venerdì 21 maggio 2021

La natura dello spazio e del tempo Stephen W. Hawking Roger Penrose

 


La natura dello spazio e del tempo

Stephen W. Hawking Roger Penrose
Come elaborare un modello teorico generale in grado di descrivere l'universo in modo unitario e coerente? È questa la domanda cruciale che accompagna la ricerca scientifica ormai da un secolo, da quando nel primo Novecento la teoria della relatività generale e la meccanica quantistica rivoluzionarono il nostro modo di concepire i meccanismi della natura: entrambe assolutamente efficaci e capaci di spiegare fenomeni fisici fondamentali, le due teorie rispondono in modo diverso a questioni decisive ma ancora irrisolte, suscitando controversie anche tra i maggiori fisici al mondo. Ieri Bohr ed Einstein, oggi Hawking e Penrose, che in questo libro partono da posizioni differenti per confrontarsi sui punti fondanti della natura dell'universo: dal big bang allo spazio-tempo, fino ai buchi neri, il loro incontro è un'occasione unica per assistere al dibattito scientifico contemporaneo al suo massimo livello, osservare passo dopo passo il farsi - e disfarsi - delle teorie più visionarie, e andare al cuore delle questioni matematiche e concettuali più sfidanti per la comprensione della realtà. Un incontro straordinario tra due protagonisti assoluti della fisica mondiale, un dialogo sorprendente che illustra in modo esemplare il fascino e la meraviglia delle leggi che regolano la natura e l'universo.

Premessa

Il dibattito fra Roger Penrose e Stephen Hawking registrato in questo libro fu il punto culminante di un programma di sei mesi tenuto nel 1994 all’Isaac Newton Institute for Mathematical Sciences dell’Università di Cambridge. Esso rappresenta una seria discussione di alcune fra le idee più fondamentali sulla natura dell’universo. Non occorre dire che non siamo ancora giunti a una conclusione definitiva; persistono ancora incertezze e contrasti, e c’è molto su cui discutere.

Una sessantina di anni fa si aprì un’estesa e famosa controversia fra Niels Bohr e Albert Einstein sulle fondazioni della meccanica quantistica. Einstein si rifiutava di accettare la tesi che la meccanica quantistica fosse una teoria definitiva. Egli la trovava filosoficamente insufficiente, e combatté una dura battaglia contro l’interpretazione ortodossa della Scuola di Copenaghen, rappresentata dallo stesso Bohr.

In un certo senso il dibattito fra Penrose e Hawking è una continuazione di quella controversia, con Penrose che svolge il ruolo di Einstein e Hawking quello di Bohr. Oggi i problemi sono più complessi e più vasti ma rappresentano come in passato una combinazione di argomenti tecnici e di punti di vista filosofici.

La teoria quantistica, o la sua versione più complessa nota come teoria quantistica dei campi, è oggi altamente sviluppata e ha tecnicamente un grande successo, anche se ci sono ancora persone scettiche per motivi filosofici come Roger Penrose. Anche la relatività generale, la teoria della gravità di Einstein, ha superato la prova del tempo e può vantare un successo notevole, benché persistano gravi problemi concernenti il ruolo delle singolarità o dei buchi neri.

Il vero problema che domina la discussione fra Hawking e Penrose è la combinazione di queste due teorie di successo, come elaborare una teoria della «gravità quantistica». Sono in gioco profondi problemi concettuali e tecnici, i quali forniscono l’occasione per gli argomenti discussi in queste lezioni.

Fra gli esempi dei problemi fondamentali sollevati ci sono la «freccia del tempo», le condizioni iniziali alla nascita dell’universo e il modo in cui i buchi neri inghiottono informazione. Su questi problemi, e su molti altri, Hawking e Penrose difendono posizioni sottilmente diverse. Gli argomenti vengono presentati in modo accurato sia in termini matematici sia in termini fisici, e la forma di discussione permette uno scambio significativo di critiche.

Benché una parte della presentazione richieda una conoscenza tecnica della meccanica e della fisica, gran parte della discussione è condotta a un livello più alto (o più profondo), che interesserà a un pubblico più ampio. Il lettore riceverà almeno un’indicazione dell’ampiezza e sottigliezza delle idee in discussione e dell’enorme difficoltà di elaborare un quadro coerente dell’universo che tenga pienamente conto sia della gravitazione sia della teoria quantistica.

Michael Atiyah

1

La teoria classica

di Stephen W. Hawking

In queste lezioni Roger Penrose e io proporremo i nostri punti di vista, affini ma un po’ diversi, sulla natura dello spazio e del tempo. Ci alterneremo tenendo ciascuno tre lezioni, seguite da una discussione sui nostri diversi approcci. Dovrei subito sottolineare che saranno lezioni tecniche; daremo quindi per scontata una conoscenza di base della teoria della relatività e della teoria quantistica.

Descrivendo in un breve articolo le sue esperienze a un congresso sulla relatività generale (credo fosse il congresso di Varsavia del 1962) Richard Feynman commenta in termini molto sfavorevoli la competenza generale dei presenti e la pertinenza di ciò che facevano. Che la relatività generale abbia acquistato ben presto una reputazione molto migliore, e suscitato un maggiore interesse, lo si deve in misura considerevole al lavoro di Roger. Fino allora essa era stata formulata come un insieme disordinato di equazioni alle derivate parziali in un singolo sistema di coordinate. Gli scienziati erano così contenti di aver trovato una soluzione che non si preoccuparono del fatto che essa non aveva probabilmente alcun significato fisico. Roger introdusse però concetti moderni come spinori e metodi globali. Egli fu il primo a mostrare che si potevano scoprire proprietà generali anche senza risolvere esattamente le equazioni. Fu il suo primo teorema delle singolarità a introdurmi allo studio della struttura causale e a ispirare il mio lavoro classico sulle singolarità e sui buchi neri.

Penso che Roger e io abbiamo idee molto simili sulla parte classica. Dissentiamo però nel nostro approccio alla gravità quantistica e di fatto anche alla teoria quantistica stessa. Benché io sia considerato dai fisici delle particelle un pericoloso estremista per avere suggerito che potrebbe verificarsi una perdita della coerenza quantica, rispetto a Roger sono decisamente un conservatore. Io adotto il punto di vista positivistico che una teoria fisica sia solo un modello matematico e che non abbia senso domandarsi se essa corrisponda o no alla realtà. Tutto quello che le si può chiedere è che le predizioni siano in accordo con l’osservazione. Io penso che Roger sia fondamentalmente un platonico, ma dev’essere lui a rispondere per se stesso.

Benché qualcuno abbia suggerito che lo spazio-tempo possa avere una struttura discreta, io non vedo alcuna ragione per abbandonare le teorie del continuo che hanno avuto un così grande successo. La relatività generale è una bella teoria che concorda con tutte le osservazioni che sono state fatte finora. Essa può richiedere modificazioni alla scala di Planck, ma non penso che questo fatto inciderà su molte delle predizioni che se ne possono ricavare. Può darsi che essa sia solo un’approssimazione a bassa energia a qualche teoria più fondamentale, come la teoria delle stringhe o corde, ma io penso che la teoria delle stringhe sia stata sopravvalutata. Innanzitutto, non ci sono indicazioni che la relatività generale, se sarà combinata con vari altri campi in una teoria della supergravità, non possa dare una teoria quantistica ragionevole. Le relazioni sulla morte della supergravità sono esagerazioni. Un anno tutti erano convinti che la supergravità fosse finita, e l’anno seguente cambiava la moda e tutti dicevano che la supergravità doveva avere divergenze, anche se finora non se ne era trovata nessuna. La seconda ragione per cui ho deciso di non occuparmi della teoria delle stringhe è che essa non ha fatto alcuna predizione verificabile. Di contro, la semplice applicazione della teoria quantistica alla relatività generale, della quale ci occuperemo, ha già fatto due predizioni verificabili. Una di queste, lo sviluppo di piccole perturbazioni nel corso dell’inflazione, sembra confermata da recenti osservazioni di fluttuazioni nella radiazione di fondo a microonde. La seconda, che i buchi neri debbano presentare una radiazione termica, è teoricamente verificabile. Tutto quel che dobbiamo fare è trovare un buco nero primordiale. Purtroppo non pare che ce ne siano molti in questa regione. Se ce ne fossero stati noi sapremmo come quantizzare la gravità.

Nessuna di queste due predizioni sarà modificata neppure se la teoria delle stringhe si rivelasse la teoria ultima della natura. Essa però, almeno nel suo stato attuale di sviluppo, è del tutto incapace di fare queste predizioni tranne che appellandosi alla relatività generale come alla teoria efficace a basse energie. Io sospetto che anche in seguito potrebbe essere sempre così e che potrebbero non esserci predizioni osservabili della teoria delle stringhe che non possano essere fatte anche dalla relatività generale o dalla supergravità. Se ciò che sto dicendo è vero, si pone il problema se la teoria delle stringhe sia un’autentica teoria scientifica. La bellezza matematica e la completezza sono sufficienti in assenza di precise predizioni confermate dall’osservazione? Non che la teoria delle stringhe nella sua forma presente sia bella o completa.

Perciò in queste lezioni parlerò della relatività generale. Mi concentrerò su due aree in cui la gravità sembra condurre a risultati che sono completamente diversi rispetto a quelli forniti da altre teorie dei campi. La prima è l’idea che, in conseguenza della gravità, lo spazio-tempo dovrebbe avere un inizio e forse anche una fine. La seconda è la scoperta che pare esista un’entropia gravitazionale intrinseca che non è la conseguenza della grossolanità del nostro approccio. Alcuni hanno sostenuto che queste predizioni sono solo artefatti dell’approssimazione semiclassica. Dicono che la teoria delle stringhe, la vera teoria quantistica della gravità, cancellerà le singolarità e introdurrà correlazioni nella radiazione dei buchi neri, la quale risulterà essere approssimativamente termica solo a una considerazione grossolana. Sarebbe davvero un peccato se fosse così. La gravità sarebbe allora simile a qualsiasi altro campo. Io credo invece che essa sia decisamente diversa, in quanto plasma l’arena in cui agisce, diversamente da altri campi, che agiscono su uno sfondo spaziotemporale fisso. È questo carattere della gravità a suggerire la possibilità che il tempo abbia un inizio. Esso conduce anche alla nozione di regioni dell’universo inaccessibili all’osservazione, la quale dà origine a sua volta al concetto di entropia gravitazionale come misura di ciò che non possiamo conoscere.

In questa lezione passerò in rassegna le ricerche nella relatività generale classica che conducono a queste idee. Nella mia seconda e terza lezione (capitoli 3 e 5) mostrerò come queste mutino e si estendano quando si passa alla teoria quantistica. La mia seconda lezione sarà sui buchi neri e la terza sulla cosmologia quantistica.

La tecnica cruciale per l’investigazione delle singolarità e dei buchi neri che fu introdotta da Roger e che io contribuii a sviluppare, fu lo studio della struttura causale globale dello spazio-tempo.

Definiamo I+(p) l’insieme di tutti i punti dello spazio-tempo M che possono essere raggiunti a partire da p da curve di tipo tempo dirette verso il futuro. Si può pensare I+(p) come l’insieme di tutti gli eventi che possono essere influenzati da ciò che accade in p. Ci sono definizioni simili in cui il segno più è sostituito dal meno e il futuro dal passato. Io considererò tali definizioni come evidenti.

Consideriamo ora il confine i+(S) del futuro di un insieme S. È abbastanza facile vedere che questo confine non può essere di tipo tempo. In tal caso, infatti, un punto q subito fuori del confine sarebbe il futuro di un punto p immediatamente all’interno. Né il confine del futuro può essere di tipo spazio, tranne che nell’insieme S: se lo fosse, infatti, ogni curva diretta verso il passato a partire da un punto q, esattamente al futuro del confine, attraverserebbe il confine stesso e lascerebbe il futuro di S. Ciò sarebbe in contraddizione col fatto che q si trova nel futuro di S (figura 1.2)

Si conclude perciò che il confine del futuro è nullo, tranne che a partire dallo stesso insieme S. Più precisamente, se q è nel confine del futuro ma non nella chiusura di S, c’è un segmento geodetico di lunghezza nulla diretto verso il passato che passa per q, che giace sul confine (vedi figura 1.3). Può esserci più di un segmento geodetico nullo passante per q, che giace sul confine, ma in tal caso q sarà un estremo futuro dei segmenti. In altri termini, il confine del futuro di S è generato da geodetiche di lunghezza nulla che hanno un estremo futuro sul confine e che entrano nell’interno del futuro se intersecano un’altra generatrice. D’altra parte, le geodetiche nulle generatrici possono avere un estremo passato solo su S. Si possono avere però spazi-tempi in cui ci siano generatrici del confine del futuro di un insieme S che non intersechino mai S. Tali generatrici non possono avere un estremo passato.

Figura 1.1. Il futuro cronologico di un punto p.

Figura 1.1. Il futuro cronologico di un punto p.

Figura 1.2. Il confine del futuro cronologico non può essere di tipo tempo o di tipo spazio.

Figura 1.2. Il confine del futuro cronologico non può essere di tipo tempo o di tipo spazio.

Figura 1.3. In alto: il punto q si trova sul confine del futuro, cosicché c’è un segmento geodetico nullo nel confine che passa per q. In basso: se c’è più di un segmento siffatto, il punto q sarà il loro estremo futuro.

Figura 1.3. In alto: il punto q si trova sul confine del futuro, cosicché c’è un segmento geodetico nullo nel confine che passa per qIn basso: se c’è più di un segmento siffatto, il punto q sarà il loro estremo futuro.

Un esempio semplice di quanto sto dicendo è uno spazio minkowskiano con un segmento di linea orizzontale rimosso (vedi figura 1.4). Se l’insieme S si trova dalla parte della linea orizzontale verso il passato, la linea proietterà un’ombra, e ci saranno punti nell’immediato futuro della linea che non sono nel futuro di S. Ci sarà una generatrice del confine del futuro di S che risale all’estremo della linea orizzontale. Poiché però l’estremo della linea orizzontale è stato rimosso dallo spazio-tempo, questa generatrice del confine non avrà un estremo passato. Questo spazio-tempo è incompleto, ma si può ovviare a questo fatto moltiplicando la metrica per un fattore conforme adatto nei pressi dell’estremo della linea orizzontale. Benché spazi come questo siano molto artificiali, sono importanti in quanto mostrano con quanta accuratezza si sia studiata la struttura causale. In effetti Roger Penrose, che fu tra i miei esaminatori all’esame per il Ph. D., sottolineò che uno spazio come quello che ho appena descritto era un esempio che contraddiceva alcune affermazioni da me fatte nella mia tesi di dottorato.

Per mostrare che ogni generatrice del confine del futuro ha un estremo passato sull’insieme, si deve imporre qualche condizione globale alla struttura causale. La condizione più forte e fisicamente più importante è quella dell’iperbolicità globale. Si dice che un insieme aperto U è globalmente iperbolico se

Figura 1.4. Poiché una linea è stata rimossa dallo spazio di Minkowski, il confine del futuro dell’insieme S ha una generatrice senza un estremo passato.

Figura 1.4. Poiché una linea è stata rimossa dallo spazio di Minkowski, il confine del futuro dell’insieme S ha una generatrice senza un estremo passato.

1.Per ogni coppia di punti p e q in Ul’intersezione del futuro di p e del passato di qha una chiusura compatta. In altri termini, è una regione limitata a forma di rombo (figura 1.5).

2.Su U vale una causalità forte. Non ci sono quindi curve di tipo tempo chiuse o quasi chiuse contenute in U.

Figura 1.5. L’intersezione del passato di p e del futuro di q ha una chiusura compatta.

Figura 1.5. L’intersezione del passato di p e del futuro di q ha una chiusura compatta.

Figura 1.6. Una famiglia di superfici di Cauchy per U.

Figura 1.6. Una famiglia di superfici di Cauchy per U.

Il significato fisico dell’iperbolicità globale proviene dal fatto che essa implica che ci sia per U una famiglia di superfici di Cauchy ∑(t) (vedi figura 1.6). Una superficie di Cauchy per U è una superficie di tipo spazio o nulla che interseca ogni curva di tipo tempo in U una e una sola volta. Si può predire che cosa accadrà in U a partire da dati sulla superficie di Cauchy, e si può formulare una teoria quantistica dei campi soddisfacente su uno sfondo globalmente iperbolico. Meno chiaro è se si possa formulare una teoria quantistica dei campi ragionevole su uno sfondo non globalmente iperbolico. L’iperbolicità globale potrebbe essere quindi una necessità fisica. A mio modo di vedere, però, non la si dovrebbe assumere, in quanto potrebbe escludere qualcosa che la gravità sta cercando di dirci. Piuttosto, si dovrebbe dedurre che certe regioni dello spazio-tempo sono globalmente iperboliche da altri assunti fisicamente ragionevoli.

Il significato dell’iperbolicità globale per i teoremi delle singolarità deriva da quanto segue. Sia Uglobalmente iperbolico e siano p e q punti di U che possano essere uniti da una curva di tipo tempo o nulla. Ci sia poi una geodetica di tipo tempo o nulla fra p e q che massimizzi la lunghezza di curve di tipo tempo o nulle da p a q (figura 1.7). Il metodo di dimostrazione consiste nel mostrare che lo spazio di tutte le curve di tipo tempo o nulle da p a q è compatto in una certa topologia. Si mostra poi che la lunghezza della curva è una funzione semicontinua superiormente su questo spazio. Essa deve perciò conseguire il suo massimo, e la curva di lunghezza massima sarà una geodetica, perché se così non fosse una piccola variazione darebbe una curva più lunga.

Figura 1.7. In uno spazio globalmente iperbolico c’è una geodetica di lunghezza massima che unisce ogni coppia di punti che possano essere uniti da una curva di tipo tempo o da una curva nulla.

Figura 1.7. In uno spazio globalmente iperbolico c’è una geodetica di lunghezza massima che unisce ogni coppia di punti che possano essere uniti da una curva di tipo tempo o da una curva nulla.

Possiamo ora considerare la seconda variazione della lunghezza di una geodetica γ. Si può mostrare che γ può essere variata nel senso di una maggiore lunghezza se c’è una geodetica da p infinitesimamente vicina che torna a intersecare γ in un punto r situato fra p e q. Si dice che il punto r è il coniugato di p(figura 1.8). Possiamo illustrare tutto questo considerando due punti p e q sulla superficie della Terra. Senza perdita di generalità, si può supporre che p si trovi al Polo Nord. Poiché la Terra ha una metrica definita positiva, piuttosto che una metrica lorentziana, esiste una geodetica di lunghezza minima, anziché una geodetica di lunghezza massima. Questa geodetica minima sarà un meridiano che va dal Polo Nord al punto q. Ci sarà però un’altra geodetica da p a q, e sarà quella che corre nell’opposto emisfero dal Polo Nord al Polo Sud e poi a q. Questa geodetica contiene un punto coniugato di p al Polo Sud, dove si intersecano tutte le geodetiche provenienti da p. Entrambe le geodetiche da p a q sono punti stazionari della lunghezza rispetto a una piccola variazione. Ma ora, in una metrica definita positiva la seconda variazione di una geodetica contenente un punto coniugato può dare una curva da p a q più corta. Così, nell’esempio della Terra, possiamo dedurre che la geodetica che scende al Polo Sud e poi risale non sia la curva più corta da p a q. Quest’esempio è molto ovvio. Tuttavia, nel caso dello spazio-tempo, si può mostrare che sotto certi assunti dovrebbe esserci una regione globalmente iperbolica in cui si dovrebbero avere punti coniugati su ogni geodetica fra due punti. In questo modo si determina una contraddizione, la quale dimostra che l’assunto della completezza delle geodetiche, che può essere considerato una definizione di uno spazio-tempo non singolare, è falso.

Figura 1.8. A sinistra: se c’è un punto coniugato r fra p e q su una geodetica, questa non è la geodetica di lunghezza minima. A destra: la geodetica non minima da p a q ha un punto coniugato al Polo Sud.

Figura 1.8. A sinistra: se c’è un punto coniugato r fra p e q su una geodetica, questa non è la geodetica di lunghezza minima. A destra: la geodetica non minima da p a q ha un punto coniugato al Polo Sud.

La ragione per cui si ottengono punti coniugati nello spazio-tempo è che la gravità è una forza attrattiva. Essa incurva perciò lo spazio-tempo in modo tale che le geodetiche vicine sono incurvate l’una verso l’altra, anziché l’una via dall’altra. Lo si può vedere dall’equazione di Raychaudhuri o di Newman-Penrose, che scriverò in una forma unificata.

Equazione di Raychaudhuri-Newman-Penrose

Immagine 1 La teoria classica

dove n = 2 per geodetiche nulle

n = 3 per geodetiche di tipo tempo.

Qui υ è un parametro affine lungo una congruenza delle geodetiche con vettore tangente la, che è ortogonale all’ipersuperficie. La quantità ρ è il tasso medio di convergenza delle geodetiche, mentre σ misura lo sforzo di taglio. Il termine Rablalb dà l’effetto gravitazionale diretto della materia sulla convergenza delle geodetiche.

Equazione di Einstein

Immagine 2 La teoria classica

Condizione energetica debole

Tabυaυb ≥ 0

per ogni vettore-tempo υa.

Per le equazioni di Einstein, esso sarà non negativo per qualsiasi vettore nullo la se la materia obbedisce alla cosiddetta condizione energetica debole. Questa dice che la densità di energia T00 è non negativa in qualsiasi sistema di riferimento. La condizione energetica debole è soddisfatta dal tensore classico energia-quantità di moto di qualsiasi materia ragionevole, come un campo scalare o elettromagnetico o un fluido con un’equazione di stato ragionevole. Essa potrebbe, però, non essere soddisfatta localmente dal valore di aspettazione quantomeccanico del tensore energia-quantità di moto. Questa possibilità sarà presa in considerazione nelle mie lezioni seconda e terza (capitoli 3 e 5).

Supponiamo che valga la condizione energetica debole, e che le geodetiche nulle condotte da un punto p ricomincino a convergere e che ρ abbia il valore positivo ρ0. Allora l’equazione di Newman-Penrose implicherebbe che la convergenza ρ diventerebbe infinita in un punto q a meno di una distanza parametrica affine Immagine 3 La teoria classica se la geodetica nulla potesse essere estesa fin là.

Se ρ = ρ0 per υ = υ0 allora. Immagine 4 La teoria classica Esiste quindi un punto coniugato prima di υ = υ0 + ρ–1.

Geodetiche nulle condotte da p infinitesimamente vicine fra loro si intersecheranno in q. Ciò significa che il punto q sarà il coniugato di p lungo la geodetica nulla γ che li unisce. Per punti su γ situati oltre il punto coniugato q ci sarà una variazione di γ che darà una curva di tipo tempo da p. La geodetica γ non può quindi trovarsi sul confine del futuro di p al di là del punto coniugato q. Essa avrà quindi un estremo futuro come generatore del confine del futuro di p (figura 1.9).

Figura 1.9. Il punto q è il coniugato di p lungo geodetiche nulle, cosicché una geodetica nulla γ che unisca p a q lascerà il confine del futuro di p in q.

Figura 1.9. Il punto q è il coniugato di p lungo geodetiche nulle, cosicché una geodetica nulla γ che unisca p a q lascerà il confine del futuro di p in q.

Una situazione simile abbiamo nel caso delle geodetiche di tipo tempo, a parte il fatto che la condizione energetica che si richiede per rendere il termine Rablalb non negativo per ogni vettore di tipo tempo la è, come suggerisce il suo nome, piuttosto forte. Essa è però ancora fisicamente ragionevole, almeno in media, nella teoria classica. Se vale la condizione energetica forte, e le geodetiche di tipo tempo condotte da p ricominciano a convergere, ci sarà un punto q coniugato di p.

Condizione energetica forte

Immagine 5 La teoria classica

Infine c’è la condizione energetica generica. Questa dice, in primo luogo, che vale la condizione energetica forte. In secondo luogo, che ogni geodetica di tipo tempo o nulla incontra qualche punto in cui c’è una qualche curvatura che non è specificamente allineata con la geodetica. La condizione energetica generica non è soddisfatta da varie soluzioni esatte note, le quali sono però piuttosto speciali. Ci si attenderebbe che questa condizione fosse soddisfatta da una soluzione che fosse «generica» in un senso appropriato. Se vale la condizione energetica generica, ogni geodetica incontrerà una regione di focalizzazione gravitazionale. Questo implicherà che, se si può estendere abbastanza la geodetica in ogni direzione, ci siano coppie di punti coniugati.

Condizione energetica generica

1. Vale la condizione energetica forte.

2. Ogni geodetica di tipo tempo o nulla contiene un punto in cui l[aRb] cd[elf]lcld ≠ 0.

Normalmente si pensa una singolarità dello spazio-tempo come una regione in cui la curvatura diventa illimitatamente grande. Il guaio con una definizione del genere è che si potrebbero semplicemente lasciar fuori i punti singolari e dire che la varietà restante è l’intero spazio-tempo. È meglio perciò definire lo spazio-tempo come la varietà massima su cui la metrica è convenientemente continua. Si può allora riconoscere il presentarsi di singolarità attraverso l’esistenza di geodetiche incomplete che non si possono prolungare fino a valori infiniti del parametro affine.

Definizione della singolarità

Uno spazio-tempo è singolare se è uno spazio-tempo di tipo tempo o nullo geodeticamente incompleto ma non può essere incluso in uno spazio-tempo maggiore.

Questa definizione riflette il carattere più discutibile delle singolarità, ossia la possibilità che ci siano particelle la cui storia abbia un inizio o una fine in un tempo finito. Ci sono esempi in cui può verificarsi incompletezza geodetica con la curvatura che rimane limitata, ma si pensa che genericamente lungo geodetiche incomplete la curvatura divergerà. Questo fatto è importante se ci si deve appellare a effetti quantistici per risolvere i problemi sollevati da singolarità nella relatività generale classica.

