IL SETTIMO SIGILLO
Ingmar Bergman
Indice
IL SETTIMO SIGILLO 1
I 3
II 5
III 7
IV 11
V 13
VI 15
VII 17
VIII 18
IX 20
X 22
XI 24
XII 27
XIII 31
XIV 37
XVII38
XVIII39
XX43
XXI44
XXII45
XXIII47
XVII38
XVIII39
XX43
XXI44
XXII45
XXIII47
I
È l'alba di una fredda giornata nordica. Nel cielo ingombro di nuvole grigie e opache un falco sorvola la scogliera in cerca della preda che la natura gli ha promesso. Una preda viva e calda, non le carogne putrefatte di cui si accontentano i corvi. Sfrutta il vento e le correnti d'aria come per risparmiare le forze perché forse la caccia sarà ancora lunga. Sotto di lui le onde che si frangono sugli scogli recitano all'infinito il loro messaggio ritmato.
QUANDO L'AGNELLO APERSE IL SETTIMO SIGILLO
NEL CIELO SI FECE UN SILENZIO DI CIRCA MEZZ'ORA E VIDI I SETTE ANGELI CHE STAVANO DINANZI A DIO E FURONO LORO DATE SETTE TROMBE.
Il cavaliere dorme sulla spiaggia sassosa come un naufrago rigurgitato dal mare in tempesta. Al suo fianco una preziosa scacchiera coi pezzi ancora disposti nella posizione della partita interrotta.
Pur nel sonno brandisce la spada. Senza quella precauzione ora sarebbe solo polvere nella polvere.
L'insegna sulla tunica ci dice che è un crociato, ma più ancora ce lo dice il suo abbandono, come solo si osserva in chi ha molto cavalcato e ancor più combattuto e ucciso.
Pochi metri più in là, i piedi lambiti dalla risacca, dorme lo scudiero, anch'egli brandendo un'arma, mentre sul bagnasciuga le due cavalcature attendono tranquille.
Ora il cavaliere ha aperto gli occhi e fissa pensoso l'orizzonte.
Il sole è una pallida luce che spunta faticosamente dalla distesa schiumosa e plumbea del mare.
Lo scudiero si rigira sui sassi. Cerca una posizione più comoda su quel duro giaciglio e volge al cielo la fronte solcata da una lunga cicatrice chiara, ricordo del ferro saraceno.
Il cavaliere è entrato nell'acqua e si sta rinfrescando il viso e il collo, come se volesse lavar via gli incubi della notte, del viaggio, della vita.
Quindi torna al suo giaciglio, si inginocchia, giunge le mani, prega.
Non ci è dato sapere se ringrazi Dio per averlo conservato in vita, o se gli chieda aiuto per un qualche segreto proposito di vendetta.
È ora di rimettersi in cammino.
Ha aperto il sacco per riporvi le sue cose quando una figura gli si fa incontro, pallida, spettrale, avvolta in un lungo mantello nero.
«Chi sei tu?» chiede il cavaliere, la voce ferma e pacata, ormai senza paura.
«Sono la Morte.» risponde la figura col mantello.
«Sei venuta a prendermi?»
«È già da molto che ti cammino a fianco.»
«Me n'ero accorto.»
«Sei pronto?»
«Il mio spirito lo è, non il mio corpo.»
Il cavaliere s'è alzato in piedi a fronteggiare meglio il suo potente interlocutore.
La Morte avanza e dispiega il mantello come se fossero ali.
«Dammi ancora del tempo.»
«Tutti lo vorrebbero. Ma non concedo tregua.»
«Tu giochi a scacchi, non è vero?»
«Come lo sai?»
«Lo so. L'ho visto nei quadri, lo dicono le leggende.»
«Sì, anche questo è vero, come è vero che non ho mai perduto un gioco.»
«Forse anche la Morte può commettere un errore.»
«Per quale ragione vuoi sfidarmi?»
«Te lo dirò se accetti.»
«Avanti allora...» lo invita la Morte.
I due siedono alla scacchiera e si studiano in silenzio.
«Perché voglio sapere fino a che punto saprò resisterti, e se dando scacco alla Morte avrò salva la vita.» riprende il cavaliere.
Ha preso in mano due pedoni e sorteggia le parti. «Ti tocca il nero.» dice il cavaliere.
«Si addice alla morte, non credi?»
Ora i pezzi sono sistemati nella posizione d'inizio.
II
Il cavaliere ha ormai raccattato le sue cose e si avvicina al cavallo per sistemare le bisacce.
Sveglia con un calcio lo scudiero, che gli risponde con una smorfia da clown. Non c'è disprezzo o cattiveria in quel calcio, non c'è disprezzo o cattiveria in quella smorfia. Sembra piuttosto il collaudato rituale fra due uomini affratellati da mesi di dure sofferenze della carne e dello spirito.
Lo scudiero si tira su e rinfodera il pugnale.
La notte è passata e nessuno ha approfittato del buio contro di loro.
Il cavaliere monta a cavallo, e lentamente s'avvia.
Lo scudiero arranca dietro di lui a piedi conducendo il proprio animale per la capezza.
Avanzano piano lungo la spiaggia scabra come pelle di drago, poi risalgono la scogliera.
Ora lo scudiero è dietro, anche lui a cavallo, e canta.
È stanco il cavaliere, è stanco lo scudiero, ma il cavaliere è fiero e ammetterlo non può. Ei sogna di pranzare, di bere e poi dormire però non lo vuol dire, o forse non lo può.
Sembra un giullare che cerchi di provocare il padrone. Ma il cavaliere tace.
Procedono al passo, senza sprechi di energie, attraverso la desolata brughiera deserta, sempre costeggiando il mare.
«A Färjestad non facevano che parlare di orribili portenti...» continua lo scudiero «...due cavalli si son divorati l'un l'altro, e nella notte le tombe si sono aperte. Le ossa dei sepolti sono state sparse ovunque. Al tramonto si son visti quattro soli nel cielo...»
La mattina sta volgendo al termine e la stanchezza comincia a farsi sentire.
I due si fermano e lo scudiero smonta per chiedere informazioni a un uomo che è immobile per terra vicino al suo cane.
«Scusate, c'è una locanda qua attorno?»
L'uomo non risponde, neppure quando lo scudiero lo scuote.
Lo scudiero gli afferra la testa incappucciata e la gira verso di sé.
Il viso è un teschio incartapecorito e l'uomo è morto da molto tempo.
Lo scudiero risale a cavallo. Riprendono il viaggio fianco a fianco, mentre il signore lo interroga.
«Hai saputo qualcosa?»
«Molto poco.»
«Che ti ha detto?»
«Non ha parlato.»
«Era muto?»
«No, signore, non esattamente. Anzi direi che a modo suo era estremamente eloquente.»
«Davvero?»
«Ah certo, senz'altro. Ma di un'eloquenza piuttosto funebre, mi sono spiegato?»
III
Poco lontano dalla strada è accampata una piccola compagnia di saltimbanchi. Il loro unico carro sgangherato è fermo sotto a un albero, e il cavallo pascola lì vicino trattenuto da una longhina. I due uomini e la donna, sul carro, dormono ancora.
Uno dei due uomini si sveglia. Colpa di una mosca che gli ronzava intorno, sfacciata e insistente come le mosche sanno esserlo. Peggio per lei, perché l'uomo l'ha schiacciata. Ora sbadiglia. Poi striscia carponi fuori dal carro, piano piano, per non svegliare nessuno.
È un mimo, un attore, uno che vive sul palcoscenico, non c'è dubbio. Nessuno lo guarda, nessuno lo vede e nondimeno lui carica i gesti e le espressioni come se dovesse farsi capire dal più sprovveduto degli spettatori. È un vizio che ha preso durante gli spettacoli, un vizio che poi gli si è appiccicato addosso anche nella vita.
Fra una capriola e una piroetta ha raggiunto la ghirba che penzola dall'albero. Si esibisce in un gargarismo e uno sputo, e, da ultimo, in una carezza affettuosa al cavallo.
«Buon giorno bello. Tu l'hai già fatta la colazione, eh? Il guaio è che io non riesco a mangiare l'erba. Perché non me lo insegni? Sarebbe molto comodo di questi tempi, visto che la gente qui non ama troppo l'arte.»
Fa saltare goffamente due palle di stoffa colorata. Gli servirebbero ancora molte ore di duro esercizio. Ma forse no, quel che poteva imparare l'ha già imparato.
Ecco. Sta succedendo qualcosa.
L'attore lentamente si gira, l'espressione dell'estasi dipinta sul viso.
Ode una musica celestiale che gli altri non odono.
Vede quel che gli altri non vedono.
La Vergine col Bambino sta attraversando la radura.
Si frega gli occhi, incredulo. La visione è scomparsa. Corre nel carro, con l'animo traboccante di gioia.
«Mia, svegliati, svegliati presto! Devo dirti quello che ho visto! Svegliati!»
«Che c'è? Cos'è accaduto?»
«Sta a sentire. Ho avuto una visione! E poi non era una visione, era proprio come una cosa vera, te l'assicuro.»
«Ti prego, non ricominciare...»
«Comunque io l'ho vista.»
«Chi? Chi hai visto?»
«La Santa Vergine Maria.»
«Dici davvero?»
«Era così vicina che avrei potuto toccarla. Aveva sul capo una corona d'oro e una veste azzurra trapunta di fiori. Sai, camminava sull'erba a piedi nudi e con le sue piccole mani bianche sorreggeva dolcemente il Bambino a cui insegnava a camminare. Si accorse che l'avevo vista... e allora mi sorrise. Le lacrime mi annebbiarono gli occhi e quando ci rividi chiaramente era scomparsa. E un grande silenzio era tutt'intorno, immenso, su nel cielo e in terra. Un grande silenzio.»
Mia lo accarezza come si accarezza un bambino col quale si debba avere molta pazienza.
«Ma guarda le cose che sai inventare...»
«Lo sapevo che non mi avresti creduto. Eppure è la verità che ti ho detto. Ma non la verità che dico tutti i giorni, un'altra verità, capisci, più vera...»
«La stessa di quando mi raccontasti che il Diavolo, usando la coda come pennello aveva dipinto di rosso le ruote del nostro carro...»
«Oh, tu non fai che tirare fuori questa storia...»
«... e poi scoprimmo che t'era rimasto del colore sotto le unghie?»
«Beh, è stata l'unica volta che ho inventato qualcosa. Lo feci perché speravo che avreste creduto anche a tutto il resto, alle cose vere che sognavo.»
«Tu devi andarci cauto con queste storie o la gente finirà per dire che sei pazzo, e non è vero. Almeno per il momento. Anche se in queste cose non si può mai essere sicuri.»
«Ma insomma, cosa ci posso fare? Non è colpa mia se delle voci mi parlano, se mi appare la Santa Vergine, e se gli angeli e i diavoli ci tengono tanto alla mia compagnia.»
L'altro uomo si tira su infastidito.
