domenica 22 agosto 2021

ANNI DI CANI Günter Grass

 


ANNI DI CANI

Günter Grass

Romanzo ambizioso e potente, «Anni di cani» fa i conti con le contraddizioni della coscienza tedesca. Lo fa montando una storia a tre strati, fittissima di eventi, di memoria, di figure umane e animali. Due i personaggi centrali: Eduard Amsel, il regazzzo mezzo ebreo, grassoccio, goffo, materasso della ragazzaglia, figlio di mercante, dotatissimo nella costruzione di spaventapasseri, più tardi pittore, poi coreografo e infine proprietario di uan miniera; e Walter Matern, il robusto rampollo di una dinastia di mitici mugnai, l'amico di infanzia e il fratello di sangue di Amsel, lo sbandato, l'ubriacone, l'ex comunista, l'attore, il milite SA, il nazista, il disertore, il cattolico, l'heideggeriano, l'antifascista che, accompagnato dal cane di Hitler, percorre la Germania del dopoguerra alla ricerca di colpevoli...
Intorno a queste due vite parallele, un brulichio di personaggi: gli arcaici abitanti dell'estuario della Vistola, come il mugnaio Matern, che predice il futuro ascoltando i vermi della farina, come i paesani della Werder, i professori, gli SA, le nonne e, specialmente, la ragazzetta Tulla, sinistra, attraente, misteriosa, perduta.
Due i personaggi centrali: Eduard Amsel, il ragazzo mezzo ebreo, grassoccio, goffo, materasso della ragazzaglia, figlio di mercante, dotatissimo nella costruzione di spaventapasseri, più tardi pittore, poi coreografo e infine proprietario di una miniera; e Walter Matern, il robusto rampollo di una dinastia di mitici mugnai, l'amico d'infanzia e il fratello di sangue di Amsel, lo sbandato, l'ubriacone, l'ex comunista, l'attore, il milite SA, il nazista, il disertore, il cattolico, l'heideggeriano, l'antifascista che, accompagnato dal cane di Hitler, percorre la Germania del dopoguerra alla ricerca dei colpevoli… Intorno a queste due vite parallele, un brulichio di personaggi: gli arcaici abitanti dell'estuario della Vistola, come il mugnaio Matern, che predice il futuro ascoltando i vermi della farina, come i paesani del Werder, i professori, gli SA, le nonne e, specialmente, la ragazzetta Tulla, sinistra, attraente, misteriosa, perduta. 

ANNI DI CANI

PRIMO TURNO

Racconta tu. No, racconti lei! Oppure racconti tu. O bisogna che cominci per esempio l'attore? O gli spaventapasseri, tutti in una volta? O invece vogliamo aspettare che gli otto pianeti si raccolgano sotto il segno dell'acquario? Per favore, cominci! In fin dei conti, il suo cane, quella volta. E tuttavia, prima che il mio cane, già il suo cane, e il cane del cane. Uno bisogna che cominci: tu o lui o lei o io... Molti e molti tramonti fa, molto prima che esistessimo noi, scorreva, senza rispecchiarci, giorno per giorno, la Vistola, e sfociava ininterrottamente.

Colui che qui regge la penna viene chiamato provvisoriamente Brauxel, dirige una miniera che non produce né potassio né minerali né carbone e tuttavia occupa centotrentaquattro operai e impiegati ai vari livelli, nelle gallerie di carreggio e nei sotto–livelli, nelle camere di abbattimento e nelle sezioni trasversali, alla cassa stipendi e all'imballaggio: tra un cambio di turno e un altro cambio di turno.

Non regolata, pericolosa, scorreva un tempo la Vistola. Così furono chiamati mille manovali e nell'anno milleottocentonovantacinque, da Einlage, a nord–ovest, tra i due villaggi dell'estuario di Schiewenhorst e di Nickelswalde, venne scavato il cosiddetto Taglio. Esso ridusse, tracciando alla Vistola una foce nuova e diritta come un fuso, i pericoli di inondazione.

Colui che qui regge la penna scrive Brauksel, in genere come Castrop–Rauxel e talora come Häksel. Inoltre, a seconda della luna, Brauxel scrive il suo nome come Weichsel, cioè Vistola. Giocosità e pedanteria dettano, e non si contraddicono.

Da un orizzonte all'altro correvano le dighe della Vistola e avevano il compito di ergersi, sotto la sorveglianza del commissario per il controllo delle dighe, con sede a Marienwerder, contro le acque gonfie e impetuose della primavera e di San Domenico. Guai se nelle dighe ci stavano i topi.

Colui che qui regge la penna, che dirige la miniera e scrive il proprio nome in maniere diverse, con settantatré mozziconi di sigarette, cioè con la messe fumata negli ultimi due giorni, si è disegnato sul piano della scrivania il corso della Vistola prima e dopo la regolamentazione: briciole di tabacco e cenere farinosa significano il fiume e le sue tre foci; i fiammiferi usati sono le dighe per arginarlo.

