LA PANNE
Friedrich Dürrenmatt
Un banale incidente costringe Alfredo Traps, rappresentante di articoli tessili, a fermarsi in un paese. La panne non gli spiace, una notte fuori casa può sempre offrire un’avventura. Ma la casa che lo ospita, quella di un vecchio giudice a riposo, non è quanto s’aspettava. Infatti, invece di qualche compagnia femminile, il rappresentante trova quattro vecchietti, tutti ex uomini di legge, che gli spiegano il loro unico passatempo: rifare dei famosi processi storici come quello di Socrate, di Gesù, di Giovanna d’Arco. Ma il gioco, aggiungono, diventava più bello con del materiale vivente. E così Traps, tra una vecchia bottiglia di Bordeaux e un Réserve des Maréchaux, si ritrova in veste di imputato. L’atmosfera diventa sempre più inquietante: il gioco scivola nella realtà per poi tornare gioco, in uno sfasamento continuo abilmente orchestrato dai quattro diabolici vecchietti. Traps parla, si confessa: la sua vita banale sembra acquistare improvvisamente risvolti cruenti. Il rappresentante di articoli tessili che sbadatamente sognava un’avventura si sente rivelato e si rivela attraverso un esercizio di raffinate sevizie mentali, dove la posta finale può sciogliersi in una risata generale o in una condanna alla forca. Friedrich Dürrenmatt è nato nel 1921, e dal 1952 abita a Neuchatel. Per alcuni anni è stato responsabile per i testi drammatici al teatro di Basilea, per il quale ha prodotto le sue riduzioni teatrali. Tra i suoi numerosi drammi: La visita della vecchia signora (Feltrinelli, 1969), Il matrimonio del signor Mississippi (Einaudi, 1960) e I fisici (Einaudi, 1972). Dürrenmatt è anche autore di numerosi radiodrammi, racconti e novelle. Tra i suoi romanzi: La promessa (Feltrinelli, 1959), Il giudice e il suo boia (Feltri, nel 1960 ) e Il sospetto ( Feltrinelli, 1960 ). Ci sono ancora delle storie possibili, storie per scrittori? Se uno non intende parlare di sé né romanticamente generalizzare, liricizzare il proprio io, se proprio non si sente obbligato a parlare con spietata sincerità delle proprie speranze e delle proprie sconfitte o del proprio modo di fare all’amore, come se l’assoluta veridicità ne facesse un caso universale e non invece, nella migliore delle ipotesi, un caso clinico, psicologico; se invece intende tirarsi da parte con discrezione, difendere cortesemente le proprie faccende private, ponendosi di fronte al proprio tema come uno scultore di fronte alla materia da cui vuole ricavare una statua, lavorandoci e sviluppandosi attraverso di esso, e voglia, come facevano una volta i classici, non lasciarsi prendere subito dalla disperazione, anche se non può certo negare l’assurdo che ovunque viene a galla, allora scrivere diventa un mestiere più difficile, più solitario ed anche più insensato. Un bel voto in letteratura non ha alcuna importanza (chi non s’è preso un bel voto in letteratura e quanti libri raffazzonati non hanno avuto addirittura un premio!), mentre le istanze del giorno si fanno sempre più urgenti. Ma anche qui ci troviamo di fronte ad un dilemma e ad una sfavorevole situazione di mercato. Il semplice divertimento l’offre già la vita, alla sera c’è il cinema, nella terza pagina dei giornali c’è la poesia; per una spesa maggiore, ossia, sociologicamente parlando, nella categoria dalle cinquecento lire in su, si pretendono sfoghi del cuore, confessioni, assoluta sincerità appunto: bisogna saper fornire più alti valori, moralità, sentenze di facile applicazione, bisogna negare o affermare qualcosa, ora il cristianesimo, ora la disperazione di moda; insomma, letteratura bell’e buona. Ma se l’autore persiste nel rifiutare ostinatamente di produrre roba del genere, poiché gli è sì ben chiaro che la ragione per cui scrive va cercata in lui stesso, nella sua coscienza e nel suo subcosciente, nel loro rapporto dosato caso per caso, nella sua fede e nei suoi dubbi, ma è anche del parere che queste cose non interessino affatto al pubblico, che sia sufficiente ciò che egli scrive, crea, rappresenta, che l’unico dovere dello scrittore sia di offrire una superficie allettante e basta, e lavorare con scrupolo soltanto all’abbellimento della superficie, e che per il resto si debba tenere la bocca chiusa, senza far commenti né pettegolezzi? Giunto a questa considerazione, s’arresterà perplesso e sgomento, è inevitabile. Gli si affaccia il sospetto che non ci sia più nulla da raccontare, prende seriamente in considerazione la possibilità di cambiar mestiere; forse si possono scrivere ancora alcune frasi, ma poi si passa alla biologia per tener dietro almeno col pensiero a quest’esplosione di umanità, ai miliardi d’uomini in continuo aumento, agli uteri in incessante attività o ci si dà alla fisica, all’astronomia, per farci un’idea, spinti da un impulso all’ordine, dell’impalcatura da cui penzoliamo. Il resto è tutta roba per i giornali illustrati, per il «Life», per il «Match», per il «Quick» o per «Sie und Er»: il presidente sotto la IO tenda ad ossigeno, il buon Bulganin nel suo giardino, la principessa con quel diavolo del suo capitano, stelle del cinema e volti di gente piena di dollari, roba di facile smercio, non fai a tempo a parlarne ed è già fuori moda. E accanto a tutto questo la vita di un uomo qualsiasi, occidentale nel mio caso, meglio, svizzero, brutto tempo e congiuntura, affanni e tormenti, sconvolgimenti per pasticci privati, senza alcun rapporto col resto del mondo, con ciò che avviene e non avviene, col dipanarsi delle necessità. Il destino ha abbandonato la scena su cui si recita e se n’è andato a spiare dietro alle quinte, ha disertato la drammaturgia alla moda, e le malattie, le crisi, portate in primo piano si riducono tutte a banali incidenti. Anche la guerra dipende dalla possibilità che i cervelli elettronici ne predicano il buon esito, ma si sa, è un caso che non s’avvererà mai, ammesso che le calcolatrici funzionino: matematicamente si possono ormai concepire solo delle sconfitte. Guai però se qualcuno storpia un calcolo, se manomette un cervello elettronico! Eppure anche questo incidente sarebbe meno penoso della possibilità che una vite s’allenti, una bobina sia fuori posto, un manipolatore dia una reazione sbagliata, la fine del mondo per un corto circuito, per un contatto sbagliato. Non vi è più un dio che minacci, né una giustizia, né un fato come nella quinta sinfonia; ci sono solo incidenti del traffico, dighe che crollano per errori di costruzione, l’esplosione di una fabbrica di bombe atomiche provocata da un assistente di laboratorio un po’ distratto, incubatrici mal condizionate. Dentro questo mondo della panne ci porta la nostra strada, al cui margine polveroso, accanto ai cartelloni pubblicitari di scarpe Bally, di Studebaker, TT di gelati, accanto alle lapidi in memoria delle vittime del traffico, s’intravvedono ancora delle storie possibili, nel senso che il volto di un uomo qualunque sembra il volto di tutta l’umanità, una semplice sfortuna diventa involontariamente un fatto universale, si scorgono dei giudici, una giustizia, forse anche la grazia, che fa la sua apparizione per caso, riflessa nel monocolo di un ubriaco. Un incidente, anche se di lieve entità, una panne anche qui: Alfredo Traps, così si chiama il nostro eroe, un uomo che si occupa di articoli tessili, anni quarantacinque, per niente corpulento ancora, di bella presenza, di