Fra il 1965 e il 1970 Penrose e io usammo le tecniche che ho descritto per dimostrare vari teoremi sulle singolarità. Questi teoremi avevano tre tipi di condizioni. Innanzitutto c’era una condizione energetica come le condizioni di energia debole, forte o generica. Poi c’era una condizione globale sulla struttura causale, come quella che non dovrebbero esserci curve di tipo tempo chiuse. Infine c’era una condizione la quale diceva che in qualche regione la gravità è così forte che nulla può evaderne.

Teoremi delle singolarità

1. Condizione dell’energia.

2. Condizione sulla struttura globale.

3. Gravità abbastanza forte da intrappolare una regione.

Questa terza condizione potrebbe essere espressa in molti modi. Uno sarebbe che la sezione trasversale spaziale dell’universo fosse chiusa, poiché in tal caso non ci sarebbe alcuna regione esterna in cui sfuggire. Un altro sarebbe che ci fosse una cosiddetta superficie intrappolata chiusa. Questa è una superficie bidimensionale chiusa tale che sia le geodetiche nulle ortogonali a essa in ingresso sia quelle in uscita siano convergenti (figura 1.10). Normalmente, se si ha una superficie sferica bidimensionale nello spazio di Minkowski, le geodetiche nulle in ingresso sono convergenti, mentre quelle in uscita sono divergenti. Nel collasso di una stella, però, il campo gravitazionale può essere così forte che i coni di luce sono rovesciati verso l’interno. Ciò significa che persino le geodetiche nulle in uscita sono convergenti.

I vari teoremi sulle singolarità mostrano che, se valgono diverse combinazioni dei tre tipi di condizioni, lo spazio-tempo dev’essere uno spazio-tempo di tipo tempo o nullo geodeticamente incompleto. Si può indebolire una condizione se si assumono versioni più forti delle altre due. Lo illustrerò descrivendo il teorema di Hawking-Penrose. Questo ha la condizione energetica generica, la più forte delle tre condizioni di energia. La condizione globale è piuttosto debole, che non debbano esserci curve di tipo tempo chiuse. E la condizione di non fuga è la più generale, che debba esserci o una superficie intrappolata o una superficie tridimensionale di tipo spazio chiusa.

Per semplicità, mi limiterò ad abbozzare la dimostrazione per il caso di una superficie tridimensionale di tipo spazio chiusa S. Si può definire lo sviluppo di Cauchy futuro D+(S) come la regione di punti q da cui ogni curva di tipo tempo diretta verso il passato interseca S (figura 1.11). Lo sviluppo di Cauchy è la regione dello spazio-tempo che può essere predetta a partire da dati su S. Supponiamo ora che lo sviluppo di Cauchy futuro fosse compatto. In questo caso lo sviluppo di Cauchy avrebbe un confine futuro chiamato l’orizzonte di Cauchy futuroH+(S). Per un argomento simile a quello per il confine del futuro di un punto, l’orizzonte di Cauchy futuro sarebbe generato da segmenti geodetici nulli senza estremi passati. Poiché però si suppone che lo sviluppo di Cauchy sia compatto, anche l’orizzonte di Cauchy sarà compatto. Ciò significa che i generatori di geodetiche nulle si avvolgeranno all’interno di un insieme compatto, approssimandosi a una geodetica nulla limite λ la quale non avrà né estremi passati né estremi futuri nell’orizzonte di Cauchy (figura 1.12). Se però λ fosse geodeticamente completa, la condizione energetica generica implicherebbe che essa contenesse punti coniugati p e q. I punti su λ al di là di p e di qpotrebbero essere uniti da una curva di tipo tempo. Questa sarebbe però una contraddizione, poiché non è possibile che due punti dell’orizzonte di Cauchy siano separati su una curva di tipo tempo. Perciò o λ, non è geodeticamente completa e il teorema è dimostrato, oppure lo sviluppo di Cauchy futuro di S non è compatto.

Figura 1.10. Nel caso di una superficie chiusa normale, i raggi nulli uscenti dalla superficie divergono, mentre i raggi in ingresso convergono. Su una superficie intrappolata chiusa, convergono i raggi nulli sia in ingresso sia in uscita.

Figura 1.10. Nel caso di una superficie chiusa normale, i raggi nulli uscenti dalla superficie divergono, mentre i raggi in ingresso convergono. Su una superficie intrappolata chiusa, convergono i raggi nulli sia in ingresso sia in uscita.

Figura 1.11. Lo sviluppo di Cauchy futuro D+(S) di un insieme S e il suo confine futuro, l’orizzonte di Cauchy H+(S).

Figura 1.11. Lo sviluppo di Cauchy futuro D+(S) di un insieme Se il suo confine futuro, l’orizzonte di Cauchy H+(S).

Figura 1.12. C’è una geodetica nulla limite λ nell’orizzonte di Cauchy la quale non ha estremi passati o futuri nell’orizzonte di Cauchy.

Figura 1.12. C’è una geodetica nulla limite λ nell’orizzonte di Cauchy la quale non ha estremi passati o futuri nell’orizzonte di Cauchy.

In questa eventualità si può mostrare che c’è una curva di tipo tempo γ diretta verso il futuro a partire da S, la quale non lascia mai lo sviluppo di Cauchy futuro di S. Un’argomentazione in qualche misura simile mostra che γ può essere estesa al passato, a una curva che non si stacca mai dallo sviluppo di Cauchy passato D(S) (figura 1.13). Consideriamo ora una sequenza di punti xn su γ tendente al passato e una sequenza simile yn tendente al futuro. Per ogni valore di n, i punti xn e yn sono separati su una curva di tipo tempo e si trovano nello sviluppo di Cauchy globalmente iperbolico di S. C’è quindi una geodetica di tipo tempo di lunghezza massima λn da xn a yn. Tutte le λnintersecheranno la superficie di tipo spazio compatta S. Ciò significa che ci sarà una geodetica di tipo tempo λ nello sviluppo di Cauchy la quale è un limite della geodetica di tipo tempo λn (figura 1.14). O λ sarà incompleta, nel qual caso il teorema è dimostrato, oppure conterrà punti coniugati a causa della condizione energetica generica. In tal caso, però, per nsufficientemente grande, λn conterrebbe punti coniugati. Questa sarebbe una contraddizione perché si suppone che le λn siano curve di lunghezza massima. Si può perciò concludere che lo spazio-tempo è uno spazio-tempo di tipo tempo o nullo geodeticamente incompleto. In altri termini, c’è una singolarità.

Figura 1.13 Se lo sviluppo di Cauchy futuro (passato) non è compatto, c’è una curva di tipo tempo da S diretta verso il futuro (o verso il passato) che non lascia mai lo sviluppo di Cauchy futuro (o passato).

Figura 1.13 Se lo sviluppo di Cauchy futuro (passato) non è compatto, c’è una curva di tipo tempo da S diretta verso il futuro (o verso il passato) che non lascia mai lo sviluppo di Cauchy futuro (o passato).

Figura 1.14. La geodetica λ, che è il limite delle γn, dovrà essere incompleta, poiché altrimenti conterrebbe punti coniugati.

Figura 1.14. La geodetica λ, che è il limite delle γn, dovrà essere incompleta, poiché altrimenti conterrebbe punti coniugati.

I teoremi predicono singolarità in due situazioni. Una è nel futuro, nel collasso gravitazionale di stelle e di altri corpi di grande massa. Tali singolarità sarebbero una fine del tempo, almeno per particelle in moto sulle geodetiche incomplete. L’altra situazione per la quale si predicono singolarità è nel passato, all’inizio della presente espansione dell’universo. Questa predizione condusse all’abbandono dei tentativi (compiuti principalmente dai russi) di dimostrare che c’è stata una fase precedente di contrazione e un rimbalzo non singolare nell’espansione. Oggi quasi tutti credono invece che l’universo, e il tempo stesso, abbiano avuto un inizio nel Big Bang. Questa è una scoperta di gran lunga più importante di quella di alcune particelle instabili, ma non è stata premiata con alcun premio Nobel.

La predizione delle singolarità significa che la relatività generale classica non è una teoria completa. Poiché i punti singolari devono essere isolati dalla varietà dello spazio-tempo, non vi si possono definire le equazioni di campo e non si può predire che cosa verrà fuori da una singolarità. Nel caso della singolarità nel passato l’unico modo per occuparsi di questo problema sembra essere quello di far ricorso alla gravità quantistica. Tornerò su questo argomento nella mia terza lezione (capitolo 5). Quanto alle singolarità predette nel futuro, sembrano avere una proprietà che Penrose ha chiamato della censura cosmica. Esse si presentano cioè opportunamente in luoghi come i buchi neri, che sono celati a osservatori esterni. Così ogni venir meno della predicibilità che può verificarsi in queste singolarità non inciderà su ciò che accade nel mondo esterno, almeno non secondo la teoria classica.

Censura cosmica

La natura aborre una singolarità nuda.

Come vedremo però nella mia seconda lezione (capitolo 3), nella teoria quantistica si ha imprevedibilità. Questa situazione è connessa al fatto che i campi gravitazionali hanno un’entropia intrinseca la quale non è solo il risultato della grossolanità del nostro approccio. L’entropia gravitazionale, e il fatto che il tempo ha un inizio e può avere una fine, sono i due temi delle mie lezioni poiché sono i modi in cui la gravità è distintamente diversa da altri campi fisici.

Il fatto che la gravità abbia una quantità che si comporta come l’entropia fu notato per la prima volta nella teoria puramente classica. Esso dipende dalla congettura della censura cosmica di Penrose. Questa è indimostrata, ma si ritiene sia vera per dati iniziali ed equazioni di stato opportunamente generali. Io userò una forma debole della censura cosmica. Si fa l’approssimazione di trattare la regione attorno a una stella collassante come asintoticamente piatta. Poi, come mostrò Penrose, si può includere in modo conforme la varietà spaziotemporale M in una varietà con confine Immagine 6 La teoria classica (figura 1.15). Il confine ∂M sarà una superficie nulla e consterà di due componenti, infinito nullo futuro e passato, chiamati I+ e I. Dirò che la censura cosmica debole vale se sono soddisfatte due condizioni. Innanzitutto, si suppone che le geodetiche nulle generatrici di I+ siano complete in una certa metrica conforme. Ciò implica che osservatori lontani dal collasso vivano fino alla vecchiaia e non siano spazzati via da una singolarità fulminea emessa dalla stella collassante. In secondo luogo, si suppone che il passato di I+ sia globalmente iperbolico. Ciò significa che non ci sono singolarità nude che possano essere viste da grandi distanze. Penrose ha una forma più forte di censura cosmica, la quale assume che l’intero spazio-tempo sia globalmente iperbolico, ma la forma debole sarà sufficiente ai miei fini.

Figura 1.15. Una stella collassante inclusa in modo conforme in una varietà con confine.

Figura 1.15. Una stella collassante inclusa in modo conforme in una varietà con confine.

Censura cosmica debole

1. I+ e I sono completi.

2. I(I+) è globalmente iperbolico.

Se vale la censura cosmica debole, le singolarità di cui si predice l’occorrenza nel collasso gravitazionale non possono essere visibili da I+. Ciò significa che dev’esserci una regione dello spazio-tempo che non si trova nel passato di I+. Questa regione viene chiamata buco nero perché non può sfuggirne all’infinito né luce né alcun’altra cosa. Il confine della regione del buco nero è chiamato l’orizzonte degli eventi. Essendo anche il confine del passato di I+, l’orizzonte degli eventi sarà generato da segmenti geodetici nulli che possono avere estremi passati ma non hanno estremi futuri. Ne segue quindi che, se vale la condizione energetica debole, i generatori dell’orizzonte non possono essere convergenti. Se lo fossero, si intersecherebbero infatti entro una distanza finita.

Ciò implica che l’area di una sezione trasversale dell’orizzonte degli eventi non possa mai diminuire col tempo, e che in generale aumenti. Inoltre, se due buchi neri entrano in collisione e si fondono in un buco nero maggiore, l’area del buco nero finale sarà maggiore della somma delle aree dei buchi neri originali (figura 1.16). Questa situazione è molto simile al comportamento dell’entropia previsto dal secondo principio della termodinamica. L’entropia non può mai diminuire e l’entropia di un sistema totale è maggiore della somma delle sue parti componenti.

Seconda legge della meccanica dei buchi neri

δA ≥ 0

Secondo principio della termodinamica

δS ≥ 0

Figura 1.16. Quando gettiamo della materia in un buco nero, o permettiamo che due buchi neri si fondano assieme, l’area totale degli orizzonti degli eventi non diminuirà mai.

Figura 1.16. Quando gettiamo della materia in un buco nero, o permettiamo che due buchi neri si fondano assieme, l’area totale degli orizzonti degli eventi non diminuirà mai.

La somiglianza con la termodinamica è accresciuta dalla cosiddetta prima legge della meccanica dei buchi neri. Questa mette in relazione la variazione di massa di un buco nero alla variazione dell’area dell’orizzonte degli eventi e alla variazione del suo momento angolare e della sua carica elettrica. Si può confrontare questa legge col primo principio della termodinamica, il quale dà la variazione dell’energia interna nei termini della variazione dell’entropia e del lavoro esterno eseguito sul sistema. Si vede che, se l’area dell’orizzonte degli eventi è analoga all’entropia, la quantità analoga alla temperatura è la cosiddetta gravità superficiale del buco nero κ. Questa è una misura dell’intensità del campo gravitazionale in corrispondenza dell’orizzonte degli eventi. La somiglianza con la termodinamica è ulteriormente accresciuta dalla cosiddetta legge zero della meccanica dei buchi neri: la gravità superficiale è la stessa dappertutto sull’orizzonte degli eventi di un buco nero indipendente dal tempo.

Prima legge della meccanica dei buchi neri

Immagine 7 La teoria classica

Primo principio della termodinamica

δE = TδS + PδV

Legge zero della meccanica dei buchi neri

κ è uguale dappertutto sull’orizzonte degli eventi di un buco nero indipendente dal tempo.

Principio zero della termodinamica

T è uguale dappertutto per un sistema in equilibrio termico.

Incoraggiato da queste somiglianze, Jakob Bekenstein (1972) propose che un qualche multiplo dell’orizzonte degli eventi fosse in effetti l’entropia del buco nero. Egli suggerì una seconda legge generalizzata: la somma di quest’entropia del buco nero e dell’entropia della materia fuori del buco nero non diminuisce mai.

Seconda legge generalizzata

δ (S + cA) ≥ 0

Questa proposta non era però internamente coerente. Se i buchi neri avessero un’entropia proporzionale all’area dell’orizzonte degli eventi, dovrebbero avere anche una temperatura non nulla proporzionale alla gravità superficiale. Consideriamo un buco nero che sia in contatto con una radiazione termica a una temperatura inferiore alla sua (figura 1.17). Il buco nero assorbirà una parte della radiazione ma non sarà in grado di irraggiare nulla, perché secondo la teoria classica da un buco nero non può evadere nulla. Si avrebbe quindi un flusso di calore dalla radiazione termica a bassa temperatura al buco nero, a temperatura superiore. Un tale comportamento violerebbe però la seconda legge generalizzata perché la perdita di entropia dovuta alla radiazione termica sarebbe maggiore dell’aumento dell’entropia dei buchi neri. Come vedremo però nella mia seconda lezione, la coerenza fu ripristinata quando si scoprì che i buchi neri emettono una radiazione che è esattamente termica. Anche questo è un risultato troppo bello per essere una coincidenza o anche solo un’approssimazione. Pare quindi che i buchi neri abbiano davvero un’entropia gravitazionale intrinseca. Come vedremo, questa è connessa alla topologia non banale di un buco nero. L’entropia intrinseca significa che la gravità introduce un livello extra di non predicibilità, in aggiunta all’indeterminazione solitamente associata alla teoria quantistica. Einstein quindi sbagliò quando disse: «Dio non gioca a dadi». La considerazione dei buchi neri suggerisce infatti non solo che Dio gioca a dadi, ma che a volte ci confonda gettandoli dove non li si può vedere (figura 1.18).

Figura 1.17. Un buco nero in contatto con radiazione termica ne assorbirà una parte, ma secondo la fisica classica non può irraggiare nulla.

Figura 1.18.

2

Struttura delle singolarità dello spazio-tempo

di Roger Penrose

Nella prima lezione Stephen Hawking ha parlato dei teoremi delle singolarità. Il contenuto essenziale di questi teoremi è che in condizioni fisiche (globali) ragionevoli ci si devono attendere singolarità. I teoremi non dicono niente sulla natura delle singolarità, o su dove esse debbano trovarsi. Essi sono, d’altro canto, molto generali. Una domanda che ci viene naturale, quindi, è quale sia la natura geometrica di una singolarità spaziotemporale. Di solito si suppone che la caratteristica di una singolarità sia che la curvatura vi diverge. Questo non è però esattamente ciò che implicano di per sé i teoremi della singolarità.

Le singolarità si presentano nel Big Bang, nei buchi neri e nel Big Crunch (che potrebbe essere considerato un’unione di buchi neri). Esse potrebbero presentarsi anche nella forma di singolarità nude. A questo problema è connessa la cosiddetta censura cosmica, ossia l’ipotesi che queste singolarità nude non esistano.

Per spiegare l’idea della censura cosmica vorrei ricordare brevemente la storia dell’argomento. Il primo esempio esplicito di una soluzione delle equazioni di Einstein che descrivevano un buco nero fu quello della nube di polvere collassante di Oppenheimer e Snyder (1939). All’interno della nube c’è una singolarità, la quale non è però visibile dall’esterno, essendo circondata dall’orizzonte degli eventi. Quest’orizzonte è la superficie dall’interno della quale gli eventi non possono mandare segnali all’infinito. Era forte la tentazione di credere che questo quadro fosse generico, ossia che rappresentasse il collasso gravitazionale generale. Il modello OS ha però una speciale simmetria (cioè la simmetria sferica), e non è ovvio che sia realmente rappresentativo.

Poiché le equazioni di Einstein sono in generale difficili da risolvere, si ricercano invece proprietà globali che implichino l’esistenza di singolarità. Per esempio, il modello OS ha una superficie intrappolata, la quale è una superficie la cui area diminuirà lungo raggi di luce che inizialmente sono ortogonali a essa (figura 2.1).

Si potrebbe tentare di mostrare che l’esistenza di una superficie intrappolata implica che ci sia una singolarità. (Questo fu il primo teorema della singolarità che io riuscii a stabilire, sulla base di assunti ragionevoli sulla causalità, ma senza assumere alcuna simmetria sferica; vedi Penrose 1965.) Si possono derivare risultati simili anche supponendo l’esistenza di un cono di luce convergente (Hawking e Penrose 1970; si dà questo caso quando tutti i raggi di luce emessi da un punto in direzioni diverse cominciano a convergere in seguito l’uno verso l’altro).

Stephen Hawking (1965) osservò molto presto che si può anche capovolgere la mia argomentazione su scala cosmologica, cioè applicarla a una situazione col tempo rovesciato. Una superficie intrappolata rovesciata implica quindi che ci sia stata una singolarità nel passato (facendo assunti di causalità appropriati). Ora, la superficie intrappolata (col tempo rovesciato) è molto grande, essendo su una scala cosmologica.

Figura 2.1. La nube di polvere collassante di Oppenheimer-Snyder, che illustra una superficie intrappolata.

Figura 2.1. La nube di polvere collassante di Oppenheimer-Snyder, che illustra una superficie intrappolata.

Qui quel che ci interessa particolarmente è analizzare la situazione di un buco nero. Sappiamo che dev’esserci stata da qualche parte una singolarità, ma per avere un buco nero dobbiamo mostrare che essa è circondata da un orizzonte degli eventi. L’ipotesi della censura cosmica afferma proprio questo, ossia essenzialmente che non è possibile vedere la singolarità stessa dall’esterno. In particolare, implica che ci sia una qualche regione che non può inviare segnali all’infinito esterno. Il confine di questa regione è l’orizzonte degli eventi. Noi possiamo anche applicare a questo confine un teorema dato da Hawking nella lezione scorsa, poiché l’orizzonte degli eventi è il confine del passato dell’infinito nullo futuro. Sappiamo così che questo confine

dev’essere una superficie nulla dove esso è regolare, generato da geodetiche nulle,

contiene una geodetica nulla infinita nel futuro la quale ha origine da ciascun punto in cui esso non è regolare,

e che

l’area delle sezioni trasversali spaziali non può mai diminuire col tempo.

È stato anche mostrato, in effetti (Israel 1967, Carter 1971, Robinson 1975, Hawking 1977), che il limite futuro asintotico di un tale spazio-tempo è lo spazio-tempo di Kerr. Questo è un risultato notevolissimo, poiché la metrica di Kerr è una soluzione esatta molto elegante delle equazioni di Einstein nel vuoto. Questo argomento è connesso anche al problema dell’entropia dei buchi neri e io tornerò su di esso nella prossima lezione (capitolo 4).

Perciò noi abbiamo effettivamente qualcosa che presenta una somiglianza qualitativa con la soluzione di OS. Ci sono differenze, come il fatto che finiamo con l’avere la soluzione di Kerr anziché quella di Schwarzschild, ma sono relativamente minori. Il quadro essenziale risulta piuttosto simile.

Gli argomenti precisi si fondano però sull’ipotesi della censura cosmica. Questa è in effetti molto importante poiché ne dipende l’intera teoria, e senza di essa noi potremmo vedere cose terribili anziché un buco nero. Dobbiamo chiederci perciò se tale ipotesi sia effettivamente vera. Molto tempo fa pensai che potesse essere sbagliata e feci vari tentativi di trovare controesempi. (Una volta Stephen Hawking affermò che una delle giustificazioni più forti a favore dell’ipotesi della censura cosmica era l’insuccesso dei miei sforzi per dimostrarne l’erroneità, ma io penso che quest’argomentazione sia molto debole!)

Vorrei discutere la censura cosmica nel contesto di certe idee concernenti i punti ideali per lo spazio-tempo. (Questi concetti sono dovuti a Seifert 1971 e a Geroch, Kronheimer e Penrose 1977.) L’idea di fondo è che si dovrebbero incorporare nello spazio-tempo «punti singolari» reali e «punti all’infinito», cioè i punti ideali. Vorrei prima introdurre il concetto di IP, cioè di un insieme del passato non decomponibile. Qui un «insieme del passato» è un insieme che contiene il proprio passato, e «non decomponibile» significa che non può essere scomposto in due insiemi del passato nessuno dei quali contenga l’altro. C’è un teorema che ci dice che si può descrivere ogni IP anche come il passato di una certa curva di tipo tempo (figura 2.2).

Ci sono due categorie di IP, cioè i PIP e i TIP. Un PIP è un IP proprio, cioè il passato di un punto reale dello spazio-tempo, mentre un TIP è un IP terminale,un punto ideale futuro. Si può inoltre distinguere fra i TIP a seconda che il punto ideale sia «all’infinito» (nel qual caso c’è una curva di tipo tempo che genera l’IP di lunghezza propria infinita) – un ∞-TIP – o sia una singolarità (nel qual caso ogni curva di tipo tempo che lo genera ha una lunghezza propria finita): un TIPsingolare. Ovviamente tutti questi concetti possono essere applicati in modo simile a insiemi del futuro anziché a insiemi del passato. In questo caso abbiamo IF (insiemi futuri non decomponibili) divisi in PIF e in TIF, i quali ultimi si suddividono ulteriormente in ∞-TIF e in TIF singolari. Vorrei osservare inoltre che, perché tutto questo funzioni, dobbiamo supporre che non ci siano curve di tipo tempo chiuse. Questa è in realtà una condizione marginalmente più debole: non esistono due punti che abbiano lo stesso futuro o lo stesso passato.

Figura 2.2. Insiemi del passato, propri (PIP) e terminali (TIP).

Figura 2.2. Insiemi del passato, propri (PIP) e terminali (TIP).

Come possiamo descrivere le singolarità nude e l’ipotesi della censura cosmica in questo contesto? Innanzitutto la censura cosmica non dovrebbe escludere il Big Bang (giacché altrimenti i cosmologi si troverebbero in gravi difficoltà). Ora, dal Big Bang escono sempre cose e non ne cadono mai in esso. Potremmo quindi tentare di definire una singolarità nuda come una cosa in cui una curva di tipo tempo possa entrare e da cui possa uscire. In tal modo si tiene quindi conto automaticamente del problema del Big Bang. Esso non viene considerato nudo. In questa cornice di riferimento possiamo definire un TIP nudocome un TIP che è contenuto in un PIP. Questa è una definizione essenzialmente locale; cioè non richiediamo che l’osservatore sia all’infinito. Risulta (Penrose 1979) che l’esclusione dei TIP nudi sia la stessa condizione in uno spazio-tempo se sostituiamo in questa definizione «passato» con «futuro» (esclusione dei TIF nudi). L’ipotesi che tali TIP (o, cosa equivalente, tali TIF) nudi non si diano in spazi-tempi generici è chiamata l’ipotesi della censura cosmica forte. Il suo significato intuitivo è che un punto singolare (o punto infinito) – il TIP in questione – non possa semplicemente «apparire» nel bel mezzo di uno spazio-tempo in modo tale da essere «visibile» in qualche punto finito: il vertice del PIP in questione. È ragionevole pensare che l’osservatore non debba essere necessariamente all’infinito, giacché in uno spazio-tempo dato noi potremmo non sapere se ci sia effettivamente un infinito. Inoltre, se l’ipotesi della censura cosmica forte fosse violata, noi potremmo, in un tempo finito, osservare una particella nell’atto di cadere realmente in una singolarità, dove le regole della fisica cesserebbero di valere (o nell’atto di raggiungere l’infinito, che è una prospettiva press’a poco altrettanto insoddisfacente). Noi possiamo esprimere in questo linguaggio anche l’ipotesi della censura cosmica debole: a tal fine dobbiamo semplicemente sostituire il PIP con ∞-TIP.

