Mia mamma diceva, quando il chiasso vociante era al massimo in casa: "ma basta insoma" in dialetto mantovano.
mercoledì 17 gennaio 2018
IL MISTERO DELLE CAMELIE
di Truman Capote
Avevo otto anni la prima volta che vidi Miss Belle Rankin. Era un giorno caldissimo di agosto. Il sole declinava nel cielo listato di scarlatto, e il calore si alzava secco e vibrante dalla terra.
Seduto sui gradini della veranda davanti a casa, guardavo una negra che si stava avvicinando e mi chiedevo come facesse a portare sulla testa un fagotto così enorme di biancheria da lavare. Lei si fermò, e per tutta risposta al mio saluto scoppiò in una risata: il riso cupo e strascicato dei negri. Fu allora che Miss Belle venne avanti a passo lento dalla parte opposta della strada. La lavandaia la vide e, come se si fosse improvvisamente spaventata, si interruppe a metà di una frase e in fretta ripartì per la sua destinazione. Guardai a lungo e con grande attenzione quella sconosciuta di passaggio capace di provocare un comportamento così strano. Era piccola e tutta vestita di nero, coperta e striata di polvere: sembrava incredibilmente vecchia e rugosa. Ciocche di radi capelli grigi le attraversavano la fronte, zuppe di sudore. Camminava a testa bassa guardando il marciapiede non lastricato, quasi come se stesse cercando qualcosa che aveva perduto. La seguiva un vecchio cane nero e rossiccio, procedendo senza meta sulle tracce della sua padrona.
In seguito la vidi molte volte, ma quella prima visione, molto simile a un sogno, rimarrà per sempre la più nitida: Miss Belle che camminava silenziosamente per la strada, alzando con i piedi nuvolette di polvere rossa prima di sparire tra le ombre del crepuscolo.
Alcuni anni dopo, nel drugstore d’angolo del signor Joab, stavo bevendo avidamente uno dei suoi speciali frappè. Ero seduto a un’estremità del banco, e all’altro capo c’erano due dei bulli più noti della città e uno sconosciuto. Lo sconosciuto aveva un’aria assai più rispettabile della gente che di solito bazzicava il locale di Joab. Ma era quello che stava dicendo con una voce bassa e rauca che attirò la mia attenzione.
«Ragazzi, conoscete qualcuno da queste parti che abbia qualche bella pianta di camelie da vendere? Ne sto cercando qualcuna per una donna della costa orientale che sta costruendosi una casa a Natchez». I due ragazzi si scambiarono un’occhiata, e poi uno di essi, che era grasso con gli occhi enormi e si divertiva un mondo a stuzzicarmi, disse: «Be’, Mister, sa cosa le dico? L’unica persona che conosco da queste parti che ne ha di favolose è una vecchia tipa molto strana, Miss Belle Rankin: abita mezzo miglio fuori città, in una casa bella stravagante. È una casa vecchia e in rovina, costruita un po’ prima della guerra civile. Stravagante è dire poco; comunque, se quello che sta cercando sono le camelie, lei ha le più belle che io abbia mai visto». «Sì», disse con voce acuta l’altro, che era biondo e foruncoloso e sosteneva il ruo-
lo di spalla del ciccione. «Gliele dovrebbe vendere. Da quello che sento, sta moren- do di fame laggiù: ha solo un vecchio negro che vive con lei e zappa tra le erbacce del pezzo di terra che chiamano giardino. Accidenti, ho sentito che l’altro giorno è entrata al Jitney Jungle market e girava tra i banchi raccogliendo verdura andata a male che si è fatta regalare da Olie Peterson. La strega più strana che abbia mai visto: all’ombra le daresti anche cent’anni. I negri ne hanno una paura folle...».
Ma lo sconosciuto interruppe il torrente di informazioni del ragazzo e chiese: «Bene, allora, credete che possa vendere?».
«Certo», disse il ciccione, col sorrisetto di chi la sa lunga.
L’uomo li ringraziò e si avviò all’uscita, poi si voltò di colpo e disse: «Ragazzi, vi andrebbe di accompagnarmi e farmi vedere dov’è? Poi vi riporto io in città».
I due fannulloni acconsentirono. Erano tipetti sempre ansiosi di farsi vedere a bordo di un’auto, specie con estranei, perché così davano l’impressione di avere delle conoscenze; e, comunque, c’era sempre il premio delle inevitabili sigarette.
Fu circa una settimana dopo, quando tornai da Joab, che venni a sapere com’era andata a finire. Il ciccione lo stava raccontando con grande fervore a un uditorio formato da Joab e da me. Più forte parlava e più drammatico diventava.
