IL RICHIAMO DI CTHULHU
Di Howard P. Lovecraft
The Call of Cthulhu, The Shadow over Innsmouth © 1994
Il fantastico Economico Classico - N° 26 - 9 luglio 1994
Il richiamo di Cthulhu
(Manoscritto ritrovato fra le carte dello scomparso
Francis Wayland Thurston, di Boston)
1.
Ritengo che la cosa più misericordiosa al mondo sia l'incapacità della
mente umana a mettere in correlazione tutti i suoi contenuti. Viviamo su
una placida isola di ignoranza nel mezzo del nero mare dell'infinito, e non
era destino che navigassimo lontano. Le scienze, ciascuna tesa nella
propria direzione, ci hanno finora nuociuto ben poco; ma, un giorno, la
connessione di conoscenze disgiunte aprirà visioni talmente terrificanti
della realtà, e della nostra spaventosa posizione in essa che, o diventeremo
pazzi per la rivelazione, o fuggiremo dalla luce mortale nella pace e nella
sicurezza di un nuovo Medioevo.
I teosofi hanno intuito l'imponente grandezza del ciclo cosmico, del
quale il nostro mondo e la razza umana costituiscono solo episodi
transitori. Essi hanno alluso a strane sopravvivenze in termini che
gelerebbero il sangue se non fossero mascherati da un blando ottimismo.
Ma non è da loro che viene quell'unica visione di eoni proibiti che mi
agghiaccia il sangue quando ci penso e mi fa impazzire quando la sogno.
Quella visione, come tutte le temibili visioni della verità, è stata il risultato
di una fortuita connessione di elementi separati: nello specifico, un
vecchio articolo di giornale e gli appunti di un professore morto. Spero che
nessun altro effettuerà questa connessione; certamente, se vivrò, non
fornirò mai coscientemente un anello di una catena così spaventevole.
Ritengo che anche il professore intendesse mantenere il silenzio intorno
alla parte che conosceva, e che avrebbe distrutto i suoi appunti, se la morte
non l'avesse colto all'improvviso.
La mia conoscenza della cosa ebbe inizio nell'inverno 1926-27 con la
morte del mio prozio, George Gammell Angeli, Professore Emerito di
Lingue Semitiche alla Brown University, a Providence, Rhode Island. Il
Professor Angeli era un'autorità ampiamente riconosciuta nel campo delle
iscrizioni antiche, e veniva consultato di frequente dai direttori di musei
importanti; cosicché la sua morte, all'età di novantadue anni, è forse
ricordata da molti.
Localmente, l'interesse fu amplificato dal mistero circa le cause del suo
decesso. Il professore era morto mentre tornava dal battello proveniente da
Newport; era caduto all'improvviso, come dissero i testimoni, dopo essere
stato urtato da un negro dall'aspetto di marinaio, che era uscito da uno dei
bizzarri cortili bui che si aprivano lungo il ripido pendio, una scorciatoia
dalla banchina alla casa del defunto in William Street. I medici non furono
in grado di trovare alcun disturbo evidente, ma conclusero, dopo un
confuso dibattito, che qualche misteriosa lesione al cuore, causata dalla
veloce salita di un pendio così scosceso da parte di un uomo così anziano,
fosse responsabile della fine. All'epoca, non vidi i motivi di dissentire da
questa diagnosi, ma ultimamente sono propenso a dubitarne, e non poco.
In qualità d'erede ed esecutore del mio prozio, visto che era vedovo e
senza figli, mi spettava esaminare le sue carte con una certa accuratezza; e,
a questo scopo, trasferii tutti i suoi schedari e le sue casse nel mio
appartamento di Boston. Gran parte del materiale che riunii verrà in
seguito pubblicato dalla American Archeological Society, ma c'era una
cassa che mi lasciò estremamente perplesso, e che mi sentii molto
riluttante a mostrare ad occhi estranei. Era chiusa, e non ne trovai la chiave
finché non mi venne in mente di esaminare il portachiavi personale che il
professore portava sempre in tasca. Fu così che riuscii ad aprirla, ma,
quando l'ebbi fatto, mi parve solo di trovarmi di fronte ad un ostacolo
ancora più grande chiuso ancora più ermeticamente.