modi abbastanza cortesi, benché tradiscano un certo sforzo (vi traspare qualcosa di primitivo, qualcosa che fa pensare ad un venditore ambulante), ebbene, questo nostro contemporaneo viaggiava con la sua Studebaker su una delle maggiori strade del nostro paese, già pensava di raggiungere la propria residenza, una grande città, quand’ecco che la macchina si rifiutò di funzionare. Non c’era niente da fare: non andava più avanti. Se ne stava lì, come abbandonata, con la sua bella carrozzeria rosso sangue, ai piedi di una collinetta su cui passava la strada. A nord s’era formata una nuvola a cumulo, ad occidente splendeva ancora alto il sole, quasi come a mezzogiorno. Traps fumò una sigaretta e poi fece quanto gli restava ormai da fare. Il garagista che alla fine rimorchiò la Studebaker dichiarò che non poteva riparare il guasto, un difetto al condotto della benzina, prima del giorno dopo. Non c’era modo di sapere se fosse veramente così né era prudente tentare di scoprirlo: siamo alla mercé dei meccanici come i nostri antenati un tempo erano alla mercé dei predoni e, ancor prima, delle divinità locali o dei demoni. Troppo pigro per camminare una mezz oretta fino alla prossima stazione e per fare il viaggio un po’ complicato anche se breve fino a casa, da sua moglie, dai suoi bambini, tutti maschi, Traps decise di pernottare in paese. Erano le sei di sera, faceva caldo, si era vicini al solstizio; il villaggio, al cui margine si trovava il garage, era ridente, con le sue case sparpagliate verso le colline boscose, con una collinetta su cui c’era la chiesa, la canonica ed un’antichissima quercia con i suoi potenti anelli e sostegni, tutto decoroso, pulito, perfino i letamai davanti alle case dei contadini erano ben ammucchiati e sagomati. Di tanto in tanto si scorgeva una piccola fabbrica, qualche bettola, qualche locanda, di una delle quali Traps aveva sentito molto spesso parlar bene, ma le stanze erano occupate, le aveva richieste una riunione di coltivatori di bestiame minuto e al viaggiatore in articoli tessili indicarono una villa che di quando in quando ospitava dei forestieri. Traps esitò. C’era ancora la possibilità di tornarsene a casa con il treno, ma l’attirava la speranza di fare qualche conquista, perché nei villaggi c’erano delle ragazze, come recentemente a Grossbiestringen, che sapevano apprezzare la compagnia di viaggiatori in articoli tessili. Rianimato da questo pensiero, si mise in cammino verso la villa. Dalla chiesa giungeva il suono delle campane. Trotterellando gli venivano incontro delle mucche, muggivano. La villa, ad un piano, giaceva in mezzo ad un vasto giardino, i muri d’un bianco accecante, il tetto a terrazza e gli avvolgibili verdi, mezzo nascosta fra cespugli, fra faggi ed abeti, aiuole di fiori sul lato che dava sulla strada, rose dappertutto e fra le rose un omino attempato con un grembiule di pelle, probabilmente il padrone di casa, impegnato in qualche lavoretto di giardinaggio. Traps si presentò e chiese ospitalità. - Professione? - chiese il vecchio, che s’era avvicinato alla siepe fumando un Brissago e che, piccolo com’era, superava di poco l’altezza del cancello. - Sono occupato nell’industria tessile. Il vecchio squadrò attentamente Traps sbirciando come fanno i presbiti, al di sopra d’un paio di lenti senza cerchiatura: - Certamente, il signore può pernottare qui. Traps s’informò del prezzo. Il vecchio rispose che non era solito chiedere un compenso, era solo, suo figlio viveva negli Stati Uniti, di lui si occupava una governante, la signorina Simonetta, e perciò era contento di ospitare ogni tanto qualcuno. IL viaggiatore in articoli tessili ringraziò. Era commosso per l’ospitalità e notò che in campagna gli usi e costumi degli antenati non erano ancora del tutto scomparsi. Il cancello fu aperto. Traps si guardò intorno Vialetti di ghiaia, prato all’inglese, grandi zone d’ombra ed altre in pieno sole. Aspettava dei signori per quella sera, disse il vecchio quando giunsero vicino ai fiori, e intanto potava qua e là il roseto. Sarebbero venuti degli amici che abitavano nei dintorni, alcuni nel villaggio, altri più lontano, verso le colline, pensionati come lui, attratti in quel villaggio dalla mitezza del clima e dal fatto che qui il fohn non si faceva sentire, vecchi soli al mondo, vedovi, avidi di qualcosa di nuovo, di vivo, di fresco, ed era perciò un piacere per lui poter invitare il signor Traps a cena e alla successiva serata fra uomini. Il rappresentante di articoli tessili ebbe un attimo di perplessità. Veramente egli avrebbe voluto cenare al villaggio, in quella famosa trattoria, appunto, ma non osò rifiutare l’invito. Si sentiva obbligato. Aveva pur accettato di pernottare gratuitamente. Non voleva far la figura del cittadino scortese. Accettò dunque di buon grado. Il padrone di casa lo condusse al primo piano. Una camera graziosa. Acqua corrente, un bel letto ampio, un tavolino, una comoda poltrona, un quadro di Hodier alla parete, vecchi libri rilegati in pelle nello scaffale. Il rappresentante di tessili aprì la sua valigetta, si lavò, si fece la barba, si avvolse in una nube di acqua di Colonia, s’affacciò alla finestra, accese una sigaretta. Il gran disco del sole scivolava giù dietro le colline, investiva con gli ultimi raggi i faggi del giardino. Traps fece un calcolo rapido ed approssimativo degli affari conclusi in giornata, la commissione della società Rotacher, niente male, le difficoltà con Wildholz, il cinque per cento pretendeva, quella canaglia, una volta o l’altra gli tiro il collo, pensò. Poi s’affacciarono i ricordi. Cose d’ogni giorno, disordinate, un tentativo di adulterio all’Hotel Touring, il problema se comperare o no al più piccolo, il prediletto, un trenino elettrico, la cortesia, anzi il dovere di telefonare alla moglie per avvisarla della sua involontaria sosta. Ma non telefonò. Come già tante altre volte. Lei era abituata e comunque non gli avrebbe creduto. Sbadigliò, si concesse un’altra sigaretta. Scorse così tre vecchi signori venire per il vialetto di ghiaia, due a braccetto e uno, grasso, calvo, dietro a loro. Saluti, strette di mano, abbracci, discorsi sulle rose. Traps si allontanò dalla finestra e andò verso lo scaffale. A leggere i titoli c’era da aspettarsi una serata noiosa: Hotzendorff: Il reato d’omicidio e la pena di morte, Savigny: Sistema dell’odierno diritto romano, Ernst David Holle: Il procedimento dell’interrogatorio. Il rappresentante di tessili capì. Il suo ospite era un giurista, forse un ex avvocato. Si preparò a dare delle lunghe spiegazioni, che cosa ne capiva mai uno studioso della vita reale, niente, erano le leggi a conformarsi alla vita e non viceversa. C’era inoltre da temere che si parlasse di arte o di cose simili, dove lui avrebbe fatto facilmente una cattiva figura, certo, ma se non fosse stato impegnato nella lotta per gli affari, sarebbe stato anche lui al corrente di problemi più alti. Perciò scese di malavoglia al piano inferiore dove ci si era messi a sedere nella veranda aperta ed ancora illuminata dal sole, mentre la governante, una donna robusta, preparava la tavola nella vicina sala da pranzo. Rimase tuttavia allibito quando vide la compagnia che l’attendeva. Fu felice dunque che gli venisse incontro per primo il padrone di casa, con un’aria un po’ fatua, i pochi capelli accuratamente spazzolati e un’ampia