LA VIOLENZA NEL MONDO
NO VAX
(Jacopo Iacoboni su Twitter)
Di seguito viene riportato l'estratto del capitolo 12 del libro "L'esperimento", in cui questo antivaccinismo feroce viene descritto nelle sue premesse ideologiche (Grillo e il M5S ymolto prima di Trump), anche se non era ancora sfociato in atti di singoli violenti.
L'ESPERIMENTO
Jacopo Iacoboni
Estratto
12.
Vaccini. Grillo prima di Trump
Beppe Grillo sul blog chiamava Umberto Veronesi «Cancronesi». Una senatrice del Movimento, Paola Taverna, che prima di essere eletta era impiegata in un laboratorio di analisi, illustrò in aula una mozione per ridurre le sperimentazioni su animali di cure contro il cancro, discutendo di metodologia scientifica e suscitando le ire della scienziata Elena Cattaneo. In un post diventato storico sul blog del comico – quando ancora il Movimento non era nato – si misero in relazione i vaccini obbligatori somministrati ai bambini con la crescita dell’autismo nel mondo. Sul sito della Casaleggio furono pubblicizzate cure alternative antitumore: si cliccava e compariva un limone. Il dottor Franco Di Bella e il suo celebre metodo – mai dimostratosi fondato, e sostanzialmente ignorato dall’intera comunità scientifica – e poi suo figlio, furono salutati come «scienziati tenuti ai margini dalle lobby della comunità scientifica e dalle case farmaceutiche». Luigi Di Maio, già in corsa per candidarsi a premier per i Cinque stelle, pescato dai giornali a incontrare vari lobbisti in un processo di accreditamento personale con diversi poteri italiani (nel gruppo parlamentare tantissimi dei Cinque stelle non ne sapevano nulla), scrisse su Facebook che lui non ce l’aveva con le lobby, ma solo con alcune: «Io non ce l’ho con le lobbies. Esiste la lobby dei petrolieri e quella degli ambientalisti, quella dei malati di cancro e quella degli inceneritori. Il problema è la politica senza spina dorsale, che si presta sempre alle solite logiche dei potentati economici decotti». Dove anche il linguaggio, la frase spericolata sulla «lobby dei malati di cancro», riassumeva inconsapevolmente gli effetti di anni di propaganda e disinformazione.
Una delle scene che mi colpirono di più dell’intera vicenda del Movimento fu al secondo Vaffa-day, in piazza San Carlo a Torino, il 25 aprile 2008. In un pezzo di Torino c’era la piazza Castello dei partigiani che ricordavano la Liberazione, composti, commoventi, anziani; in un altro pezzo questi giovani e giovanissimi che allora sembravano dei figli solo un po’ insofferenti verso i partiti della sinistra e quelle che apparivano loro ormai delle mere liturgie commemorative. Sul palco a un certo punto salì un tal professor Paul Connett, «luminare dell’Università di New York», così fu presentato da Grillo, e iniziò ad attaccare il medico del San Raffaele (che Grillo appunto aveva definito, pochi istanti prima, «Cancronesi»). In quel caso Veronesi era reo di aver sostenuto che gli inceneritori hanno un rischio cancro zero. E così Connett arringò: «Veronesi should get down on his knees and apologize», avrebbe dovuto chiedere perdono in ginocchio. Ci fu un boato impressionante della folla, come nella sala delle sedute dal santone ne La possibilità di un’isola, il romanzo di Michel Houellebecq che racconta di una setta pseudoreligiosa che officia alle Canarie i suoi riti antimoderni. Connett, il luminare, cominciò a cantare prima e poi, quasi rabdomantico, a ondulare, mimando la musica di Another Brick In The Wall dei Pink Floyd, ma cambiando le parole: «we don’t want, in-ce-ne-ri-to-re». Pareva il predicatore nemico di Daniel Day-Lewis nel Petroliere. La folla prese a muoversi al ritmo di questo rito oscurantista.
