Mara Morini
Il libro
[...]Ripercorrendo gli avvenimenti che hanno portato all’implosione dell’Unione Sovietica, alla fase di transizione degli anni Novanta e all’ascesa al potere di Vladimir Putin, il ragionamento sembra confluire in un «monumento delle contraddizioni» [Monaghan 2016]. Un’azione, una decisione o un’affermazione, che per un occidentale può sembrare contraddittoria, assume, invece, una logica ben definita per un russo. Il rischio è che ciò che non può essere spiegato sia definito come indecifrabile o sbagliato.
Una migliore comprensione di come la Russia si approccia alle questioni internazionali e come si è sviluppata nel suo assetto politico interno, è sicuramente un’operazione necessaria per chiarire la natura del potere politico nella Russia post-comunista e il tipo di sfide che il presidente Putin dovrà affrontare nei prossimi anni.[...]
Quali sono le eredità politiche, culturali e istituzionali del passato che ancora plasmano la società e il mondo politico russo? Il volume offre il ritratto di un paese che è poco conosciuto nelle sue dinamiche interne, ma che è un attore primario nello scenario geopolitico contemporaneo, nella guerra al terrorismo in Cecenia, nel conflitto con l’Ucraina per l’annessione/ invasione della Crimea; nella cyber war con l’America di Trump e nella costruzione delle fake news per contrastare sentimenti russofobici.
LA RUSSIA DI PUTIN
Introduzione
La Russia non si intende con il senno,
né col comune metro:
la Russia è fatta a modo suo,
in essa si può credere soltanto
Fëdor Tjučev
I celebri versi di Tjučev colgono la prima sensazione che uno studioso della politica, della lingua o della letteratura russa prova: l’incongruenza, la sfida alla logica, il paradosso.
Ripercorrendo gli avvenimenti che hanno portato all’implosione dell’Unione Sovietica, alla fase di transizione degli anni Novanta e all’ascesa al potere di Vladimir Putin, il ragionamento sembra confluire in un «monumento delle contraddizioni» [Monaghan 2016]. Un’azione, una decisione o un’affermazione, che per un occidentale può sembrare contraddittoria, assume, invece, una logica ben definita per un russo. Il rischio è che ciò che non può essere spiegato sia definito come indecifrabile o sbagliato.
Una migliore comprensione di come la Russia si approccia alle questioni internazionali e come si è sviluppata nel suo assetto politico interno, è sicuramente un’operazione necessaria per chiarire la natura del potere politico nella Russia post-comunista e il tipo di sfide che il presidente Putin dovrà affrontare nei prossimi anni.
La Russia è indubbiamente al centro dell’attenzione internazionale. Divisa nella sua componente europea e asiatica, concilia rapporti bilaterali con i paesi europei – di natura prevalentemente commerciale – con un più ambizioso progetto di integrazione euroasiatica – (la Grande Eurasia) – che faccia da controparte all’Unione europea (UE), senza escludere la Cina e l’Asia.
«Russia matters», importa, rilevano i principali analisti politici, e per questo dobbiamo sforzarci di comprenderla, ora più che mai.
Certamente, analizzare la politica russa costituisce una sfida perché non tutti i fenomeni politici che la riguardano possono essere facilmente spiegati dai concetti utilizzati nella scienza politica occidentale. Come si può definire il regime politico russo? È una democrazia o un regime illiberale? Cosa s’intende con il termine «democrazia sovrana» o «regime ibrido»? Quali sono i presupposti della politica estera di Putin? Quale ruolo ha Russia unita, il partito del presidente nella «verticale del potere» istituzionale? Quali conseguenze sociali e politiche ha determinato la «dittatura della legge» del presidente Putin? E, soprattutto, quali sono le eredità politiche, culturali e istituzionali del passato che ancora plasmano la società e l’azione politica putiniana?
A queste e altre domande intende rispondere il presente volume attraverso uno studio del caso che si dipana lungo alcune linee direttrici di ricerca.
La struttura del libro è suddivisa in quattro parti che forniscono una visione piuttosto ampia, seppur sintetica, dei principali cambiamenti politici, sociali, culturali ed economici avvenuti dopo il crollo dell’Urss.
La prima parte affronta la descrizione dell’assetto istituzionale della nuova Federazione russa – presidente, governo e parlamento – contraddistinta da una forte concentrazione dei poteri nelle mani del presidente, coadiuvato dall’amministrazione presidenziale che ricopre un ruolo fondamentale nel sistema di potere. In questi capitoli si comprende come il presidente Putin interagisce con il primo ministro nella c.d. «tandemocrazia», ovvero un governo in cui, dal 2008, Putin e il suo successore Dmitrij Medvedev, si sono alternati alle due cariche istituzionali e si sono suddivisi gli ambiti di decisione e azione politica sino al gennaio 2020. Una particolare attenzione è rivolta anche all’analisi della struttura federale e al rapporto tra centro e periferia nella gestione complessa del paese. In questo quadro costituzionale il parlamento russo è passato da attore conflittuale a subordinato alla volontà presidenziale, come si evince dalla produzione legislativa nel periodo 1993-2019 e dalla configurazione dei gruppi parlamentari che lo compongono.
La seconda parte fornisce un quadro complessivo delle elezioni parlamentari e presidenziali. Dalla regolamentazione delle campagne elettorali, il loro finanziamento, e le strategie adottate dai candidati, al ruolo dei mass media e alle numerose critiche di agenzie e istituzioni internazionali di ricorrenti frodi elettorali che hanno contraddistinto la competizione politica in Russia nel ciclo elettorale 1993-2018. È in questo contesto che si pone una particolare attenzione alla nascita del multipartitismo e ai vari orientamenti politici che si sono succeduti nei decenni della transizione democratica di questo paese. Da un lato, i partiti eredi della tradizione sovietica, i più longevi della Russia contemporanea, come il Partito comunista e il Partito liberaldemocratico, e dall’altro, i nuovi partiti riformisti di orientamento liberale (Jabloko, Unione delle forze di destra) che, nel corso degli anni, hanno perso la propria rappresentanza politica all’interno delle istituzioni.
In particolare, un capitolo è interamente dedicato allo sviluppo del c.d. «partito del potere» (o del presidente) – Russia unita – che è diventato indiscusso protagonista della scena politica, detenendo la maggioranza assoluta dei seggi in parlamento e la quasi totalità dei governatori della Federazione. Definito da Aleksej Navalny, blogger e famoso oppositore di Putin, come «il partito degli imbroglioni e dei ladri», Russia unita rappresenta un attore politico determinante per la gestione del potere, seppur nel calo di consensi, come le recenti elezioni locali a Mosca del 2019 hanno dimostrato.
La terza parte del libro, intitolata Economia e società, ripercorre gli effetti del passaggio a un’economia di mercato durante la presidenza di Boris El’cin e lo sviluppo economico che il paese ha conseguito nelle prime due legislature di Putin. Ciò consente, attraverso l’utilizzo di indicatori economici e sociodemografici, di stimare il livello di benessere economico, dell’aspettativa di vita, delle disuguaglianze e del sistema di welfare, presenti nella società odierna e di comprendere sino a che punto le risorse energetiche sono indispensabili per la stabilità economica del paese, soprattutto dopo le sanzioni economiche del 2014.
Inoltre, vi è un’analisi del ruolo ricoperto dalla comunicazione politica e più in generale dal sistema dei mass media, sia in termini di restrizioni al pluralismo dell’informazione e dei rischi personali che affrontano i giornalisti in Russia, sia in termini di utilizzo dei nuovi social media, come VKontakte, Facebook e Twitter, da parte dell’opposizione politica e della conseguente reazione del Cremlino.
Ultima, ma non meno importante, è la quarta parte, che affronta il tema della Russia «contro» il resto del mondo.
Attore principale nello scenario geopolitico contemporaneo, la Russia di Putin sta affrontando diverse sfide internazionali che evocano scenari da «nuova guerra fredda» [Lucas 2014; Legvold 2016]: dalla guerra al terrorismo in Cecenia al conflitto con l’Ucraina per l’annessione/invasione della Crimea; dalla dottrina militare anti-Nato all’attuale intervento in Siria; alla cyberwar con l’America di Donald Trump, alle spy stories con l’Inghilterra.
Attraverso fonti primarie in lingua russa, ricerche e analisi condotte dai più autorevoli «russologi» internazionali, il volume ha, quindi, l’obiettivo di fornire un’accurata analisi che consenta una maggiore conoscenza di questo paese, così affascinante e, per molti, ancora sconosciuto.
Tizzano Val Parma - Mosca
febbraio 2020
PARTE PRIMA
LE ISTITUZIONI
Capitolo primo
La presidenza della FR rappresenta la figura istituzionale più importante nell’assetto politico della Russia contemporanea.
Vladislav Surkov, autore dell’etichetta «democrazia sovrana», ha definito Putin come un cavaliere bianco inviato da Dio giusto in tempo per salvare la Russia [Sakwa 2014, 5].
Il presidente Putin è solitamente descritto come un «uomo solo al comando» – termine ormai utilizzato nella narrazione politica italiana e non solo – che, in realtà, si dota di una struttura amministrativa complessa, necessaria per fronteggiare e risolvere le pesanti eredità lasciate dal presidente El’cin, tra le quali una profonda crisi economica e un’anarchia istituzionale.
Per la prima volta nella storia del paese, sottoposta alla valutazione dei cittadini attraverso un referendum costituzionale che ha avuto luogo il 12 dicembre 1993, con il 58,4% di voti a favore e 41,6% contrari e una partecipazione del 54,8% della popolazione[1], la Costituzione della nuova FR è entrata in vigore il 25 dicembre 1993, a due anni dalle dimissioni di Michail Gorbačëv.
È importante contestualizzare il periodo in cui nasce questa Costituzione. La dissoluzione dell’Urss ha avviato, infatti, una triplice transizione di natura economica, politica e di costruzione di una nuova nazione che richiede autorevolezza, fermezza, capacità decisionale e, soprattutto, il coinvolgimento popolare che era mancato a Gorbačëv. L’elezione a carica di presidente della Repubblica russa, avvenuta il 12 giugno 1991 con il 57,3% dei voti[2], ha conferito a El’cin una maggiore legittimazione rispetto al suo predecessore e lo ha investito del ruolo di salvatore della patria e di guida del processo di democratizzazione.
Come egli stesso ha affermato nel discorso di inaugurazione della sua presidenza:
I cittadini russi hanno fatto la loro scelta. Essi non hanno solamente scelto [...] un presidente, loro prima di tutto hanno scelto il percorso che la nostra patria deve seguire [...] Il presidente non è un Dio, o un nuovo monarca, o un onnipotente uomo dei miracoli. Egli è un cittadino, investito di enorme responsabilità per il futuro della Russia e dei suoi compatrioti; egli è, prima di tutto, la persona nella quale il popolo ha posto la sua fiducia[3].
Questa idea del presidente depositario della volontà popolare segnerà tutti i presidenti in carica e costituisce un tratto distintivo dell’autocrazia russa.
Ispirandosi al ruolo e ai poteri di Charles de Gaulle, padre del modello costituzionale della V Repubblica francese, e nella continuità della tradizione zarista e sovietica, El’cin ha, infatti, concentrato numerosi poteri in una figura monocratica. È opportuno, quindi, entrare nel dettaglio delle attribuzioni del potere al presidente per comprendere il contesto entro cui il «superpresidenzialismo russo» si è strutturato e sviluppato [Fish 2001; 2005].
Il testo costituzionale[4], che consta di un Preambolo, 11 capitoli e 137 articoli, cita il presidente della FR come primo organo istituzionale, affidandogli il ruolo di capo dello Stato e «garante della Costituzione della FR, dei diritti e delle libertà della persona e del cittadino» (art. 81, c. 2).
Eletto a suffragio universale con un sistema elettorale a doppio turno per un mandato di 4 anni, esteso a 6 in seguito alla riforma costituzionale del 2008, il presidente della FR deve avere almeno 35 anni e risiedere nel territorio russo continuativamente da almeno 10 anni.
La Costituzione russa attribuisce al presidente, che determina gli indirizzi fondamentali della politica estera e interna, diversi poteri, espressi negli artt. 80-93, che possono essere suddivisi nelle seguenti funzioni.
Rispetto alla funzione esecutiva e di governo-indirizzo, il presidente nomina, con il consenso della Duma, il presidente del governo (art. 83, c. 1, a) e ne presiede le sedute (art. 83, c. 1, b). Su proposta del presidente del governo, il presidente della FR nomina e revoca i vicepresidenti del governo e i ministri federali (art. 83, c. 1, e) e decide sulle dimissioni del governo (art. 83, c. 1, c). In particolare, al presidente spetta la scelta e la nomina di alcuni componenti del gabinetto esecutivo, i c.d. «ministeri del potere» (Ministero della difesa, degli esteri, degli interni, della giustizia e situazioni d’emergenza) che a lui rispondono personalmente. Inoltre, il presidente della FR ha il potere di sospendere gli atti degli organi del potere esecutivo dei soggetti della FR qualora contrastino con la Costituzione e la legislazione federale (art. 85, c. 2). L’art. 87, c. 1, decreta che il presidente della FR assume la carica di comandante supremo delle forze armate.
Nell’esercizio delle funzioni parlamentari e della sovranità popolare, il presidente della FR indice l’elezione della Duma di Stato e il referendum (art. 84, a-c), emana editti (ukaz) e ordinanze che hanno efficacia obbligatoria su tutto il territorio (art. 90, c. 2) e non devono essere in contrasto con la Costituzione (c. 3). In base all’art. 117 della Costituzione, il presidente della FR può sciogliere la Duma e può, inoltre, esercitare la potestà di iniziativa legislativa attraverso la proposta di leggi alla Duma (art. 84, d), nonché la firma e la promulgazione delle leggi federali (art. 84, e).
Nella giurisdizione costituzionale, ordinaria e amministrativa, il presidente della FR ha numerosi poteri di nomina e di rimozione, tra cui il presidente della Banca centrale, i giudici della Corte costituzionale, della Corte suprema, della Corte suprema di arbitrato, il procuratore generale, i giudici delle altre corti federali, i rappresentanti diplomatici presso gli Stati stranieri e le organizzazioni internazionali.
In merito alla rappresentanza esterna, come capo dello Stato, il presidente rappresenta la nazione nel contesto internazionale, tutelandone la sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale e può negoziare e firmare i trattati internazionali, i documenti di ratifica e ricevere i diplomatici (art. 86, c. 1, b-d).
L’art. 92 disciplina, invece, le dimissioni del presidente della FR che possono verificarsi per «permanente incapacità di adempiere ai suoi compiti, per motivi di salute, o per la destituzione dalla carica». In queste situazioni, l’elezione di un nuovo presidente deve avvenire entro tre mesi dal momento della cessazione anticipata e le sue funzioni vengono temporaneamente svolte dal capo del governo che non può sciogliere la Duma, indire il referendum e proporre emendamenti o revisioni della Costituzione.
L’alternativa alle dimissioni è la messa in stato d’accusa (impeachment) che si attiva con l’accusa di tradimento dello Stato o di un grave reato, formulata nella Duma di Stato su iniziativa di almeno un terzo dei deputati e con i pareri di una commissione speciale, della Corte suprema e della Corte costituzionale (art. 93).
Più precisamente, la Duma e il Consiglio della Federazione devono approvare la mozione con il voto dei due terzi dei componenti di ognuna delle due camere, e la decisione del Consiglio della FR deve avvenire entro tre mesi dalla mozione presentata dalla Duma, altrimenti l’accusa è considerata respinta.
Questa breve descrizione degli articoli sul presidente della FR evidenzia l’estensione degli ambiti e del dominio riservato di potere entro cui El’cin e, soprattutto, Putin hanno posto le basi per una deriva cesaristica della dinamica istituzionale che costituisce una peculiarità nel quadro delle esperienze paradigmatiche dei modelli statunitense (sistema presidenziale) e francese (sistema semipresidenziale).
Si tratta di un ruolo che consente al presidente: di controllare le funzioni degli altri organi statali che, in un’ottica di accountability, rispondono solo a lui del loro operato; di sanzionarli qualora non producano politiche efficaci ed efficienti per il popolo russo attraverso la sostituzione dei membri del governo e l’esercizio del potere di veto nei confronti del parlamento; di avere un ruolo determinante nella produzione legislativa con la decretazione presidenziale e di bypassare la figura del capo del governo attraverso l’interazione diretta con i rappresentanti dei maggiori ministeri.
Le parole utilizzate nella Costituzione sono molto importanti per capire anche il ruolo del presidente quale attore politico super partes rispetto agli organi del potere esecutivo, legislativo e giudiziario. Il presidente, infatti, coordina le funzioni e le interazioni tra le agenzie di Stato, è il capo dello Stato (non del governo o del potere esecutivo), è il garante della Costituzione, ma non è iscritto a un partito politico, come se fosse un potere esterno alla classica tripartizione montesquieana che, a discrezione, può inficiare l’autonomia degli organi del potere sancita dall’art. 10 della Costituzione.
Riprendendo le parole di Steve Fish [2001, 37]: «l’anemia della democrazia russa può in realtà essere spiegata esclusivamente in termini di una singola scelta istituzionale per il presidenzialismo» che, determinando una concentrazione di potere nella persona del presidente ha, tuttavia, consentito di controllare il caos generato dalla dissoluzione dell’Urss. In realtà, il problema non è tanto la forma di governo presidenziale di per sé quanto l’assenza di un sistema di pesi e contrappesi derivata dalla debolezza delle altre istituzioni democratiche, in primis, come vedremo nel terzo capitolo, il parlamento della FR.
Se la Costituzione determina, quindi, il contesto politico-istituzionale entro cui il presidente della FR esercita le proprie funzioni, lo stile della leadership, la personalità e le scelte di policies contano e hanno fatto la differenza nella configurazione del nuovo regime politico e, in particolare, nella gestione della «politica della Dacia» di El’cin rispetto alla «dittatura della legge» di Putin[5].
TAB. 1.1. I presidenti della Russia
Legislatura | Candidato | Consenso elettorale (%) |
---|---|---|
1991-1996 | Boris Nikolaevič El’cin | 57,3 |
1996-1999 | Boris Nikolaevič El’cin | 1996: 35,8 (1o turno) 54,4 (2o turno) |
2000-2004 | Vladimir Vladimirovič Putin | 52,9 |
2004-2008 | Vladimir Vladimirovič Putin | 71,3 |
2008-2012 | Dmitrij Anatolevič Medvedev | 70,3 |
2012-2018 | Vladimir Vladimirovič Putin | 63,6 |
2018- | Vladimir Vladimirovič Putin | 76,7 |
Fonte: Elaborazione dell’autrice su dati forniti dalla Cec e www.government.ru, rilevazione del 12 dicembre 2019. |
La tabella 1.1 elenca i presidenti della FR che si sono succeduti dopo la dissoluzione dell’Urss.
Due esempi ci permettono di chiarire questa prassi informale descritta in russo con il termine blat [Ledeneva 2009]. Il primo è definito giustizia telefonica (telefonnoe pravo) ed è una pratica sovietica con la quale si telefonava per chiedere un favore (richieste informali) o esprimere la linea del partito su un determinato episodio, come fare pressione sui giudici che devono prendere una decisione[6]. La seconda è la questione delle tangenti a livello amministrativo e politico. La ricerca condotta da Viktorova nel 2008 dimostra che esiste una lista dei prezzi per essere nominato governatore di una repubblica o avere un seggio nel Consiglio della Federazione che oscilla dai 5 ai 7 milioni di rubli oppure dai 3 ai 4 milioni per diventare capo di un dipartimento o direttore del servizio di sicurezza Fsb.
Blat e le tangenti sono il modus operandi della politica informale nella Russia contemporanea che ha aumentato sempre più i livelli di corruzione nel paese, passando dalla posizione 126 del 2004 alla 158 del 2005 alla 154 del 2011 e, attualmente, alla 137 su 180 paesi del 2018[7] (Corruption Index, 2019).
Putin ha indubbiamente consolidato il potere della presidenza, ma la sua gestione ha messo in luce il problema che è al cuore della politica russa contemporanea: qual è la relazione tra queste due forme di potere e quali gli effetti per la stabilità del regime?
Durante la presidenza El’cin era possibile distinguere le due forme di potere. La politica informale influenzava le scelte del presidente in riferimento, ad esempio, alla nomina dei ministri o esercitava forte pressione per bloccare le riforme necessarie per il paese che erano in netto contrasto con gli interessi economici degli oligarchi. Con El’cin la competizione politica era un mezzo per capire chi era il più forte, con Putin diventa un sistema in cui si meritano premi perché si è leali al presidente.
Da un sistema neopatrimoniale, composto da una pluralità di gruppi in competizione tra di loro sia a livello orizzontale sia nella frattura centro-periferia, si passa a una configurazione piramidale dove il presidente riesce a unire il più importante livello di rete patrimoniale in una macchina politica su scala nazionale.
Il superpresidenzialismo di Putin, che ricalca la duplicazione del Pcus nelle strutture amministrative di governo per cui il soviet informale affiancava il sistema formale del partito-Stato, ora è un sistema informale, basato su reti personali in un contesto di regole formali e para-costituzionali. Questi due diversi modi di fare politica coesistono nella Russia contemporanea, ma gestirli è un affare molto difficile, come è già emerso alla fine del secondo mandato di Putin nel 2007-2008 e si sta riproponendo in previsione della fine del suo mandato nel 2024.
[1] Richard Sakwa [2010] segnala che, nei giorni seguenti al voto del 12 dicembre, sono state formulate accuse di frode elettorale a favore della vittoria del «sì», stimando una partecipazione al voto pari a 30,7 punti percentuali e il voto contrario di 17 regioni.
[2] Per i risultati elettorali dell’elezione di El’cin alla presidenza della Repubblica russa nel 1991 e del referendum costituzionale del 1993 si rimanda al sito della Commissione elettorale centrale (Cec): cfr. cikfr.ru/eng/.
[3] Novosti, 10 luglio 1991, 32.
[4] La Costituzione russa è stata emendata nel 2008 per modificare la durata della legislatura della Duma (da 4 a 5 anni) e del presidente della Federazione (da 4 a 6 anni) e nel 2014 per eliminare la Corte suprema di arbitrato, sostituita da un nuovo collegio specializzato della Corte suprema. Cfr. www.constitution.ru oppure www.pravo.gov.ru.