«Oooh... mio dio... si può sapere quante volte devo dirvelo che alla mattina voglio dormire in santa pace! Vi ho pregato, vi ho scongiurato in ginocchio ma niente da fare. Uff..»
Si ode il pianto di un bimbo. Già, nel carro c'è anche un bimbo e le lamentele del secondo uomo ora l'hanno svegliato.
Mia lo prende dalla sua culla improvvisata, una specie di piccola amaca che penzola nel carro, e lo porta fuori sull'erba, accanto al padre. L'attore gioca col figlioletto per rimetterlo di buon umore, goffo come lo sono gli uomini coi figli troppo piccoli.
«Mikael, Mikael... du-du-dudu-dudu-duuuuh...»
«Voglio che Mikael abbia una vita migliore della nostra.» dice la mamma e pensa che nessuno al mondo potrà opporsi alla sua decisione.
«Mikael diventerà un grande acrobata.» rincalza il padre «oppure un giocoliere famoso per un suo straordinario incredibile esercizio.»
«E cioè quale esercizio?»
«Quello di far restare ferma nell'aria una clava.»
«Ma è impossibile.»
«Sì, per noi è impossibile. Ma non lo sarà per lui.»
L'attore è seduto ai piedi del vecchio albero e guarda il cielo.
«Ah... è tiepida l'aria stamattina.» sospira la giovane moglie e si stringe a lui , gli occhi chiusi, l'animo colmo di fiducia per il suo uomo. Assapora questo momento di gioia, voluttuosamente. Si rende conto che è felice.
«Ho fatto una canzone.» la informa con entusiasmo il marito «L'ho composta stanotte, proprio quando la luna stava tramontando. Vuoi che te la canti?»
«Certamente, sono molto ansiosa di sentirla.»
L'uomo comincia a cantare. È difficile stabilire se sia meglio come cantante o come giocoliere.
C'è un usignolo sul ramo di acacia che canta all'estate.
C'è un usignolo su un raggio di luna che canta al mio unico amore.
«Mia!... stai dormendo?»
«È una canzone molto bella.»
«Ma non è mica finita.»
«Sì ho capito, ma vorrei dormire ancora un po'... il resto me lo canti dopo.»
«Dormire... non fai che dormire.»
Dal carro esce l'altro uomo. Ha il viso coperto da una maschera che ricorda un teschio.
«Ti pare una maschera per un attore questa?... domando io... Non fosse che i preti pagano bene ci rinuncerei proprio.»
Nella maschera la voce rimbomba suggestivamente.
«Farai tu la Morte?» chiede il primo attore.
«E pensare che la gente trema di paura quando ci vede con queste stupide cose addosso.»
«Quando reciteremo di nuovo?»
«Alla sagra di Tutti i Santi a Elsinore. Reciteremo sulla scalinata della chiesa, un posto magnifico.»
L'attore con la maschera se l'è tolta e la sua voce risuona ora semplicemente umana, senza il rinforzo della cartapesta.
«Ma non sarebbe meglio recitare qualcosa di più allegro? La gente si diverte di più e ci divertiamo anche noi.» ribatte con semplicità il primo attore.
«Quanto sei stupido. Non lo sai che è scoppiata un'orrenda pestilenza e che i preti s'avvantaggiano delle morti improvvise e dei pentimenti dell'ultim'ora?»
«E io allora che parte farò?»
«Tu sei un gran babbeo e quindi farai la parte dell'Anima.»
«Una parte di cattivo, immagino...»
«E con questo che vuoi dire, chi è il capocomico? domando io...»
Il capocomico si rimette la maschera e con voce impostata prova qualche battuta.
«Rammenta o sciagurato l'eterna Legge. La Vita non è che un dono futile e passeggero che io posso toglierti quando voglio.»
Si leva la maschera, con gesto rapido. Un pensiero improvviso l'ha folgorato, impedendogli di continuare.
«Ma come posso piacere alle donne in questo stato? domando io...» Piuttosto contrariato, appende la maschera a un chiodo e rientra nel carro.
Mia e il marito restano fuori, lui riprende ad esercitarsi con le palle di stoffa. «Jof ...»
«Sì... che c'è?»
«Non girarti, non dire niente...»
«Sono muto come una tomba.»
«Ti amo tanto.»
IV
Il cavaliere e lo scudiero giungono a un piccolo santuario sul limitare di una boscaglia. Una campanella rintocca lamentosa spandendo intorno echi di rassegnata sofferenza.
Lo scudiero è entrato in una cappella laterale. Nella luce incerta e tremula delle candele, un uomo sta affrescando le pareti e la volta.
«Che cosa dipingi?»
«La danza della Morte.»
«E quella è la Morte?»
«Sì, che prima o dopo danza con tutti.»
«Che argomento triste hai scelto.»
«Voglio ricordare alla gente che tutti quanti dobbiamo morire.»
«Non servirà a rallegrarla.»
«E chi ha detto che ho intenzione di rallegrare la gente? Che guardino e piangano.»
«Bah... invece di guardare chiuderanno gli occhi.»
«E io ti dico che li apriranno. Un teschio spesso interessa molto di più di una donna nuda.»
«Se li spaventi però...»
«...li fai pensare.»
«E se pensano...»
«... si spaventano ancora di più.»
«E corrono a buttarsi in braccio ai preti.»
«Oh, questo non mi riguarda.»
Nella luce ballerina delle candele le figure sulle pareti si animano e sembrano vive. Lo scudiero guarda incantato gli affreschi. Il pittore ha attinto a piene mani all'immaginario dei suoi contemporanei e ora lo ripropone nello splendore dei carmini e dei turchesi, tutta la gamma delle terre e delle ocre, nonché i neri assoluti.
«Tu non pensi che al tuo lavoro, eh?» riprende lo scudiero ammirato.
«Faccio vedere come stanno le cose, e poi che ognuno decida.»
«Molti però ti copriranno di maledizioni.»
«Sicuro, e se saranno in troppi io passerò a un argomento divertente. Devo pur vivere... fino a che non mi uccide la Peste...»
«La Peste... non è piacevole, eh?»
«Ecco, guarda lì... il collo si gonfia che sembra scoppiare, il corpo si contrae, le gambe e le braccia dallo spasimo si torcono come corde sulla fiamma.» «Eh... brutt'affare...»
«Puoi dirlo. Il male ti dilania e tu ti mordi le mani e ti laceri le vene con le unghie. E urli e urli sino a che ti rimane un po' di fiato in gola. Ma nessuno più ti aiuta. T'ha messo paura?»
«Paura a me? Vuol dire che non mi conosci. E là in alto cos'hai dipinto?»
S'avvicinano a un recesso nel muro dove figure umane si lacerano le carni e si straziano a vicenda in un cerchio allucinato. Il realismo della scena è tale che se ne odono i lamenti.
«Molti ormai sono convinti che la pestilenza è una punizione del Cielo. E così turbe di peccatori terrorizzati si trascinano digiuni per le strade flagellando se stessi e gli altri per la gloria del Signore.»
«E si flagellano veramente?»
«Certo. Ed è uno spettacolo orribile. Uno spettacolo che ti fa venir voglia di nascondere il volto in terra per evitare di vederlo.»
«Non hai dell'acquavite?» la voce dello scudiero tradisce una vena di apprensione, o forse solo vago disagio «ho bevuto acqua tutto il giorno e penso che qualcosa di più robusto mi farebbe bene.»
«Lo vedi che t'ho messo paura?»
V
Nel santuario il crociato è in ginocchio ai piedi del crocifisso, un grosso Cristo in legno il cui viso è la maschera del dolore. Ai lati, due feritoie lasciano entrare sottili lame luminose, il cui riflesso si diffonde per la navata.
I rintocchi della campanella cadono nel silenzio come lacrime in uno stagno morto.
Ora il crociato è in piedi. Lungo una parete laterale, al di là di una pesante grata di ferro, si intravede la figura incappucciata di un religioso. Il crociato lo ha scorto, gli si avvicina.
«Vorrei confessarmi ma non ne sono capace, perché il mio cuore è vuoto. Ed è vuoto come uno specchio che sono costretto a fissare. Mi ci vedo riflesso e trovo soltanto disgusto e paura. Vi leggo indifferenza verso il prossimo, verso tutti i miei irriconoscibili simili. Vi scorgo immagini di incubo, nate dai miei sogni e dalle mie fantasie.»
«Non credi che sarebbe meglio morire?»
«È vero.»
«Perché non smetti di lottare?»
«È l'ignoto che mi atterrisce.»
«Il terrore è figlio del buio.»
«Che sia impossibile sapere?»
L'ombra della grata che si staglia netta sul muro evoca l'immagine di una prigione. Il cavaliere è chiuso nella prigione. Dall'altra parte, il religioso. No, non è un religioso. Ora lo si vede in viso. Dall'altra parte della grata, fuori della prigione, c'è la Morte.
Gli occhi del crociato cercano quelli del Cristo in legno, immutabilmente fissi.
«Ma perché... perché non è possibile cogliere Dio coi propri sensi? Per quale ragione si nasconde fra mille e mille promesse e preghiere sussurrate, incomprensibili miracoli. Perché io dovrei avere fede nella fede degli altri? Che cosa sarà di coloro i quali non sono capaci né vogliono avere fede? Perché non posso uccidere Dio in me stesso? Perché continua a vivere in me, sia pure in modo vergognoso e umiliante, anche se io lo maledico, e voglio strapparlo dal mio cuore? E perché nonostante tutto Egli continua ad essere uno struggente richiamo di cui non riesco a liberarmi? Mi ascolti?»
«Certo.» risponde la Morte. Il cavaliere non l'ha ancora riconosciuta.
«Io vorrei sapere, senza fede, senza ipotesi, voglio la certezza. Voglio che Iddio mi tenda la mano e scopra il suo volto nascosto, e voglio che mi parli.» «l suo silenzio non ti parla?»
«Lo chiamo e lo invoco e se Egli non risponde io penso che non esiste.»
«Forse è così, forse non esiste.»
«Ma allora la vita non è che un vuoto senza fine. Nessuno può vivere sapendo di dover morire un giorno come cadendo nel nulla, senza speranza.»
«Molta gente non pensa né alla Morte né alla vanità delle cose.»
«Ma verrà il giorno in cui si troveranno all'estremo limite della vita.»
«Sì, sull'orlo dell'abisso.»
«Lo so. Lo so ciò che dovrebbero fare. Dovrebbero intagliare nella loro paura un'immagine alla quale dare poi il nome di Dio.»
«Sei molto agitato.»
«Stamane è venuta da me la Morte. Abbiamo iniziato una partita a scacchi. Col tempo che guadagnerò sistemerò una faccenda che mi sta a cuore.»
«E di che si tratta?»
«Ho passato la vita a far la guerra, a andare a caccia, ad agitarmi, a parlare senza senno, senza ragione... un vuoto. E lo dico senza amarezza e senza vergognarmene. Perché lo so che la vita della maggior parte della gente è tale. Ma ora voglio
utilizzare il respiro che mi sarà concesso per un'azione utile.»