«Io dico che quella vecchia strega dovrebbe essere cacciata dalla città. È matta da legare. Prima di tutto, quando scendiamo dalla macchina cerca di mandarci via. Poi ci sguinzaglia alle calcagna quello strano cane che ha. Scommetto che la bestia è più vecchia di lei. Be’, comunque, quel bastardo ha cercato di strapparmi con i denti un pezzo di polpaccio, così ho dovuto mollargli un calcio in bocca... e lei comincia a urlare come una sirena. Finalmente il vecchio negro riesce a calmarla quanto basta perché si possa rivolgerle la parola. Il signor Ferguson, questo è il no- me del forestiero, le ha spiegato che voleva comprare i suoi fiori, sapete, quelle vecchie piante di camelie. Lei risponde che non ne vuol sapere; per di più, non ven- derebbe una sola delle sue piante perché di tutte le cose che ha sono quelle che le piacciono di più. Ora, aspettate che vi dica il resto: il signor Ferguson le ha offerto duecento dollari per una sola di quelle piante. Avete capito bene: duecento dollari! La vecchia capra gli ha detto di levarsi dai piedi: così, quando abbiamo visto che non c’era niente da fare, siamo andati via. Anche il signor Ferguson era molto deluso; contava di tornare con le piante. Ha detto che siamo stati le persone più gentili che abbia mai incontrato». Si piegò all’indietro e tirò un profondo respiro, sfinito dal resoconto. «Maledizione», disse, «che se ne fa di quelle vecchie piante, quando potrebbe venderle a duecento svanziche l’una? Non sono mica bruscolini».
Quando uscii dal locale di Joab, pensai a Miss Belle. Mi ero fatto spesso delle domande su di lei. Sembrava troppo vecchia per essere ancora al mondo: essere così vecchi doveva essere terribile. Non riuscivo a capire perché tenesse tanto alle ca- melie. Erano bellissime, ma se era così povera... Be’, io ero giovane, lei era molto vecchia e le restava poco da vivere. Ero così giovane che non pensavo mai che sa- rei diventato vecchio anch’io, che anch’io avrei potuto morire.
Era il primo febbraio. Il giorno era spuntato plumbeo e coperto, con bianche striature perlacee nel cielo. Fuori faceva freddo e l’aria ferma era attraversata da raffiche intermittenti di un vento famelico che mordeva i rami grigi e spogli dei grandi alberi intorno alle rovine di quello che un tempo era stata la maestosa “Rose Lawn”, dove viveva Miss Rankin. La camera era fredda quando si svegliò, e lun- ghe lacrime di ghiaccio pendevano dalle grondaie del tetto. Mentre si guardava intorno in quel grigiore fu scossa da qualche brivido. Con uno sforzo scivolò da sotto l’allegro mosaico colorato della trapunta. Inginocchiandosi davanti al caminetto, accese i rami secchi raccolti da Len il giorno prima. La sua manina, rattrappita e gialla, lottò con il fiammifero e la ruvida superficie del blocco di calcare. Dopo un po’ i rami presero fuoco; si sentì lo scoppiettìo del legno e il fruscìo delle fiamme saltellanti, simile a un tintinnìo di ossa. Lei restò un momento davanti alla vampa per scaldarsi, poi si spostò con passo incerto verso la catinella gelata. Quando eb- be finito di vestirsi, andò alla finestra. Cominciava a nevicare, la neve rada e acquosa che cade negli inverni del sud. Si scioglieva appena toccava terra, ma Miss Belle, pensando alla lunga camminata che avrebbe dovuto fare quel giorno per an- dare in città a procurarsi qualcosa da mangiare, si sentì girare un po’ la testa. Poi rimase a bocca aperta perché vide, sotto di lei, che le camelie stavano sbocciando; erano più belle di come le avesse mai viste. I vividi petali rossi erano gelati e immobili.
Una volta, a quanto poteva ricordare, negli anni in cui Lillie era una bambina, ne aveva raccolti cesti interi, riempiendo della loro sottile fragranza le grandi stanze vuote di Rose Lawn; e Lillie le rubava e le regalava ai piccoli negri. Come si era arrabbiata! Ma ora il ricordo le strappò un sorriso. Erano passati almeno dodici anni dall’ultima volta che aveva visto Lillie. Povera Lillie, ormai è una vecchia anche lei. Avevo appena diciannove anni quando è nata, ed ero giovane e carina. Jed diceva che ero la più bella ragazza che avesse conosciuto... ma è successo tanto tempo fa. Non ricordo esattamente quando ho cominciato a essere così. Non ricordo quando sono diventata povera, quando ho cominciato a invecchiare. Immagino che sia successo dopo la partenza di Jed... chissà che fine ha fatto. Mi disse che ero brutta, che ero uno straccio, e prese e se ne andò, lasciandomi sola con Lillie... E Lillie era una poco di buono, una poco di buono... Si portò le mani al viso. Le faceva ancora male ricordare, eppure quasi ogni giorno tornava con la mente a queste stesse cose, che certe volte la facevano infuriare; e allora urlava come una matta, come quando era arrivato quell’uomo con i due balordi che sghignazzavano, l’uomo che voleva comprare le camelie; non le avrebbe mai vendute, mai. Ma quell’uomo le faceva paura; aveva paura che gliele rubasse; e lei cosa poteva fare? La gente le avrebbe riso dietro. Ed era per questo che aveva inveito contro di loro; per questo li odiava, tutti quanti.