[5] Per «politica della Dacia» s’intende una gestione del potere clientelare e familiare che ha contraddistinto la presidenza di El’cin con conseguenze negative per l’instabilità del paese. «La dittatura della legge» è l’affermazione fatta dal presidente Putin nel suo primo mandato e poggia sui principi dell’ordine e della stabilità con un approccio pragmatico e tecnocratico.
[6] Si possono trovare video che descrivono questa pratica telefonica nel canale televisivo Kul’tura (tvkultura.ru).
[7] Per ulteriori dettagli sulla costruzione dell’indice della corruzione si rimanda al sito https://www.transparency.org.
Capitolo secondo
Una prima ricognizione dei poteri del presidente della FR nel primo capitolo ha messo in luce come de facto la forma di governo semipresidenziale si sia trasformata in un superpresidenzialismo in cui i poteri formali e informali del presidente sono molto estesi.
Quali funzioni sono, quindi, attribuite al governo della FR? E, soprattutto, come il capo di governo si rapporta con il presidente della FR?
Per rispondere a queste domande, anche in questo caso, è opportuno cominciare da una breve descrizione dell’attività del governo, disciplinata negli artt. 110-117 della Costituzione per comprendere come il governo russo sia letteralmente l’organo di esecuzione delle decisioni del capo dello Stato.
Per quanto riguarda la procedura di formazione del governo, «il presidente del governo della Federazione russa è nominato dal presidente[1] della Federazione russa (Predsedatel’ Pravitel’stva Rossijskoj Federatsii) con il consenso della Duma di Stato» (art. 111, c. 1), previa la presentazione della candidatura «entro due settimane dalla carica del nuovo presidente della Federazione russa eletto, ovvero dopo le dimissioni del governo della Federazione russa oppure entro una settimana dal rigetto della candidatura da parte della Duma di Stato» (art. 111, c. 2).
Inoltre, «se la candidatura a presidente del governo della FR è bocciata per tre volte dalla Duma di Stato, il presidente della Federazione ha due possibilità: nominare il presidente del governo della FR contro la volontà del parlamento, sciogliere la Duma di Stato e, di conseguenza, indire nuove elezioni» (art. 111, c. 4).
L’attività del governo della FR è disciplinata dalla legge della Costituzione federale (art. 114, c. 2) e il governo ha competenza in materia di: 1) elaborazione del bilancio federale (art. 114, c. 1, a); 2) assicurazione della realizzazione della politica finanziaria, creditizia e monetaria della Federazione (art. 114, c. 1, b), svolgimento di una politica statale unitaria nel campo della cultura, della scienza, dell’istruzione, della sanità, della previdenza sociale e dell’ambiente (art. 114, c. 1, c); 3) attuazione delle misure di sicurezza e assicurazione della legalità e dei diritti; 4) amministrazione della proprietà statale (art. 114, c. 1, d); 5) attuazione delle misure per garantire la difesa e la sicurezza del paese (art. 114, c. 1, e), adozione delle misure per garantire i diritti e le libertà del cittadino (art. 114, c. 1, f), esercizio di altri poteri conferiti dalla Costituzione, dalle leggi federali, dagli editti del presidente della Federazione (art. 114, c. 1, g); 6) emanazione di decreti e ordinanze che, se non conformi alla Costituzione, possono essere annullati dal presidente della Federazione.
Le funzioni del capo dello Stato in caso di malattia sono svolte temporaneamente dal presidente del governo che non può sciogliere la Duma, indire il referendum, presentare proposte di modifica e revisione della Costituzione (art. 92, c. 3).
Gli artt. 116 e 117 disciplinano le modalità delle dimissioni del governo che avvengono successivamente alle elezioni di un nuovo presidente della FR, da parte del governo stesso, su volontà del presidente della FR (art. 117, c. 2) e in caso di un voto di sfiducia, espresso dalla maggioranza assoluta dei deputati della Duma di Stato.
In quest’ultimo caso si possono verificare alcune situazioni. Dopo il voto di sfiducia, il presidente della FR dimissiona il governo o respinge la decisione della Duma. «Se entro tre mesi la Duma di Stato formula di nuovo la sfiducia nei confronti del governo della FR, il presidente della FR dimissiona il governo oppure scioglie la Duma di Stato» (art. 117, c. 3). Inoltre, il presidente del governo può proporre alla Duma la questione di fiducia al governo e se la Duma nega la fiducia, «il governo della FR, su incarico del presidente della FR, continua a esercitare le sue funzioni fino alla formazione del nuovo governo della FR» (art. 117, c. 4). Sempre su incarico del presidente della FR, in caso di dimissioni il governo della FR «continua a esercitare le sue funzioni fino alla formazione del nuovo governo della FR» (art. 117, c. 5).
Questo quadro normativo ci permette di fare alcune considerazioni.
La prima riguarda le implicazioni politiche dell’art. 117. Le dimissioni del governo sono sostanzialmente in mano alla volontà del presidente, indipendentemente dal fatto che il governo abbia operato efficacemente o in presenza di un voto di sfiducia della Duma. La principale conseguenza è che al presidente del governo interessa maggiormente avere la fiducia del presidente della FR rispetto al rapporto politico-legislativo con la Duma. Lo stesso vale per i ministri. Come nell’epoca imperiale in cui i singoli ministri interagivano con lo Zar (Car’), così ora i ministri federali non operano in modo collegiale, ma cercano di costruire un rapporto fiduciario individuale e di lealtà con il presidente della FR.
Il secondo aspetto è determinato da un emendamento all’art. 11 della legge costituzionale federale sul governo che proibisce ai membri del governo di far parte di agenzie dello Stato o di organi statali. Rispetto ad altre esperienze delle democrazie occidentali, non c’è in Russia una corrispondenza tra partito di maggioranza e membri nel governo per sottolineare che il governo è nominato da un presidente che non appartiene a nessun partito. La Costituzione russa non contempla, quindi, un governo di partito, tipico delle democrazie parlamentari, ma una soluzione tecnocratica, basata sulle competenze in specifiche aree di policy dei singoli ministri.
Il terzo aspetto riguarda il rapporto tra il presidente della FR e la Duma. Da un lato, il presidente della FR può ricattare la Duma con lo scioglimento anticipato delle camere e l’indizione di nuove elezioni qualora non sia accettata la nomina del candidato alla presidenza del governo; dall’altro lato, la Duma, sfiduciando il governo o rifiutando la fiducia, disapprova la scelta presidenziale. In entrambi i casi si avvia un conflitto istituzionale tra il presidente della FR e la Duma che blocca l’attività governativa e aumenta l’instabilità istituzionale.
Esempi di questa situazione di crisi governativa si riscontrano solo ed esclusivamente durante la presidenza El’cin. La prima mozione di sfiducia è stata, infatti, presentata nel 1994 dalla fazione di opposizione parlamentare, Jabloko, contro la pessima gestione economica del governo, ma non ha trovato il sostegno della maggioranza dei deputati tra cui quella del Partito comunista della FR (Pcfr) che aveva appoggiato il governo di Viktor Černomyrdin. Quattro anni più tardi il Pcfr promuove una nuova mozione di sfiducia in occasione dell’approvazione del budget federale del 1998, ma la minaccia del presidente della FR di sciogliere la Duma e la sostituzione di alcuni ministri evitano la discussione parlamentare.
Nel marzo 1998 Černomyrdin viene rimosso dall’incarico da El’cin che conferisce la carica di capo del governo ad interim a Sergej Kirienko, uomo di orientamento più liberale e riformista, suscitando la reazione negativa del Pcfr che si oppone fortemente alla sua nomina. La Duma, infatti, rifiuta per ben due volte la sua candidatura, approvandola solamente dopo la terza e ultima votazione per evitare il ricorso alle urne in seguito alla minaccia di scioglimento di El’cin e ai tentativi dell’amministrazione presidenziale di comprare i voti a favore del suo candidato [Morini 2005, 223].
Dopo solo quattro mesi di governo, El’cin, insoddisfatto dell’operato del governo Kirienko, incapace di attuare politiche economiche efficaci per risolvere la crisi, propone nuovamente Černomyrdin che non ottiene la fiducia nelle prime due votazioni. Questa volta El’cin ha bisogno di affrontare con urgenza la situazione economica e non vuole sciogliere la Duma. Sottopone così, alla terza votazione, il nome di Evgenij Primakov, già ministro degli affari esteri nel secondo governo Černomyrdin, favorevolmente accolto anche dal Pcfr e confermato con una grande maggioranza nella Duma (317 voti a favore, 63 contrari e 15 astenuti). Quest’ultimo episodio costituisce la maggiore concessione fatta dal presidente El’cin alla Duma e un ulteriore segnale di debolezza del suo potere. Per evitare che Primakov, anche agli occhi dell’opinione pubblica, aumenti il suo consenso, El’cin lo sostituisce con Sergej Stepašin che rimane in carica solamente 82 giorni e si dimetterà nell’agosto 1999. In soli 14 mesi si sono, quindi, verificate tre crisi di governo nelle quali il presidente della FR ha potuto contare sulle sue prerogative costituzionali per contrastare l’azione della Duma.
L’elezione di Vladimir Putin alla carica di presidente del governo, avvenuta il 9 agosto del 1999 con 233 voti a favore, 84 contrari e 17 astenuti, e l’immediata dichiarazione che si sarebbe candidato alle elezioni presidenziali del marzo 2000, darà vita a un nuovo corso nella politica russa. Il neoeletto presidente Putin riorganizza la struttura degli organi federali del potere esecutivo con un editto presidenziale, ottiene la nomina di Michail Kas’janov a capo del governo e non conferma al vertice dei ministeri le figure più significative dell’era eltciniana.
Avvalendosi dei dati forniti nel sito del governo[2], si possono individuare alcuni elementi di discontinuità nella prassi politica delle presidenze di El’cin e Putin in merito alla stabilità governativa e al rapporto con il parlamento.
La tabella 2.1 riassume, infatti, il numero e la durata dei governi della FR dal 1989 al 2020.
TAB. 2.1. I presidenti del governo
Presidente del governo | Durata della legislatura |
---|---|
Ivan Silaev | 15/06/1989-26/09/1991 |
Boris El’cin | 6/11/1991-15/06/1992 |
Egor Gajdar | 15/06/1992-15/12/1992 |
Viktor Černomyrdin | 15/12/1992-23/03/1998 |
Sergej Kirienko | 24/04/1998-23/08/1998 |
Viktor Černomyrdin | 24/08/1998-10/09/1998 |
Evgenij Primakov | 11/09/1998-12/05/1999 |
Sergej Stepašin | 19/05/1999-9/08/1999 |
Vladimir Putin | 9/08/1999-31/12/1999 |
Michail Kas’janov | 17/05/2000-24/02/2004 |
Michail Fradkov | 5/03/2004-12/09/2007 |
Viktor Zukov | 14/09/2007-7/05/2008 |
Vladimir Putin | 8/05/2008-7/05/2012 |
Dmitrij Medvedev | 8/05/2012-15/01/2020 |
Michail Mišustin | 16/01/2020- |
Fonte: www.government.ru; Kommersant.ru, rilevazione del 28 gennaio 2020. |
Quest’ultimo è disciplinato in diverse fonti gerarchiche tra cui la Costituzione, le legge federale, la Costituzione/statuto e la legge dei singoli soggetti della Federazione, nonché lo statuto delle formazioni municipali[3].
Nella gestione dell’autogoverno è contemplato anche il ricorso a forme di «manifestazione diretta» della volontà dei cittadini come il referendum, la petizione, l’assemblea dei cittadini in conformità con lo statuto o le leggi dei soggetti della Federazione.
Al momento dell’adozione della Costituzione nel 1993 la Russia consta di 89 soggetti della Federazione che includono differenti entità, sub-strutture collegate all’eredità della divisione amministrativa sovietica. Più precisamente si tratta di 21 repubbliche, 49 regioni, 6 territori, 2 città di livello federale e 10 circondari autonomi.
La principale differenza tra una regione (oblast’) e una repubblica è che le repubbliche hanno una nazionalità titolare non russa nella loro popolazione e possono separarsi dalla federazione, mentre alle regioni non è concesso.
A oggi ci sono 85 entità federali tra cui è inclusa la Crimea dal 2014, mentre tre città – Mosca, San Pietroburgo e Sebastopoli – hanno lo status federale. Il maggior numero di entità amministrative locali sono regioni o circondari (krai) in cui vive l’81% della popolazione totale del paese [Slider 2019].
Il concetto di federalismo in Russia è sempre stato controverso. Le élite regionali e le forze democratiche del paese hanno sempre ritenuto la divisione dei poteri e la decentralizzazione del processo decisionale come una precondizione per l’effettiva governance e conseguente democratizzazione del paese. Al contrario, per i comunisti e i nazionalisti il federalismo è concepito come un elemento di disgregazione del sistema sovietico. L’identità etnica delle repubbliche ha fatto sì che alcuni nazionalisti, tuttora, chiedano di ridisegnare i confini amministrativi per eliminare le repubbliche e sostituirle con i guberniyas, entità amministrative che esistevano già ai tempi dello Zar [Ross e Campbell 2008].
Con El’cin, la Russia ha adottato un federalismo che disciplina i rapporti tra centro e periferia a geometria variabile ovvero alcune repubbliche hanno più poteri di altre nell’ottica della sua gestione clientelare/informale di potere e vengono anche stipulati accordi o protocolli bilaterali come nel caso del Tatarstan[4] e del Baškortostan.
Solamente nel 1995 El’cin accetta di introdurre le elezioni per la selezione dei governatori precedentemente nominati dal presidente della Federazione. Come ha rilevato Konitzer [2005], le elezioni locali tra il 1995 e il 2001 sono state realmente competitive con una media di tre candidati di schieramento diversi a ogni elezione.
A differenza di El’cin, Putin ha sempre ritenuto le regioni troppo potenti politicamente rispetto al Cremlino, perché minacciano l’integrità territoriale del paese. Per questo uno dei primi cambiamenti di Putin è stata la nuova divisione territoriale in sette macroregioni o distretti federali – Nordovest, Centro, Sud, Volga, Urali, Siberia ed Estremo Oriente – diventati otto con il presidente Medvedev che, nel 2011, ha separato il distretto del Nord Caucaso da quello del Sud e aumentati a nove unità con l’annessione della Crimea nel 2014.
Questa nuova configurazione è alla base del sistema «verticale del potere» con il quale Putin ha subordinato le regioni al centro in una catena gerarchica di comando. La verticale del potere si dirama lungo diversi canali: dai rappresentanti presidenziali alle agenzie federali. Queste ultime sono dislocate nelle varie repubbliche e svolgono diverse attività connesse alla loro funzione legata al Ministero degli interni (polizia), al servizio di migrazione, ai servizi di emergenza, ai trasporti e alle infrastrutture.
Inoltre, l’allocazione del budget dal livello federale a quello locale non avviene tramite i governi regionali, ma attraverso sezioni federali dei ministeri e delle agenzie, dando vita a un sistema poco trasparente e lasciato in mano ai lobbisti.
Oltre a spostare il baricentro del potere al Cremlino, Putin ha voluto anche ridurre il grado di asimmetria politico-economica tra le repubbliche, partendo da un’omogeneità legislativa. Come ai tempi dell’Unione Sovietica, il Cremlino riacquista il controllo delle componenti periferiche e incentiva la formazione di un sistema bipartitico, composto da Russia unita e dal Pcfr nelle istituzioni locali.
In seguito alla strage di Beslan del 2004[5], Putin ha eliminato l’elezione diretta dei governatori delle repubbliche che sono, invece, designati dal presidente della FR e, solo successivamente, confermati dalle assemblee locali.
Oltre ai rappresentanti presidenziali, Putin ha, così, trasformato la composizione del Consiglio della Federazione, la camera alta del parlamento che dovrebbe rappresentare le istanze locali e i diritti delle regioni a livello centrale, in un mero organo di ratifica a servizio della presidenza. I governatori sono stati sostituiti con persone nominate, tecnicamente dal ramo esecutivo e legislativo dei governi regionali, ma sostanzialmente suggeriti dall’amministrazione presidenziale. Essi vivono prevalentemente a Mosca e dipendono dall’amministrazione presidenziale e dal 2013 non sono più chiamati presidenti della Repubblica, ma semplicemente governatore o capo della Repubblica [Starodubtsev 2018].
Dal 2012 è stata reintrodotta l’elezione popolare dei governatori regionali, ma permane il controllo presidenziale delle candidature oltre alla regola locale che disciplina la registrazione dei candidati che prevede almeno il 5-10% (in base all’area locale) del sostegno dei consigli locali.
La progressiva riduzione dell’autonomia regionale ha generato anche differenze nel rendimento socioeconomico, nello sviluppo tecnologico e nei servizi erogati alla popolazione locale delle singole repubbliche. Suddivisioni politico-amministrative, regolamentate da diverse agenzie e istituzioni locali, costituiscono elementi a favore del centralismo del Cremlino. A ciò si aggiungano episodi sempre più frequenti di manipolazioni, frodi elettorali nelle elezioni delle assemblee legislative o dei sindaci delle municipalità. Due esempi a tal riguardo sono le elezioni municipali di San Pietroburgo dell’8 settembre 2018, caratterizzate da denunce di brogli elettorali da parte di osservatori, dei giornali locali e della Commissione elettorale locale e il rigetto di ben 23 candidature per sostenere il candidato di Russia unita.
Il secondo caso, reso noto anche ai media internazionali, è stato la competizione per il parlamento della città federale di Mosca dove Russia unita ha ottenuto la maggioranza, seppur con un terzo dei seggi in meno, grazie anche all’intervento del principale antagonista di Putin, il leader Aleksej Navalny, che ha chiesto ai cittadini di esprimere un «voto ragionato» verso i veri candidati di opposizione e non a favore dei candidati di Russia unita che si sono presentati come indipendenti.
L’asimmetria federale non consente di parlare della Russia come un sistema omogeneo politicamente ed economicamente, bensì ci sono diversi regimi politici locali gestiti da élite regionali, più o meno democratiche, dove i governatori, veri boss locali, devono garantire l’affermazione di Russia unita e il consenso al presidente della Federazione.
Il federalismo asimmetrico può produrre disgregazione, ma nel caso russo pare reggere grazie a una sorta di «contratto federale» [Ross 2012, 143-144] tramite il quale El’cin ha concesso una maggiore autonomia e risorse economiche alle repubbliche per scongiurare dichiarazioni di indipendenza, di secessione e la frammentazione della nuova Federazione.
La commistione di risorse economiche e potere politico nelle mani di alcuni governatori è stata così significativa durante la presidenza El’cin a tal punto da parlare di «autoritarismo sub-nazionale» [Gel’man 2010; 2011] che monopolizza lo sviluppo politico nelle province. Più risorse hanno (petrolio), più è probabile che questa forma di autoritarismo si sviluppi [Robinson 2018, 128-140] o degeneri in istanze separatiste, come è stato il caso delle due guerre cecene.
Putin ha, invece, delineato un sistema di potere in cui il livello locale sostanzialmente riproduce il sistema di potere del livello federale e ha recuperato il controllo delle élite regionali, centralizzando anche il budget federale che suddivide alle varie repubbliche in base ad alcuni indicatori di efficacia ed efficienza, ma, soprattutto, in base alla deferenza dell’élite.
[1] Nella lingua russa si distingue il termine Prezident, inteso come organo monocratico da quello di Predsedatel’ che indica il capo di un organo collettivo.
[2] Cfr. www.government.ru, accesso del 28 gennaio 2020.
[3] Le formazioni municipali sono centri abitati urbani o rurali che hanno un proprio statuto stabilito dall’art. 8 della legge federale sull’autogoverno.
[4] In questo potere asimmetrico la Repubblica del Tatarstan, popolata per il 3,7% da tatari, ha perso gran parte dei privilegi conquistati nel trattato bilaterale del 1994 che non è stato più rinnovato dal 2017 [Slider 2019, 120].
[5] Si tratta di un attacco terroristico, compiuto da alcuni separatisti ceceni, nella scuola n. 1 dell’Ossezia del Nord dove sono morte 334 persone tra cui 186 bambini.
Capitolo terzo
Nel 1918 l’autorevole sociologo tedesco Max Weber [1918] scrisse che «si può odiare o amare l’istituzione parlamentare; abolirla non si può. La si può soltanto rendere politicamente impotente». Questa frase descrive perfettamente il tipo di parlamento che «il sistema Putin» ha plasmato nel corso dei decenni.
Le principali funzioni dei parlamenti nei regimi democratici sono associate ai concetti di rappresentanza politica, della produzione legislativa e del controllo dell’operato di governo [Pasquino e Pelizzo 2009]. Come queste tre attività vengono svolte dal parlamento russo? Quale tipo di struttura è stato adottato per favorire la discussione parlamentare e la negoziazione tra le forze politiche?
Il presente capitolo dimostra che il parlamento russo è meramente un centro di legittimazione dell’attività di governo, ormai limitato ad avallare (rubber stamp) automaticamente le decisioni presidenziali.
Il finanziamento delle fazioni parlamentari è stato disciplinato dal Regolamento della Duma di Stato del 22 gennaio 1998 all’art. 80, c. 5, stabilendo che «le uscite per il mantenimento dell’apparato della fazione e del gruppo di deputati sono stabilite in considerazione al loro numero. [...] Le modalità generali per l’ottenimento e per la spesa delle risorse reclutate dalle fazioni e dai gruppi parlamentari sono stabilite dalla Duma di Stato»[1].
TAB. 3.1. Principali fazioni della Duma (1993-2016)
1993 | 1995 | 1999 | 2003 | 2007 | 2011 | 2016 | |
---|---|---|---|---|---|---|---|
Fazione 1 | Pldr | Pcfr | Pcfr | Russia unita | Russia unita | Russia unita | Russia unita |
Fazione 2 | Scelta della Russia | Pldr | Unità | Pcfr | Pcfr | Pcfr | Pcfr |
Fazione 3 | Pcfr | Nostra Casa Russia | Patria | Pldr | Pldr | Pldr | Pldr |
Fazione 4 | Donne della Russia | Jabloko | Unione delle forze di destra | Rodina | Russia giusta | Russia giusta | Russia giusta |
Fazione 5 | Partito agrario | Blocco di Žirinovskij | |||||
Fazione 6 | Jabloko | Jabloko | |||||
Fazione 7 | Partito dell’unità e della concordia | ||||||
Fazione 8 | Partito democratico della Russia | ||||||
Fonte: Elaborazione dell’autrice su dati forniti dal sito www.duma.gov.ru, rilevazione del 15 gennaio 2020. |
In base alla legge sui partiti politici (artt. 32-33) del 2001, i partiti che hanno superato il 3% alle elezioni parlamentari ricevono un’erogazione annuale pari alla percentuale di voti. Nel 2001 l’ammontare era pari a 0,5 copechi per voto; nel 2005 viene quintuplicato per arrivare alla somma di 110 rubli per voto nel 2016 e 152 rubli nel 2017. In sostanza il livello di sussidio dal 2017 è 304 volte più alto rispetto al 2002 attraverso le modifiche alla legge, votate all’unanimità in 21 secondi[2].