«Per questo hai sfidato a scacchi la morte?»
«Sì. Conosce il gioco molto bene, ma fino a questo momento io non ho perso una pedina.»
«E credi davvero che alla fine riuscirai a batterla?»
«Adopero una tattica che evidentemente essa ignora. Al nostro prossimo incontro porterò un attacco sul fianco.»
«Lo terrò presente.»
La Morte lascia che il cavaliere la veda in viso e la riconosca. La mano del crociato stringe con rabbia il ferro della grata.
«Ti stai beffando di me... ma non mi fai paura! Ne sono certo, troverò il modo di batterti.»
«Ci rivedremo alla locanda e lì continueremo la partita.»
La Morte se ne è andata. Il cavaliere ha fiducia nella propria forza.
«Questa è la mia mano. Posso muoverla e in essa pulsa il mio sangue. Il sole compie ancora il suo alto arco nel cielo e io... io, Antonius Block, gioco a scacchi con la Morte.»
VI
Nella cappella laterale lo scudiero ha preso in mano il pennello e si diverte a provarlo su una piccola tavola di legno. L'acquavite ha sciolto la tensione dei discorsi di poc'anzi.
«Io e il mio padrone siamo appena tornati da un lungo viaggio in terra straniera, hai capito, imbrattamuri?»
«Ah, la crociata, eh?»
«Proprio così. Per dieci anni siamo stati laggiù lasciando che le serpi ci mordessero, le mosche ci divorassero, le fiere ci dilaniassero, gli infedeli ci accoppassero, il vino ci avvelenasse, le donne ci infettassero, le piaghe ci dissanguassero e tutto perché? Hah... per la gloria del Signore...»
«Per la gloria del Signore.» fa eco il pittore ed entrambi si fanno il segno della croce.
«Sai, secondo me questa crociata l'ha inventata uno che poi se n'è rimasto pacifico a casa.»
Ridono all'unisono, una risata grassa e liberatoria. Hanno appena scoperto d'esser della stessa razza.
«Eh, così è la vita, imbrattamuri.»
«Hai ragione guerriero.» risponde il pittore, battendo sulla spalla dell'amico recente.
«Eh già...»
«A questo mondo, per quanto ti giri, la coda non riesci a tagliartela, resta sempre di dietro.»
«Giusto, è una gran verità... sì, una gran verità.»
Lo scudiero ha completato la sua opera, un autoritratto, e lo mostra soddisfatto.
«Io sono lo scudiero Jöns, che si beffa della Morte e del Signore, che ride di se stesso ma sorride alle ragazze. Ho un mondo che è soltanto mio, di cui tutti si burlano, io compreso. Un mondo senza senso e senza scopo. Ma quando come te si è indifferenti al Cielo e all'Inferno...» È entrato il cavaliere.
Il cavaliere gli ha strappato di mano il ritratto, lo spintona per fargli capire che è ora di andare. Lo scudiero risponde con una delle sue smorfie clownesche, mimando un drago che incenerisce l'avversario col suo fiato.
Poi fa un rassegnato gesto di commiato al pittore e segue il suo signore fuori dalla cappella.
Sul sagrato del santuario una giovane donna è legata a un palo, i piedi nei ceppi, circondata da guardie. Le vesti sono lacere e il viso e il corpo tutto sono ricoperti di ecchimosi e piaghe. Forse non soffre più. Di certo non ode il sommesso salmodiare del prete che le agita intorno il turibolo e l'avvolge di un incenso nerastro e acre. Uno dei soldati ha in mano una grossa ciotola dalla quale attinge una poltiglia liquida e nauseabonda che sparge tutt'intorno.
«Cos'è quella roba puzzolente? A che serve?» chiede lo scudiero.
«Ha avuto rapporti carnali con il Diavolo.» risponde un soldato, indicando la prigioniera.
«Uhm... per questo che è alla berlina?»
«Domani all'alba sarà arsa nella foresta ma intanto noialtri dobbiamo difenderci da Satana.»
«E lo fate con quella fetida broda?»
«È il rimedio migliore... sangue vile di un cane nero. Il Maligno non può sopportarne l'odore.»
«E neanch'io.»
Il cavaliere s'è inchinato accanto alla donna.
«Hai visto il Diavolo?» chiede.
La giovane ha subito troppe torture e non può rispondere. Accanto a lei il prete cerca ancora di salvarle l'anima nel suo dotto e incomprensibile latino. Le parole gli fluiscono dalle labbra e arrivano a zaffate con il nero incenso.
«Non bisogna parlarle.» ammonisce il religioso.
«È così pericolosa?»
«Non lo so. Ma pensiamo che lei sia la causa della terribile pestilenza che ci sta decimando.»
La donna sembra aver ripreso conoscenza. I suoi lamenti di capretto arrivano al cielo.
VII
I due viaggiatori si sono lasciati alle spalle il santuario e cavalcano appaiati.
Lo scudiero canta, quasi che il canto fosse una spada con cui aprirsi un varco nella solitudine della brughiera.
Una canaglia il fato
Tu vecchio un disgraziato Oggi t'insuperbisci
Doman t'inchini e strisci.
«Ma devi proprio cantare?» lo rimprovera il cavaliere.
«Mi diverte.» ghigna l'altro.
Il cavaliere sbocconcella del cibo secco, strappandolo con morsi vigorosi e lo offre al compagno.
VIII
Ora i due hanno raggiunto alcune baracche di legno e paglia. Il posto sembra disabitato.
Come sempre è lo scudiero Jöns che tiene i rapporti col mondo e che scende in avanscoperta. Una porta è aperta e Jöns non ha paura di entrare. Nella baracca le tracce di vita recente sono evidenti. Un filo di fumo si leva ancora dal focolare ed esce da un'apertura nel tetto. In un angolo una capra bruca la sua razione di fieno. Poi il piede dello scudiero urta qualcosa di morbido. Lo sguardo si abbassa di scatto e si posa senza sorpresa sul cadavere una donna. Ecco... un rumore... viene dal sottotetto... Jöns è rapido a nascondersi dietro la porta. Vede non visto scendere dalla scaletta un uomo con un sacco. L'uomo si avvicina al cadavere e ne sfila gli anelli e il bracciale. Escono con difficoltà da quelle mani deformate dall'artrosi e dal lavoro.
Nel frattempo un'altra donna, più giovane è entrata nella stanza e osserva quel furto che forse è anche l'epigono di un assassinio.
L'uomo ha un sussulto vedendosi scoperto.
«Perché ti meravigli tanto? Vado in giro a rubare sui cadaveri. È molto conveniente coi tempi che corrono. Se per caso hai intenzione di andare al villaggio a spifferare tutto ti avverto che è inutile. La gente adesso non pensa che alla pelle. Il resto non la interessa.»
Le si avvicina pregustando il momento che potrà abusare di quel corpo giovane, ma sa che gli conviene andarsene in fretta.
«Tornerò a trovarti e allora forse staremo un po' più insieme. Ricordati quello che t'ho detto però.»
La giovane non ha la forza di muoversi o parlare, sopraffatta dal dolore per la perdita della madre.
«Ti ho riconosciuto, anche se è passato molto tempo.»
È Jöns che parla. Uscito dal suo riparo ha sbarrato la strada al ladro sciacallo.
«Ti chiami Raval e frequentavi il collegio teologico di Roskilde. Sei un Doctor Mirabilis, Coelestis et Diabolicus. Non è così? Sei stato tu a convincere dieci anni fa il mio padrone che bisognava partecipare alla crociata in Terra Santa.» Chiude la porta con un calcio.
«Che c'è, stai male? Ora capisco il senso di questi dieci anni che fino adesso consideravo sprecati! Stavamo troppo bene, eravamo troppo superbi e soddisfatti, e il Signore ha voluto punire la nostra alterigia.»
La rabbia a lungo repressa gli sta montando dentro come un torrente in piena.
Sbatte il ladro contro la parete e lo afferra per la veste.
«E così ha inviato te, a infettare il mio padrone con il tuo veleno celestiale.»
«Ero in buona fede.»
«Ma ora ci hai ripensato, è vero? e sei diventato un ladro, eh! Un'occupazione molto più adatta e conveniente a questo mondo per i mascalzoni e i farabutti come te!»
Lo ha scaraventato a terra, ha estratto il pugnale e lo minaccia la gola. L'urlo della ragazza sembra un punto esclamativo fatto apposta per le parole di Jöns.
«Dico bene, figliolo?»
Jöns ha rinfoderato il pugnale. È stato forgiato per ben altri avversari.
«Non temere, non voglio la tua pelle. Ricordati però che se t'incontro ancora ti marchierò come si marchiano i furfanti del tuo genere. Ero venuto qui solo per riempire la mia borraccia.»
Jöns ha lasciato la presa e fatto uscire l'uomo: la tempesta è passata. Ora si rinfresca il viso, come a lavar via anche le ultime tracce d'ira.
Parla alla ragazza.
«Mi chiamo Jöns, e sono un uomo piacevole e discorsivo, che non ha mai avuto se non pensieri gentili e non ha mai compiuto se non azioni nobili e generose.»
La stringe a sé e le impone un bacio appassionato. Lei si divincola ma riesce a liberarsi solo quando lui glielo consente.
«Addio, fanciulla... avrei potuto violentarti, ma è un genere d'amore che non mi va, troppo faticoso tutto sommato.»
Fa per andarsene, poi torna sui suoi passi.
«Ah, a proposito, io avrei bisogno di una cuoca... È vero che avevo una moglie ma ormai spero di esser diventato vedovo. Allora, vuoi rispondere sì o no? Visto che ti ho salvato da quel vigliacco potresti almeno mostrarmi un po' di gratitudine.»
IX
I saltimbanchi su un palcoscenico improvvisato alla meglio stanno rappresentando la loro pantomima. È una di quelle storie di amori illeciti e mariti traditi scritta apposta per piacere ad un pubblico di bocca buona.
Il capocomico veste i panni del corteggiatore, Mia è la bella moglie corteggiata e Jof il marito tradito. I costumi chiarificano i rispettivi ruoli. Infatti il capocomico è vestito da gallo, e ha per copricapo una vistosa cresta colorata. Il marito invece indossa un bel paio di corna di stoffa. La bella ragazza balla sulla musica del flauto che il corteggiatore sta suonando per lei, lo stuzzica, lo provoca, lo invita, promette.
Il pubblico sulla piazza, fra porci e animali da cortile, ride e commenta.
«Guarda quello, ehi guarda!, quello con le corna è il marito!»
Fra il pubblico si nota una coppia, lui è un uomo rude, grande e grosso come un armadio, con una pesante mazza sulla spalla. Lei è una donna attraente, e, al contrario di lui, non si sta annoiando. Sembra molto interessata al capocomico di cui cerca insistentemente lo sguardo per fargli l'occhiolino.
«E bravo il gallo!» urla qualcuno fra il pubblico.
«Prendila gallo, che aspetti? dai?»
