giovedì 14 aprile 2022

SOTTO GLI OCCHI DELL'AGNELLO Roberto Calasso


 

 SOTTO GLI OCCHI DELL'AGNELLO 

Roberto Calasso 


PREGHIERA di Camillo Langone 

Il Foglio 14 APR 2022

Alla fine Calasso si era convinto: Gesù è il migliore

Buddha, Lao Tzu, Zeus, Siva, Brahma, Visnù, Iahvè, Allah, nella rapidissima disamina delle divinità che costituisce l’incipit di "Sotto gli occhi dell'Agnello", risultano variamente inadeguati. Una molto pasquale interrogazione sulla bianca salvifica figura.

“Gesù è il migliore” scrive Roberto Calasso in “Sotto gli occhi dell’Agnello” (Adelphi). Che pertanto non era uno gnostico turistico alla René Guénon (tutte le tradizioni religiose si equivalgono, la verità è una, viva l’India, eccetera). Poco prima di morire, e forse anche molto prima di morire, Calasso si era convinto della differenza, altro che equivalenza. Della differenza ma purtroppo non della sufficienza: “Gesù è il migliore, anche se molto gli manca”. Buddha, Lao Tzu, Zeus, Siva, Brahma, Visnù, Iahvè, Allah, nella rapidissima disamina delle divinità che costituisce l’incipit, risultano variamente inadeguati. Meglio l’Agnello, per quanto difficile da comprendere. “Sotto gli occhi dell’Agnello” è un’affascinante e molto pasquale interrogazione sulla bianca salvifica figura, fra Vangelo, Apocalisse e storia dell’arte (lo stranissimo Polittico di Gand dipinto dai fratelli van Eyck). La risposta nel libro non c’è o almeno io non l’ho trovata perché Calasso è pur sempre un esoterico, un enigmatico (salvo che a pagina 64 dove cosa pensa degli ambientalisti climatisti lo fa capire benissimo). O magari consiste proprio in quel “Gesù è il migliore…”, affermazione un po’ parziale ma che va tesaurizzata. Comunque Gesù è il migliore. E sono le ultime parole dell’ultimo gnostico



SOTTO GLI OCCHI DELL’AGNELLO


[11] Gesù è il migliore, anche se molto gli manca; Buddha è il grande tecnico, che non risolve; Lao Tzu scompare e non è sicuro che si riveda; Zeus regna, finché non appare un «figlio più forte di lui» che prenderà il suo posto; Śiva è il processo di ciò che accade e si duplica in Kṛṣṇa, quindi in Viṣṇu, e in Brahmā; Iahvè è l’unico a pensare che l’esistenza sia un peccatum, da riscattare un giorno; Allah ha molti pregiudizi; l’uomo secolare non sa che cosa pensare.




[12] Tutto comincia con l’Agnello dell’altare di Gand. È il primo essere adorato, integro, candido. Ed è il primo essere che viene ucciso. Nessuno ha detto perché.




[14] L’Agnello è già ferito. Il sangue sgorga dal suo petto in una coppa che poggia su un panno bianco, e il panno bianco copre un cassone. Che cosa c’è dentro il cassone? Chi ha ferito l’Agnello? Nessuno lo ha detto.




[15] Prefigurare è diverso che attuare. Affondare una lama in un corpo è diverso dal dire che un giorno qualcuno affonderà una lama in quel corpo.




[16] Chi viene crocifisso non muore perché trafitto da una lama, ma per la positura, comune a quella di altri condannati, e per altre ferite minori.

L’Agnello invece viene trafitto nel pieno del corpo e lo ignora, con i suoi occhi così distanti come quelli di nessun altro essere.




[17] Il sangue dell’Agnello sgorga da una ferita più simile a quella di una pallottola che a quella di una lama e viene interamente accolto in una coppa. Difficile pensare un’arma che in tempi remoti abbia prodotto quella ferita.




[18] Immane divergenza fra prefigurazione e attuazione. Prefigurazione significa che tutta la storia futura è già decisa. Ma la prefigurazione nasconde un punto dove si compie una attuazione: l’arma che trafigge l’Agnello.




[19] Anche se nessuno può pretendere di decifrare i disegni di Iahvè, si può anche supporre che Iahvè abbia eletto Abele perché Abele aveva capito come era stato fatto il mondo, perché aveva visto che già «prima della costituzione del mondo» era riconoscibile un agnello inciso da una ferita e sanguinante, come l’Apocalisse ripete per quattro volte, e che quell’agnello sarebbe stato una presenza perenne nel mondo e il suo sangue sarebbe servito a riscattare parzialmente e temporaneamente gli Ebrei, come accadde con la fuga dall’Egitto, finché un giorno sarebbe riapparso davanti agli occhi di Giovanni Battista nella figura di Gesù e questa volta il suo sangue avrebbe riscattato tutti per sempre.

Abele dunque avrebbe capito che quella era la successione inevitabile degli eventi. Anche a lui sarebbe toccato di sgozzare un agnello fra i «primi nati del suo armento», rendendolo simile all’agnello primordiale. La sua vita era solo un episodio nella successione che sarebbe passata anche dall’agnello di Isaia, che è «afono» e «non apre [20] la bocca» mentre viene tosato prima di essere condotto al macello, e si sarebbe conclusa in Gesù. Dall’animale muto per il terrore si giungeva al Logos, alla Parola vivente. Era questa la storia sacra.