Molti e molti tramonti fa: il signor commissario per il controllo delle dighe scende dalle parti di Kulm, là dove, nell'anno cinquantacinque, presso Kokotzko, all'altezza del cimitero dei menoniti, la diga ha ceduto - ancora dopo varie settimane le bare erano sospese agli alberi -, ma lui, a piedi, a cavallo o con la barca e mai senza la bottiglietta dell'arrak nell'ampia tasca, lui, Wilhelm Ehrenthal, che in versi antichi e tuttavia spiritosi aveva scritto quell'Epistola della contemplazione delle dighe, che appena uscita fu regalata con una dedica cordiale a tutti i dazieri, detti conti delle dighe, ai borgomastri e ai predicatori menoniti, lui, qui nominato per non essere nominato mai più, ispeziona verso monte verso valle gli impianti di protezione, le saracinesche delle chiuse e i ripari trasversali, scaccia i porcellini dalla diga, perché in base a un decreto di polizia del novembre milleottocentoquarantasette, paragrafo otto, è proibito a qualsiasi tipo di bestiame, a pennuti e a ungulati, di andare a pascolare e a rugare sulla diga.

Sulla sinistra tramontava il sole. Brauxel rompe uno zolfanello: la seconda foce della Vistola si formò senza l'aiuto dei manovali, il due febbraio del milleottocentoquaranta, quando il fiume, siccome il ghiaccio si era ingorgato, ruppe gli argini sotto Plehnendorf, spazzò via due villaggi e permise la fondazione di due nuovi insediamenti, i villaggi di pescatori di Östlich–Neufähr e di Westlich–Neufähr. Noi tuttavia, per quanto i due nuovi Neufähr siano ricchi di storie, di chiacchiere da villaggio e di fatti memorabili, avremo a che fare sostanzialmente coi villaggi a ovest e a est della prima foce, per quanto più recente: Schiewenhorst e Nickelswalde erano, o meglio sono, a destra e a sinistra del Taglio della Vistola, gli ultimi villaggi tra cui funzioni un traghetto; perché cinquecento metri a valle, e ancora oggi, il mare aperto mescola la sua acqua col suo zerovirgolanove di percentuale salina, col deflusso spesso grigio cenere, ma in genere giallo di limaglia, della Repubblica di Polonia che si estende alle sue spalle.

Parole di scongiuro: "La Vistola è un corso d'acqua ampio, che nel ricordo si fa sempre più ampio e, nonostante i numerosi banchi di sabbia, navigabile..." dice Brauchsel tra sé e sé, e sul piano della sua scrivania, diventato un intuitivo delta della Vistola, fa circolare con funzioni di traghetto, tra dighe fatte di zolfanelli, un resto di gomma per cancellare e, ora che il primo turno è cominciato, ora che è cominciato il giorno e vociferano i passeri, sistema di fronte al sole che tramonta il piccolo Walter Matern - accento sull'ultima sillaba -, di nove anni, sulla corona di dighe presso Nickelswalde; e lui digrigna i denti.

Che cosa avviene se il figlio di nove anni di un mugnaio sta lì su una diga, guarda il fiume, è esposto al sole che tramonta e digrigna i denti contro vento? Gli viene dalla nonna, che per nove anni era rimasta ferma, seduta nella sedia, e in grado soltanto di muovere i bulbi degli occhi.

Molte cose gli passano davanti, e Walter Matern sta lì a guardare. Da Montau fino a Käsemark, acqua alta. Lì, proprio prima della foce, il mare dà una mano. Si dice che c'erano i topi nella diga. Sempre, quando una diga cede, si dice che nella diga c'erano i topi. I cattolici venuti dal territorio polacco hanno sistemato nottetempo i topi nella diga, dicono i menoniti. Altri pretendono di aver visto il conte sul suo destriero bianco. Ma le compagnie di assicurazione non credono né alle talpe e ai topi né al conte delle dighe di Güttland. Quando la diga cedette, per via dei topi, il destriero, come prescrive la leggenda, schizzò nel fiume in piena insieme col conte, ma non servì a un gran che: perché la Vistola trascinò via tutti i congiurati delle dighe. E la Vistola trascinò via tutti i topi cattolici venuti lì dalla Polonia. E trascinò via tutti i menoniti duri, con le asole e i gancetti, ma senza le tasche, trascinò via i menoniti fini, coi bottoni, gli occhielli dei bottoni e le tasche del demonio, trascinò via i tre protestanti del Güttland e il maestro, il socialista. Trascinò via il bestiame mugghiante del Güttland e le culle intarsiate del Güttland, trascinò via tutto il Güttland: i letti del Güttland e gli armadi del Güttland, gli orologi del Güttland e i canarini del Güttland, trascinò via il predicatore del Güttland - che era un duro e aveva asole e gancetti - e trascinò via anche la figlia del predicatore, pare che fosse bella.