La donna fra il pubblico intanto ha approfittato della disattenzione del marito, gira dietro al palco e si avvicina al carro dei saltimbanchi.
«Quanto ti fai pregare... prova... forza... dai...»
«Basta col piffero, piantala!»
Il pubblico è stanco di questi amanti che non arrivano mai al sodo.
«Ma guarda che cretino... lui suona il piffero!!?»
Le risate sono sempre più forti, come un fuoco che si autoalimenti, e sovrastano il flauto.
«Piantatela, buffoni?» sbotta indignato il capocomico.
Qualcuno tira un pomodoro che gli si spiaccica proprio sul naso, fra l'ilarità generale.
«Siccome nel primo atto io non ho nessuna parte, concedetemi o signori di
ritirarmi.»
Anche l'altro attore, quello che impersona il marito cornuto, non sa reprimere il riso.
«E tu che cos'hai da ridere, idiota?»
Il capocomico esce di scena con un grossa ferita nel suo orgoglio di artista.
I due attori rimasti sul palcoscenico non si sono persi d'animo. Hanno attaccato un duetto un po' strampalato con accompagnamento di lira e tamburino che tutto sommato non dispiace.
Le loro voci risuonano sguaiate e roche, e imitano a turno gli animali da cortile.
Lasciamoli cantare.
Ora la scena più interessante si svolge dietro il palco dove il capocomico sta struccandosi nel carro. Davanti ad uno specchio piuttosto approssimativo, sta pulendosi il viso e si liscia la barba stentata. Sembra un animale che si lecchi le ferite. La bella donna è poco distante, civettuola e provocante. Si china girandogli la schiena, per mettere meglio in evidenza le sue rotondità, e ne sorveglia le reazioni con la coda dell'occhio. Ecco, ora alza la gonna, casomai il messaggio non fosse abbastanza esplicito. Quindi stende una piccola tovaglia sull'erba, tira fuori da un fagotto un pollo e ne addenta sensuale una coscia.
Il capocomico le si avvicina. Le sue movenze sono ancora quelle del gallo.
Si inginocchia accanto a lei. Lei le offre il pollo, sorridente e allusiva. Lui le bacia la mano, poi risale coi baci lungo il braccio. Le mormora nell'orecchio qualche sconcezza. Lei ride senza imbarazzo. Bevono assieme dalla borraccia di pelle. L'uomo le sussurra altri lazzi, sempre più arditi. Ora lei si è alzata, gli tende la mano e, fissandolo con occhi da gatta in calore, lo invita dietro i cespugli.
X
Dies irae, dies illae solvet saeculum in favillae...
Un'altro canto, tenebroso e disperato, ha sovrastato quello dei saltimbanchi. Alla testa della processione che avanza, alcuni monaci incappucciati avvolti nei fumi dell'incenso portano a spalle il pesante Cristo in legno del vicino santuario e altre sacre reliquie.
Dietro di loro una folla di persone che piangono, si lamentano, gridano il loro dolore.
Molte di loro si stanno flagellando a sangue. Altre non hanno bisogno di procurarsi la sofferenza con la frusta perché ci ha pensato la natura a farlo, creandoli storpi e deformi alla nascita o mutilandoli più tardi.
Al loro passaggio la gente del villaggio si inginocchia e prega. I soldati impugnano le spade come fossero dei crocifissi. Tutti sperano che un poco della clemenza divina conquistata a sì caro prezzo, possa rimbalzare anche su di loro.
Anche il cavaliere e lo scudiero assistono all'evento.
Vicino allo scudiero c'è la ragazza che lui aveva salvato dalla violenza del ladro di cadaveri. Gli sta incollata come quei cani senza padrone che si affezionano al primo che dà loro un boccone.
Il canto è cessato. Si odono solo pianti e lamenti.
Ora un predicatore si stacca dal gruppo e prende a parlare ai piedi della croce. La sua voce è un tuono. Il suo sguardo è un incendio che ti brucia dentro.
«Iddio ci ha puniti e noi periremo tutti, certo, periremo tutti appestati e così giustizia sarà fatta. Voi là in fondo che mi guardate come tanti buoi e voi che sedete laggiù soddisfatti e ben pasciuti come porci, vi rendete conto che questa può essere la vostra ultima ora? La Morte avanza, ecco, vedo il suo teschio dalle vuote occhiaie che vi giunge alle spalle e la sua falce che si leva lampeggia terribile al sole. Chi di voi essa colpirà per primo? Te forse con quello sguardo sperduto di cui il gelo della morte sembra già essersi impadronito per spegnerlo in una disperata agonia prima di sera.»
Lo sguardo del predicatore s'è fermata su una giovane incinta, di certo vicina al parto.
«O tu donna, impudico scrigno di vita e di lussuria, tu che forse prima che sorga nuovamente il sole sarai ridotta a marcire.»
Gli occhi del predicatore ora hanno puntato un altro bersaglio.
«O tu ancora che stai lì con sulla faccia quello stolido sorriso, oh-oh-oh-oh, che diverrà una tragica smorfia, non vi rendete conto, o disgraziati, che morirete? Se non sarà oggi sarà domani, o dopodomani, ma morirete tutti, perché ormai non c'è più salvezza, è la fine. Preparatevi! Avete sentito? Siete condannati! Condannati tutti!...» «Signore perdono!!?» ripetono in coro i presenti.
«... Condannati! Oh, Signore, abbi pietà di noi e della nostra miseria e non distogliere il Tuo sguardo da noi, ma abbi misericordia di noi nel nome Tuo, e nel nome del Tuo figliuolo Gesù Cristo.»
Dies irae, dies illae solvet saeculum in favillae...
Hanno ripreso cupamente a cantare. La fiumana dei flagellanti si rimette in movimento, fra pianti e lamenti.
È lo scudiero Jöns a rompere il silenzio quando il corteo è scomparso.
«Accidenti a tutte quelle chiacchiere. Non siamo più bambini. Non vorranno che li crediamo sul serio.»
Antonius Block gli sorride enigmatico.
«Sì, vi beffate di me, signore. Ma permettetemi di dirvi che queste storie non hanno neanche una briciola di verità nelle loro parole.» «Già...» concorda il suo signore.
«Proprio così. E anche quelle fantasticherie sul Dio Padre, gli angeli, Gesù Cristo, lo Spirito Santo... le ho sempre ascoltate senza commuovermi troppo.»
«Ehi!» L'uomo grande e grosso con la pesante mazza, è sbucato da dietro una baracca e si rivolge a loro.
«Che cos'hai da gridare?» chiede lo scudiero.
«Io sono il fabbro Plog e tu lo scudiero Jöns...»
«Può darsi.»
«Dimmi, hai visto mia moglie?»
«No, non l'ho vista. Ma se l'avessi vista e assomigliasse a te mi affretterei a dimenticare di averla vista.»
Plog è un po' confuso da quel ragionamento.
«E quindi non l'hai vista...» suggerisce incerto.
«Sarà fuggita.»
«Sai qualcosa?»
«So moltissimo, non di tua moglie però. Perché non vai a chiedere alla locanda?»
XI
Il fumo che aleggia nella locanda non è quello delle fiamme degli inferi, ma, più prosaicamente, viene dallo spiedo su cui si sta rosolando il porco. Il grasso dell'animale cola scoppiettando sulle braci e prende fuoco mentre l'acre odore della carne arrostita impregna il locale e gli avventori.
Molti di loro hanno assistito alla violenta predica del flagellante e ora cercano conforto e calore nei boccali che vuotano di continuo. Sono mercanti, artigiani, contadini e soldati, per lo più venuti dai villaggi limitrofi.
Senza un attimo di tregua alcune donne scodellano abbondanti porzioni di una fumante zuppa di verza e la servono ai clienti.
Ad un tavolo, un grasso mercante tien banco con il racconto del suo ultimo viaggio.
«Sì, sì, è vero. Il contagio si va diffondendo su tutta la costa. I morti non si contano più. Normalmente di questa stagione si fanno grossi affari e invece quest'anno non ho venduto neanche uno spillo.»
«Forse è giunta la fine del mondo.» dice la donna che lo ha appena servito, e si siede di fronte a lui. Le confidenze che sta per fare sono troppo importanti per farle in piedi.
«Certo che accadono cose orribili...» continua abbassando il tono della voce
«...pare che giù al villaggio... una donna abbia partorito una testa di lupo.» Il mercante riprende il suo resoconto.
«La gente è come pazza. Fuggono tutti al nord trascinandosi dietro la peste. Se è vero quello che dicono è meglio mandare al sole i propri affari e godersela fino a che si ha la forza di stare in piedi.»
«Molti si sono purgati col fuoco» aggiunge in un soffio la donna «e ne sono morti, ma il prete dice che è molto meglio morire puri piuttosto che vivere preda di
Satana.»
«È la fine, ecco che cos'è.» sentenzia senza mezzi termini il mercante «sì, lo sappiamo tutti quanti, ma nessuno ha il coraggio di dirlo forte. È la fine del mondo e la gente non ragiona più dal terrore.»
«E tu non hai paura?»
«Ho una paura del diavolo, io.»
Si fanno in fretta il segno della croce.
«Eh, l'ultimo giorno è ormai vicino.» conclude un altro avventore «gli angeli si preparano a suonare il giudizio e noi renderemo conto dei nostri peccati.»
A un tavolo poco distante, Raval il ladro cerca di vendere la sua mercanzia.
Dietro a lui, Jof è alle prese con un cosciotto fumante.
«Non lo vuoi questo braccialetto? Te lo do per poco.» «Io non ho un soldo.» risponde il saltimbanco.
«È di argento... è roba fina.»
«Oh lo vedo che è bello, ma purtroppo non ho un soldo.»
Proprio in questo momento arriva Plog, il fabbro che cerca la moglie. «Scusate. Nessuno di voi signori ha visto mia moglie?» «Perché, si è perduta?» chiede Jof.
«Pare che sia fuggita.»
«Come, scappata?»
«Sì, con un attore.»
«Con un attore? Hum, se ha avuto tanto cattivo gusto è meglio che la lasci andare.»
«Forse hai ragione. Ma naturalmente il mio primo pensiero è stato di picchiarla a morte.»
«Uh, anche questo è giusto... ucciderla insomma, se capisco bene.»
«E ucciderò anche quello schifoso buffone.»
«Chi, l'attore?»
«Sicuro, quello con cui è scappata.»
«E perché mai?»
«Ma dì un po', non capisci mai?»
«Oh, l'attore, capisco, certo...» concorda Jof «...faresti benissimo. Ce ne sono tanti di attori che anche se uno di loro non ha fatto niente, dovresti ucciderlo soltanto perché è un attore.»
«Ehi tu, perché menti in questo modo al fabbro?» interviene Raval che li stava ascoltando.
«Io, ma che dici?»
«Anche tu sei un attore...» scandisce Raval che nel frattempo si è seduto al tavolo di Jof «...e probabilmente la moglie di Plog è scappata con un tuo compagno.» «Ma davvero sei un attore anche tu?» chiede Plog rizzando le orecchie.