Nella primavera del 2017 il blog di Grillo attaccò il «New York Times», che aveva semplicemente definito antivaccinista il Movimento, cogliendo l’analogia con quanto stava avvenendo negli Stati Uniti del dopo Obama. Il comico s’infuriò e denunciò la «bufala internazionale». Alla Casaleggio non importava assolutamente nulla che in giro esistessero decine di frasi, dichiarazioni, testi ufficiali che andavano in quella direzione. Farne una rassegna completa sarebbe impossibile. In un post sul blog di Grillo dell’aprile 2007 leggiamo per esempio: «Un bambino su 150 soffre di autismo. Venti anni fa solo uno su 2000. Gli scienziati attribuiscono la crescita all’inquinamento ambientale, alimentare e da vaccini e farmaci. I pediatri non dispongono di strumenti efficaci per diagnosticare l’autismo, e le vere cause non vengono combattute». Titolo: L’epidemia dell’autismo. Una senatrice (sempre Paola Taverna) spiegò intervistata in tv: «Una sentenza dice che il vaccino può causare l’autismo». Una proposta di legge, firmata da deputati Cinque stelle il 12 febbraio 2014 (Corda, Rizzo, Artini, Basilio, Tofalo, Paolo Bernini, Frusone, Cecconi, Baroni, Dall’Osso, Giulia Grillo, Mantero) voleva istituire un «eventuale diniego dell’uso dei vaccini per il personale della pubblica amministrazione», citava analoga sentenza ed è un testo intriso di ideologia antivaccinista. A volte l’antivaccinismo nel Movimento si traveste – specie nella fase attuale – da invito alla «farmacovigilanza». Il M5S nel parlamento europeo, nell’ottobre 2015, sostenne ufficialmente la tesi che «una vaccinazione di massa obbligatoria è un regalo alle multinazionali farmaceutiche ed è quanto di più lontano ci possa essere da un approccio appropriato»; e insomma, «vaccinare meno, vaccinare meglio».
Si può pensare che sia Grillo, e non la Casaleggio, ad ispirare queste posizioni. Ma decine di testi del genere compaiono poi nei siti dell’azienda che guida l’esperimento. Per esempio su «La Fucina», sito della Casaleggio Associati, un post rimasto storico fu intitolato: Vaccini, è scesa la censura. Vi compare uno dei tanti video di Giuseppe Di Bella, il figlio di Franco, che fa tirate contro «determinati soggetti che gestiscono il potere medico, e gestiscono le carriere universitarie, il successo, il prestigio, la notorietà, anche internazionale di determinati soggetti». Di Bella dice che costoro «si sono lamentati perché in Italia fanno pochi vaccini, però non hanno considerato la quantità documentatissima di danni gravissimi, di bambini autistici, di cui non bisogna parlare. Se c’è lo choc immunitario dei vaccini polivalenti, addirittura sei in una volta, per bambini piccoli, piccolissimi, ecco, non se ne deve parlare». Facendo qualche tracciatura su Internet è facile vedere che questo link è stato cliccato tanto, nella cyberpropaganda pro M5S. E così, qualche tempo dopo la pubblicazione di due articoli di giornale, sul «New York Times» e sulla «Stampa», pagina e video antivaccinista sono stati rimossi dalla Casaleggio Associati dal sito della Fucina (l’indirizzo originario era questo: http://www.lafucina.it/2015/03/16/medico-e-paziente/): naturalmente ne restano tutte le tracce su webarchive.org, e di ogni cosa esistono gli screenshot. Ma la propensione di quel mondo a cancellare episodi imbarazzanti ne risulta confermata, elevata e preoccupante.
Per anni questa propaganda ha fatto camminare video in cui si pubblicizzava ogni sorta di teoria «contro», un mercato della pubblica creduloneria: contro le aziende farmaceutiche, contro «i colossi sanitari», contro il buonsenso. Un cortocircuito tra la vita del comico e quella di un’agenzia di web marketing interessata alle evoluzioni dell’ecommerce. Il genere tirava. Poi tutto è diventato politica. Disse Marco Canestrari, ex dipendente della Casaleggio, alla «Stampa»: «Sono diventati la voce del nuovo oscurantismo. Come gli antivaccinisti che attirano i clic sui siti. Al ministero della Salute ci mandiamo un antivaccinista? È un sistema che allontana le competenze e attira i ciarlatani». Anche qui gli esempi sono tantissimi.
In Lombardia si vota la norma sui vaccini obbligatori per accedere ai nidi: il M5S vota contro. In Emilia Romagna si vota una regola analoga e il M5S appoggia i comitati no vax. Nel Lazio un consigliere regionale fa battaglie tipo: «Come mai in molti paesi non ci sono vaccini obbligatori e nonostante questo non ci sono epidemie di massa? Mah» (Davide Barillari, aprile 2017). Un tempo Grillo le sparava per far ridere. Come nella tirata del suo show Apocalisse morbida, che cominciava con «il principio del vaccino è: prendi un bambino sano, col suo sistema immunitario perfetto, e gli inoculi un virusino...». Un giorno, però, Grillo disse che anche il M5S era... un virus.