[21] Simone Weil: «L’Agnello è in qualche modo sgozzato in cielo prima di esserlo sulla terra. Chi lo sgozza?». È la domanda ultima della cristianità – e non ha trovato risposta.




[22] L’Agnello non ha soltanto una ferita circolare, ma un’altra, vicina, da cui il sangue si riversa nella coppa. Molte gocce schizzano dalla coppa. Alcune scivolano sul ventre dell’Agnello e ricadono in una piccola pozza sul panno bianco.




[23] Abele si accorse che il principio di tutto era l’uccisione di un agnello. Perciò la sua offerta sacrificale, che era una ripetizione, la prima ripetizione. E Gesù? Era ancora lontano.




[24] Il riscatto operato da Gesù è unico e ultimo, ma è stato preceduto da altri, parziali e provvisori, sin dall’inizio dei tempi, operati dal sangue di un animale: l’agnello divino, agnus Dei. Ogni volta, agli uomini era concesso, per qualche tempo, un senso di liberazione, senza impedimenti, ma presto tornavano alla condizione di ostaggi in attesa di riscatto, nuovamente in attesa del sangue dell’agnello divino.




[25] Nel Polittico di Gand le teste di Adamo e di Eva sono sormontate da nicchie con l’uccisione di Abele. È il loro primo pensiero. Seguirà la storia.




[26] L’Agnello viene ucciso per mano ignota. Gesù viene condannato dagli uomini. Gesù salva gli uomini. L’Agnello tace.







[28] Totale indifferenza negli occhi dell’Agnello. Non sa che il suo sangue sta sgorgando o non vuole saperlo. Ignora il circostante.




[29] L’Apocalisse, antitetica a ogni parola di Gesù, ha finito per essere la conclusione del Nuovo Testamento, così sfigurandolo. Qui non si parla di uomini riscattati o salvati, ma di «schiavi». Sono tutti schiavi, anche i profeti.

Unica figura inavvicinabile e sovrana fra i mostri distruttori è l’Agnello da cui sgorga il sangue.




[30] L’Apocalisse è la vendetta sui Vangeli. Coloro che si erano sentiti riscattati e mescolati ad altri popoli vengono ora travolti da una «guerra nel cielo». Gli abitanti della terra vengono inghiottiti dalle sciagure. Altri riappaiono. Delle figure celesti, l’unica che rimane illesa, ed è già ferita, è l’Agnello, presenza ricorrente.




[31] Giovanni Battista non poteva essere più rapido, quando incontrò Gesù: il mondo è gravato da un peccatum e occorre un agnello per eliminarlo. Come? Lasciandosi uccidere. Ma questo Giovanni non disse.




[32] L’Agnello additato da Giovanni Battista in Gesù erompe nell’Apocalisse. Passano i secoli e riappare, intatto, nel Polittico di Gand. Ora non ha più intorno un groviglio di mostri che si alternano nelle distruzioni. Ora tutti convergono verso di lui per venerarlo. Si odono solo gli angeli musicanti. Nessuno indica la ferita nell’Agnello, il foro da cui continua a sgorgare e schizzare il sangue.




[33] L’altare, simile ai cassoni fiorentini dipinti dell’epoca, ha due paramenti che fanno pensare a sportelli, desumibili dall’ombra gettata dal loro rilievo. Due angeli con aspersori sembrano coprire le loro serrature, come stessero per aprirle e accogliere ciò che celano. Di cui nessuno finora ha parlato.




[34] L’Agnello per la prima volta venne nominato da Giovanni Battista quando vide Gesù che camminava verso di lui: «Ecce agnus Dei qui tollit peccatum mundi». Parole che dicono l’essenziale. Ma che cosa accadde fra quel momento e l’Apocalisse? Sappiamo solo che, un altro giorno, Giovanni Battista si trovava con due suoi discepoli e, osservando Gesù che camminava, sentì il bisogno di ripetere: «Ecce agnus Dei». Nulla di più. I due seguirono Gesù. Il quale non li conosceva. Si voltò e disse: «Che cosa volete?».




[35] Come apparve l’Agnello? Al centro di un trono, fra quattro animali: «Agnum stantem tamquam occisum» – perché «tamquam», «come», mai più ripetuto? Quel come lascia il dubbio sull’atto compiuto. Ma l’Apocalisse ignora i dubbi.




[36] Quale fu il primo gesto dell’Agnello? Aprire un libro. Intorno a lui cantavano che era degno di aprire il libro «quoniam occisus es et redemisti nos Deo in sanguine tuo», «poiché sei stato ucciso e ci hai riscattato per Dio con il tuo sangue». Nessun «tamquam», qui. L’Agnello è stato ucciso e solo quel sangue versato ha redento ogni «tribù, lingua, popolo, nazione». Nulla di meno dell’opera di Gesù. Ma chi era venuto prima? Chi era il modello?




[37] Ci fu silenzio per mezz’ora prima che l’Agnello aprisse il settimo sigillo. Si aprì allora la via verso «le acque delle fonti della vita». Per chi vi arriverà, «Dio cancellerà ogni lacrima dai loro occhi». Fu l’unico silenzio cosmico.