Rispetto ai 418 milioni di rubli di Russia unita, il Pcfr e il Pldr hanno 24,8 e 17,3 milioni rispettivamente. Il divario fra il partito di potere e gli altri partiti aumenta negli anni successivi con un importo pari a 5 miliardi di rubli per Russia unita [Hutcheson 2018, 119].
Inoltre, l’associazione Golos stima che i donatori privati abbiano ricevuto in cambio contratti statali o la possibilità di partecipare alle primarie del 2016 e diventare candidati all’interno del partito di Russia unita.
Il finanziamento dei costi della politica in Russia è di tipo misto e tutti i finanziamenti sono depositati presso la Banca di Stato della Federazione russa.
Il finanziamento statale diretto è a spese del bilancio federale e distribuito dalle commissioni elettorali dei vari livelli. Il finanziamento di natura privata disciplina l’ammontare minimo della donazione (100.000 rubli) che non deve superare 2.000 volte il salario minimo di una persona giuridica e di 30 volte per quelle fisiche. Cifre diverse riguardano invece il finanziamento diretto privato ai candidati che competono nei collegi uninominali o per la presidenza della Federazione.
Inoltre le donazioni non possono essere effettuate da Stati, imprese e organizzazioni straniere, da apolidi e da persone che non abbiano compiuto il diciottesimo anno d’età.
Al contrario, esistono anche dei vincoli di spesa da parte delle associazioni elettorali che non possono eccedere 250.000 volte il salario minimo garantito o 10.000 nel caso dei candidati.
Il gap economico tra nuovi e vecchi partiti costituisce un «vantaggio situazionale» per le formazioni preesistenti, favorendone l’istituzionalizzazione, e limitando, al contempo, l’accesso alle nuove formazioni emergenti e privilegiando lo status quo del sistema partitico.
Il modello del cartel party elaborato da Katz e Mair [1995] ha contribuito alla comprensione degli effetti sistemici della gestione economica dei partiti all’interno di un assetto politico in cui si è verificato un rafforzamento del rapporto partito-Stato.
Il finanziamento pubblico ha, infatti, disincentivato, anche nel caso russo, la nascita di nuovi partiti, ponendo una maggiore attenzione, come vedremo nel prossimo capitolo, all’utilizzo di tecniche di marketing elettorali che richiedono congrui finanziamenti pubblici.
Le competizioni elettorali diventano l’arena fondamentale per la legittimità delle forze politiche, dei leader e del presidente della Federazione; l’arena parlamentare assume una rilevanza secondaria, quasi di facciata per l’immagine internazionale.
Nel meeting dell’unione interparlamentare a San Pietroburgo Putin ha affermato che sta lavorando per rafforzare l’autorità e l’importanza del parlamento [Churakova 2017], ma la realtà non sembra andare in quella direzione. Fino a quando i deputati e i senatori si preoccuperanno di non contraddire il Cremlino per fare carriera, è improbabile che la situazione possa cambiare.
TAB. 3.2. Controllo del processo legislativo
1995-1999 | 1999-2003 | 2003-2007 | 2007-2011 | 2011-2016 | 2016- gennaio 2020 | |
---|---|---|---|---|---|---|
Numero di leggi sottoposte alla Duma | 4.034 | 4.323 | 4.808 | 4.323 | 7.129 | 3.963 |
Numero di leggi prese in considerazione | 3.174 | 3.355 | 3.706 | 3.355 | 6.098 | 3.844 |
Percentuale di leggi prese in considerazione | 78,6 | 77,6 | 77,7 | 77,0 | 85,5 | 96,9 |
Numero di leggi rifiutate o ritornate alla Duma | – | – | – | – | – | – |
Totale | 441 | 102 | 37 | 102 | 24 | 6 |
Del Cdf | 141 | 61 | 27 | 61 | 23 | 5 |
Del presidente | 187 | 31 | 7 | 31 | 1 | 1 |
Adottate dalla Duma | 1.045 | 781 | 1.087 | 781 | 2.200 | 1.781 |
Firmate dal presidente | 734 | 731 | 1.076 | 772 | 2.196 | 1.773 |
Fonte: Adattamento da Robinson [2018, 121] e calcolo dell’autrice sui dati forniti dal sito www.duma.gov.ru/legislative/statistics/, rilevazione del 10 gennaio 2020. |
Allo stesso modo, la percezione dell’opinione pubblica del ruolo dell’Assemblea federale è prevalentemente negativa. In base a una recente inchiesta sociologica condotta dall’Istituto di ricerca Levada Center[3], ben il 59% degli intervistati nel 2019 disapprova l’attività della Duma contro il 40% a favore. È un dato costante a partire dal 2000 con l’unica eccezione nel 2014 quando il 52% approva l’operato parlamentare, anche grazie al suo ruolo nell’annessione della Crimea.
[1] Cfr. Vybory Deputatov Gosudarstvenny Dumy Federal’novo Sobrania Rossiskoi Federatsii, 1999, Elektoral’naya Statitiska, Moskva, ZIK.
[2] L’ambito legislativo che disciplina il finanziamento dei partiti è stato oggetto di numerose modifiche nel tempo (1994, 1995, 1997), anche nell’ambito della legislazione elettorale [Hutcheson 2018].
[3] Cfr. Levada.ru, sondaggio condotto il 12-18 dicembre 2019 su un campione di 1.608 persone in 137 località di 50 regioni della Federazione russa. Rilevazione del 28 gennaio 2020.
Parte seconda. Elezioni e partiti
Capitolo quarto
Alla fine degli anni Ottanta la liberalizzazione del sistema sovietico da parte di Gorbačëv ha consentito la formazione di organizzazioni sociali, nate attorno a qualche interesse specifico, come questioni ambientali, infrastrutturali e sociali oppure in forma di circoli a sostegno del movimento della Perestrojka.
Dopo la messa al bando del Pcus la Russia post-comunista ha sperimentato una fase di multipartitismo, caratterizzata da diversi movimenti e orientamenti politici che hanno potuto competere alle prime elezioni libere del 1993-1995.
Nel 2001 la nascita del partito del potere, Russia unita, ha costituito la vera novità del panorama politico degli ultimi vent’anni, consentendo alla leadership di Putin di consolidarsi a scapito di un’opposizione politica sempre più limitata e inefficace.
TAB. 4.1. I partiti del potere
Partito del potere | Presidenti del partito | Voti (%) | Seggi | Iscritti |
---|---|---|---|---|
Scelta della Russia | E. Gajdar (1994-2001) | 15,5 (1993) | 70/450 | – |
Nostra Casa Russia | V. Černomyrdin (1995-2001) | 10,1 (1995) | 55/450 | – |
Unità | J. Lužkov, S. Šhoigu, E. Primakov (1999-2001) | 23,3 (1999) | 73/450 | – |
Russia unita | S. Šhoigu (1/12/2001-15/04/2005) | 37,5 (2003) | 222/450 | 257.000 |
B. Gryzlov (15/04/2005-31/12/2007) | 65,0 (2007) | 315/450 | 1.980.000 | |
V. Putin (31/12/2007-30/05/2012) | 49,3 (2011) | 238/450 | 2.009.937 | |
D. Medvedev (30/05/2012-) | 54,2 (2016) | 343/450 | 2.073.772 | |
Fonte: Elaborazione dell’autrice su dati forniti dalla Cec. Cfr. www.cikrf.ru, rilevazione del 22 dicembre 2019. |
Russia unita è fondamentale per gestire le élite, i governatori regionali, il partito degli eletti e le elezioni parlamentari e quelle presidenziali e, soprattutto, per garantire la lealtà al Cremlino, nella Duma e fuori dalle istituzioni attraverso incentivi, premi, assunzioni e promozioni di carriera. Russia unita è un partito egemone che svolge la funzione di dirigere e strutturare le relazioni tra le élite, in particolare negli ambiti legislativi e nelle regioni e, dopo le elezioni parlamentari del 2011, ha istituito il meccanismo delle primarie di partito per reclutare un nuovo gruppo dirigente [Fauconnier 2019, 153]. Il partito ha anche una componente giovanile, Giovane Guardia, con 170.000 iscritti che organizza seminari, conferenze, letture, incontri di discussione politica e costituisce l’associazione giovanile più grande sul territorio[1].
È il partito più noto in Russia grazie anche alla visibilità dei mass media, a forme di manipolazione del sistema di comunicazione che fornisce un’ampia copertura al partito e, al contempo, ignora o discredita i partiti di opposizione. È popolare per il suo collegamento con il presidente Putin e per il richiamo esplicito al «leader morale» e fondatore del partito.
Russia unita è percepita come un partito di centro sulle questioni economiche e di politica estera, essendo più orientato verso l’Occidente. Tuttavia al suo interno vi sono diverse correnti – liberale, socioconservatrice, patriottica-statale – che nella fase elettorale danno vita a una singola piattaforma politica, molto vaga, tipica di un partito piglia-tutto (catch all party), come molti partiti dominanti dell’Asia centrale [Kirchheimer 1966].
Un altro aspetto di Russia unita è la sua politica clientelare per ottenere voti, elargendo finanziamenti a progetti specifici a livello locale. Si tratta dei «Progetti di partito», una serie di programmi di natura sociale o su specifiche esigenze locali che vengono selezionati e finanziati dal budget federale. Nel 2014 sono stati sostenuti 43 progetti a livello federale e 400 a livello regionale per dimostrare come solamente un partito di governo può elargire finanziamenti per questioni reali di cui la popolazione ha bisogno.
Nell’ottica di «tu dai a me e io do a te» (tu – mne, ja – tebe) il partito federale aiuta gli eletti locali che garantiscono il sostegno al partito, mentre il messaggio rivolto alla popolazione mira a dimostrare l’indispensabilità del partito: «chi, se non Russia unita?». «Russia unita è il partito della maggioranza. La maggioranza non può commettere errori» oppure «Riesci a immaginare la Russia governata da un qualsiasi partito dell’opposizione?» [Reuter 2019, 47].
La formazione politica più nota in Occidente è il partito anti-sistema, Russia del futuro, di Aleksej Navalny, noto blogger e principale oppositore di Putin. Il suo movimento critica il regime di Putin e lotta per un cambiamento sostanziale, contro la corruzione e una discontinuità netta col passato. Il suo attivismo è prevalentemente online attraverso account personali o siti come «RosYama» (https://rosyama.ru/) che consente ai cittadini russi di lasciare report, segnalazioni su episodi di corruzione, di inefficienza dell’apparato amministrativo e di crimini contro i diritti civili e politici.
L’uso dei social media da parte di Navalny e del suo team è stato importante, ad esempio, nella segnalazione delle proteste elettorali del 2011 e 2012, anche se rimane uno strumento insufficiente e troppo limitato per competere con la classe dirigente del paese. È un movimento formalmente escluso dal processo politico della verticale di potere congegnata da Putin, che fa della lotta alla corruzione (con la Fondazione per la lotta contro la corruzione – fbk.info) la sua principale attività di opposizione politica, ricorrendo anche ad azioni legali e appellandosi al Comitato investigativo russo e al Dipartimento di giustizia e dei servizi pubblici d’utilità.
Se ci limitiamo a contare quanti partiti sono registrati ufficialmente nel sito del Ministero della giustizia, a oggi possiamo rilevare la presenza di ben 50 formazioni politiche. Se dalla quantità dei partiti che presuppone la presenza di un pluralismo partitico consolidato passiamo a un’analisi della qualità dell’azione politica di questi partiti, scopriamo che la realtà è ben diversa. Molti di loro sono politicamente invisibili, non svolgono un’attività politica costante nel territorio, sono prevalentemente partiti personali e non hanno fonti di finanziamento. Altri non riescono a incidere politicamente perché la società civile è un’area di mobilitazione ormai controllata dal regime dopo le rivoluzioni di colore negli altri paesi. Per la maggior parte l’ostacolo principale sono le complesse procedure burocratiche della registrazione che costituiscono uno sbarramento all’entrata nella competizione elettorale e, di conseguenza, nell’arena parlamentare.
Una situazione analoga coinvolge le associazioni collaterali e le organizzazioni non governative verso le quali sono state avviate restrizioni normative che non consentono di ricevere finanziamenti esteri, sulla base della legge sulle Organizzazioni non governative (Ong) straniere, approvata nel 2005 e successive modifiche nel 2012 e nel 2015 [Sakwa 2020, 58].
Queste leggi sono state usate per etichettare, ad esempio, la sezione russa di Amnesty International e Memorial che hanno aiutato prigionieri politici e investigato su abusi nelle aree di coinvolgimento militare in Crimea, Ucraina e Cecenia.
Altri esempi per contrastare l’azione dell’opposizione sono il gruppo «Naši» voluto dal Cremlino per «difendere i giovani russi dalle manipolazioni degli occidentali dell’Ovest» [Ambrosio 2009, 63] e il movimento anti-Maidan, fondato il 15 gennaio del 2015 da alcuni patrioti con lo scopo di combattere contro i tentativi di istigazioni di colpi di Stato o rivoluzioni colorate contro il governo russo.
Altri due elementi costituiscono la debolezza dell’opposizione politica al regime. La prima, più istituzionale, riguarda la popolarità di Putin alimentata dalla propaganda del Cremlino, dal ricorso a frodi elettorali, al ruolo dei mass media deferenti al potere, alla difficoltà nell’espletare le procedure burocratiche amministrative, così come forme di clientelismo e di repressione che rappresentano strumenti in mano all’autorità per indebolire la contestazione politica.
La seconda è la frammentazione ed eterogeneità dei movimenti di opposizione con diversi leader e tendenze ideologiche contrastanti che costituiscono un ostacolo alla formazione di un blocco unito e più coeso contro il regime di Putin.
Lo sviluppo partitico in Russia è stato caratterizzato, quindi, da una prima fase di pluralismo partitico a elevata frammentazione partitica, che ha caratterizzato il periodo successivo alla dissoluzione dell’Urss e la presidenza El’cin, per passare a una significativa diminuzione e semplificazione del sistema partitico in cui Russia unita rappresenta il partito elettoralmente dominante, sostenuto anche dai «partiti-progetto» per strutturare la scelta di voto e limitare l’azione politica dell’opposizione.
[1] La Giovane Guardia, che è fonte di reclutamento di Russia unita, prende spunto dal Komsomol sovietico [Fauconnier 2019, 151].
Capitolo quinto
Il 5 novembre del 1998 la Corte costituzionale si esprime su un quesito, presentato da alcuni membri della Duma: «l’entrata in vigore della Costituzione nel 1993 ha interrotto la legislatura di El’cin, cominciata nel 1991 alla presidenza della repubblica russa?» [Monaghan 2016, 15]. La sentenza dichiara che la legislatura del periodo 1996-2000 costituisce il secondo mandato consecutivo di El’cin e che, quindi, non può partecipare alle elezioni presidenziali del 2000. Ha inizio, così, l’era del presidente Putin che, in questi vent’anni, si è sottoposto a giudizio popolare per ben quattro volte, ottenendo un significativo e indiscusso consenso elettorale.
TAB. 5.1. Elezione presidenziale, marzo 2000
Candidati | Voti assoluti | % voti |
---|---|---|
Vladimir Putin | 39.740.434 | 52,9 |
Gennadi Žuganov | 21.928.471 | 29,2 |
Grigorij Javlinskij | 4.351.452 | 7,9 |
Aman-Geldy Tuleev | 2.217.361 | 3,0 |
Vladimir Žirinovskij | 2.026.513 | 2,7 |
Konstantin Titov | 1.107.269 | 1,5 |
Ella Pamfilova | 758.966 | 1,0 |
Stanislav Govorukin | 328.723 | 0,4 |
Juri Skuratov | 319.263 | 0,4 |
Alekseij Podbrezkin | 98.175 | 0,1 |
Umar Žabrailov | 78.498 | 0,1 |
Contro tutti | 1.414.648 | 1,9 |
Elettorato | 109.372.046 | |
Voti validi | 74.369.773 | 68,0 |
Voti non validi | 701.003 | 0,6 |
Totale voti | 75.070.776 | 68,6 |
Fonte: Elaborazione dell’autrice su dati forniti dalla Cec (www.cikfr.ru), rilevazione del 22 gennaio 2020. |
La campagna elettorale è stata di basso profilo sia per le poche risorse finanziarie a disposizione dei candidati sia per dispute interne ai partiti e Putin non ha voluto partecipare ai dibattiti televisivi (anche nel 2012 e nel 2016), posto che la televisione trasmette le notizie su tutte le sue attività politiche in qualità di capo dello Stato con una copertura di almeno quattro ore giornaliere[1].
Come si evince dalla tabella 5.2, le elezioni del 2004 segnano il consenso più elevato nei confronti di Putin che raggiunge il 71,3% di voti grazie anche all’organizzazione territoriale di Russia unita che ha dimostrato tutta la sua efficienza. Consolidamento del potere centrale, una buona politica economica, una maggiore percezione di stabilità e alti livelli di popolarità creano le condizioni per un risultato scontato per il candidato uscente.
TAB. 5.2. Elezione presidenziale, marzo 2004
Candidati | Voti assoluti | % voti |
---|---|---|
Vladimir Putin | 49.565.238 | 71,3 |
Nikolaij Charitonov | 9.513.513 | 13,7 |
Sergej Glaz’ev | 2.850.063 | 4,1 |
Irina Chakamada | 2.671.313 | 3,8 |
Oleg Malyškin | 1.405.315 | 2,0 |
Sergey Mironov | 524.324 | 0,7 |
Contro tutti | 2.396.219 | 3,4 |
Elettorato | 108.064.281 | |
Voti validi | 68.925.785 | 63,8 |
Voti non validi | 578.824 | 0,5 |
Totale voti | 69.504.609 | 64,3 |
Fonte: Elaborazione dell’autrice su dati forniti dalla Cec (www.cikfr.ru), rilevazione del 22 gennaio 2020. |
TAB. 5.3. Elezione presidenziale, marzo 2008
Candidati | Voti assoluti | % voti |
---|---|---|
Dmitrij Medvedev | 52.530.712 | 70,3 |
Gennadi Žuganov | 13.243.550 | 17,7 |
Vladimir Žirinovskij | 6.988.510 | 9,3 |
Andrei Bogdanov | 968.344 | 1,3 |
Elettorato | 107.222.016 | |
Voti validi | 73.731.116 | 68,8 |
Voti non validi | 1.015.533 | 0,9 |
Totale voti | 74.746.649 | 69,7 |
Fonte: Elaborazione dell’autrice su dati forniti dalla Cec (www.cikfr.ru), rilevazione del 22 gennaio 2020. |
Su proposta del primo ministro Putin, sono state, infatti, introdotte due telecamere in 90.000 seggi, una con una visione più generale del seggio[2] e l’altra diretta sulla cabina elettorale, lo scanner in 5.233 seggi e il voto elettronico in 333 seggi di cui 22 all’estero.
Nelle elezioni presidenziali del 2012 si sono registrati 5 candidati di cui 4 appoggiati da una lista di partito: Sergey Mironov (Rodina), Putin (Russia unita), Žuganov (Pcfr), Žirinovskij (Pldr) a cui si aggiunge Michail Prokorov, uomo d’affari che partecipa per la prima volta a questo tipo di competizione elettorale.
Altre 11 candidature sono state rifiutate (di cui due donne) per irregolarità nella documentazione concernenti la mancanza delle firme necessarie, come il caso del leader liberale Javlinskij, o per attività estremiste di alcuni candidati, riconosciute dalla Corte costituzionale.
Come nelle precedenti elezioni del 2000 e del 2004 l’elevata esposizione mediatica di Putin è sempre costante nei canali televisivi[3]. Nel 2012 sia come primo ministro sia come candidato presidenziale Putin ha potuto beneficiare della maggior parte del tempo a disposizione e ha potuto contare su un massiccio ricorso all’uso di risorse amministrative.
I temi della campagna sono stati l’ineguaglianza sociale, la corruzione e la necessità di rafforzare lo stato di diritto. Mentre altri candidati sostenevano l’idea del cambiamento, Putin ha insistito sul concetto di stabilità attraverso la continuità. Si è riscontrato un maggiore aumento dell’utilizzo dei social, di videoclip, oltre all’uso di Internet per mobilitare le persone, organizzare eventi o come forum per i dibattiti politici. Anche in questo caso Putin non ha partecipato ai dibattiti televisivi perché impegnato nel suo ruolo istituzionale come primo ministro.
Tra i quotidiani cartacei solo la «Novaja Gazeta» ha affrontato la campagna elettorale con maggiore neutralità e anche con toni critici verso Putin. Negli altri quotidiani nazionali e locali sono stati pubblicati sette articoli di Putin sulla sua strategia di lungo periodo per lo sviluppo del paese che hanno riguardato diverse tematiche[4].
La tabella 5.4 presenta i risultati che sanciscono con il 63,6% il ritorno di Putin alla presidenza della Federazione.
Con un emendamento del giugno 2017 alla Legge per le elezioni del presidente della FR del 2002 la data di elezione delle presidenziali 2018 è stata spostata dall’11 al 18 marzo per farla coincidere con il giorno dell’annessione della Crimea[5]. In Russia il giorno delle elezioni è sempre celebrato come una festa dove è facile trovare nei seggi diversi intrattenimenti musicali, persone che danzano e buffet offerti al pubblico. In questo caso, si è trovata l’opportunità di festeggiare anche l’anniversario dei quattro anni di appartenenza della Crimea alla Federazione russa.
La commissione ha rifiutato, infatti, la registrazione di 19 candidati di cui solo 5 sono ricorsi al parere della Corte suprema e solamente 8, tra cui il presidente uscente, sono stati formalmente registrati. Tra questi merita segnalare la presenza di Ksenija Sobčak, la figlia del sindaco di San Pietroburgo, mentore politico di Putin, nota conduttrice televisiva di reality show e star dei social network che è stata etichettata da Navalny – con il quale in passato ha collaborato per la difesa dei diritti umani – come la «caricatura di una candidata liberale», ovvero uno strumento in mano allo staff presidenziale per dimostrare che esiste una contestazione pubblica e un procedimento elettorale libero e aperto a tutti[6].