Infatti, quale poteva essere il significato dello strano bassorilievo in
argilla e degli appunti, delle divagazioni e dei ritagli senza senso che vi
trovai accanto? Forse mio zio, negli ultimi anni della sua vita, era
diventato credulone a tal punto da dar fede alle imposture più superficiali?
Decisi di trovare l'eccentrico scultore responsabile di quell'evidente
disturbo della pace mentale del vecchio.
Il bassorilievo era un rettangolo approssimativo, di circa dieci centimetri
per dodici e dello spessore di un paio; era palese mente di origine
moderna. I disegni, però, erano lontani dalla modernità, nell'atmosfera e
nelle allusioni; infatti, sebbene i ghiribizzi del cubismo e del futurismo
siano molti e bizzarri, essi spesso non riproducono quella regolarità
enigmatica che si cela nella scrittura preistorica.
E scrittura di un qualche genere, senza dubbio, sembrava la maggior
parte di quei disegni; benché il mio ricordo, nonostante la grande
familiarità con le carte e le collezioni di mio zio, non riuscisse ad
identificare in alcun modo quel tipo particolare, e nemmeno ad avere
un'idea delle sue parentele più lontane.
Al di sopra di quegli evidenti geroglifici, c'era una figura che aveva un
chiaro intento pittorico, sebbene l'esecuzione impressionistica impedisse di
farsi un'idea molto nitida della sua natura. Sembrava trattarsi di una sorta
di mostro, o di simbolo che rappresentava un mostro, con una forma che
solo una fantasia malata avrebbe potuto concepire.
Se affermo che la mia immaginazione, alquanto stravagante, produsse le
visioni simultanee di un polipo, di un drago e di una caricatura umana, non
sarò infedele allo spirito della cosa. Una testa polposa, tentacolare,
sormontava un corpo grottesco e squamoso, munito di ali rudimentali; ma
era il profilo generale del tutto che lo rendeva sconvolgente e spaventoso
in massimo grado. Alle spalle della figura si intuiva vagamente uno sfondo
architettonico di dimensioni ciclopiche.
Gli scritti che accompagnavano quella stranezza, a parte un mucchio di
ritagli di giornale, erano vergati nella grafia più recente del Professor
Angeli, e non avevano alcuna pretesa di stile letterario. Quello che
sembrava il documento principale era intitolato Il Culto di Cthulhu, in
caratteri impressi con cura per evitare la lettura erronea di una parola così
inaudita.
Questo manoscritto era diviso in due sezioni, la prima delle quali era
intitolata: «1925 - Sogno e Opera Onirica di H.A. Wilcox, residente al
numero 7 di Thomas Street, Providence, Rhode Island», e la seconda:
«Resoconto dell'Ispettore John R. Legrasse, residente al numero 121 di
Bienville Street, New Orleans, Lousiana, alla riunione dell'American
Archeological Society del 1908 - Note al Medesimo, e resoconto del Prof.
Webb».
Le altre carte manoscritte consistevano tutte in brevi appunti: alcuni
erano i resoconti degli strani sogni di varie persone, altri erano citazioni da
libri e riviste teosofiche (degno di nota Atlantis and the Lost Lemuria di
W. Scott-Elliot), e il resto erano commenti a brani tratti da fonti
mitologiche e antropologiche, quali il Ramo d'oro di Frazer e La
Stregoneria in Europa occidentale della Murray. I ritagli invece si
riferivano in gran parte a bizzarre malattie mentali e ad esplosioni di follia
o pazzia collettiva nella primavera del 1925.
