venerdì 19 gennaio 2018



IL RICHIAMO DI CTHULHU (Estratto)
H.P. Lovecraft,

"Ritengo che la cosa più misericordiosa al mondo sia l'incapacità della mente umana a mettere in correlazione tutti i suoi contenuti. Viviamo su una placida isola di ignoranza nel mezzo del nero mare dell'infinito, e non era destino che navigassimo lontano."(H.P. Lovecraft,Il richiamo di Cthulhu)

Riproduco l'incipit del libro che più di tutti quelli scritti da Howard Phillips Lovecraft rappresenta nel suo insieme il  grandioso affresco del suo "universo delle tenebre" dove dominano:la conoscenza proibita, l’allarme dai sogni, l’attacco della mostruosità, il fardello della colpa, il Fato inesorabile, l’impossibilità della salvezza.

IL RICHIAMO DI CTHULHU (Estratto)
H.P. Lovecraft,
Ritengo che la cosa più misericordiosa al mondo sia l'incapacità della mente umana a mettere in correlazione tutti i suoi contenuti. Viviamo su una placida isola di ignoranza nel mezzo del nero mare dell'infinito, e non era destino che navigassimo lontano. Le scienze, ciascuna tesa nella propria direzione, ci hanno finora nuociuto ben poco; ma, un giorno, la connessione di conoscenze disgiunte aprirà visioni talmente terrificanti della realtà, e della nostra spaventosa posizione in essa che, o diventeremo pazzi per la rivelazione, o fuggiremo dalla luce mortale nella pace e nella sicurezza di un nuovo Medioevo. I teosofi hanno intuito l'imponente grandezza del ciclo cosmico, del
quale il nostro mondo e la razza umana costituiscono solo episodi transitori. Essi hanno alluso a strane sopravvivenze in termini che gelerebbero il sangue se non fossero mascherati da un blando ottimismo. Ma non è da loro che viene quell'unica visione di eoni proibiti che mi agghiaccia il sangue quando ci penso e mi fa impazzire quando la sogno.
Quella visione, come tutte le temibili visioni della verità, è stata il risultato di una fortuita connessione di elementi separati: nello specifico, un vecchio articolo di giornale e gli appunti di un professore morto. Spero che nessun altro effettuerà questa connessione; certamente, se vivrò, non fornirò mai coscientemente un anello di una catena così spaventevole. Ritengo che anche il professore intendesse mantenere il silenzio intorno
alla parte che conosceva, e che avrebbe distrutto i suoi appunti, se la morte non l'avesse colto all'improvviso.
La mia conoscenza della cosa ebbe inizio nell'inverno 1926-27 con la morte del mio prozio, George Gammell Angeli, Professore Emerito di Lingue Semitiche alla Brown University, a Providence, Rhode Island. Il Professor Angeli era un'autorità ampiamente riconosciuta nel campo delle iscrizioni antiche, e veniva consultato di frequente dai direttori di musei importanti; cosicché la sua morte, all'età di novantadue anni, è forse ricordata da molti.
Localmente, l'interesse fu amplificato dal mistero circa le cause del suo decesso. Il professore era morto mentre tornava dal battello proveniente da Newport; era caduto all'improvviso, come dissero i testimoni, dopo essere stato urtato da un negro dall'aspetto di marinaio, che era uscito da uno dei bizzarri cortili bui che si aprivano lungo il ripido pendio, una scorciatoia dalla banchina alla casa del defunto in William Street. I medici non furono in grado di trovare alcun disturbo evidente, ma conclusero, dopo un confuso dibattito, che qualche misteriosa lesione al cuore, causata dalla veloce salita di un pendio così scosceso da parte di un uomo così anziano, fosse responsabile della fine. All'epoca, non vidi i motivi di dissentire da questa diagnosi, ma ultimamente sono propenso a dubitarne, e non poco.
In qualità d'erede ed esecutore del mio prozio, visto che era vedovo e senza figli, mi spettava esaminare le sue carte con una certa accuratezza; e, a questo scopo, trasferii tutti i suoi schedari e le sue casse nel mio appartamento di Boston. Gran parte del materiale che riunii verrà in seguito pubblicato dalla American Archeological Society, ma c'era una cassa che mi lasciò estremamente perplesso, e che mi sentii molto riluttante a mostrare ad occhi estranei. Era chiusa, e non ne trovai la chiave finché non mi venne in mente di esaminare il portachiavi personale che il professore portava sempre in tasca. Fu così che riuscii ad aprirla, ma, quando l'ebbi fatto, mi parve solo di trovarmi di fronte ad un ostacolo ancora più grande chiuso ancora più ermeticamente.
