti naturali?» Conrad ripeté la frase in tono stanco,strofinandosi il punto d'innesto  della  gamba artificiale  attraverso  i pantaloni.  «Esistono parti del mondo in cui l'aspettativa di vita non supera iquarant'anni. Non è un concetto relativo?»
«Non  del  tutto, Conrad.  Non  oltre un  certo  punto.» Benché  avesse guidato fedelmente Conrad per tutta la città, suo ziosembrava riluttante a proseguire la discussione.
Raggiunsero l'ingresso  di  un altro  quartiere  residenziale. Uno  dei numerosi impresari  di  pompe funebri  aveva  aperto un  nuovo  ufficio, e nella  penombra  dietro le  finestre  oscurate Conrad  intravide  un libro  di preghiere su un leggio di mogano e foto discrete difunerali e mausolei. Per quanto non ostentata, la vicinanza dell'ufficio allecase di riposo disturbava Conrad come se unafila di bare appena costruite fosse stata allineata sul marciapiedeper un'ispezione.
Quando Conrad glielo fece notare, suo zio si strinse nellespalle. «Gli
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anzianisviluppano una visione  più  realistica delle cose. Non temono la morte enon si esaltano parlandone, come fanno i giovani. In effetti, non hannoun interesse particolarmente vivo per l'argomento.»
Sifermarono davanti a uno degli chalet e lo zio lo prese per un braccio. «Devometterti sull'avviso, Conrad. Non voglio provocarti uno shock, ma stai per conoscere una persona che intende opporsiin modo concreto al dottor Knight. Forse ti dirà più cose in cinqueminuti di quante potremmo metterne insieme ildottor Knight o io in dieci anni. A proposito, si chiama Matthews:dottor James Matthews.»
«Dottore?Vuoi dire medico?»
«Esatto.Uno dei pochi. Comunque, aspetta di conoscerlo.»
Siavvicinarono allo chalet, un modesto appartamento di due stanze con
un piccolo giardino trascurato, dominato da un altocipresso. La porta si
aprì  non  appena sfiorarono  il  campanello. Un'anziana  suora  con
un'uniforme da infermiera li fece passare con un brevecenno di saluto.
Una seconda suora, le maniche arrotolate, passò lorodavanti, entrando in
cucinacon una bacinella di porcellana. Nonostante i loro sforzi, nella casa
c'era un odore sgradevole che l'uso abbondante didisinfettanti non riusciva
anascondere.
«SignorFoster, le dispiacerebbe attendere qualche minuto? Buongiorno, Conrad.»
Aspettarononello squallido salottino. Conrad studiò le foto incorniciate sul rialzo della scrivania. Una era un ritratto diuna donna anziana con i capelli grigie il volto da uccello, che immaginò fosse la defunta signora Matthews.L'altra era il ritratto di un gruppo di matricole.
Furono finalmente introdotti nella piccola stanza da lettosul retro della
casa. La seconda suora aveva coperto con un lenzuolo leattrezzature
mediche sul comodino accanto al letto. Sistemò la copertae poi uscì in
corridoio.
Appoggiandosialle grucce, Conrad restò accanto allo zio che si chinava a scrutare l'occupante del letto. L'odore acido siera fatto più pungente e sembravavenire direttamente dal letto. Quando suo zio gli fece segno di farsi avanti, lui faticò a scorgere il voltoincartapecorito tra le lenzuola. Nellapenombra creata dalle tende accostate, le guance e i capelli grigi si eranofusi con il bianco sporco della federa.
«James, ti presento Conrad, il figlio di Elizabeth.» Lozio accostò una
sedia di legno al  letto  e gli fece  segno di  sedersi. «Il  dottor  Matthews,
Conrad.»
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Conrad  mormorò  qualcosa, conscio  degli  occhi azzurri  che  si erano sollevati  a  guardarlo. La  cosa  che più  lo  sorprese nella  persona  che occupavail letto fu la sua età relativamente giovane. Pur avendo passato da  poco  la sessantina,  il  dottor Matthews  era  più giovane  di  vent'anni rispetto alla maggioranzadei residenti in quel quartiere.
«È diventato un ragazzo bello robusto, non ti pare, James?»sottolineò lo zio Theodore.
Ildottor Matthews annuì, come se non fosse particolarmente interessato alla loro  visita.  I suoi  occhi  erano fissi  sul  cipresso scuro  in  giardino. «Infatti» disse alla fine.