«Chi? Io? Un attore? ah-ah-ah... ma guarda che idea... ah-ah-ah...»
«Se lo sei dovremo ucciderti.» continua Raval «È logico, no?»
«ah-ah-ah... lo sai che sei strano... ah-ah-ah...»
«Come sei diventato pallido. Hai qualcosa da nascondere?» incalza il ladro.
«Ah, senti questa... ah-ah-ah... non lo trovi strano anche tu?»
La risata del saltimbanco risuona falsa, sforzata. Da uno che per professione è abituato a fingere ci aspetteremmo di meglio.
«Va bene, non ho detto niente.» ritratta Jof.
«Forse dovremmo marcarti con questo coltello, come si usa fare coi buffoni del tuo stampo. Su, che ne hai fatto di mia moglie?»
Con gesto repentino Raval pianta il coltello sul tavolo, fra le dita del saltimbanco. Nella locanda s'è fatto silenzio. L'attenzione di tutti è rivolta a loro tre.
«Non vorrete farmi del male...» dice Jof spaventato «...e perché poi? Ho annoiato qualcuno oppure ho dato fastidio? Me ne vado subito, e, se volete, non metterò mai più piede qui dentro.»
«Alzati, che tutti ti possano sentire...» comanda Raval «...e parla più forte. Fa' una bella capriola così vedremo se sei un buon attore.»
Il saltimbanco tremante si alza in piedi, è costretto a fare una capriola sul piccolo tavolo e rotola per terra.
«Avanti! Avanti! Che cos'hai fatto di mia moglie?» gli urla Plog, afferrandolo alla gola.
«No, no...»
«Non crederai di cavartela così! Alzati e balla!» lo incalza Raval.
«No, non so ballare, non posso...»
«E allora imita l'orso!»
«Ma non ne sono capace, non so.»
«Avanti, vediamo se è vero.»
Ora Raval minaccia il saltimbanco con un tizzone ardente.
Jof, non ha scelta. Sale sul tavolo e saltella goffamente. Tutto il locale ride di lui. La gente scandisce il tempo battendo i boccali sui tavoli. Il vino e la birra hanno acceso gli animi. Il ritmo è sempre più serrato. Jof crolla esausto a terra, fra due maiali che s'aggirano in cerca di qualche avanzo.
«Torna sulla tavola!» urla Raval che gli è subito addosso.
«No, non posso, non ce la faccio più...»
Raval gli rovescia in viso un boccale di birra, e il suo gesto raccoglie consensi unanimi.
Ma ecco, ha fatto il suo ingresso nella locanda lo scudiero Jöns.
Raval lo scorge e ha un attimo di esitazione.
Il saltimbanco è pronto ad approfittarne e sguscia veloce fuori dalla locanda, non prima però di essersi infilato in tasca il bracciale che poc'anzi aveva rifiutato di comprare. Jöns avanza diritto verso Raval.
«Ricordi cosa dissi che t'avrei fatto se t'avessi rivisto?» Lo afferra alla gola e lo blocca contro una parete.
«...e io sono un uomo di parola!»
Prima di finire la frase ha sguainato il coltello, con la velocità d'una lince artiglia la preda, le scava nel viso un lungo solco insanguinato.
XII
Il cavaliere indugia meditabondo accanto alla scacchiera, poco distante da Mia che gioca col il figlioletto.
Poi il suo sguardo si posa affettuoso sul bimbo.
«Come si chiama?» chiede il cavaliere.
«Mikael.»
«Che età ha?»
«Ha più di un anno ormai.»
«A vederlo lo pensavo più grande.»
«Davvero? No, no. È ancora piccolo, lui.»
Il cavaliere lascia la scacchiera e si avvicina alla donna.
«Avete dato uno spettacolo, oggi, non è vero?»
«Come mi avete trovato?»
«Siete più graziosa così, priva di trucco, con questa gonna senza fronzoli.»
«Credete? Sapete, Jonas Skat se n'è andato e ci ha lasciati soli. Siamo in un brutto guaio, purtroppo.»
«Era vostro marito?»
«Jonas? Ah-ah-ah... no, mio marito è un altro e si chiama Jof.»
«Ah, scusate.»
«Ora siamo rimasti lui e io, e dovremo rimetterci a fare i giochi di prestigio. È un lavoro così noioso.»
«Ne fate anche voi?»
«Naturalmente, si capisce. E Jof è proprio un bravissimo prestigiatore.»
«E di Mikael che ne farete... un'acrobata?»
«Jof lo spera tanto.»
«E voi no?»
«Chissà... potrebbe anche diventare un cavaliere.»
«Non sarebbe un mestiere ugualmente divertente.»
«Infatti non avete l'aria lieta.»
«Infatti.»
«Siete stanco?»
«Sì.»
«Perché?»
«Ho un compagno molto sgradevole.»
«Volete dire il vostro scudiero?»
«No, no, non lui.»
«E allora chi?»
«Me stesso.»
«Oh, sì, capisco...»
«Capite?»
«Sì, so come accadono queste cose, e spesso mi domando perché la gente appena ne ha la possibilità si tormenta; che ragione c'è?» S'odono i lamenti d'un uomo che s'avvicina.
«Mia!!! Ahi... ahi...»
La donna corre incontro al marito, tutto pesto e dolorante.
«Jof... Jof... cos'è accaduto?»
«Ahi... ahi...»
«Jof... ma che cos'hai fatto? Che cosa t'è successo alla locanda? Su, avanti, vieni, vieni, mettiti a sedere, su. Oh, santo cielo. Oh. Aspetta. Aspetta, aspetta...»
Ha preso un telo bagnato e gli rinfresca il viso, pulendolo dal sangue rappreso.
«Io te l'avevo detto di non andarci. E poi avrai bevuto, naturalmente.»
«No, no. Ahi-ahi-ahi, non è vero, non ho bevuto neanche un goccio.»
«E allora avrai parlato degli angeli e dei diavoli che ti ronzano attorno, e la gente non ama troppo chi ha troppe fantasie per la testa.»
«No, non ho parlato né di angeli, né di diavoli.»
«Allora avrai cominciato a cantare e a ballare. Tu non puoi smetterla neanche per un attimo di fare il buffone. Ma non capisci che gli altri invece alle volte si annoiano.»
Il saltimbanco gioca il suo asso.
«Guarda... guarda qui... guarda cosa ti ho comprato.» Ha tirato fuori dalla tasca il bracciale d'argento.
«Oh... oh...»
Mia lo ha già infilato e lo guarda estasiata, poi si rabbuia di colpo.
«Ma se non avevi un soldo.»
«Uh... beh... io... io... io... l'ho comprato lo stesso.» Mia lo abbraccia affettuosamente.
«Oh, Jof!»
«Povero me, sapessi quante ne ho prese.»
«E perché non gliele hai restituite?»
«Beh, veramente stavo lì lì per farlo, ma non ho voluto abbandonarmi a tanto.
Però mi sono arrabbiato, sai? Ruggivo come un leone.»
«E hanno avuto paura?»
«No, si sono messi a ridere.»
Anche Mikael lancia dei gridolini divertiti.
«Oh, Mikael... Mikael... Mikael...du-du-du-du-du...»
«Senti come profuma di buono?»
«E com'è bello toccarlo. È un ometto forte forte, lui. Un vero piccolo acrobata.»
Il cavaliere è rimasto discretamente in disparte fino ad ora, poi la donna si ricorda di lui e fa le presentazioni.
«Questo qui è mio marito. Jof.»
«Mio signore... buonasera.»
«Siete fortunato ad avere un così bel bambino, dev'essere una grande gioia per voi.»
«Oh, sì, lo è.»
«Non abbiamo niente da offrire...» si scusa Jof.
«Grazie, non voglio niente.»
«Ho appena colto delle fragole che sono una meraviglia.» interviene Mia «E poi ho anche un po' di latte, appena munto.»
«Me lo hanno regalato.» aggiunge Jof con una punta di orgoglio.
«Se volesse accettare questa umile offerta ne saremmo molto onorati.»
«Sedetevi,» lo prega Mia, che ha preso in braccio il bambino «io vado a prendere le fragole.»
«Sedete.» lo prega Jof e accompagna l'invito con un gesto teatrale, quasi che invece di offrire un poco di spazio sull'erba avesse a disposizione la più preziosa delle poltrone.
«Dove andrete da qui?» si informa il cavaliere.
«A Elsinore, per la Sagra di Tutti i Santi.»
«È un viaggio che vi sconsiglio.»
«E perché mai, se posso chiedervelo?»
«La peste si va diffondendo lungo tutta la costa. La Morte falcia gli uomini come grano maturo.»
«Ahi-ahi-ahi, le cose si mettono proprio male direi.»
«Perché non attraversate la foresta con me questa notte? Poi se vorrete potrete sostare un po' nel mio castello. Sarete più tranquilli.»
In quel momento Mia è di ritorno con in mano due grosse ciotole. Una è colma di fragole, l'altra di latte fresco.
«Sono fragole selvatiche. Le ho colte lassù, sulle colline. Non ne avevo mai viste di così grosse. Sentite come profumano.»
«Servo vostro, signore.» dice Jof passando al crociato la ciotola col latte.
«Vi ringrazio di cuore.»
«Credo che la vostra proposta sia buona, ma devo pensarci un po'.» dice Jof.
«Sarebbe proprio bene attraversare la foresta in compagnia...» concorda Mia «...dicono che sia piena di gnomi, di fantasmi, di diavoli e di briganti.»
«Sì, sì, l'ho già detto che è una buona idea ma ora che Jonas ci ha lasciati, devo considerare bene quello che faccio. Dopotutto adesso sono io il responsabile della compagnia.»
«Dopotutto adesso sono io il responsabile della compagnia! Ah-ah-ah!»
Lo scudiero Jöns è arrivato in questo preciso momento. Scende da cavallo assieme alla nuova compagna, la ragazza che ha strappato a Raval.
«Gradite delle fragole?» dice Mia porgendo loro la ciotola.
«Quell'uomo mi ha salvata la vita.» aggiunge Jof riconoscente.
«...sedete con noi e stiamo lieti assieme.»
«Lo scudiero Jöns ringrazia.»
«Ah... com'è bello...» sospira Mia, sdraiandosi sull'erba.
«Sì, per un attimo.»
«È giusto che sia così.» continua Mia «Tutti i giorni sono uguali, no? E non c'è niente di strano in questo. Certo, l'estate è migliore dell'inverno, d'estate non si ha freddo. Ma la primavera è la stagione migliore.»
«Ho scritto una canzone sulla primavera. Volete sentirla? Vado a prendere la
lira.»
«No-no-no, non ora, Jof. E dopotutto può anche darsi che non la vogliano ascoltare.»
«Al contrario, anch'io scrivo canzoni.» dice Jöns.
«Ecco, hai visto?» esulta Jof
«Ne ho composta una su di un salmone ribelle che comincia in questo modo... uhm...»
