sabato 25 ottobre 2025

L'ANOMALIA CHE NON TORNA: MILIARDI MARTIRI E MENZOGNE Luigi Giliberti



L'ANOMALIA CHE NON TORNA: MILIARDI MARTIRI E MENZOGNE 

Luigi Giliberti

@LuigiGiliberti2


Carestia. Genocidio. Fame. Bambini. Parole che scivolano addosso come un mantra. Gaza è diventata un marchio emotivo, una ferita che non si rimargina perché qualcuno ha tutto l’interesse a tenerla aperta. Da vent’anni il mondo parla di “aiuti umanitari” e “ricostruzione”, ma la Striscia resta un cimitero di cemento e propaganda. E allora la domanda, quella vera, è semplice e terribile: dove sono finiti i miliardi?

Da anni si parla di emergenza, ma non di amministrazione. Di vittime, ma non di bilanci. Gaza riceve fondi dall’ONU, dall’Unione Europea, da decine di Stati arabi, ONG, associazioni e crowdfunding globali. Si stimano oltre 25 miliardi di dollari in due decenni, eppure non c’è un acquedotto funzionante, non c’è un ospedale degno di questo nome, non c’è un’economia. Solo tunnel, milizie e martiri. Una carestia che arriva dopo anni di gestione interna opaca, dove il potere si è arricchito mentre la popolazione veniva spinta alla disperazione come leva politica.

La narrazione è lineare, comoda, tossica: un popolo oppresso, un nemico assoluto, un mondo che osserva. Ma dietro c’è un’economia di guerra che funziona troppo bene per essere solo una tragedia. È la macchina della sofferenza, dove ogni morto diventa un’arma diplomatica, ogni immagine una moneta da spendere, ogni bambino un simbolo utile.

Responsabilità. Il nodo che tutti evitano.

È qui che il racconto si incrina, perché la verità non si regge più su slogan.

Hamas ha governato Gaza per 17 anni. Ha scelto la guerra come forma di potere. Ha costruito centinaia di chilometri di tunnel in cemento armato mentre sopra la gente moriva di fame. Ha tassato i commerci, gestito il contrabbando, arruolato adolescenti nei campi estivi paramilitari. Ha trasformato il martirio in programma politico, e la morte dei civili in strumento di pressione internazionale.

L’Autorità Palestinese, invece di riformare e riconciliare, ha accettato il ruolo di spettatore ostile. Ha mantenuto i privilegi, ha alimentato la divisione, ha permesso che Gaza diventasse un feudo incontrollabile.

Israele ha reagito con il pugno di ferro, spesso oltre la misura, ma anche con una contraddizione storica: contenere Hamas, a tratti perfino tollerarlo, perché indeboliva Fatah. Ha chiuso, controllato, bombardato, ma non ha mai imposto una vera alternativa politica.

L’ONU e l’UNRWA hanno alimentato il sistema dell’assistenza senza chiedere riforme. Tredicimila dipendenti a Gaza, e nessuno che vedesse i tunnel. Migliaia di scuole, ma libri di testo che glorificavano il martirio. Una struttura diventata dipendenza: un popolo trattato come orfano cronico, mai come società capace di autogoverno.

I Paesi arabi, nel frattempo, si sono lavati la coscienza con bonifici e conferenze. Hanno usato la causa palestinese per mantenere consenso interno, ma quando si è trattato di accogliere rifugiati o imporre disarmo, si sono dileguati.

E infine noi, l’Occidente, che abbiamo trasformato il dolore in hashtag e la solidarietà in spettacolo. Abbiamo alimentato la macchina della propaganda con le nostre emozioni digitali, senza mai chiedere responsabilità concrete.

Tutti colpevoli, nessun innocente.

Tunnel, bambini e il business della tragedia

Sotto le case c’erano tunnel, sopra i tetti scuole dell’ONU, tra i due, la popolazione civile. È in questa stratificazione che si è costruito il capolavoro del ricatto morale. Ogni bomba israeliana diventa prova di genocidio, ogni razzo di Hamas un atto di resistenza. E nel frattempo, i bambini - migliaia - crescono in un ecosistema che insegna l’odio come forma di identità.

Ci sono video di campi estivi in cui ragazzini di dieci anni imparano a smontare Kalashnikov, mentre le ONG parlano di “formazione civica”. Ci sono artisti che dipingono il martirio come destino, e influencer che monetizzano la tragedia.

I numeri che non tornano

Gaza avrebbe dovuto collassare mille volte. Eppure costruisce tunnel in cemento armato, fabbrica razzi artigianali, lancia droni, mantiene una burocrazia di partito. I magazzini di Hamas sono sempre pieni, le case dei leader sempre intatte. La fame, però, resta. La fame è utile. La carestia è la prova perfetta per accusare, raccogliere fondi, rimettere in moto la macchina degli aiuti.

Chi si è arricchito?

È la domanda che taglia ogni ipocrisia.

Si sono arricchiti i capi miliziani, gli appaltatori dei tunnel, i funzionari corrotti, gli intermediari internazionali. Si sono arricchiti i venditori di odio, i propagandisti travestiti da attivisti, i diplomatici che costruiscono carriere sul dolore altrui. Gaza è diventata una rendita morale, un investimento emozionale che paga dividendi politici.

Una storia che non torna

Perché non torna? Perché non può tornare. Perché nessuno vuole che torni.

Gaza serve a troppi: a chi predica la resistenza eterna, a chi ha bisogno di un nemico per giustificare la propria potenza, a chi vende aiuti come se fossero armi.

E in mezzo, la vera vittima: il popolo palestinese.

Non quello dei talk show o dei post indignati. Quello vero, che voleva solo vivere, lavorare, crescere i figli. Quello che nessuno difende più, perché non serve a nessuna narrazione.

Gaza non è solo una tragedia. È un sistema.

E finché ci sarà qualcuno che ci guadagna, non finirà mai.