[38] C’era una guerra nei cieli, mostri devastatori contro altri mostri devastatori. Davanti a una bestia simile a una pantera con piedi d’orso e fauci di leone si prosternarono tutti gli abitanti della terra, ma erano quelli «il cui nome non è iscritto sin dalla costituzione del mondo nel libro di vita dell’Agnello sgozzato». Solo gli altri si salvarono. Non si sa quanti erano. Forse centoquarantaquattromila.




[39] E venne il momento delle nozze dell’Agnello. «Magnifici» erano gli invitati a quella cena. Si aspettava la sposa. Come un vasto e prezioso giocattolo, quadrato, dalle dodici porte, scese dal cielo «la nuova Gerusalemme... pronta come una sposa ornata per il suo uomo». Ma nella città non vi era un tempio, «perché il suo tempio è il Signore Dio onnipotente e l’Agnello». Tanta è la potenza dell’Agnello che sarà anche la lampada che illumina la nuova città. Dove non occorreranno sole o luna. Così come non ci sarà notte. Gli abitanti saranno quelli «iscritti nel libro di vita dell’Agnello».




[40] Quando appare fra le figure celesti, l’Agnello non è più «tamquam occisus», «come se fosse stato ucciso», ma «quoniam occisus», «perché è stato ucciso».




[41] L’Apocalisse fu accolta nel canone durante il quarto secolo, soprattutto per l’approvazione del vescovo Atanasio di Alessandria. Nessuna voce altrettanto autorevole si oppose. Da allora il Nuovo Testamento si chiuse non come voce della mitezza, ma come annuncio di qualcosa di ignoto, dominato dal fatto di essere nuovo.




[42] La parola di Gesù era sporadica, improvvisa, non creava una continuità, un tessuto, una argomentazione. Difficile era costruire su questo l’assetto di una comunità.




[43] Che cosa rimane dopo l’Apocalisse? Vari mondi frantumati e ostili. Ciascuno vuole il suo novum e non lo ottiene. All’origine c’è una mezz’ora di silenzio dimenticata da tutti.




[44] Come chiamare l’autore dell’Apocalisse? Non ha titolo, certamente non è l’Apostolo Giovanni o un suo parente, non è un profeta. Forse un estatico, categoria sempre sospetta. Ciononostante non pochi lo definiscono come il «Veggente». Veggente può essere sempre chiunque.




[45] All’inizio, l’Apocalisse si rivolge a sette comunità cristiane dell’Asia, per lodarle e biasimarle. Tutto molto simile a Paolo. Ma la prima differenza è la lingua. Vibrante in Paolo, in ogni parola, punta al pensiero più che a ogni altra incombenza. Nell’Apocalisse, invece, la lingua è legnosa, grezza. Difficile distinguere fra una comunità e l’altra. Perché questo incipit, che nulla ha di cosmico?




[46] Le lettere circolari, già di scarso interesse in sé e non equiparabili al fuoco di Paolo, furono scritte nel primo secolo, salvo alcuni falsi del terzo. Tanto basta a separarle con un muro di silenzio dal quarto secolo, quando fu composto il testo dell’Apocalisse.




[47] L’Apocalisse è l’autodistruzione del cristianesimo.




[48] L’Apocalisse si conclude con la consummatio. La terra non c’è più, ma «caelum novum et terram novam». Nessuno sa che cosa sono. Di quello, da allora, viviamo. Dal cielo scende «la città santa, la nuova Gerusalemme», pronta alle nozze con l’Agnello di Dio, che promette la promessa massima: «Mors ultra non erit», «non ci sarà più la morte». La Gerusalemme Celeste è quadrata con dodici porte. Non ha nessun tempio, all’interno. Il tempio è «Dio onnipotente e l’Agnello». C’è sempre luce.




[49] Il genere dell’Apocalisse ebbe fortuna sin dal primo secolo. C’erano le Apocalissi giudaiche, ma non avevano la forza di pronunciare il novum, perché mancava il Messia.




[50] Come mai l’Apocalisse sentiva il bisogno di far crescere un novum sulla terra abolita? Non bastava che Gesù avesse riscattato gli uomini, tutti gli uomini? Ma l’Agnello di Dio continuava a sanguinare.




[51] Alla fine rimase l’Agnello. Poggiava su un altare coperto da un panno bianco. Continuava a sgorgare sangue in una coppa, da cui schizzavano gocce. Guardava fisso davanti, con occhi distanti e impenetrabili. Vari cortei gli si avvicinavano. Era la terra nuova o la terra di sempre? Quel verde, in vari gradi, lo conoscevano. Ma che cosa cercavano dall’Agnello che già non avevano cercato da Gesù?




[52] Che i centoquarantaquattromila eletti fossero «schiavi» viene confermato dal fatto che dovranno essere marcati a fuoco con il sigillo. Così accadeva sempre con il bestiame.




[53] Il nome di Gesù viene nominato una sola volta, alla fine dell’Apocalisse. Per il resto, chi opera sono Dio e l’Agnello, mediati dal Veggente. L’Agnello ha bisogno solo di un corso d’acqua, che gli scorre davanti. Così è nel Polittico di Gand.




[54] Lutero aveva ben capito il pericolo dell’Apocalisse. Così ne scriveva: «Il mio spirito non si adatta a questo libro. Per me è sufficiente motivo che in queste pagine non si insegna né si conosce Cristo in modo chiaro e limpido». Ma in seguito cambiò posizione: l’Apocalisse poteva essere «utile» per raggiungere la «vittoria finale». Calvino commentò tutti i libri del Nuovo Testamento eccetto l’Apocalisse.