Allo scudiero sembra di cogliere negli occhi del padrone un'espressione di disapprovazione.
«Va bene, non se ne fa niente. Quando l'arte mia non viene apprezzata, io non voglio imporla a nessuno. Sono molto delicato.»
Jöns ha già preso la lira, e ne pizzica le corde traendone accordi velati di tristezza.
«Molte cose turbano gli animi.» dice il crociato.
«Comunque è meglio affrontarle in due.» replica Mia. «Voi non avete nessuno con cui vivere?»
«L'avevo una volta.»
«E ora che sta facendo?»
«Non lo so.»
«Che aria seria avete assunto. Era la vostra fidanzata?»
«Eravamo appena sposati. La vita era un gioco che sembrava senza fine. Io scrivevo poesie sui suoi occhi, sul suo naso, sulle sue deliziose piccole orecchie. Al mattino andavamo a caccia assieme e la sera ballavamo e la casa era piena di gioia.» «Volete delle altre fragole?» cerca di consolarlo Mia.
«La fede è una pena così dolorosa. È come amare qualcuno che è lì fuori, al buio, e che non si mostra mai per quanto lo si invochi. Come tutto questo mi sembra irreale, ora che sono qui con voi e vostro marito. Tutto appare così diverso.»
«Adesso non avete più l'aria seria.»
«Lo ricorderò questo momento... il silenzio del crepuscolo... il profumo delle fragole... la ciotola del latte... i vostri volti su cui discende la sera... Mikael che dorme sul carro... Jof e la sua lira. Cercherò di ricordarmi quello che abbiamo detto, e porterò con me questo ricordo, delicatamente, come se fosse una coppa di latte appena munto che non si vuol versare. E sarà per me un conforto, qualcosa in cui credere.»
XIII
Il crociato ha lasciato il gruppo ed è tornato accanto alla scacchiera.
«Ti stavo aspettando.» dice la Morte.
«Mi dispiace, sono stato trattenuto. Dato che ti ho svelato i miei piani batterò in ritirata. Avanti, tocca a te.»
«Perché così soddisfatto?»
«È il mio segreto.»
«Va bene. Allora io ti soffio il cavallo, eh?»
«Oh, niente di più giusto.»
«Mi hai messo in trappola?»
«Esattamente. Ci sei caduto in pieno. Ecco. Scacco al re.» «Perché ridi?» chiede la Morte.
«Non preoccupartene, salva il tuo re, piuttosto.»
«Stai diventando arrogante.»
«Questa partita mi diverte molto.»
«Su, tocca a te. Cerca di fare presto, che ho fretta.»
«Capisco che hai molte cose da fare, ma gli scacchi sono gli scacchi. È un gioco che richiede tempo.»
«Davvero accompagnerai quei saltimbanchi nella foresta questa notte? Voglio dire... Jof e Mia e il loro figlioletto?»
«Perché me lo chiedi?»
«Per niente.»
XIV
Il saltimbanco ha terminato di caricare il carro e ora sta attaccando il cavallo.
Anche il crociato è già montato a cavallo e s'aggira in cerca dello scudiero.
«Dov'è Jöns?» chiede «Dobbiamo partire.»
«Ha detto che andava un momento alla locanda.»
Proprio così. Lo scudiero ha pensato che un bicchiere di vino lo avrebbe aiutato a sopportare le fatiche del viaggio.
Ad un tavolo il fabbro ha l'aria molto sconsolata. Sta cercando conforto nei bicchieri che vuota senza sosta, uno dopo l'altro..
«Oh, Santo Cielo, ma quello è Plog il fabbro.» esclama Jöns.
«Sì, sono io.» risponde il fabbro con la voce impastata per l'alcool.
«Cosa fai da queste parti?» chiede Jöns sedendosi accanto a lui.
«Mi lamento che sono torturato come una lepre presa alla tagliola.»
«Sempre per via della moglie?»
«Non l'ho ancora ritrovata.»
«Eh, purtroppo si è infelici con le donne e si è infelici senza, e quindi la cosa migliore sarebbe di ucciderle appena incomincia l'infelicità.»
«Oh, le querele e le ciance delle donne...»
«... le urla e i pannolini degli infanti...»
«... unghie aguzze e lingue taglienti...»
«... la madre di tutti i diavoli per suocera...»
«... e quando hai voglia di fare un pisolino...»
«... ecco una triste melodia.»
«... fra lagrime e lamenti che sveglierebbero anche i morti...»
«... Perché non mi dai un bacio?...»
«... Perché non mi dici qualche cosa?»
«... Perché non mi ami più come il primo giorno?»
«... Non ti piace la mia camiciola nuova?»
«... Ecco, tu non fai che dormire e russare!»
«Accidenti!»
«Ma come accidenti? Tanto se n'è andata... Allegro!»
Lo scudiero lo consola battendogli sulla spalla. Il fabbro è furibondo con la moglie e con l'attore che gliel'ha portata via. Medita atroci vendette.
«Li prenderò tutti e due per il naso con le tenaglie, li trascinerò nella polvere fino a che non imploreranno pietà, li metterò sull'incudine e li lavorerò come due ferri di cavallo!!!»
Poi piange come un bambino.
«Ma che fai? Ricominci?»
«Forse perché io l'amo.»
«E il tuo sarebbe amore? Lascia che ti dica povero amore tenero e credulone che l'amore è fatto sostanzialmente di lussuria più lussuria, di inganni più inganni, di menzogne, sotterfugi e scempiaggini.»
«Comunque fa male lo stesso.»
«Oh, beh, naturalmente. L'amore è una faccenda molto dolorosa e alle volte sembra di doverne morire, ma poi invece passa.»
«No. Il mio è di quello che non passa.»
«Tutte storie, tutte storie. È estremamente raro che uno stupido come te muoia d'amore. Se tutto è imperfetto in questo imperfetto mondo l'amore invece è perfetto nella sua assoluta e squisita imperfezione.»
«Tu sei un uomo felice perché sai parlare molto bene, e poi credi tutto quello che pensi e dici.»
«Oh, e chi ti dice che ci creda? Mi piace dar consigli, ecco. E vuoi sapere perché? Perché sono una persona istruita.»
Jöns ha finito di riempire la borraccia e si prepara ad andarsene.
«Senti.» lo ferma Plog «Non potrei venire con te? Sai, sono così solo e non oso ritornare a casa dove tutti riderebbero alle mie spalle.»
«Va bene. Purché tu la pianti coi piagnistei. Su, avanti, andiamo.» Lo scudiero non vuol perder altro tempo ed esce.
«Jöns!» gli grida il fabbro che teme di restare di nuovo solo. Poi raccatta in fretta la sua pesante mazza, e si precipita fuori.
Ci manca poco che non si scontri col saltimbanco che poco prima voleva quasi uccidere. Ma ora il suo odio cammina per altre strade.
«Oh... fratello diletto...» lo saluta con fare amichevole.
«Attento Jöns!...» grida Jof diffidente «...quello è matto e vuol sempre menare le mani.»
«Per il momento è innocuo.» lo tranquillizza Jöns.
«Mi dispiace se ti ho trattato male. Purtroppo è tutta colpa del mio caratteraccio. Qua la mano!»
Il saltimbanco gliela porge riluttante.
«Uh! Oh! Uh!»
Si lamenta perché ha scoperto che la stretta del fabbro è peggio di una tenaglia. Il vino ha reso l'omaccione particolarmente incline alle effusioni di amicizia, ne ha di certo compromesso il già carente intelletto ma non la forza.
«E ora lascia che ti stringa al cuore!» propone Plog.
«Va bene, va bene, più tardi. Adesso ho troppo da fare. Più tardi. Arrivederci.» Gli è bastata la stretta di mano.
La neoformata comitiva lascia il villaggio.
In testa è il cavaliere. Poi viene il carro degli attori. Da ultimi lo scudiero e la sua donna. Un poco staccato arranca il fabbro.
Una buona camminata lo aiuterà a smaltire la sbornia.
XV
La compagnia si è da poco inoltrata nella foresta quando sul sentiero davanti a loro sbucano due persone. Plog è il primo a riconoscerle.
«Ehi... cosa vedono i miei occhi? Chi sono quei due là in fondo che avanzano?
Non si tratta forse della mia beneamata con quel dannato buffone?»
Ha alzato la mazza pronto a colpire e corre minaccioso verso i due amanti.
«Aiuto!» grida il capocomico, e se la dà a gambe.
Il fabbro lo insegue cieco di rabbia.
«Aaaaaaahhhh! Ti ucciderò!»
Dopo una lunga corsa fra gli alberi, i due si fronteggiano ansanti. Jonas il capocomico ha estratto un pugnale. Dicono che la miglior difesa sia l'attacco e Jonas aggredisce verbalmente il suo nemico.
«Sei tu lo sporco fabbro che ha osato insultare la mia adorata, la celestiale, mirabilissima Cunegonda?»
«Che nome hai detto?» chiede divertito il fabbro.
«Cunegonda. Sei anche diventato sordo?» gli risponde con aria da gran signora la moglie.
«Cunegonda... oooh, quella è Lisa, Lisa la lercia, Lisa la svergognata, Lisa l'adultera, la spudorata!»
«Oh, com'è volgare.»
«Tanti nomi tu hai meritato, e sono anche pochi. Ne meriteresti di peggiori, lasciva baldracca!»
«Oh, toglilo di mezzo!» ordina la donna al suo amante.
«Dannato figliolo» comincia Jonas «bastardo dei sette cani più rognosi del villaggio.»
Il capocomico è visibilmente compiaciuto dell'abilità con cui infila le parole una dietro l'altra.
«Se io fossi nei tuoi luridi panni» continua «sarei preso da una tale estrema cocente vergogna che non esiterei un attimo a liberare il mondo della mia presenza odiosa.»
«Attento a quello che dici, profumato.» Il povero fabbro ha sbagliato parola.
«Perdigiorno!» lo corregge Jöns.
«Perdigiorno... Sta attento o ti farò una cosa che ti porterà dritto all'inferno dove coi pidocchi della tua razza potrai divertirti a... a...»
«A recitare monologhi.» suggerisce ancora lo scudiero. Quella schermaglia verbale fra un artista e un fabbro analfabeta è una lotta impari e Jöns aiuta il più debole.
«... a recitar monologhi ai diavoli che ti rimesteranno notte e giorno col forcone!»
«Bravo Plog.» si complimenta Jöns.
«Attento che non ti faccia uscire le budella dagli occhi e che poi non te ne faccia dono!» replica il capocomico.
«O che io non ti tagli le orecchie e te le faccia ingoiare impanate e fritte come due fiori di zucca.» è la risposta del fabbro.
Lo scudiero ride.
«Che c'è da ridere? Quelli fanno sul serio.» lo riprende preoccupato Jof.
«Mi fanno venire in mente quelle scimmie tanto simili all'uomo da essere stupide come lui.» risponde lo scudiero.
«Che vuoi dire?»
«Oh... niente, niente.»