Conrad aspettava, a disagio. La passeggiata lo avevastancato, e la coscia
aveva ripreso a fargli male. Si chiese se fosse possibilechiamare un taxi da
quellacasa.
Il dottor   Matthews   si  voltò.   Sembrava   potesse  guardare contemporaneamente Conrad  e  lo zio,  fissando  un occhio  azzurro  su ciascunodei due. «Chi si occupa del ragazzo?» chiese, in tono stridulo. «Nathandovrebbe essere ancora lì...»
«Uno dei medici giovani, James. Probabilmente non loconosci, ma è una brava persona. Knight.»
«Knight?»Il nome venne ripetuto con una lieve sfumatura di commento. «E quando loricoverano?»
«Domani,vero, Conrad?»
Conrad  stava  per rispondere  quando  si accorse  del  lieve tremito  che scuoteva l'uomo sul letto. Sentendosi all'improvviso stancodi quella scena bizzarra e convinto che l'umorismo macabro del medico moribondofosse rivolto direttamente a lui, si alzò dalla sedia, raccogliendo le grucce.«Zio, posso aspettare fuori?»
«Aspetta, ragazzo...» Il dottor Matthews aveva sollevato lamano destra,
liberandola dalle lenzuola. «Stavo ridendo di tuo zio, nondi te. Ha sempre
avuto un gran senso dell'umorismo. O forse non ne avevaaffatto. Qual è la
verità,Theo?»
«Non ci trovo nulla di divertente, James. Mi staisuggerendo che non avrei dovuto portarlo qui?»
Il  dottor  Matthews si  lasciò  ricadere sul  letto. «Niente affatto.  Ero presente quando  è  nato, è giusto  che  ora lui  assista alla mia fine...» Sirivolse nuovamente a Conrad. «Ti auguro ogni bene, ragazzo. Ti chiederai perchénon ti accompagno personalmente all'ospedale.»
«Be',io...» accennò Conrad, ma suo zio lo strinse per una spalla.
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«James,  è  ora che  andiamo.  Penso che  si  possa lasciare  la  cosa sottintesa.»
«Assolutamente no.»  Il  dottor Matthews  alzò  di nuovo  una  mano, accigliandosi nell'udire unlieve rumore. «Ci vorrà un istante, Theo, ma se non gliene parlo io non lo farànessuno, e certamente non il dottor Knight. Allora, ragazzo, hai diciassetteanni?»
Conrad  annuì  e il  dottor  Matthews continuò:  «A quell'età,  se ricordo
bene, sembra che la vita sia destinata a durare in eterno.Ci si sente quasi
in una condizione  di immortalità.  Man mano cheinvecchi, però,  scoprì
semprepiù che tutto ciò per cui vale la pena di vivere ha una natura finita,
dalle cose più ordinarie a quelle più importanti, ilmatrimonio, i figli, la
vita  stessa.  Sono proprio  le  linee nette  tracciate  intorno alle  cose  che
conferiscono loro un'identità. E infatti non c'è nulla dipiù splendente di un
diamante.»
«James,ti sei stancato a sufficienza...»
«Sta' tranquillo,  Theo.» Il dottorMatthews sollevò  la testa, riuscendo quasi ad alzarsi a sedere. «Forse, Conrad, potrestispiegare al dottor Knight che è proprio perchédiamo tanto valore alla nostra vita che rifiutiamo di vederla impoverita. Ci sono migliaia di linee nettetracciate fra te e me, Conrad: differenze di età, carattere ed esperienza, differenze di tempo. Ma dovrai conquistarti da te queste distinzioni. Non puoiprenderle in prestito da qualcun altro, tanto meno dai morti.»
Conradsi guardò intorno mentre la porta si apriva. La più anziana delle
due  suore  era in  piedi  nel corridoio.  Fece  un cenno  a  suo zio.  Conrad
sistemò la gamba artificiale preparandosi al rientro a casae aspettando che
lo zio Theodore completasse i suoi saluti al dottorMatthews. Quando la
suorasi avvicinò al letto, il ragazzo vide una striatura di sangue sul bordo
dellagonna inamidata.
Usciti, arrancarono  oltre  il negozio  di  pompe funebri;  Conrad  si appoggiavapesantemente alle grucce. Mentre gli anziani li salutavano con la mano dai giardini, lo zio Theodore disse, «Mi dispiacese hai creduto che ridesse di te. Non aveva intenzione di offenderti.»
«Eradavvero presente quando sono nato?»
«Ha assistito tua madre. Ho pensato fosse giusto che lovedessi prima
dellasua morte. Perché abbia trovato l'idea tanto buffa, non riesco proprio
acapirlo.»