Tuttavia, il rapporto Osce-Odihr ha rilevato una sostanziale mancanza di competizione, posto che anche gli altri candidati sfidanti hanno dato per scontato la rielezione di Putin con una serie di affermazioni pubbliche in suo favore[7].
Pur nella consapevolezza della sconfitta i candidati hanno deciso di presentarsi per ottenere maggiore visibilità, lanciare le proprie piattaforme politiche e sostenere il proprio partito.
I temi della campagna elettorale hanno riguardato la politica internazionale, lo stato dell’economia, la corruzione e vi è stato un impegno particolare, rispetto alle elezioni precedenti, nella diffusione di materiale anche attraverso poster, messaggi video nei metro, nei bus, sms e posta in cassetta. Putin ha partecipato solo a un incontro pubblico a Mosca, ma il 1o marzo ha rivolto il messaggio annuale al parlamento che è stato ampiamente discusso in televisione. Cinque canali televisivi nazionali e tre radio nazionali hanno organizzato numerosi dibattiti dove il presidente non è mai apparso, non potendo, così, dialogare con i suoi sfidanti che si sono lamentati delle poche possibilità di confronto.
TAB. 5.5. Elezione presidenziale, marzo 2018
Candidati | Voti assoluti | % voti |
---|---|---|
Vladimir Putin | 56.460.712 | 76,69 |
Pavel Grudinin | 8.659.206 | 11,77 |
Vladimir Žirinovskij | 4.154.985 | 5,65 |
Ksenija Sobčak | 1.238.031 | 1,68 |
Grigorij Javlinskij | 769.644 | 1,05 |
Boris Titov | 556.801 | 0,76 |
Maksim Surajkin | 499.342 | 0,68 |
Sergeij Baburin | 479.013 | 0,65 |
Elettorato | 109.008.428 | |
Voti validi | 72.787.734 | 67,49 |
Voti non validi | 791.258 | 0,01 |
Totale voti | 73.578.992 | 67,5 |
Fonte: Elaborazione dell’autrice su dati forniti dalla Cec (www.cikfr.ru), rilevazione del 22 gennaio 2020. |
[1] La quantità di minuti a disposizione per ogni candidato è analizzata dal team dell’Osce-Odihr per ogni tipo di elezione. Per le elezioni del 2004 cfr. https://www.osce.org/odihr/elections/russia/33101, rilevazione del 12 gennaio 2020.
[2] La presenza di telecamere, ovviamente, non elimina la possibilità di eventuali irregolarità nel voto. Ogni cittadino può verificare cosa accade nei seggi nel seguente sito: http://cikrf.ru/news/cec/2012/04/13/churov.html. L’Osce-Odihr ha rilevato un sostanziale miglioramento della procedura elettorale con un’ottima organizzazione della Cec, ma ha segnalato le restrizioni riguardanti l’esclusione del diritto di voto ai prigionieri e a coloro che sono riconosciuti come incapaci dalla Corte suprema in base all’art. 7.3 del documento di Copenaghen del 1990. Cfr. https://www.osce.org/odihr/elections/383577, rilevazione del 12 gennaio 2020.
[3] Da un’analisi del team Osce risulta che il Primo Canale ha coperto Putin per il 37% come primo ministro e per il 24% come candidato mentre gli altri candidati hanno ottenuto tra il 9 e l’11% della visibilità. Il canale Tv Center – la cui proprietà è del governo di Mosca – ha coperto Putin per il 29% come primo ministro e per il 28% come candidato, mentre gli altri candidati tra il 6 e il 15%. Il talk show televisivo Gosdep su Mtv è stato cancellato il 14 febbraio perché prevedeva la presenza del blogger Aleksej Navalny. Cfr. https://www.osce.org/odihr/elections/russia2012, rilevazione del 12 gennaio 2020.
[4] Cfr. http://cikrf.ru/news/cec/2012/04/13/churov.html, rilevazione del 12 gennaio 2020.
[5] Si possono candidare i cittadini che hanno compiuto almeno 35 anni con un’autoregistrazione (sostenuta da almeno 500 elettori) o presentati da un partito. Successivamente il candidato che si presenta da solo deve raccogliere 300.000 firme (prima del 2012 erano 2 milioni) e 100.000 per chi è sostenuto da un partito extraparlamentare. Per quanto riguarda i costi della campagna elettorale, tutti i candidati devono aprire un conto corrente elettorale e il tetto massimo di spesa è pari a 400 milioni di rubli (5.714.000 euro). A queste elezioni è stato consentito per la prima volta di votare anche in un collegio diverso dal luogo di residenza (5,6 milioni di elettori) previa richiesta tra i 45 e i 5 giorni prima alla Commissione elettorale territorialmente più vicina. Entro le 14 del giorno prima l’elettore deve presentare il documento sul quale vengono posti due adesivi: uno per il seggio di residenza e l’altro nel nuovo seggio. Senza questi adesivi la richiesta non è valida. Cfr. https://www.osce.org/odihr/elections/russia/363766, rilevazione del 12 gennaio 2020.
[6] Cfr. https://www.rferl.org/a/russia-sobchak-demands-navalny-apology-on-air-ekho-moskvy/28978779.html, rilevazione del 15 gennaio 2020.
[7] Si tratta delle affermazioni di Žirinovskij il 18 dicembre 2017, della Sobčak il 15 gennaio 2017, di Boris Titov il 6 dicembre 2017 e di Javliskij il 12 marzo 2018. Cfr. https://www.osce.org/odihr/elections/russia/363766, rilevazione del 12 gennaio 2020.
Capitolo sesto
Si è soliti ritenere le elezioni come uno strumento molto importante per la rappresentanza politica e la selezione della classe dirigente di un paese. Disciplinati da leggi e regolamenti, da tecnicismi e formule matematiche, i sistemi elettorali possono manipolare il formato e la meccanica di un sistema partitico [Sartori 2013, 55]. Nel caso russo, quali tipi di interventi legislativi sono stati adottati nel ciclo elettorale? Con quali effetti sulla dinamica parlamentare e sulla rilevanza dei partiti nel contesto politico? La presenza di elezioni, certamente, non costituisce una condizione necessaria e sufficiente per la qualità della democrazia e del suo funzionamento, ma può, indubbiamente, essere considerata un aspetto determinante per la legittimità al potere dei governanti.
Le elezioni del 2003 avvengono, infatti, in un contesto caratterizzato dall’introduzione della legge sui partiti voluta da Putin nel 2001 e dalla performance elettorale del partito del potere, Russia unita, che si presenta all’opinione pubblica come la formazione politica a sostegno del presidente in carica. Inoltre, vengono apportate ulteriori modifiche alla legislazione di contorno che riguardano nuovi criteri per la registrazione dei partiti: 10.000 iscritti e sezioni con un minimo di 100 membri in almeno 45 delle 89 regioni della FR, con non più di 50 iscritti in ognuna delle restanti sezioni[1].
I risultati delle elezioni del 2003 segnalano la vittoria del partito di potere Russia unita che sfiora la maggioranza assoluta dei seggi, seguito dal Pcfr al 12,6% e dal Pldr all’11,4%. Il partito Rodina, guidato da Sergej Glaz’ev e voluto dal Cremlino per erodere il consenso del Pcfr, si attesta al 9%. Cresce la disproporzionalità al 24,6% e il voto contro tutti al 4,7% nella competizione proporzionale.
In quella maggioritaria, Russia unita si afferma primo partito, eleggendo 102 deputati, il Pldr non ottiene nessun seggio, il numero dei candidati indipendenti scende a 68 unità.
Il dato eclatante è che da queste elezioni sono escluse nell’arena parlamentare le forze democratiche e riformiste di Jabloko e Udf a causa di conflitti interni, mancanza di fondi per condurre la campagna elettorale e la ricerca di consenso solo in determinati strati della società quali gli imprenditori e l’intelligentcija.
Le forze liberali sono escluse e Russia unita, insieme a Rodina e il Pldr hanno una forte maggioranza parlamentare. Il Pcfr rimane l’unico partito all’opposizione nonostante diversi episodi di accondiscendenza nei confronti del Cremlino.
La presenza di Russia unita ha determinato una semplificazione del quadro partitico, l’inizio di una stabilizzazione del sistema partitico e dell’attività del parlamento.
L’elezione di Putin nel marzo 2000 ha, infatti, segnato l’inizio di un cambiamento nella politica elettorale. La stabilità è sempre stata il suo obiettivo principale perché egli ritiene che l’instabilità elettorale produce, a sua volta, instabilità politica. Gestire le elezioni significa diminuire l’instabilità e ridurre le possibilità di proteste e le «rivoluzioni colorate» [Sakwa 2019, 25].
Russia unita ha dominato le elezioni e ha incluso i candidati indipendenti eletti nel 2003 nella sua fazione, rafforzando ancora di più il suo potere in parlamento. Inoltre, secondo McAllister e White [2008] la crescita economica, che è stata percepita positivamente dagli elettori, ha creato le condizioni per un «voto sociotropico» che premia il partito di governo. Non solo. L’orientamento pro-capitalista di Putin attira i voti dei liberali così come l’idea di far tornare la Russia una grande potenza internazionale riceve il sostegno degli elettori nazionalisti.
Si delineano così le caratteristiche di quella che è stata definita la «democrazia guidata» o il «pluralismo guidato» [Balzer 2003] dove l’arena elettorale premia il partito del potere che diventa una forza dominante, egemone, circondata da partiti a progetto, «scelti dal Cremlino» e limita l’affermazione delle forze politiche di opposizione sia per le complesse procedure d’iscrizione sia per la scarsità di mezzi a disposizione e le divisioni programmatiche che le contraddistinguono.
L’introduzione di diversi strumenti legislativi (legge sui partiti, modifiche alla legge elettorale, riforma economica) ha determinato uno sviluppo più equilibrato del processo di party building che fino al 1999 era stato alquanto frenetico e fluttuante e ha impedito la proliferazione di partiti flash che durano solamente una competizione, favorendo la strutturazione del voto e la nascita di un sistema a partito egemone.
Al di là di meri calcoli matematici, i rapporti dei più autorevoli istituti e organizzazioni di monitoraggio elettorale hanno sempre riscontrato eventi discutibili sul piano legislativo rispetto agli standard internazionali, rilevando che le commissioni elettorali locali e i presidenti di seggio contribuiscono a modificare il risultato elettorale non tanto nei seggi e nel deposito della scheda nell’urna (sigillata), ma nell’inserimento manuale dei risultati di ogni seggio nel meccanismo elettronico di voto definito Gas Vybory[2].
[1] Nel 2004 il numero di iscrizioni richieste salirà a 50.000 con sezioni di almeno 500 membri in almeno 45 delle 89 regioni e non meno di 250 iscritti nelle restanti sezioni [Morini 2009, 85].
[2] Sono state registrate più di 1.500 violazioni durante l’election day da numerose Ong e dall’Osce [Robinson 2018, 206].
Parte terza. Economia e società
Capitolo settimo
La cultura russa, espressione di valori europei e asiatici, trova nella «tradizione» quel senso di fedeltà, di appartenenza etnica e di rispetto dei costumi del proprio popolo. Il grande bagaglio storico e culturale, erede di un immenso patrimonio letterario, sconosciuto ai molti, è racchiuso nella ricchezza di comportamenti, simboli, riti ed elementi autoctoni locali che determinano una diversità multiculturale, ma un’unica fonte inestimabile di arte e cultura popolare.
L’identità civica rossijanin non elimina la molteplicità delle identità etniche locali che sono riconosciute da diversi diritti ereditati dal periodo sovietico. La Russia rimane, infatti, uno stato federale che consta attualmente di 85 soggetti, dei quali 27 originano direttamente dalle specificità delle loro popolazioni. Il censimento del 2016[1] distingue 194 nazionalità di cui 50 gruppi etnici i cui rappresentanti istituzionali implementano politiche pubbliche, volte a preservare la loro lingua e cultura nel sistema d’istruzione locale e ad avere una rappresentanza nelle posizioni apicali dei governi locali.
La politica identitaria di El’cin è stata un successo per la capacità di riconoscere l’entità federale e statale indipendentemente dall’etnia di appartenenza, ma è stata costellata da tentativi separatisti dei leader ceceni e di alcune élite locali che hanno messo a dura prova l’integrità statale.
Il termine rossijskij non si è consolidato, ma è stato fortemente sfidato negli anni Novanta dai separatisti che criticano il processo di de-russificazione con conseguente sottomissione dell’etnia russa ai diktat delle minoranze, un tema che era già presente nei circoli dissidenti degli anni Sessanta.
Negli anni Duemila il dibattito tra russkij e rossijanin ha subito cambiamenti. In primo luogo c’è stata una riabilitazione del periodo sovietico che è alla base del consenso verso Putin. Questo patriottismo si basa anche sulla commemorazione delle battaglie (Aleksandr Nevskij contro gli svedesi, Dmitrij Donskoj contro i mongoli, Michail Kutuzov contro Napoleone, Alekseij Ermolov che comanda l’esercito imperiale nel Caucaso) e sulla memoria del passato non solo sovietico, ma anche del periodo zarista, attraverso fondi stanziati dal governo per l’attuazione di politiche simboliche [Graney 2018, 215].
In secondo luogo, c’è stata una graduale inclusione della Chiesa ortodossa russa, ormai considerata come «il braccio destro dello Stato», che è ben visibile nelle cerimonie ufficiali, nelle istituzioni, nell’esercito, risvegliando il consenso civico verso le religioni tradizionali (ortodossa, islamica, buddista ed ebraica).
In terzo luogo, alcuni politici e intellettuali hanno continuato a criticare il processo di de-russificazione e a proporre istanze di una legislazione più reattiva alla questione etnico-identitaria, attraverso la richiesta del reinserimento dell’etnia nel passaporto per evitare l’assimilazione con le minoranze, e il rafforzamento del federalismo che dia più autonomia alle singole repubbliche.
La Russia non è soltanto un mosaico etnico che riproduce le diverse nazionalità dell’ex Urss su una scala più ridotta, ma è anche un arcipelago culturale e territoriale caratterizzato da grandi differenze nelle condizioni di vita, nelle dinamiche socioeconomiche e nei valori sociali.
Il paese è profondamente diviso. Mosca è l’indiscussa capitale, ma vi sono dinamiche regionali differenziate. Si passa dalle quindici «città milionarie», che superano un milione di abitanti e poggiano economicamente sulla produzione di petrolio e di gas, al ricco sud agricolo. Il resto del paese, specialmente le zone rurali e le piccole città, stanno affrontando lo spopolamento, le industrie stanno morendo e ci sono poche connessioni infrastrutturali con il resto del paese [ibidem, 219].
L’Estremo Oriente, la Siberia, le regioni artiche stanno affrontando una desertificazione. L’Estremo Oriente, che ricopre il 36% del territorio del paese, ha perso il 22% della popolazione dal 1990. Il censimento del 2010 descrive una realtà di 36.000 su 133.700 villaggi che hanno poco più di 10 abitanti residenti.
La terra arabile è stata abbandonata e l’area seminabile è scesa al 36% tra il 1990 e il 2012, con solo 79 milioni di ettari coltivati nel 2015. Mentre negli Urali e nell’asse Mosca-San Pietroburgo la popolazione sta diminuendo per colpa del declino delle industrie, in altre venti regioni si registra un sensibile aumento del numero degli abitanti, con un’alta percentuale di persone di etnia non russa, per la maggior parte musulmane e buddiste, stanziatesi nel Caucaso del Nord e nella Repubblica di Tuva [Nefedova 2016, 292-303].
Per alcuni analisti l’equilibrio demografico tra l’etnia russa e le altre etnie si sta spostando in favore di queste ultime in un contesto in cui l’identità della Federazione russa è stata drammaticamente colpita da una massiccia ondata di emigrazione e immigrazione. Tra i 4 e i 6 milioni di persone hanno lasciato il paese dopo il crollo dell’Urss in direzione di Europa, Nord America e Israele mentre molti altri milioni hanno lasciato altre repubbliche post-sovietiche per la Russia. Nel 2000 il ritorno etnico è stato progressivamente sostituito dai migranti in cerca di opportunità lavorative che provengono dall’Asia centrale, dall’Azerbaigian, dalla Moldova e dall’Ucraina, dando vita a una nuova condizione per la Russia: la presenza di quartieri dove sono concentrate alcune etnie, spesso nei sobborghi della città, e la creazione di ristoranti etnici e moschee anche nelle zone dove non ci sono musulmani.
Parimenti si è riscontrato un incremento della xenofobia; due terzi della popolazione crede che la Russia abbia accolto troppi migranti ai quali si dà la colpa dell’incremento dei crimini, di rischi sanitari, di togliere il lavoro ai russi e dell’incapacità di integrarsi nel rispetto dei valori e dello stile di vita russi[2].
In passato, la gloria imperiale del periodo zarista, il prestigio della superpotenza internazionale e del sistema etnofederale sovietico hanno garantito una convivenza etnica e civica della nazione tra russi e non russi. Oggi, rispetto ad altri Stati, la multiculturalità russa non è stata oggetto di conflitti e tensioni destabilizzanti l’unità del paese, ma nuove sfide provenienti dal settore dell’immigrazione e da istanze nazionaliste sempre latenti richiedono uno sforzo di ridefinizione della narrazione multiculturale della presidenza putiniana.
Anche in Russia, come in altri paesi, esiste una diseguaglianza di genere in diversi ambiti professionali nonostante le donne siano più istruite degli uomini e costituiscano il 57,8% degli studenti universitari del paese nelle aree umanistiche. Tuttavia, permangono ancora molti pregiudizi. Secondo un’inchiesta dell’istituto ricerca Vciom il 72% dei russi ritiene che la donna non debba lavorare, ma preferire la cura della casa e della famiglia, occupandosi dei bambini e/o dei malati, e non seguire ambizioni di carriera professionale[3]. Inoltre il 55% degli intervistati non sostiene il femminismo e non crede nell’uguaglianza di genere. Ad esempio, in politica, la percentuale di donne elette nella Duma è stata il 13,3 nel 1993 e il 16,0 nel 2016 con una performance mediamente migliore nella quota proporzionale (tra il 10 e il 15%) rispetto a quella maggioritaria (8,9% e 11,6%) [Henderson 2018, 317].
Per quanto riguarda l’aspettativa di vita il dato più basso è stato registrato nel 1994 con 57,5 anni per gli uomini e 71,2 per le donne. Tra il 2003 e il 2015 le aspettative sono incrementate di 7,4 punti percentuali per gli uomini e 4,9 punti per le donne e attualmente si attesta a 67,5 per gli uomini e 77,6 per le donne[4] con l’auspicio del governo di un incremento a 80 anni entro il 2024.
Gli uomini solitamente vivono di meno per problemi di alcol, di una scarsa alimentazione e di tabagismo. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità ha problemi di alcolismo un paese dove ogni persona assume mediamente 8 litri all’anno di alcol puro. Negli anni economicamente più turbolenti – 1992, 1994 e 1998 – la Russia è stata stimata a 13,9 litri per persona, l’ottavo livello più alto di consumo nel mondo e causa di morte della metà delle persone di età compresa tra i 15 e i 54 anni. Il numero di fumatori è, invece, aumentato dal 53% nel 1985 al 67% nel 1992 per scendere al 53,3% per gli uomini e al 16,1% per le donne (38,231 milioni di fumatori) e la percentuale di uomini che fuma sopra i 15 anni è il 59%[5].
Tra le cause principali di morte le statistiche forniscono dati che dimostrano un calo del numero di omicidi, che rispetto ai 41.090 del 2000 sono 9.048 nel 2017, dei suicidi da 56.934 a 20.278, delle infezioni da 36.214 a 35.045, delle neoplasie da 297.943 a 294.587, mentre il problema maggiore è costituito dalle malattie cardiocircolatorie anche se sono scese da 1.231.373 a 862.865.
Un altro problema riguarda la diffusione del virus Hiv che è comparso nel 1987 a Mosca e si è trasmesso lentamente negli 8 anni successivi con 1.072 casi alla fine del 1995. Dopo un aumento esponenziale si è giunti nel dicembre 2014 a un totale di 907.607 e nel 2017 a 693.120 persone, in prevalenza uomini di età compresa tra i 20 e i 30 anni.
Nel 2003 il presidente Putin ha affermato che l’Hiv rappresenta una minaccia per la sicurezza nazionale, come anche l’abuso di droghe, contro le quali il governo ha stanziato 4 milioni di dollari annuali dal budget federale attraverso un accordo con la Banca mondiale per un prestito di 150 milioni di dollari per il controllo della tubercolosi (709.000 casi nel 2017) e dell’Aids.
Come questi dati hanno messo in evidenza, tra le priorità della presidenza Putin vi è stata indubbiamente l’implementazione di politiche per l’aumento della fertilità, per ridurre i fattori che contribuiscono alla mortalità, combattendo le malattie più diffuse nel paese e migliorando le condizioni di vita della propria popolazione in un’ottica di freno allo spopolamento della nazione [Tkachenko 2019, 6-18].
Dinanzi alle stime che rilevano una continua diminuzione della popolazione che nel 2030 sarà di 138,2 milioni, nel 2040 140,5 milioni e nel 2050 tra i 129,9 e i 132,7 milioni, il governo russo cerca di facilitare le procedure per ottenere la (doppia) cittadinanza russa e puntare su pianificazioni economiche che possano favorire una maggiore occupazione con ricadute positive per la densità della popolazione.
Agli inizi degli anni Novanta, la Russia ha, infatti, affrontato la questione delle istanze subnazionali di alcuni movimenti secessionisti che è sfociata nel conflitto ceceno (1994-1996; 1999-2009)[6].
Oggetto di critiche nella gestione della presidenza di El’cin, a partire dall’inizio del 2000 la «cecenizzazione» [Ware 2011, 232] della politica interna ha richiesto un intervento deciso di Putin – che ha sostenuto il leader locale Ramzan Kadyrov che non ha perso mai occasione di esprimere la propria gratitudine a Putin – per aver contribuito allo sradicamento del terrorismo nella regione e a risolvere molti problemi economici e sociali. Alcuni musulmani russi hanno lasciato il Nord Caucaso per unirsi all’Isis in Iraq e in Siria combattendo il regime di Assad e il Cremlino ha sempre manifestato forti preoccupazioni riguardo alle minacce terroriste provenienti dal Caucaso. Diverse fonti internazionali criticano l’appoggio di Putin a Kadyrov che è ritenuto un personaggio pericoloso e accusato di essere antidemocratico e implicato in numerosi casi di tortura, omicidi e privazione dei diritti umani. La fine della seconda guerra cecena ha, infatti, lasciato ampi spazi di manovra al governo di Kadyrov e ha ridotto la presenza di forze militari federali russe in Cecenia.