finanziera addosso. Diede il benvenuto a Traps. Con un breve discorso. Così Traps ebbe modo di nascondere il proprio stupore, mormorò che il piacere era tutto suo, s’inchinò, freddo, distaccato, si diede l’aria di un uomo di mondo esperto di tessili e intanto pensava con malinconia che s’era fermato nel villaggio per scovarsi una bella ragazza. Non gli era riuscito. Ora era lì davanti a tre vecchioni che non avevano nulla da invidiare allo strano padrone di casa. Come immensi corvi riempivano quel vasto salotto estivo con i mobili di vimini e le tendine leggere, vecchissimi, unti e bisunti, trasandati, benché le loro finanziere, come Traps notò immediatamente, fossero della migliore qualità, a prescindere dal vecchio calvo (di nome Pilet, anni settantasette, come dichiarò il padrone di casa facendo le presentazioni), che se ne stava seduto impettito e severo su uno sgabello estremamente scomodo, benché ci fossero tutt’intorno parecchie comode sedie, in una posizione eccessivamente corretta, con un garofano bianco all’occhiello, occupato a lisciarsi incessantemente i baffi neri e folti, pensionato anche lui, evidentemente, forse un ex sagrestano o uno spazzacamino o forse un macchinista, divenuto benestante grazie ad un colpo di fortuna. Tanto più malandati apparivano gli altri due. Uno (di nome Kummer, anni ottantadue), ancora più grasso di Pilet, smisurato, come composto di cuscinetti di grasso, se ne stava seduto in una sedia a dondolo, con il viso d’un rosso acceso, con un enorme naso da beone ed un’aria gioviale negli occhi spalancati dietro le lenti dorate ed inoltre, certamente per distrazione, una camicia da notte sotto il vestito nero e le tasche piene di giornali e di carte, mentre l’altro (il signor Zorn, anni ottantasei), lungo e magro, con un monocolo incastrato davanti all’occhio sinistro, vari sfregi sul volto, il naso adunco, una gran criniera di capelli bianchissimi, la bocca infossata, un’apparizione d’altri tempi insomma, aveva il panciotto mal abbottonato e calzini di differente colore. - Un Campari? - chiese il padrone di casa. - Volentieri, - rispose Traps e si sedette in una poltrona, mentre il vecchio magro ed allampanato lo osservava con interesse attraverso il monocolo: - Il signor Traps parteciperà al nostro giuoco, non è vero? - Ma senz’altro. I giuochi mi divertono. I vecchi sorrisero dondolando la testa. - Il nostro giuoco forse è un po’ strano, - fece osservare prudentemente, quasi con esitazione, l’ospite - Alla sera noi torniamo ad esercitare per giuoco le nostre professioni d’un tempo. I vecchi sorrisero di nuovo, cortesemente, discretamente. Traps si stupì. Com’era questa faccenda? - Ebbene, - precisò il padrone di casa, - io un tempo ero giudice, il signor Zorn pubblico ministero ed il signor Kummer avvocato, e così giochiamo al tribunale. - Capisco, - disse il signor Traps e l’idea gli sembrò passabile. Forse la serata non era ancora perduta. L’ospite guardò Traps con aria grave. Generalmente, spiegò in tono bonario, si rifacevano i famosi processi storici, il processo di Socrate, il processo di Gesù, il processo di Giovanna d’Arco, il processo Dreyfus, recentemente l’incendio del Reichstag e una volta avevano dichiarato irresponsabile Federico di Prussia. Traps si meravigliò: - Fate questo giuoco ogni sera ? Il giudice annuì. Ma naturalmente, spiegò poi, il giuoco diventava più bello se si giocava con del materiale vivente, il che aveva portato molto spesso a situazioni particolarmente interessanti; proprio due giorni prima un parlamentare che aveva tenuto in paese un discorso elettorale ed aveva perduto l’ultimo treno, era stato condannato a quattordici anni di carcere per ricatto e corruzione. - Un tribunale severo, - osservò divertito Traps. - Una questione d’onore, - dissero raggianti i vegliardi. Quale parte sarebbe toccata a lui, dunque? Di nuovo sorrisi, quasi risate. Il giudice, il pubblico ministero e l’avvocato difensore c’erano già, e poi erano delle cariche che presupponevano una certa conoscenza della materia e delle regole del giuoco, disse il padrone, solo il posto di imputato era ancora libero, ma il signor Traps non era affatto costretto, e ci teneva a sottolinearlo ancora una volta, a prendere parte al giuoco. La proposta dei vegliardi divertì il viaggiatore in prodotti tessili. La serata era salva. Non sarebbe stata una serata intellettuale e noiosa, prometteva di diventare allegra. Era un uomo semplice, di non troppa perspicacia e di non grande attitudine per l’attività intellettuale, un uomo d’affari, smaliziato quanto occorreva, che nel suo ramo d’attività badava al sodo, e a cui inoltre piaceva mangiare e bere ed era particolarmente portato verso divertimenti e piaceri d’una certa consistenza. Disse che partecipava al giuoco, era un piacere per lui prendere il posto vacante di imputato. Bravo, gracchiò il pubblico ministero ed applaudì, così deve parlare un galantuomo, questo sì che si chiamava coraggio. Il viaggiatore in prodotti tessili chiese con curiosità quale reato gli si imputasse. Era un punto di scarsa importanza, rispose il pubblico ministero, pulendosi il monocolo, un reato si finiva sempre per trovarlo. Tutti risero. Il signor Kummer si alzò. - Venga, signor Traps, gli disse in tono quasi paterno, - dobbiamo assaggiare il Porto che bevono qui; è vecchio e lei lo deve conoscere. Condusse Traps nella sala da pranzo. La grande tavola rotonda era preparata come per le grandi occasioni. Vecchie sedie dagli alti schienali, quadri antichi alle pareti, tutta roba fuori moda, solida, dalla veranda si sentivano conversare i vecchioni, dalla finestra entravano gli ultimi raggi di sole, giungeva il cinguettio degli uccelli; su un tavolino c’erano delle bottiglie, altre ancora sul caminetto, quelle di Bordeaux dentro una piccola cesta. L’avvocato difensore versò con molta prudenza ed un po’ tremando da una bottiglia di Porto in due bicchierini, li riempì fino all’orlo, brindò con il viaggiatore in articoli tessili, alla sua salute, prudentemente, toccando appena i bicchierini pieni del prezioso liquore. Traps assaggiò. - Eccellente, - disse. - Io sono il suo avvocato difensore, signor Traps, disse il signor Kummer. - Perciò brindiamo alla nostra amicizia - Alla nostra amicizia! Sarebbe stato meglio, disse l’avvocato avvicinandosi a Traps con la sua faccia rossastra, con il suo naso da beone e con il suo pince-nez, sicché il suo pancione una massa flaccida e schifosa, sfiorava l’imputato, sarebbe stato meglio che il signore gli confidasse subito il suo crimine. Così avrebbe potuto garantire che il processo sarebbe andato bene. La situazione non era certo pericolosa, ma neanche da sottovalutare, c’era da temere il pubblico ministero, magro ed allampanato, ed ancora in pieno possesso delle sue facoltà mentali e inoltre lo stesso padrone di casa era purtroppo portato alla severità e forse addirittura alla pedanteria che con la vecchiaia - aveva ottantasette anni - s’era acuita. Tuttavia era riuscito, come avvocato difensore, a risolvere la maggior parte dei casi o almeno ad evitare le conseguenze peggiori. Solo una volta, per un assassinio per rapina, non c’era stato nulla da fare. Ma questa volta, nel caso di Traps, un delitto per rapina era senz’altro da escludere, oppure no? Traps disse ridendo che purtroppo non aveva commesso nessun delitto. Poi aggiunse: - Prosit! - Lo