Infatti, quale poteva essere il significato dello strano bassorilievo in argilla e degli appunti, delle divagazioni e dei ritagli senza senso che vi trovai accanto? Forse mio zio, negli ultimi anni della sua vita, era diventato credulone a tal punto da dar fede alle imposture più superficiali? Decisi di trovare l'eccentrico scultore responsabile di quell'evidente disturbo della pace mentale del vecchio.
Il bassorilievo era un rettangolo approssimativo, di circa dieci centimetri per dodici e dello spessore di un paio; era palese mente di origine moderna. I disegni, però, erano lontani dalla modernità, nell'atmosfera e nelle allusioni; infatti, sebbene i ghiribizzi del cubismo e del futurismo siano molti e bizzarri, essi spesso non riproducono quella regolarità enigmatica che si cela nella scrittura preistorica.  E scrittura di un qualche genere, senza dubbio, sembrava la maggior parte di quei disegni; benché il mio ricordo, nonostante la grande familiarità con le carte e le collezioni di mio zio, non riuscisse ad identificare in alcun modo quel tipo particolare, e nemmeno ad avere un'idea delle sue parentele più lontane. Al di sopra di quegli evidenti geroglifici, c'era una figura che aveva un chiaro intento pittorico, sebbene l'esecuzione impressionistica impedisse di farsi un'idea molto nitida della sua natura. Sembrava trattarsi di una sorta di mostro, o di simbolo che rappresentava un mostro, con una forma che solo una fantasia malata avrebbe potuto concepire. Se affermo che la mia immaginazione, alquanto stravagante, produsse le visioni simultanee di un polipo, di un drago e di una caricatura umana, non sarò infedele allo spirito della cosa. Una testa polposa, tentacolare, sormontava un corpo grottesco e squamoso, munito di ali rudimentali; ma era il profilo generale del tutto che lo rendeva sconvolgente e spaventoso in massimo grado. Alle spalle della figura si intuiva vagamente uno sfondo
architettonico di dimensioni ciclopiche. Gli scritti che accompagnavano quella stranezza, a parte un mucchio di ritagli di giornale, erano vergati nella grafia più recente del Professor Angeli, e non avevano alcuna pretesa di stile letterario. Quello che sembrava il documento principale era intitolato Il Culto di Cthulhu, in caratteri impressi con cura per evitare la lettura erronea di una parola così inaudita. Questo manoscritto era diviso in due sezioni, la prima delle quali era intitolata: «1925 - Sogno e Opera Onirica di H.A. Wilcox, residente al numero 7 di Thomas Street, Providence, Rhode Island», e la seconda: «Resoconto dell'Ispettore John R. Legrasse, residente al numero 121 di Bienville Street, New Orleans, Lousiana, alla riunione dell'American Archeological Society del 1908 - Note al Medesimo, e resoconto del Prof. Webb». Le altre carte manoscritte consistevano tutte in brevi appunti: alcuni erano i resoconti degli strani sogni di varie persone, altri erano citazioni da libri e riviste teosofiche (degno di nota Atlantis and the Lost Lemuria di W. Scott-Elliot), e il resto erano commenti a brani tratti da fonti mitologiche e antropologiche, quali il Ramo d'oro di Frazer e La Stregoneria in Europa occidentale della Murray. I ritagli invece si riferivano in gran parte a bizzarre malattie mentali e ad esplosioni di follia o pazzia collettiva nella primavera del 1925. La prima metà del manoscritto principale raccontava una storia particolarissima. A quanto sembrava, il primo marzo del 1925, un giovane magro, scuro, di aspetto nervoso ed eccitato, si era presentato al Professor Angeli con quel singolare bassorilievo in argilla, che allora era estremamente umido e fresco. Il biglietto da visita portava il nome di
Henry Wilcox, e mio zio riconobbe nel ragazzo il figlio minore di un'eccellente famiglia a lui nota. Il giovane, negli ultimi tempi, aveva cominciato a studiare scultura alla
