domenica 5 aprile 2020


APRILE IL PIÙ CRUDELE DEI MESI

T.S. Eliot

 Aprile, il più crudele dei mesi – con questo verso famoso Thomas Stearns Eliot apre La terra desolata (1922). Ma come, aprile non è piuttosto il mese della rinascita dopo il duro inverno, dopo il lungo sonno della natura, il primo mese della primavera?  Perché allora è il più crudele?
Perché – risponde il secondo verso – mescola memoria e desiderio. Che qui stanno per passato e futuro. E così facendo, snida dal paradossale confort dell’inverno, da quella stagione fredda della vita minima che però – scrive Eliot – ci mantiene al caldo, al riparo dal rischio dell’azione, della partenza, del movimento. Con aprile fanno irruzione insieme memoria, cioè tempo, e desiderio.

 “April is the cruelest month, breeding
Lilacs out of the dead land, mixing
Memory and desire, stirring
Dull roots with spring rain.
Winter kept us warm, covering
Earth in forgetful snow, feeding
a little life with dried tubers”. 

Evidente anche il richiamo al Prologo dei Canterbury Tales di Chaucer: “When in April the sweet showers fall / That pierce March’s drought to the root and all / And bathed every vein / in liquor that has power / To generate therein and sire the flower”.  


 Aprile è il più crudele dei mesi, genera
Lillà da terra morta, confondendo
Memoria e desiderio, risvegliando
Le radici sopite con la pioggia della primavera.
L’inverno ci mantenne al caldo, ottuse
Con immemore neve la terra, nutrì
Con secchi tuberi una vita misera.
L’estate ci sorprese, giungendo sullo Starnbergersee
Con uno scroscio di pioggia: noi ci fermammo sotto il colonnato,
E proseguimmo alla luce del sole, nel Hofgarten,
E bevemmo caffè, e parlammo un’ora intera.
Bin gar keine Russin, stamm’ aus Litauen, echt deutsch.
E quando eravamo bambini stavamo presso l’arciduca,
Mio cugino, che mi condusse in slitta,
E ne fui spaventata. Mi disse, Marie,
Marie, tieniti forte. E ci lanciammo giù.
Fra le montagne, là ci si sente liberi.
Per la gran parte della notte leggo, d’inverno vado nel sud.

Quali sono le radici che s’afferrano, quali i rami che crescono
Da queste macerie di pietra? Figlio dell’uomo,
Tu non puoi dire, né immaginare, perché conosci soltanto
Un cumulo d’immagini infrante, dove batte il sole,
E l’albero morto non dà riparo, nessun conforto lo stridere del grillo,
L’arida pietra nessun suono d’acque.
C’è solo ombra sotto questa roccia rossa,
(Venite all’ombra di questa roccia rossa),
E io vi mostrerò qualcosa di diverso
Dall’ombra vostra che al mattino vi segue a lunghi passi, o dall’ombra
Vostra che a sera incontro a voi si leva;
In una manciata di polvere vi mostrerò la paura.