La donna ha improvvisamente cambiato partito. Si avvicina al marito e gli fa le moine.
«Plog. Piccolo Plog adorato.»
«Come?»
«Mio piccolo Plog adorato, perdonami.»
Lo scudiero conosce molto bene le donne.
«Vedrai che adesso si mette a piangere.» pronostica.
E puntualmente Lisa piange. Anche se, a dire il vero, non si vedono lacrime scendere sulle sue guance.
«Quante cose terribili mi hai detto... e pensare che quell'uomo mi ha ingannata, soltanto ingannata.»
«Lo riconosco, Cunegonda....» ammette il capocomico «...mi sono comportato come un vile.»
«Ora lei gli parlerà dei suoi piatti preferiti.» prevede Jöns.
«Oh, tesoro mio. Appena a casa cuocerò per te braciole di maiale con rape e marmellata di mirtilli. Vedrai come le gusterai. Oh, caro Plog.»
«Sì, d'accordo... ma prima di tutto io devo ammazzare quel buffone!» dice deciso Plog.
«Hai ragione...» lo incita la moglie «avanti, ammazzalo subito, che cosa aspetti ancora? Non ho mai visto un essere più odioso.»
«Perché mai o Signore creasti la donna?» commenta lo scudiero volgendo gli occhi al cielo.
«Che orrore! Barba falsa, denti falsi, sorrisi ingannatori, nient'altro che recitazione. Sì, uccidilo, non si merita altro.»
«Mio caro Plog,» esordisce pacatamente il capocomico «se pensi che io voglia difendere questa mia povera realtà fisica ti sbagli di grosso. Uccidimi pure, mi renderai un servizio e già ti ringrazio.»
«Cos'hai detto?» chiede sconcertato il povero Plog.
«L'attore commuove e confonde l'avversario.» sentenzia Jöns «Ah, potenza
dell'arte.»
«Su, fa qualcosa invece di stare lì impalato.» interviene Lisa spronando il marito.
«Ma lui deve ribellarsi,» sbotta Plog «se no come faccio ad ucciderlo? Deve provocarmi in modo da imbestialirmi, come poco fa.»
«Caro amico,» continua il capocomico che ha intravisto una via d'uscita «ora affonderò questa lama nel mio petto e la misera realtà di cui è fatto il mio corpo si trasformerà in un'altra realtà, quella assoluta e tangibile di un cadavere.»
«No, beh, io non volevo che tu giungessi a questo.»
«Addio dolce Cunegonda, addio amico Plog. Prega per me, talvolta.»
Si apparta sotto una grossa quercia e si pianta teatralmente il coltello nel petto accasciandosi esanime. La scena risulta molto credibile ed efficace, d'altronde l'aveva provata molte volte. Nessuno ha udito il click della lama che rientrava nel manico.
«Oh, oh, Signore Iddio benedetto. Ma io non volevo che morisse. In fondo era anche simpatico.» Plog quasi piange.
«È morto.» diagnostica Jof «Terribilmente morto. Non ho mai visto un attore più morto di lui.»
«Ah, cielo, è una faccenda che non va, anche se è stato lui a voler morire.» commenta Lisa.
«Oh, tu sei sempre così buona.»
«Comunque ora hai di nuovo la tua Lisa accanto.» «Non sei soddisfatto?» chiede Jöns al fabbro.
«Amico mio, sai cosa ti dico? Che la vita alle volte è una vera pazzia!»
«Ah, certo, hai ragione, ma tu non pensarci.»
«Non pensarci... è presto detto.»
Se ne sono andati tutti, e il capocomico cadavere è solo sotto la quercia. «Ecco fatto. Sono un grande attore.»
Si tira su a sedere e si toglie la barba finta.
«Adesso mi arrampicherò su di un albero e così almeno passerò la notte al sicuro.»
Mentre dice queste parole da dietro un cespuglio è sbucata la Morte.
Jonas non l'ha vista. Sceglie un albero facile da scalare e si sistema su una biforcazione dei rami più grossi.
«Là. Domattina cercherò Jof e Mia, e assieme partiremo per la sagra di Elsinore.
Meno male che è andata a finire bene.»
Canticchia: Quand'ero giovanotto me n'andavo tutto solo...
Ode il rumore di una sega.
«Dei boscaioli? Accidenti, ma stanno tagliando proprio il mio albero! Ehi, voi, tagliaboschi, che state facendo al mio albero?»
La Morte continua senza degnare Jonas di una parola.
«Non potreste almeno rispondere? La cortesia non costa niente. Ehi, ma che sei tu?»
«Sto abbattendo il tuo albero. Non sai che la tua ora è giunta?»
«No, aspetta, ti prego. Non è questo il modo.»
«Ah, e che modi vorresti?»
«Ah, beh, ecco, vedi... fra poco c'è lo spettacolo.»
«Ma sarà sospeso. Per la morte dell'attore.»
«Ma se ho un contratto...»
«Annullato.»
«Beh, sì, ma la famiglia, i bambini...»
«Su, dovresti vergognarti, Skat.»
«Sì, sì, sì, giusto, mi vergogno. E mi pento, mi pento. Ma... non c'è qualche scusa? Qualche particolare eccezione per gli attori?»
«No, no, niente. Nessuna eccezione.»
«Niente scappatoie? Nessun rimedio?»
La Morte continua la suo opera fino a che il tronco crolla con uno schianto.
L'indomani la compagnia ha ripreso il cammino attraverso la foresta.
Procedono senza soste per tutto il giorno e al calare del buio si accampano in una piccola radura.
«Le nubi hanno lasciato libera la luna.» osserva cupo Plog.
«Molto bene. Così vedremo meglio la strada.» commenta freddamente Jöns.
«Non mi piace la luna stasera.» sospira Mia.
«Gli alberi sono immobili.» aggiunge Jof.
«Non c'è un filo di vento.» spiega lo scudiero che cerca di resistere alle suggestioni del luogo e dell'ora.
«Forse non è per questo. Dev'essere qualcos'altro.»
«Non c'è un suono.»
«Almeno si sentisse una volpe...»
«... o un gufo...»
«... o qualche voce umana... oltre le nostre.»
Di lì a poco si ode un rumore di zoccoli, e quindi il nitrito d'un cavallo.
«Un carro!»
Jöns s'è alzato rapidamente per andare a vedere.
Il carro scortato da un gruppo di soldati è bloccato a un piccolo guado e i soldati stanno cercando di disincagliarlo.
«Forza, oohh-forza, oohh-forza!»
Senza esitare lo scudiero si unisce a loro per spingere il carro fuori dal guado.
«Dove state andando?»
«A un'esecuzione.»
«Ah, già, ho capito, la strega. Ma perché la bruciate così, di notte? La gente ha così poche distrazioni oggidì.»
«Chi vuoi mai che venga a vederla? Solo a guardarla c'è rischio di cader preda del Demonio?»
«In questo caso siete dei giovanotti coraggiosi.»
«Eh, beh, ci hanno pagato bene e val la pena di rischiare.»
Ora hanno rimesso in movimento in carro. Ripartono tutti assieme, sotto la pioggia battente.
La piccola carovana ha raggiunto il luogo fissato per allestire il rogo. I soldati stanno ultimando i preparativi.
«Figliola, mi senti?»
Il cavaliere sta interrogando la ragazza condannata.
«È vero che sei stata assieme al Diavolo?»
«Perché me lo chiedi?»
«Non è solo per curiosità. Ho le mie buone ragioni. Voglio incontrarlo anch'io.» «Perché?»
«Voglio domandargli di Dio. Lui sicuramente deve saperne più di ogni altro.»
«Puoi incontrarlo quando vuoi.»
«Anche ora?»
«Sì, se fai quello che ti dico io. Guardami fisso negli occhi. Guarda. Guarda bene. Non lo vedi?»
«Vedo solo il tuo disperato terrore, e nient'altro. Ecco ciò che vedo.»
«Davvero non vedi altro? Niente altro?»
«No.»
«Forse sarà dietro le tue spalle.»
«No. Non c'è nessuno.»
«Ma io so che è qui accanto. Basta che io allunghi una mano per incontrare la sua. Anche adesso è qui, e mi difenderà dal fuoco.»
«Lo ha detto lui?»
«Lo so.»
«Te lo ha detto lui?»
«Su guarda, guardami negli occhi. Lo vedrai anche tu se guardi bene. I preti lo hanno visto subito il Demonio. E anche i soldati. E ne hanno tanta paura che non osano neanche toccarmi.»
Una guardia sale sul carro e la libera dalle catene. Sta per portarla sul rogo.
«Perché le avete rotto i polsi?»
«Non siamo stati noi.» si difende il soldato.
«E chi?»
«Chiedetelo a quel monaco.»
Il cavaliere si dirige verso la figura incappucciata.
«Che cosa le avete fatto?»
Il monaco lentamente si volge verso il cavaliere. È la Morte.
«Perché non la smetti di fare domande?» mormora. «No, non la smetterò.»
«Tanto nessuno ti risponde.»
Hanno acceso un fuoco. Non è ancora il grande rogo finale. I lividi bagliori della fiamma guizzano sui visi spettrali dei soldati e della condannata.
Ora la condannata viene legata su una lunga scala che sarà sistemata proprio al centro della catasta di legna.
«Per un attimo ho pensato di uccidere i soldati.» mormora Jöns al suo padrone «Ma a che sarebbe servito? Tanto è già agonizzante.»
«Vi ho detto di non avvicinarvi!» grida una guardia «Finirete dannati anche voi.»
Cavaliere e scudiero, ignorando l'ordine del soldato, seguono da vicino gli ultimi momenti di vita della ragazza. Lo scudiero si china su di lei e le versa un po' d'acqua fra labbra. Il cavaliere le fa scivolare in bocca una pasticca molle che ha portato dall'oriente.
«Prendi questo. Ti allevierà la pena.» Ecco.
I soldati sono venuti a prenderla. Issano la scala sul rogo. Appiccano il fuoco alla catasta di legna.
«Che cosa vede? Questo vorrei sapere.» domanda lo scudiero Jöns.
«Ormai non vede più.» risponde il cavaliere.
«Non avete risposto alla mia domanda. Chi veglia su di lei? Gli angeli, o Dio, o Satana, oppure... oppure il Nulla. Il Nulla, ve lo dico io!»
«No, no, non può essere.»
«Guardate i suoi occhi.» continua lo scudiero «La sua torpida coscienza si sta accorgendo del Nulla... del Nulla che ormai la sommerge.»
«No!»
«E noi siamo qui incapaci di fare qualcosa, perché vediamo ciò che vede lei e il nostro terrore è uguale al suo. E nessuno l'aiuta. No, non posso guardarla.»
XIX
In lontananza s'ode il canto d'un gufo, mentre le fiamme crepitano vivaci. Ma non sono le fiamme del rogo. Quelle si sono ormai esaurite da diverse ore. È solo Jöns che prepara la colazione. Accanto a lui, Mia canta una ninnananna al piccolo Mikael.