Len entrò nella stanza. Era un negro piccolo, vecchio e curvo, con una cicatrice sulla fronte. «Miss Belle?» chiese con una voce asmatica. «Voleva andare in città? Io non lo farei se fossi in lei, Miss Belle. C’è un bruttissimo tempo oggi, là fuori». Quando parlava, gli usciva dalla bocca una nuvoletta di vapore che sembrava fumo, disperdendosi nell’aria fredda.
«Sì, Len, oggi devo andare in città. Uscirò tra poco; voglio essere di ritorno prima che faccia buio». Fuori, il fumo del vecchio camino si alzava in lente volute e ri- maneva sospeso sopra la casa come una nebbia azzurrina, come se fosse gelato:prima che arrivasse una pungente folata di vento a portarlo via. Era buio pesto quando Miss Belle affrontò la salita che portava
verso casa. La notte calava molto in fretta durante l’inverno. Quel giorno arrivò così bruscamente che dapprincipio le fece paura. Non ci fu il rosso del tramonto, ma solo il grigio perla del cielo che a poco a poco diventava nerissimo. Nevicava ancora, e la strada era gelida e fangosa. Il vento era più forte e si udivano gli schiocchi dei rami secchi. Lei avanzava curva sotto il peso di un grosso paniere. Era stata una giornata buona. Il signor Johnson le aveva regalato quasi un terzo di un prosciutto e il piccolo Olie Peterson un mucchio di verdura ormai invendibile. Non avrebbe dovuto tornare in città per almeno due settimane.
Quando fu davanti alla casa si fermò un momento per riprender fiato, lasciando che il paniere scivolasse a terra. Poi, raggiunto il confine del terreno, cominciò a cogliere alcune camelie che erano grandi come rose; se ne premette una sul viso, ma non ne sentì il tocco. Ne raccolse una bracciata e tornò indietro fino al paniere, quando a un tratto le sembrò di aver udito una voce. Si fermò per ascoltare, ma a risponderle c’era solo il vento.
Si accorse che stava scivolando, ma non poté impedirlo; tese le braccia nel buio per sorreggersi, ma intorno a lei c’era soltanto il vuoto. Provò a chiedere aiuto, ma dalla gola non le uscì alcun suono. Si sentiva sommergere da grandi onde di vuoto; scene fuggevoli le passavano davanti agli occhi. La sua vita, del tutto inutile, una rapida apparizione di Lillie, di Jed, e una nitida immagine di sua madre con un bastone lungo e sottile. Ricordo che era un freddo giorno d’inverno quando zia Jenny mi portò alla vecchia casa in rovina dove abitava Miss Belle. Miss Belle era morta durante la notte: l’aveva trovata un vecchio di colore che viveva là con lei. Quasi tutti, dalla città, stavano andando a dare un’occhiata. Non l’avevano ancora mossa perché il coroner non aveva dato il permesso. Così la vedemmo appena morta. Era la prima volta che vedevo un morto e non la dimenticherò mai.
Giaceva nel cortile accanto alle sue piante di camelie. Le si erano spianate tutte le rughe sul viso, e i fiori vivaci erano sparpagliati tutt’intorno.
Sembrava piccolissima e veramente giovane. Aveva qualche fiocco di neve sui capelli e uno di quei fiori era schiacciato contro la sua guancia. Era, pensai, una delle cose più belle che avessi mai visto.
Tutti dicevano che era molto triste eccetera, e io lo trovai piuttosto strano, perché erano gli stessi che ridevano e si burlavano di lei.
Be’, Miss Belle Rankin era di sicuro un tipo strano, e probabilmente anche un po’ tocca, ma aveva davvero un aspetto adorabile in quella fredda mattina di febbraio, con quel fiore premuto sulla guancia e là distesa, così immobile e silenziosa.
Truman Capote
(Da Dove comincia il mondo. Titolo originale: The Early Stories of Truman Capote © 2015 by The Truman Capote Literary Trust. Published by arrangement with Penguin Random House LLC and Roberto Santachiara Literary Agency (Traduzione di Vincenzo Mantovani) © 2016, Garzanti S.r.l., Milano)