confessi a me, - lo incoraggiò l’avvocato difensore, - lei non ha motivo di vergognarsi. Conosco la vita, non mi meraviglio più di nulla. Quanti destini mi sono passati accanto, quanti abissi mi si sono spalancati davanti agli occhi! Gli dispiaceva proprio, disse il viaggiatore in articoli tessili con un sorriso di compiacenza, lui era un imputato che non aveva commesso nessun reato, d’altra parte era compito del pubblico ministero trovargliene uno, lo aveva detto lui stesso, e su questo punto lo voleva prendere in parola. Un giuoco era un giuoco. Era anzi curioso di vedere cosa ne sarebbe saltato fuori. Ci sarebbe stato un vero interrogatorio? - Certamente! - Me ne rallegro proprio! L’avvocato difensore fece una faccia seria. - Si sente innocente, signor Traps? Il viaggiatore in prodotti tessili rise: - In tutto e per tutto, - e il discorso gli sembrò estremamente divertente. Il difensore si pulì gli occhiali a molla. - Si metta bene in testa, giovanotto, innocente o no, è una questione di tattica! ~ da pazzi, a dir poco, voler essere innocenti davanti al nostro tribunale, al contrario, é molto più intelligente incolparsi subito di un reato, per esempio di un reato particolarmente vantaggioso per i commercianti: di frode. Già durante l’interrogatorio poi può risultare che l’imputato esagera, che non ha commesso una vera e propria frode, ma ha ritoccato soltanto alcuni dati, a scopo di propaganda, come succede spesso in commercio. La via dalla colpa all’innocenza è sì difficile, ma non impossibile, mentre è un’impresa addirittura disperata voler conservare la propria innocenza ed il risultato non può essere che disastroso. Lei vuole perdere dove invece potrebbe averla vinta. Più tardi sarà costretto non a scegliersi una colpa, ma a lasciarsela attribuire. Il viaggiatore in articoli tessili si strinse nelle spalle divertito e protestò che gli dispiaceva di non poter essere utile, ma non sapeva davvero di aver commesso un misfatto che lo ponesse in contrasto con la legge. Il difensore si rimise gli occhiali. Con Traps sarebbe stata una gran fatica, disse pensieroso, non ci sarebbe stato risparmio di colpi. - Ma soprattutto, - disse concludendo il colloquio, - rifletta prima di parlare, non chiacchieri a vanvera, altrimenti lei corre il rischio di vedersi condannato di punto in bianco a molti anni di prigione senza poterci fare nulla. Poi entrarono gli altri. Sedettero intorno alla tavola rotonda. Una simpatica tavolata, parole scherzose. Dapprima furono portati in tavola diversi tipi di antipasto, affettato, uova alla russa, lumache, brodo di tartaruga L’atmosfera era eccellente, si mangiava contenti, si beveva senza imbarazzo. - Bene, - gracchiò il pubblico ministero, - signor imputato, che cosa ha da proporci? Mi auguro che si tratti di un bell’omicidio in piena regola. L’avvocato difensore protestò: - IL mio cliente è un imputato senza reato, una rarità, per così dire, nel mondo giudiziario. Sostiene di essere innocente. - Innocente? - si meravigliò il pubblico ministero. Le cicatrici gli si fecero rosse, il monocolo per poco non gli cadde nel piatto, penzolò qua e là sospeso ad una cordicella nera. Il minuscolo giudice, che stava sminuzzando del pane nella minestra, si fermò, guardò con aria di rimprovero il viaggiatore in articoli tessili, scosse la testa; anche il vecchio calvo e silenzioso dal garofano bianco all’occhiello lo guardò stupito. Regnava un silenzio angoscioso. Non si sentiva più il rumore delle forchette e dei cucchiai, non si sentiva più né sbuffare né bere succhiando. Solo Simonetta ridacchiava in fondo alla sala. - Dobbiamo esaminare il suo caso, - disse alla fine il pubblico ministero dominandosi. - Ciò che non può esistere, non esiste. - Coraggio, dunque, - rise Traps, - sono a vostra disposizione. Con il pesce c’era del vino, un Neuchatel leggero e frizzante. - Allora, - disse il pubblico ministero tagliando la trota, - vediamo un po’ . Sposato? - Da undici anni. - Bambini? —Quattro. - Professione? - Ramo tessili. - Viaggiatore di commercio caro signor Traps? - Rappresentante generale. - Bene. Ha avuto una panne? - Per caso. La prima da un anno a questa parte. -Eunannofa? - Be’, allora avevo ancora la macchina vecchia, spiegò Traps . - Una Citroen 1939, ma adesso possiedo una Studebaker fuoriserie rosso sangue. - Studebaker? Interessante, interessante! E da poco tempo? Prima, immagino, non era ancora rappresentante generale, vero? - Ero un semplice, comune commesso viaggiatore in articoli tessili. - Il miracolo economico! - annuì il pubblico ministero. Vicino a Traps sedeva il difensore. - Stia attento! gli sussurrò. Il viaggiatore in articoli tessili, anzi, il rappresentante generale, come possiamo dire d’ora innanzi, cominciò ad occuparsi con particolare attenzione della sua bistecca alla tartara, vi spremette sopra del limone, era una sua ricetta, un po’ di cognac, paprica e sale. Non aveva mai mangiato così bene, disse raggiante, aveva sempre creduto che non vi fosse nulla di più divertente per lui delle serate al Club della Cuccagna, mentre questa serata fra uomini lo divertiva ancora di più - Ah, - constatò il pubblico ministero, - lei è socio del Club della Cuccagna. E il suo nomignolo com’é? - Marchese di Casanova. - Magnifico! - gracchiò il pubblico ministero, soddisfatto come se quella notizia fosse di notevole importanza e con il monocolo di nuovo al suo posto. - è un piacere per tutti noi sentirglielo dire. E lecito pensare che fra il suo nomignolo e la sua vita privata vi sia qualche rapporto, mio caro? - Attento! - gli sibilò il difensore. - Solo entro certi limiti, - rispose Traps. - Se ho avuto qualche piccola avventura extramatrimoniale, è avvenuto per caso e senza ambizioni da parte mia. Voleva essere così gentile di raccontare per sommi capi la sua vita ai convitati? gli chiese il giudice, versandosi ancora del Neuchatel. Dato che avevano deciso di sottoporre ad un processo il carissimo ospite nonché peccatore e di mandarlo in galera per molti anni, bisognava pur sapere qualcosa di più, di più intimo di lui, storie di donne, possibilmente salate e pepate. - Racconti, racconti! - lo invitarono i vegliardi ridacchiando. Una volta avevano avuto a tavola un lenone che aveva raccontato loro le storie più appassionanti e gli episodi più piccanti del suo mestiere e con tutto ciò se l’era cavata con soli quattro anni di prigione. - Be’, che cosa potrei raccontarvi? - disse Traps ridendo con loro. - Faccio la solita vita, ogni giorno, signori, voglio dirvelo subito. Salute! - Salute! Il rappresentante generale alzò il bicchiere, fissò commosso gli occhi stupiti ed incantati dei quattro vegliardi che lo scrutavano come fosse un boccone prelibato, poi brindarono. Fuori il sole era finalmente tramontato e s’era spento anche il chiasso indiavolato degli uccelli, ma il paesaggio era ancora in piena luce, i giardini, i tetti rossi fra gli alberi, le colline boscose, e all’orizzonte le prime montagne, qualche ghiacciaio, un’atmosfera di pace, il silenzio della campagna, un solenne senso di felicità, di benedizione divina, di armonia cosmica. Aveva avuto una giovinezza assai difficile, raccontò Traps, mentre Simonetta cambiava i piatti e metteva in tavola una gigantesca scodella fumante. Champignons à la créme. Suo padre era operaio di fabbrica, un proletario, preda delle false dottrine di Marx e di