L’ipotesi della censura cosmica forte implica che uno spazio-tempo generico con materia, soggetto a equazioni di stato ragionevoli (per esempio vuoto) possa essere esteso in uno privo di singolarità nude (di TIP singolari nudi). Risulta (Penrose 1979) che l’esclusione di TIP nudi sia equivalente all’iperbolicità globale, o che lo spazio-tempo sia l’intero dominio di dipendenza di una qualche superficie di Cauchy (Geroch 1970). Noi notiamo che questa formulazione della censura cosmica forte è manifestamente simmetrica nel tempo; se intercambiamo gli IP con gli IF intercambiamo futuro e passato.

In generale ci occorrono condizioni addizionali per escludere fulmini. Per fulmine intendiamo una singolarità che raggiunge l’infinito nullo, distruggendo in questo processo lo spazio-tempo (cfr. Penrose 1978, fig. 7). Ciò non viola necessariamente la censura cosmica come si è detto. Esistono versioni più forti della censura cosmica che possono conciliarsi con questa situazione (Penrose 1978, condizione CC4).

Torniamo dunque al problema se la censura cosmica sia vera. Innanzitutto notiamo che probabilmente non è vera nella gravità quantistica. In particolare, in situazioni in cui la censura cosmica sembra essere violata si hanno buchi neri in esplosione (su cui si tratterrà più diffusamente più avanti Stephen Hawking).

Nella relatività generale classica ci sono vari risultati in entrambe le direzioni. In un tentativo di confutare la censura cosmica io derivai certe disuguaglianze che varrebbero se la censura cosmica fosse vera (Penrose 1973). In effetti esse risultarono essere vere (Gibbons 1972), cosa che sembra confermare l’idea che dovrebbe valere qualcosa di simile alla censura cosmica. In senso negativo ci sono alcuni esempi speciali (che però violano la condizione di genericità) e alcune prove numeriche frammentarie, che sono peraltro soggette a varie obiezioni. Esistono, inoltre, alcune indicazioni di cui sono venuto a conoscenza solo pochissimo tempo fa – in effetti me le ha menzionate solo l’altro ieri Gary Horowitz – del fatto che alcune delle disuguaglianze menzionate non valgono se la costante cosmologica è positiva. Personalmente ho sempre creduto che la costante cosmologica dovrebbe essere zero, ma sarebbe molto interessante se la censura cosmica dipendesse da un valore non positivo della costante cosmologica. In particolare, potrebbe esserci una relazione interessante fra la natura delle singolarità e la natura dell’infinito. L’infinito è di tipo spazio se la costante cosmologica è positiva, ma nullo se essa è zero. Corrispondentemente, le singolarità potrebbero risultare a volte di tipo tempo (ossia nude, violando così la censura cosmica) se la costante cosmologica è positiva, ma forse le singolarità non possono essere di tipo tempo (cioè non possono soddisfare la censura cosmica) se la costante è zero.

Figura 2.3. Relazioni causali fra IP: (1) A precede causalmente B; (2) A precede cronologicamente B; (3) A e B hanno una separazione di tipo spazio.

Figura 2.3. Relazioni causali fra IP: (1) A precede causalmente B; (2) A precede cronologicamente B; (3) A e B hanno una separazione di tipo spazio.

Per discutere la natura di tipo tempo o di tipo spazio delle singolarità, vorrei spiegare le relazioni causali esistenti fra gli IP. Generalizzando la causalità fra punti, possiamo dire che un IP A precede causalmente un IP B se A ⊂ B, e che A precede cronologicamente B se c’è un PIP P tale che A ⊂ P ⊂ B. Diciamo che A e B hanno una separazione di tipo spazio se nessuno dei due precede causalmente l’altro (figura 2.3).

La censura cosmica forte può quindi essere espressa dicendo che le singolarità generiche non possono mai essere di tipo tempo. Le singolarità di tipo spazio (o nulle) possono essere di tipo passato o futuro. Perciò, se vale la censura cosmica forte, le singolarità si suddividono in due classi:

(P) di tipo passato, definite da TIF.

(F) di tipo futuro, definite da TIP.

Le singolarità nude potrebbero unire le due possibilità in una, poiché una singolarità nuda sarebbe al tempo stesso un TIP e un TIF. Perciò è in realtà una conseguenza della censura cosmica che queste classi siano separate. Esempi tipici della classe (F) sono le singolarità nei buchi neri e nel Big Crunch (se esiste), mentre esempi della classe (P) sono il Big Bang e forse i buchi bianchi (se esistono). Io non credo in realtà nella possibilità del Big Crunch (per ragioni ideologiche di cui mi occuperò nella lezione finale), e i buchi bianchi sono molto ma molto più improbabili in quanto violano il secondo principio della termodinamica.

Può darsi che i due tipi di singolarità soddisfino leggi completamente diverse. Forse dovrebbero valere per loro leggi della gravità quantistica del tutto differenti. Penso che Stephen Hawking sia qui in disaccordo con me [SWH: «Sì!»], ma ritengo che questa proposta sia confermata dalle cose seguenti:

1.Il secondo principio della termodinamica.

2.Le osservazioni dell’universo primitivo (per esempio a opera del Cosmic Background Explorer, COBE), le quali indicano che l’universo fu molto uniforme.

3.L’esistenza dei buchi neri (praticamente osservati).

Sulla base di (1) e di (2) si può sostenere che la singolarità del Big Bang fu estremamente uniforme, mentre da (1) possiamo inferire che essa è priva di buchi bianchi (i quali violano violentemente il secondo principio della termodinamica). Per le singolarità dei buchi neri devono valere perciò leggi molto diverse (3). Per descrivere più esattamente questa differenza, ricordiamo che la curvatura dello spazio-tempo è descritta dal tensore di Riemann Rabcd, che è la somma del tensore di Weyl Cabcd (che descrive le distorsioni di marea, le quali conservano i volumi al primo ordine) e di una parte equivalente al tensore di Ricci Rab (moltiplicato per la metrica gcd, con indici opportunamente mescolati), che descrive distorsioni che diminuiscono il volume (figura 2.4).

Nei modelli cosmologici standard (dovuti a Fridman, Lemaître, Robertson e Walker; vedi per esempio Rindler 1977), il Big Bang ha un tensore di Weyl evanescente. (C’è anche un inverso di questo, dimostrato da R.P.A.C. Newman, in cui un universo con una singolarità iniziale di un tipo conformemente regolare con tensore di Weyl evanescente deve, se valgono equazioni di stato idonee, essere un universo di tipo FLRW; vedi Newman 1993a.) D’altro canto, le singolarità dei buchi neri e bianchi hanno (nel caso generico) un tensore di Weyl divergente. Ciò suggerisce la seguente

Figura 2.4. Gli effetti di accelerazione della curvatura dello spazio-tempo: (1) la distorsione di marea dovuta alla curvatura di Weyl; (2) l’effetto di diminuzione di volume dovuto alla curvatura di Ricci.

Figura 2.4. Gli effetti di accelerazione della curvatura dello spazio-tempo: (1) la distorsione di marea dovuta alla curvatura di Weyl; (2) l’effetto di diminuzione di volume dovuto alla curvatura di Ricci.

Ipotesi della curvatura di Weyl

Le singolarità di tipo iniziale (P) sono vincolate ad avere un tensore di Weyl evanescente.

Le singolarità di tipo finale (F) no.

Questa situazione è in buon accordo con quanto si osserva. Se l’universo è chiuso, la singolarità finale (il Big Crunch) avrà un tensore di Weyl divergente, e in un universo aperto anche i buchi neri creati avranno un tensore di Weyl divergente (vedi figura 2.5).

Un ulteriore sostegno a questa ipotesi proviene dal fatto che il vincolo che l’universo iniziale fosse abbastanza omogeneo e privo di buchi bianchi riduce lo spazio delle fasi nell’universo iniziale di un fattore di almeno

Figura 2.5. L’ipotesi della curvatura di Weyl: le singolarità iniziali (Big Bang) sono vincolate ad avere una curvatura di Weyl evanescente, mentre nelle singolarità finali ci si attende che la curvatura di Weyl diverga.

Figura 2.5. L’ipotesi della curvatura di Weyl: le singolarità iniziali (Big Bang) sono vincolate ad avere una curvatura di Weyl evanescente, mentre nelle singolarità finali ci si attende che la curvatura di Weyl diverga.

Immagine 1 Struttura delle singolarità dello spazio-tempo

(Questa cifra è il volume dello spazio delle fasi ammissibile per un buco nero di 1080 barioni, quale segue dalla formula per l’entropia dei buchi neri di Bekenstein-Hawking – Bekenstein 1972, Hawking 1975 – e l’universo ha almeno questa quantità di materia.)

Dovrebbe esserci quindi una legge tale da determinare il verificarsi di questo risultato piuttosto improbabile! L’ipotesi della curvatura di Weyl fornirebbe una legge di questo tipo.

DOMANDE E RISPOSTE

Pensa che la gravità quantistica elimini le singolarità?

Penso di no. Se fosse così, il Big Bang sarebbe risultato da una fase precedente di collasso. C’è da chiedersi come tale fase precedente potrebbe avere avuto un’entropia così bassa. Questo quadro sacrificherebbe la migliore probabilità che abbiamo di spiegare il secondo principio. Inoltre le singolarità dell’universo in collasso e in espansione dovrebbero essere in qualche modo unite assieme, ma pare che abbiano geometrie molto diverse. Una vera teoria della gravità quantistica dovrebbe sostituire il nostro concetto presente di spazio-tempo in una singolarità. Essa dovrebbe darci un modo ben definito di parlare di quella che chiamiamo una singolarità nella teoria classica. Non dovrebbe essere semplicemente uno spazio-tempo non singolare, bensì qualcosa di drasticamente diverso.

3

Buchi neri quantistici

di Stephen W. Hawking

Nella mia seconda lezione parlerò della teoria quantistica dei buchi neri. Pare che essa conduca a un nuovo livello di imprevedibilità in fisica, oltre all’indeterminazione abitualmente associata alla meccanica quantistica. Ciò si deve al fatto che i buchi neri sembrano avere un’entropia intrinseca e perdere informazione dalla nostra regione dell’universo. Dovrei dire che queste sono tesi controverse: molte persone che lavorano sulla gravità quantistica, compresi quasi tutti coloro che sono entrati in questo campo provenendo dalla fisica delle particelle, rifiuterebbero istintivamente l’idea che si possa perdere informazione sullo stato quantico di un sistema. Essi hanno avuto però ben poco successo nei loro tentativi di mostrare come si possano estrarre informazioni da un buco nero. Io credo che saranno infine costretti ad accettare il mio suggerimento che l’informazione è andata perduta, così come sono stati costretti ad ammettere che i buchi neri irraggiano, cosa che era contraria a tutti i loro preconcetti.

Dovrei cominciare col ricordarvi la teoria classica dei buchi neri. Nella lezione scorsa abbiamo visto che la gravità attrae sempre, almeno in situazioni normali. Se la gravità fosse a volte attrattiva e a volte repulsiva, come le cariche elettriche, noi non l’avremmo mai notata, essendo essa circa 1040 volte più debole. Solo grazie al fatto che la gravità ha sempre lo stesso segno, le forze gravitazionali fra le particelle di due corpi macroscopici come noi e la Terra si sommano dando una forza che noi possiamo percepire.

Il fatto che la gravità sia attrattiva significa che tenderà a formare concentrazioni di materia, le quali daranno origine a oggetti come stelle e galassie. Queste possono resistere per un certo tempo alla tendenza a un’ulteriore contrazione grazie alla pressione termica nel caso delle stelle, o alla rotazione e a moti interni nel caso di galassie.

Figura 3.1. Immagine spaziotemporale del collasso di una stella a formare un buco nero; si vedono l’orizzonte degli eventi e una superficie intrappolata chiusa

Figura 3.1. Immagine spaziotemporale del collasso di una stella a formare un buco nero; si vedono l’orizzonte degli eventi e una superficie intrappolata chiusa.

Col tempo, però, il calore o il momento angolare si dissipano e l’oggetto comincia a contrarsi. Se la massa è inferiore a una volta e mezzo circa la massa del Sole, la contrazione può essere arrestata dalla pressione di degenerazione di elettroni o neutroni. L’oggetto si stabilizzerà nella forma, rispettivamente, di una nana bianca o di una stella di neutroni. Se invece la massa è superiore a questo limite, non c’è nulla che possa arrestarne la contrazione e impedirle di continuare a contrarsi. Una volta che il volume di quest’oggetto sia diminuito al di sotto di una certa grandezza critica, il campo gravitazionale alla sua superficie sarà così intenso che i coni di luce saranno orientati verso l’interno, come nella figura 3.1. Mi sarebbe piaciuto darvi un’immagine quadridimensionale ma, a causa dei tagli del governo ai fondi per le università, Cambridge può permettersi solo schermi bidimensionali. Ho mostrato perciò il tempo nella direzione verticale e mi sono servito della prospettiva per mostrare due delle tre dimensioni dello spazio. Potete vedere che persino i raggi che riescono a uscire sono inclinati l’uno verso l’altro e sono perciò convergenti anziché divergenti. Ciò significa che c’è una superficie intrappolata chiusa, che è una delle terze condizioni alternative del teorema di Hawking-Penrose.

Se la congettura della censura cosmica è corretta, la superficie intrappolata e la singolarità che essa predice non possono essere visibili da molto lontano. Dev’esserci quindi una regione dello spazio-tempo da cui non è possibile evadere all’infinito. Questa regione viene detta buco nero. Il suo confine viene chiamato l’orizzonte degli eventi ed è una superficie nulla formata dai raggi di luce che non riescono per un’inezia a sfuggire verso l’esterno. Come abbiamo visto nella lezione scorsa, l’area di una sezione trasversale dell’orizzonte degli eventi non può mai diminuire, almeno nella teoria classica. Questo fatto, e calcoli delle perturbazioni del collasso sferico, suggeriscono che i buchi neri si assesteranno infine in uno stato stazionario. Il teorema dell’assenza di peli, dimostrato dai lavori combinati di Israel, Carter, Robinson e me stesso, mostra che gli unici buchi neri stazionari in assenza di campi materiali sono le soluzioni di Kerr. Queste sono caratterizzate da due parametri, la massa M e il momento angolare J. Il teorema dell’assenza di peli1 fu esteso da Robinson al caso in cui c’era un campo elettromagnetico. Questo determinava l’aggiunta di un terzo parametro, Q, la carica elettrica (vedi finestra). Il teorema dell’assenza di peli non è stato dimostrato per il campo di Yang-Mills, ma l’unica differenza sembra essere l’aggiunta di uno o più numeri interi che etichettano una famiglia discreta di soluzioni instabili. Si può mostrare che non ci sono altri gradi di libertà continui di buchi neri di Einstein-Yang-Mills indipendenti dal tempo.

Immagine 1 Buchi neri quantistici

Teorema dell’assenza di peli. I buchi neri stazionari sono caratterizzati da massa M, momento angolare J e carica elettrica Q.

Quel che mostrano i teoremi dell’assenza di peli è che, quando un corpo collassa a formare un buco nero, va perduta una grande quantità di informazione. Il corpo in preda al collasso gravitazionale è descritto da un numero di parametri molto grande. Ci sono i tipi di materia e i momenti multipolari della distribuzione di massa. Eppure il buco nero che si forma è del tutto indipendente dal tipo di materia e perde rapidamente tutti i momenti multipolari tranne i primi due: il momento di monopolo, che è la massa, e il momento di dipolo, che è il momento angolare.

Questa perdita d’informazione non aveva in realtà molta importanza nella teoria classica. Si potrebbe dire che tutta l’informazione sul corpo collassante era ancora contenuta all’interno del buco nero. Sarebbe molto difficile per un osservatore esterno al buco nero determinare com’era il corpo che sta subendo il collasso gravitazionale. Nella teoria classica questo compito era però ancora possibile in linea di principio. L’osservatore non perdeva mai realmente di vista il corpo collassante. Questo gli sembrava rallentare sempre più il suo movimento e diventare sempre meno luminoso man mano che si avvicinava all’orizzonte degli eventi, ma l’osservatore riusciva ancora a vedere di che cosa era fatto e com’era distribuita la sua massa. La teoria quantistica cambiò però tutto questo. Innanzitutto il corpo in collasso emetteva – prima di attraversare l’orizzonte degli eventi – solo un numero limitato di fotoni, i quali erano del tutto insufficienti a trasportare tutta l’informazione sul corpo stesso. Ciò significa che, nella teoria quantistica, un osservatore esterno non ha alcun modo per misurare lo stato del corpo collassato. Si potrebbe anche non attribuire una grande importanza a questo fatto, dato che l’informazione sarebbe ancora contenuta nel buco nero, nonostante l’impossibilità di misurarla dall’esterno. Ma a questo punto interviene il secondo effetto della teoria quantistica dei buchi neri. Come mostrerò, la teoria quantistica comporta un’irradiazione e perdita di massa dei buchi neri. Pare che essi siano destinati a sparire infine completamente, portando con sé l’informazione contenuta al loro interno. Io addurrò argomenti a sostegno della tesi che quest’informazione va davvero perduta e che non ritorna sotto alcuna forma. Come mostrerò, questa perdita d’informazione introdurrà un nuovo livello di incertezza in fisica, in aggiunta all’indeterminazione abitualmente associata alla teoria quantistica. Purtroppo, diversamente dal principio di indeterminazione di Heisenberg, questo livello extra sarà piuttosto difficile da confermare sperimentalmente nel caso dei buchi neri. Come però sosterrò nella mia terza lezione (capitolo 5), c’è un senso in cui noi potremmo già averlo osservato nelle misurazioni di fluttuazioni nel fondo di radiazione a microonde.

Il fatto che la teoria quantistica si concili con un irraggiamento dei buchi neri fu scoperto la prima volta compiendo studi di teoria quantistica dei campi sullo sfondo di un buco nero formato per collasso. Per vedere come ciò si verifichi è utile usare quelli che vengono chiamati normalmente diagrammi di Penrose. Io penso però che lo stesso Penrose ammetterebbe che sarebbe più giusto chiamarli diagrammi di Carter, poiché fu lo stesso Carter il primo a usarli sistematicamente. In un collasso sferico, lo spazio-tempo non dipenderà dagli angoli θ e ϕ. Tutta la geometria avrà luogo nel piano r-t. Poiché qualsiasi piano bidimensionale è conforme allo spazio piatto, si può rappresentare la struttura causale con un diagramma in cui le linee nulle nel piano r-t sono a ±45° rispetto alla verticale.

Cominciamo dallo spazio di Minkowski piatto, il cui diagramma di Carter-Penrose è un triangolo con un vertice in basso (figura 3.2). I due lati obliqui a destra corrispondono agli infiniti nulli passato e futuro, a cui ho fatto riferimento nella mia prima lezione. Essi sono in realtà all’infinito, ma quando ci si avvicina all’infinito nullo passato o futuro tutte le distanze sono contratte secondo un fattore conforme. Ogni punto di questo triangolo corrisponde a una superficie sferica di raggio r. r = 0 sulla linea verticale a sinistra, la quale rappresenta il centro di simmetria, e r → ∞ sulla destra del diagramma.

Figura 3.2. Il diagramma di Carter-Penrose per lo spazio di Minkowski.

Figura 3.2. Il diagramma di Carter-Penrose per lo spazio di Minkowski.

Dal diagramma si può vedere facilmente che ogni punto nello spazio di Minkowski si trova nel passato dell’infinito nullo futuro I+. Ciò significa che non ci sono alcun buco nero e alcun orizzonte degli eventi. Nel caso, però, del collasso di un corpo sferico, il diagramma è piuttosto diverso (figura 3.3). Esso ha lo stesso aspetto nel passato, ma ora la parte superiore del triangolo è stata tagliata via e sostituita da un confine orizzontale. Questa è la singolarità predetta dal teorema di Hawking-Penrose. Ora si può vedere che sotto questa linea orizzontale ci sono punti che non sono nel passato dell’infinito nullo futuro I+. In altri termini c’è un buco nero. L’orizzonte degli eventi, il confine del buco nero, è una linea diagonale che dall’angolo a destra in alto scende a incontrare la linea verticale corrispondente al centro di simmetria.

Possiamo considerare su questo sfondo un campo scalare ϕ. Se lo spazio-tempo fosse indipendente dal tempo, una soluzione dell’equazione d’onda che contenesse solo frequenze positive su I avrebbe frequenza positiva anche su I+. Non ci sarebbe quindi creazione di particelle e se all’inizio non c’erano particelle scalari non ci sarebbero particelle in uscita su I+.

Figura 3.3. Il diagramma di Carter-Penrose per una stella che subisce il collasso gravitazionale formando un buco nero.

Figura 3.3. Il diagramma di Carter-Penrose per una stella che subisce il collasso gravitazionale formando un buco nero.

Durante il collasso, però, la metrica è dipendente dal tempo. Avremo quindi una soluzione che è a frequenza positiva su I per essere a frequenza parzialmente negativa quando si viene a I+. Si può calcolare questa mescolanza prendendo un’onda con dipendenza dal tempo e–iwu su I+ e propagandola all’indietro fino a I. Quando si fa questo, si trova che la parte dell’onda che passa in prossimità dell’orizzonte è molto spostata verso il blu. Cosa notevole, risulta che la mescolanza è indipendente dai particolari del collasso nel limite di tempi recenti. Essa dipende solo dalla gravità superficiale k, la quale misura l’intensità del campo gravitazionale sull’orizzonte del buco nero. La mescolanza di frequenze positive e negative conduce alla creazione di particelle.

Quando studiai per la prima volta questo effetto nel 1973, mi aspettavo di trovare una forte emissione durante il collasso, ma pensavo che poi la creazione di particelle si sarebbe estinta e che infine sarebbe rimasto un buco nero veramente nero. Con mia grande sorpresa trovai invece che, dopo un’esplosione di emissione di particelle durante il collasso, rimaneva un’attività costante di creazione ed emissione. L’emissione era inoltre esattamente termica, con una temperatura di Immagine 2 Buchi neri quantistici. Questo era esattamente quanto si richiedeva per rendere coerente l’idea che un buco nero avesse un’entropia proporzionale all’area del suo orizzonte degli eventi. Essa fissava inoltre la costante di proporzionalità a un quarto in unità di Planck, in cui G = c = ħ = 1. L’unità di area viene a essere in tal modo di 10–66 cm2, cosicché un buco nero della massa del Sole avrebbe un’entropia dell’ordine di 1078. Ciò rifletterebbe il numero enorme di modi diversi in cui si può ottenere questo risultato:

La radiazione termica del buco nero

Immagine 3 Buchi neri quantistici

Quando io feci la mia scoperta originaria della radiazione dei buchi neri, parve un miracolo che un calcolo piuttosto disordinato dovesse condurre a un’emissione che era esattamente termica. Ricerche eseguite congiuntamente con Jim Hartle e Gary Gibbons ci condussero però a scoprire la ragione profonda di questo stato di cose. Per spiegare ciò che trovammo comincerò con l’esempio della metrica di Schwarzschild.

Metrica di Schwarzschild

Immagine 4 Buchi neri quantistici

Questa rappresenta il campo gravitazionale a cui si assesterebbe un buco nero se non fosse rotante. Nelle coordinate solite r e t c’è un’apparente singolarità in corrispondenza del raggio di Schwarzschild r = 2M. Questa è però causata esclusivamente da una cattiva scelta delle coordinate. Si possono scegliere altre coordinate nelle quali la metrica sia là regolare. Il diagramma di Carter-Penrose ha la forma di un rombo da cui siano state asportate una parte in alto e in basso, trasformandolo in un esagono irregolare (figura 3.4). Esso è diviso in quattro regioni dalle due superfici nulle su cui r = 2M. La regione a destra, segnata Immagine 5 Buchi neri quantistici sul diagramma, è lo spazio asintoticamente piatto in cui si suppone che viviamo noi. Essa ha infiniti nulli passato e futuro I e I+ come lo spazio-tempo piatto. C’è un’altra regione asintoticamente piatta, la Immagine 6 Buchi neri quantistici a sinistra, la quale sembra corrispondere a un altro universo, che è collegato al nostro da un cunicolo. Esso però, come vedremo, è collegato alla nostra regione attraverso il tempo immaginario. La superficie nulla che va dall’angolo in basso a sinistra a quello in alto a destra è il confine della regione da cui si può fuggire all’infinito a destra. Essa è quindi l’orizzonte degli eventi futuro; l’aggettivo futuro è aggiunto per distinguerlo dall’orizzonte degli eventi passato, che va dall’angolo in basso a destra a quello in alto a sinistra.

Figura 3.4. Il diagramma di Carter-Penrose di un buco nero di Schwarzschild eterno

Figura 3.4. Il diagramma di Carter-Penrose di un buco nero di Schwarzschild eterno.

Torniamo ora alla metrica di Schwarzschild nelle coordinate originali r e t. Se si pone t = iτ si ottiene una metrica definita positiva, che chiamerò euclidea, anche se potrebbe essere curva. Anche nella metrica euclidea-di Schwarzschild c’è un’apparente singolarità in r = 2M. Si può però definire una nuova coordinata radiale x pari a 4M (1–2Mr–1)Immagine 7 Buchi neri quantistici.

Metrica euclidea-di Schwarzschild

Immagine 8 Buchi neri quantistici

La metrica nello spazio x – τ diventa allora, se si identifica la coordinata τ con il periodo 8πM, simile all’origine di coordinate polari. In modo analogo, altre metriche euclidee dei buchi neri avranno sui loro orizzonti singolarità apparenti che potranno essere eliminate identificando la coordinata del tempo immaginario col periodo Immagine 9 Buchi neri quantistici (figura 3.5).

Figura 3.5. La soluzione euclidea-di Schwarzschild, in cui τ viene identificato periodicamente

Figura 3.5. La soluzione euclidea-di Schwarzschild, in cui τ viene identificato periodicamente.