La prima metà del manoscritto principale raccontava una storia
particolarissima. A quanto sembrava, il primo marzo del 1925, un giovane
magro, scuro, di aspetto nervoso ed eccitato, si era presentato al Professor
Angeli con quel singolare bassorilievo in argilla, che allora era
estremamente umido e fresco. Il biglietto da visita portava il nome di
Henry Wilcox, e mio zio riconobbe nel ragazzo il figlio minore di
un'eccellente famiglia a lui nota.
Il giovane, negli ultimi tempi, aveva cominciato a studiare scultura alla
Rhode Island School of Design e viveva da solo nel Fleur-de-Lys Building,
nei pressi di quell'Istituto. Wilcox era un giovane precoce, di genio
riconosciuto ma di grande eccentricità e, fin dall'infanzia, aveva attirato
l'attenzione grazie agli strani racconti ed ai sogni insoliti che aveva
l'abitudine di raccontare.
Si definiva «un ipersensitivo psichico», ma la gente seria dell'antica città
mercantile lo liquidava chiamandolo semplicemente «bizzarro». Dal
momento che non si mescolava mai troppo ai propri simili, era a poco a
poco scomparso dalla società, ed era ormai noto solo ad un gruppetto di
esteti di altre città. Perfino il Providence Art Club, ansioso di preservare il
proprio conservatorismo, lo aveva trovato irrecuperabile.
Durante la visita, diceva il manoscritto del professore, lo scultore aveva
chiesto improvvisamente l'aiuto delle conoscenze archeologiche del suo
ospite per identificare i geroglifici che erano sul bassorilievo. Parlava in
una maniera ampollosa, sognante, che faceva pensare ad una posa, e gli
alienava le simpatie; e mio zio mostrò una certa durezza nel rispondere,
visto che l'evidente freschezza del bassorilievo poteva implicare l'affinità
con qualsiasi cosa, tranne che con l'archeologia.
La replica del giovane Wilcox, che impressionò mio zio a tal punto da
fargliela ricordare e riportare testualmente, aveva l'impronta fantasiosa e
poetica che doveva caratterizzare tutta la sua conversazione, e che, in
seguito, ho trovato estremamente tipica in lui.
Ritengo che la cosa più misericordiosa al mondo sia l'incapacità della
mente umana a mettere in correlazione tutti i suoi contenuti. Viviamo su
una placida isola di ignoranza nel mezzo del nero mare dell'infinito, e non
era destino che navigassimo lontano. Le scienze, ciascuna tesa nella
propria direzione, ci hanno finora nuociuto ben poco; ma, un giorno, la
connessione di conoscenze disgiunte aprirà visioni talmente terrificanti
della realtà, e della nostra spaventosa posizione in essa che, o diventeremo
pazzi per la rivelazione, o fuggiremo dalla luce mortale nella pace e nella
sicurezza di un nuovo Medioevo.
I teosofi hanno intuito l'imponente grandezza del ciclo cosmico, del
quale il nostro mondo e la razza umana costituiscono solo episodi
transitori. Essi hanno alluso a strane sopravvivenze in termini che
gelerebbero il sangue se non fossero mascherati da un blando ottimismo.
Ma non è da loro che viene quell'unica visione di eoni proibiti che mi
agghiaccia il sangue quando ci penso e mi fa impazzire quando la sogno.
Quella visione, come tutte le temibili visioni della verità, è stata il risultato
di una fortuita connessione di elementi separati: nello specifico, un
vecchio articolo di giornale e gli appunti di un professore morto. Spero che
nessun altro effettuerà questa connessione; certamente, se vivrò, non
fornirò mai coscientemente un anello di una catena così spaventevole.
Ritengo che anche il professore intendesse mantenere il silenzio intorno
alla parte che conosceva, e che avrebbe distrutto i suoi appunti, se la morte
non l'avesse colto all'improvviso.