Engels, un uomo amareggiato, triste, che non s’era mai preoccupato del suo unico figlio, la madre era una lavandaia prematuramente sfiorita. - Solo le elementari, solo le elementari ho potuto frequentare! - dichiarò con le lacrime agli occhi, amareggiato e nello stesso tempo commosso ripensando al suo miserabile passato, mentre si brindava con Réserve des Maréchaux. - Strano, strano, - disse il pubblico ministero. - Solo le elementari. Ma lei si è fatto strada, caro Traps, non è vero? - Proprio così! - si vantò costui, eccitato dal Maréchaux, stimolato dalla compagnia di amici, dal solenne, divino panorama al di là delle finestre. - Proprio così! Ancora dieci anni fa non ero che un povero venditore ambulante e passavo di casa in casa con la mia valigetta. Un lavoro pesante, lunghe camminate, di notte dormivo nei fienili o in locande di dubbia fama. Ho cominciato dalla gavetta, proprio dalla gavetta. Ed ora, signori, se vedessero il mio conto in banca! Non faccio per vantarmi, ma c’è qualcuno di voi che possiede una Studebaker? - Sia più prudente! - gli sussurrò il difensore preoccupato. - E come vi è arrivato? - gli chiese il pubblico ministero. Il difensore lo ammonì di stare attento e di non parlare troppo. Aveva assunto la rappresentanza esclusiva dell’« Eféstion» per tutto il nostro continente, dichiarò Traps lanciando uno sguardo di trionfo. Solo la Spagna ed i Balcani erano in mani altrui. Efesto era un dio greco, disse ridacchiando il minuscolo giudice, riempiendosi il piatto di funghi, un eccellente cesellatore che aveva catturato la dea dell’amore ed il suo cicisbeo Marte, dio della guerra, con una rete così invisibile e finemente ordita che gli altri dei si rallegrarono infinitamente per questa cattura. Ma che cosa significasse Eféstion di cui l’egregio Traps aveva assunto la rappresentanza esclusiva, era per lui un linguaggio velato. - Eppure lei ci è arrivato vicino, egregio ospite e giudice, - disse ridendo Traps. - Lei stesso l’ha detto: velato, ed ha pure detto che questo dio greco, a me sconosciuto, che porta quasi lo stesso nome del mio articolo, aveva intessuto una rete finissima ed invisibile. Se oggi esiste il Nylon, il Perlon, il Myrlon, tessuti sintetici, di cui questo alto consesso ha certamente sentito parlare, così esiste anche l’Eféstion, il re dei tessuti sintetici, assolutamente resistente, trasparente, particolarmente indicato per sofferenti di malattie reumatiche, utilizzabile sia nell’industria sia nella moda, sia per la pace sia per la guerra. Un tessuto perfetto per paracadute e nello stesso tempo il materiale più piccante per camicie da notte per belle donne, come posso assicurare in seguito a ricerche personali. - Sentite, sentite, - gracidavano i vegliardi, - ricerche personali, questa è buona -; intanto Simonetta cambiava di nuovo i piatti e metteva in tavola un arrosto di rognone di vitello. - Un pranzo coi fiocchi! - disse raggiante il rappresentante generale. - Ho piacere, - disse il pubblico ministero, - che lei sappia apprezzare e a buona ragione un pranzo del genere. Ci vengono portati in tavola cibi della migliore qualità, con grande abbondanza, un menu che sembra del secolo scorso quando gli uomini avevano ancora il coraggio di mangiare. Viva Simonetta! Viva il nostro anfitrione! E lui, questo vecchio gnomo goloso, che fa le spese, mentre al vino ci pensa Pilet, come oste della trattoria all’Orso nel villaggio vicino. Viva anche Pilet! Ma come stanno le cose con lei, mio bravo Traps? Indaghiamo ancora sul suo caso! La sua vita ora la conosciamo, è stato un vero piacere per noi farcene un’idea; anche la sua attività ci è ora perfettamente chiara. C’è ancora un punto, di scarsa importanza, del resto, che non è stato ancora chiarito: come è arrivato ad una posizione tanto lucrativa? Soltanto con il suo ingegno, con la sua ferrea energia? - Attenzione! - gli sibilò il difensore. - Ora viene il pericolo! Non era stato tanto facile, rispose Traps ed intanto guardava avidamente il giudice che cominciava a trinciare l’arrosto, prima aveva dovuto mettere fuori combattimento Gygax ed era stata una bella fatica. - Gygax, chi è costui? - Il mio ex principale. - Bisognava soffiargli il posto, intende dire? - Bisognava toglierlo di mezzo, per dirla come si parla nel mio mestiere, - disse Traps e si servì della salsa. - Signori, permettano una parola sincera. Il mondo degli affari è un mondo crudele, oggi tu la fai a me, domani io a te, chi vuol fare il gentiluomo, mi dispiace, ma va a finir male. Ora faccio soldi a palate, ma sgobbo come dieci elefanti, ogni giorno mi faccio i miei seicento chilometri con la mia Studebaker. Certo, non ho agito molto lealmente, quando si trattò di prendere Gygax per il collo e di dargli una coltellata, ma io dovevo pur farmi strada, che potevo farci, gli affari sono affari. Il pubblico ministero alzò gli occhi dall’arrosto di rognone e guardò Traps allibito. - Toglierlo di mezzo, prenderlo per il collo, dargli una coltellata, sono espressioni piuttosto dure, caro Traps. Il rappresentante generale rise: - Certo, bisogna intenderle solo in senso figurato. - Il signor Gygax sta bene, egregio amico? —E morto l’anno scorso. - Lei è pazzo da legare! - gli sibilò il difensore eccitato. - Lei è diventato matto! - L’anno scorso, - disse il pubblico ministero in tono di compianto. - Mi dispiace davvero. Quanti anni aveva? - Cinquantadue. - Giovanissimo. E di che è morto ? - Di una malattia che non ricordo. - Dopo che lei aveva avuto il suo posto? - Poco prima. - Bene, per il momento non ho bisogno di sapere di più, - disse il pubblico ministero. - Siamo fortunati, davvero fortunati. Abbiamo scovato un morto e questa è la cosa principale, in fondo. Risero tutti. Perfino Pilet, il vecchio calvo che mangiava compunto, pedantemente, imperturbabile, ingoiando porzioni immense, alzò gli occhi. - Magnifico! - disse e si accarezzò i baffi neri. Poi tacque e continuò a mangiare. Il pubblico ministero alzò solennemente il bicchiere. - Signori, - disse, - brindiamo a questa nostra scoperta con Pichon-Longueville 1933. Un buon Bordeaux per un buon giuoco! Brindarono di nuovo, uno alla salute dell’altro. - Perdiana, signori! - esclamò stupefatto il rappresentante generale, vuotando d’un fiato il bicchiere di Pichon e porgendolo di nuovo al giudice, - ma è un vino formidabile! Si era fatto buio ed i volti dei commensali si riconoscevano appena. Nel vano della finestra si indovinavano le prime stelle. La governante accese tre grandi pesanti candelabri che proiettarono sulle pareti l’ombra della tavolata, simile al meraviglioso calice di un fantastico fiore. Un’atmosfera di familiarità, di cordialità e di comune simpatia; ci si sentiva liberi da convenzioni, dalle regole del galateo. - Sembra una favola! - disse stupefatto Traps. Il difensore si asciugò con la salvietta il sudore dalla fronte. - La vera favola, caro Traps, - disse, - è lei. Non mi è mai capitato un imputato che abbia fatto con tanta tranquillità delle dichiarazioni tanto imprudenti. Traps rise: - Niente paura, caro vicino! Quando incomincerà l’interrogatorio, non perderò la testa. Silenzio di tomba nella stanza, come poc’anzi. Non si sentiva più né masticare né trincare. - Disgraziato! - gemette il difensore. - Che vuol dire: quando comincerà l’interrogatorio? - Be’, - disse il rappresentante generale, riempiendosi il piatto