Qual è dunque il significato di avere identificato il tempo immaginario con un qualche periodo β? Per rendercene conto, consideriamo l’ampiezza di transizione che intercorre da una qualche configurazione di campo ϕ1 sulla superficie t1 a una configurazione ϕ2 sulla superficie t2. Questa sarà data dall’elemento di matrice di e iH(t2-t1). Si può però anche rappresentare quest’ampiezza come un integrale sui cammini su tutti i campi ϕ fra t1 e t2 che concordano con i campi dati ϕ1 e ϕ2 sulle due superfici (figura 3.6).

Si decide ora che la separazione di tempo (t2 – t1)sia puramente immaginaria e uguale a β (figura 3.7). Si pone anche il campo iniziale ϕ1 uguale al campo finale ϕ2 e si compie la somma su una base completa di stati ϕn. A sinistra si ha il valore di aspettazione di –βH sommato su tutti gli stati. Questa è esattamente la funzione termodinamica di partizione Z alla temperatura Tβ–1.

Nel membro di destra dell’equazione abbiamo un integrale sui cammini. Si pone ϕ1 = ϕ2 e si somma su tutte le configurazioni di campo ϕn. Ciò significa che si sta calcolando l’integrale sui cammini su tutti i campi ϕ su uno spazio-tempo che è identificato periodicamente nella direzione del tempo immaginario con periodo β. Così la funzione di partizione per il campo ϕ alla temperatura T è data da un integrale sui cammini su tutti i campi in uno spazio-tempo euclideo. Questo spazio-tempo è periodico nella direzione del tempo immaginario con periodo β = T–1.

Figura 3.6. L’ampiezza che intercorre fra lo stato ϕ1 in t1 e lo stato ϕ2 in t2.

Figura 3.6. L’ampiezza che intercorre fra lo stato ϕ1 in t1 e lo stato ϕ2 in t2.

Figura 3.7. La funzione di partizione alla temperatura T è data dall’integrale sui cammini su tutti i campi in uno spazio-tempo euclideo con periodo β = T–1 nella direzione del tempo immaginario

Figura 3.7. La funzione di partizione alla temperatura T è data dall’integrale sui cammini su tutti i campi in uno spazio-tempo euclideo con periodo β = T–1 nella direzione del tempo immaginario.

Se si calcola l’integrale sui cammini nello spazio-tempo piatto identificato col periodo β nella direzione del tempo immaginario, si ottiene il risultato abituale per la funzione di partizione della radiazione del corpo nero. Però, come abbiamo appena visto, anche la soluzione euclidea-di Schwarzschild è periodica nel tempo immaginario con periodo Immagine 10 Buchi neri quantistici. Ciò significa che i campi sul fondo di Schwarzschild si comporteranno come se fossero in uno stato termico con temperatura Immagine 11 Buchi neri quantistici.

La periodicità nel tempo immaginario spiegava perché il calcolo disordinato di una miscela di frequenze conducesse a una radiazione che era esattamente termica. Questa derivazione evitava però il problema delle frequenze molto alte che hanno parte nell’approccio della miscela delle frequenze. Essa può essere applicata anche quando ci sono interazioni fra i campi quantici sul fondo. Il fatto che l’integrale sui cammini sia su un fondo periodico implica che tutte le quantità fisiche come i valori di aspettazione siano termiche. Questo fatto sarebbe stato molto difficile da stabilire nell’approccio della miscela delle frequenze.

Si possono estendere queste interazioni a comprendere interazioni col campo gravitazionale stesso. Si prende l’avvio con una metrica di fondo g0come la metrica euclidea-di Schwarzschild, che è una soluzione delle equazioni di campo classiche. Si può poi sviluppare l’azione I in una serie di potenze nelle perturbazioni δg attorno a g0:

I[g] = I[g0] + I2(δ g)2 + I3(δ g)3 + ...

Il termine lineare svanisce perché il fondo è una soluzione delle equazioni di campo. Il termine quadratico può essere considerato una descrizione dei gravitoni sul fondo, mentre il termine cubico e quelli superiori descrivono interazioni fra i gravitoni. L’integrale sui cammini sui termini quadratici è finito. Ci sono divergenze non rinormalizzabili in due loop nella gravità pura, che però si cancellano con i fermioni nelle teorie della supergravità. Non si sa se le teorie della supergravità abbiano divergenze in tre loop o più perché nessuno è stato abbastanza bravo o temerario da tentare il calcolo. Qualche ricerca indica che esse possono essere finite in tutti gli ordini. Ma quand’anche ci fossero divergenze in un numero di loop superiore, esse farebbero ben poca differenza tranne che quando il fondo è curvo alla scala della lunghezza di Planck, di 10-33 cm.

Più interessante dei termini di ordine superiore è il termine di ordine zero, l’azione della metrica di fondo g0:

Immagine 12 Buchi neri quantistici

L’azione usuale di Einstein-Hilbert per la relatività generale è l’integrale di volume della curvatura scalare R. Questo è zero per soluzioni del vuoto, cosicché si potrebbe pensare che l’azione della soluzione euclidea-di Schwarzschild fosse zero. Nell’azione c’è però anche un termine di superficie proporzionale all’integrale di K, la traccia della seconda forma fondamentale della superficie di confine. Quando si include questo termine e si sottrae il termine di superficie per lo spazio piatto, si trova che l’azione della metrica euclidea-di Schwarzschild è Immagine 13 Buchi neri quantistici dove β è il periodo nel tempo immaginario all’infinito. Così il contributo dominante all’integrale sui cammini per la funzione di partizione Z è e Immagine 14 Buchi neri quantistici

Immagine 15 Buchi neri quantistici

Se si differenzia il log Z rispetto al periodo β, si ottiene il valore di aspettazione dell’energia o, in altri termini, della massa:

Immagine 16 Buchi neri quantistici

Abbiamo così la massa M = Immagine 17 Buchi neri quantistici. Ciò conferma la relazione fra la massa e il periodo, o temperatura inversa, che già conosciamo. Si può però andare oltre. In virtù di argomentazioni termodinamiche canoniche, il logaritmo della funzione di partizione è uguale a meno l’energia libera F divisa per la temperatura T:

Immagine 18 Buchi neri quantistici

E l’energia libera è la massa o energia più il prodotto della temperatura per l’entropia S:

F = <E> + TS.

Mettendo assieme tutto questo si vede che l’azione del buco nero dà un’entropia di 4πM2:

Immagine 19 Buchi neri quantistici

Questo è esattamente ciò che si richiede per rendere le leggi dei buchi neri uguali ai princìpi della termodinamica.

Perché si ottiene quest’entropia gravitazionale intrinseca, la quale non ha riscontro in altre teorie quantistiche dei campi? La ragione è che la gravità permette topologie differenti per la varietà spaziotemporale. Nel caso che stiamo considerando, la soluzione euclidea-di Schwarzschild ha un confine all’infinito che ha la topologia S2 × S1. La S2 è una grande superficie sferica di tipo spazio all’infinito, e la S1 corrisponde alla direzione del tempo immaginario, la quale è identificata periodicamente (figura 3.8). Si può completare questo confine con la metrica di almeno due topologie diverse. Una, ovviamente, è la metrica euclidea-di Schwarzschild. Questa ha la topologia R2 × S2, ossia il prodotto del piano bidimensionale euclideo per una sfera bidimensionale. L’altra è R3 × S1, la topologia dello spazio piatto euclideo identificato periodicamente nella direzione del tempo immaginario. Queste due topologie hanno numeri di Eulero diversi. Il numero di Eulero dello spazio piatto identificato periodicamente è zero, mentre quello della soluzione euclidea-di Schwarzschild è due. Ciò significa che sulla topologia dello spazio piatto periodicamente identificato si può trovare una funzione tempo periodica τ il cui gradiente non è da nessuna parte zero e che si concilia con la coordinata del tempo immaginario sul confine all’infinito. Si può allora calcolare l’azione della regione compresa fra due superfici τ1 e τ2. Ci saranno due contributi all’azione: un integrale di volume sulla lagrangiana della materia, più la lagrangiana di Einstein-Hilbert e un termine di superficie. Se la soluzione è indipendente dal tempo, il termine di superficie su τ = τ1 si cancellerà col termine di superficie su τ = τ2. Così l’unico contributo netto al termine di superficie proviene dal confine all’infinito. Questo dà il prodotto di un mezzo della massa per l’intervallo di tempo immaginario (τ2 – τ1). Se la massa è diversa da zero, devono esserci campi materiali diversi da zero a crearla. Si può mostrare che anche la somma dell’integrale di volume sulla lagrangiana della materia più la lagrangiana di Einstein-Hilbert dà Immagine 20 Buchi neri quantistici M (τ2 – τ1). Così l’azione totale è M2 – τ1) (figura 3.9). Se si introduce nelle formule termodinamiche questo contributo al logaritmo della funzione di partizione, si trova che il valore di aspettazione dell’energia è la massa, come ci si attenderebbe. L’entropia fornita dal campo di fondo sarà però zero.

Figura 3.8. Il confine all’infinito nella soluzione euclidea-di Schwarzschild.

Figura 3.8. Il confine all’infinito nella soluzione euclidea-di Schwarzschild.

La situazione, però, è diversa nel caso della soluzione euclidea-di Schwarzschild. Poiché il numero di Eulero è due anziché zero, non si può trovare una funzione tempo τ il cui gradiente sia dappertutto diverso da zero. La cosa migliore da farsi è scegliere la coordinata del tempo immaginario della soluzione di Schwarzschild. Questa ha una sfera bidimensionale fissa all’orizzonte, dove τ si comporta come una coordinata angolare. Se ora si calcola l’azione fra due superfici di τ costante, l’integrale di volume svanisce perché non ci sono campi materiali e perché la curvatura scalare è zero. Anche il termine di superficie traccia K all’infinito dà Immagine 21 Buchi neri quantistici M2 – τ1). Ora c’è però un altro termine di superficie all’orizzonte, dove le superfici τ1 e τ2 si incontrano in un angolo. Si può valutare questo termine di superficie e trovare che anch’esso è uguale a Immagine 22 Buchi neri quantistici M2 – τl) (figura 3.10). L’azione totale per la regione compresa fra t1 e t2 è quindi M2 – τl). Usando quest’azione assieme a τ2 – τ1 = β, si troverebbe che l’entropia è zero. Quando però si considera l’azione della soluzione euclidea-di Schwarzschild da un punto di vista quadridimensionale piuttosto che da 3+1, non c’è ragione di includere un termine di superficie sull’orizzonte perché qui la metrica è regolare. Lasciando fuori il termine di superficie sull’orizzonte si riduce l’azione di un quarto dell’area dell’orizzonte, che è esattamente l’entropia gravitazionale intrinseca del buco nero.

Figura 3.9. L’azione dello spazio piatto di Euclide identificato periodicamente = M(τ2 – τ1).

Figura 3.9. L’azione dello spazio piatto di Euclide identificato periodicamente = M2 – τ1).

Figura 3.10. L’azione totale per la soluzione euclidea-di Schwarzschild = 1/2 M(τ2 – τ1) M(τ2 – τ1), poiché non includiamo il contributo d’angolo da r = 2M.

Figura 3.10. L’azione totale per la soluzione euclidea-di Schwarzschild = Immagine 23 Buchi neri quantistici M2 – τ1), poiché non includiamo il contributo d’angolo da r = 2M.

Il fatto che l’entropia dei buchi neri sia connessa a un’invariante topologica, il numero di Eulero, è un argomento forte a sostegno della tesi che essa sia destinata a restare anche qualora noi dovessimo passare a una teoria più fondamentale. Quest’idea è anatema per la maggior parte dei fisici delle particelle, che sono molto conservatori e vorrebbero rendere tutto simile alla teoria di Yang-Mills. Essi ammettono che la radiazione dei buchi neri sembra essere termica e indipendente dal modo di formazione del buco nero, se questo è grande rispetto alla lunghezza di Planck. Essi sosterrebbero però che, quando il buco nero perde massa e si riduce alla grandezza di Planck, la relatività generale quantistica verrà meno e tutto sarà perduto. Io descriverò però un esperimento concettuale con i buchi neri in cui l’informazione sembra essere perduta e tuttavia la curvatura all’esterno degli orizzonti rimane sempre piccola.

Si sa da qualche tempo che in un campo elettrico forte è possibile creare coppie di particelle di carica positiva e negativa. Un modo per considerare questa situazione è quello di notare che, in un campo elettrico uniforme E nello spazio euclideo piatto, una particella di carica q, come un elettrone, si muoverebbe su un cerchio. Si può considerare analiticamente la prosecuzione di questo moto dal tempo immaginario τ al tempo reale t. Si ottengono allora una coppia di particelle di carica positiva e negativa, le quali si allontanano l’una dall’altra con moto accelerato spinte dal campo elettrico (figura 3.11). Il processo della creazione di coppie viene descritto dividendo a metà i due diagrammi lungo le linee t = 0 o τ = 0. Si unisce poi la metà superiore del diagramma dello spazio di Minkowski alla metà inferiore del diagramma dello spazio euclideo, ottenendo così il diagramma composito della figura 3.12. Otteniamo in tal modo una figura in cui le particelle di carica positiva e di carica negativa sono in realtà la stessa particella. Essa entra per effetto tunnel nello spazio euclideo per passare dall’una all’altra linea d’universo dello spazio di Minkowski. A una prima approssimazione, la probabilità per la creazione di coppie è –I, dove

Immagine 24 Buchi neri quantistici

La creazione di coppie a opera di forti campi elettrici è stata osservata sperimentalmente, e il ritmo di produzione osservato concorda con queste stime.

Figura 3.11. Nello spazio euclideo, un elettrone si muove in un campo elettrico su un cerchio. Nello spazio di Minkowski otteniamo un paio di particelle di carica opposta, che si allontanano l’una dall’altra con moto accelerato.

Figura 3.11. Nello spazio euclideo, un elettrone si muove in un campo elettrico su un cerchio. Nello spazio di Minkowski otteniamo un paio di particelle di carica opposta, che si allontanano l’una dall’altra con moto accelerato.

Figura 3.12. La creazione di coppie è qui descritta unendo metà del diagramma euclideo e metà di quello di Minkowski.

Figura 3.12. La creazione di coppie è qui descritta unendo metà del diagramma euclideo e metà di quello di Minkowski.

Poiché anche i buchi neri possono trasportare cariche elettriche, ci si potrebbe attendere una creazione a coppie anche di questi corpi. Il ritmo della loro creazione sarebbe però piccolo rispetto a quella delle coppie elettrone-positrone perché il rapporto della massa alla carica è 1020 volte maggiore. Ciò significa che qualsiasi campo elettrico sarebbe neutralizzato dalla creazione di coppie elettrone-positrone molto tempo prima che ci fosse una probabilità significativa di creazione di coppie di buchi neri. Ci sono però anche soluzioni di buchi neri con cariche magnetiche. Tali buchi neri non potrebbero essere prodotti per collasso gravitazionale perché non ci sono particelle elementari con una carica magnetica. Ci si attenderebbe però che essi potessero essere creati a coppie in un forte campo magnetico. In questo caso non si avrebbe alcuna competizione da parte della creazione di particelle ordinarie perché queste non trasportano cariche magnetiche. Il campo magnetico potrebbe così diventare abbastanza intenso da consentire una probabilità significativa di creare una coppia di buchi neri magneticamente carichi.

Nel 1976 Ernst trovò una soluzione che rappresentava due buchi neri dotati di carica magnetica che si allontanavano l’uno dall’altro di moto accelerato in un campo magnetico (figura 3.13). Se si continua analiticamente questa situazione nel tempo immaginario, si ha un quadro molto simile a quello della creazione di coppie di elettroni. Il buco nero si muove su un cerchio in uno spazio euclideo curvo (figura 3.14), esattamente come l’elettrone si muove su un cerchio in uno spazio euclideo piatto. Nel caso del buco nero c’è una complicazione, in quanto la coordinata del tempo immaginario è periodica attorno all’orizzonte del buco nero oltre che attorno al centro del cerchio su cui il buco nero si muove. Per rendere uguali questi due periodi si deve adattare il rapporto massa-carica del buco nero. Fisicamente ciò significa scegliere i parametri del buco nero in modo tale che la temperatura del buco nero sia uguale alla temperatura che esso vede a causa della sua accelerazione. La temperatura di un buco nero magneticamente carico tende a zero quando la carica tende alla massa in unità di Planck. Così, per campi magnetici deboli, e quindi per una piccola accelerazione, è sempre possibile far corrispondere i periodi.

Figura 3.13. Una coppia di buchi neri di carica opposta che si allontanano l’uno dall’altro con moto accelerato in un campo magnetico.

Figura 3.13. Una coppia di buchi neri di carica opposta che si allontanano l’uno dall’altro con moto accelerato in un campo magnetico.

Figura 3.14. Un buco nero carico che si muove su un cerchio nello spazio euclideo.

Figura 3.14. Un buco nero carico che si muove su un cerchio nello spazio euclideo.

Come nel caso della creazione a coppie di elettroni e positroni, si può descrivere la creazione di coppie di buchi neri unendo la metà inferiore della soluzione euclidea del tempo immaginario con la metà superiore della soluzione lorentziana del tempo reale (figura 3.15). Si può pensare che il buco nero attraversi per effetto tunnel la regione euclidea, emergendone come una coppia di buchi neri di carica opposta che si allontanano l’uno dall’altro di moto accelerato per effetto dell’azione del campo magnetico. La soluzione dei buchi neri che si muovono di moto accelerato non è asintoticamente piatta in quanto tende a un campo magnetico uniforme all’infinito. La si può tuttavia usare per stimare il ritmo di creazione a coppie dei buchi neri in una regione locale di un campo magnetico. Si potrebbe immaginare che, dopo essere stati creati, i buchi neri si allontanino fino a trovarsi in regioni remote fra loro senza campi magnetici. Si potrebbe allora trattare separatamente ogni buco nero come un buco nero in uno spazio asintoticamente piatto. Si potrebbe gettare in ogni buco nero una quantità arbitrariamente grande di materia e d’informazione. I buchi neri allora irraggerebbero e perderebbero massa, ma non potrebbero perdere carica magnetica perché non ci sono particelle dotate di carica magnetica. Essi finirebbero quindi col tornare al loro stato originario, con la massa leggermente maggiore della carica. Si potrebbero allora riportare assieme i due buchi neri e lasciare che si annichilassero. Il processo di annichilazione può essere considerato l’inverso temporale della creazione di coppie. Esso è quindi rappresentato dalla metà superiore della soluzione euclidea unita alla metà inferiore della soluzione lorentziana. In mezzo fra la creazione e l’annichilazione di coppie si può avere un lungo periodo lorentziano in cui i buchi neri si allontanano fino a una grande distanza l’uno dall’altro, accumulano materia, irraggiano e poi tornano a unirsi. Ma la topologia del campo gravitazionale sarà la topologia della soluzione euclidea-di Ernst. Questa è S2 × S2 meno un punto (figura 3.16).

Figura 3.15. Anche la produzione di buchi neri attraverso l’effetto tunnel è descritta dall’unione di metà del diagramma euclideo con metà del diagramma lorentziano

Figura 3.15. Anche la produzione di buchi neri attraverso l’effetto tunnel è descritta dall’unione di metà del diagramma euclideo con metà del diagramma lorentziano.

L’annichilazione dei buchi neri potrebbe dare la preoccupante impressione di violare il secondo principio generalizzato della termodinamica, in conseguenza della sparizione dell’area dell’orizzonte dei buchi neri. Risulta però che l’area dell’orizzonte di accelerazione nella soluzione di Ernst è ridotta rispetto all’area che esso avrebbe se non ci fosse creazione di coppie. Questo è un calcolo piuttosto delicato perché l’area dell’orizzonte di accelerazione è infinita in entrambi i casi. Tuttavia c’è un senso ben preciso in cui la loro differenza è finita e uguale all’area dell’orizzonte del buco nero più la differenza nell’azione delle soluzioni con e senza creazione di coppie. Si può intendere questo concetto dicendo che la creazione di coppie è un processo a energia zero; l’hamiltoniana con creazione di coppie è uguale all’hamiltoniana senza. Io sono molto grato a Simon Ross e a Gary Horowitz per avere calcolato questa riduzione giusto in tempo per questa lezione. Sono miracoli come questo – intendo il risultato, non il fatto che essi lo abbiano conseguito – a convincermi che la termodinamica dei buchi neri non possa essere solo un’approssimazione a livelli di bassa energia. Io credo che l’entropia gravitazionale non sparirà neppure se dovremo passare a una teoria più fondamentale della gravità quantistica.

Figura 3.16. Una coppia di buchi neri vengono prodotti per effetto tunnel e infine annichilati sempre per effetto tunnel.

Figura 3.16. Una coppia di buchi neri vengono prodotti per effetto tunnel e infine annichilati sempre per effetto tunnel.

Da quest’esperimento mentale si può vedere che quando la topologia dello spazio-tempo è diversa da quella dello spazio piatto minkowskiano si ottengono un’entropia gravitazionale intrinseca e un’intrinseca perdita di informazione. Se i buchi neri creati mediante il meccanismo della produzione di coppie sono grandi rispetto alla grandezza di Planck, la curvatura all’esterno degli orizzonti sarà dovunque piccola rispetto alla scala di Planck. Ciò significa che l’approssimazione da me adottata di ignorare i termini cubici e di livello superiore nelle perturbazioni dovrebbe essere buona. Perciò la conclusione che nei buchi neri si possa perdere informazione dovrebbe essere attendibile.

Se dell’informazione va perduta in buchi neri macroscopici, dovrebbe andare perduta anche in processi in cui appaiono buchi neri microscopici, virtuali, a causa di fluttuazioni quantiche della metrica. Si potrebbe immaginare che particelle e informazione possano cadere in questi buchi neri e andare perdute. Può darsi che sia per questo che ci sono tanti calzini spaiati. Si conserverebbero quantità come l’energia e la carica elettrica, che sono accoppiate a campi di gauge, mentre andrebbero perdute altre informazioni e la carica globale. Ciò avrebbe implicazioni di grande portata per la teoria quantistica.

Normalmente si suppone che un sistema in uno stato quantico puro si evolva in un modo unitario attraverso una successione di stati quantici puri. Se però c’è perdita d’informazione in conseguenza dell’apparizione e sparizione di buchi neri, non può esserci un’evoluzione unitaria. La perdita d’informazione significherà invece che lo stato finale dopo la sparizione dei buchi neri sarà un cosiddetto stato quantico misto. Questo può essere considerato un insieme di stati quantici puri, ognuno dei quali con la propria probabilità. Poiché però esso non si trova con certezza in un qualche stato preciso, non si può ridurre a zero la probabilità dello stato finale interferendo con un qualsiasi stato quantico. Ciò significa che la gravità introduce in fisica un nuovo livello di imprevedibilità, al di là dell’indeterminazione abitualmente associata alla teoria quantistica. Nella lezione seguente (capitolo 5) mostrerò che noi potremmo avere già osservato questa imprevedibilità extra. Ciò comporta la fine della speranza del determinismo scientifico che si possa prevedere il futuro con certezza. Pare che Dio abbia ancora qualche asso nella manica (figura 3.17).

Figura 3.17

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1 Il teorema dell’«assenza di peli» fu dimostrato negli anni Settanta da Stephen Hawking, Brandon Carter, Werner Israel e David C. Robinson nell’ambito dello studio dell’analogia fra le proprietà dei buchi neri e il secondo principio della termodinamica (quello dell’entropia). L’«assenza dei peli» si riferisce immaginificamente (e scherzosamente) al fatto che, nel collasso che conduce alla trasformazione di un corpo in un buco nero, si perde una grande quantità di informazione («i peli»), conservandosi solo massa, momento angolare e carica elettrica. Ciò significa che non si può risalire da un buco nero al corpo che gli ha dato origine, poiché lo stesso buco nero potrebbe essere il risultato del collasso di una qualsiasi di numerose configurazioni di materia diverse. [N.d.T.]

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Teoria quantistica e spazio-tempo

di Roger Penrose

Le grandi teorie fisiche del XX secolo sono state la teoria quantistica, la relatività ristretta, la relatività generale e la teoria quantistica dei campi. Queste teorie sono legate l’una all’altra: la relatività generale fu costruita sulla base della relatività ristretta e la teoria quantistica dei campi si fonda sulla relatività ristretta e sulla teoria quantistica (vedi la figura 4.1).

Qualcuno ha sostenuto che la teoria quantistica dei campi sia la teoria fisica più esatta mai esistita, potendo vantare un margine di imprecisione di circa 1:1011. Vorrei però sottolineare che è stata verificata, in un certo senso chiaro, la precisione della relatività generale, la quale è risultata avere un margine d’errore non superiore a 1:1014 (e a quanto pare il limite dipende semplicemente dal grado di precisione degli orologi sulla Terra). Mi riferisco alla pulsar binaria di Hulse-Taylor PSR 1913+16, un paio di stelle di neutroni in orbita attorno a un baricentro comune, una delle quali è una pulsar. La relatività generale predice un graduale rimpicciolimento della sua orbita (e un conseguente lento accorciamento del suo periodo) a causa della perdita di energia attraverso l’emissione di onde gravitazionali. Questo fenomeno è stato effettivamente osservato, e l’intera descrizione del moto – che include a un estremo della scala le orbite newtoniane, con correzioni della relatività generale nella parte di mezzo, per arrivare all’altro estremo all’accelerazione orbitale dovuta alla radiazione gravitazionale – concorda con la relatività generale (comprendente secondo me la teoria newtoniana), col margine d’errore notevolmente piccolo segnalato sopra su un periodo accumulato di vent’anni. Gli scopritori di questo sistema hanno ora giustamente ricevuto il premio Nobel per il loro lavoro. I teorici quantistici hanno sempre sostenuto che, in conseguenza della precisione della loro teoria, si dovrebbe modificare la relatività generale per adattarla a essa, ma oggi io penso che sia piuttosto la teoria quantistica dei campi a doversi sottoporre a qualche ritocco.