[55] L’Agnello è trionfante e ucciso. Per altri esseri divini bastava essere trionfanti. Ma Iahvè ha voluto che l’Agnello venisse anche ucciso. Altrimenti la macchina del mondo non si sarebbe messa in moto.




[56] Chi sono quelli che si avvicinano in corteo all’Agnello? Una parte dei centoquarantaquattromila salvati? Si presentano come borghesi, abbienti. Molti con un libro in mano. Non sono belli, i volti sono lavorati dalla vita, deformati.




[57] Quando entriamo in una chiesa cattolica o protestante di oggi, siamo sicuri di non trovare novam terram. Al contrario una terra antica, sfigurata. Ora è molle, invitante e utile. Tutto andrà a posto, certamente riguardo alla morte. I detti del Vangelo risuonano ogni tanto, per mostrare che sussiste qualche parola sconcertante. Ma non opera.




[58] Max Friedländer, capitale studioso della pittura fiamminga, si dedicò con puntiglio a distinguere tra i fratelli van Eyck, ma non disse una parola sull’oggetto del Polittico di Gand. Era come se la cristianità fosse un tema ovvio e risaputo.




[59] Che cosa si trovava dentro la Gerusalemme Celeste? Non il mare, primo nemico di Iahvè. Non c’era un tempio, il Signore e l’Agnello erano il tempio. Non c’erano sole né luna. Per la luce, bastava l’Agnello che era anche la lampada. Le porte erano sempre aperte. Non c’era più la notte.




[60] Gesù muore dopo una lunga vicenda narrata nell’Antico e nel Nuovo Testamento. L’Agnello viene ucciso all’inizio di tutto con un’arma a punta che gli apre un foro nel petto, da cui continua a sgorgare sangue. Alla fine aspetta la sua sposa, la Gerusalemme Celeste, un edificio che nessuno ha mai visto. Sono le nozze fra un animale morto e un luogo ignoto.




[61] Agli uomini secolari viene offerto un fascio di possibilità religiose. Tutte fragili. E l’uomo secolare vuole qualcosa che sia tutto suo. Ci sono varie vie. La più avvincente è il denaro. Ma anche questo non è risolutivo. Quando è molto, obbliga a disfarsene in notevole parte, generalmente per sentirsi buoni. Il denaro diventa una promozione per se stessi. Spesso è dedicato a fenomeni cosmici, come il mutamento climatico, che sopravanzano di gran lunga il possibile effetto del denaro di un singolo. Rimane solo l’impressione di essere buoni.




[62] Il sangue di Gesù scorre solo dopo la sua morte, quando un soldato lo ferisce sul fianco con la lancia. Prima, l’aceto era stato portato alla sua bocca.




[63] Il termine theríon compare trentotto volte nell’Apocalisse. Designa gli esseri mostruosi che vi appaiono e li distingue dagli zôa, gli animali comuni.

Theríon è il Grande Predatore, il primo che ha minacciato l’uomo, il primo che l’uomo ha imitato. Se riaffiora dalla terra, si torna vicini all’origine – o alla fine.




[64] Dopo l’Apocalisse la cristianità, quasi per nasconderne il carattere nefasto, fiorì come un terreno rigoglioso e avvolgente, grazie alla liturgia. Ogni momento della vita veniva accolto e spiegato. Il richiamo ai Vangeli era sempre più debole e remoto. La Chiesa era un partito che si ramificava ovunque. Passarono alcuni secoli e la cristianità divenne un complemento della vita borghese. E così è rimasta, quasi estinta.




[65] Che l’Apocalisse fosse un libro di vendetta era apparso già dai tempi di Aimone di Halberstadt e Berengaudo. Poi, la questione era sempre riaffiorata sino agli esegeti di oggi. Ma nessuno parlava del nesso sconvolgente fra la distruzione di un mondo in cui si era sviluppata la storia sacra, inclusa la storia di Gesù, e un mondo di cui tutto si ignorava, salvo l’Agnello.




[66] Se l’Agnello sostituisce Gesù, a una sequenza di storie si sostituisce un atto: l’uccisione. Le storie si allontanano, si disperdono, si affievoliscono. L’atto rimane identico.




[67] Ma dov’è Gand? Sul retro del polittico è dipinta una Annunciazione, e un libro. Non può essere che così. È l’ultimo momento, dopo l’Agnello degli inizi, in cui lo Spirito ha bisogno di un oggetto in cui mostrarsi. E il resto della terra? Dietro la Vergine si vedono cinque finestre incurvate, al centro la scansia di un bagno. Le finestre si aprono su una città vuota. Non chiede di essere né antica, né nuova. Sta lì in attesa del passo di un uomo. Non sappiamo che cosa penserà.




[68] La degenerazione del linguaggio è il primo segno della degenerazione del tutto. Nulla lo mostra meglio dell’Apocalisse e se ne accorsero, sconcertati, studiosi come Benson fin dall’inizio del Novecento. La lingua dell’Apocalisse è un’offesa al greco, perciò al passato. Questo guasto irreparabile è il primo segno del novum. Ma l’Apocalisse va più in là. Maledice chi toccherà anche una sola sillaba di questo testo che ignora la grammatica. È come se il mondo dovesse fissarsi una volta per tutte in un’immagine che non è l’antico, se non deformato in qualcosa di nuovo ed errato.