Passando a un altro livello di analisi – i partiti politici – abbiamo segnalato la presenza di istanze nazionaliste nel Partito liberaldemocratico di Žirinovskij e nel Pcfr di Žuganov che, sino alle elezioni del 1993, erano rimaste al di fuori delle istituzioni. Tra il 1989 e il 1991 alcuni movimenti politici hanno, infatti, rivendicato la russificazione del paese, come è il caso del movimento nazional-patriottico Pam’at che si è proposto come una forza popolare slavo-cristiana con lo scopo di favorire un risorgimento spirituale e nazionale del popolo russo. Tuttavia la maggior parte di questi partiti non è mai riuscita a superare la soglia di sbarramento e non ha avuto una particolare cassa di risonanza nella società.
Diverso è il discorso di un fenomeno abbastanza recente che coinvolge i partiti nazionalisti di estrema destra in Europa. Punto di partenza è la convinzione del governo russo che la Nato abbia tradito le promesse fatte all’Unione Sovietica e che ormai l’Europa sia la patria del degrado morale e della russofobia in Occidente. Solo la Russia rappresenterebbe, quindi, l’unica custode dei valori europei e, pertanto, si sente autorizzata a intervenire con una serie di strumenti tra cui la disinformazione, le fake news, una vera e propria information warfare che è diventata un meccanismo di soft power [Nye 1990, 153-171] dell’ingerenza russa nei paesi europei.
Il problema dell’identità nazionale sta ricoprendo un ruolo cruciale anche in Europa, specialmente dopo la diffusione di movimenti nazionalisti che rivendicano la propria appartenenza a una nazione di cui difendono il proprio territorio, la propria cultura popolare e linguistica.
Nei quotidiani internazionali sempre più sono diffusi articoli di inchieste che esplorano il tipo di relazione del partito di Russia unita con alcuni schieramenti della destra estrema europea come la Lega di Salvini in Italia, il Fronte nazionale della Le Pen in Francia, Jobbik in Ungheria. Uniti dal sovranismo, le inchieste di alcune procure si sono concentrate sulle vicende di presunti finanziamenti illeciti tra esponenti di Russia unita e rappresentanti della Lega, sottoposti a inchiesta della procura di Milano, così come degli altri partiti europei. Non solo. L’influenza russa si estenderebbe alle elezioni presidenziali del 2016 negli Usa a favore della candidatura di Donald Trump, a favore dell’opzione exit della Gran Bretagna dall’UE, dallo scandalo dell’Ibiza Gate in Austria, all’accordo di Prespa fra Grecia e la Macedonia del Nord[7].
Sul piano della politica interna, si riscontra la presenza di una sub-cultura rappresentata da azioni criminali per motivi etnici a opera di alcuni skinheads e di crescenti sentimenti anti-migranti, come è il caso delle persone provenienti dal Caucaso e dall’Asia centrale alla ricerca di un’occupazione.
Rispetto alla tematica nazionalista il presidente Putin ha sempre sottolineato l’importanza degli usi e costumi, della lingua e cultura russa[8], definendosi come il «primo nazionalista in Russia» che deve difendere e preservare l’interesse del paese dal «nazionalismo delle caverne» che distruggerebbe la Russia[9].
[1] Tutti i dati presenti in questo paragrafo sono tratti dai seguenti documenti ufficiali: Russia Statistical Yearbook, Moscow, Federal State Service (Rosstat), 2018; Gosudarstvenji doklad, O sostajanii sanitarno-epidemologičeskogo blagopolučja naselenija v Rossijskoj Federatcii, Moskva, Federal’naja Služba po nadzoru v sfere zaščity prav potrebitelej i blago polučija čeloveka, 2019.
[2] Cfr. http://www.levada.ru/en/tag/xenophobia/, rilevazione del 14 novembre 2019. L’inchiesta è stata condotta nell’agosto 2016 su un campione di 1.600 persone in 48 diverse regioni.
[3] Cfr. https://wciom.ru/index.php?id=236&uid=9601, rilevazione del 14 novembre 2019. L’inchiesta è stata condotta il 10 marzo 2019 su un campione di 1.600 rispondenti che hanno risposto a una batteria di domande sul femminismo, sulla diseguaglianza di genere e sul ruolo della donna nella società russa.
[4] Il primo censimento ha avuto luogo nel 1897 quando l’aspettativa di vita era 29 anni per gli uomini e 32 per le donne.
[5] Si vedano i rapporti della World Health Organization (Who) per la Russia del 2015 e del 2017 nel sito www.euro.who.int, rilevazione del 20 novembre 2019.
[6] I ceceni, che sono il gruppo etnico più grande nel Nord Caucaso, sono musulmani sunniti che si sono convertiti all’Islam nel tardo XVII secolo. La storia delle relazioni russo-cecene è basata sul conflitto già dai tempi dello Zar, sulla deportazione nell’Asia centrale durante la seconda guerra mondiale decisa da Stalin e il ritorno del popolo ceceno nel territorio con Chruščëv.
[7] Più precisamente l’accordo di Prespa prevede l’avvio dell’adesione alla Nato da parte della Macedonia del Nord. L’Ibiza-Gate ha coinvolto Heinz-Christian Strache, il vice primo ministro austriaco, in uno scambio di appalti pubblici con donazioni di un oligarca russo.
[8] Lungo articolo di Putin sulla «Nezavisimaja Gazeta» sull’uso della lingua russa.
[9] Askanews, Putin: io sono il primo nazionalista in Russia, ma no nazionalismo cieco, 18 ottobre 2018, http://www.askanews.it/esteri/2018/10/18/putin-io-il-primo-nazionalista-in-russia-ma-no-nazionalismo-cieco-pn_20181018_00177/, rilevazione del 18 novembre 2019.
Capitolo ottavo
Nei tragici avvenimenti dell’ottobre 1993 che hanno condotto alla nascita della nuova Federazione russa si è soliti ricordare l’assalto alla sede televisiva di Ostankino a Mosca. La trasmissione del Canale 1 fu interrotta durante una partita di calcio e grazie a una manovra tecnica il segnale venne ripreso dal Canale 2 per dimostrare che il presidente El’cin aveva la situazione sotto controllo. Nelle sue memorie El’cin scrisse che la televisione aveva salvato la Russia.
Quale ruolo oggi ricoprono i mass media e la diffusione di Internet nello spazio pubblico?
I mass media costituiscono la fonte principale di socializzazione politica del cittadino russo a cui si aggiunge anche l’attività dei pubblicisty ovvero i commentatori politici, gli editorialisti e i sondaggisti. Numerose ricerche hanno evidenziato che la maggioranza dei russi riceve informazioni politiche dalla televisione che copre, grazie al sistema satellitare, oltre il 95% della popolazione distribuita nelle undici zone orarie[1].
La televisione è molto importante per la propaganda statale perché consente di veicolare il messaggio del Cremlino, i suoi valori, le sue politiche e costituire una fonte di legittimità del regime politico. E la maggior parte delle persone riceve solo questo tipo di comunicazione senza possibilità di una controparte argomentativa. Per chi non ha le possibilità economiche per andare al cinema, a teatro, ai concerti o comprare i quotidiani, la televisione costituisce, infatti, l’unica fonte di informazione e di intrattenimento e molte famiglie sono solite riunirsi per guardare la trasmissione Vesti, il primo e il più importante programma televisivo di notizie.
Per quanto riguarda l’offerta televisiva, la rete principale è Canale 1 (Pervy Kanal), ossia una joint company di quote statali e private che appartengono a uomini d’affari, sostenitori del governo, seguita dal secondo canale, Rossija che è un’emittente statale. Il terzo canale, Ntv, è di proprietà di Gazprom ed è stata la prima televisione privata nell’era post-sovietica. Ha avuto una buona reputazione grazie ai coraggiosi reporter quali Elena Masjuk, una voce «fuori dal coro» che ha mostrato le rovine, le bombe e i feriti civili della prima guerra in Cecenia. I migliori giornalisti del paese hanno lavorato per questo canale che, nel corso degli anni, non è riuscito ad affrontare le ingenti spese e ha dichiarato il fallimento economico nei primi anni Duemila. Grazie all’intervento di Gazprom che ha rilevato i debiti, Ntv trasmette ora le proprie notizie e inchieste, anche se è diventato un canale più allineato alla linea governativa.
Con l’arrivo alla presidenza di Putin i cambiamenti più significativi hanno riguardato lo staff, i proprietari e i contenuti dei programmi televisivi. Uomini d’affari fanno parte dei consigli di amministrazione, gli editori e i capi delle redazioni sono scelti per la loro esperienza e per la capacità di comprendere e adattarsi alle indicazioni poste dal governo. Le forme di autocensura dei giornalisti sono ormai una prassi quotidiana per chi vuole mantenere il proprio lavoro.
Alcune stazioni indipendenti a livello regionale hanno avuto, invece, problemi economici e sono state costrette alla chiusura. Tra queste l’ottima Tomsk-2 in Siberia che ha svolto un lavoro significativo per l’informazione nella regione e ha vinto quattro premi, i Tefi che equivalgono all’US Emmy e il British BAFTA Awards per la capacità di competere con i canali nazionali più importanti.
Nel 2017 i rating dell’audience televisiva nelle città con più di 100.000 abitanti hanno dimostrato che i talk show sono le trasmissioni televisive più popolari [Mickiewicz 2019, 95]. Tra questi c’è Lasciamoli parlare, dove gli ospiti hanno una conversazione molto appassionata nella quale emergono i drammi familiari della vita quotidiana. In altri show si punta alla ricerca di casi drammatici per creare emozione nel pubblico che hanno consentito, in qualche puntata, di superare l’audience di Vesti. Vengono trasmessi anche giochi di intrattenimento (Chi vuole essere milionario?), il canale Karuzel per i bambini, programmi di cucina e commedie dell’era sovietica come Il campo dei miracoli o serie televisive come La persona e la legge (che s’ispira alla serie televisiva americana Law and Order) e il cane Pëp (anche qui il richiamo è al cane austriaco Rex).
Sostanzialmente si tratta di un’offerta molto diversificata in linea con lo stile di intrattenimento occidentale.
La copertura delle notizie internazionali ha un ruolo e uno spazio decisamente rilevante. D’altronde non potrebbe essere diversamente visto che è l’arena politica su cui ha prevalentemente puntato il presidente Putin per ottenere e rafforzare il proprio consenso elettorale. Il richiamo a tematiche patriottiche, allo status di potenza ha sempre avuto un effetto positivo nell’elettorato russo [Oates 2016, 342].
Tuttavia, i sondaggi rilevano che mediamente i cittadini russi sono più interessati alle questioni personali e non sono molto informati sulla politica internazionale del proprio paese.
Nel 2016 un’inchiesta ha misurato l’interesse dei russi verso la questione ucraina, così drammaticamente raffigurata nelle news televisive, e si rileva che solamente il 9% ha detto di seguire gli eventi «molto attentamente», il 60% non ha seguito e il resto esprime poca attenzione alla questione[2].
Un’eccezione ha riguardato il caso dell’annessione della Crimea. Nel 2014 i canali hanno, infatti, trasmesso numerosi programmi patriottici, sono state riprese le numerose manifestazioni per le strade a cui i cittadini russi hanno partecipato con entusiasmo per festeggiare l’annessione della Crimea.
Per quanto riguarda la radio, l’offerta è molto più variegata, con centinaia di stazioni di natura statale e privata; è uno strumento economico e molto conveniente, utilizzato soprattutto dagli autisti in macchina. Tra i vari intrattenimenti radiofonici merita segnalare Eco di Mosca, uno show condotto da Aleksej Venediktov, che trasmette discussioni politiche su questioni controverse per il Cremlino a tal punto che molti analisti si chiedono come mai non sia stato ancora chiuso. Una possibile risposta è quella fornita dallo stesso conduttore [Mickiewicz 2019, 97]. La presenza di ministri, di funzionari delle agenzie per spiegare le posizioni governative, l’incontro settimanale con burocrati e funzionari per preparare la trasmissione, la capacità di negoziare e bilanciare voci liberali e riformiste con quelle governative, il tono moderato e freddo della discussione determinano la sopravvivenza stessa della trasmissione.
È opportuno, tuttavia, prendere in considerazione che trasmissioni di questo tipo hanno un’audience bassissima, prevalentemente concentrata e composta da élite moscovite con pochissimo impatto ai fini del consenso elettorale e della legittimazione del regime.
Infine, anche la stampa russa incontra le medesime difficoltà di altri paesi relative al mantenimento dei costi e alla pubblicità che si è spostata su Internet. Solitamente i quotidiani sono comprati dalle persone con un grado di istruzione più elevato e interessate a inchieste e specifici approfondimenti.
Pochi quotidiani hanno editorialisti indipendenti, altri condividono la linea editoriale con i propri proprietari, tycoon o banche filo-governative. Un giornalismo investigativo è rappresentato da «Nezavisimaja Gazeta», «Novaja Gazeta», «Vedomosti» e «RBK», un quotidiano di affari che in passato ha svolto investigazioni su casi di corruzione così come «Kommersant’» che ha edizioni online in molte regioni russe e in Inghilterra («Kommersant’ UK»).
La situazione del giornalismo d’inchiesta è, invece, decisamente allarmante. I dati forniti da alcune agenzie rilevano la morte di 21 giornalisti fra il 2000 e il 2007 («Reporter senza frontiere») e di ben 58 giornalisti di cui 38 assassinati, 4 torturati e 2 minacciati nel periodo 1992-2020 (Commitee to protect journalist, Cpj)[3]. Tra i mandanti si sospettano ufficiali governativi in 13 casi, gruppi criminali in 10, militari in 3, gruppi politici in 4 e sconosciuti in 8 episodi.
Il caso più noto, anche a livello internazionale, è quello della giornalista della «Novaja Gazeta», Anna Politkovskaja, uccisa nella sua casa di Mosca dopo minacce seguite alle sue inchieste sulla violazione dei diritti umani nelle guerre cecene. Nella maggior parte dei casi questi omicidi rimangono irrisolti.
In generale i media russi seguono il vecchio stile sovietico di esagerare le notizie positive e minimizzare quelle negative (forme di protesta, omicidi, crisi economica, ecc.). I cittadini russi hanno vissuto decenni in due realtà – quella televisiva e quella reale – e sono piuttosto scettici.
Le azioni della vita quotidiana come recarsi al supermercato, vedere lo standard di vita dei vicini e degli amici sono il migliore indicatore di com’è la reale situazione economica nel paese; nessuno show televisivo può cancellare questa percezione reale. Diverso è il discorso dell’influenza della propaganda politica nelle scelte di voto. Gli spazi di allocazione televisiva e radiofonica ai politici, ai candidati, sono sempre sbilanciati a vantaggio dei partiti di potere o del presidente della Federazione, anche con toni di campagna negativa. Durante la programmazione televisiva quotidiana la presenza di Putin è molto diffusa ed è volta a descrivere tutti i suoi impegni quotidiani, le decisioni e gli incontri con i ministri, i governatori e i sindaci a cui chiede un rapporto puntuale della situazione politico-economica locale. Non mancano anche notizie e video che lo riprendono in contesti internazionali o in situazioni sportive che dimostrano le capacità di Putin nel judo e nell’hockey su ghiaccio.
Chi possiede, tuttavia, conoscenza e abilità nell’utilizzo dei mezzi informatici, come i giovani che non hanno vissuto il periodo sovietico, ha la possibilità di verificare i contenuti delle notizie che la televisione ha trasmesso con altri fonti diffuse nei social media.
Un aspetto interessante è che già nel 1995 circolava un draft di una legge Sorm-2 che dava ampi poteri di intervento di censura statale a opera del servizio di sicurezza federale (Fsb), obbligando i fornitori di un servizio Internet a installare un hardware a proprie spese tramite il quale il sistema informatico della Fsb riusciva a monitorare l’uso di Internet da parte di un qualsiasi soggetto. In continuità con questo tipo di intervento, recentemente sono stati individuati alcuni siti ritenuti pericolosi che devono essere bloccati e che riguardano organizzazioni religiose estremiste, organizzazioni internazionali terroristiche e partiti ultranazionalisti come il caso ceceno (www.chechenpress.com).
L’85% dei russi utilizza un accesso Internet con il cellulare per collegarsi prevalentemente ai social media, il più importante dei quali è VKontakte che amalgama blogger e crea comunità di follower ed è il primo social utilizzato in Russia e quindicesimo nel mondo. Molti giovani usano anche Instagram, Twitter e Whatsapp, mentre le generazioni più vecchie guardano con sospetto questa nuova tecnologia.
Lo stesso Putin non ama particolarmente i social media, non ha un suo profilo personale e ritiene che sia uno strumento che necessita di essere controllato attentamente anche in seguito alle elezioni parlamentari del 2011 e agli esempi delle rivoluzioni colorate all’estero.
Da allora sono state varate norme volte a perseguire le seguenti azioni nella sfera digitale: 1) la calunnia è criminalizzata attraverso dure punizioni; 2) il discorso estremista è bandito; 3) i bambini devono essere difesi dalla pornografia; 4) sanzioni per le organizzazioni non governative che ricevono fondi dagli americani o altre fonti straniere; 5) entità straniere non possono aprire canali televisivi in Russia e non possono possedere più del 20% del capitale, avere controllo diretto e determinare la linea editoriale; 6) l’istituzione di un’agenzia nel 2008 (Roskomnadzor: acronimo russo riferito al Comitato russo di sorveglianza) che monitora Internet e pretende che i dati personali rimangano all’interno dei server russi; 7) nuovi aggregatori con più di un milione di utenti giornalieri devono rendere conto dei contenuti eccetto quelli che riproducono le registrazioni dei media russi; 8) tutte le informazioni devono essere archiviate per sei mesi per essere accessibili da Roskomnadzor.
Queste regole hanno avuto gravi conseguenze per la stampa cartacea. Ad esempio, il «Kommersant’» non ha più potuto condividere i costi di gestione con il «Financial Times»; alcuni media regionali e istituti di ricerca hanno perso finanziamenti.
In base alla legge sulla protezione dei bambini i siti Internet devono essere segnalati per «informazione che contiene un linguaggio esplicito, un’ingiustificata condotta, l’istigazione al suicidio, la promozione del desiderio di droga, uso di alcol, prostituzione, vagabondaggio; la violenza sugli animali e sugli umani; promuovere relazioni sessuali non tradizionali e la mancanza di rispetto verso i genitori; l’informazione pornografica, contenente dati sui minori che diventano vittime di azioni illegali». Qualsiasi forma di discorso pornografico è bandito.
La legge sull’estremismo entra in vigore nel luglio 2016 e consente allo Stato di avere numerosi strumenti di controllo anche se non definisce esattamente cosa si debba intendere per estremismo, separatismo e incitamento alla violenza. Sempre nel 2016 il codice criminale è stato emendato e ha determinato più sanzioni per l’incitamento all’odio, all’ostilità, all’umiliazione della dignità umana di una persona affiliata a qualsiasi gruppo sociale se è fatto pubblicamente o attraverso i media e online.
Roskomnadzor ha notevoli poteri di sanzione e di intervento immediato: se per ben due volte in un anno un media è stato richiamato, questa agenzia può immediatamente chiudere o bloccare il sito, ancor prima dell’intervento della corte.
L’organizzazione moscovita Roskomsvoboda[4] ha denunciato la chiusura di ben 120.000 siti al 31 marzo 2017 di cui 1.587 bloccati per estremismo e richiamo alla protesta, 9.982 per contenuti e riferimenti all’utilizzo della droga, 228 per propaganda al suicidio, 5.253 per distribuzione di pornografia infantile, 9.593 per pubblicazione di informazioni proibite, 1.465 per infrangimento del copyright e 6.313 per gioco d’azzardo.
Secondo il report di Freedom of the Press del 2017[5] la Russia ha un pluralismo d’informazione con evidenti episodi di censura, di accesso limitato all’opposizione politica e alle inchieste di corruzione. La violenza contro i giornalisti attraverso attacchi fisici, arresti, minacce e morti costituiscono una costante, soprattutto in Cecenia.
Il contesto giuridico lascia numerosi poteri discrezionali alle autorità preposte al controllo e alla regolamentazione dei media. In particolare, il pacchetto legislativo (Jarovaja prava), firmato nel luglio 2016, ha aumentato il numero di persone arrestate per la promozione del terrorismo e dell’estremismo online.
Inoltre, l’indicatore della libertà in Internet[6] (Freedom on the Net) posiziona la Russia dal 2015 tra i paesi non liberi oscillando tra la 65a e la 67a posizione su 100 mentre dal 2009 al 2014 risultava parzialmente libera.
La liberalizzazione, successiva alla trasformazione politico-sociale introdotta dalla Perestrojka e dalla Glasnost’, ha consentito agli inizi degli anni Novanta la nascita di diverse testate giornalistiche e di alcune emittenti radio-televisive che hanno cominciato a diffondere notizie e trasmissioni di pubblico interesse. Se il biennio 1989-1991 ha, quindi, costituito l’età dell’oro della diffusione dei mass media e della quantità di pluralismo delle fonti di informazione, i recenti sviluppi legislativi, atti a controllare l’attività e le dichiarazioni dei cittadini in Internet, e la propaganda trasmessa dai media nazionali costituiscono elementi di preoccupazione a livello internazionale per le limitazioni nella libertà di espressione e di stampa.
Il fenomeno delle fake news e la disseminazione di notizie deliberatamente false è un processo così complicato che non può essere sconfitto semplicemente ed esclusivamente dal ricorso al fact checking. Alcuni sforzi sono stati compiuti nel marzo 2017 con la Joint Declaration on Freedom of Expression and Fake News Disinformation and Propaganda, elaborata dall’Osce[7] e dagli Usa che avvertono sugli effetti delle fake news e, allo stesso tempo, condannano i tentativi di censura e di blocco dei siti da parte dei governi.