Tutto questo, e ancora molto di più, passava via. Cos'è che si trascina dietro un fiume come la Vistola? Tutto quello che si rompe: legno, vetro, matite, alleanze tra Brauxel e Brauchsel, sedie, ossicini, e anche tramonti. Cose dimenticate da un pezzo riaffiorano, nuotando sul ventre e sul dorso, e con l'aiuto della Vistola, nel ricordo: venne Adalbert. Adalbert arriva a piedi. E lì lo colpisce la scure. Ma Swantopolk si fa battezzare. E le figlie di Mestwin, com'è che vanno a finire? Magari una di loro corre via, a piedi nudi? Chi è che la prende con sé? Il gigante Miligedo con la sua clava di piombo? O Perkunos, rosso come il fuoco? O il pallido Pikollos, che sta sempre a guardare dal sotto in sù? Il ragazzo Potrimpos ride e mastica la sua spiga di frumento. Querce vengono tagliate. I denti digrignati - e la figlioletta del duca Kynstute, che era andata in convento: dodici cavalieri senza testa e dodici monache senza testa erano lì a ballare nel mulino: il mulino gira lento, il mulino gira in fretta, macina spighe in farina, ma la neve che cade è più chiara: il mulino gira lento, il mulino gira in fretta, lei mangiò sù dallo stesso piatto insieme coi dodici cavalieri: il mulino gira lento, il mulino gira più in fretta, dodici cavalieri fanno il filo a dodici monache, in cantina: il mulino gira lento, il mulino gira in fretta, celebrano la Candelora a furia di peti e cantatine: il mulino gira lento, il mulino gira in fretta… quando però il mulino si mise a bruciare da dentro verso fuori, comparvero carrozze per i cavalieri senza testa e per le monache senza testa, quando, molto più tardi - tramonti - S. Bruno attraversò il fuoco e il bandito Bobrowski, insieme col suo compare Materna, da cui tutto deriva, si diede ad appiccare incendi alle case preliminarmente saccheggiate - tramonti tramonti - Napoleone prima e dopo: allora la città venne assediata con molta abilità, perché varie volte e con alterno successo avevano provato i razzi di Congreve: ma nella città e sui valli, sui bastioni Lupo, Orso, Cavallo Baio, sui bastioni Saltinfuori, Scansacolpi e Coniglio sternutivano sotto ai morelli dei francesi, e sputavano i polacchi insieme col loro principe Radzivil, e infieriva il Corpo del Capitaine de Chambure, che aveva un braccio solo. Ma il cinque agosto venne l'acqua di San Domenico, si arrampicò senza scale lungo i bastioni Cavallo Baio, Coniglio e Saltinfuori, inumidì la polvere, neutralizzò i razzi di Congreve che sibilavano e portò molti pesci, specialmente lucci, in giro per i vicoli e dentro le cucine: mirabilmente tutti si saziarono, benché i fondachi lungo il Vicolo del Luppolo fossero bruciati - tramonti. Tutto quello che sta bene alla faccia della Vistola, quello che tinge un fiume come la Vistola: tramonti, sangue, fanghiglia e cenere. Che tanto si sarebbero dispersi al vento. Non tutti gli ordini vengono eseguiti; ci sono fiumi che puntano verso il cielo e vanno a sfociare nella Vistola.

SECONDO TURNO

Qui, sul piano della scrivania di Brauxel e lungo la diga di Schiewenhorst, scorre la Vistola, ogni giorno. E sulla diga di Nickelswalde c'è Walter Matern, e digrigna i denti; perché il sole tramonta. Spazzate e vuote convergono le dighe. Soltanto le pale dei mulini a vento, campanili tozzi e pioppi - i pioppi li fece piantare Napoleone per la sua artiglieria - s'incollano ai profili delle dighe. Lui è solo. Il cane, certo. Ma il cane è via, e ora di qua e ora di là. Dietro di lui, già nell'ombra e sotto il livello del fiume, c'è l'isolotto di sabbia chiamato Werder e odora di burro, di ricotta acida, di formaggini, odora balsamico di latte, da far vomitare. Nove anni, a gambe larghe, con le ginocchia rosse e blu come si deve in marzo, Walter Matern sta lì, allarga le sue dieci dita, strizza gli occhi, fa gonfiare tutte le cicatrici della sua testa rapata, che testimoniano di cadute, di pestate, di lacerazioni dovute al filo spinato, fa assumere loro una certa consistenza, digrigna i denti da sinistra verso destra - gli viene dalla nonna - e cerca un sasso.