Molte volte, di fronte alle prese di posizione apparentemente più assurde e potenzialmente anche suicide del paziente zero dell’esperimento, Beppe Grillo, e del suo mentore Gianroberto Casaleggio, mi sono chiesto se non nascessero da ragioni commerciali, molto più che politiche. Una volta, racconta Nicola Biondo, nell’ufficio comunicazione del Movimento alla Camera domandarono a Pietro Dettori – il braccio destro di Davide Casaleggio, il dipendente che da sempre ha tenuto i social di Grillo e spessissimo gestito materialmente il blog – per quale motivo spingesse così tanto Vladimir Putin nel loro network web e social. La risposta fu: «Che ti frega, Putin tira». Se questi erano i ragionamenti medi dentro la casa madre, non è possibile escludere che allo stesso modo sia andata coi vaccini, i tumori, le mammografie, il suggerimento di cure improbabilissime o sballate teorie new age: tiravano. Quando intraprendi un esperimento in cui ecommerce, politica e formazione del consenso si fondono strutturalmente, è abbastanza normale che tu finisca influenzato da chi fa fare più clic al tuo portale. È come se Wanna Marchi si applicasse a una politica resa virale. Ecco perché in pochi hanno compreso qual è il vero senso del cosiddetto oscurantismo grillino in scienza: un capitolo del conflitto d’interessi azienda-partito. Il motto che si rivedrà in network come RT, finanziato dal Cremlino («question more», dubita di più), o in Breitbart, il sito della alt-right (destra alternativa) gestito da Steve Bannon, il consigliere anziano di Donald Trump alla Casa Bianca, «tutto quello che vi hanno sempre raccontato è falso», è una delle più grandi spinte, apparentemente dal basso ma in realtà quasi sempre gestite dall’alto, per vendere verità alternative: ossia, una merce. Che ha un mercato, dunque un valore. In questa concezione dei rapporti politici, lo scandalo, la frase riprovevole o scioccante di Grillo, è sempre stato qualcosa a metà strada tra il rischio calcolato e il semplice ma ininfluente sbaglio di un accento: ininfluente perché non danneggiava affatto le vendite del prodotto, anzi.
Un esempio su tutti può far vedere chiaramente una dinamica. Grillo nel maggio del 2015 disse una frase tristemente famosa: «Pubblicizza le mammografie, ripete di continuo alle donne di farle: probabilmente Veronesi parla così per avere sovvenzioni per il suo istituto. Dicono che bisogna fare una mammografia ogni due anni e le donne la fanno perché si informano male, leggono Donna Letizia, del resto la differenza di mortalità tra chi la fa e chi non si sottopone alla mammografia ogni due anni è di due su mille. Certo è qualcosa, ma comunque pochissimo». C’è da dubitare che se ne sia mai pentito; anzi, fu solerte nel prendersela, dopo, con i giornali che l’avevano mal riportato. Due obiettivi in un colpo solo: minare la scienza ufficiale, e screditare una volta di più i giornali mainstream. Che cosa può importare, a chi si muove dentro questa logica alternativa – che verrà poi teorizzata dalla consigliera per i media di Trump, la geniale Kellyanne Conway che coniò l’espressione «alternative facts» – la circostanza che quei «fatti» siano smentiti da chiunque li abbia studiati, o possieda l’autorevolezza per smontarli? Più che i fatti, a Gianroberto Casaleggio è sempre importato il tema della «reputazione»: «La Rete distruggerà chi perde la reputazione». E loro si erano dotati da tempo di uno strumento per distruggerla che andava al di là dei fatti. Vero, falso? «Sarà la Rete a deciderlo».
Perciò Elena Cattaneo, la scienziata nominata senatrice a vita da Giorgio Napolitano, colse sì un aspetto razionale della cosa: «Cosa diranno i nostri figli o nipoti e gli storici quando, leggendo i dibattiti parlamentari, scopriranno che alcuni hanno lavorato per determinare il peggioramento delle loro condizioni di salute ed economiche?». Ma nella logica dell’esperimento – che è quella dentro cui bisogna mettersi per provare a capire la storia che stiamo raccontando – era un’obiezione del tutto irrilevante. Perciò innocua per i suoi destinatari.
Osservata adesso, la campagna antivaccinista nel mondo del Movimento 5 Stelle è stata una delle armi incredibilmente anticipatrici, nel panorama dei populismi autoritari nel mondo. Il blog mette in correlazione vaccini e autismo dal 2007, almeno. Donald Trump ci arrivò sette anni dopo, circa.