In questo meccanismo di hybrid warfare [Renz 2019, 283-300], la Russia ha investito personale qualificato e risorse economiche nella creazione di canali televisivi, anche online, che diffondono notizie all’estero per contrastare il fenomeno della russofobia.
Nel dicembre 2005 Russia Today (RT) debutta come canale televisivo al fine di presentare una controparte alla narrazione occidentale sulla Russia. Si attivano canali di RT in lingua araba (2007), in spagnolo (2009) e in francese (2017). Nel 2010 RT America ha cominciato a trasmettere programmi più polemici e critici nei confronti dell’Occidente, reclutando personalità americane famose in difesa della cultura e dei valori russi. L’attenzione verso RT negli Usa e nell’Europa occidentale ha raggiunto il suo apice durante le elezioni presidenziali americane del 2016 in seguito a un attacco hacker che ha indebolito la candidata democratica Hillary Clinton. L’intelligence americana ha confermato che la fonte di questa interferenza era in Russia, vettore primario di una guerra d’informazione, scioccando l’opinione pubblica americana.
RT indubbiamente è nata con lo scopo di valorizzare l’immagine di Putin e il suo paese attraverso un nuovo tipo di propaganda che può essere molto efficace nelle persone che hanno un basso livello di istruzione. I dati dimostrano che l’audience di RT in Europa è meno dello 0,1% del potenziale complessivo, mentre sul canale YouTube alcuni video, per lo più di catastrofi e violenze raggiungono anche i 3 miliardi di visualizzazioni e solo l’1% ha contenuto politico [Mickiewicz 2019, 102-103].
Tuttavia, la mancanza di analisi approfondite non consente di concludere con certezza e analizzare in profondità sino a che punto RT riesce a persuadere: il contenuto ci dice molto, ma non si può paragonarlo all’effetto.
Nell’aprile 2019 un disegno di legge, Programma nazionale di economia digitale, che modifica la legge federale sull’informazione, sulle tecnologie dell’informazione e sulla difesa dell’informazione del 2006, determina la nascita di una rete informatica russa, definita RuNet.
Entrato in vigore il 1o novembre 2019, questo sistema di dominio alternativo consente di isolare Internet dalla rete globale, chiudendo le connessioni al suo interno o con il web mondiale attraverso una nuova infrastruttura dal gennaio 2021.
Putin e le autorità governative hanno spiegato che questo intervento determinerà un Internet più «sostenibile, sicuro e funzionante», in grado di prevenire attacchi cibernetici e conseguenze negative provenienti dalla rete globale «ampiamente controllata dall’estero».
In questa prospettiva spetta al servizio federale Roskomnadzor controllare la rete in casi di emergenza con intervento diretto, come è successo con il blocco di cinque account Lgbt sul social VKontakte o meme illegali di personaggi pubblici che ledono la loro dignità, violando, al contempo, le leggi che governano i dati personali.
Tra gli esperti informatici esistono ancora perplessità sull’efficacia e lo scopo di RuNet. Per alcuni verranno solamente cancellati alcuni contenuti sulle principali piattaforme come YouTube o Facebook. Dal 2006 esiste già il device Sorm che monitora e-mail, l’uso di Internet, Skype e altri social network[8].
Attraverso il Deep packet inspection (Dpi) la «sovranità digitale» di RuNet crea un muro virtuale che può difendere il «patriottismo digitale», minacciato dagli agenti stranieri attraverso uno strumento che traccia, filtra e reindirizza il traffico online per bloccare anche forme di dissenso. Il governo russo ha stanziato 30 miliardi di rubli (400 milioni di euro) per attivare la rete russa prima delle elezioni parlamentari del settembre 2021, ma rimangono dubbi sulla possibilità che il web russo possa replicare tecnicamente il Great Firewall cinese.
[1] Tuttora alcuni paesi dell’Estremo Oriente e delle province marittime ricevono solo due segnali – Canale 1 e Canale 2 – che sono i principali canali dell’era sovietica.
[2] L’inchiesta è stata condotta fra il 22 e il 25 gennaio 2016 su un campione di 1.600 persone. Cfr. www.levada.ru, rilevazione del 15 gennaio 2020.
[3] Cfr. https://rsf.org/en/russia, rilevazione del 15 gennaio 2020. Cfr. https://cpj.org/europe/russia/ per i dati sugli omicidi dei giornalisti. Il Comitato ha segnalato anche il recente (febbraio 2020) attacco subito in Cecenia dalla giornalista indipendente della «Novaja Gazeta», Elena Milašina.
[4] Cfr. https://reestr.rublacklist.net/visual/, rilevazione del 16 gennaio 2020.
[5] Cfr. https://freedomhouse.org/report/freedom-press/2017/russia, rilevazione del 16 gennaio 2020.
[6] Cfr. https://www.freedomonthenet.org/explore-the-map?country= RUS, rilevazione del 16 gennaio 2020.
[7] Cfr. https://www.osce.org/fom/302796, rilevazione del 16 gennaio 2020.
[8] L’inchiesta è stata pubblicata nel libro intitolato The Red Web, scritto da due giornalisti russi, Andrei Soldatov e Irina Borogan [2015], fondatori di agentura.ru.
Capitolo nono
Dopo il crollo dell’Urss il paese ha affrontato la più grave crisi economica e finanziaria che nessun sistema economico ha mai sperimentato nell’età contemporanea.
Per i riformatori è stato difficile affrontare e conciliare i tempi e le esigenze del cambiamento politico con quello economico che si è contraddistinto per una «privatizzazione spontanea» nella quale l’élite economica è cambiata molto meno rispetto a quella politica e ha favorito gli interessi privati rispetto a quelli della collettività.
La riforma del sistema economico è stato il mezzo attraverso il quale El’cin ha cercato di ricostruire lo Stato post-sovietico e sconfiggere i suoi avversari politici. Oggi la stabilità e la crescita economica sono elementi fondamentali per la popolarità di Putin.
La lenta crescita economica del 2013-2014, seguita da un ulteriore declino nel biennio 2015-2016 e la prospettiva di crescita al di sotto del 2% del Pil nel 2019, hanno indotto alcuni analisti a parlare dell’avvio di una fase di stagnazione economica. La sfida per i policy makers russi è riuscire a frenare questo andamento senza avere ricadute negative nell’ordine politico e sociale. Sul piano internazionale si registra una caduta rispetto all’andamento degli Usa e dell’Europa per la quale si è cercato di garantire un’invulnerabilità economica, minimizzando il debito pubblico esterno, implementando politiche di austerità per contrastare l’inflazione, stabilendo ulteriori regole per rendere le finanze pubbliche meno dipendenti dal prezzo del petrolio[1].
Con la rapida caduta del prezzo del petrolio la Banca centrale ha preso, infatti, un’importante decisione; invece di accettare il declino nelle riserve del cambio estero al fine di difendere il precedente tasso di scambio, ha lasciato galleggiare il rublo: dai 30 rubli al dollaro a 80 per finire a 60 rubli [Robinson 2018, 280].
La caduta del rublo ha significato l’aumento dei prezzi dell’importazione e dei prezzi al consumo al 17% all’inizio del 2015 e i salari non hanno tenuto il ritmo con una caduta di quasi l’8%. Tuttavia, le imprese russe hanno preferito tagliare i salari invece di ridurre il numero dei dipendenti e l’impatto della recessione ha colpito le famiglie a basso reddito con tagli ai pensionati a cui si aggiunge l’embargo rivolto ai paesi che hanno votato la sanzione europea, provocando l’aumento dei prezzi.
Conseguentemente, per affrontare la crisi il governo decide di applicare politiche di austerità, tagliando la spesa federale – che è la fonte principale – vista la scarsa autonomia di imposizione di tasse a livello locale per mantenere basso il deficit.
I settori scelti per il taglio delle spese sono state le pensioni e la difesa con discussioni anche molto accese tra i ministri.
La politica sociale è storicamente e tradizionalmente ritenuta un diritto inalienabile, così come l’assistenza sanitaria e l’istruzione. Tuttavia la prima misura ha riguardato il taglio all’incremento a 9 milioni di pensionati e la seconda ha riguardato l’indicizzazione delle pensioni al 4% nel 2016.
Il secondo taglio della spesa alla difesa rientra in un piano 2018-2025 che non è stato accolto favorevolmente dal ministro della difesa, Sergej Šoigu, che ha discusso con il ministro delle finanze Anton Siluanov accusandolo di minare gli sforzi fatti per modernizzare l’esercito. Questo intervento, però, è stato ridimensionato e previsto per il biennio 2017-2019, evitando una spaccatura all’interno dell’élite.
L’abbassamento del prezzo del petrolio ha significato anche un declino dell’export, visto che il petrolio, i suoi derivati e il gas naturale sono i due terzi del valore del mercato delle esportazioni. Sebbene il prezzo del petrolio e le sanzioni possano aver contribuito alla caduta nel 2015-2016, la stagnazione ha anche cause domestiche.
Gli indicatori economici principali descrivono una situazione nella quale l’occupazione è rimasta quasi stazionaria e gli investimenti fissi sono in discesa. Nel primo caso c’è una questione demografica collegata ai migranti dell’Asia centrale e del Caucaso e alla coorte di giovani che entrano nel lavoro, un trend che dovrebbe durare sino al 2020.
La classe imprenditrice in Russia è, invece, relativamente piccola. Secondo un’inchiesta sociologica del consorzio che monitora gli imprenditori nel mondo, la Russia si attesta alla 71a posizione su 73, precedendo il Kosovo e Porto Rico con un ruolo delle piccole imprese nell’economia ancora modesto. Nel 2016 i dati ufficiali sulle piccole imprese (fino a 100 lavoratori) rilevano un’occupazione del 15% del totale al netto delle imprese ombra non registrate ai fini delle tasse, mentre i dati per l’Europa centrale e orientale parlano di un 40% [ibidem, 215].
Il governo russo ha preferito affrontare la soluzione in termini di implementazione di politiche pubbliche mirate e non di una riforma complessiva del sistema economico, come può essere un programma a larga scala di privatizzazioni.
L’introduzione di sussidi per sostenere le telecomunicazioni domestiche e interventi di spesa ad hoc sono state la scelta che il governo russo ha intrapreso perché le riforme possono avere conseguenze inattese. Le politiche possono, invece, essere giudicate con un certo anticipo e non si è voluto influenzare negativamente l’opinione pubblica in vista delle elezioni presidenziali del 2018.
Dopo il 1991 la nuova Russia come affronta i costi del mantenimento di questi servizi?
L’indice di Gini (World Bank Estimate)[2], che misura il livello di ineguaglianza sociale, pone la Russia nella prima posizione (37,7) tra gli ex paesi comunisti nel 2015 (l’indice era al 48,4 nel 1993).
Molta di questa ineguaglianza è dovuta alla concentrazione di risorse nei livelli più alti della distribuzione e non in quelli più bassi. Qualora i riformisti decidessero di proporre una tassa progressiva in base alla quale pagare le tasse in proporzione al reddito, si scontrerebbero con l’elevata evasione fiscale.
La Russia ha cominciato a riformare il proprio sistema pensionistico ancor prima della caduta dell’Urss. Il fondo per le pensioni è stato creato nel 1990, finanziato dal 26% delle tasse pensionistiche sul salario. L’aumento del prezzo del petrolio ha consentito di intervenire anche nel sistema sanitario, nell’istruzione e nelle infrastrutture. Nel tempo i salari sono triplicati e i benefit delle pensioni hanno raggiunto il 35% della media del salario nel 2010. La povertà tra i pensionati è diminuita così come il tasso di mortalità.
Nonostante questa situazione, alla fine del 2010 l’insostenibilità del sistema pensionistico era del tutto evidente. Il deficit nel fondo delle pensioni stava aumentando.
Il primo intervento è stato, quindi, l’introduzione nel 2013 del sistema Payg. La metà del fondo è costituita da trasferimenti diretti dal budget federale. Il ministro Kudrin ha riconosciuto che ogni generazione paga di più di quella precedente e ottiene più di quello che paga. Il blocco sociale del governo, ovvero la coalizione dei ministeri che si occupano del sistema sociale, vuole sostenere una politica sociale più redistributiva.
Prima dell’ultima riforma l’età pensionabile era di 55 anni per le donne e di 60 per gli uomini in base a una legge del 1932 quando le aspettative di vita erano più brevi. Inizialmente Putin è stato riluttante all’idea di innalzare l’età. Più della metà delle donne tra i 55 e i 59 anni sono impiegate, come il 29% degli uomini tra i 60 e i 72 [Cook, Asland e Prisyazhnuyk 2017, 96-108]. Le pensioni spesso sono troppo basse per coprire le spese, quindi, è molto comune unire alle pensioni anche un salario derivante da altre attività: in questo caso si continua a percepire la pensione che non viene, però, indicizzata.
Nel 2015 il modello pensionistico comincia a essere calcolato con un punteggio. La pensione dipende dal numero di punteggi acquisiti usando una complessa formula che include il numero di anni di lavoro, la quota di contribuzione e la situazione finanziaria del fondo della pensione al momento del pensionamento. È chiaro che è molto difficile per i pensionati prevedere quanto percepiranno.
Il 3 ottobre 2018 il presidente Putin ha firmato la legge di riforma delle pensioni che prevede l’innalzamento graduale dell’età da 60 a 65 anni per gli uomini e da 55 a 60 per le donne.
Nonostante il clamore della visibilità internazionale del campionato mondiale di calcio, la legge approvata alla Duma con 326 voti favorevoli, 56 contrari e 1 astenuto, non è passata in secondo piano e ha suscitato una serie di proteste.
Il calo del consenso di Putin, rilevato dal Levada Center passa dal 79% – tra i più alti della presidenza Putin – di giugno al 67% di luglio e induce Putin a rivolgere un discorso alla nazione a fine agosto. Ribadendo pubblicamente che la riforma pensionistica è ineluttabile e necessaria per un atto di responsabilità verso i figli e il paese, Putin apporta alcune modifiche per stemperare i toni della discussione. Tra queste: 1) il pensionamento anticipato delle donne con tre figli; 2) sanzioni più severe per i licenziamenti ingiustificati per i lavoratori in prepensionamento; 3) l’aumento delle pensioni di oltre il 40% entro il 2024 (escluso i militari e i membri del Fsb).
Dinanzi a questi interventi del presidente Putin anche l’opposizione parlamentare accoglie favorevolmente le revisioni, anche in virtù degli effetti positivi, analizzati dalla Banca centrale, determinati dalle stime dell’aumento del Pil dello 0,9% nel 2019 e dello 0,2-0,3% nel biennio 2020-2021.
[1] La crisi del 2014-2016 è diversa perché non era globalizzata o di transizione come quella degli anni Novanta. La crescita è lenta anche nel 2013 e la caduta del prezzo del petrolio tra il 2014 e il 2016 e le sanzioni europee producono un’ulteriore flessione dello 0,6% per anno.
[2] L’indice di Gini misura il livello di distribuzione di reddito tra gli individui dove 0 indica una perfetta eguaglianza e 100 implica una perfetta ineguaglianza. Cfr. www.tradingeconomics.com, rilevazione del 15 gennaio 2020.
Parte quarta. La Russia contro il resto del mondo
Capitolo decimo
La lettura e la comparazione dei diversi testi, che sono stati elaborati a partire dal 1993, consentono di comprendere gli approcci dei presidenti della Federazione e gli eventi politici che hanno contraddistinto un diverso atteggiamento della Russia nei confronti di alcuni paesi e organizzazioni internazionali.
Con una doverosa premessa. Tutte le legislature presidenziali sono cominciate con la volontà di costruire relazioni positive con l’Europa e l’Occidente.
Ma quali sono le priorità della FR nel contesto internazionale? Quali strategie sono state adottate negli ultimi decenni? Con quali scelte e modalità la Russia ridefinisce gli obiettivi strategici, i principali interessi e le priorità del paese?
I rapporti fra Russia e Occidente sono stati fortemente caratterizzati da accuse reciproche di interferenze nella politica nazionale, da spy stories, dal sostegno americano alle rivoluzioni colorate. Tutte queste azioni sono riconducibili a nuove procedure non convenzionali di una guerra ibrida e non lineare (information o hybrid warfare) sul piano economico, fisico e psicologico, denunciata dal capo di Stato maggiore russo, Valerj Gerasimov. Il ricorso ad attacchi di hackers nella cyberwar, la diffusione di fake news e di operazioni psicologiche su Internet costituiscono ormai le regole di una nuova guerra in cui può essere difficile individuare «chi è chi e chi fa cosa» con la drammatica conseguenza di un Total Chaos Warfare. L’analisi di Gerasimov è interamente rivolta agli attacchi occidentali che la Russia ha subito negli ultimi anni, ma è stata impropriamente definita la «dottrina di Gerasimov», intesa come la nuova strategia e i nuovi metodi utilizzati dai russi per destabilizzare le liberaldemocrazie[1].
Non vi è dubbio che la questione principale della leadership russa è sempre stata la sicurezza nazionale. È, tuttavia, opportuno segnalare che questa tematica è strettamente collegata ad altre aree di intervento che si sovrappongono e confluiscono tra di loro: la dottrina militare, la politica estera e la dottrina di sicurezza nazionale.
Più nel dettaglio, la dottrina della sicurezza nazionale si occupa delle minacce esterne e interne e specifica le funzioni degli organi statali che se ne occupano. La dottrina della politica estera definisce, invece, le priorità generali nell’arena internazionale e la dottrina militare individua le minacce esterne al paese e i modi e gli strumenti di difesa nazionale.
I documenti ufficiali sulla dottrina militare e sulla politica estera sono ritenuti generalmente secondari perché descrivono i modi attraverso i quali l’obiettivo strategico della «sicurezza totale» deve essere raggiunto.
Nonostante la sicurezza nazionale abbia sempre ricoperto un ruolo centrale nel dibattito politico ci sono voluti quasi sei anni dalla nascita della Federazione russa prima dell’implementazione di un coerente e strutturato documento pubblicato nel dicembre 1997: il Concetto della sicurezza nazionale della FR. E solamente durante la presidenza Putin vengono elaborati, aggiornati e regolamentati i settori della politica militare (2014), marittima (2004), degli accordi e attività internazionali (2014 e 2019), della dottrina climatica (2001), dell’antiterrorismo (2001) e della sicurezza cibernetica (2016).
Il documento del 2016 pone, infine, una particolare enfasi sulla necessità di ridurre ulteriormente l’arsenale nucleare e individua nell’Agenzia internazionale dell’energia atomica un attore centrale nella cooperazione su questo tema. Si fa riferimento alla sicurezza cibernetica, alla volontà di essere parte di azioni di peacekeeping guidate dalle Nazioni Unite mentre ritiene che l’art. 51 della carta delle Nazioni Unite[2] sia un’adeguata base giuridica per l’autodifesa.
Per comprendere l’evoluzione della politica di sicurezza della Federazione russa è opportuno analizzare i testi delle strategie adottate nel 1997 e nel 2000 e compararle con l’ultimo ukaz del presidente del 31 dicembre 2015. I primi due testi sono relativamente brevi e suddivisi in quattro parti: 1) il ruolo della Russia nel mondo; 2) gli interessi nazionali del paese; 3) le minacce alla sicurezza nazionale della Russia; 4) come garantire la sicurezza del paese[3].
Il preambolo al documento del 1997 specifica la visione ufficiale del governo, volta ad assicurare la sicurezza individuale, pubblica e statale dalle minacce politiche, economiche, sociali, militari, ambientali, informatiche di natura interna ed esterna al paese, e a elaborare i programmi e le azioni concrete nel settore della sicurezza nazionale.
Il preambolo del documento del 2000 presenta una breve definizione del concetto di sicurezza intesa come «la sicurezza del popolo multinazionale nel quale risiede la sovranità e l’unica fonte di autorità»[4].
In molti passaggi, la versione del 2000 sembra una copia di quella del 1997 con alcuni emendamenti che rispecchiano solamente i cambiamenti nella politica estera intercorsi nei due anni e che riguardano l’allargamento della Nato, la crisi economica russa del 1998, l’intervento della Nato in Kosovo e quello russo in Cecenia.
Nella parte relativa al ruolo della Russia nel mondo, il documento del 1997 è più ottimista rispetto alla possibilità di un nuovo sistema multipolare mentre in quello del 2000 la situazione è ritenuta più complessa e caratterizzata da due tendenze. La prima riguarda il rafforzamento delle posizioni politiche ed economiche di alcuni paesi e la seconda denuncia il tentativo di sviluppare una comunità internazionale di paesi occidentali sotto la leadership americana con l’obiettivo di soluzioni unilaterali che minacciano le basi del diritto internazionale.
Entrambi i documenti menzionano le minacce provenienti dal terrorismo internazionale e sottolineano i punti di forza della Russia che sono la scienza, l’economia, il potenziale tecnologico, la sua peculiare posizione strategica, le risorse energetiche e naturali, la cultura e la storia del paese e un potente arsenale nucleare. Sparisce nella versione del 2000 il riferimento al processo di democratizzazione del paese e si sottolinea che la Russia è uno dei paesi più grandi del mondo con secoli di storia e di ricche tradizioni culturali.
Gli interessi nazionali sono riconducibili ai valori del popolo russo, al potenziale economico, all’organizzazione militare e politica dello Stato e alla società multi-etnica. Gli interessi individuali poggiano sui diritti e le libertà costituzionali mentre gli interessi della società si riferiscono al consolidamento della democrazia, della rule of law, e dello stato sociale. Gli interessi dello Stato sono nelle due versioni definiti in termini di inviolabilità dell’ordine costituzionale, della sovranità, della protezione dell’integrità territoriale, del mantenimento della stabilità economica e sociale, dello stato di diritto e della partecipazione nella cooperazione internazionale basata sui principi di eguaglianza e di partnership.
Nella sfera militare il documento del 1997 ritiene che l’interesse nazionale debba tener conto anche della protezione degli individui, della società e dello Stato dalle aggressioni militari straniere che viene esteso nel documento del 2000 all’indipendenza, alla sovranità, allo Stato e alla sua integrità territoriale.
Altri importanti obiettivi elencati nel documento del 1997 sono: 1) la creazione di un nuovo sistema di sicurezza europeo e atlantico nel quale l’Osce in Europa può avere il ruolo di coordinatore; 2) aumentare gli sforzi per creare organizzazioni multilaterali per la cooperazione nella sfera della sicurezza internazionale nella regione dell’Asia-Pacifico e del Sud Asia; 3) la partecipazione attiva della Russia, come membro permanente delle Nazioni Unite, per prevenire le crisi regionali; 4) il controllo sull’aumento delle armi di distruzione di massa; 5) la protezione dei diritti e degli interessi dei cittadini russi che vivono all’estero nell’ambito dei principi del diritto internazionale.