La mia conoscenza della cosa ebbe inizio nell'inverno 1926-27 con la
morte del mio prozio, George Gammell Angeli, Professore Emerito di
Lingue Semitiche alla Brown University, a Providence, Rhode Island. Il
Professor Angeli era un'autorità ampiamente riconosciuta nel campo delle
iscrizioni antiche, e veniva consultato di frequente dai direttori di musei
importanti; cosicché la sua morte, all'età di novantadue anni, è forse
ricordata da molti.
Localmente, l'interesse fu amplificato dal mistero circa le cause del suo
decesso. Il professore era morto mentre tornava dal battello proveniente da
Newport; era caduto all'improvviso, come dissero i testimoni, dopo essere
stato urtato da un negro dall'aspetto di marinaio, che era uscito da uno dei
bizzarri cortili bui che si aprivano lungo il ripido pendio, una scorciatoia
dalla banchina alla casa del defunto in William Street. I medici non furono
in grado di trovare alcun disturbo evidente, ma conclusero, dopo un
confuso dibattito, che qualche misteriosa lesione al cuore, causata dalla
veloce salita di un pendio così scosceso da parte di un uomo così anziano,
fosse responsabile della fine. All'epoca, non vidi i motivi di dissentire da
questa diagnosi, ma ultimamente sono propenso a dubitarne, e non poco.
In qualità d'erede ed esecutore del mio prozio, visto che era vedovo e
senza figli, mi spettava esaminare le sue carte con una certa accuratezza; e,
a questo scopo, trasferii tutti i suoi schedari e le sue casse nel mio
appartamento di Boston. Gran parte del materiale che riunii verrà in
seguito pubblicato dalla American Archeological Society, ma c'era una
cassa che mi lasciò estremamente perplesso, e che mi sentii molto
riluttante a mostrare ad occhi estranei. Era chiusa, e non ne trovai la chiave
finché non mi venne in mente di esaminare il portachiavi personale che il
professore portava sempre in tasca. Fu così che riuscii ad aprirla, ma,
quando l'ebbi fatto, mi parve solo di trovarmi di fronte ad un ostacolo
ancora più grande chiuso ancora più ermeticamente.
Infatti, quale poteva essere il significato dello strano bassorilievo in
argilla e degli appunti, delle divagazioni e dei ritagli senza senso che vi
trovai accanto? Forse mio zio, negli ultimi anni della sua vita, era
diventato credulone a tal punto da dar fede alle imposture più superficiali?
Decisi di trovare l'eccentrico scultore responsabile di quell'evidente
disturbo della pace mentale del vecchio.
Il bassorilievo era un rettangolo approssimativo, di circa dieci centimetri
per dodici e dello spessore di un paio; era palese mente di origine
moderna. I disegni, però, erano lontani dalla modernità, nell'atmosfera e
nelle allusioni; infatti, sebbene i ghiribizzi del cubismo e del futurismo
siano molti e bizzarri, essi spesso non riproducono quella regolarità
enigmatica che si cela nella scrittura preistorica.
E scrittura di un qualche genere, senza dubbio, sembrava la maggior
parte di quei disegni; benché il mio ricordo, nonostante la grande
familiarità con le carte e le collezioni di mio zio, non riuscisse ad
identificare in alcun modo quel tipo particolare, e nemmeno ad avere
un'idea delle sue parentele più lontane.
Al di sopra di quegli evidenti geroglifici, c'era una figura che aveva un
chiaro intento pittorico, sebbene l'esecuzione impressionistica impedisse di
farsi un'idea molto nitida della sua natura. Sembrava trattarsi di una sorta
di mostro, o di simbolo che rappresentava un mostro, con una forma che
solo una fantasia malata avrebbe potuto concepire.
Se affermo che la mia immaginazione, alquanto stravagante, produsse le
visioni simultanee di un polipo, di un drago e di una caricatura umana, non
sarò infedele allo spirito della cosa. Una testa polposa, tentacolare,
sormontava un corpo grottesco e squamoso, munito di ali rudimentali; ma
era il profilo generale del tutto che lo rendeva sconvolgente e spaventoso
in massimo grado. Alle spalle della figura si intuiva vagamente uno sfondo
architettonico di dimensioni ciclopiche.