Sulla diga non c'è neanche un sasso. Ma lui cerca. Bastoni secchi si, ne trova.. Ma un legno secco non si può, contro il vento. E lui vuole, deve, vuole tirare. Se almeno potesse dare un fischio a Senta, che adesso è qua e adesso là, ma invece non fischia, digrigna solo i denti - e questo assorda il vento - e vuol tirare. Se almeno potesse attirare, da lì, dal colmo della diga, a furia di Uhei! Uhei!, lo sguardo di Amsel, ma la sua bocca è piena di quel digrignare e non di Uhei! Uhei! - e tuttavia vuole, deve, vuole, e nemmeno in tasca non ci ha un sasso; invece di solito ce n'ha sempre uno o due in una tasca o nell'altra.

Qui i sassi si chiamano "zellacken." Gli evangelici dicono: zellacken, quei quattro cattolici: zellacken. I menoniti duri: zellacken. Quelli fini: zellacken. Anche Amsel, che spesso fa eccezione, quando parla di un sasso dice zellack; e se Senta va a prendere un sasso, qualcuno le dice sempre: fila a prendere 'n zellack. Kriwe dice zellacken, e Kornelius Kabrun, Beister, Folchert, August Sponagel e la maggiora von Ankum, tutti dicono; e il predicatore Daniel Kliewer di Pasewark dice alla sua comunità di duri e di fini: "Che allora, quella volta lì il piccolo Davide è andato lì, ha tirato sù 'n zellack e dopo gliel'ha tirato, al gigante, al Tullatsch, al Golia..." Perché uno zellack è una pietra maneggevole e grossa come un uovo di piccione.

Ma Walter Matern non ne trova nelle tasche, né in una né. A destra briciole e semi di girasole, a sinistra, in mezzo agli stroppini e ai rimasugli sfrigolanti di cavallette morte - e mentre sopra digrigna, mentre il sole se n'è andato, mentre la Vistola scorre, trascinando via qualcosa del Güttland, qualcosa di Montau, e Amsel chino, e sempre ancora nubi, e mentre Senta contro vento, i gabbiani col vento, le dighe pulite verso l'orizzonte, e mentre lei è via via via - lui trova il suo temperino. Nelle zone orientali i tramonti durano di più che nelle zone occidentali; lo sanno anche i bambini. E lì la Vistola scorre da un cielo verso quello che gli sta di fronte. E già dalla banchina d'attracco di Schiewenhorst si stacca il traghetto a vapore e vuole trasportare obliquamente e mordendo l'acqua controcorrente due vagoni merci della ferrovia a scartamento ridotto fino a Nickelswalde, per metterli sui binari per Stutthof. Nello stesso momento quel pezzo di cuoio che viene chiamato Kriwe volta la sua faccia di cuoio scamosciato fuori dal vento e sbatte gli occhi senza ciglia giù lungo il profilo della diga: un paio di pale che girano e un po' di pioppi, buoni per contare. Ha qualche cosa di rigido negli occhi, che non si piega mica, ma tiene la mano in tasca. E lascia scivolare giù l'occhio dallo spalto: lì sotto c'è una cosa ridicola, rotonda, piegata in giù, di certo intenta a tirare fuori qualche cosa dalla Vistola. È Amsel, in pesca di stracci - stracci per fare poi che cosa? - lo sanno anche i bambini.

Ma il pezzo di cuoio Kriwe non sa che cos'ha trovato nelle sue tasche Walter Matern, che nelle tasche cercava uno zellack. Mentre Kriwe toglie la sua faccia dal filo del vento, il temperino si scalda nella mano di Walter Matern. Questo temperino, glielo ha regalato Amsel. Tre lame, un cavatappi, una seghetta, un uncino, ha. Amsel grassoccio rossiccio e tutto da ridere, quando piange. Amsel pesca nella limaglia lungo il pelo dell'acqua, perché la Vistola, siccome che da Montau fino a Käsemark c'è acqua alta, e nonostante che stia scendendo un dito alla volta, arriva fino al colmo della diga e si trascina dietro cose che prima stavano a Palschau.