[69] L’Agnello viene nominato continuamente, il Cristo mai. Gesù solo alla fine. L’Agnello non ha bisogno della storia sacra. Combatte le sue feroci battaglie, che preludono alla fine, quando tutto sarà novum.




[70] Perfino certi esegeti, come Bauckham, riconoscono che «cosa l’Agnello abbia vinto non viene detto». Che questo «oggetto di vittoria» sia «indefinito» fa pensare che sia «illimitato». Ma in quale misura sarebbe allora superiore al Cristo?

[71] Nella nicchia sopra la testa di Eva si vede Caino che uccide Abele. Nella nicchia sopra la testa di Adamo si vede Abele che sceglie il suo animale sacrificale. L’uccisione, la scelta: questa partizione rimarrà sempre, fra i due avi. Si aggiunge il frutto offerto da Eva: bulboso, non attraente, un citrus che non si trova in natura.




[72] Carezzevole verso il male, Giovanni Evangelista, che tante volte fu erroneamente identificato con il Veggente, nel Polittico osserva cinque serpentelli acciambellati nella coppa che tiene in mano e pronti a mordere. Quelle teste fanno parte del novum o sono qualcosa di inestinguibile dell’antico?




[73] Il Veggente era un uomo astioso, che voleva saggiare la potenza della sua voce. La terra era già molto, per provare. Ma non c’era nulla di meglio del cosmo. Spaccare la volta celeste. Si fermò lì.




[74] Anche Friedländer, così poco incline al giudizio estetico, ammette che Jan van Eyck opera alla «conquista del paesaggio» e Fazio afferma che il paesaggio sembra estendersi più di «cinquanta miglia», la terra ha un respiro nuovo, più vasto.




[75] Per secoli si era letto dell’Agnello nell’Apocalisse. Nessuno aveva osato raffigurarlo. Era come fosse legato nel testo. Poi van Eyck provò – e apparve qualcosa di abbagliante, unico. Nessuno osò ripeterlo.




[76] Che Maria debba leggere un libro al momento dell’Annunciazione è un motivo ignorato dal Nuovo Testamento e appare soltanto a partire dal dodicesimo secolo. Così l’Agnello. Appena sfiorato da Luca, diventa immagine dominante con l’Apocalisse. Perché? Qualcosa mancava, di essenziale. Non c’è Gesù senza l’Agnello. Non c’è Maria senza il libro. Più difficile capire il libro. Ma l’Agnello senza il libro non si potrebbe cominciare a capire.




[77] Gesù era contrario alla visione apocalittica. Evocava, invece, il graduale imporsi dei primi passi del Paracleto, che era una figura dello Spirito Santo. Occorreva però innanzitutto annichilire il mondo. Giovanni lo aveva condannato già per diciotto volte. Soltanto allora si sarebbe cominciato a percepire tracce di una nuova via, se c’erano.




[78] Tutto ciò che riguarda il Paracleto è misterioso, ma nulla come una domanda: Gesù ha un successore? Sembrerebbe di sì, quando si legge il passo del Vangelo di Giovanni dove si dice: «Anch’io chiederò al Padre, ed egli vi darà un altro Paracleto che rimarrà con voi in eterno». Chi sarà questo altro Paracleto se non un altro Gesù, dopo la crocifissione? Ma allora Gesù non ha riscattato tutti?




[79] Il Veggente e Giovanni Evangelista dissero ugualmente che presto qualcosa di irreparabile stava per accadere. Secondo il Veggente, la distruzione del cielo e della terra. Nulla era dato di sapere sul nuovo che sarebbe seguito. Secondo Giovanni Evangelista l’apparizione del Paracleto, figura dello Spirito Santo. Ma questo implicava che lo Spirito Santo stava per diramarsi sulla terra?

Il Veggente e Giovanni Evangelista erano radicalmente nemici: Giovanni Evangelista voleva allontanare il mondo quanto più possibile, disprezzarlo, irriderlo. Il Veggente voleva distruggerlo fino a cancellarne la memoria.




[80] La crocifissione non aveva salvato tutti, questo si intravede dalla dottrina del Paracleto. Rimaneva una schiera in attesa di un avvocato, del Paracleto. All’inizio, il Paracleto sceglieva, come sembrava ovvio, chi lo aveva meritato. Alla fine, chi gli piaceva. Così si decidevano il merito e la grazia. Dopo, a poco a poco, tutto diventava sempre più oscuro e inestricabile. Era come è.




[81] Paracleto significa «avvocato», qualcuno che parla in favore di un altro. Ma quale altro? Uno di coloro che aspettano di essere distrutti, secondo l’Apocalisse. Ma Gesù era considerato come l’altro Paracleto. Esiste dunque un’altra via, garantita da Gesù. Ma per quali sentieri? Eppure l’Apocalisse aveva affermato che nulla sarebbe sfuggito alla distruzione. L’incertezza è enorme – e rimane.




[82] Il sangue scorre dal costato di Gesù solo quando il soldato lo ha aperto con la sua lancia. Decisivo è che scorra in modo continuo, come quello dell’Agnello. È il momento in cui i due esseri si ricongiungono. Mai prima.