La maggiore differenza tra i due testi è il tono più pessimistico e allarmato del documento del 2000 nel quale si elencano le principali minacce internazionali: 1) il desiderio di alcuni Stati e associazioni internazionali di diminuire il ruolo dei meccanismi esistenti che assicurano la sicurezza internazionale tra cui le Nazioni Unite e l’Osce; 2) il pericolo di un indebolimento dell’influenza militare, economica e politica della Russia nel mondo; 3) il rafforzamento di blocchi e alleanze militari come l’espansione della Nato; 4) l’eventuale presenza di basi militari vicine ai confini della Russia; 5) la proliferazione di armi di distruzione di massa; 6) l’indebolimento del processo della Csi; 7) l’escalation di confini vicini alla FR e ai confini esterni della Csi; 8) il separatismo.
Nel documento del 2000 gli intenti riguardano, invece, i seguenti punti: 1) l’integrazione della Russia nell’economia globale; 2) la creazione di una singola economia all’interno della Csi; 3) un’attiva politica estera per rafforzare i meccanismi multilaterali e i processi economici nel mondo; 4) la partecipazione nei conflitti e nelle missioni di peacekeeping; 5) il controllo delle armi e il disarmamento.
L’ultimo intervento legislativo in materia di sicurezza è il decreto presidenziale del 28 giugno 2014 che consta di 116 articoli ed esplicita una strategia nel settore economico, nella società e nell’ambito internazionale. È un vero e proprio piano d’azione che ribadisce la necessità di affrontare le interferenze straniere e la lotta al terrorismo internazionale.
Oggi il settore della sicurezza impiega circa 500.000 persone e il 3,9% del Pil nel 2018 (5,5% nel 2016 e 4,1% nel 2014) mentre nelle prime due legislature di Putin era intorno al 3,3-3,9%[5] (Sipri Military Expenditure Database).
La dottrina militare della FR è, invece, un documento strategico, approvato nel 2014, che ha ripreso gli elementi fondamentali esplicitati nei documenti del 1992, 1993 e 2000: 1) le minacce di interferenze esterne nella politica interna; 2) i conflitti regionali e tensioni etniche; 3) le situazioni destabilizzanti l’ordine internazionale; 4) la minaccia terroristica; 5) il diritto di usare armi nucleari in risposta ad altre armi nucleari o di distruzione di massa.
La dottrina prevede che il personale militare non debba superare un milione di unità e, al momento, vi sono 800.000 soldati di cui circa 350.000 hanno un contratto; il resto del reclutamento avviene con la leva che è obbligatoria e dura un anno. Un numero decisamente inferiore rispetto agli Usa (quasi un milione e mezzo) e alla Cina (quasi due milioni e mezzo).
[1] Charles Bartles [2016, 30-38] afferma che il punto di vista di Gerasimov è che la sovranità russa è minacciata da questo tipo di azioni provenienti dall’Occidente. Mark Galeotti, che aveva coniato il termine «dottrina di Gerasimov» in un articolo pubblicato nel 2013 su «Foreign Policy», si definisce recentemente dispiaciuto del fraintendimento che non consente di cogliere pienamente la minaccia russa [Galeotti 2018; 2019, 157-161].
[2] L’art. 51 ribadisce il diritto naturale alla legittima difesa individuale o collettiva nel caso venga attaccato un paese membro delle Nazioni Unite fino a quando il Consiglio di sicurezza non intervenga con misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionali. L’azione militare deve rispettare i parametri della necessità e della proporzionalità. Sono esclusi nel diritto internazionale attacchi collegati alla lotta contro il terrorismo con azioni armate contro entità non statali, in territorio estero e senza il previo consenso della sovranità territoriale (azione preventiva). Cfr. http://www.comitatoatlantico.it/COMIT/documenti/carta-delle-nazioni-unite-art-51-53/, rilevazione del 28 dicembre 2019.
[3] Il Concetto della sicurezza nazionale del 1997 è un documento di 11.500 parole mentre il testo del Concetto della sicurezza nazionale del 2000 è più breve e si limita a 6.400 parole di cui 3.750 riguardano il capitolo di come assicurare la sicurezza nazionale.
[4] I testi di tutti i concetti e le dottrine spiegate in questo capitolo si trovano nel sito del Ministero degli affari esteri: cfr. https://www.mid.ru/ru/home.
[5] La spesa del governo russo è più vicina a quella dell’Arabia Saudita (67 miliardi), della Francia (64 miliardi) e dei 49 miliardi della GB. Cfr. https://www.sipri.org/sites/default/files/Data%20for%20all%20countries%20from%201988%E2%80%932018%20as%20a%20share%20of%20GDP%20%28pdf%29.pdf, e https://www.sipri.org/sites/default/files/Data%20for%20all%20countries%20from%201988%E2%80%932018%20in%20constant%20%282017%29%20USD%20%28pdf%29.pdf, rilevazione del 28 dicembre 2019.
Capitolo undicesimo
Il 7 dicembre 1988 Gorbačëv ha sancito la fine della guerra fredda nel discorso tenuto alle Nazioni Unite e l’anno successivo propone l’idea di una «casa comune europea» e di un unico continente da Lisbona a Vladivostok. Sarà il summit di Malta nel dicembre 1989 a rappresentare simbolicamente la fine della guerra fredda e l’inizio, nelle parole di G.H.W. Bush, del «nuovo ordine mondiale».
La dissoluzione dell’Urss ha, quindi, posto fine al bipolarismo della guerra fredda e ha dato il via al sistema unipolare.
Come Richard Sakwa [2017, 1] rileva nel suo libro intitolato Russia against the Rest, George Orwell, che coniò il termine «guerra fredda» per un articolo su «Tribune» nell’ottobre 1945, non avrebbe mai immaginato che settant’anni dopo la fine della seconda guerra mondiale il dibattito politico e internazionale sarebbe stato ancora descritto come una «nuova guerra fredda».
Putin ha sempre negato e al forum Valdai dell’ottobre 2016 ha descritto l’accusa come una forma di isteria e un mito che non corrisponde alla realtà, ma fomenta, come ha espresso il ministro Lavrov, la russofobia dell’Occidente[1].
Putin ha sempre criticato le agenzie di promozione democratica – come l’Istituto repubblicano internazionale (Iri), guidato dal senatore McCain, il più critico verso la Russia – e il fatto che gli Usa svolgano azioni di «ingegneria politica» nel mondo. Il governo russo ritiene che l’agenzia Iri costituisca una minaccia all’ordine e alla sicurezza nazionale mentre fonti americane hanno denunciato l’attacco al sito dell’Iri poco prima delle elezioni russe perché sono state riscontrate affermazioni e propaganda in favore del partito di opposizione Jabloko.
Sembra, quindi, che il rapporto fra Usa e Russia sia basato su uno stimolo-risposta ovvero nei termini delle relazioni internazionali sulla reciprocità. Alla promozione americana della democrazia nel mondo, la Russia ha reagito con metodi di soft power e guerra ibrida. Come ha affermato il ministro Lavrov, la reciprocità è fondamentale nella politica estera: «Non è stato inventato da noi. È la legge delle relazioni internazionali. Reciprocità è la chiave» [Glasser 2013]. In base a questo criterio numerosi sono gli esempi di reazione/scontro tra i due paesi[2]. Ad esempio, la Russia avrebbe risposto all’intervento americano in Kosovo per l’indipendenza della Serbia con il sostegno dell’indipendenza dell’Abcasia e dell’Ossezia e, ancora di più, con l’annessione della Crimea.
L’entrata della Russia nel conflitto siriano nel 2015 segna un altro punto nella politica estera contro il monopolio dell’uso globale della forza degli Usa attraverso il sostegno militare al presidente iraniano Bashar Al-Assad.
La sfida è tuttora aperta e su molteplici fronti: diplomatici, militari, tecnologici e valoriali [Trenin 2017].
A una settimana dall’accordo europeo di associazione di libero scambio con l’UE (accordo di Vilnius), il presidente Janukovič decide di rifiutare la proposta, provocando una serie di proteste nella piazza centrale di Kiev[3].
Le forze separatiste chiedono l’indipendenza del popolo di Doneck e Lugans’k, ma il governo ucraino lancia un’operazione antiterrorista e usa l’apparato militare e le nuove guardie nazionali contro le forze ribelli anti-Maidan. Inoltre, un aereo (Malaysia Airlines MH17) da Amsterdam a Kuala Lumpur viene colpito nella regione di Donteck con 298 morti e provoca un’ulteriore internazionalizzazione del conflitto perché la maggior parte dei morti sono europei. L’Ucraina e l’Ovest incolpano la Russia.
È a questo punto che Mosca comincia a pensare di sfruttare l’irredentismo crimeo per ridisegnare geopoliticamente il Mar Nero attraverso i territori a sud e a est dell’Ucraina con l’invio di truppe nella penisola di Crimea, bloccando il porto di Sebastopoli per tutelare la popolazione di etnia russa del luogo.
D’altronde il governo locale della Crimea ha ritenuto incostituzionale l’esautoramento del presidente Janukovič, ha manifestato la volontà di riunificarsi alla Federazione russa, adottando una dichiarazione d’indipendenza dall’Ucraina e ha indetto un referendum per far esprimere la volontà dei propri cittadini. La consultazione popolare ha visto la partecipazione di circa l’80% dell’elettorato che si è espresso a favore dell’annessione alla Russia con il 96,6% dei voti[4].
Il 18 marzo 2014 le autorità della Crimea hanno sottoscritto il trattato di adesione con il presidente Putin, provocando una dura reazione nel mondo. L’ingerenza del governo russo è stata ritenuta illegale e violenta dalle principali organizzazioni internazionali.
L’Ovest non accetta l’annessione della Crimea e aumenta il sostegno politico, economico, finanziario e militare verso l’Ucraina, sanzionando la Russia, riassicurando la Nato con ulteriori truppe nell’Ece e perseguendo una soluzione diplomatica. La membership russa nel G8 è sospesa, alla delegazione russa nell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa non è consentito votare, gli Usa, l’UE e altri paesi avviano delle sanzioni economiche.
Per evitare un conflitto su più larga scala la cancelliera Angela Merkel e i presidenti François Hollande, Putin e Petro Porošenko[5] s’incontrano a Minsk e dopo 16 ore di negoziazione ridanno vigore all’accordo di Minsk (Minsk II). Le decisioni hanno riguardato un piano di riforme costituzionali, di politiche di welfare e una sorta di confederazione che possa far convivere le istanze separatiste con quelle pro-EU. Al 2018 si contano 10.500 morti e quasi 1,1 milioni di ucraini che si registrano come rifugiati in Russia, senza contare quelli che non sono registrati.
Il Minsk II ha ridotto notevolmente il conflitto, ma pochi sono gli sforzi per implementare il resto degli accordi.
L’annessione della Crimea intreccia questioni di natura storica, giuridica e politica che ingenerano una matassa assai difficile da dipanare. Storicamente la Crimea è stata una terra contesa nei secoli. In primo luogo, il diritto internazionale non prevede il diritto a secedere, ma la nascita di un nuovo Stato indipendente (principio di effettività). Non essendo uno Stato indipendente, la Crimea appartiene ancora all’Ucraina e, come tale, non poteva indire un referendum.
In secondo luogo, l’oggetto principale della contestazione è la presenza di forze armate russe, sebbene non chiaramente identificate. In realtà, le forze russe erano già presenti con 25.000 uomini sulla base di un accordo fra Russia e Ucraina che prevede la presenza della flotta nel Mar Nero con diritti di stanziamento sino al 2042, ma rimane una questione controversa se questa presenza possa rientrare in questo accordo. Putin ha affermato che le truppe sono necessarie per tutelare la popolazione di etnia russa e alcuni stranieri presenti nelle loro basi mentre la reazione ucraina è stata di violazione della sovranità.
In terzo luogo, la reazione alla richiesta di riunirsi alla Russia da parte del governo locale crimeo poggia sull’assunto della situazione di violenza e illegalità generata dal colpo di Stato contro Janukovič[6].
Il termine «annessione», usato nella pubblicistica, può essere inteso come occupazione violenta, ma costituisce oggetto di dibattito nel diritto internazionale. Alcuni commentatori e analisti ritengono che il diritto internazionale, che si basa anche sulle consuetudini, ha dimostrato in questo caso e non solo, la difficoltà ad affrontare gli scenari attuali perché poggia su documenti risalenti alla seconda guerra mondiale.
Critiche sono state rivolte anche all’Onu per la debole autorevolezza e prontezza di decisione. Vi sono state, invece, reattive reazioni del Consiglio e del Parlamento europeo, dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite che si sono espresse duramente contro la violazione del diritto esercitata dalla Russia.
A sei anni dall’annessione nell’affermazione dell’Alto rappresentante, Federica Mogherini, la questione crimea rimane una ferita aperta[7]. L’impegno dell’UE è volto a garantire la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina, a condannare l’inasprimento delle tensioni nello stretto di Kerch e nel Mar d’Azov e a difendere i diritti dei tatari in Crimea.
L’elezione del giovane attore e brillante comico Zelenskij apre nuove incognite sul rapporto fra l’Ucraina e la Russia. Il neopresidente ritiene indispensabile l’aiuto americano per migliorare le condizioni socioeconomiche del proprio paese, ma crede nella ricerca del dialogo con il suo collega russo. Un primo incontro è avvenuto in Normandia il 9 dicembre 2019, ma nulla pare cambiato rispetto agli accordi di Minsk II. In diverse interviste Putin si limita ad affermare che Zelenskij è un uomo simpatico che imparerà a fare il presidente.
[1] Cfr. http://en.kremlin.ru/events/president/news/53151, rilevazione del 5 gennaio 2020.
[2] L’ultimo riavvicinamento tra le due nazioni è stato il summit a Pratica di Mare nel maggio 2002 che si conclude con la firma di un documento tra i due paesi, Nato-Russia Relations: A New Quality e l’inserimento nel Nss dell’affermazione di Bush che «gli Stati Uniti e la Russia non sono più avversari strategici» [Robinson 2018, 256].
[3] Noto come movimento Euro-Maidan (Europiazza), nel giro di pochi giorni più di 500.000 persone rivendicano l’accordo europeo, accusano il presidente Janukovič e si verificano scontri con le autorità cui seguono numerosi feriti e morti.
[4] Cfr. https://www.gazeta.ru/politics/2014/03/15_a_5951217.shtml#, rilevazione del 18 dicembre 2019.
[5] Nonostante gli avvenimenti, con la presidenza di Petro Porošenko (2014-2019), l’Ucraina firma l’accordo di associazione con l’UE insieme ai presidenti di Georgia e Moldavia il 27 giugno 2014 e continua il dialogo con la Russia nel rispetto della sovranità e integrità del paese.
[6] Per una precisa ricostruzione storica della contesa Crimea, cfr. Piccardo [2017].
[7] Cfr. http://www.ansa.it/europa/notizie/rubriche/altrenews/2019/03/18/mogherini-annessione-della-crimea-alla-russia-resta-ferita-aperta_ecb9342a-79c3-46aa-bbe1-42e8d1b25250.html, rilevazione del 6 gennaio 2020.
Capitolo dodicesimo
La dissoluzione dell’Unione Sovietica non ha solamente determinato la nascita di un percorso di democratizzazione del regime politico e il passaggio a un’economia di mercato, ma ha significato la riduzione dei confini territoriali. Questa situazione ha destabilizzato la classe politica russa che, nei decenni successivi, ha cercato di salvaguardare i propri confini e favorire buone relazioni e cooperazioni commerciali con i paesi del «vicino estero».
Dalla Comunità degli Stati indipendenti (Csi), all’Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva (Csto), dall’Unione economica euroasiatica (Uee) alla Shanghai Cooperation Organization (Sco), la politica estera russa mira al mantenimento del controllo della sicurezza nello spazio post-sovietico attraverso la tutela delle minoranze etnico-linguistiche e la creazione di piattaforme politiche regionali. Non solo. Da «impero solitario» la Russia si sta muovendo come una potenza regolatrice e mediatrice nei complessi scenari medio-orientali per garantirsi la tutela dei suoi interessi geopolitici.
La più ampia crisi ucraina comincia da questa situazione: la Russia reagisce perché si tratta di accordi che integrano i paesi nel sistema UE[1]. La questione geografica è, infatti, determinante per la comprensione della lotta per il potere nell’arena internazionale: si afferma il processo di regionalizzazione nel contesto unipolare.
Fonte di ispirazione nella letteratura russa per molti autori – Aleksandr Puškin, Michail Lermontov e Lev Tolstoj – il Caucaso è sempre stato, invece, considerato il punto debole della Russia, un’arena di lotta tra tre attori principali (Russia, Turchia e Iran) e un interesse strategico per le ingenti risorse e vie commerciali per la Gran Bretagna (nel XVIII-XIX secolo), la Germania (dopo la seconda guerra mondiale) e gli Stati Uniti.
Geograficamente il territorio è suddiviso in Nord e Sud con le sue montagne che rappresentano una specifica identità, un confine culturale e barriere naturali di un isolamento secolare. Su un territorio di 477.488 km², coesistono 50 popolazioni con distinte culture e lingue, 17 milioni di cristiani e 13 milioni di musulmani.
Con la dissoluzione dell’Urss la regione è stata protagonista di conflitti, instabilità, lotta per la gestione delle risorse naturali, un crescente radicalismo islamico che l’hanno resa un’area impegnativa, fonte di preoccupazione e definita come il «nodo delle contraddizioni».
Per i nuovi Stati indipendenti del Sud – Armenia, Georgia e Azerbaigian – il crollo dell’Urss ha significato l’indipendenza, mentre ha determinato potenziali instabilità per quelli del Nord, regione detta anche «ciscaucasica» (Dagestan, Cecenia, Adighezia, Caracay-Circassia, Cabardino-Balcaria, Ossezia del Nord-Alania, Inguscezia, Adighezia) che si presentano come repubbliche di etnia non russa[2].
Considerato come il «fianco meridionale del gigante socialista» [Valigi 2014] o un «lago sovietico» [Carletti 2014], il Caucaso meridionale è un mosaico etnoculturale che ha un elevato valore strategico per la Russia perché collega le componenti asiatica ed europea, il Medio Oriente e il Nord Africa (Mena). Nella regione la Russia ha basi militari, ed è consapevole che si tratta di un luogo dove si gioca la partita energetica globale e una considerevole parte della lotta al terrorismo islamico [Valigi, Natalizia e Frappi 2016].
La posizione geografica strategica del Caucaso può, inoltre, determinare un ruolo significativo nella competizione economico-finanziaria tra Cina e Usa e una «porta girevole» tra i mercati e le aziende dell’Estremo Oriente.
[1] Armenia, Azerbaigian e Georgia sono più lontani anche geograficamente rispetto al processo di ampliamento della Nato e dell’UE.
[2] I conflitti del Nagorno Karabakh, nel Sud Ossezia e in Abcasia amplificano l’instabilità politica, già riconducibile ai tempi precedenti il crollo dell’Urss e costituiscono la delicata questione dei «conflitti congelati» nella regione [Valigi, Natalizia e Frappi 2016].
L’ultimo mandato presidenziale (2018-2024) di Putin è contraddistinto da una serie di sfide in ambito nazionale e internazionale.
L’analisi della dimensione internazionale ha evidenziato il peggioramento delle relazioni con l’Occidente e l’aumento della belligeranza della Federazione russa che non è affatto un paese in declino sotto questo aspetto. Sebbene possa essere difficile individuare il preciso momento in cui le relazioni tra la Russia e l’Ovest sono peggiorate [Conradi 2017, 321] o, forse, più realisticamente non sono mai state positive, il prodromo della natura di questa relazione è riconducibile alla fine della guerra fredda.
Secondo l’ex ambasciatore americano in Urss, Jack Matlock (1987-1991), la fine della guerra fredda è stata intesa da molti politici come una vittoria dell’Ovest e non come un evento di cui entrambe le parti potevano beneficiare. Nel suo discorso del 25 dicembre 1991 alla nazione, G.H.W. Bush descrive tre volte l’evento della dissoluzione dell’Urss come una «vittoria del popolo e dei valori americani»[1] e nel suo discorso sullo stato dell’unione del 27 gennaio 1992 dichiara che «per grazia di dio, l’America ha vinto la guerra fredda», insistendo che non era finita, ma era vinta[2].
Da quel momento, si scontrano due concezioni in antitesi che plasmeranno le relazioni future fra gli Usa e la Russia. Da un lato, la posizione occidentale sostiene che sono stati fatti enormi sforzi per integrare la Russia, ma non si poteva permettere che la sua politica interna potesse minacciare l’ordine esistente. Dall’altro, la Russia si aspettava un maggiore riconoscimento come partner strategico, soprattutto in tema di politica di sicurezza, e con uno status paritario all’interno degli organismi internazionali.
Questa contrapposizione ideologica e politica è alla base di una diversa concezione del rapporto fra politica interna e internazionale. I russi ritengono che ci sia una distinzione tra la questione domestica ed esterna laddove la prima non influenza la seconda. I leader russi sostengono, infatti, che i fattori strutturali e la rimozione delle minacce geopolitiche facilitano la politica domestica mentre l’Occidente ritiene che le trasformazioni interne al regime politico precedono quelle internazionali. Dinanzi a questa contrapposta visione l’impasse politica è stata inevitabile. A ciò si aggiunga il fatto che nel 1991 la Russia ha sofferto una profonda umiliazione nel panorama internazionale dovuta a una serie di eventi: il crollo del patto di Varsavia, la richiesta di fondi al Fmi, alla Banca mondiale e al Wto.
Fatta questa premessa si possono individuare quattro fasi nelle relazioni con l’Occidente che condizionano le scelte e le priorità di politica estera [Renz 2019, 181]: 1) l’integrazione (1991-1995: Kozyrev); 2) l’equilibrio (1996-1999: Primakov); 3) la competizione (2000-2012: Lavrov); 4) la sfida (dal 2012 a oggi: Lavrov).
Come abbiamo visto nella terza parte di questo volume, la prima fase è caratterizzata dalla presidenza El’cin e dall’atlanticismo del ministro degli affari esteri Kozyrev che si traduce in una serie di tentativi di integrazione e di cooperazione in alcune sedi internazionali. Nel 1993 la Russia presenta la richiesta di unirsi al General Agreement on Tariffs and Trade (Gatt) ed esprime il proprio interesse a diventare un membro dei G7. La Russia aderisce al Consiglio d’Europa di cui diventa membro nel 1996 e manifesta il desiderio, espresso da una lettera nel 1991 di El’cin, di unirsi alla Nato.