Figura 4.1. Le grandi teorie fisiche del XX secolo e i loro problemi fondamentali.

Figura 4.1. Le grandi teorie fisiche del XX secolo e i loro problemi fondamentali.

Benché le quattro teorie menzionate abbiano avuto un successo notevole, non sono senza problemi. La teoria quantistica dei campi ha il problema che, ogni volta che si calcola l’ampiezza per un diagramma molteplicemente connesso di Feynman, ne risultano infiniti. Questi infiniti devono essere eliminati nel corso del processo di rinormalizzazione della teoria mediante sottrazioni o ridefinizioni di scala. La relatività generale predice l’esistenza di singolarità dello spazio-tempo. Nella teoria quantistica c’è il «problema della misurazione», di cui mi occuperò in seguito. Si può ritenere che la soluzione dei vari problemi che affliggono queste teorie si trovi nel fatto che, prese a sé, sono incomplete. Per esempio, molti prevedono che la teoria quantistica dei campi eliminerà in qualche modo le singolarità della relatività generale. I problemi di divergenza nella teoria quantistica dei campi potrebbero essere risolti in parte da un cut-off dell’ultravioletto dalla relatività generale. Io credo che anche il problema della misurazione sarà infine risolto quando la relatività generale e la teoria quantistica saranno combinate in modo appropriato in una qualche nuova teoria.

Vorrei ora parlare della perdita di informazione nei buchi neri, che sostengo sia pertinente a quest’ultimo problema. Sono d’accordo con quasi tutto ciò che Stephen ha da dire sull’argomento. Mentre però Stephen considera la perdita d’informazione dovuta ai buchi neri un’incertezza di più in fisica, al di là dell’indeterminazione della teoria quantistica, io la considero un’indeterminazione «complementare». Vorrei spiegare che cosa intendo dicendo questo. In uno spazio-tempo con un buco nero, si può vedere come abbia luogo la perdita di informazione costruendo un diagramma di Carter dello spazio-tempo (figura 4.2). L’«informazione in ingresso» è specificata sull’infinito nullo passato I e l’«informazione in uscita» sull’infinito nullo futuro I+. Si potrebbe dire che l’informazione mancante va perduta quando cade oltre l’orizzonte del buco nero, ma io preferisco considerarla perduta quando incontra la singolarità. Consideriamo ora il collasso di un corpo materiale a formare un buco nero, seguito dall’evaporazione del buco nero per opera della radiazione di Hawking. (Per poter osservare il verificarsi di questo fenomeno si dovrebbe certamente attendere molto tempo, forse un tempo più lungo dell’età dell’universo!) Sono d’accordo con Stephen che in questo quadro del collasso e dell’evaporazione del buco nero l’informazione va perduta. Possiamo disegnare un diagramma di Carter anche di quest’intero spazio-tempo (figura 4.3).

La singolarità all’interno del buco nero è di tipo spazio e ha una grande curvatura di Weyl, in accordo con quanto abbiamo visto nella mia lezione precedente (capitolo 2). Può darsi che una piccola quantità di informazione sfugga, al momento dell’evaporazione del buco nero, da un residuo di singolarità (che, appartenendo al passato di futuri osservatori esterni, avrà poca o nessuna curvatura di Weyl), ma questo piccolo guadagno di informazione sarà molto minore della perdita d’informazione nel collasso (in quello che io considero un quadro ragionevole quanto qualsiasi altro della scomparsa finale del buco nero). Se, per fare un esperimento concettuale, noi chiudiamo questo sistema in una grande scatola, possiamo considerare l’evoluzione dello spazio delle fasi della materia all’interno della scatola.

Figura 4.2. Diagramma di Carter del collasso di un buco nero.

Figura 4.2. Diagramma di Carter del collasso di un buco nero.

Figura 4.3. Diagramma di Carter dell’evaporazione di un buco nero.

Figura 4.3. Diagramma di Carter dell’evaporazione di un buco nero.

Nella regione dello spazio delle fasi corrispondente a situazioni in cui è presente un buco nero, le traiettorie dell’evoluzione fisica convergeranno e i volumi che seguono queste traiettorie si contrarranno. Di questi sviluppi è responsabile la perdita d’informazione nella singolarità nel buco nero. Questa contrazione è in diretta contraddizione col teorema della meccanica classica ordinaria noto come teorema di Liouville, il quale dice che i volumi nello spazio delle fasi rimangono costanti. (Questo è un teorema classico. A rigore, dovremmo considerare un’evoluzione quantistica nello spazio di Hilbert. La violazione del teorema di Liouville corrisponderebbe quindi a un’evoluzione non unitaria.) Lo spazio-tempo di un buco nero viola dunque questa conservazione. A mio modo di vedere, però, questa perdita di volume dello spazio delle fasi è controbilanciata da un processo di misurazione quantica «spontanea» in cui si guadagna informazione e i volumi dello spazio delle fasi aumentano. Ecco perché io considero l’indeterminazione dovuta alla perdita d’informazione nei buchi neri «complementare» all’indeterminazione nella teoria quantistica: l’una è il rovescio della medaglia dell’altra (figura 4.4).

Si potrebbe dire che le singolarità passate trasportano poca informazione, mentre le singolarità future ne trasportano molta. Questo è ciò che è alla base del secondo principio della termodinamica. L’asimmetria presente in queste singolarità è connessa anche all’asimmetria del processo di misurazione. Torniamo dunque al problema della misurazione nella teoria quantistica.

Figura 4.4. La perdita di volume dello spazio delle fasi si verifica quando è presente un buco nero. Essa potrebbe essere controbilanciata dal riacquisto di volume dello spazio delle fasi dovuto al collasso della funzione d’onda (o riduzione del vettore di stato) R.

Figura 4.4. La perdita di volume dello spazio delle fasi si verifica quando è presente un buco nero. Essa potrebbe essere controbilanciata dal riacquisto di volume dello spazio delle fasi dovuto al collasso della funzione d’onda (o riduzione del vettore di stato) R.

Per illustrare i princìpi della teoria quantistica si può usare il problema delle due fenditure. In questa situazione si proietta un fascio di luce su una parete opaca nella quale si aprono due fenditure A e B, ottenendo una figura d’interferenza di bande chiare e scure su uno schermo retrostante. I singoli fotoni raggiungono lo schermo in punti discreti, ma a causa delle bande di interferenza ci sono punti sullo schermo che non possono essere raggiunti. Poniamo che p sia uno di tali punti; esso potrebbe tuttavia essere raggiunto dalla luce se venisse chiusa una delle due fenditure. L’interferenza distruttiva di questo tipo, in cui possibilità alternative possono talvolta cancellarsi, è uno fra i caratteri più sconcertanti della meccanica quantistica. Noi la comprendiamo nei termini del principio di sovrapposizione della teoria quantistica, il quale dice che, se per il fotone sono possibili la via A e la via B, con i rispettivi stati fotonici denotati da | A〉 e | B〉 – e supponiamo che queste siano vie che il fotone potrebbe prendere per giungere in p, passando prima per l’una o per l’altra delle due fenditure –, è possibile anche una combinazione z | A〉 + w | B〉, dove z e w sono numeri complessi.

Non è appropriato considerare w e z come se fossero comunque delle probabilità, giacché essi sono numeri complessi. Lo stato del fotone è esattamente tale sovrapposizione complessa. L’evoluzione unitaria di un sistema quantico (che chiamerò U) preserva le sovrapposizioni: se zA0 + wB0 è una sovrapposizione nel tempo t = 0, allora, dopo un tempo t, essa si sarà evoluta in zAt + wBt, dove At e Bt rappresentano le evoluzioni separate delle due possibilità alternative dopo il tempo t. Alla misurazione di un sistema quantico, in cui le possibilità quantiche alternative sono ingrandite per dare risultati classici distinguibili, appare aver luogo un tipo diverso di «evoluzione», chiamata riduzione del vettore di stato o «collasso della funzione d’onda» (la chiamerò R). Le probabilità entrano in gioco solo quando il sistema viene «misurato» in questo senso, e le probabilità relative per il verificarsi dei due eventi sono di |z|2 : |w|2.

U e R sono processi molto diversi: U è deterministico, lineare, locale (nello spazio delle configurazioni) e simmetrico nel tempo. R è non deterministico, decisamente non lineare, non locale, e asimmetrico nel tempo. Questa differenza fra i due processi evolutivi fondamentali nella teoria quantistica è notevole. È estremamente improbabile che R possa mai essere dedotto come un’approssimazione a U(anche se spesso qualcuno tenta di farlo). Questo è il «problema della misurazione».

R, in particolare, è asimmetrico nel tempo. Supponiamo che un fascio di luce proveniente da una sorgente di fotoni L venga proiettato su uno specchio argentato solo per metà, con un’angolazione di 45° verso il basso, e che dietro lo specchio sia situato un rivelatore D (figura 4.5).

Poiché lo specchio è argentato solo per metà, c’è una sovrapposizione di stati trasmessi e riflessi. Essa conduce a una probabilità del 50 per cento che un qualsiasi fotone individuale attivi il rivelatore anziché essere assorbito dal pavimento del laboratorio. Questo 50 per cento è la risposta alla domanda: «Se L emette un fotone, qual è la probabilità che D lo riceva?». La risposta a questo tipo di domanda è determinata dalla regola R. Noi potremmo però anche domandare: «Se D riceve un fotone, qual è la probabilità che esso sia stato emesso da L?». Si potrebbe pensare che sia possibile calcolare le probabilità come abbiamo fatto in precedenza. U è simmetrico nel tempo; perché dunque non dovrebbe valere la stessa cosa per R? Applicata al passato, però, la regola R (rovesciata nel tempo) non dà le giuste probabilità. La risposta a questa domanda è determinata in effetti da una considerazione del tutto diversa, ossia il secondo principio della termodinamica – qui applicata alla parete – e l’asimmetria è dovuta in ultima analisi all’asimmetria dell’universo nel tempo. Aharonov, Bergmann e Leibowitz (1964) hanno mostrato come inserire il processo di misurazione in una cornice simmetrica nel tempo. Secondo la loro proposta, l’asimmetria temporale di R deriverebbe dall’asimmetria delle condizioni al contorno nel futuro e nel passato. Questa cornice di riferimento generale è anche quella adottata da Griffiths (1984), Omnés (1992) e Gell-Mann e Hartle (1990). Poiché l’origine del secondo principio della termodinamica può essere ricondotta all’asimmetria nella struttura della singolarità spaziotemporale, questa relazione suggerisce che il problema della misurazione della teoria quantistica e il problema delle singolarità della relatività generale siano connessi. Ricordiamo il suggerimento da me fatto nella lezione scorsa (capitolo 2) che la singolarità iniziale ha pochissima informazione e un tensore di Weyl evanescente, mentre la singolarità finale (o le singolarità finali o l’infinito) contiene grandi quantità di informazione e ha un tensore di Weyl divergente (nel caso di singolarità).

Figura 4.5. Un semplice esperimento da cui si desume che le probabilità quantiche intrinseche in R non si applicano nella direzione di tempo inversa.

Figura 4.5. Un semplice esperimento da cui si desume che le probabilità quantiche intrinseche in R non si applicano nella direzione di tempo inversa.

Per rendere la mia posizione più chiara per quanto concerne il rapporto fra la teoria quantistica e la relatività generale, vorrei discutere ora che cosa intendiamo con l’espressione realtà quantica. È vero che il vettore di stato è «reale», o è «reale» la matrice densità? La matrice densità rappresenta la nostra conoscenza incompleta dello stato e contiene quindi due tipi di probabilità: l’incertezza classica e la probabilità quantistica. Possiamo scrivere la matrice densità come

Immagine 1 Teoria quantistica e spazio-tempo

dove le pi sono probabilità, numeri reali soggetti a Σpi= 1, e ogni |ψi〉 è normalizzato all’unità. Questa è una miscela probabilistica pesata di stati. Qui le |ψi〉 non devono essere necessariamente ortogonali, e Npuò essere più grande della dimensione dello spazio di Hilbert. Vorrei considerare come esempio un esperimento del tipo EPR (Einstein-Podolsky-Rosen) in cui una particella di spin zero, in quiete al centro dell’esperimento, decade in due particelle di spin 1/2. Queste volano via in direzioni opposte e vengono rilevate «qua» e «là», dove «là» potrebbe essere molto lontano da «qua», per esempio sulla Luna. Noi scriviamo il vettore di stato come una sovrapposizione di possibilità:

Immagine 2 Teoria quantistica e spazio-tempo

dove |quassù〉 è uno stato con lo spin della particella «qua» puntato nella direzione «su», e via dicendo. Supponiamo ora che la direzione z dello spin sia stata misurata sulla Luna senza che noi conosciamo il risultato di quest’operazione. Lo stato qua è descritto allora dalla matrice densità

Immagine 3 Teoria quantistica e spazio-tempo

Alternativamente, la direzione x dello spin potrebbe essere stata misurata sulla Luna. Riscrivendo il vettore di stato (4.1) come

Immagine 4 Teoria quantistica e spazio-tempo

otteniamo la matrice densità ora appropriata:

Immagine 5 Teoria quantistica e spazio-tempo

la quale è in effetti uguale alla (4.2). Se però il vettore di stato descrive la realtà, la matrice densità non dice che cosa sta accadendo. Essa fornisce solo i risultati della misurazione eseguita «qua» purché noi non sappiamo che cosa sta accadendo «là». In particolare, io potrei ricevere una lettera dalla Luna contenente informazioni sulla natura e il risultato della misurazione eseguita là. Così, se io posso (in linea di principio) ottenere questa informazione, allora devo descrivere l’intero sistema (aggrovigliato) con un vettore di stato.

In generale, ci sono molti modi diversi di scrivere una data matrice densità come una miscela probabilistica di stati. Inoltre, in virtù di un teorema dovuto a Hughston, Jozsa e Wooters (1993), per una qualsiasi matrice densità, ottenuta in questo modo come il passato «qua» di un sistema EPR, e per qualsiasi interpretazione di questa matrice densità come una miscela probabilistica di stati, esiste sempre una misurazione «là», la quale dà origine esattamente a questa particolare interpretazione della matrice densità «qua» come miscela probabilistica.

D’altro canto si potrebbe sostenere che la matrice densità descrive una realtà che, come la intendo io, è più vicina alla concezione di Stephen, quando è presente un buco nero.

John Bell designò una volta la descrizione standard del processo di riduzione del vettore di stato come FAPP, che è un acronimo per For All Practical Purposes (a tutti i fini pratici). Secondo questo procedimento standard, potremmo scrivere il vettore di stato totale come

| ψtot〉=w |quassù〉|?〉+z|quaggiù〉|?'〉,

dove |?〉 e |?’〉 denotano le cose nell’ambiente, fuori delle nostre misurazioni. Se le informazioni nell’ambiente vanno perdute, la matrice densità è la cosa migliore che possiamo fare:

D=|w|2|quassù〉〈quassù| + |z|2|quaggiù〉〈quaggiù|.

Ammettendo che non fosse più possibile recuperare le informazioni dall’ambiente, noi «potremmo anche» (a tutti i fini pratici) considerare lo stato come |quassù〉 o |quaggiù〉, con probabilità, rispettivamente, |w|2 e |z|2.

Ci occorre però ancora un altro assunto, poiché la matrice densità non ci dice di quali stati essa sia fatta. Per spiegare questo punto consideriamo l’esperimento concettuale del gatto di Schrödinger. L’esperimento, da me leggermente modificato, descrive la triste sorte di un gatto chiuso in una scatola, dove una sorgente di luce emette un fotone che incontra uno specchio semiargentato; questo scinde la funzione d’onda del fotone in due parti, una delle quali viene riflessa mentre l’altra viene lasciata passare dallo specchio verso un rivelatore; se questo capta il fotone, aziona una pistola che uccide il gatto, mentre se non lo capta la pistola non spara e il gatto rimane vivo e vegeto. (So che Stephen non accetta che si maltrattino i gatti, neppure in un esperimento mentale!) La funzione d’onda del sistema è una sovrapposizione di queste due possibilità:

w|gatto morto〉|sparo〉+ z|gatto vivo〉|niente sparo〉,

dove |sparo〉 e |niente sparo〉 si riferiscono a stati ambientali.

Nella concezione dei molti universi della meccanica quantistica avremmo (ignorando l’ambiente)

w|gatto morto〉|so che il gatto è morto〉+
+z|gatto vivo〉|so che il gatto è vivo〉,

(4.3)

dove gli stati |so che...〉 si riferiscono allo stato mentale dello sperimentatore. Ma perché la nostra percezione non ci permette di percepire sovrapposizioni macroscopiche di stati come questi, e non solo le possibilità alternative macroscopiche «il gatto è morto» e «il gatto è vivo»? Per esempio, nel caso Immagine 6 Teoria quantistica e spazio-tempo, possiamo riscrivere lo stato (4.3) come la sovrapposizione:

Immagine 7 Teoria quantistica e spazio-tempo

Così, a meno che abbiamo qualche ragione per escludere «stati della percezione» come (|so che il gatto è morto〉 + |so che il gatto è vivo〉/ Immagine 8 Teoria quantistica e spazio-tempo, non siamo più vicini di prima alla soluzione.

Lo stesso tipo di cosa si applica all’ambiente e (di nuovo nel caso Immagine 9 Teoria quantistica e spazio-tempo, per esempio) possiamo riscrivere la matrice densità come la sovrapposizione

Immagine 10 Teoria quantistica e spazio-tempo

la quale ci dice che il punto di vista della «decoerenza a opera dell’ambiente» non spiega perché il gatto sia semplicemente vivo o morto.

Non voglio qui procedere oltre in una discussione di problemi di coscienza o di decoerenza. A mio giudizio, la soluzione del problema della misurazione va cercata altrove. Vorrei suggerire che qualcosa va storto nelle sovrapposizioni delle geometrie alternative dello spazio-tempo che si verificherebbero quando comincia a essere coinvolta la relatività generale. Può darsi che una sovrapposizione di due geometrie diverse sia instabile, e che decada in una delle due possibilità alternative. Per esempio, le geometrie potrebbero essere gli spazi-tempi di un gatto vivo o di un gatto morto. Io chiamo questo decadere nell’una onell’altra possibilità alternativa riduzione obiettiva, che mi piace come nome perché ha un acronimo molto bello e appropriato, OR (che in inglese significa «o»). Quale relazione ha con ciò la lunghezza di Planck di 10–33 cm? Il criterio della natura per determinare quando due geometrie siano significativamente diverse sarebbe la scala di Planck, la quale fissa la scala di tempo alla quale si verifica la riduzione nelle possibilità alternative.

Possiamo dare un giorno di libertà al gatto e ripensare al problema dello specchio semiargentato, ponendo però che questa volta la rilevazione di un fotone attivi il movimento di una massa consistente da un luogo a un altro (figura 4.6). Potremmo evitare di preoccuparci del problema della riduzione di stato nel rivelatore se la massa si trovasse in una delicata situazione di equilibrio instabile sul ciglio di un burrone, così che la semplice spinta del fotone fosse sufficiente a farla precipitare! Quand’è che viene messa in movimento una parte della massa abbastanza grande perché la sovrapposizione delle due possibilità alternative diventi insostenibile? La gravità può fornire una risposta in proposito, come in effetti sto proponendo qui (cfr. Penrose 1993, 1994; inoltre Diósi 1989; Ghirardi, Grassi e Rimini 1990). Per calcolare il tempo di decadimento, secondo lo schema qui proposto, consideriamo l’energia E che si dovrebbe spendere per spostare un esempio della massa, muovendola lontano da coincidenze nel campo gravitazionale dell’altra, fino a quando queste due localizzazioni della massa forniscono la sovrapposizione di massa in considerazione. Io suggerisco che la scala temporale del collasso del vettore di stato di questa sovrapposizione sia dell’ordine di

Figura 4.6. Il gatto di Schrödinger (a), e una versione più umana del famoso esperimento (b).

Figura 4.6. Il gatto di Schrödinger (a), e una versione più umana del famoso esperimento (b).

Immagine 11 Teoria quantistica e spazio-tempo

Per un nucleone sarebbero circa 108 anni, cosicché l’instabilità non sarebbe osservabile negli esperimenti attuali. Per una particella d’acqua di 10–5 cm di diametro, invece, il collasso impiegherebbe circa due ore. Se la particella avesse un diametro di 10–4 cm, il collasso impiegherebbe circa 1/10 di secondo, mentre per un diametro di 10–3 cm il collasso del vettore di stato avrebbe luogo in soli 10–6 cm sec. Questi tempi valgono quando la particella è isolata dall’ambiente; il decadimento è accelerato dai movimenti di massa nell’ambiente stesso. I piani per risolvere problemi di misurazione di questa sorta nella teoria quantistica tendono a incorrere in problemi di conservazione dell’energia e di localizzazione. Ma nella relatività generale c’è un’indeterminazione intrinseca nell’energia della gravità, particolarmente in relazione a come questa contribuirebbe allo stato sovrapposto. Nella relatività generale l’energia della gravità è non locale: l’energia potenziale gravitazionale contribuisce (negativamente) in modo non locale all’energia totale, e onde gravitazionali possono trasportare energia non locale (positiva) via da un sistema. In certe circostanze persino lo spazio-tempo piatto può contribuire all’energia totale. L’indeterminazione dell’energia nello stato sovrapposto di due localizzazioni di massa, qual è considerata qui, si concilia (in virtù dell’indeterminazione di Heisenberg) col decadimento del tempo (4.4).

DOMANDE E RISPOSTE

Il professor Hawking ha detto che il campo gravitazionale è in qualche modo più speciale degli altri campi. Lei che cosa ne pensa?

Certamente il campo gravitazionale è speciale. In qualche modo c’è un’ironia nella storia dell’argomento: Newton iniziò la fisica con la teoria della gravità e questa teoria fu il paradigma originale per tutte le altre interazioni fisiche. Ora risulta però che la gravità è in realtà nettamente diversa da tutte le altre interazioni. La gravità è l’unica forza che influisce sulla causalità, con profonde implicazioni relativamente ai buchi neri e alla perdita di informazione.

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Cosmologia quantistica

di Stephen W. Hawking

Nella mia terza lezione passerò a considerare la cosmologia. In passato si era soliti considerare questa disciplina una pseudoscienza e la riserva di fisici che potevano aver compiuto un lavoro utile in gioventù, ma che nel loro rimbambimento avevano ceduto alle lusinghe di un pensiero più mistico. Due ragioni potevano spiegare questo stato di cose: la prima era un’assenza quasi totale di osservazioni attendibili. Fino agli anni Venti, in effetti, pressoché l’unica osservazione cosmologica importante era il fatto che di notte il cielo è buio, ma in generale non si rendeva conto dell’importanza di questa osservazione. In anni recenti, però, grazie ai nuovi sviluppi nella tecnologia, la varietà e la qualità delle osservazioni cosmologiche sono migliorate enormemente. Perciò quest’obiezione contro la cosmologia come scienza, di non avere una base d’osservazione, non è oggi più valida.

C’è però una seconda obiezione, più seria. La cosmologia non è in grado di fare alcuna previsione sull’universo, a meno di fare qualche assunto sulle condizioni iniziali. Senza un tale assunto, tutto ciò che si può dire è che oggi le cose sono come sono perché in passato sono state come sono state. Tuttavia molti credono che la scienza dovrebbe occuparsi solo delle leggi locali che governano il modo in cui l’universo si evolve nel tempo. Essi tenderebbero a pensare che le condizioni al contorno per l’universo, che determinano come l’universo stesso ebbe inizio, siano state una questione di metafisica o di religione piuttosto che di scienza.

La situazione fu peggiorata dai teoremi dimostrati da Roger e me. Questi mostravano che, secondo la relatività generale, nel nostro passato dovrebbe esserci una singolarità. In questa singolarità le equazioni di campo non potevano essere definite. Così la relatività generale determina la propria caduta: essa predice di non poter predire l’universo.

Benché molte persone abbiano accolto di buon grado questa conclusione, essa mi ha sempre profondamente turbato. Se le leggi della fisica hanno potuto venir meno all’inizio dell’universo, perché non potrebbero venir meno in una qualsiasi circostanza? Nella teoria quantistica c’è il principio che può accadere qualsiasi cosa che non sia assolutamente proibita. Una volta che si ammetta che storie singolari potrebbero avere parte nell’integrale sui cammini, esse potrebbero accadere in qualsiasi circostanza e la prevedibilità scomparirebbe completamente. Se le leggi della fisica vengono meno nelle singolarità, potrebbero venir meno in qualsiasi circostanza.

L’unica condizione perché si possa avere una teoria scientifica è che le leggi della fisica valgano sempre e ovunque, compreso l’inizio dell’universo. Si può considerare questo fatto un trionfo per i princìpi della democrazia: perché l’inizio dell’universo dovrebbe non essere soggetto alle leggi che si applicano agli altri punti? Se tutti i punti sono uguali non si può accettare che alcuni siano più uguali degli altri.

Per realizzare l’idea che le leggi della fisica valgano dappertutto, si dovrebbe prendere l’integrale sui cammini solo su metriche non singolari. Si sa, nel caso dell’integrale sui cammini ordinario, che la misura è concentrata su cammini non differenziabili. Questi sono però il completamento, in qualche topologia idonea, dell’insieme dei cammini differenziabili con un’azione ben definita. Similmente, ci aspetteremmo che l’integrale sui cammini per la gravità quantistica dovrebbe essere preso sul completamento dello spazio di metriche regolari. Ciò che l’integrale sui cammini non può includere sono le metriche con singolarità la cui azione non sia definita.

Nel caso dei buchi neri, abbiamo visto che l’integrale sui cammini dovrebbe essere preso su metriche euclidee, ossia su metriche definite positive. Ciò significa che le singolarità dei buchi neri, come la soluzione di Schwarzschild, non appaiono nelle metriche euclidee, non entrano all’interno dell’orizzonte. L’orizzonte è invece simile all’origine di coordinate polari. L’azione della metrica euclidea è perciò ben definita. Si potrebbe considerare questa situazione alla stregua di una versione quantistica della censura cosmica: il venir meno della struttura in una singolarità non dovrebbe incidere su alcuna misurazione fisica.