[83] Se Gesù ha un successore, il Paracleto, vuol dire che non ha riscattato tutti. Ma chi sono i suoi superstiti? Tutte figure dello Spirito Santo, o esseri qualsiasi, che aspettano ancora di essere visti o scelti? Occorrerà che il Paracleto voglia difenderli. Ma da che cosa e per cosa? Sono i misteri della terza età. L’Agnello continua a dominare, il Paracleto si insinua nelle vene del mondo.




[84] Secondo il Vangelo di Giovanni Gesù addirittura chiede al Padre di concedergli un «altro Paracleto». Vuole abbandonare la sua funzione? È l’annuncio di un nuovo regno, il regno del Paracleto? Un eone, forse, senza limiti.

Il successore è tutt’altro che l’assistente, il continuatore. Presuppone che il mondo sia cambiato e che siano cambiati i modi per reagirgli. Alla fine dei tempi Cristo scompare e viene sostituito da un altro essere celeste, il Paracleto. Ma perché Cristo ha bisogno di questa duplicazione? Si avvicina un regno che esige nuove forze, nuove forme?




[85] Gesù assente, Cristo nominato di rado, lo scontro è fra l’Angelo e le potenze maligne che continuamente appaiono. Testimoni i centoquarantaquattromila superstiti, tanti quanti gli appartenenti alle dodici tribù giudaiche, perché l’umanità non poteva ancora essere divisa in altro modo.

Quando la vittoria dell’Angelo fu chiara, vennero chiamati tutti gli uccelli che volavano e invitati a mangiare «le carni dei re e le carni dei tribuni e le carni dei forti e le carni dei cavalli e di chi li cavalcava e le carni di tutti gli uomini liberi o schiavi, e dei miseri e dei grandi».




[86] Nella quasi totalità delle annunciazioni, Maria sta leggendo. Il libro, che è su un leggio, o in grembo, o per terra. Non importa dove. La sua presenza è pari a quella della colomba, rappresentante ufficiale dello Spirito Santo. Fra il Quattrocento e il Settecento non si dà altrove nella pittura una simile concentrazione di bellezza, che è del tutto arbitraria, in quanto non si dà un passo delle Scritture dove si dica che la Vergine deve leggere un libro nel momento in cui appare l’angelo. È come per l’Agnello. Non potrebbe dominare le belve se non sapesse aprire il libro dei sette sigilli e leggere ciò che contiene. Leggere è qualcosa che si misura con le potenze del mondo, incluso lo Spirito Santo.




[87] Solo nell’Ottocento il libro, e spesso la colomba, tendono a scomparire: Dante Gabriele Rossetti, Amaury-Duval, Bouguereau, Burne-Jones (che ignora colomba e libro), James Tissot, Beatrice Parsons. Per Henry Ossawa Tanner, la Vergine è una ragazza triste e solitaria, seduta su un letto. Aspetta qualcuno o qualcosa.




[88] Nella Annunciazione di Piero della Francesca ad Arezzo, il Padre, con la sua barba bianca, riversa lo Spirito Santo sulla Vergine. Il flusso dello Spirito si vede appena, la colomba non c’è. Mentre la Vergine non abbandona il suo libriccino, che sta leggendo e tiene semiaperto. Solo la lettura può incontrarsi con lo Spirito Santo?




[89] Giunti alla fine dell’Apocalisse, finalmente ci vengono dette le parole che aspettavamo per capire come è fatto il mondo. Qui si dice che l’Agnus «occisus est ab origine mundi». Se l’Agnello è stato ucciso fin dall’origine, occorre rispondere a questo stato delle cose: un animale ucciso senza alcuna colpa. Questo implica almeno che la colpa precede l’esistenza. Ma come eliminare la colpa? O come trattarla? La cristianità è l’ultimo tentativo di farlo. L’Apocalisse tentò di abolire il mondo quale era, ma lasciando trionfare l’Agnello con il suo sangue sgorgante.




[90] Se l’uccisione è l’inizio di tutto, Abele è il primo che tentò di metterla in atto. Tutta la storia, da allora, generazione dopo generazione, è una serie di accorgimenti per impedirglielo. L’uccisione viene elusa in ogni modo. E ogni volta torna. Allora Gesù decise di farsi uccidere, invece di uccidere. E con questo si oppose all’ordine del mondo, voluto da suo Padre. Il suo gesto fu la domanda che aveva sempre evitato: Perché hai voluto così?




[91] Gesù, come primo «avvocato», paráclētos, è chiamato a difendere un ignoto. Nulla di più simile al compito dell’avvocato d’ufficio: il suo cliente può aver commesso un reato, ma può anche essere prosciolto subito, perché l’accusa è infondata. Questa è la condizione dell’uomo in genere, fino a quando Gesù muore sulla croce. In quel momento tutti gli uomini dovrebbero essere riscattati, qualsiasi siano le loro colpe. Non dovrebbero avere più bisogno di un avvocato. Ma è davvero questo che avviene? Gesù si allontana e lascia al suo posto un «altro» avvocato che, si presume, continuerà la sua opera. Quindi, il riscatto non si era compiuto. Il nuovo avvocato non sarà soltanto difensore, ma intercessore. Parla con il Padre, racconta, argomenta in favore di ciascuno. La sua voce è potente.