Via. Il sole se n'è andato, di là, dietro la diga e si è lasciato indietro un rosso in espansione. E allora - e soltanto Brauxel può saperlo - Walter Matern stringe il pugno sul temperino dentro nella tasca. Amsel è un pochino più giovane di Walter Matern. Senta, che è via lontana e dietro ai topi, è pressappoco nera quanto è rosso il cielo dietro il profilo della diga dalla parte di Schiewenhorst. E lì un gatto vagabondo resta impigliato nel legname vagabondo della piena. I gabbiani si moltiplicano volando: carta–seta stracciata si sgualcisce, viene lisciata, misurata con la tesa; e gli occhi vitrei come le capocchie degli spilli vedono tutto quello che passa via, che si impiglia, che corre, che si ferma o che semplicemente è lì, come le duemila efelidi di Amsel; e vedono anche che lui porta un elmo come quelli che venivano portati prima di Verdun. E l'elmo scivola giù, si sposta indietro sulla nuca, scivola giù un'altra volta, mentre Amsel tira sù dalla limaglia assicelle strappate dalle recinzioni e frasche dei fagioli, e anche stracci pesanti come il piombo: nello stesso momento il gatto si muove, schizza via, si lancia contro i gabbiani. I topi della diga tornano in azione. E il traghetto continua ad avvicinarsi. E passa via un cane morto, giallo, e gira su se stesso. Senta contro vento. Obliquamente e mordendo l'acqua, il traghetto trasporta due vagoni merci. E passa via un vitello, che non vive più. Adesso il vento inciampa, ma non gira. Allora i gabbiani si fermano nell'aria, rabbrividiscono. Adesso Walter Matern - mentre il traghetto, il vento e il vitello e il sole dietro la diga e i topi nella diga e gabbiani sopra un isolotto - ha fuori la mano dalla tasca col temperino, e, mentre la Vistola scorre, l'ha sollevata sù davanti al pullover e, di fronte al rosso in espansione, fa diventare di gesso tutti i suoi ditini.

TERZO TURNO

Tutti i bambini tra Hildesheim e Sarstedt sanno cosa produce la miniera di Brauksel, che sta tra Hildesheim e Sarstedt.

Tutti i bambini sanno perché il reggimento di fanteria centoventotto fu costretto ad abbandonare quell'elmo d'acciaio che adesso porta Amsel, insieme con altri elmi d'acciaio, accanto a un mucchio di uniformi e alcune batterie per fare il gulasch a Bohnsack, quando, nell'anno venti, se ne andò col treno.

Il gatto è già lì un'altra volta. Lo sanno tutti i bambini: non è lo stesso gatto; soltanto i topi non sanno, e i gabbiani non sanno. Il gatto è bagnato bagnato bagnato. E passa via qualche cosa, non è un cane e non è una pecora, è un armadio per vestiti. L'armadio non si scontra col traghetto. E quando Amsel tira fuori dalla limaglia una pertica di fagioli, e il pugno di Walter Matern, stretto attorno al temperino, si mette a tremare, per un gatto c'è la libertà: il mare aperto, che arriva fino al cielo, lo trascina via. I gabbiani si stringono, i topi nella diga entrano in funzione, la Vistola scorre, il pugno stretto intorno al temperino trema, il vento si chiama Nord–ovest, le dighe convergono, il mare spinge tutto quel che ha contro il fiume, ancora e sempre ancora il sole è intento a tramontare, ancora e sempre ancora il traghetto traghetta se stesso e due vagoni merci: il traghetto non si capovolge, le dighe non cedono, i topi non hanno paura, il sole non ne vuol sapere di tornare indietro, la Vistola non ne vuol sapere di tornare indietro, il gatto non ne vuol sapere, i gabbiani non ne vogliono sapere, le nubi non, il reggimento di fanteria non, Senta non vuole tornare tra i lupi, bensì bravabravabrava... Nemmeno Walter Matern non vuol lasciare tornare indietro dentro nella tasca il temperino che Amsel, grosso corto grasso, gli ha regalato; piuttosto, il pugno stretto sul coltello riesce a diventare ancora più di gesso, di una mano in più. E sopra i denti digrignano, da sinistra verso destra. E mentre scorre viene tramonta trascina gira in tondo e aumenta e diminuisce, il pugno stretto intorno al temperino si rilassa, tanto che il sangue, che prima era stato cacciato via, adesso schizza dentro nella mano che ormai è chiusa in modo un po' più elastico: Walter Matern getta indietro il pugno stretto intorno a quell'oggetto diventato caldo, è lì in piedi ormai soltanto su una gamba su un piede sulla punta di un piede, sù cinque dita dei piedi dentro in una scarpa alta, senza calze nella scarpa solleva il suo peso, fa scivolare tutto il suo peso dentro la mano che tiene dietro di sé, non mira, digrigna appena un po'; e in quell'istante scorrente trascinato tramontante perduto - poiché nemmeno Brauchsel può salvarlo, perché ha dimenticato, ha dimenticato qualche cosa - ora, dunque, ora che Amsel solleva lo sguardo dal fradiciume del pelo dell'acqua, e mentre col dorso sinistro della mano si spinge l'elmo di acciaio sulla nuca da una zona delle sue duemila efelidi, verso un'altra zona delle sue duemila efelidi, la mano di Walter Matern è lì lunga davanti, vuota, leggera e mostra appena ancora i segni della pressione di un temperino, che aveva tre lame, un cavatappi, una seghetta e un uncino; e nelle cui cavità c'erano incrostazioni di sabbia di mare, un rimasuglio di marmellata, aghi di pino, farina di corteccia e una traccia di sangue di talpa; il cui valore di scambio sarebbe stato un campanello nuovo di bicicletta; che nessuno aveva rubato e che Amsel aveva comperato coi quattrini che aveva guadagnato nel negozio di sua madre e che poi aveva regalato al suo amico Walter Matern; che l'estate precedente aveva inchiodato sulla porta della baracca di Folchert una farfalla, che nel giro di un giorno, sotto il pontile d'attracco del traghetto di Kriwe aveva colpito quattro topi, e sulle dune, quasi, un coniglio e due settimane prima una talpa, prima che Senta riuscisse a beccarla. Inoltre la superficie interna della mano mostra i segni della pressione del medesimo temperino con cui Walter Matern e Eduard Amsel, quando avevano otto anni e avevano provato il bisogno di fondare una fratellanza del sangue, si erano praticati un'incisione nel braccio, perché gliel'aveva raccontato Kornelius Kabrun, che era stato nel sud–ovest tedesco e la sapeva lunga sopra gli ottentotti.