Pare, perciò, che l’integrale sui cammini per la gravità quantistica dovrebbe essere preso su metriche euclidee non singolari. Ma quali dovrebbero essere le condizioni al contorno in queste metriche? Ci sono due, e solo due, scelte naturali. La prima è quella rappresentata dalle metriche che si approssimano alla metrica piatta euclidea all’esterno di un insieme compatto. La seconda possibilità è quella di metriche in varietà che sono compatte e senza confine.

Scelte naturali per l’integrale sui cammini per la gravità quantistica

1.Metriche asintoticamente euclidee.

2.Metriche compatte senza confine.

La prima classe di metriche asintoticamente euclidee è ovviamente appropriata per calcoli sulla diffusione (figura 5.1). In questi eventi si ipotizzano particelle in ingresso dall’infinito e si osserva quali particelle vengono a loro volta emesse verso l’infinito. Tutte le misurazioni vengono eseguite all’infinito, dove si ha una metrica di fondo piatta e dove si possono interpretare piccole fluttuazioni nei campi come particelle nel modo solito. Non ci si chiede che cosa accada nella regione delle interazioni in centro. Ecco perché si prende un integrale sui cammini su tutte le storie possibili per la regione delle interazioni, ossia su tutte le metriche asintoticamente euclidee.

Figura 5.1. Nel calcolo di un evento di diffusione, misuriamo le particelle in ingresso e quelle in uscita all’infinito, cosicché abbiamo bisogno di studiare metriche asintoticamente euclidee.

Figura 5.1. Nel calcolo di un evento di diffusione, misuriamo le particelle in ingresso e quelle in uscita all’infinito, cosicché abbiamo bisogno di studiare metriche asintoticamente euclidee.

Figura 5.2. Le misurazioni cosmologiche vengono eseguite in una regione finita, cosicché dobbiamo considerare due tipi di metriche asintoticamente euclidee: connesse (in alto) e sconnesse (in basso).

Figura 5.2. Le misurazioni cosmologiche vengono eseguite in una regione finita, cosicché dobbiamo considerare due tipi di metriche asintoticamente euclidee: connesse (in alto) e sconnesse (in basso).

In cosmologia, però, si è interessati a misurazioni che vengono fatte in una regione finita, più che all’infinito. Noi ci troviamo all’interno dell’universo, non lo guardiamo dall’esterno. Per vedere quale differenza comporti questo fatto, supponiamo innanzitutto che l’integrale sui cammini per la cosmologia debba essere preso su tutte le metriche asintoticamente euclidee. Ci sarebbero quindi due contributi a probabilità per misurazioni in una regione finita. Il primo sarebbe fornito da metriche asintoticamente euclidee connesse. Il secondo verrebbe da metriche sconnesse formate da uno spazio-tempo compatto contenente la regione delle misurazioni e da una metrica asintoticamente euclidea separata (figura 5.2). Non si possono escludere dall’integrale sui cammini metriche sconnesse perché esse possono essere approssimate da metriche connesse in cui i diversi componenti siano uniti da sottili tubi o cunicoli di azione trascurabile.

Regioni compatte sconnesse dello spazio-tempo non influiranno sui calcoli di fenomeni di diffusione perché non sono connesse all’infinito, dove vengono compiute tutte le misurazioni. Esse incideranno però sulle misurazioni in cosmologia, che vengono compiute in una regione finita. In effetti i contributi forniti da tali metriche sconnesse domineranno sui contributi di metriche asintoticamente euclidee connesse. Così, anche se si considerasse che l’integrale sui cammini per la cosmologia dovesse essere preso su tutte le metriche asintoticamente euclidee, l’effetto sarebbe quasi lo stesso che se l’integrale sui cammini venisse preso su tutte le metriche compatte. Pare perciò più naturale ritenere che l’integrale sui cammini per la cosmologia venga preso su tutte le metriche compatte senza confine, come proponemmo Jim Hartle e io (Hartle e Hawking 1983).

La proposta dell’assenza di confine (Hartle e Hawking)

L’integrale sui cammini per la gravità quantistica dovrebbe essere preso su tutte le metriche euclidee compatte.

Si può parafrasare questa proposta dicendo che la condizione al contorno dell’universo è che esso non ha contorno o confine.

Nella parte restante di questa lezione mostrerò che questa proposta dell’assenza di confine sembra spiegare l’universo in cui viviamo: un universo isotropo e omogeneo in espansione, con piccole perturbazioni. Noi possiamo osservare lo spettro e le statistiche di queste perturbazioni nelle fluttuazioni del fondo a microonde. I risultati finora ottenuti concordano con le predizioni della proposta dell’assenza di confini. Avremo una reale verifica della proposta e dell’intero programma della gravità quantistica euclidea quando le osservazioni del fondo a microonde saranno estese a scale angolari minori.

Per usare la proposta dell’assenza di confini al fine di formulare previsioni, è utile introdurre un concetto che possa descrivere lo stato dell’universo in un determinato tempo. Consideriamo la probabilità che la varietà dello spazio-tempo M contenga una varietà tridimensionale interna ∑, con metrica indotta hij. Essa è data da un integrale sui cammini su tutte le metriche gab su M che inducono hij su ∑. Se M è semplicemente connesso, come supporrò, la superficie ∑ dividerà M in due parti M+ e M (figura 5.3).

Figura 5.3. La superficie ∑ divide la varietà compatta, con connessione semplice, M in due parti, M+ e M–.

Figura 5.3. La superficie ∑ divide la varietà compatta, con connessione semplice, M in due parti, M+ e M.

Immagine 1 Cosmologia quantistica

In questo caso, la probabilità che ∑ abbia la metrica hijpuò essere fattorizzata. Essa è il prodotto di due funzioni d’onda Ψ+ e Ψ. Queste sono date da integrali sui cammini su tutte le metriche, rispettivamente, su M+ e M, che inducono la data metrica tridimensionale hij su ∑.

Immagine 2 Cosmologia quantistica

Nella maggior parte dei casi le due funzioni d’onda saranno uguali e io lascerò cadere gli apici + e . Ψ viene detto la funzione d’onda dell’universo. Se ci sono campi materiali ϕ, la funzione d’onda dipenderà anche dai loro valori ϕ0 su ∑. Essa non dipenderà però esplicitamente dal tempo perché in un universo chiuso non c’è una coordinata temporale preferita. La proposta dell’assenza di confine implica che la funzione d’onda dell’universo sia data da un integrale sui cammini su campi in una varietà compatta M+ il cui unico confine è la superficie ∑ (figura 5.4). L’integrale sui cammini è preso in tutte le metriche e i campi materiali su M+ che concordano con la metrica hij e con i campi materiali ϕ0 su ∑.

Figura 5.4. La funzione d’onda è data da un integrale sui cammini su M+

Figura 5.4. La funzione d’onda è data da un integrale sui cammini su M+.

Si può descrivere la posizione della superficie ∑ con una funzione τ di tre coordinate xi su ∑. Ma la funzione d’onda definita dall’integrale sui cammini non può dipendere da τ o dalla scelta delle coordinate xi. Ciò implica che la funzione d’onda Ψ debba obbedire a quattro equazioni differenziali funzionali. Tre di queste equazioni sono chiamate i vincoli sulla quantità di moto.

Equazioni dei vincoli sulla quantità di moto

Immagine 3 Cosmologia quantistica

Esse esprimono il fatto che la funzione d’onda dovrebbe essere la stessa per metriche tridimensionali hij diverse che possono essere ottenute l’una dall’altra per mezzo di trasformazioni delle coordinate xi. La quarta equazione è chiamata l’equazione di Wheeler-De Witt.

Equazione di Wheeler-De Witt

Immagine 4 Cosmologia quantistica

Essa corrisponde all’indipendenza della funzione d’onda da τ. La si può pensare come l’equazione di Schrödinger per l’universo. Ma non c’è alcun termine contenente la derivata rispetto al tempo perché la funzione d’onda non dipende esplicitamente dal tempo.

Per stimare la funzione d’onda dell’universo, si può usare l’approssimazione del punto di sella all’integrale sui cammini come nel caso dei buchi neri. Si trova una metrica euclidea g0 sulla varietà M+ che soddisfa le equazioni di campo e induce la metrica hijsul confine ∑. Si può poi sviluppare l’azione in una serie di potenze attorno alla metrica di fondo g0.

Immagine 5 Cosmologia quantistica

Come prima, il termine «lineare» nelle perturbazioni svanisce. Il termine quadratico può essere considerato come quello che dà il contributo dei gravitoni nel fondo e i termini di ordine superiore come quelli che danno le interazioni fra i gravitoni. Queste possono essere ignorate quando il raggio di curvatura del fondo è grande se paragonato alla scala di Planck. Perciò,

Immagine 6 Cosmologia quantistica

Per vedere come sia la funzione d’onda possiamo servirci di un esempio semplice. Consideriamo una situazione in cui non ci siano campi materiali ma in cui ci sia una costante cosmologica positiva Λ. Poniamo che la superficie ∑ sia una sfera tridimensionale e che la metrica hij sia la metrica di una sfera tridimensionale di raggio a. Allora la varietà M+ limitata da ∑ può essere considerata una sfera quadridimensionale. La metrica che soddisfa le equazioni di campo fa parte di una sfera quadridimensionale di raggio Immagine 7 Cosmologia quantistica, dove Immagine 8 Cosmologia quantistica. L’azione è:

Immagine 9 Cosmologia quantistica

Per una sfera tridimensionale ∑ di raggio inferiore a Immagine 10 Cosmologia quantisticaci sono due soluzioni euclidee possibili: M+ può essere meno o più di un emisfero (figura 5.5). Ci sono però argomenti i quali mostrano che si dovrebbe scegliere la soluzione corrispondente a meno di un emisfero.

La figura seguente (figura 5.6) mostra il contributo alla funzione d’onda derivante dall’azione della metrica g0. Quando il raggio di ∑ è inferiore a Immagine 11 Cosmologia quantistica, la funzione d’onda cresce esponenzialmente come Immagine 12 Cosmologia quantistica. Quando però a è maggiore di Immagine 13 Cosmologia quantistica, si può continuare analiticamente il risultato per a minore, e ottenere una funzione d’onda che oscilla molto rapidamente.

Si può interpretare questa funzione d’onda nel modo seguente. La soluzione nel tempo reale delle equazioni di Einstein con un termine Λ e con una simmetria massimale è lo spazio di de Sitter. Questo può essere incluso come un iperboloide nello spazio pentadimensionale di Minkowski.

Figura 5.5. Le due possibili soluzioni euclidee M+ con confine ∑, e le loro azioni.

Figura 5.5. Le due possibili soluzioni euclidee M+ con confine ∑, e le loro azioni.

Immagine 14 Cosmologia quantistica

Figura 5.6. La funzione d’onda come funzione del raggio di ∑.

La metrica lorentziana-di de Sitter

Immagine 15 Cosmologia quantistica

Lo si può pensare come un universo chiuso che si contrae da una grandezza infinita a un raggio minimo e poi si espande di nuovo esponenzialmente. La metrica può essere scritta nella forma di un universo di Fridman con fattore di scala coshHt. Ponendo τ = it si converte il cosh in cos, cosa che dà la metrica euclidea su una sfera quadridimensionale di raggio Immagine 16 Cosmologia quantistica.

La metrica euclidea

Immagine 17 Cosmologia quantistica

Così si ottiene l’idea che una funzione d’onda che varia esponenzialmente con la metrica tridimensionale hij corrisponda a una metrica euclidea del tempo immaginario. D’altra parte, una funzione d’onda che oscilla rapidamente corrisponde a una metrica lorentziana del tempo reale.

La creazione spontanea di un universo in espansione esponenziale può essere descritta in modo molto simile a quello della creazione a coppie di buchi neri. A tale scopo si unisce la metà inferiore della sfera quadridimensionale euclidea alla metà superiore dell’iperboloide lorentziano (figura 5.7). Diversamente che nella creazione a coppie di buchi neri, non si potrebbe dire che l’universo di de Sitter sia stato creato dall’energia di campo in uno spazio preesistente. Esso sarebbe stato invece creato del tutto letteralmente dal nulla: non solo dal vuoto, ma proprio dal nulla, perché fuori dell’universo non c’è nulla. Nel regime euclideo, l’universo di de Sitter è solo uno spazio chiuso simile alla superficie della Terra ma con due dimensioni in più. Se la costante cosmologica è piccola rispetto al valore di Planck, la curvatura della sfera quadridimensionale euclidea dovrebbe essere piccola. Ciò significherà che l’approssimazione del punto di sella all’integrale sui cammini dovrebbe essere buona e che sul calcolo della funzione d’onda dell’universo non dovrebbe incidere la nostra ignoranza di ciò che accade a curvature molto alte.

Si possono risolvere le equazioni di campo anche per metriche al contorno che non siano esattamente la metrica della sfera tridimensionale. Se il raggio della sfera tridimensionale è inferiore a Immagine 18 Cosmologia quantistica, la soluzione è una metrica euclidea reale. L’azione sarà reale e la funzione d’onda sarà smorzata esponenzialmente rispetto alla sfera tridimensionale dello stesso volume. Se il raggio della sfera tridimensionale è maggiore di questo raggio critico, ci saranno due soluzioni complesse coniugate, e la funzione d’onda oscillerà rapidamente con piccoli mutamenti in hij.

Figura 5.7. La produzione di un universo in espansione per effetto tunnel può essere descritta unendo metà della soluzione euclidea a metà di quella lorentziana.

Figura 5.7. La produzione di un universo in espansione per effetto tunnel può essere descritta unendo metà della soluzione euclidea a metà di quella lorentziana.

Qualsiasi misurazione compiuta in cosmologia può essere formulata nei termini della funzione d’onda. Così la proposta dell’assenza di confini trasforma la cosmologia in una scienza perché permette di predire il risultato di qualsiasi misurazione. Il caso che abbiamo appena considerato, dell’assenza di campi materiali e dell’esistenza solo di una costante cosmologica, non corrisponde all’universo in cui viviamo. Tuttavia è un esempio utile, sia perché è un modello semplice che può essere risolto in modo abbastanza esplicito sia perché, come vedremo, sembra corrispondere alle fasi iniziali dell’universo.

Benché la cosa non risulti chiara dalla funzione d’onda, un universo di de Sitter ha proprietà termiche piuttosto simili a quelle di un buco nero. Lo si può vedere scrivendo la metrica di de Sitter in una forma statica piuttosto simile alla soluzione di Schwarzschild.

Forma statica della metrica di de Sitter

Immagine 19 Cosmologia quantistica

C’è un’evidente singolarità in Immagine 20 Cosmologia quantistica. Però, come nella soluzione di Schwarzschild, la si può eliminare per mezzo di una trasformazione di coordinate ed essa corrisponde a un orizzonte degli eventi. Lo si può vedere dal diagramma di Carter-Penrose a pagina precedente, che è un quadrato. La linea tratteggiata verticale a sinistra rappresenta il centro di simmetria sferica, dove il raggio r delle superfici sferiche si riduce a zero. Un altro centro di simmetria sferica è rappresentato dalla linea tratteggiata verticale a destra. Le linee orizzontali in alto e in basso rappresentano l’infinito futuro e l’infinito passato, che in questo caso sono di tipo spazio. La linea diagonale dall’angolo a sinistra in alto a quello a destra in basso è il confine del passato di un osservatore situato nel centro di simmetria di sinistra. Perciò lo si può chiamare il suo orizzonte degli eventi. Un osservatore la cui linea d’universo terminasse in un luogo diverso sull’infinito futuro avrebbe però un orizzonte degli eventi diverso. Perciò nello spazio di de Sitter gli orizzonti sono un fatto personale.

Se torniamo alla forma statica della metrica di de Sitter e poniamo τ = it, otteniamo una metrica euclidea. Sull’orizzonte c’è un’evidente singolarità. Definendo però una nuova coordinata radiale e identificando τ col periodo Immagine 21 Cosmologia quantistica, si ottiene una metrica euclidea regolare che è esattamente la sfera quadridimensionale. Poiché la coordinata del tempo immaginario è periodica, lo spazio di de Sitter e tutti i campi quantici in esso si comporteranno come se fossero a una temperatura Immagine 22 Cosmologia quantistica. Come vedremo, possiamo osservare le conseguenze di questa temperatura nelle fluttuazioni nel fondo a microonde. Si possono applicare all’azione della soluzione euclidea-di de Sitter anche argomentazioni simili a quelle già usate nel caso dei buchi neri. Si trova che essa ha un’entropia intrinseca di Immagine 23 Cosmologia quantistica, che è un quarto dell’area dell’orizzonte degli eventi. Di nuovo, quest’entropia si presenta per una ragione topologica: il numero di Eulero della sfera quadridimensionale è due. Ciò significa che nello spazio euclideo-di de Sitter non può esserci una coordinata temporale globale. Si può interpretare quest’entropia cosmologica come un riflesso del fatto che l’osservatore non ha una conoscenza dell’universo al di là del proprio orizzonte degli eventi.

Immagine 24 Cosmologia quantistica

Lo spazio di de Sitter non è un buon modello dell’universo in cui viviamo perché è vuoto e si espande esponenzialmente. Noi osserviamo che l’universo contiene materia e dal fondo a microonde e dalle abbondanze degli elementi leggeri deduciamo che in passato dev’essere stato molto più caldo e più denso di quanto non sia oggi. Lo schema esplicativo più semplice in accordo con le nostre osservazioni è noto col nome di «modello del Big Bang caldo» (figura 5.8). In questo scenario l’universo inizia la sua esistenza in una singolarità piena di radiazione a una temperatura infinita. Man mano che esso si espande, la radiazione si raffredda e la sua densità di energia diminuisce. Infine la densità dell’energia della radiazione diventa inferiore a quella della materia non relativistica, e l’espansione diventa dominata dalla materia. Noi possiamo però ancora osservare i residui della radiazione in un fondo di radiazione a microonde alla temperatura di circa 3°K, ossia di 3 gradi Kelvin al di sopra dello zero assoluto.

La difficoltà, nel caso del modello del Big Bang caldo, è la stessa di ogni cosmologia che non ha una teoria delle condizioni iniziali: esso non è in grado di fare predizioni. Poiché in una singolarità la relatività generale perde la sua validità, dal Big Bang potrebbe uscire qualsiasi cosa. Perché dunque l’universo è così omogeneo e isotropo a grande scala, e tuttavia ha irregolarità locali come le galassie e le stelle? E perché è così vicino alla linea di divisione fra un’espansione indefinita e un arresto e inversione del suo moto fino al collasso finale nel Big Crunch? Per essere così vicini a tale linea come siamo oggi, la velocità di espansione nel lontano passato dev’essere stata scelta con una precisione fantastica. Se un secondo dopo il Big Bang la velocità di espansione fosse stata inferiore di uno su 1010 rispetto a quella reale, l’universo sarebbe stato distrutto dal collasso gravitazionale dopo qualche milione di anni; se invece fosse stata maggiore di una parte su 1010, dopo qualche milione di anni l’universo sarebbe stato essenzialmente vuoto. In nessuno dei due casi si sarebbero avute condizioni di stabilità abbastanza a lungo per permettere lo sviluppo della vita. Per spiegare dunque perché l’universo sia così com’è, si dovrebbe perciò o fare appello al principio antropico o trovare una qualche spiegazione fisica.

Figura 5.8. Il raggio e la temperatura dell’universo come funzione del tempo nel modello del Big Bang caldo.

Figura 5.8. Il raggio e la temperatura dell’universo come funzione del tempo nel modello del Big Bang caldo.

Il modello del Big Bang caldo non spiega perché:

1.L’universo è quasi omogeneo e isotropo ma con piccole perturbazioni.

2.L’universo si espande a una velocità quasi esattamente uguale alla velocità critica per evitare l’inversione dell’espansione in un collasso finale.

Alcuni hanno sostenuto che la cosiddetta inflazione elimina il bisogno di una teoria delle condizioni iniziali. L’idea è che l’universo potrebbe avere avuto inizio nel Big Bang in uno stato qualsiasi, o quasi. In quelle parti dell’universo in cui vigevano condizioni adatte si sarebbe avuto un periodo di espansione esponenziale chiamata inflazione. Questa non solo avrebbe accresciuto la grandezza della regione di un fattore enorme di 1030 o più, ma l’avrebbe anche lasciata omogenea e isotropa e in espansione esattamente alla velocità critica per evitare l’inversione dell’espansione nel collasso. La vita intelligente si sarebbe sviluppata solo nelle regioni in cui ha avuto luogo l’inflazione. Non dovremmo perciò sorprenderci se la nostra regione è omogenea e isotropa e sta espandendosi esattamente alla velocità critica.

L’inflazione da sola, però, non può spiegare lo stato presente dell’universo. Possiamo rendercene conto prendendo uno stato qualsiasi per l’universo attuale e considerando poi la sua evoluzione a ritroso nel passato. Purché esso contenga abbastanza materia, i teoremi della singolarità implicherebbero che ci sia stata una singolarità in passato. Si potrebbe assumere che le condizioni iniziali dell’universo al Big Bang siano le condizioni iniziali di questo modello. In questo modo si può mostrare che condizioni iniziali arbitrarie al Big Bang possono condurre a qualsiasi stato oggi. Non si può neppure sostenere che la maggior parte degli stati iniziali conducano a uno stato come quello che osserviamo oggi: la misura naturale sia delle condizioni iniziali che conducono a un universo come il nostro sia di quelle che non conducono a esso è infinita. Non si può perciò affermare che quelle appartenenti a una categoria siano più numerose di quelle appartenenti all’altra.

D’altro canto, nel caso della gravità con una costante cosmologica ma senza campi materiali abbiamo visto che la condizione dell’assenza di confine potrebbe condurre a un universo prevedibile nei limiti della teoria quantistica. Tale particolare modello non descriveva l’universo in cui viviamo, che è pieno di materia e ha una costante cosmologica nulla o molto piccola. Si può però ottenere un modello più realistico lasciando cadere la costante cosmologica e comprendendo nel modello campi materiali. In particolare, pare che occorra un campo scalare ϕ con potenziale V(ϕ). Supporrò che V abbia un valore minimo di zero in ϕ = 0. Un esempio semplice sarebbe un campo scalare massivo Immagine 25 Cosmologia quantistica (figura 5.9). Dal tensore energiaquantità di moto si può vedere che se il gradiente di ϕ è piccolo, V(ϕ) agisce come un’effettiva costante cosmologica.

Tensore energia-quantità di moto di un campo scalare

Immagine 26 Cosmologia quantistica

La funzione d’onda dipenderà ora dal valore ϕ0 di ϕ su ∑, oltre che dalla metrica indotta hij. Si possono risolvere le equazioni di campo per metriche di piccole sfere tridimensionali e per grandi valori di ϕ0. La soluzione con tale confine è approssimativamente parte di una sfera quadridimensionale e di un campo ϕ quasi costante. Questo caso è simile a quello di de Sitter, col potenziale V0) che svolge il ruolo della costante cosmologica. Similmente, se il raggio a della sfera tridimensionale è un po’ maggiore del raggio della sfera quadridimensionale euclidea, ci saranno due soluzioni complesse coniugate.

Figura 5.9. Il potenziale per un campo scalare massivo.

Figura 5.9. Il potenziale per un campo scalare massivo.

Queste saranno simili all’unione di metà della sfera quadridimensionale euclidea e di una soluzione lorentziana-di de Sitter, con ϕ quasi costante. Così la proposta dell’assenza di confine predice la creazione spontanea di un universo in espansione esponenziale in questo modello come nel caso di de Sitter.

Possiamo ora considerare l’evoluzione di questo modello. Diversamente che nel caso di de Sitter, l’universo non proseguirà indefinitamente la sua espansione esponenziale. Il campo scalare diminuirà lungo il pendio del potenziale V fino al suo minimo in ϕ = 0. Se però il valore iniziale di ϕ è maggiore del valore di Planck, il ritmo della diminuzione sarà lento rispetto alla scala temporale dell’espansione. Così l’universo si espanderà quasi esponenzialmente di un grande fattore. Quando il campo scalare sarà sceso al primo ordine, comincerà a oscillare attorno a ϕ = 0. Per la maggior parte dei potenziali V, le oscillazioni saranno rapide rispetto al tempo dell’espansione. Di norma si suppone che in queste oscillazioni del campo scalare l’energia si convertirà in coppie di altre particelle e che riscalderà l’universo. Ciò dipende, però, da un assunto sulla freccia del tempo. Tornerò su quest’argomento fra breve.

L’espansione esponenziale di un grande fattore avrebbe lasciato l’universo con una velocità di espansione quasi esattamente uguale a quella critica. La proposta dell’assenza di confine può quindi spiegare perché l’universo sia ancora così vicino alla velocità di espansione critica. Per vedere che cosa essa predica per l’omogeneità e l’isotropia dell’universo, si devono considerare tre metriche hij che sono perturbazioni della metrica della sfera tridimensionale. Le si può sviluppare nei termini di armoniche sferiche. Queste sono di tre tipi: armoniche scalari, armoniche vettoriali e armoniche tensoriali. Le armoniche vettoriali corrispondono esattamente a mutamenti delle coordinate xi su successive sfere tridimensionali e non svolgono alcun ruolo dinamico. Le armoniche tensoriali corrispondono a onde gravitazionali nell’universo in espansione, mentre le armoniche scalari corrispondono in parte a una libertà da coordinate e in parte a perturbazioni della densità.

Armoniche tensoriali – onde gravitazionali.

Armoniche vettoriali – gauge.

Armoniche scalari – perturbazioni della densità.