[92] L’incipit del Vangelo di Giovanni è il più noto al mondo. Ma ciò che segue è una martellante sequenza di storie di miracoli e affermazioni di Gesù sulla propria divinità e comunanza col Padre. Arrivati al capitolo 14, ormai vicini alla fase più drammatica della storia, esplode, del tutto inattesa, la figura del Paracleto. Mai si era parlato prima di un avvocato che difendesse chiunque. Ed era la prima volta in cui Gesù affermava che non avrebbe lasciato «orfani». Quindi qualcuno sarebbe sopravvissuto, e sarebbe stato protetto addirittura da una figura dello Spirito Santo. Questo cambiava tutta la scena.




[93] Gesù parla del Paracleto in fretta, con parole convulse. Alla fine dice, come mai prima: «Surgite eamus hinc», «alzatevi, andiamo via di qui».

Il principe del mondo è in agguato e si avvicinano le ultime ore. Il Paracleto è l’ultimo dono, l’ultima difesa che Gesù lascia, dicendo «vado et venio». La sua presenza è occasionale, ormai occorre un altro Paracleto, di cui nulla sappiamo, se non che sarà potente.




[94] Anche il demone del nuovo, che usualmente viene attribuito al mondo secolare e alla scienza che lo innerva, ha un’origine cristiana – o più precisamente paolina. Nessuno prima di Paolo aveva osato dire: «Ecce facta sunt nova omnia», «ecco che tutto è diventato nuovo». L’assolutezza di quell’omnia non concede respiro, né requie. Non si tratta solo dello spirito o del culto. È la natura stessa che viene trasformata in qualcosa di nuovo. Così i propagatori profani della novità non parlano solo per se stessi. In loro si ripercuote, senza che lo avvertano, l’annuncio paolino, con tutte le sue conseguenze.




[95] La grazia, la gloria: erano il sovrappiù rispetto alla legge. Paolo fu inflessibile nell’affermarlo. Erano ciò che mancava all’esistente. Se la legge doveva essere compiuta, questo significava che di per sé era insufficiente. E, se la legge era insufficiente, questo significava che gli uomini non erano in grado di reggere da soli, senza il soccorso di un altro elemento – la grazia – e della gloria che l’accompagna.




[96] Il pensiero militante, insieme fascinoso e orribile, nasce con Paolo. La rivelazione cristiana si presenta subito come un’arma potente, capace di abbattere ogni fortezza e di «rendere prigioniero ogni pensiero (intellectumnóēma) riducendolo all’obbedienza a Cristo». Nessun Lenin del futuro avrebbe saputo parlare con altrettanta concisione e vigore, ma tutti si sarebbero giovati di Paolo, sapendolo o anche non sapendolo. Se l’idea del partito è nata dalla Chiesa, è perché sin dall’inizio la Chiesa si è presentata come un partito che si prefiggeva di sgominare tutti gli altri. Il proselitismo, la vocazione universale della cristianità, è anche la pretesa di riunire l’umanità in una sola milizia.




[97] La novitas annunciata da Paolo implicava che si prendesse congedo dall’intero mondo antico. Nelle forme più diverse, in Grecia come in Egitto o in Mesopotamia o in Persia, tutti avevano ritenuto che essenziale fosse rendere conto del cosmo. Ma nell’Antico Testamento, e ancor più nei Vangeli, si mostrava che era possibile anche farne a meno. E Paolo lo proclamava con parole urtanti verso tutti, incluso il suo popolo, che era stato un primo portatore di novitas.




[98] Dopo l’inizio folgorante, il Vangelo di Giovanni offre una profusione di miracoli di Gesù e sue argomentazioni soprattutto sulla comunanza con il Padre. Ma ogni tanto il testo viene scosso da frasi che nessuno, a oggi, è riuscito a decifrare in modo adeguato – eppure hanno segnato la storia.

«Salus ex Iudaeis». Ma perché gli Ebrei, che osteggiavano Gesù in ogni modo, avrebbero dovuto essere i portatori della salvezza? «Gesù deve essere innalzato, come Mosè innalzò il serpente nel deserto». Ma quello stesso serpente stava uccidendo tutti gli Ebrei, in quei momenti. Non c’è risposta, se non immensamente complicata. Anche il Paracleto potrebbe appartenere a queste frasi.




[99] «Ecco che giunge con le nuvole». Così si manifesta all’inizio il Signore. Non c’è modo più bello. Ma già è stato detto che ci sono cose «che occorre fare subito», «quae oportet fieri cito». Anche distruggere il mondo – e le nuvole.




[100] Ma perché la Vergine, tutte le Vergini, devono leggere un libro, apprestando un leggio per separarlo da ciò che lo circonda? Perché non raffigurarle accanto a un telaio o a un altro strumento domestico più consono? Leggere è un ostacolo, un luogo intermedio, dove qualcosa accade. Che il testo letto dalla Vergine siano i profeti è arbitrario. Più che evocarlo, la Vergine teme il futuro, a giudicare dalle sue espressioni. C’è un abisso tra il flusso dello Spirito Santo e il libro. È la vita.




[101] Che l’atto di leggere, della Vergine, sia stato rappresentato prima su un avorio a Braunschweig o su una vetrata di Chartres è indifferente. Era un’onda di fondo che affiorava: la Vergine sta leggendo nell’unico momento in cui lo Spirito Santo la tocca.