C'è un usignolo su un ramo d'acacia che canta alla luna d'estate...
Poco più in là, il crociato davanti alla scacchiera studia la prossima mossa. «Tra poco farà giorno, eppure il caldo è ancora come un'umida coltre.» «Ho tanta paura.» piagnucola Lisa.
«Sentiamo che deve accadere qualcosa ma non sappiamo cosa.»
«Forse è la fine, il nostro ultimo giorno.»
S'ode un lamento, un urlo che proviene dal fitto della foresta.
«Aaaah! Aaaah! Per carità di Dio, datemi un po' d'acqua! Ho la peste.» È Raval che si trascina a fatica verso di loro.
«Non avvicinarti!. Resta dietro quel tronco!» lo ammonisce deciso Jöns.
«No, no. Ho paura. Ho paura di morire! Non voglio morire! Non voglio! Non voglio! Perché non avete pietà di me? Datemi un po' d'acqua. Aiutatemi! Non lasciatemi morire!»
La donna dello scudiero si alza impietosita e fa per portargli dell'acqua, ma lo scudiero la blocca.
«No. Non serve a niente. Ormai non serve a niente. Tutta l'acqua di un fiume non basterebbe a dissetarlo.»
«Non voglio... non voglio... sto per morire... aiutatemi! Aiutatemi! Che cosa accadrà di me? Ditemi qualcosa, confortatemi! Abbiate un po' di misericordia... non vedete che muoio? Abbiate pietà. Datemi un po' d'acqua...»
«Oh Signore...»
«Non si può fare niente. Adesso tutto sarebbe inutile. Nessuno riuscirà più a confortarlo.»
«Aiutatemi!» urla Raval, ma il suo grido è più fioco.
«Cerca di non sentirlo.»
«Aiutatemi! Aaaah! Aaaah!»
Raval è morto. Accanto al crociato è comparsa la Morte.
«Allora... vogliamo finire la nostra partita?» chiede la Morte.
«Tocca a te.» risponde il crociato.
La Morte sorride soddisfatta.
«Ora ti soffio la regina.» dice la Morte.
«Non me n'ero accorto.» replica abulico il cavaliere.
Il saltimbanco sta osservando la scena.
«Mia! Vedo una cosa terribile, una cosa che non so come dirti.»
«E che cos'è?»
«Il cavaliere è laggiù che gioca a scacchi.»
«Lo vedo anch'io, e non capisco che cosa ci sia di tanto terribile.»
«Ma non vedi con chi gioca?»
«Sta divertendosi da solo. Ma perché mi spaventi così?»
«No, no, no, non è vero che è solo.»
«E con chi è?»
«Con la Morte. Gioca a scacchi con la Morte in persona.»
«Non devi dire queste cose.»
«Dobbiamo cercare di andarcene.»
«E come possiamo fare?»
«Bisogna tentare comunque. Sono così immersi nel gioco che forse non se ne accorgono.»
Mia e Jof raccolgono le loro cose, mettono sul carro il figlioletto Mikael e salgono anch'essi in gran fretta. Si allontanano furtivi, sperando che la Morte non se ne accorga.
«Tocca a te, Antonius Block. Hai perso interesse alla partita?» chiede la Morte.
«Perso interesse? Per niente.»
«Ti vedo preoccupato. Di che si tratta?»
«Niente ti sfugge, vero?»
«Niente mi sfugge. Allora... cos'è che ti tormenta?»
«È vero, sono preoccupato.»
«Hai paura?»
Con un movimento maldestro il cavaliere rovescia la scacchiera. Forse sta creando un diversivo per coprire la fuga dei saltimbanchi.
«Scusa. Questo mantello è così ingombrante.»
«Non preoccuparti.» lo tranquillizza la Morte.«Ricordo benissimo dove
stavamo...» rimettono a posto i pezzi «...e ti devo dare una notizia interessante.» «E cioè?»
«Che ho vinto! Ti do scacco matto.»
«È vero.»
«Ti è stato d'aiuto questo rinvio?»
«Ah, sì, certo.»
«Ne sono lieto. E adesso ti lascio. Quando ci rincontreremo sarà giunta l'ultima ora. Per te e i tuoi compagni di viaggio.»
«E tu ci svelerai i tuoi segreti?»
«Io non ho alcun segreto da svelare.»
«Allora non sai niente?»
«Non mi serve sapere.»
Jof incita il vecchio cavallo. S'è levato un vento molto forte che piega i rami degli alberi, e ulula come un branco di lupi.
Mia stringe a sé il figlioletto.
«Guarda che strana luce là in fondo.» dice preoccupata.
«Al sorgere del sole ci sarà un temporale.» risponde il marito.
«È qualcosa d'altro, qualcosa di terribile. Non senti l'urlo della foresta?»
«Dev'essere la pioggia.»
«No, non è la pioggia. No. Ci ha visti e ci segue. Si dirige verso di noi e ci raggiunge.»
Poco dopo un'acqua gelida sferza i loro visi e penetra fin nelle ossa.
«Va dentro, Mia. Fa presto, va.»
Si rifugiano tutti dentro al carro, abbracciati l'un l'altro per scaldarsi e infondersi un poco di coraggio.
«È l'Angelo dell'abisso che passa su di noi, sì, è l'Angelo dell'abisso, e le sue ali sono nere e immense.»
«Senti come è freddo il vento?»
Anche il cavaliere e i suoi compagni stanno lottando contro la furia degli elementi, mentre salgono sul crinale che porta al castello.
Sotto di loro il mare spumeggiante si frange sugli scogli, ma lassù il rumore delle onde arriva molto attenuato.
Ora salgono la scala in pietra che conduce a una porticina incassata nella roccia. Alla luce delle torce, il cavaliere li guida oltre lo stretto ponte levatoio, attraverso un dedalo di sale, corridoi, stretti passaggi, fino al cuore della sua casa.
Una donna sta alimentando il camino con grossi ceppi.
«Gente tornata dalla crociata mi aveva detto che stavi arrivando. Io sola ti ho atteso qui. Gli altri hanno avuto paura della peste. Dimmi, non mi riconosci più forse?»
La donna e il cavaliere si fissano in silenzio. Poi la donna riprende a parlare.
«Anche tu sei mutato però. Ma ora vedo che sei proprio tu. Nel fondo delle tue pupille, celato nelle pieghe del tuo volto, turbato, c'è ancora il ragazzo che se ne andò di qui tanti anni fa.»
«Sono tornato, e sono un po' stanco.»
«Sei pentito di ciò che hai fatto?»
«No. Non lo sono affatto. Sono solo un po' stanco.»
«Me ne sono accorta.»
«Questi qui sono i miei amici.»
«Digli di entrare. È giusto l'ora della colazione.»
Sono tutti seduti intorno alla tavola sobriamente imbandita.
In silenzio ascoltano la donna che legge:
«Quando l'agnello aperse il settimo sigillo, nel cielo si fe' un silenzio di circa mezz'ora e vidi i sette angeli che stavano dinanzi a Dio e furono date loro sette trombe. Poi un altro angelo si fermò davanti all'altare con un turibolo e gli fu data gran quantità d'incenso.»
S'odono tre violenti colpi. Qualcuno ha bussato alla porta.
Jöns lo scudiero si alza e va a vedere.
«E allora il primo angelo die' fiato alla tromba e ne venne grandine e fuoco misto a sangue, e così furono gettati sovra la terra, e la terza parte della terra fu arsa, e la terza parte degli alberi fu arsa, e fu arsa l'erba verdeggiante. E quindi il secondo angelo die' fiato alla tromba e una specie di grande montagna di fuoco ardente fu gettata in fondo al mare e la terza parte del mare diventò sale.» Jöns è tornato. Solo.
«C'era qualcuno?»
«No, signore. Nessuno.»
«E anche il terzo angelo die' fiato alla sua tromba, e dall'alto del cielo cadde una stella grande, ardente come fiaccola. La stella si chiamava... si chiamava Assenzio.» Nella stanza è entrata la Morte.
Tutti i presenti si sono girati verso di lei.
«Buongiorno, nobile signore.» la saluta il crociato.
Poi, a turno, anche gli altri porgono il loro saluto.
«Io sono Karin, la moglie del cavaliere e vi do il benvenuto nella mia casa.»
«Il mio mestiere è quello del fabbro e devo dire che mi arrangio bene nel mio lavoro. Questa è mia moglie Lisa. Saluta il nobile signore, avanti. Qualche volta non è facile andarci d'accordo e abbiamo avuto i nostri litigi, ma non peggio di quanto capita a tutte le coppie.»
Il cavaliere ha giunto le mani e sta pregando in ginocchio.
«Dall'oscurità che tutti ci attornia, mi rivolgo a Te, o Signore Iddio, abbi misericordia, ché siamo inetti e sgomenti e ignari.» È lo scudiero che risponde alla sua preghiera.
«Nell'oscurità in cui dite che siamo avvolti, e probabilmente è proprio così, non c'è nessuno che ascolti i vostri lamenti o lenisca le vostre sofferenze. Asciugatevi le lacrime e specchiatevi nella vostra indifferenza.» Il cavaliere continua la sua preghiera.
«Dio, Tu che in qualche luogo esisti, che devi certamente esistere, abbi misericordia di noi.»
Ancora una volta gli risponde lo scudiero Jöns.
«Forse avrei potuto liberarmi da quest'angoscia dell'eternità, che vi tormenta, ma ormai è troppo tardi per insegnarvi la gioia smisurata di una mano che si muove o di un cuore che pulsa.»
«Silenzio... Silenzio...» mormora stancamente la moglie del cavaliere.
«Sì, farò silenzio, ma mi ribello.»
La ragazza dello scudiero ora s'è inginocchiata. Un'ombra le ha coperto il giovane viso.
«L'ora è venuta.»
XXIII
È tutto passato.
Fuori è tornato a splendere il sole e gli uccelli cantano di nuovo.
«Jof! Jof!»
È Mia che sveglia il marito per farlo partecipe del cambiamento. I tre escono dal carro, sorridenti. Anche il mare è ora una distesa liscia e silenziosa.
«Mia! Li vedo, Mia! Laggiù, contro quelle nuvole scure. Sono tutti insieme, il fabbro e Lisa, il cavaliere e Raval, e Jöns, e Skat e la Morte austera li invita a danzare. Vuole che si tengano per mano, e che danzino in una lunga fila. In testa a tutti è la Morte, con la falce e la clessidra. E Skat, ah-ah, è l'ultimo, e ha la lira sotto il braccio. Danzano solenni, allontanandosi lentamente nel chiarore dell'alba verso un altro mondo ignoto, mentre la pioggia lava quieta i loro volti e terge le loro guance dal sale delle lacrime.»
Mia scuote la testa sorridendo e stringendo a sé il piccolo Mikael. «Ah, tu, sempre con i tuoi sogni e le tue visioni.» C'è ancora molta strada da fare e il sole è già alto.
Jof e Mia si sono messi in cammino.
FINE