Si può scrivere la funzione d’onda Ψ come un prodotto di una funzione d’onda Ψ0 per una metrica di una sfera tridimensionale di raggio a moltiplicata per le funzioni d’onda per i coefficienti delle armoniche:

Immagine 27 Cosmologia quantistica

Si può poi sviluppare l’equazione di Wheeler-De Witt per la funzione d’onda a tutti gli ordini nel raggio a e nel campo scalare medio Immagine 28 Cosmologia quantistica ma al primo ordine nelle perturbazioni. Si ottiene una serie di equazioni di Schrödinger per la rapidità del mutamento delle funzioni d’onda delle perturbazioni relativamente alla coordinata tempo della metrica del fondo.

Equazioni di Schrödinger

Immagine 29 Cosmologia quantistica

Si può usare la condizione dell’assenza di confine per ottenere condizioni iniziali per le funzioni d’onda delle perturbazioni. Si risolvono le equazioni di campo per una sfera tridimensionale piccola ma lievemente distorta. Si ottiene in tal modo la funzione d’onda delle perturbazioni nel periodo di espansione esponenziale. La si può allora sviluppare usando l’equazione di Schrödinger.

Le armoniche tensoriali corrispondenti a onde gravitazionali sono le più semplici da considerare. Esse non hanno alcun grado di libertà di gauge e non interagiscono direttamente con le perturbazioni materiali. Si può usare la condizione dell’assenza di confine per risolvere la funzione d’onda iniziale dei coefficienti dn delle armoniche tensoriali nella metrica perturbata.

Stato fondamentale

Immagine 30 Cosmologia quantistica

Si trova che essa è la funzione d’onda dello stato fondamentale per un oscillatore armonico alla frequenza delle onde gravitazionali. Al proseguire dell’espansione dell’universo la frequenza calerà. Finché la frequenza è maggiore della rapidità di espansione a/a, l’equazione di Schrödinger permetterà alla funzione d’onda di rilassarsi adiabaticamente e il modo resterà nel suo stato fondamentale. Infine, però, la frequenza scenderà al di sotto del ritmo di espansione, che è grosso modo costante durante l’espansione esponenziale. Quando ciò accade, l’equazione di Schrödinger non riuscirà più a cambiare la funzione d’onda abbastanza rapidamente da permetterle di restare nello stato fondamentale quando la frequenza cambia. Essa si congelerà invece nella forma che aveva quando la frequenza scese al di sotto del ritmo di espansione.

Una volta terminata l’espansione esponenziale, il ritmo di espansione diminuirà più rapidamente della frequenza del modo. Ciò equivale a dire che l’orizzonte degli eventi di un osservatore, il reciproco della rapidità di espansione, aumenta più velocemente della lunghezza d’onda del modo. La lunghezza d’onda diventerà quindi più lunga dell’orizzonte durante il periodo d’inflazione, tornando all’interno dell’orizzonte in un tempo successivo (figura 5.10). Quando ciò avviene, la lunghezza d’onda sarà ancora la stessa di quando si congelò. La frequenza, però, sarà molto inferiore. La funzione d’onda corrisponderà perciò a uno stato altamente eccitato piuttosto che allo stato fondamentale, a cui corrispondeva quando si congelò. Queste eccitazioni quantiche dei modi delle onde gravitazionali produrranno nel fondo a microonde fluttuazioni angolari, la cui ampiezza è la rapidità di espansione (in unità di Planck) all’epoca in cui la funzione d’onda si congelò. Così l’osservazione di fluttuazioni, di una parte su 105, nel fondo a microonde da parte del Cosmic Background Explorer (COBE) fissa un limite superiore di circa 10–10 in unità di Planck alla densità dell’energia quando la funzione d’onda si congelò. Questo limite è così basso che le approssimazioni da me usate dovrebbero risultare esatte.

Figura 5.10. La lunghezza d’onda e il raggio dell’orizzonte come funzione del tempo nell’inflazione.

Figura 5.10. La lunghezza d’onda e il raggio dell’orizzonte come funzione del tempo nell’inflazione.

Ma le armoniche tensoriali delle onde gravitazionali forniscono solo un limite superiore alla densità al tempo del congelamento. La ragione va vista nel fatto che, a quanto risulta, le armoniche scalari danno una fluttuazione maggiore nel fondo a microonde. Nella metrica tridimensionale hij ci sono due gradi di libertà nelle armoniche scalari, e una nel campo scalare. Due di questi gradi scalari corrispondono però alla libertà delle coordinate. C’è quindi solo un grado fisico di libertà scalare, e corrisponde a perturbazioni di densità.

L’analisi per le perturbazioni scalari è molto simile a quella per le armoniche tensoriali se si usa una scelta di coordinate per il periodo fino al congelamento della funzione d’onda e un’altra per il periodo seguente. Nella conversione da un sistema di coordinate all’altro, le ampiezze vengono moltiplicate per un fattore della rapidità di espansione diviso per la rapidità media del mutamento di ϕ. Questo fattore dipenderà dalla pendenza del potenziale, ma sarà di almeno dieci per potenziali ragionevoli. Ciò significa che le fluttuazioni nel fondo a microonde prodotte dalle perturbazioni di densità saranno almeno dieci volte maggiori rispetto a quelle delle onde gravitazionali. Il limite superiore per la densità dell’energia al tempo del congelamento della funzione d’onda è quindi solo di 10–12 della densità di Planck. Questo limite è nettamente all’interno dell’ambito della validità delle approssimazioni che ho usato. Pare quindi che non abbiamo bisogno di una teoria delle stringhe neppure per l’inizio dell’universo.

Lo spettro delle fluttuazioni con scala angolare concorda, entro il margine di precisione delle osservazioni attuali, con la predizione che esso dovrebbe essere quasi indipendente dalla scala. E la grandezza delle perturbazioni della densità è esattamente quella richiesta per spiegare la formazione delle galassie e delle stelle. Pare così che la proposta dell’assenza di confine possa spiegare l’intera struttura dell’universo, comprese piccole disomogeneità come noi stessi.

predizioni del COBE perturbazioni delle onde gravitazionalilimite superiore alla densità dell’energia 10–10 densità di Planck
più perturbazioni della densitàlimite superiore alla densità dell’energia 10–12 densità di Planck
temperatura gravitazionale intrinseca dell’universo primordialetemperatura di Planck 10–6 = 1026 gradi

Si può pensare che le perturbazioni nel fondo di radiazione a microonde derivino da fluttuazioni termiche nel campo scalare ϕ. Il periodo inflazionario ha una temperatura della rapidità di espansione di oltre 2π essendo approssimativamente periodico nel tempo immaginario. Così, in un certo senso, non abbiamo bisogno di trovare un piccolo buco nero primordiale: abbiamo già osservato una temperatura gravitazionale intrinseca di circa 1026 gradi, ossia 10–6 della temperatura di Planck.

Figura 5.11. Un osservatore può vedere solo parte di una qualsiasi superficie ∑

Figura 5.11. Un osservatore può vedere solo parte di una qualsiasi superficie ∑.

Che cosa si può dire dell’entropia intrinseca associata all’orizzonte degli eventi cosmologico? Possiamo osservarla? Io penso che possiamo e che essa corrisponda al fatto che oggetti come galassie e stelle sono oggetti classici, anche se sono formati da fluttuazioni quantiche. Se si osserva l’universo su una superficie di tipo spazio ∑ che copre a un tempo l’intero universo, esso si trova in un singolo stato quantico descritto dalla funzione d’onda Ψ. Noi non possiamo però mai vedere più di metà di ∑ e ignoriamo del tutto l’aspetto dell’universo al di là del cono di luce del nostro passato. Ciò significa che, nel calcolare le probabilità per le osservazioni, dobbiamo sommare tutte le possibilità per la parte di ∑ che non osserviamo (figura 5.11). L’effetto della somma è quello di cambiare la parte dell’universo che osserviamo da un singolo stato quantico a un cosiddetto stato misto, un insieme statistico di diverse possibilità. Una tale decoerenza, come viene detta, è necessaria se un sistema deve comportarsi in un modo classico anziché in un modo quantistico. Normalmente le persone cercano di spiegare la decoerenza per mezzo di interazioni con un sistema esterno, come per esempio un apporto di calore, che non è misurato. Nel caso dell’universo non c’è alcun sistema esterno, ma io suggerirei che la ragione per cui noi osserviamo un comportamento classico è che possiamo vedere solo parte dell’universo. Si potrebbe pensare che in futuro diventerà possibile vedere l’intero universo e che l’orizzonte degli eventi scomparirà. Ma non è così. La proposta dell’assenza di confine implica che l’universo sia spazialmente chiuso. Un universo chiuso invertirà la sua espansione e subirà un collasso generale prima che un osservatore abbia il tempo di vedere tutto l’universo. Io ho tentato di mostrare che l’entropia di un tale universo sarebbe un quarto dell’area dell’orizzonte degli eventi al tempo della massima espansione (figura 5.12). Attualmente, però, sto ottenendo un fattore di Immagine 31 Cosmologia quantistica piuttosto che di Immagine 32 Cosmologia quantistica. È chiaro che o sono sulla strada sbagliata o mi manca qualcosa.

Figura 5.12. L’universo collasserà fino alla singolarità finale prima che l’osservatore possa vederlo nella sua totalit

Figura 5.12. L’universo collasserà fino alla singolarità finale prima che l’osservatore possa vederlo nella sua totalità.

Concluderò questa lezione occupandomi di un argomento su cui Roger e io abbiamo opinioni molto diverse: la freccia del tempo. C’è una distinzione molto chiara fra le direzioni in avanti e all’indietro del tempo nella nostra regione dell’universo. Per rendersi conto della differenza basta guardare un film proiettato all’indietro. Invece di vedere una tazzina che cade da un tavolo e si rompe, si vedrebbero cocci che si ricompongono in una tazzina integra, la quale salta sul tavolo. Che bello se la vita fosse così.

Le leggi locali a cui i campi fisici obbediscono sono simmetriche nel tempo o, più esattamente, sono CPT-invarianti (ossia invarianti rispetto alla coniugazione particella-antiparticella, alla riflessione spaziale, o parità, P, e alla riflessione temporale T). La differenza osservata fra il passato e il futuro deve quindi provenire dalle condizioni al contorno dell’universo. Supponiamo che l’universo sia spazialmente chiuso e che si espanda fino a raggiungere dimensioni massime, dopo di che comincerà a contrarsi. Come ha sottolineato Roger, l’universo sarà molto diverso ai due estremi di questa storia. In corrispondenza di quello che noi chiamiamo l’inizio dell’universo, pare che esso fosse molto omogeneo e regolare. Nella futura fase di collasso verso il Big Crunch ci attendiamo che esso diventi molto disordinato e irregolare. Poiché le configurazioni disordinate sono molto più numerose di quelle ordinate, ciò significa che le condizioni iniziali dovrebbero essere state incredibilmente precise.

Figura 5.13. L’ipotesi del tensore di Weyl per distinguere i due estremi dell’universo.

Figura 5.13. L’ipotesi del tensore di Weyl per distinguere i due estremi dell’universo.

Pare, perciò, che ai due estremi del tempo debbano esserci condizioni al contorno molto diverse. Roger suggerisce che il tensore di Weyl dovrebbe svanire a un estremo del tempo ma non all’altro. Il tensore di Weyl è quella parte della curvatura dello spazio-tempo che non è determinata localmente dalla materia attraverso le equazioni di Einstein. Esso dovrebbe essere stato piccolo negli stati iniziali omogenei, ordinati, mentre dovrebbe essere grande nell’universo in collasso. Questa proposta distinguerebbe quindi le due estremità del tempo, e potrebbe perciò spiegare la freccia del tempo (figura 5.13).

Io penso che la proposta di Roger possa essere considerata un’ipotesi di Weyl in più di un senso della parola. Innanzitutto, non è rispettata l’invarianza per la trasformazione CPT. Roger vede in questo fatto un pregio, ma io penso che ci si dovrebbe attenere alle simmetrie a meno che ci siano ragioni stringenti per rinunciare a esse. Come sosterrò, non è necessario rinunciare alla simmetria CPT. In secondo luogo, se nell’universo primitivo il tensore di Weyl fosse stato esattamente zero, l’universo sarebbe stato esattamente omogeneo e isotropo e lo sarebbe rimasto per sempre. L’ipotesi di Weyl proposta da Roger non potrebbe spiegare le fluttuazioni di fondo né le perturbazioni che hanno dato origine alle galassie e a noi stessi.

Obiezioni all’ipotesi del tensore di Weyl

1.Non è CPT-invariante.

2.Il tensore di Weyl non può essere stato esattamente zero. Esso non spiega piccole fluttuazioni.

Nonostante tutto questo, io penso che Roger abbia messo il dito su una differenza importante fra i due estremi del tempo. Il fatto però che a un estremo il tensore di Weyl fosse piccolo non dovrebbe essere imposto come una condizione al contorno ad hoc, ma dovrebbe essere dedotto da un principio più fondamentale, la proposta dell’assenza di confine. Come abbiamo visto, questa implica che le perturbazioni su metà della sfera quadridimensionale euclidea unita a metà della soluzione lorentziana-di de Sitter siano nel loro stato fondamentale. In altri termini, esse sono quanto più possibile piccole, in accordo col principio di indeterminazione. Questo fatto implicherebbe quindi la condizione del tensore di Weyl introdotta da Roger: il tensore di Weyl non sarebbe esattamente zero, ma sarebbe il più possibile vicino a zero.

In un primo tempo io pensai che questi argomenti sulle perturbazioni nel loro stato fondamentale si applicassero a entrambi gli estremi del ciclo di espansione-contrazione. L’universo avrebbe avuto inizio in uno stato omogeneo e ordinato e sarebbe diventato più disordinato e irregolare nel corso della sua espansione. Pensavo però che sarebbe poi tornato a uno stato omogeneo e ordinato al diminuire delle sue dimensioni, man mano che fosse andato avvicinandosi alla singolarità finale. Ciò avrebbe significato un’inversione della freccia termodinamica del tempo nella fase di contrazione. In conseguenza di questa inversione i cocci si ricomporrebbero in tazzine integre e salterebbero sul tavolo dal pavimento. Durante il collasso verso la singolarità le persone ringiovanirebbero invece di invecchiare. Non avrebbe però molto senso aspettare il collasso dell’universo per poter riassaporare la propria giovinezza perché ci sarebbe troppo da aspettare. Se però la freccia del tempo si invertisse al contrarsi dell’universo, potrebbe farlo anche all’interno dei buchi neri. Io non raccomanderei però di saltare in un buco nero come modo per prolungarsi la vita.

Una volta scrissi un articolo in cui sostenevo che, quando l’universo fosse entrato nella fase di collasso, la freccia del tempo si sarebbe invertita. Dopo di allora, però, le discussioni con Don Page e con Raymond Laflamme mi convinsero che avevo commesso un gravissimo errore, il mio massimo errore, almeno in fisica: durante il collasso l’universo non sarebbe tornato a uno stato omogeneo. La freccia del tempo non si sarebbe rovesciata; essa avrebbe continuato a puntare nella stessa direzione dell’inizio dell’espansione.

Come possono essere diversi i due estremi del tempo? Perché le perturbazioni dovrebbero essere piccole a un estremo ma non all’altro? La ragione è che ci sono due possibili soluzioni complesse delle equazioni di campo che si corrispondono al contorno di una piccola sfera tridimensionale. Una è quella che ho già descritto in precedenza: essa è formata approssimativamente da metà della sfera quadridimensionale euclidea unita a una piccola parte della soluzione lorentziana-di de Sitter (figura 5.14). L’altra soluzione possibile ha la stessa mezza sfera quadridimensionale euclidea unita a una soluzione lorentziana che si espande fino a un raggio molto grande e poi si ricontrae fino al piccolo raggio del confine dato (figura 5.15). Ovviamente, una soluzione corrisponde a un estremo del tempo e l’altra all’altro. La differenza fra i due estremi deriva dal fatto che le perturbazioni nella metrica tridimensionale hij sono massicciamente smorzate nel caso della prima soluzione con solo un periodo lorentziano breve.

Figura 5.14. Metà di una sfera quadridimensionale euclidea unita a una piccola regione lorentziana.

Figura 5.14. Metà di una sfera quadridimensionale euclidea unita a una piccola regione lorentziana.

Figura 5.15. Metà di una sfera quadridimensionale euclidea unita a una regione lorentziana che si espande fino a un raggio massimo per poi ricominciare a contrarsi.

Figura 5.15. Metà di una sfera quadridimensionale euclidea unita a una regione lorentziana che si espande fino a un raggio massimo per poi ricominciare a contrarsi.

Le perturbazioni possono però essere molto grandi senza essere significativamente smorzate nel caso della soluzione con espansione e ricontrazione, cosa che dà origine alla differenza fra i due estremi del tempo sottolineata da Roger. A un estremo l’universo era molto omogeneo e il tensore di Weyl era piccolissimo. Esso non poteva però essere esattamente zero in quanto in tal caso si sarebbe avuta una violazione del principio di indeterminazione. Dovevano invece essere presenti piccole fluttuazioni, che in seguito si amplificarono dando origine a galassie e a corpi come il nostro. Di contro l’universo dovrebbe essere molto irregolare e caotico all’altro estremo del tempo, con un tensore di Weyl tipicamente grande. Ciò spiegherebbe la freccia del tempo osservata e perché le tazzine cadano dai tavoli e si rompano sul pavimento invece di ricomporsi e saltare indietro sul tavolo.

Poiché la freccia del tempo non si inverte – e io ho già quasi consumato il tempo a mia disposizione – dovrei prepararmi a concludere. Ho sottolineato quelli che considero i due caratteri più notevoli da me appresi nella mia ricerca sullo spazio e sul tempo: (1) che la gravità incurva lo spazio-tempo, così che esso ha un inizio e una fine; (2) che fra gravità e termodinamica esiste una connessione profonda, dovuta al fatto che la gravità stessa determina la topologia della varietà su cui agisce.

La curvatura positiva dello spazio-tempo produsse singolarità, nelle quali venne meno la relatività generale classica. La censura cosmica potrebbe schermarci dalle singolarità dei buchi neri, mentre noi vediamo il Big Bang in tutta la sua nudità frontale. La relatività generale classica non può «predire» come comincerà l’universo. La relatività generale quantistica, assieme alla proposta dell’assenza di confine, predice però un universo come quello che osserviamo e sembra addirittura predire lo spettro osservato delle fluttuazioni nel fondo a microonde. Benché però la teoria quantistica ripristini la prevedibilità perduta dalla teoria classica, non lo fa completamente. Poiché, a causa degli orizzonti degli eventi dei buchi neri e di quello cosmologico non possiamo vedere l’intero spazio-tempo, le nostre osservazioni sono descritte da un insieme di stati quantici piuttosto che da un singolo stato. Questo fatto introduce un livello extra di imprevedibilità, ma potrebbe essere anche la ragione per cui l’universo ci appare classico. Lo stesso fatto potrebbe salvare il gatto di Schrödinger dalla scomoda sorte di essere mezzo vivo e mezzo morto.

Avere eliminato la prevedibilità dalla fisica e averla poi riportata in essa, ma in una misura ridotta, è la storia di un successo. Io rinuncio definitivamente alla mia tesi.

6

La visione twistoriale dello spazio-tempo

di Roger Penrose

Vorrei cominciare facendo qualche osservazione sull’ultima lezione di Stephen.

Classicità dei gatti. Stephen ha sostenuto che, poiché una certa regione dello spazio-tempo ci è inaccessibile, noi siamo costretti ad accettare la descrizione della matrice densità. Questa non è però sufficiente per spiegare la natura classica delle osservazioni nella nostra regione. La matrice densità che corrisponde a trovare o un gatto vivo |vivo〉 o un gatto morto |morto〉 è la stessa matrice densità che descrive la miscela delle due sovrapposizioni

Immagine 1 La visione twistoriale dello spazio-tempo

e

Immagine 2 La visione twistoriale dello spazio-tempo

Così la matrice densità da sola non ci dice se vediamo un gatto vivo o un gatto morto o una di queste due sovrapposizioni. Come ho tentato di sostenere alla fine della mia scorsa lezione, abbiamo bisogno di qualcosa di più.

L’ipotesi della curvatura di Weyl. Da quanto intendo della posizione di Stephen, non penso che il nostro disaccordo su questo punto sia molto grande. Per una singolarità iniziale la curvatura di Weyl è prossima a zero, mentre le singolarità finali hanno una grande curvatura di Weyl. Stephen ha sostenuto che nello stato iniziale devono esserci piccole fluttuazioni, e ha quindi sottolineato l’irragionevolezza che la curvatura di Weyl iniziale fosse esattamente zero. Io non penso che su questo punto ci sia un vero disaccordo fra di noi. L’affermazione che la curvatura di Weyl sia zero alla singolarità iniziale è classica, e senza dubbio si deve ammettere una certa flessibilità circa la precisa formulazione dell’ipotesi. Piccole perturbazioni sono accettabili dal mio punto di vista, certamente nel regime quantistico. Abbiamo solo bisogno di qualcosa che mantenga tali perturbazioni molto vicine a zero. Ci attenderemmo anche fluttuazioni termiche nel tensore di Ricci (causate dalla materia) agli inizi dell’universo, le quali potrebbero condurre infine alla formazione di buchi neri di 106 masse solari attraverso l’instabilità di Jeans. Le regioni vicine alle singolarità in questi buchi neri dovrebbero quindi avere una grande curvatura di Weyl, ma queste sono singolarità del tipo finale più che del tipo iniziale, cosa in accordo con l’ipotesi della curvatura di Weyl.

Io sono d’accordo con Stephen che l’ipotesi della curvatura di Weyl sia «botanica», cioè fenomenologica più che esplicativa. Essa ha bisogno di una teoria sottostante che la spieghi. Può darsi che la «proposta dell’assenza di confine» di Hartle e Hawking sia una buona candidata per la struttura dello stato iniziale. Mi pare però che noi abbiamo bisogno di qualcosa di molto diverso per occuparci dello stato finale. In particolare, una teoria che spiegasse la struttura delle singolarità dovrebbe violare T (riflessione temporale), PT (parità-riflessione temporale), CT (coniugazione di carica-riflessione temporale) e CPT (coniugazione di carica-parità-riflessione temporale) perché possa avere origine qualcosa del genere dell’ipotesi della curvatura di Weyl. Questa violazione della simmetria temporale potrebbe essere del tutto sottile; essa dovrebbe essere implicita nelle regole di quella teoria che va oltre la meccanica quantistica. Stephen ha sostenuto che, in virtù di un ben noto teorema della teoria quantistica dei campi, ci si dovrebbe attendere che la teoria fosse CPT-invariante. La dimostrazione di questo teorema presuppone però che si applichino le regole solite della teoria quantistica dei campi e che lo spazio di fondo sia piatto. Io penso che sia Stephen sia io siamo d’accordo sul fatto che la seconda condizione non valga, e io credo che non sia valido neppure il primo assunto.

Mi pare anche che il punto di vista che Stephen sta proponendo in relazione alla proposta dell’assenza di confine non implichi che non esistano buchi bianchi. Se capisco correttamente il suo punto di vista, la proposta dell’assenza di confine implica che ci sono essenzialmente due soluzioni: una (A) in cui le perturbazioni aumentano all’allontanarsi dalla singolarità, e una (B) in cui si estinguono. La (A) corrisponde essenzialmente al Big Bang, mentre la (B) descrive le singolarità dei buchi neri e il Big Crunch. La freccia del tempo, determinata dal secondo principio della termodinamica, va da una soluzione (A) a una soluzione (B). Io non vedo però come questa interpretazione della proposta dell’assenza di confine escluda buchi bianchi del tipo (B). Su un problema separato, io mi preoccupo del «procedimento di euclidizzazione». L’argomentazione di Stephen si fonda sulla possibilità di saldare assieme una soluzione euclidea e una lorentziana. Ci sono però solo pochissimi spazi per cui si possa fare una cosa del genere, in quanto si richiede che essi abbiano sia una sezione euclidea sia una sezione lorentziana. Il caso generico è certamente molto lontano da questo.

I twistor e lo spazio twistoriale

Che cosa si cela in realtà dietro l’utilità dell’euclidizzazione nella teoria quantistica dei campi? Questa teoria richiede una separazione delle quantità di campo in parti a frequenza positiva e negativa. Le prime si propagano in avanti nel tempo, le seconde all’indietro. Per ottenere i propagatori della teoria, occorre un modo per distinguere la parte con frequenza positiva (cioè con energia positiva). Una cornice di riferimento per compiere questa separazione è la teoria dei twistor: proprio questa separazione fu in effetti una delle motivazioni originarie importanti per l’introduzione dei twistor (vedi Penrose 1986).

Per spiegarlo nei particolari consideriamo dapprima i numeri complessi, fondamentali per la teoria quantistica, la cui struttura, come troveremo, è alla base anche della struttura dello spazio-tempo. Questi sono i numeri della forma z = x + iy, con xyreali, dove i soddisfa i2 = –1, e l’insieme di tali numeri è denotato con Immagine 3 La visione twistoriale dello spazio-tempo. Si possono rappresentare questi numeri su un piano (il piano complesso) o, se si aggiunge un punto all’infinito, su una sfera: la sfera di Riemann. Questa sfera è un concetto utilissimo in molte aree della matematica, come l’analisi e la geometria, ma anche in fisica. La sfera può essere proiettata su un piano (assieme a un punto all’infinito). Facciamo passare il piano per l’equatore della sfera e congiungiamo ogni punto della sfera al polo sud. Il punto in cui la linea che va dal punto al piano interseca il piano stesso è il punto corrispondente sul piano. Notiamo che in quest’applicazione della sfera nel piano il polo nord va all’origine, il polo sud all’infinito e l’asse reale corrisponde a un cerchio verticale che passa per i poli nord e sud. Noi possiamo ruotare la sfera in modo che i numeri reali corrispondano all’equatore, e per il momento io vorrei adottare questa convenzione (figura 6.1).

Figura 6.1. La sfera di Riemann, la quale rappresenta tutti i numeri complessi, assieme all’∞.

