martedì 7 ottobre 2025

"MAMMA MIA QUANTE STORIE PER DUE SLOGAN E TRE CARTELLI" Alfonso Lanzieri


"MAMMA MIA QUANTE STORIE PER DUE SLOGAN E TRE CARTELLI"

 Alfonso Lanzieri 

 06/10/2025 

Nelle ultime manifestazioni per Gaza si sono visti cartelli e striscioni che destano sgomento. Uno recitava: “7 ottobre giornata della resistenza palestinese”. Ma il 7 ottobre 2023 non è stato un giorno qualunque: è stato un pogrom spaventoso, una mattanza indiscriminata in cui furono trucidate centinaia di persone in Israele, comprese donne, anziani e bambini piccoli, con modalità così brutali da togliere il sonno.

Un altro cartello invitava a “impiccare un sionista”. Intorno, slogan che chiedevano una Palestina libera “dal fiume al mare”, formula che equivale, nella sua lettera, alla cancellazione di Israele. Molti giovani li ripetevano a gran voce, spesso senza sapere cosa significano davvero. Ma l’ignoranza non è un’attenuante: è un’aggravante.

L’assenza di consapevolezza storica trasforma la piazza in cassa di risonanza per parole d’ordine violente. C’è pure un monumento dedicato a Giovanni Paolo II imbrattato con la scritta “Fascista di merda”. Della guerriglia urbana non ne parliamo neppure.

La sinistra italiana, che per anni ha chiesto (e in qualche caso ottenuto) sanzioni sociali per chi adoperava un linguaggio non conforme al nuovo codice della correttezza lessicale, che ha equiparato la violenza verbale alla violenza fisica, che ha fatto dell’uso dei pronomi una questione decisiva, oggi si mostra indulgente.

Di fronte a slogan che contengono un’evidente carica antisemita, la risposta è che si tratta di frange marginali, casi isolati. La stessa area politica che dopo l’attentato a Charlie Hebdo sottolineava la pericolosità di parole “estreme” — arrivando persino a contestualizzare, se non giustificare, l’omicidio di figure controverse sulla base dei loro discorsi — ora liquida come irrilevanti parole che invitano alla violenza contro gli ebrei. “Mamma mia, quante storie per due slogan”, sembra il commento prevalente.

Il punto, però, non è solo questo. Il problema è che il cosiddetto “campo largo” (Pd-M5S-AVS) sembra aver scelto di lasciarsi trascinare dagli umori della piazza, nella speranza di ritrovare un contatto con la “gente”. Un obiettivo comprensibile in termini elettorali, ma che porta con sé un rischio enorme.

Farsi dettare l’agenda dalle masse, seguire gli slogan senza filtrare, significa rinunciare al compito proprio della politica: costruire coscienza, dare orientamento, proporre visioni che non assecondino semplicemente l’immediato, ma indichino un orizzonte comune. La massa erompe nell’elementarità di un urlo che può essere punto di partenza, non di approdo. C’è una responsabilità a cui la politica non può abdicare: guidare, non farsi guidare.

Significa saper dire di no agli slogan facili anche se traducono istanze giuste, respingere le derive verbali che mascherano l’odio dietro il lessico della resistenza, chiarire che la solidarietà verso il popolo palestinese non può coincidere con la celebrazione del massacro o con l’evocazione di un nuovo sterminio.

Ad aggravare la situazione c’è lo stato del partito di maggioranza del campo largo, il PD, che per decenni si è vantato della propria affidabilità istituzionale: oggi sembra essersi stufato di voler recitare la parte “responsabile”. Qui si situa probabilmente la trasformazione più evidente dei dem. Pur di guadagnare voti, il partito oggi guidato da Schlein ha imboccato la deriva adolescenziale dell’antagonismo movimentista, e nessuno riesce a tirare il freno.

Questo deficit appare ancora più grave se guardiamo al contesto globale. Il mondo sembra essere avviato, infatti, verso una nuova spartizione in zone d’influenza: da un lato Stati predatori, dotati di eserciti potenti, risorse energetiche e supremazia tecnologica; dall’altro Stati preda, costretti a subire logiche imposte dall’esterno.

Stati Uniti, Cina, Russia e forse altre potenze regionali avranno mano libera all’interno delle rispettive sfere, mentre per i popoli più deboli non resterà che piegarsi o soccombere. In questo scenario, che ruolo avrà l’Europa? Riuscirà a salvarsi dal ridursi a terreno di caccia, o a protettorato nelle mani altrui?

Ecco, in un momento così drammatico, la sinistra italiana non riesce a proporre un pensiero all’altezza. Non sa smarcarsi dagli slogan facinorosi che sfruttano Gaza per regolare conti ideologici con l’Occidente liberale; non sa parlare di riarmo e difesa comune se non con formule infantili o nostalgie filosovietiche; non riesce a trasformare l’indignazione in proposta.

Mentre il mondo scivola verso una nuova stagione imperiale, con blocchi contrapposti e popoli sacrificabili, il cosiddetto campo largo sembra vivere in un’altra dimensione. Di fronte alla prospettiva di un’Europa ridotta a protettorato, non osa elaborare una strategia; di fronte all’esigenza di difendere la democrazia liberale, balbetta formule da catechismo pacifista; di fronte alla sfida di dare voce a una piazza che chiede pace, non riesce a separare il grido sincero dalla propaganda dell’odio.

Così facendo, la sinistra italiana riesce a portare in piazza per Gaza forse un milione, due milioni, tre milioni di persone — non lo so — ma in nessuno di questi cortei potrebbero sfilare quanti a Tel Aviv si radunano per ricordare le vittime del 7 ottobre e protestare contro Netanyahu. Ci vuole del talento.

La sinistra, insomma, rischia di non stare né dalla parte giusta né dalla parte sbagliata della storia: rischia di restarne semplicemente fuori.

Commenti

06/10/2025 alle 8:20 pm

Il campo largo organizza e si “aggrappa” a queste manifestazioni per mascherare una debolezza contenutistica. Le politiche estere e i conflitti internazionali come quello in Medio Oriente, generano intense mobilitazioni e spesso vengono strumentalizzati nel dibattito interno per attaccare o difendere l’operato del governo.

Andrea

06/10/2025 alle 6:32 pm

Bellissimo articolo, grazie

Aggiungo una nota, se posso, solo per dare ulteriore misura dei livelli di incoerenza, ipocrisia e confusione mentale raggiunti da questa sinistra

Quando in occasione di precedenti manifestazioni pro Palestina e “pacifiste” qualcuno ha provato a inserirsi con cartelli che dicevano, per esempio, “Gaza libera da Hamas” o che chiedevano la liberazione degli ostaggi, le contestazioni, anche molto forti, di quei cartelli sono state immediate e i cordoni per impedirgli di unirsi al corteo efficientissimi

Per i partecipanti al corteo si trattava di provocatori, e in effetti lo erano rispetto ai messaggi del corteo, che Hamas e gli ostaggi li ignoravano

Evidentemente inneggiare al 7/10 e urlare slogan che implicano la cancellazione di Israele non sono stati considerati provocazioni inaccettabili