Gli scritti che accompagnavano quella stranezza, a parte un mucchio di
ritagli di giornale, erano vergati nella grafia più recente del Professor
Angeli, e non avevano alcuna pretesa di stile letterario. Quello che
sembrava il documento principale era intitolato Il Culto di Cthulhu, in
caratteri impressi con cura per evitare la lettura erronea di una parola così
inaudita.
Questo manoscritto era diviso in due sezioni, la prima delle quali era
intitolata: «1925 - Sogno e Opera Onirica di H.A. Wilcox, residente al
numero 7 di Thomas Street, Providence, Rhode Island», e la seconda:
«Resoconto dell'Ispettore John R. Legrasse, residente al numero 121 di
Bienville Street, New Orleans, Lousiana, alla riunione dell'American
Archeological Society del 1908 - Note al Medesimo, e resoconto del Prof.
Webb».
Le altre carte manoscritte consistevano tutte in brevi appunti: alcuni
erano i resoconti degli strani sogni di varie persone, altri erano citazioni da
libri e riviste teosofiche (degno di nota Atlantis and the Lost Lemuria di
W. Scott-Elliot), e il resto erano commenti a brani tratti da fonti
mitologiche e antropologiche, quali il Ramo d'oro di Frazer e La
Stregoneria in Europa occidentale della Murray. I ritagli invece si
riferivano in gran parte a bizzarre malattie mentali e ad esplosioni di follia
o pazzia collettiva nella primavera del 1925.
La prima metà del manoscritto principale raccontava una storia
particolarissima. A quanto sembrava, il primo marzo del 1925, un giovane
magro, scuro, di aspetto nervoso ed eccitato, si era presentato al Professor
Angeli con quel singolare bassorilievo in argilla, che allora era
estremamente umido e fresco. Il biglietto da visita portava il nome di
Henry Wilcox, e mio zio riconobbe nel ragazzo il figlio minore di
un'eccellente famiglia a lui nota.
Il giovane, negli ultimi tempi, aveva cominciato a studiare scultura alla
Rhode Island School of Design e viveva da solo nel Fleur-de-Lys Building,
nei pressi di quell'Istituto. Wilcox era un giovane precoce, di genio
riconosciuto ma di grande eccentricità e, fin dall'infanzia, aveva attirato
l'attenzione grazie agli strani racconti ed ai sogni insoliti che aveva
l'abitudine di raccontare.
Si definiva «un ipersensitivo psichico», ma la gente seria dell'antica città
mercantile lo liquidava chiamandolo semplicemente «bizzarro». Dal
momento che non si mescolava mai troppo ai propri simili, era a poco a
poco scomparso dalla società, ed era ormai noto solo ad un gruppetto di
esteti di altre città. Perfino il Providence Art Club, ansioso di preservare il
proprio conservatorismo, lo aveva trovato irrecuperabile.
Durante la visita, diceva il manoscritto del professore, lo scultore aveva
chiesto improvvisamente l'aiuto delle conoscenze archeologiche del suo
ospite per identificare i geroglifici che erano sul bassorilievo. Parlava in
una maniera ampollosa, sognante, che faceva pensare ad una posa, e gli
alienava le simpatie; e mio zio mostrò una certa durezza nel rispondere,
visto che l'evidente freschezza del bassorilievo poteva implicare l'affinità
con qualsiasi cosa, tranne che con l'archeologia.
La replica del giovane Wilcox, che impressionò mio zio a tal punto da
fargliela ricordare e riportare testualmente, aveva l'impronta fantasiosa e
poetica che doveva caratterizzare tutta la sua conversazione, e che, in
seguito, ho trovato estremamente tipica in lui.