Figura 6.1. La sfera di Riemann, la quale rappresenta tutti i numeri complessi, assieme all’∞.

Supponiamo che ci venga data una funzione a valori complessi di una variabile reale x. In virtù di quanto abbiamo visto sopra, possiamo pensare f(x) come una funzione definita sull’equatore. Il vantaggio di questo punto di vista è che esiste un criterio naturale per decidere se f sia una funzione a frequenza positiva o negativa: f(x) è una funzione a frequenza positiva se può essere estesa a una funzione olomorfa (analitica complessa) sull’emisfero nord e similmente f è una funzione a frequenza negativa se può essere estesa similmente all’emisfero sud. Una funzione generale può essere divisa in una parte a frequenza positiva e una parte a frequenza negativa. L’idea della teoria dei twistor è quella di usare questo dispositivo sullo spazio-tempo stesso in un modo globale. Dato un campo nello spazio-tempo di Minkowski, vogliamo dividerlo, similmente, in parti a frequenza positiva e negativa. Come via per comprendere questa divisione, costruiremo uno spazio twistoriale. (Per maggiori informazioni sui twistor vedi Penrose e Rindler 1986 e Huggett e Tod 1985.)

Prima di farlo in modo dettagliato, consideriamo due ruoli importanti della sfera di Riemann in fisica:

1.La funzione d’onda di una particella di spin Immagine 4 La visione twistoriale dello spazio-tempopuò essere in una sovrapposizione lineare di «spin su» e «spin giù»:

w |↑〉 + z |↓〉.

Figura 6.2. Lo spazio delle direzioni dello spin per una particella di spin 1/2 è la sfera di Riemann del rapporto z/w delle ampiezze w (spin su) e z (spin giù).

Figura 6.2. Lo spazio delle direzioni dello spin per una particella di spin 1/2 è la sfera di Riemann del rapporto z/w delle ampiezze w (spin su) e z (spin giù).

Questo stato può essere rappresentato da un punto z/w sulla sfera di Riemann, e questo punto corrisponde al luogo in cui l’asse positivo dello spin, tirato dal centro, interseca la sfera. (Per uno spin superiore c’è una costruzione più complicata, dovuta in origine a Majorana 1932; vedi anche Penrose 1994, che usa ancora la sfera di Riemann.) Questa impostazione mette le ampiezze complesse della meccanica quantistica in correlazione con la struttura dello spazio-tempo (figura 6.2).

2.Immaginiamo un osservatore situato in un punto dello spazio-tempo, che guardi le stelle nello spazio. Supponiamo che egli segni la posizione angolare di tali stelle sulla sfera. Ora, se un secondo osservatore passasse per lo stesso punto nello stesso tempo, ma con una velocità relativa rispetto al primo osservatore, a causa di effetti di aberrazione segnerebbe le stelle in posizioni diverse sulla sfera. La cosa notevole è che le differenti posizioni dei punti sulla sfera sono correlate da una speciale trasformazione, detta trasformazione di Möbius. Queste trasformazioni formano precisamente il gruppo che conserva la struttura complessa della sfera di Riemann. Così lo spazio dei raggi di luce che passano per un punto nello spazio-tempo è, in un senso naturale, una sfera di Riemann. Io trovo molto bello, inoltre, che il gruppo di simmetria fondamentale della fisica che mette in relazione osservatori in moto con velocità diverse, ossia il gruppo di Lorentz (ristretto), possa essere realizzato come il gruppo di automorfismo della più semplice varietà unidimensionale (complessa), la sfera di Riemann (figura 6.3 e Penrose e Rindler 1984).

Figura 6.3. La sfera celeste di un osservatore, nella teoria della relatività, è naturalmente una sfera riemanniana.

Figura 6.3. La sfera celeste di un osservatore, nella teoria della relatività, è naturalmente una sfera riemanniana.

L’idea di base della teoria dei twistor è quella di cercare di sfruttare questo legame fra la meccanica quantistica e la struttura dello spazio-tempo, – quale si manifesta nella sfera di Riemann – estendendo quest’idea all’intero spazio-tempo. Tenteremo di considerare interi raggi di luce ancor più fondamentali di punti dello spazio-tempo. Giudicheremo così lo spazio-tempo un concetto secondario e considereremo lo spazio twistoriale – inizialmente lo spazio dei raggi di luce – come lo spazio più fondamentale. Questi due spazi sono correlati da una corrispondenza che mette i raggi di luce nello spazio-tempo in correlazione a punti nello spazio twistoriale. Un punto nello spazio-tempo è quindi rappresentato dall’insieme dei raggi di luce che passa attraverso di esso. Così un punto nello spazio-tempo diventa una sfera di Riemann nello spazio twistoriale. Dovremmo pensare lo spazio twistoriale come lo spazio su cui dovremmo rappresentare la fisica (figura 6.4).

Nel modo in cui l’ho presentato finora, lo spazio twistoriale ha cinque dimensioni (reali) e non sarà quindi uno spazio complesso, poiché gli spazi complessi hanno sempre un numero di dimensioni (reali) pari. Se pensiamo i raggi di luce come storie di fotoni, dobbiamo anche tener conto dell’energia del fotone nonché della sua elicità, la quale può essere sinistrorsa o destrorsa. Questa situazione è un po’ più complicata di quella di un semplice raggio di luce, ma essa ha anche il pregio che finiamo con l’avere uno spazio proiettivo complesso tridimensionale (6 dimensioni reali), Immagine 5 La visione twistoriale dello spazio-tempo. Questo è uno spazio proiettivo twistoriale Immagine 6 La visione twistoriale dello spazio-tempo. Esso ha un sottospazio pentadimensionale Immagine 7 La visione twistoriale dello spazio-tempo, che suddivide lo spazio Immagine 8 La visione twistoriale dello spazio-tempo in due parti, le parti sinistrorsa e destrorsa Immagine 9 La visione twistoriale dello spazio-tempo.

Figura 6.4. Nella corrispondenza twistoriale fondamentale, i raggi di luce nello spazio-tempo (di Minkowski) sono rappresentati come punti nello spazio twistoriale (proiettivo), e i punti dello spazio-tempo sono rappresentati come sfere di Riemann.

Figura 6.4. Nella corrispondenza twistoriale fondamentale, i raggi di luce nello spazio-tempo (di Minkowski) sono rappresentati come punti nello spazio twistoriale (proiettivo), e i punti dello spazio-tempo sono rappresentati come sfere di Riemann.

Ora, i punti nello spazio-tempo sono dati da quattro numeri reali, e lo spazio proiettivo twistoriale può essere coordinatizzato dai rapporti di quattro numeri complessi. Se un raggio di luce, rappresentato nello spazio twistoriale da (Z0Z1Z2Z3), passa per il punto (r0r1r2r3) nello spazio-tempo, allora è soddisfatta la relazione di incidenza

Immagine 10 La visione twistoriale dello spazio-tempo

Questa relazione fornisce la base della corrispondenza dei twistor.

Dovrò introdurre un po’ di notazione bispinoriale. È a questo punto, di solito, che ci si comincia a confondere, ma per calcoli un po’ dettagliati questa notazione è estremamente comoda. Per ogni quadrivettore ra definisce la quantità rAA', la cui matrice di componenti è data da

Immagine 11 La visione twistoriale dello spazio-tempo

La condizione che ra sia reale è semplicemente che la quantità rAA' sia hermitiana. Un punto nello spazio twistoriale è definito da due spinori, con componenti

Immagine 12 La visione twistoriale dello spazio-tempo

La relazione d’incidenza (6.1) diventa allora

= irπ.

Si dovrebbe notare che, sotto uno spostamento d’origine, secondo cui viene sostituita ra

Immagine 13 La visione twistoriale dello spazio-tempo

abbiamo

Immagine 14 La visione twistoriale dello spazio-tempo

mentre πA' rimane immutato:

πA' → πA'.

Il twistor rappresenta i quattro componenti della quantità di moto pa (tre dei quali sono indipendenti) e i sei componenti del momento angolare Mab (quattro dei quali indipendenti) di una particella priva di massa. Le espressioni sono

Immagine 15 La visione twistoriale dello spazio-tempo

dove le parentesi denotano la parte simmetrica e ∈ABe ∈A'B' sono i simboli asimmetrici di Levi-Civita. Queste espressioni incorporano il fatto che la quantità di moto pa è nulla e orientata verso il futuro e che il vettore spinoriale di Pauli-Lubanski è il prodotto dell’elicità s per il quadrivettore quantità di moto. Queste quantità determinano le variabili twistoriali (ωA, πA') fino a un moltiplicatore di fase twistoriale generale. L’elicità può essere scritta

Immagine 16 La visione twistoriale dello spazio-tempo

dove il complesso coniugato del twistor Zα = (ωA, πA') è il twistor duale Immagine 17 La visione twistoriale dello spazio-tempo. (Si noti che la coniugazione complessa intercambia gli indici degli spinori indicizzati e non indicizzati, e intercambia i twistor con i loro duali.) Qui s = 0 corrisponde a particelle destrorse e quindi a quella che noi consideriamo la metà superiore dello spazio twistoriale Immagine 18 La visione twistoriale dello spazio-tempo, e s < 0 a particelle sinistrorse, ossia alla metà inferiore Immagine 19 La visione twistoriale dello spazio-tempo. Noi riceviamo raggi di luce reali nel caso s = 0. (L’equazione per Immagine 20 La visione twistoriale dello spazio-tempo, lo spazio dei raggi di luce, è perciò Immagine 21 La visione twistoriale dello spazio-tempo, cioè Immagine 22 La visione twistoriale dello spazio-tempo

Twistor quantizzati

Noi desideriamo avere una teoria quantistica dei twistor e a questo scopo abbiamo bisogno di definire una funzione d’onda dei twistor, una funzione dai valori complessi f(Zα) sullo spazio twistoriale. Non tutte le funzioni f(Zα) sono a priori funzioni d’onda, poiché Zα comprende componenti implicanti variabili di posizione oltre a tutte le variabili di quantità di moto, e noi non possiamo usare tutte queste variabili nello stesso tempo in una funzione d’onda. Posizione e quantità di moto non sono commutabili. Nello spazio twistoriale le relazioni di commutazione sono

Immagine 23 La visione twistoriale dello spazio-tempo

Così Immagine 24 La visione twistoriale dello spazio-tempo sono variabili coniugate, e la funzione d’onda dev’essere una funzione solo dell’una e non dell’altra. Ciò significa che la funzione d’onda dev’essere una funzione olomorfa (oppure una funzione antiolomorfa) di Zα.

Noi dobbiamo ora verificare come le espressioni predette dipendano dall’ordinamento degli operatori. Risulta che le espressioni per la quantità di moto e per il momento angolare sono indipendenti dall’ordinamento e quindi canonicamente determinate. D’altro canto, l’espressione per l’elicità dipende dall’ordinamento, e noi dobbiamo usare l’espressione corretta. Perciò dobbiamo prendere il prodotto simmetrico, cioè

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che, nel quadro dello spazio delle Zα può essere riespresso come

Immagine 26 La visione twistoriale dello spazio-tempo

Immagine 27 La visione twistoriale dello spazio-tempo

Possiamo decomporre una funzione d’onda in autostati di s. Questi sono allora esattamente le funzioni d’onda di omogeneità definita. Per esempio, una particella senza spin con elicità zero ha una funzione d’onda twistoriale di omogeneità –2. Una particella sinistrorsa di spin- Immagine 28 La visione twistoriale dello spazio-tempo ha elicità Immagine 29 La visione twistoriale dello spazio-tempo, e perciò ha una funzione d’onda twistoriale con omogeneità –1, mentre una versione destrorsa di una tale particella (elicità Immagine 30 La visione twistoriale dello spazio-tempo) avrebbe una funzione d’onda twistoriale di omogeneità –3. Per lo spin 2, le funzioni d’onda twistoriali destrorsa e sinistrorsa hanno omogeneità rispettive di –6 e +2.

Questa situazione può sembrare un po’ sbilanciata, poiché dopo tutto la relatività generale ha una simmetria destra-sinistra. Questo non può essere però un inconveniente tanto grave, dato che la natura stessa è asimmetrica rispetto a destra e sinistra. Inoltre, anche le «nuove variabili» di Ashtekar, che sono strumenti molto potenti nella relatività generale, sono asimmetriche in relazione a destra e sinistra. È interessante che noi siamo condotti a questa asimmetria destra-sinistra in questi modi diversi.

Si potrebbe pensare alla possibilità di ripristinare la simmetria cambiando Immagine 31 La visione twistoriale dello spazio-tempo, invertendo la tabella delle omogeneità e poi usando Zα per un’elicità e Immagine 32 La visione twistoriale dello spazio-tempoper l’altra. Ma come nella teoria quantistica non possiamo mescolare simultaneamente immagini degli spazi della posizione e della quantità di moto, così non possiamo mescolare immagini Zα e Immagine 33 La visione twistoriale dello spazio-tempo. Dobbiamo scegliere l’una o l’altra. Se sia più fondamentale l’una o l’altra è cosa che rimane da vedere.

Vogliamo poi ottenere una descrizione spaziotemporale di fZ). Lo si fa attraverso un integrale di linea

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dove l’integrale è su un contorno nello spazio di quelle Z incidenti con r (ricordiamo che Z ha due parti, ω e π) e il numero di π o di ∂/∂ω dipende dallo spin (e dalla chiralità) del campo. Quest’equazione definisce un campo spaziotemporale ϕ...(r) che soddisfa automaticamente le equazioni di campo per una particella priva di massa. Così il vincolo dell’olomorfismo dei campi twistoriali codifica tutte le equazioni di campo disordinate di una particella priva di massa, almeno per un campo lineare nello spazio piatto, o per il limite di energia debole di un campo di Einstein.

Geometricamente il punto r nello spazio-tempo è una linea Immagine 35 La visione twistoriale dello spazio-tempo (che è una sfera di Riemann) nello spazio twistoriale. Questa linea deve intersecare la regione in cui è definita la f (Z). La f (Z) non è in generale definita dappertutto e ha luoghi singolari (in effetti noi circondiamo queste regioni singolari per valutare l’integrale di linea). Per essere più precisi matematicamente, la funzione d’onda di un twistor è un elemento di coomologia. Per capire quest’affermazione, consideriamo una collezione di intorni aperti della regione dello spazio twistoriale a cui siamo interessati. La funzione twistoriale dev’essere quindi definita sull’intersezione di coppie di questi insiemi aperti. Ciò significa che essa è un elemento della prima coomologia dei fasci. Non entrerò qui nei particolari, ma «coomologia dei fasci» è una bella parolona da usare.

Ricordiamo ora che ciò che vogliamo realmente, in analogia con la teoria quantistica dei campi, è un modo per separare le parti a frequenza positiva e negativa delle ampiezze di campo. Se una funzione twistoriale definita su Immagine 36 La visione twistoriale dello spazio-tempo si estende (come elemento della prima coomologia) alla metà superiore dello spazio twistoriale Immagine 37 La visione twistoriale dello spazio-tempo, è a frequenza positiva. Se si estende alla metà inferiore Immagine 38 La visione twistoriale dello spazio-tempo è a frequenza negativa. Così lo spazio twistoriale cattura le nozioni a frequenza positiva e negativa.

Questa separazione ci permette di fare fisica quantistica nello spazio twistoriale. Andrew Hodges (1982, 1985, 1990) ha sviluppato un approccio alla teoria quantistica dei campi usando diagrammi twistoriali, che sono analoghi ai diagrammi di Feynman nello spazio-tempo. Usando questi diagrammi, egli ha trovato alcuni modi molto nuovi di regolarizzare la teoria quantistica dei campi. Questi sono schemi che non si penserebbe di adottare nel normale approccio spaziotemporale, ma che sono molto naturali nel quadro twistoriale. Anche un nuovo angolo visuale, derivante in origine da un’idea dovuta a Michael Singer (Hodges, Penrose e Singer 1989), è stato stimolato dalla teoria conforme dei campi.Stephen, nella sua prima lezione, ha fatto qualche osservazione molto spregiativa sulla teoria delle stringhe, ma io penso che la teoria conforme dei campi, che è la teoria dei campi sul foglio d’universo della teoria delle stringhe, sia una bella teoria (anche se non del tutto fisica). Essa è definita su superfici di Riemann arbitrarie (delle quali la sfera di Riemann è l’esempio più semplice, ma che comprendono tutte le varietà a dimensione complessa uno, come tori e «pretzel». Per i twistor abbiamo bisogno di generalizzare la teoria conforme dei campi a varietà con tre dimensioni complesse, i cui confini sono copie di Immagine 39 La visione twistoriale dello spazio-tempo (cioè spazi di raggi di luce nello spazio-tempo). Le ricerche in quest’area stanno progredendo ma non si sono ancora spinte molto avanti.

Twistor per spazi curvi

Tutto ciò che abbiamo visto finora si riferisce solo a uno spazio-tempo piatto, ma noi sappiamo che lo spazio-tempo è curvo; abbiamo bisogno di una teoria dei twistor che si applichi allo spazio-tempo curvo e che riproduca le equazioni di Einstein in un qualche modo naturale.

Se la varietà dello spazio-tempo è conformemente piatta (o, in altri termini, se il suo tensore di Weyl è zero) non c’è alcun problema a descrivere questo spazio con twistor, giacché la teoria dei twistor è in linea di massima conformemente invariante. Ci sono anche idee della teoria dei twistor che funzionano per vari spazi-tempi conformemente non piatti, come la definizione di una massa quasi-locale (Penrose 1982; cfr. Tod 1990), e la costruzione di Woodhouse-Mason (1988; cfr. anche Fletcher e Woodhouse 1990) per vuoti asimmetrici stazionari (fondata sulla costruzione di Ward 1977 per campi di Yang-Mills anti-auto-duali su uno spazio-tempo piatto; cfr. anche Ward 1983), che fa parte di un approccio twistoriale molto generale a sistemi integrabili (vedi il libro di Mason e Woodhouse 1996).

Vorremmo però essere in grado di occuparci di spazi-tempi più generali. Per uno spazio-tempo complessificato (o «euclidizzato») M con un tensore di Weyl anti-auto-duale (cioè, la metà auto-duale del tensore di Weyl è zero) c’è una costruzione – la cosiddetta costruzione non lineare dei gravitoni – che affronta pienamente questo problema (Penrose 1976). Per vedere in che modo essa funzioni, prendiamo una parte dello spazio twistoriale formata da un intorno tubolare di una linea, o qualcosa di simile (diciamo la metà superiore o parte a frequenza positiva Immagine 40 La visione twistoriale dello spazio-tempo), e tagliamola in due o più parti. Queste vengono poi reincollate assieme, ma con i pezzi spostati l’uno relativamente all’altro. In generale, le linee rette nello spazio originario P sarebbero spezzate nel nuovo spazio P. Noi possiamo però cercare nuove curve olomorfe per sostituire le linee rette originali (ora spezzate), in modo da avere curve che siano unite in modo continuo. Purché la deformazione P di P non sia troppo grande, le curve olomorfe ottenute in questo modo – appartenendo alla stessa famiglia topologica delle linee originali – formano una famiglia quadridimensionale. Lo spazio i cui punti rappresentano queste curve olomorfe è il nostro «spazio-tempo» (complesso) anti-auto-duale M (figura 6.5). Ora possiamo codificare le equazioni nel vuoto di Einstein (con curvatura nulla di Ricci) come la condizione che P sia una fibrazione olomorfa su una linea proiettiva Immagine 41 La visione twistoriale dello spazio-tempo (assieme a qualche altra condizione mite). Tutto questo si può ottenere esprimendo la deformazione P di P come data nei termini di funzioni olomorfe libere, e in linea di principio tutta l’informazione dello spazio-tempo curvo M è codificata in queste funzioni (anche se può essere difficile trovare le curve olomorfe richieste in P).

Noi vogliamo in realtà risolvere le equazioni di Einstein nella loro interezza (poiché l’ultima costruzione risolve solo un problema ridotto in cui metà del tensore di Weyl è zero), ma il problema è chiaramente difficile e negli ultimi vent’anni ha sconfitto molti tentativi. Negli ultimissimi anni, però, io ho tentato un nuovo approccio (cfr. Penrose 1992). Pur non avendo ancora conseguito una soluzione del problema, questo approccio mi sembra però il modo più promettente finora tentato per andare avanti. Pare in effetti che ci sia una relazione profonda fra i twistor e le equazioni di Einstein.

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Figura 6.5. La costruzione non lineare dei gravitoni.

Questo fatto è indicato da due osservazioni:

1.Le equazioni di Einstein nel vuoto Rab = 0 sono anche le condizioni di consistenza per campi privi di massa con elicità s = 3/2 (quando il campo è dato nei termini di un potenziale).

2.Nello spazio-tempo piatto M, lo spazio delle cariche di un campo con elicità s = 3/2 è esattamente uno spazio twistoriale.

Il programma che dev’essere eseguito è quindi grosso modo il seguente: dato uno spazio-tempo piatto di Ricci (ossia Rab = 0), si deve trovare lo spazio delle cariche per campi con elicità s = 3/2 in esso contenuti (il che non è un compito facile). Questo sarebbe lo spazio twistoriale dello spazio-tempo piatto di Ricci. Il secondo passo consiste nel trovare come costruire tali spazi twistoriali usando funzioni olomorfe libere e, infine, nel ricostruire la varietà spaziotemporale originaria a partire in ciascun caso da questo spazio twistoriale.

Noi non ci attendiamo che questo spazio twistoriale sia lineare perché, quando ricostruiamo lo spazio-tempo, esso deve dare una struttura curva. Inoltre la costruzione dev’essere altamente non-locale in un modo sottile, in quanto sia la carica sia il potenziale di un campo con elicità s = 3/2 sono non-locali. Ci attenderemmo che questo aiutasse a spiegare la fisica non-locale come gli esperimenti di EPR discussi nella mia lezione scorsa (capitolo 4): tali esperimenti implicano che oggetti in regioni lontane nello spazio-tempo possano essere in qualche modo «intrecciati» l’uno con l’altro.

La cosmologia dei twistor

Vorrei concludere questa lezione facendo un’osservazione sulla cosmologia e i twistor, anche se essa sarà piuttosto provvisoria. Ho detto che il tensore di curvatura di Weyl dev’essere nullo in singolarità del passato e che ivi lo spazio-tempo è quasi conformemente piatto. Ciò significa che lo stato iniziale ha una descrizione twistoriale molto semplice. Questa descrizione diventa sempre più complicata man mano che si procede nel tempo e che la curvatura di Weyl diventa più onnipresente. Questo tipo di comportamento è in accordo con l’asimmetria temporale che si osserva nella geometria dell’universo.

Dal punto di vista dell’ideologia olomorfica-complessa della teoria twistoriale, si deve preferire un Big Bang con k < 0, che conduce a un universo aperto (Stephen preferisce un universo chiuso). La ragione è che solo in un universo con k < 0 il gruppo di simmetria della singolarità iniziale è un gruppo olomorfo, ossia esattamente il gruppo di Möbius delle autotrasformazioni olomorfe della sfera di Riemann Immagine 43 La visione twistoriale dello spazio-tempo (cioè il gruppo di Lorentz ristretto). Questo è lo stesso gruppo che diede l’avvio in origine alla teoria dei twistor; perciò, per ragioni ideologiche, io preferisco senza dubbio k < 0. Poiché questo risultato si fonda esclusivamente sull’ideologia, potrò ovviamente ritirarlo in futuro se risulterà che ho avuto torto e che l’universo è in realtà chiuso!

DOMANDE E RISPOSTE

Qual è il significato fisico dello stato di elicità 3/2?

Lo spin 3/2 di questo approccio non è un campo fisico reale, ma piuttosto un campo ausiliare per la definizione dei twistor. Io non lo penso come il campo di una particella che si potrebbe scoprire. D’altra parte, dal punto di vista della supersimmetria, esso sarebbe il superpartner del gravitone.

Dove appare nel punto di vista twistoriale il processoR, temporalmente asimmetrico, di cui lei ha parlato la volta scorsa?

Deve rendersi conto che la teoria twistoriale è una teoria molto prudente e non dice ancora niente in proposito. Mi piacerebbe moltissimo vedere apparire l’asimmetria temporale nella teoria dei twistor, ma attualmente non so come andranno le cose. Se però si porta avanti l’intero programma, essa dovrebbe certamente apparire, forse in un modo vagamente simile all’asimmetria destra-sinistra. Inoltre l’approccio di Andrew Hodges allo schema di regolarizzazione introduce tecnicamente un’asimmetria temporale, ma il polverone sollevato su questo problema non si è ancora posato.

Quale teoria quantistica dei campi non lineare potrebbe meglio conciliarsi con la teoria dei twistor?

Finora si è analizzato principalmente il modello standard (nel contesto di diagrammi twistoriali).

La teoria delle stringhe predice esplicitamente lo spettro di particelle. Dove compare questo nella teoria dei twistor?

Non so come potrebbe infine emergere lo spettro delle particelle, anche se sono state espresse alcune idee in proposito. Mi piace però sentire che la teoria delle stringhe «predice esplicitamente lo spettro di particelle». Secondo me, fino a quando non comprenderemo la relatività generale nella cornice dei twistor non saremo in grado di risolvere questo problema, poiché le masse sono connesse con la relatività generale. Ma in un certo senso questo è anche il punto di vista della teoria delle stringhe.

Qual è il punto di vista della teoria dei twistor sulla continuità/discontinuità?

Un’altra fra le prime motivazioni per la teoria dei twistor fu la teoria delle reti di spin, nella quale si cerca di costruire lo spazio a partire da regole quantiche combinatorie discrete. Si può cercare di costruire la teoria dei twistor anche a partire da cose discrete. Nel corso degli anni, però, la tendenza si è orientata verso metodi olomorfi più che combinatori, ma ciò non significa che il punto di vista discreto sia inferiore. Può darsi che ci sia una connessione profonda fra concetti discreti e olomorfi, ma essa non è ancora emersa in modo chiaro.