Quasi sei mesi dopo, Conrad Foster camminava lungo ilmare, diretto
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allaspiaggia. Nel riverbero del sole, vedeva le alte dune sopra la riva e, più in là, i gabbiani appollaiati sul banco di sabbia sommersoall'imboccatura dell'estuario.  Il  traffico sul  lungomare  era più  intenso  di quanto  non ricordasse dalla sua precedente  visita, e la sabbia  raccolta dalle  gomme delle auto e dei camion sispostava come nuvole sui campi.
Conrad avanzava di buon passo lungo la strada, mettendoalla prova la sua nuova gamba. Durante i quattro mesiprecedenti le giunture si erano consolidatequasi  senza  dolore e la gamba  era,  se possibile,  ancora  più forte e resistente  della sua. A volte,  quando camminava  senza pensarci, sembrava procedere di forzapropria.
Manonostante i buoni servigi e la piena realizzazione di tutto ciò che il
dottor Knight gli aveva promesso, Conrad non era riuscitoad accettare la
gamba. La riga sottile della sutura che circondava lacoscia proprio sopra il
ginocchio  era  una frontiera che  separava le  due parti  più  nettamente di
qualunque barriera fisica. Come aveva anticipato il dottorMatthews, la sua
presenza sembrava  impoverirlo,  sottraendo qualcosa  al  suo senso  di
identità, anziché  aggiungerla.  Questa sensazione  si  era rafforzata  di
settimana  in  settimana, man  mano  che  la  gamba riacquistava  forza.  La
notte  giacevano insieme  come  compagni silenziosi  in  un matrimonio
difficile.
Nel primo mese seguito alla guarigione Conrad avevaaccettato  di
aiutare il dottor Knight e la direzione dell'ospedale nellaseconda fase della
loro campagna per persuadere gli anziani ad accettare itrapianti anziché
gettar via le loro vite, ma dopo la morte del dottorMatthews decise di
ritirarsi dal programma. A differenza del dottor Knight,aveva capito che
non esistevano mezzi di persuasione efficaci e che solo chiera già sul letto
di morte, come il dottor Matthews, era disposto adiscutere la questione.
Glialtri si limitavano a sorridere e a salutare con la mano dai loro giardini
silenziosi.
Per giunta, Conrad sapeva che le sue crescenti perplessitàsulla nuova gamba non avrebbero tardato a divenire  palesi ai loro occhiesperti.  La pelle sopra lo stinco erasfigurata da una vasta cicatrice, e i motivi erano evidenti.  Si  era procurato  quella  ferita usando  la  falciatrice dello  zio  e aveva  lasciato che  suppurasse,  come se  quell'atto  di automutilazione potesse simboleggiare  l'amputazione della sua gamba. Ma il nuovo arto sembrava quasi prosperare per effetto di quell'infortunio.
Cento metri più in là c'era l'incrocio con la strada cheportava alla
spiaggia,e la sabbia sottile si sollevava sopra l'asfalto, spinta dalla brezza. A mezzo chilometro di distanza una fila di veicoli si avvicinava a gran velocità,e i guidatori delle auto tentavano in tutti i modi di sorpassare due grossi camion. In lontananza, verso l'estuario, ungrido si levò dal mare. Benché fossestanco, Conrad si trovò a correre. Una convergenza di eventi familiarilo stava guidando di nuovo verso il luogo dell'incidente.
Quando arrivò all'angolo il primo dei camion si stavaavvicinando, e il
guidatore fece lampeggiare i fari mentre Conrad esitavasul marciapiede, ansioso di spostarsi sull'isola spartitraffico con il suopilone ridipinto di
fresco.
Al di sopra del fragore vide i gabbiani che si alzavano in volo sopra la spiaggia e sentì le loro strida quando si disposero in formazione, come una bianca  spada. E  quando la  spada si  lanciò  in picchiata  sulla  spiaggia, i vecchi con i loro uncini di metallo si spostarono dalla strada verso i loro nascondigli tra le dune.
Il camion gli passò accanto in un frastuono, e la polvere grigia sollevata dalle  correnti  ascensionali lo  colpì  in pieno  viso.  Una pesante  berlina sfrecciò via  sorpassando  il camion,  seguita  a breve  distanza  dalle altre macchine. I gabbiani cominciarono ad abbattersi sulla spiaggia, lanciando strida, e Conrad scattò in mezzo alla polvere verso il centro della strada e corse incontro alle auto che sbandavano verso di lui.