d’insalata, - non vorrà dire che è già incominciato? I vegliardi sorrisero di compiacimento, scaltri com’erano, si resero conto dell’equivoco, alla fine belarono di gioia. Il vecchio calvo e silenzioso ridacchiò: - Non se n’è accorto, non se n’è accorto! Traps restò perplesso, allibito, quell’allegria monellesca gli sembrò sospetta, un’impressione che però naturalmente scomparve presto, tanto che egli si unì alle risate degli altri: - Signori, mi vogliano scusare, - disse, - ma immaginavo che il giuoco fosse più solenne, più dignitoso, più da aula di tribunale. - Carissimo signor Traps, - gli spiegò il giudice, - la sua faccia costernata è impagabile. Il nostro modo di fare un processo le sembra strano e fin troppo allegro, mi sembra. Tuttavia, carissimo amico, noi quattro, seduti attorno a questo tavoIo, siamo in pensione e ci siamo liberati dalla inutile farragine delle formule, dei protocolli, delle scribacchiature, delle leggi e di tutta quella robaccia che opprime le nostre aule di tribunale. Noi giudichiamo senza alcun riguardo alla meschinità dei codici e dei paragrafi. - Un bel coraggio, - replicò Traps con la lingua già pesante, - un bel coraggio. Signori, è davvero una cosa che incute rispetto. Senza paragrafi, è un’idea ardita. Il difensore si alzò cerimoniosamente. Andava a prendere una boccata d’aria, annunziò, prima che si giungesse al pollo e al resto, una passeggiatina salutare e una sigaretta era proprio quello che ci voleva, ed invitava Traps ad accompagnarlo. Uscirono dalla veranda e s’incamminarono nella notte che era finalmente scesa, calda e maestosa. Dalle finestre della sala da pranzo uscivano delle fasce di luce dorata che s’allungavano sul prato fino all’aiuola delle rose. Il cielo era pieno di stelle, senza luna, gli alberi formavano una macchia scura e fra gli alberi s’intravedevano appena i vialetti di ghiaia. Si erano presi a braccetto. Ambedue erano già appesantiti dal gran bere, traballavano e barcollavano, si sforzavano di camminare diritti e fumavano sigarette, Parisiennes, puntini rossi nell’oscurità. - Dio mio ! - disse Traps, respirando profondamente, - che scherzo mi stanno preparando là dentro, - e indicò le finestre illuminate in cui proprio in quel momento si scorgeva la massiccia silhouette della governante. - Divertente, davvero divertente! - Caro amico, - disse il difensore vacillando ed appoggiandosi a Traps, - prima di ritornare in casa e di incominciare ad occuparci del pollo, mi permetta di dirle una parola, una parola seria, di cui lei dovrebbe far tesoro. Lei mi è simpatico, giovanotto, lei mi fa tenerezza, voglio parlarle come un padre: siamo sulla strada buona per perdere in pieno il nostro processo! - Che disdetta! - esclamò Traps e intanto guidava con prudenza l’avvocato difensore lungo il viale intorno alla massa nera e sferica di un cespuglio. Poi giunsero ad uno stagno, imbroccarono un sedile di pietra, si sedettero. Nell’acqua si rispecchiavano le stelle, dal lago saliva un vento fresco. Dal villaggio giungeva il suono di una fisarmonica, canti, ora si udiva anche un coro alpino che celebrava il congresso dei coltivatori di bestiame minuto. - Lei deve fare ogni sforzo possibile, - lo esortò il difensore. - Importanti bastioni sono già nelle mani del nemico; il defunto Gygax, inutilmente ricomparso a causa delle sue chiacchiere, ci minaccia, la situazione è paurosa, un difensore con poca pratica abbandonerebbe le armi, ma io, sfruttando con tenacia tutte le possibilità che ci rimangono ancora e contando soprattutto sulla massima prudenza e disciplina da parte sua, saprò salvare l’essenziale. Traps rise. Dichiarò che era un giuoco di società davvero molto comico, che doveva essere senz’altro introdotto nella prossima riunione del Club della Cuccagna. - Non è vero? - si rallegrò il difensore, - ci si sente rinascere. Mi sentivo finito, caro amico mio, quando dovetti ritirarmi in pensione e godermi all’improvviso senza un’occupazione, senza la mia antica professione, gli ultimi anni in questo piccolo villaggio. Che cosa succede qui? Il fohn non si fa sentire ed è tutto. Clima salutare? E ridicolo, senza un’occupazione intellettuale. Il pubblico ministero era moribondo, per il nostro caro ospite si temeva il cancro. Pilet soffriva di diabete, a me dava noia la pressione. Questo era il risultato della pensione. Una vita da cani. Di quando in quando ci si trovava insieme, ci si sedeva intorno ad un tavolo, si parlava con nostalgia delle nostre carriere, dei nostri successi, era quella l’unica nostra gioia. Allora al procuratore venne l’idea di fare questo giuoco; il giudice mise a disposizione la sua casa, io il mio patrimonio (sì, perché io sono scapolo ed essendo stato per anni e anni l’avvocato dei ricchi ho finito per mettere da parte una bella sommetta, mio caro, è quasi incredibile come si dimostri munifico con il suo difensore un brigante dell’alta finanza che è riuscito ad evitare la galera, è una generosità che confina con la prodigalità) e così questo giuoco divenne per noi la fonte d’eterna giovinezza. Gli ormoni, lo stomaco, il pancreas tornarono a funzionare, la noia sparì, tornò l’energia, l’aspetto giovanile, l’elasticità e l’appetito; guardi un po’ ! - e qui egli eseguì nonostante la pancia alcuni esercizi ginnici, come Traps poté intravedere nell’oscurità. - Noi giochiamo con gli ospiti del giudice, - continuò il difensore dopo essersi nuovamente seduto, - che fungono da imputati; sono ora venditori ambulanti, ora turisti di passaggio, due mesi fa ci capitò di condannare a vent’anni di carcere perfino un generale tedesco. Passava di qui per caso con la moglie, e solo la mia arte valse a salvarlo dalla forca. - Una produzione davvero grandiosa! - disse stupito Traps. - Ma mi pare che non sia esatto parlare di forca, lei esagera un po’ , egregio signor avvocato, la pena di morte è stata abolita. - Nella giustizia statale, - rettificò il difensore, - ma qui noi abbiamo a che fare con una giustizia privata e l’abbiamo ripristinata. Proprio la possibilità della pena di morte rende il nostro giuoco così emozionante ed originale. - Avrete anche il boia, immagino, - disse ridendo Traps. - Naturalmente, - confermò con orgoglio il difensore, - abbiamo anche quello. Pilet. - Pilet? - Perché si meraviglia? Traps deglutì più volte. - Ma quello è l’oste della trattoria dell’Orso e vi procura il vino. - Oste lo è sempre stato, - disse il difensore con un sorriso di cordiale compiacenza. - Esercitava la sua professione statale come una professione secondaria. Quasi gratuitamente. Era uno dei più bravi nel suo mestiere nel paese vicino al nostro. Ora è in pensione da vent’anni, eppure è sempre versatissimo nella sua arte. Sulla strada passò un’automobile e alla luce dei fari si scorse il fumo delle sigarette. Per qualche secondo Traps vide anche il difensore, quell’enorme figura dagli abiti bisunti, quella faccia paffuta, soddisfatta, casalinga. Traps tremava. Aveva gocce di sudore freddo sulla fronte. - Pilet. Il difensore si stupì: - Che cosa le capita all’improvviso, caro Traps? Sento che lei sta tremando. Non si sente bene? - Non lo so, - sussurrò il rappresentante generale con un respiro pesante, - non lo so. Vedeva davanti a sé quel vecchio calvo che aveva pranzato con loro, con quella faccia da ebete; farlo mangiare con quello, era pretendere troppo da lui. Ma che poteva