Il 28 marzo 2014 – quasi tre anni prima di essere eletto presidente – twittava: «Un giovane in salute va dal dottore. Viene pompato con iniezioni massicce di così tanti vaccini, non si sente bene, e cambia – AUTISMO. Quanti casi!». Era, testualmente, la frase d’esordio del vecchio spettacolo di Grillo che abbiamo citato sopra, Apocalisse morbida.
Nell’agosto del 2015 «Wired» pubblicò una ricerca anticipatrice di due scienziati dei dati, Renée DiResta e Gilad Lotan, che mostrava la forte correlazione e centralizzazione di tre grandi cluster su Twitter – aggregazioni e condensazioni più o meno organizzate di diversi nodi, dotati di tantissime connessioni – attorno a tre temi: «antivaccinismo», «autismo», «mondo conservatore». Una correlazione e livelli di connessione così organici facevano ritenere ai due analisti la presenza di un’organizzazione dietro – magari composta da diversi soggetti. Era successo che, nel dicembre del 2014, in California si era votato se tornare alla obbligatorietà di alcuni vaccini – anche in seguito a un aumento preoccupante di alcune malattie che sembravano fino a quel momento in diminuzione nella popolazione americana. La campagna antivaccinista, ancora esigua numericamente, si scatenò, lì e in altri stati dove si sarebbe votato un analogo testo, usando Twitter, soprattutto, e Facebook. Si organizzò da principio attorno a un hashtag – #cdcwhistleblower – che faceva riferimento a una teoria complottista secondo la quale il Cdc, il Center for Disease Control and Prevention (il Centro per la prevenzione e il controllo delle malattie) stava nascondendo informazioni che avrebbero provato scientificamente un legame tra vaccino del morbillo e autismo nei ragazzi afroamericani. L’oscurantismo viaggiava già completamente fuso al razzismo e alla xenofobia, in questa variante nordamericana della storia. Nella campagna furono coinvolti attivamente su Twitter alcuni hub (nodi cruciali) di celebrità come appunto Donald Trump, che forse faceva le prove generali dell’ingegnerizzazone della futura campagna social per le elezioni americane, e Rob Schneider. Fu reclutato Andrew Wakefield, autore del fraudolento studio sulla presunta, e ovviamente falsa correlazione tra vaccino e autismo. Solo tra il 18 agosto e il 1° dicembre del 2014 si registrarono su Twitter 250mila tweet che ruotavano attorno all’hashtag #cdcwhistleblower. Di questi, 63.555 venivano da appena dieci account antivaccinisti assai prominenti, e profilati dentro una rete che era stata costruita a monte. Gli organizzatori di questa rete – che non aveva un aspetto casuale, osservata a valle – cominciarono poi a diffondere, usando YouTube, dei «Trends and Tips» (TaTips), ossia delle istruzioni su quali tweet spingere per far decollare la campagna. Spiegarono poi – usando anche mailing list, messaggi diretti su Twitter, oppure chat private – come ottimizzare la Seo, la ricerca sui motori, indirizzandola sui siti che mettevano più in questione l’utilità e la sicurezza dei vaccini.
Sono ancora visibili almeno 150 di questi video, e sono davvero istruttivi – anche se in un senso un po’ diverso dall’istruzione per la quale erano stati pensati. In uno di questi Dana Gorman, una delle leader antivacciniste, inoculava nel pubblico l’idea che il punto centrale fosse questo: che i genitori imparassero a mettere in questione tutto; anche i medici. «Question more».
Fu fatto decollare un altro hashtag, #sb277, che teneva il conto delle deroghe alla vaccinazione obbligatoria. Il coordinamento coinvolse tanti gruppi e soggetti, anche ben finanziati, a volte (come il Canary Party e il Nvic, il National Vaccine Information Center). Furono usati telefoni, sms, mail, persino fax; non c’è una particolare evidenza, attenzione, di automazione o uso di bot. La propaganda web più efficace, se può, riesce a evitarli, producendo una mobilitazione apparentemente spontanea, in realtà gestita da pochi gruppi, e «umana», non robotica.
L’antivaccinismo nel Movimento 5 Stelle non ci interessa solo per il generico ritorno al Medioevo cui può far pensare, ma perché delinea la palestra dentro la quale l’esperimento di Gianroberto Casaleggio ha fatto un salto di qualità impressionante, divenendo un’arma assai fuori dai confini italiani, per tantissimi attori che – potenza del caso – si stavano indirizzando verso la stessa cassetta degli attrezzi: una studiata, pericolosa cyberpropaganda.