lunedì 15 gennaio 2018



IL PAPPAGALLO DI FLAUBERT
di Julian Barnes
Flaubert, mon amour.  Barnes in modo stravagante s’inventa un nesso stretto tra la vita di Flaubert e le vicende del protagonista, Geoffrey Braithwaite, impegnato a ricostruire la vera identità del pappagallo impagliato che Flaubert tenne posato sulla sua scrivania come soggetto ispiratore della sua opera. Il racconto si sviluppa come una indagine "poliziesca" , su Flaubert e i suoi personaggi (Charles ed Emma di Madame Bovary), dove l’io narrante Geoffrey Braithwaite entra ed esce dalla vita di Flaubert, intrecciandola con la propria, in una sorta di doppia spirale. La bellezza del libro sta proprio nel tenerci avvinghiati in questo moto ondulatorio con cui Barnes ci accompagna dall'inizio alla fine. 
«"Il pappagallo di Flaubert" si può leggere come un "romanzo in incognito" ed è in questa veste il più insolito esempio che mi sia capitato da Fuoco pallido di Nabokov, oppure come la biografia critica di un autore del passato, e rivaleggia allora con la fantasiosa stravaganza che il genio russo impiegò nel suo Nikolai Gogol». John Updike

Estratto da "Il pappagallo di Flaubert.” Rizzoli. 
"[...] Inizio dalla statua perché è stata il punto d'avvio di tutto il mio progetto. Perché i libri ci inducono a dar la caccia allo scrittore?NNon potremmo starcene da soli in santa pace? Perché i libri non bastano? Flaubert teneva solamente ai libri. Pochi uomini di lettere hanno creduto più di lui nell'obiettività della pagina scritta, pochi meno di lui nella personalità del letterato. E tuttavia, noi disubbidienti lo inseguiamo. Il volto, l'immagine, la firma. La statua di rame al 93 per cento e il ritratto fotografico eseguito da Nadar. Il frammento dell'abito e la ciocca di capelli. Come si spiega
questa nostra smania di reliquie? La forza delle parole non ci appaga?. Crediamo forse che le residue vestigia di una vita contengano una sorta di sussidiaria verità? Quando Robert Louis Stevenson morì, la sua ex bambinaia, una scozzese dotata di acuto senso degli affari, cominciò a vendere con la massima disinvoltura delle ciocche di capelli che, a sentir lei, aveva reciso quarant'anni prima dalla testa ricciuta del romanziere. I creduloni e i collezionisti di curiosità ne comprarono tante, da poterne imbottire un divano. Decisi di lasciare da ultima Croisset. Avevo cinque giorni da
trascorrere a Rouen, e un residuo istinto infantile mi sprona a tenere il meglio in serbo. Chissà se a volte, anche negli scrittori, opera lo stesso impulso? Rinviamo, rinviamo, il meglio verrà poi... Se le cose stanno così, i libri incompiuti sono quanto mai
allettanti. Due affiorano subito alla mente: Bouvard et Pécuchet, nel quale Flaubert aspirava a racchiudere e a dominare il mondo intero, la lotta e il fallimento dell'uomo nella loro globalità; e L'Idiot de la famille, ove Sartre ha cercato di cogliere Flaubert in tutta la sua compiutezza, di racchiudere e dominare il grande scrittore, il grande borghese, il nemico, il savio. Un colpo apoplettico ha posto fine al primo dei due progetti; la cecità ha abbreviato il secondo. Un tempo anch'io sono stato tentato di scrivere dei libri. Le idee non mi mancavano, avevo preso perfino degli appunti. Ma ero un medico, sposato con prole. Ci è consentito di far bene solamente una cosa, e questo Flaubert lo sapeva. Per parte mia, ciò che sapevo far bene era fare il medico. Mia moglie... be', mia moglie è morta. Quanto ai miei figli, vivono lontani, adesso. Scrivono soltanto quando il senso di colpa lo impone. Hanno le loro vite, è naturale. "La vita! La vita! Essere in erezione!" Leggevo, l'altro giorno, questa esclamazione di Flaubert, e mi sono sentito come una statua di pietra con l'inguine mutilato.”