Di questo è fatta la storia: di momenti affilati, che lasciano una cicatrice. A chi avvengono? Alla Vergine, ai seguaci del Paracleto, a coloro che si abbandonavano alle visioni dell’Apocalisse, forse a molti altri che non conosciamo. È una storia che si trasforma ogni giorno, che si lacera e si ricompone.




[102] Nell’Apocalisse si legge:

«Tu sei degno di ricevere il libro
e di aprirne i sigilli,
poiché sei stato ucciso
e hai riscattato per Dio con il tuo sangue
uomini di ogni tribù, lingua, popolo, nazione;
tu li hai costituiti per il nostro Dio un regno e dei sacerdoti;
e regneranno sulla terra».

L’Agnello conosce ciò che il Veggente conosce. Ma nessun altro lo può. È l’ordine del mondo e al tempo stesso il suo destino. Non c’è nulla che vada oltre.

FONTI




Il numero rinvia alla pagina dell’edizione cartacea, tra parentesi quadre nel testo della presente edizione digitale.




11, «figlio più forte di lui»: Eschilo, Prometeo incatenato, v. 768.

19, «prima ... mondo»: Prima lettera di Pietro, 1, 20.

19, «primi ... armento»: Genesi, 4, 4.

20, «afono ... bocca»: Isaia, 53, 7.

21, «L’Agnello ... sgozza?»: S. Weil, Cahiers, in Œuvres complètes, a cura di A.A. Devaux e F. de Lussy, Gallimard, Paris, vol. VI, tomo IV, 2006, p. 350.

29, «schiavi»: Apocalisse, 7, 3.

30, «guerra nel cielo»: Ibid., 12, 7.

34, «Ecce ... mundi»: Vangelo di Giovanni, 1, 29.

34, «Ecce agnus Dei»: Ibid., 1, 36.

34, «Che cosa volete?»: Ibid., 1, 38.

35, «Agnum ... occisum»: Apocalisse, 5, 6.

36, «quoniam ... sangue»: Ibid., 5, 9.

36, «tamquam»: Ibid., 5, 6.

36, «tribù ... nazione»: Ibid., 5, 9.

37, «le acque ... vita»: Ibid., 7, 17.

37, «Dio ... occhi»: Loc. cit.

38, «il cui nome ... sgozzato»: Ibid., 13, 8.

39, «Magnifici»: Ibid., 19, 9.

39, «la nuova ... uomo»: Ibid., 21, 2.

39, «perché ... l’Agnello»: Ibid., 21, 22.

39, «iscritti ... dell’Agnello»: Ibid., 21, 27.

40, «tamquam ... ucciso»: Ibid., 5, 6.

40, «quoniam ... ucciso»: Ibid., 5, 9.

48, «caelum ... novam»: Ibid., 21, 1.

48, «la città ... Gerusalemme»: Ibid., 21, 2.

48, «Mors ... morte»: Ibid., 21, 4.

48, «Dio ... l’Agnello»: Ibid., 21, 22.

52, «schiavi»: Ibid., 7, 3.

54, «Il mio spirito ... limpido»: M. Lutero, Vorrede zur Offenbarung Johannes (1522), in D. Martin Luthers Deutsche Bibel, vol. VII, in Werke, Kritische Gesamtausgabe [Weimarer Ausgabe], Böhlau, Weimar, 1931, p. 404.

54, «vittoria finale»: M. Lutero, Vorrede zur Offenbarung Johannes (1530), ibid., p. 418.

70, «cosa ... detto»: R. Bauckham, The Theology of the Book of Revelation, Cambridge University Press, Cambridge, 1993, p. 74.

70, «oggetto di vittoria»: Loc. cit.

74, «conquista del paesaggio»: M.J. Friedländer, Von Van Eyck bis Bruegel, Phaidon, Köln, 1956, p. 13.

74, «cinquanta miglia»: B. Fazio, De viris illustribus, L. Mehus, Firenze, 1745, p. 48.

78, «Anch’io ... eterno»: Vangelo di Giovanni, 14, 16.

84, «altro Paracleto»: Loc. cit.

85, «le carni ... grandi»: Apocalisse, 19, 18.

89, «occisus ... mundi»: Ibid., 13, 8.

91, «altro»: Vangelo di Giovanni, 14, 16.

92, «orfani»: Ibid., 14, 18.

93, «Surgite ... qui»: Ibid., 14, 31.

93, «vado et venio»: Ibid., 14, 28.

94, «Ecce ... nuovo»: Seconda lettera ai Corinzi, 5, 17-18.

96, «rendere ... Cristo»: Ibid., 10, 5.

98, «Salus ex Iudaeis»: Vangelo di Giovanni, 4, 22.

98, «Gesù ... deserto»: Ibid., 3, 14.

99, «Ecco ... nuvole»: Apocalisse, 1, 7.

99, «che occorre fare subito»: Ibid., 1, 1.

102, «Tu sei ... terra»: Ibid., 5, 9-10.


Le immagini che accompagnano il testo sono tratte dal Polittico dell’Agnello Mistico, o Polittico di Gand, dipinto tra il 1426 e il 1432 per la cattedrale di Saint Bavon a Gand, e attribuito ai fratelli Jan e Hubert van Eyck.

© Lukas-Art in Flanders VZM/Bridgeman Images