QUARTO TURNO

Nel frattempo - perché mentre Brauxel porta in luce il passato di un temperino, e il medesimo temperino, oggetto lanciato, ubbidisce alla forza del lancio, alla forza del vento che gli soffia contro e alla propria forza d'inerzia, rimane tempo abbastanza, tra un turno e un altro turno, per registrare una giornata di lavoro e dire nel frattempo - nel frattempo, dunque, Amsel si era spinto indietro sulla nuca, col dorso della mano, il suo elmo d'acciaio. Scavalcò con lo sguardo lo spalto della diga, con lo stesso sguardo colse il lanciatore, inviò lo sguardo dietro all'oggetto lanciato; e il temperino, afferma Brauxel, nel frattempo ha raggiunto quel punto terminale che si dà ad ogni oggetto proiettato 'verso l'alto, ha raggiunto, mentre la Vistola scorre, il gatto è trascinato via, il gabbiano stride, il traghetto arriva, mentre la cagna Senta è nera e il sole non la finisce mai di tramontare.

Nel frattempo - perché quando un oggetto lanciato raggiunge quel punticino oltre il quale comincia la caduta, rabbrividisce per un attimo, simula il silenzio - mentre dunque il temperino se ne sta fermo lassù, Amsel strappa via lo sguardo da quel punticino oggetto e di nuovo - e già il temperino cade rapido, beccheggiando, perché più esposto al vento contrario, verso il fiume - guarda attento il suo amico Walter Matern, che è ancora lì in bilico col calcagno e le punte delle dita dei piedi senza calze dentro la scarpa alta, la mano destra alzata e lontana da sé, mentre il suo braccio sinistro trema e cerca di mantenerlo in equilibrio.

Nel frattempo - poiché mentre Walter Matern è in bilico su una gamba ed è preoccupato del suo equilibrio, mentre la Vistola e il gatto, i topi e il traghetto, la cagna e il sole, mentre il temperino cade verso il fiume, nella miniera di Brauchsel è cominciato il primo turno, il turno di notte è finito e se ne va sulle biciclette, e mentre il custode del guardaroba ha chiuso a chiave il guardaroba, e mentre i passeri in tutte le grondaie hanno cominciato il giorno... Quel giorno Amsel riuscì, con un breve sguardo e il richiamo che subito lo seguì, a far perdere a Walter Matern l'equilibrio conservato per un pelo. È vero che il ragazzino sul colmo della diga di Nickelswalde non arrivò a cadere, ma finì per barcollare e torcersi a un punto tale che perse di vista il temperino, prima che toccasse la corrente della Vistola e che si rendesse invisibile.

"Uhei, digrignatore," grida Amsel. "Hai poi un'altra volta digrignato coi tuoi denti e butti sempre via così le robe?" Walter Matern, che qui viene apostrofato in quanto digrignatore, è lì in piedi con le gambe larghe e le ginocchia tese e che si sfrega la superficie interna della mano, che mostra ancora sempre bello netto il profilo di un temperino in negativo.

"L'hai ben visto che ho dovuto buttarlo giù lì, cos'è che mi domandi." "Però hai mica tirato 'n zellack!" "Mhm, se qui non ce n'è neanche uno di zellack." "E allora cos'è che tiri se non ci hai neanche 'n zellack?" "Ma se ce l'avevo qui 'n zellack allora si che tiravo col zellack." "Ma che se lo dicevi a Senta te lo portava ben sù 'n zellack." "Quando è dopo sono buoni tutti di dire che se glielo dicevi lì a Senta. Prova tu a dircelo a una cagna che intanto è in giro che corre dietro ai topi." "Ma con cosa è che hai poi tirato se non ce lo avevi mica lì 'n zellack?" "Cos'è che c'hai sempre di domandare? Ho tirato con una cosa così. Hai ben visto, no?" "Hai tirato col mio cortellino." "Ma va' col tuo cortellino. Un regalo è un regalo, no? E se ce lo avevo qui 'n zellack, non ci tiravo mica col cortellino, ci tiravo col zellack." "Ma potevi ben dirmelo giù, no?, che bastava poi una parola, se stai lì e non trovi mica neanche 'n zellack te ne buttavo ben su un qualcuno, che qui ce ne è fino che vuoi." "Ma stai sempre lì a parlare e a rognare che adesso tanto è via." "Ma magari ne ricevo un altro cortellino per l'Ascensione." "Ma io non lo voglio neanche, un altro cortellino." "Ma però quando te lo do poi, vedi che poi lo prendi." "Scommessa che no?" "Scommessa che sì che lo prendi." "Scommessa?" "Scommessa!" Allora scommettono con un colpo dei palmi della mano: ussari sotto una lente d'ingrandimento, perché Amsel allunga sù verso la diga la mano con tutte le sue efelidi, e Walter Matern allunga giù la mano con i segni del temperino e stringendogli la mano tira sù Amsel sul colmo della diga.