Sul piano interno, l’assistenza economica occidentale – durante il periodo della transizione – è ritenuta insoddisfacente e incomparabile rispetto al Piano Marshall. La crescente povertà e ineguaglianza, che hanno accompagnato la shock therapy, ha generato critiche da parte dei nazionalisti e comunisti russi che incolpano El’cin di aver indebolito la Russia, rendendola subordinata all’Occidente. Una situazione ritenuta dall’opposizione politica incompatibile per una grande potenza e un’identità culturale come quella russa.
Nel frattempo a Kozyrev nel 1998 succede Primakov che cambia la priorità della politica estera, lasciando l’atlanticismo e volgendo lo sguardo verso i paesi dell’area post-sovietica (Csi), il Medio Oriente, l’India e la Cina. Più precisamente, Primakov intravede nel triangolo Russia-Cina-India un’operazione per controbilanciare il potere di Washington attraverso la costruzione di un blocco di un ordine internazionale multipolare in contrapposizione a quello unipolare dominato dagli Usa. Primakov è fermamente contrario all’allargamento della Nato e l’ambizione di rimanere una grande potenza si scontra con la realtà di una grave crisi economica che comporta la richiesta di posticipare i pagamenti ai creditori internazionali.
Inoltre, l’intervento della Nato in Serbia nel 1999 ha determinato la diffusione di sentimenti antioccidentali e antiamericani nella società russa, tuttora presenti. Primakov, comunque, cerca di mantenere buoni rapporti con alcuni paesi occidentali e ottiene due successi nella politica estera: nel 1997 la Russia entra nel G8 e nel maggio 1998 ratifica la convenzione per la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali del Consiglio d’Europa con la conseguenza che anche i cittadini russi possono cercare una protezione nella Corte europea dei diritti umani a Strasburgo.
La terza fase (2000-2012) coincide con la tandemocrazia Putin-Medvedev e un periodo di crescita economica in cui la Russia combatte la guerra al terrorismo con gli Usa, avvia legami economici con l’UE, cerca di posizionarsi come un partner strategico, ma verso la fine del primo mandato di Putin le relazioni cominciano a deteriorarsi. La Russia è, infatti, critica sull’invasione dell’Iraq nel 2003, sull’allargamento della Nato, sulle basi missilistiche. Parimenti, l’Occidente denuncia la virata autoritaria del paese, come gli indicatori della Freedom House rilevano[3]. Queste tensioni si sono intensificate dopo le varie rivoluzioni colorate in alcuni paesi dello spazio post-sovietico che vengono ritenute un’operazione congiunta fra Usa e UE per evitare che la Russia estenda il suo dominio in questi paesi. La possibilità che la Georgia e l’Ucraina possano diventare membri della Nato costituisce una minaccia di sicurezza per la Russia e Putin non perde occasione di ribadire la sua contrarietà a questo progetto, reagendo su tre fronti. Intensifica i suoi sforzi nel consolidare la propria posizione nell’area post-sovietica, intesa come un’area di «interessi privilegiati»; ricorre all’uso energetico nella politica estera; si lancia nella competizione mediale con il nuovo canale in lingua inglese Russia Today.
Con il passaggio delle consegne a Medvedev (2008-2012) che coincide con la presidenza di Barack Obama, vi è il tentativo di «resettare» le relazioni tra i due grandi paesi. La politica del reset e l’atteggiamento di Medvedev sembrano dare inizialmente buoni risultati: avviene la firma del trattato di riduzione degli armamenti strategici nel 2010 e la cooperazione fra Mosca e Washington sulla questione afghana e iraniana. Rimane, tuttavia, il problema dell’esclusione della Russia dal quadro della sicurezza europea.
Con il ritorno di Putin nel 2012 la politica estera si trasforma nuovamente. Dalla fase di competizione a quella della sfida all’Ovest sulla base di alcuni principi e valori che caratterizzano il suo terzo mandato: una maggiore enfasi sulla sovranità, anche per frenare pulsioni nazionaliste interne al paese, una cooperazione «verso l’Eurasia» che si traduca in un’unione euroasiatica, e la priorità di relazioni con l’Asia e la Cina.
Gli avvenimenti accaduti in Ucraina e Crimea nel 2014, con le conseguenti reazioni degli Stati e delle organizzazioni occidentali, hanno alimentato ancora di più una politica estera assertiva e di sfida che ha, come abbiamo già sottolineato, riaperto la questione di una nuova guerra fredda.
D’altronde, gli Stati Uniti, soprattutto con le amministrazioni di Clinton e di Bush, hanno sempre ritenuto che l’attore sfidante l’ordine liberale potesse essere la nuova Federazione russa in virtù di alcune considerazioni. In primo luogo, il grado di percezione della sicurezza che, nel caso americano, risente ancora molto del prisma russo ovvero della sfida bipolare scaturita dalla guerra fredda. In secondo luogo, la Russia ha sempre mantenuto gli indicatori di potenza anche dopo il collasso del sistema sovietico: è il paese più vasto del mondo, ha un arsenale nucleare e una capacità militare ancora molto forte, può contare sulle risorse energetiche come il gas naturale e il petrolio e un’alta densità della popolazione. La Russia è sempre stata percepita, anche nel contesto unipolare, come il principale paese capace di attaccare e distruggere gli Stati Uniti.
I rapporti fra Usa e Russia sono stati, quindi, caratterizzati da fasi cicliche di cooperazione e competizione in cui al rafforzamento dell’influenza americana nei territori considerati strategici e vitali per la Federazione russa – alimentando i timori di Putin di una minaccia alla sicurezza del proprio paese [Natalizia e Valigi 2020] – vi è stata una reazione russa molto più assertiva e determinata a partire dal 2014.
La Russia non ha accettato il progetto di promozione della democrazia americana che ha costituito l’agenda prioritaria delle amministrazioni statunitensi nei Balcani occidentali, nell’Europa centrale e orientale e nel Medio Oriente.
Richiamandosi alla «dottrina Primakov» che prevedeva il ritorno della Russia a una potenza globale al pari degli Usa, dell’UE e della Cina per frenare l’ambizione unipolare americana, Putin attua un piano per ampliare la natura euroasiatica del paese con l’istituzione dell’Unione doganale euroasiatica, lo Spazio economico comune, l’Unione economica euroasiatica e l’Organizzazione per la sicurezza collettiva di mutua difesa simile alla Nato.
L’annessione della Crimea nel 2014 e il sostegno ai separatisti in Ucraina sono il segnale di una politica estera russa di sfida nei confronti dell’Ovest. Più precisamente, a partire dal 2014 la Russia attua un approccio realista nella politica internazionale, che ribadisce la centralità dello Stato, dei suoi valori e della sua autorità centrale, con una politica estera del tutto autonoma da quella interna, basata su una scala di priorità di interventi dopo un’attenta analisi dei costi e benefici.
È un approccio che risente indubbiamente della tradizione storica e culturale dello Stato forte per evitare derive anarchiche e difendersi dall’ambiente esterno.
Nell’attuale assetto internazionale la Russia ha compiuto un’operazione strategica di elevato profilo, ponendosi come perno di alleanze fra l’Iran e la Turchia, paesi tra loro antagonisti, inserendosi come mediatore indiscusso nel conflitto siriano e, ancor di più, avviando una collaborazione con la Cina.
Con quest’ultima la Russia può cogliere l’opportunità strategica di disegnare un nuovo sistema fondato sull’egemonia politica ed economico-finanziaria, approfittando degli errori e degli spazi lasciati dagli Usa e dall’UE.
L’UE e gli Usa non hanno, infatti, colto le potenzialità e l’essenza culturale, politica e strategica dell’identità euroasiatica. L’UE sta affrontando una delle sue crisi istituzionali più gravi dopo la bocciatura francese al referendum sulla Costituzione europea e non ha compreso che alcuni territori post-sovietici, in primis l’Ucraina, avrebbero avuto bisogno di maggior tempo per affrontare la propria frammentazione politica interna (Ucraina del Nord pro Europa vs Ucraina del Sud pro Russia), le proprie divisioni identitarie prima di essere oggetto di accordi di associazione.
Gli Stati Uniti, ponendosi come nazione indispensabile per i processi di democratizzazione nel mondo, hanno attuato una politica di disimpegno in Siria, lasciando spazi di manovra alla Russia e hanno commesso l’errore di invadere l’Iraq, gettando le basi per l’espansione di Al-Quaeda e le premesse dell’Isis.
Come efficacemente raffigurato dall’immagine della collisione del Titanic nel 1912 [Parsi 2018], l’ordine globale neoliberale, che ha sostituito negli anni Ottanta l’ordine liberale, rischia di scontrarsi con un iceberg che ha cristallizzato, soprattutto in quest’ultimo decennio, una contrapposizione ideologica, valoriale e politica: regimi liberali vs regimi illiberali.
In un’intervista rilasciata al «Financial Times» nel giugno 2019, Putin ha affermato che «l’idea liberale oggi ha esaurito il suo compito» e che gli errori commessi dai leader occidentali hanno determinato un mondo meno equo, più insicuro, favorendo l’insorgere di sovranismi e di populismi che sono il megafono della «frattura tra il popolo e la classe dirigente». Egli sostiene, pertanto, che la necessità di regole a cui attenersi, in ambito domestico e in ambito internazionale, sia la direzione da perseguire per garantire quella stabilità che solo i regimi illiberali sanno esprimere.
Merita, pertanto, in sede conclusiva, fare una breve precisazione su come definire il regime politico russo. Molte sono le classificazioni, le definizioni, le etichette utilizzate per descrivere i regimi politici, nati dopo le diverse ondate di democratizzazione, che hanno acceso un vigoroso dibattito scientifico-accademico: regime ibrido, democrazie parziali, democrazie elettorali, democrazia sovrana, democrazie illiberali, semiautoritari, autoritarismi elettorali, ecc.[4]
Questa proliferazione deriva dalle diverse dimensioni analitiche che sono state utilizzate. Molto sovente si ricorre, infatti, all’utilizzo di dati quantitativi e di strumenti statistici – Freedom House, Economist Unit, Polity IV – che non consentono di acquisire informazioni che possono individuare le reali caratteristiche di un regime politico.
Inoltre, l’aspetto procedurale della democrazia – la competizione politica – ha prevalso su altre dimensioni di analisi, generando la convinzione che laddove esistano elezioni si riscontrano regimi democratici. Si definisce, impropriamente, la Russia – soprattutto nei mass media – come una democrazia elettorale o illiberale. Seguendo l’impostazione metodologica del padre della scienza politica italiana, Giovanni Sartori [1969], i regimi politici si dividono in democratici e non democratici, non contemplando, quindi, la possibilità di un regime intermedio. Questo consente di escludere nel dibattito scientifico termini quali regime ibrido, semiautoritarismi. Non solo, qualsiasi definizione di democrazia non poggia solo ed esclusivamente sulla dinamica elettorale: le elezioni sono state utilizzate in passato anche dai regimi totalitari come strumento di legittimità del sistema.
È corretto, quindi, inserire la Russia nella categoria dei regimi non democratici sia per il fallimento del suo processo di democratizzazione sia per la mancanza di condizioni minime dei regimi democratici (pluralismo d’informazione, pluralismo partitico, elezioni libere e segrete, rule of law, diritti civili e politici). Il passo successivo, che è stato anche l’obiettivo del presente lavoro, è quello di fornire una thick description delle peculiarità istituzionali, culturali, sociali ed economiche della Russia per poterla correttamente definire e analizzare[5]. Posto che il termine democrazia illiberale costituisce di per sé un ossimoro concettuale e metodologico, indubbiamente i regimi politici come quello russo sono in contrapposizione ai regimi liberaldemocratici rappresentativi.
Fatta questa precisazione, si può procedere, infine, all’analisi delle principali sfide domestiche che Putin deve affrontare nei prossimi mesi. La prima riguarda una naturale stanchezza dell’elettorato nei suoi confronti dopo vent’anni al potere, anche se non c’è un chiaro contesto di opposizione politica sia all’interno della società sia nell’élite. La seconda sfida è quella di «rendere qualcosa di vecchio, nuovo di nuovo» [Sakwa 2020] ovvero offrire un nuovo orizzonte di sviluppo politico, economico e sociale per la Russia nei prossimi decenni e ridefinire l’agenda politica (l’aumento degli stipendi nel settore del pubblico impiego, investire nel welfare e modernizzare il paese).
Ai russi poco importa la concentrazione di potere in un unico organo istituzionale. Interessa che la propria condizione economica migliori o non subisca brusche frenate. Chi è capace di garantire stabilità economica, può contare sul sostegno dell’elettorato. Questo atteggiamento rende, infatti, più difficile a qualsiasi oppositore del sistema ottenere la fiducia dell’elettorato e ambire a una sostituzione al vertice delle istituzioni.
Con l’effetto sorpresa che contraddistingue lo stile politico del presidente Putin, la notizia delle dimissioni del governo Medvedev nel gennaio 2020 e l’annuncio di un piano di riforme costituzionali hanno determinato il calo del rublo nei mercati finanziari e alimentato il dibattito politico interno sul «problema» della successione presidenziale nel 2024.
Entriamo nel dettaglio della proposta costituzionale. Il piano di riforme prevede che il presidente rimarrà in carica solo due mandati (anche non consecutivi) e il parlamento ha più voce in capitolo sulla scelta del primo ministro e di alcuni ministri (eccetto quelli del blocco di potere). Trasferire tale scelta alla Duma, dove il partito Russia unita è sempre stato il braccio operativo del presidente, potrebbe indurre gli analisti a ritenere che Putin intenda, nuovamente, proporsi come primo ministro alle prossime elezioni parlamentari nel settembre 2021. Si tratterebbe di riconfermare la tandemocrazia ovvero l’esecutivo bicefalo di Medvedev-Putin, messo in atto nel 2008. Una prima lettura della riforma ha comportato l’affermazione che un maggiore potere del parlamento favorisce una migliore separazione dei poteri rispetto alla concentrazione delle prerogative presidenziali esistenti. In realtà, anche in questo caso i poteri del presidente aumentano in virtù della possibilità di nomina dei procuratori regionali, delle municipalità che diventano subordinate alle autorità regionali e federali e del Cdf che può dimettere i giudici federali su richiesta del presidente.
Un altro aspetto interessante è che il Consiglio di Stato, i capi delle corporazioni e delle banche ricevono uno status costituzionale. La struttura e le funzioni del Consiglio di Stato sono rimandate a una futura legislazione, ma Putin ha immediatamente nominato Medvedev alla vicepresidenza di questo organo. La maggior parte degli analisti ritiene che Putin miri a diventare presidente del Consiglio di Stato e da quella posizione apicale continuare a proporsi come il batjuška [Piretto 2019], il caro padre della nazione (come il Nusultan Nazarbaev, ex presidente del Kazakistan).
Rispetto alla possibilità di contestazione pubblica, delle attività di opposizione nel paese, il testo prevede che alle autorità federali sarà concesso escludere dagli uffici pubblici coloro i quali negli ultimi venticinque anni hanno avuto una residenza temporanea all’estero o una seconda cittadinanza. Questa scelta presuppone l’impossibilità per alcuni personaggi, come Navalny o Chodorkovskij e altri oligarchi che hanno trascorso un periodo o vivono all’estero, di candidarsi al ruolo presidenziale.
L’aspetto più preoccupante e che viene considerato come una vera e propria rivoluzione legale riguarda le fonti gerarchiche. Si prevede che il diritto pubblico federale della Russia prevarrà su quello internazionale, evitando, quindi, di applicare le decisioni, ad esempio, della Corte europea dei diritti umani.
Il testo complessivo della riforma è già stato approvato, in pochi minuti, alla prima lettura anche con il voto delle opposizioni.
Tra le principali reazioni vi sono state quelle di Navalny che ritiene pessima la modifica proposta, ma si aspetta cambiamenti più profondi nel testo della seconda lettura. In queste settimane Navalny ha preferito continuare la sua azione di denuncia di corruzione nei confronti di Medvedev e dell’attuale primo ministro Mišustin a cui contesta possedimenti terrieri e abitazioni, elevati stili di vita, non riconducibili al mero stipendio del ruolo che ricoprono.
Circa 22.000 persone hanno, invece, firmato una petizione contro il «golpe costituzionale» che ha tra i principali promotori i liberali di Jabloko.
In un secondo pacchetto di emendamenti alla Costituzione che devono essere ancora approvati, si specifica che la Costituzione definirà gli obiettivi del Consiglio di sicurezza e dell’amministrazione presidenziale. Il Consiglio di sicurezza assisterà il presidente nella difesa degli interessi nazionali, della sovranità e dell’integrità statale e lo scopo dell’amministrazione presidenziale sarà quello di assicurare che il capo dello Stato possa esercitare i poteri.
Un altro articolo prevede l’inserimento dell’immunità presidenziale, ma la principale innovazione è nel sesto capitolo della Costituzione che riguarda il parlamento. Dopo la terza votazione di sfiducia del parlamento per la nomina del primo ministro, il presidente non sarà più obbligato a sciogliere automaticamente la Duma, ma può averne la facoltà. Il primo ministro sarà «personalmente responsabile» verso il presidente per il lavoro svolto nel governo.
Ancora una volta, Putin ha sorpreso, generato confusione nel suo entourage per preservare il proprio potere, dimostrare chi detta la linea politica e strategica e disorientare eventuali oppositori interni. Putin ha anticipato le mosse di eventuali avversari nel Cremlino attraverso un’operazione di ingegneria costituzionale coerente con il suo principale criterio guida – la dittatura della legge – all’insegna del «tutto cambia perché nulla cambi».
Al momento diversi scenari sono possibili e tutte le opzioni sono sul tavolo. C’è chi ritiene che Putin sarà a capo del Consiglio di Stato, Medvedev sarà eletto nuovamente presidente della Federazione e Mišustin continuerà nel ruolo di primo ministro.
Dall’annuncio del pacchetto di riforme avvenuto il 15 gennaio 2020 con le conseguenti dimissioni di Medvedev, annunciate con il pretesto di consentire il percorso indirizzato dal presidente e la veloce nomina del governo di Mišustin – che consta dei cinque ministri fedeli a Putin e di persone legate da amicizia o da esperienze lavorative con il nuovo primo ministro – si è aperta la sfida della successione.
È un progetto che prevede una strategia di breve periodo, collegata al ciclo elettorale 2021-2024 (elezioni parlamentari del 2021 e presidenziali del 2024) e una di lungo periodo, nella quale la modernizzazione del paese, tanto auspicata e annunciata, e la situazione economica del paese, costituiscono la massima priorità.
Non è un caso, infatti, che oltre alla proposta di riforma costituzionale per la quale c’è un gruppo di lavoro che sta apportando modifiche da sottoporre a referendum popolare nel mese di aprile, nel suo discorso annuale Putin ha espresso la volontà di attivare riforme mirate nell’ambito delle politiche di welfare e del lavoro per contrastare il calo demografico, la stagnazione economica e i livelli di povertà, situazioni che hanno determinato recentemente un calo nei rating di fiducia nei confronti del presidente Putin che al 1o gennaio 2020 si attesta al 68% (rispetto al 38% di Medvedev)[6].
Le inchieste sociologiche condotte dal Levada Center nelle settimane successive alla proposta di riforma costituzionale hanno evidenziato che il 30% degli intervistati non ritiene che la Costituzione giochi un ruolo importante nella vita dei cittadini, mentre il 27% ritiene che la Costituzione sia uno strumento che garantisce i diritti civili e le libertà, il 24% pensa che la Costituzione consenta di mantenere ordine nelle attività dello Stato, il 15% che sia un mezzo del presidente per controllare la Duma e un 4% non sa rispondere.
In merito alla necessità di questa riforma, il 47% dei rispondenti ritiene che la proposta costituzionale serva a Putin per espandere i propri poteri e rimanere anche dopo il 2024, il 44% per migliorare il funzionamento dello Stato nell’interesse della maggioranza della popolazione.
In particolare, le domande esplorano anche il livello di soddisfazione nei confronti dell’operato di governo che è per il 38% degli intervistati un giudizio negativo per l’incapacità di affrontare la situazione economica. Inoltre, ben l’85% del campione non aveva mai sentito parlare del nuovo primo ministro.
Interessante è la domanda «in quale ruolo immaginate Putin dopo il 2024?». Il 27% degli intervistati risponde che Putin continuerà a fare il presidente, il 25% pensa che diventerà un pensionato o un cittadino, l’11% che ritornerà primo ministro, il 9% lo vede come leader di Russia unita e solamente il 7% non lo immagina senza un ruolo pubblico[7].
Indipendentemente dal futuro di Putin, il quadro che è emerso dall’analisi del regime politico russo è che vi sono tutti i presupposti istituzionali, culturali e socioeconomici per i quali il «putinismo», come sistema di potere, sopravviverà anche al suo creatore.
[1] «New York Times», 26 dicembre 1991, www.nytimes.com/ 1991/12/26/world/end-soviet-union-text-bush-s-address-nation-gorbachev-s-resignation.html, rilevazione del 15 gennaio 2020.
[2] «New York Times», 29 gennaio 1992, www.nytimes.com/1992/ 01/29/us/state-uniontranscript-president-bush-s-address-state-union.html?pagewanted=all, rilevazione del 15 gennaio 2020.
[3] Si veda il sito di freedomhouse.org dove sino al 2004 la Russia era definita una democrazia elettorale per poi passare a un regime autoritario.
[4] Per una trattazione del tema e della discussione accademica rimando a Morini [2012] e Colton [2018]. Per i cambiamenti che avvengono nei regimi non democratici si segnalano Cassani e Tomini [2018].
[5] Interessante la prospettiva di studio che indaga la politica estera russa partendo dalla nozione di «Petrostato» in riferimento all’uso dell’«arma del petrolio» [Goldman 2008] come un elemento di maggiore aggressività nelle relazioni internazionali.
[6] Cfr. http://www.levada.ru/en/, rilevazione del 31 gennaio 2020.
[7] Cfr. http://www.levada.ru/2020/01/31/konstitutsiya/ e https://www.levada.ru/en/2014/12/23/russian-citizens-on-the-constitution/, rilevazioni del 15 febbraio 2020.