farci quel disgraziato se esercitava quella professione? La mitezza della notte estiva, l’amabilità del vino fecero sì che Traps si sentisse umano, tollerante, privo di preconcetti, in fondo egli era un uomo che ne aveva visto di tutti i colori, che conosceva il mondo, non era né un bigotto né un sempliciotto, no, era un esperto di tessuti di un certo livello, anzi, ora gli sembrava che la serata senza il boia sarebbe stata meno allegra e divertente, e già godeva al pensiero di ripetere nel migliore dei modi la sua avventura al Club della Cuccagna, con un modesto onorario e il pagamento delle spese si sarebbe certamente potuto far venire anche il boia. Così alla fine scoppiò in una risata liberatrice: - Ci sono cascato! Ho avuto paura! Il giuoco diventa sempre più divertente! - Confidenza per confidenza, - disse il difensore quando si furono alzati e a braccetto, abbagliati dalla luce delle finestre, camminavano a tastoni verso casa. - Come ha ucciso Gygax? - Come ucciso, io? - Be’, se è morto… - Ma io non l’ho ucciso! Il difensore si fermò. - Mio caro giovane amico, gli disse affettuosamente, - capisco i suoi scrupoli. Di tutti i reati gli omicidi sono i più penosi a confessare. L’imputato ha vergogna, non vuole ammettere la sua azione, la dimentica, cerca di scacciarla dalla memoria, è pieno di pregiudizi contro il passato, si sente oppresso da un esagerato senso di colpa e non si fida più di nessuno, nemmeno del suo amico paterno, del difensore, che è proprio lo sbaglio più grosso che possa fare, perché un vero avvocato difensore ama il delitto, giubila se gliene si mette davanti uno. Parli, dunque, mio caro Traps ! Io mi sento bene solo quando mi trovo davanti ad un compito vero e proprio, come un alpinista davanti ad una parete di quattromila metri, per dirla da vecchio rocciatore. è qui che il cervello si mette a pensare e ponzare, a ronzare e a ronfare che è un piacere sentirlo. Mancarmi di fiducia è il più grande, anzi, il più catastrofico errore che lei possa commettere. Perciò, fuori la confessione, vecchio bambinone! - Non aveva nulla da confessare, ribatté il rappresentante generale. Il difensore rimase sorpreso. Illuminato dalla luce sfacciata delle finestre da cui giungevano sempre più potenti le risate della compagnia e il tintinnio dei bicchieri, guardò Traps stupito. - Giovanotto, giovanotto, - brontolò in tono di disappunto, - che cosa intende dire? Non vuole abbandonare finalmente la sua tattica sbagliata, vuole continuare a far l’innocente? Non ha ancora capito? Bisogna confessare, che si voglia o no, c’è sempre qualcosa da confessare, dovrebbe cominciare a intuirlo! Orsù dunque, caro amico, senza tante esitazioni, parli chiaro e tondo: come ha ucciso Gygax? Nell’impeto della passione? Dovremo prepararci allora ad un’accusa di omicidio preterintenzionale. Scommetto che il pubblico ministero propende in questo senso. Ho i miei sospetti. Conosco il tipo. Traps scosse la testa. - Mio caro difensore, - disse, - il particolare fascino del nostro giuoco consiste (se da modesto principiante assolutamente incompetente posso esprimere la mia opinione), nel fatto che a chi vi partecipa comincia a venire la pelle d’oca. IL giuoco minaccia di divenire realtà. Ci si chiede all’improvviso se si è davvero un delinquente, se si è ucciso davvero il vecchio Gygax. A sentirla parlare mi venivano quasi le vertigini. E perciò, confidenza per confidenza: io sono del tutto innocente della morte di Gygax. Davvero -. E con queste parole ritornarono nella sala da pranzo, dove era già stato servito il pollo e nei bicchieri scintillava il Chateau Pavie 1921. Traps, di nuovo di buon umore, si diresse verso il vecchio serio, silenzioso e calvo, gli strinse la mano. Aveva saputo dall’avvocato difensore la sua ex professione, gli disse, e voleva confermargli che non v’era niente di più piacevole di avere a tavola un uomo così in gamba, egli non aveva pregiudizi, anzi, e Pilet, lisciandosi i baffi tinti, brontolò arrossendo un po’ imbarazzato, in un dialetto orribile: - Piacere, piacere, farò del mio meglio -. Dopo queste commoventi effusioni d’amicizia anche il pollo fu eccellente. Era stato preparato, come comunicò il giudice, secondo una ricetta segreta di Simonetta. Masticarono rumorosamente, mangiarono con le mani, lodarono quel capolavoro, bevvero, brindarono alla salute di ogni convitato, si leccarono la salsa dalle dita; ci si sentiva bene e in questa atmosfera di cordialità ripresero il processo. Il pubblico ministero, con il tovagliolo legato intorno al collo e una coscia di pollo davanti alla bocca fatta a becco e piena di cibo, disse che sperava che con il pollo gli venisse servita anche una confessione. - Certamente, caro ed illustrissimo imputato, - indagò, - lei ha avvelenato Gygax. - No, - rise Traps, - niente di simile. - Bene, allora diciamo: gli ha sparato. - Nemmeno. - Ha architettato un incidente automobilistico. Tutti risero e il difensore gli sibilò di nuovo: - Attenzione, è una trappola! - Non ci ha azzeccato, signor pubblico ministero, proprio non ci ha azzeccato, - esclamò Traps con una certa arroganza. - Gygax morì per un infarto e non era il primo che gli capitava. Già alcuni anni prima ne aveva avuto uno e doveva fare molta attenzione, anche se faceva finta di essere sano, ma ad ogni emozione c’era da temere che si ripetesse, lo so di certo. - E da chi l’ha saputo ? - Da sua moglie. - Da sua moglie? - Attenzione, per l’amor del cielo! - gli sussurrò il difensore. Il Chateau Pavie 1921 superava ogni attesa. Traps era già al quarto bicchiere e Simonetta gli aveva messo accanto una bottiglia tutta per lui. Ecco che il pubblico ministero, disse Traps brindando alla salute dei vecchi amici, si meravigliava di nuovo, ma perché l’alto consesso non pensasse che egli volesse nascondere loro qualcosa, voleva dire la verità ed attenersi ad essa, benché il suo difensore continuasse a bisbigliargli di stare attento. C’era stato qualcosa fra lui e la signora Gygax, quel vecchio gangster era spesso in viaggio e trascurava nel modo più crudele la sua bella ed appetitosa sposina, per cui di quando in quando aveva dovuto farle da consolatore sul divano nel salotto di Gygax e poi talvolta anche nel letto matrimoniale, come capita qualche volta a questo mondo. A queste parole di Traps i vegliardi rimasero sbalorditi, ma poi all’improvviso strillarono tutti di gioia ed il vecchio calvo che di solito taceva sempre, lanciando in aria il suo garofano bianco, gridò: - Una confessione, una confessione! - Solo il difensore disperato continuava a battersi i pugni contro le tempie. - Che sconsideratezza! - esclamò. Disse che il suo cliente era diventato pazzo e che non si doveva affatto credere a quanto raccontava, al che Traps indignato e rincorato da un rinnovato applauso di tutti gli altri, protestò energicamente. A questo punto cominciò un lungo battibecco fra il difensore ed il pubblico ministero, un’ostinata polemica, metà seria, metà comica, di cui Traps non afferrò il senso. Si trattava della parola dolus, di cui il rappresentante generale non conosceva il significato. La discussione si faceva sempre più animata, sempre più violenta, sempre meno comprensibile; s’intromise anche il giudice, s’infervorò anche lui, e Traps che all’inizio era tutto intento ad ascoltare per capirci qualcosa, respirò di sollievo quando la governante mise