Amsel resta amichevole: "Sei proprio fatto come la tua nonna dentro nel mulino. Che è sempre lì che sgrignola coi tre denti che c'ha in bocca. È solo a tirare che non è buona. Ma in cambio dopo ti mena un po' col cucchiaione." Sulla diga, Amsel è un po' più piccolo di Walter Matern. E mentre parla, indica col pollice da sopra la schiena nella direzione in cui, dietro la diga, giacciono il villaggio di Nickelswalde, raccolto su due file lungo la strada, e il mulino a vento dei Matern. Amsel tira sù lungo lo spalto della diga un voluminoso fascio di listelle da capriata, di frasche per i fagioli, e stracci spremuti. Di continuo il dorso della mano è costretto a tirar sù l'orlo anteriore del suo elmo d'acciaio. Il traghetto ha attraccato al pontile di Nickelswalde. Si sentono i due vagoni merci. Senta diventa più grande, più piccola, più grande, si avvicina nera. Di nuovo passa via bestiame morto di piccola stazza. La Vistola scorre a spalle larghe. Walter Matern si avvolge la mano destra col lembo inferiore, tutto sbrindellato, del suo pullover. Senta è in piedi su quattro zampe in mezzo ai due. La lingua le pende giù sulla sinistra e vibra. Ha gli occhi fissi su Walter Matern, perché lui coi denti. Ce l'ha dalla nonna, che per nove anni inchiodata nella sedia e soltanto coi bulbi degli occhi.

Adesso si allontanano: di statura diversa sul colmo della diga, contro il pontile d'attracco del traghetto. La cagna, nera. Un mezzo passo davanti: Amsel. Subito dietro: Walter Matern. Si tira dietro lo stracciame di Amsel. Dietro il fagotto l'erba si raddrizza lentamente, mentre lungo la diga i tre diventano sempre più piccoli.

QUINTO TURNO

Brauksel dunque, come previsto, si è chinato sulla carta, e mentre gli altri cronisti, come lui ed entro il termine previsto, si sono chinati sul passato e hanno cominciato con lo scrivere, si è fatto scorrere la Vistola. Si diverte ancora a ricordare con precisione: molti e molti anni fa, quando il bambino venne al mondo ma non sapeva ancora digrignare i denti perché era venuto al mondo senza denti come tutti i bambini, la nonna Matern sedeva inchiodata in una sedia nella stanza di sopra e da nove anni non poteva far altro che muovere i bulbi degli occhi e barbugliare sbavando.

La stanza di sopra stava sopra la cucina, aveva una finestra che dava nello stanzone della dipendenza e dalla quale era possibile osservare il lavoro delle serve, aveva una finestra che dava sul dietro verso il mulino a vento dei Matern, che stava lì con la coda attaccata al basamento per girare, e quindi era un mulino a vento originale; tale era già da ben cento anni. I Matern l'avevano fatto costruire nell'anno milleottocentoquindici, poco dopo la conquista della città e della fortezza di Danzica da parte delle armi russe e prussiane vittoriose; August Matern, il nonno della nonna inchiodata nella sedia, era riuscito, durante l'assedio, molto lungo e condotto senza convinzione, a montare un doppio affare: da un lato, contro buoni talleri della Convenzione, in primavera si era messo a produrre scale per l'assalto; d'altra parte in cambio di talleri ornati dalla foglia e di valuta ancora più pregiata del Brabante, riuscì a far sapere, mediante letterine introdotte di contrabbando, al generale, conte d'Heudelet, che era ben strano che già in primavera, quando non c'erano ancora mele da raccogliere, i russi si fossero dati a far costruire scale in grandi quantità.