Rhode Island School of Design e viveva da solo nel Fleur-de-Lys Building, nei pressi di quell'Istituto. Wilcox era un giovane precoce, di genio riconosciuto ma di grande eccentricità e, fin dall'infanzia, aveva attirato l'attenzione grazie agli strani racconti ed ai sogni insoliti che aveva l'abitudine di raccontare. Si definiva «un ipersensitivo psichico», ma la gente seria dell'antica città mercantile lo liquidava chiamandolo semplicemente «bizzarro». Dal momento che non si mescolava mai troppo ai propri simili, era a poco apoco scomparso dalla società, ed era ormai noto solo ad un gruppetto di esteti di altre città. Perfino il Providence Art Club, ansioso di preservare il proprio conservatorismo, lo aveva trovato irrecuperabile. Durante la visita, diceva il manoscritto del professore, lo scultore aveva chiesto improvvisamente l'aiuto delle conoscenze archeologiche del suo ospite per identificare i geroglifici che erano sul bassorilievo. Parlava in una maniera ampollosa, sognante, che faceva pensare ad una posa, e gli alienava le simpatie; e mio zio mostrò una certa durezza nel rispondere, visto che l'evidente freschezza del bassorilievo poteva implicare l'affinità con qualsiasi cosa, tranne che con l'archeologia. La replica del giovane Wilcox, che impressionò mio zio a tal punto da fargliela ricordare e riportare testualmente, aveva l'impronta fantasiosa e poetica che doveva caratterizzare tutta la sua conversazione, e che, in seguito, ho trovato estremamente tipica in lui. Egli disse: «È nuovo, in verità, perché l'ho foggiato la notte passata nel corso di un sogno di strane città; i sogni sono più antichi della meditativa Tiro, della contemplativa Sfinge, o di Babilonia cinta di giardini». Fu allora che cominciò quel racconto incoerente che si basava sul ricordo di un sogno e che suscitò l'interesse febbrile di mio zio. La notte precedente c'era stata una lieve scossa di terremoto, la più alta avvertita negli ultimi anni nel New England, e l'immaginazione di Wilcox ne era stata acutamente colpita. Dopo essersi coricato, aveva fatto un sogno senza precedenti: aveva sognato città ciclopiche di blocchi titanici e monoliti svettanti fino al cielo, tutti stillanti melme verdi, e sinistri di un orrore nascosto. Geroglifici coprivano mura e colonne e, da un punto indefinito al di sotto, proveniva una voce che non era voce; una sensazione caotica che solo la fantasia poteva trasmutare in suono, ma che egli tentò di rendere con il guazzabuglio impronunciabile di lettere: «Cthulhu fhtagn». Questo guazzabuglio verbale fu l'elemento che ridestò il ricordo del Professor Angeli, e che lo eccitò e lo sconvolse. Egli interrogò lo scultore con minuzia scientifica, e studiò con un'intensità frenetica il bassorilievo al quale il giovane si era trovato a lavorare, gelato e vestito solo della biancheria da notte, quando il risveglio si era impossessato della sua mente, lasciandolo sconcertato. Mio zio incolpò la propria età avanzata, disse in seguito Wilcox, per la lentezza nel riconoscere sia i geroglifici che il modello pittorico. Molte delle sue domande sembrarono estremamente fuori luogo al visitatore, soprattutto quelle che miravano a collegare quest'ultimo con strani culti o società segrete; e Wilcox non riuscì a comprendere le ripetute offerte di silenzio in cambio dell'ammissione da parte sua di appartenere a qualche organizzazione religiosa, pagana o mistica. Quando il Professor Angeli si convinse che lo scultore ignoravaveramente l'esistenza di un culto o di un sistema di sapere occulto, supplicò il visitatore di riferirgli i futuri sogni che avrebbe fatto. Questa richiesta produsse frutti regolari; infatti, dopo il primo incontro, il manoscritto riporta visite quotidiane del giovane, durante le quali egli riferiva frammenti sconcertanti di fantasie notturne, il cui tema ricorrente era sempre qualche terribile visione ciclopica di pietre oscure e cariche di umidità, con una voce o intelligenza sotterranea che urlava sillabe monotone ed enigmatiche, trascrivibili solo con fonemi disarticolati. I due suoni ripetuti più frequentemente erano quelli resi dalle parole «Cthulhu» e «R'lyeh».