Quando finalmente il governatore, il conte Rapp, aveva firmato l'atto di capitolazione della fortezza, nella remota Nickelswalde August Matern contò le specie danesi e i pezzi da due terzi, i rubli il cui corso era in rapida ascesa, i marchi amburghesi, i talleri con la foglia e i talleri della Convenzione, il sacchetto di fiorini olandesi oltre che le banconote di Danzica stampate di fresco, si trovò ben provvisto e si diede ai piaceri della ricostruzione: il vecchio mulino in cui si diceva che avesse pernottato, dopo la sconfitta della Prussia, la regina Luisa, quel mulino storico le cui pale, prima in occasione di un attacco danese dalla parte del mare, poi in occasione dello scontro notturno col corpo dila gante di volontari del Capitaine de Chambure, avevano molto sofferto, lui lo fece demolire, tutto salvo il basamento che aveva il legno ancora buono, e sul vecchio basamento costruì quel nuovo mulino che se ne stava ancora sempre con la coda attaccata al basamento quando la nonna Matern fu inchiodata immobile dentro la sua sedia. Qui, prima che sia troppo tardi, Brauxel intende aggiungere che August Matern, coi suoi mezzi ottenuti in parte con fatica e in parte facilmente, non si limitò a far costruire il nuovo mulino a vento, ma che regalò anche alla cappelletta di Steegen, dove c'erano cattolici, una Madonna, la quale non mancava, certo, di lamine d'oro ma non suscitò pellegrinaggi degni di rilievo né fece miracoli.

Il cattolicesimo della famiglia Matern dipendeva, come si conviene a una famiglia di mugnai, dal vento, e poiché sul Werder tirava sempre un'arietta utilizzabile, quest'arietta passava anche tutto l'anno sul mulino dei Matern e li induceva ad astenersi da una frequentazione eccessiva, e irritante per i menoniti, della chiesa. Soltanto i battesimi dei bambini e i funerali, le nozze e le feste solenni trascinavano a Steegen una parte della famiglia; una volta all'anno inoltre, in occasione della grande processione del Corpus Domini, a Steegen, venivano impartite al mulino, al basamento con tutti i suoi cavicchi, al fuso delle ali come alla tramoggia, al grande perno del mulino come alla coda, ma specialmente al complesso delle pale, benedizioni ed acqua santa; un lusso che i Matern non avrebbero mai potuto permettersi in villaggi abitati dai menoniti duri, come Junkeracker e Pasewark. I menoniti del villaggio di Nickelswalde, tuttavia, che piantavano tutti frumento sul terreno pingue del Werder e che quindi erano in rapporto col mulino cattolico, si rivelarono menoniti della specie fina, e avevano quindi bottoni, occhielli e vere tasche, capaci di contenere qualche cosa. Soltanto il pescatore e piccolo coltivatore Simon Beister era un genuino menonita di quelli con asole e gancetti, duro e senza tasche; per questo, sopra la baracca per la barca, era fissata una targa di legno, con sopra un'iscrizione tutta contorta:

Con le asole e i cappini: il buon dio lo salverà.

Con le tasche e i bottoncini il demonio lo dannerà.

E così Simon Beister era l'unico abitante di Nickelswalde che non faceva macinare il suo frumento nel mulino cattolico, bensì in quello di Pasewark. Eppure, nonostante questo, non dev'essere stato lui che nell'anno tredici, poco prima dello scoppio della grande guerra, indusse un vaccaro rovinato ad appiccare il fuoco, con ogni genere di micce, al mulino a vento dei Matern. Crepitava già sotto il basamento e sotto la coda quando Perkun, il giovane cane pastore del garzone mugnaio Pawel, "che tutti chiamavano Paulchen, tutto nero e con la coda tesa orizzontale, si mise a tracciare cerchi sempre più stretti intorno alla collinetta, al basamento e al mulino, e con un abbaiare secco tirò fuori dal mulino il garzone mugnaio e il suo padrone.

Pawel, o Paul, si era portato dietro la bestia dalla Lituania, e a richiesta mostrava anche una specie di pedigree, da cui tutti potevano dedurre che la nonna di Perkun era stata, per parte paterna, una lupa lituana, russa o polacca.

E Perkun generò Senta; e Senta partorì Harras; e Harras generò Prinz; e Prinz fece storia... Ma all'inizio è sempre ancora la nonna Matern che siede inchiodata nella sedia e può muovere soltanto i bulbi degli occhi. Inoperosa, è costretta a guardare come la nuora in casa, come il figlio nel mulino, come la figlia Lorchen col garzone. Ma il garzone viene a prenderselo la guerra, e alla Lorchen gli impazzisce la testa: per tutto il tempo, in casa, nell'orto, nel mulino, sulle dighe, in mezzo alle ortiche dietro la baracca di Folchert, davanti e dietro le dune, a piedi nudi sulla riva e in mezzo alle more del sottobosco della riva, è in giro che cerca Paulchen - di cui non si riuscirà mai a sapere se furono i prussiani o se furono i russi a farlo scomparire sotto terra. Soltanto il cane Perkun accompagna la ragazza che invecchia dolcemente e con la quale ha in comune lo stesso padrone.


SESTO TURNO