in tavola il formaggio: Camembert, Brie, Emmenthal, Groviera, Tete de Moine, Vacherin, Limburger, Gorgonzola, e lasciò stare il dolus, brindò con il vecchio calvo che taceva e non sembrava capirci nulla neanche lui, si servì, finché ad un tratto, inaspettatamente il pubblico ministero si rivolse di nuovo a lui: - Signor Traps, - gli chiese, con la chioma arruffata, il viso rosso ed il monocolo in mano, - è ancora amico della signora Gygax? Tutti osservarono Traps che s’era cacciato in bocca una fetta di pane con Camembert e masticava tranquillo. Poi bevette ancora un sorso di Chateau Pavie. Si sentiva il tic tac di un orologio da qualche parte, dal villaggio giungeva ancora il lontano suono di un organino, un coro maschile: «Praticello tranquillo e romito… » Dopo la morte di Gygax, spiegò Traps, non aveva più rivisto la signora. Non voleva compromettere quella brava vedova. Con sua meraviglia questa spiegazione suscitò nuovamente una macabra incomprensibile allegria, i vecchi divennero sempre più petulanti, il pubblico ministero gridò: - Dolo malo, dolo malo! - ruggì versi in greco e in latino, citò Schiller e Goethe, il minuscolo giudice spense le candele eccetto una, dietro alla cui fiamma cominciò a fare strani gesti proiettando sulla parete i più strani giuochi d’ombre: capre, pipistrelli, diavoli e coboldi, mentre Pilet batteva i pugni sul tavolo sicché bicchieri piatti e vassoi traballavano: - Avremo una condanna a morte, avremo una condanna a morte! - Solo il difensore non partecipava al baccano; egli spinse il vassoio verso Traps. Si servisse, dovevano cercare di consolarsi col formaggio, non c’era altro da fare, ormai. Simonetta portò in tavola una bottiglia di Chateau Margaux. E con la bottiglia tornò la calma. Tutti osservarono il giudice che con fare prudente e cerimonioso s’apprestava a stappare la bottiglia polverosa (anno 1914) con uno strano ed antiquato cavaturaccioli che gli permetteva di togliere il tappo senza dover togliere la bottiglia dal cestino e metterla in piedi, una procedura che fu eseguita fra l’emozione generale. Si trattava infatti di lasciare il tappo intatto poiché esso era la sola prova che la bottiglia era veramente dell’anno 1914~ dato che i quattro lustri ne avevano già da tempo distrutto l’etichetta. Il tappo non uscì tutto intero, si dovette allontanare accuratamente qualche resto, ma ci si poteva leggere ancora l’anno. Esso passò di mano in mano, fu annusato, ammirato e alla fine consegnato solennemente al rappresentante generale a ricordo della splendida serata, come disse il giudice. Questi assaggiò per primo il vino, schioccò la lingua, lo versò nei bicchieri, al che anche gli altri cominciarono ad annusare, a sorseggiare, proruppero in esclamazioni d’entusiasmo, esaltarono lo splendido anfitrione. Il piatto con i formaggi fece ancora un giro, poi il giudice invitò il pubblico ministero a tenere il suo «discorso d’accusa». Questi chiese innanzitutto delle candele: doveva essere una cosa seria, solenne, ci voleva concentrazione, intimo raccoglimento. Simonetta portò quanto era stato richiesto. Tutti erano in ansia; al rappresentante generale la faccenda sembrava un po’ sospetta, gli vennero i brividi, ma poi la sua avventura gli sembrò meravigliosa e per nulla al mondo vi avrebbe rinunziato. Solo il suo avvocato difensore non sembrava del tutto contento. - Bene, caro Traps, - disse, - ascoltiamoci la requisitoria. Rimarrà di stucco sentendo ciò che lei ha combinato con le sue risposte imprudenti, con la sua tattica sbagliata. Se prima la faccenda era messa male, ora è diventata addirittura catastrofica. Ma coraggio! Cercherò di aiutarla a togliersi da questo imbroglio. Lei non perda la testa, soprattutto. Ci vorrà un bello sforzo di nervi per riuscire a cavarcela. Era giunto il momento, dunque. Qualche colpo di tosse per schiarirsi la gola, si brindò ancora una volta, poi il pubblico ministero cominciò fra risatine e sogghigni il suo discorso. - Il bello di questa serata, - disse, alzando il bicchiere, ma rimanendo seduto, - ciò che la rende veramente riuscita è il fatto di aver scoperto le tracce di un omicidio tanto raffinatamente preparato che, si capisce, è sfuggito brillantemente alla giustizia statale. Traps rimase perplesso, ad un tratto s’arrabbiò. - Io avrei commesso un omicidio? - protestò, - no, mi ascoltino, questo è un po’ troppo, già il difensore è venuto a raccontarmi questa stupida storia, - poi ci ripensò, cominciò a ridere, smodatamente, sembrava che non dovesse calmarsi più, adesso capiva tutto, era uno scherzo formidabile, gli si voleva far credere di aver commesso un delitto, c’era da crepar dal ridere. Il pubblico ministero gli lanciò un’occhiata severa, si pulì il monocolo, se lo rimise. - L’imputato, - disse, - dubita della sua colpa. E umano. Chi di noi può dire di conoscere se stesso, chi conosce i propri misfatti, le proprie colpe segrete? C’è però un fatto che vorrei sottolineare fin d’ora, prima che le passioni del nostro giuoco tornino a scatenarsi: se Traps è davvero un assassino, come io credo, come io intimamente spero, questo è un momento particolarmente solenne per noi. E con buone ragioni. La scoperta di un assassinio è sempre un avvenimento festoso, un avvenimento che fa battere più forte il nostro cuore, che ci pone di fronte a nuovi compiti, a nuovi doveri, a nuove decisioni. Perciò mi sia concesso innanzitutto di congratularmi con il nostro caro probabile assassino, senza un colpevole non è possibile scoprire un assassinio, non è possibile far trionfare la giustizia. Un evviva dunque al nostro caro amico, al nostro caro, modesto Traps che una sorte benevola ha portato in mezzo a noi. Tutti proruppero in grida di giubilo, si alzarono, brindarono alla salute del rappresentante generale, che ringraziò con le lacrime agli occhi ed assicurò che quella era la più bella serata della sua vita. Il pubblico ministero, anche lui con le lacrime agli occhi, disse: - La serata più bella della sua vita, cosi ha detto il nostro egregio amico. Ecco una parola che ci commuove profondamente. Ripensiamo al tempo lontano quando, a servizio dello stato, la nostra era una ben triste professione. L’imputato stava davanti a noi non come un amico ma come un nemico; se allora ci guardavamo in cagnesco, ora possiamo stringerci in un abbraccio. Fra le mie braccia, dunque! A queste parole balzò dalla sedia, sollevò Traps, l’abbracciò impetuosamente. - Procuratore, caro, carissimo amico! - balbettò il rappresentante generale. - Imputato, caro Traps, - singhiozzò il pubblico ministero. - Diamoci del tu. Mi chiamo Kurt. Alla tua salute, Alfredo! - Alla tua, Kurt! Si baciarono, s’abbracciarono, s’accarezzarono, brindarono l’uno alla salute dell’altro, tutti erano commossi, c’era l’atmosfera solenne di una nascente amicizia. - Come tutto è cambiato! - giubilò il pubblico ministero. - Un tempo ci affannavamo da un processo all’altro, da un delitto all’altro, da una sentenza all’altra, mentre ora motiviamo, controbattiamo, riferiamo, disputiamo, parliamo e replichiamo tranquillamente, in un’atmosfera di cordialità, impariamo a stimare l’imputato, ad amarlo, egli ricambia la nostra amicizia, è un affratellarsi reciproco. Ed allora tutto diventa facile, il delitto perde il suo peso, la sentenza diviene serena. Permettetemi dunque di esprimere il mio apprezzamento per il delitto compiuto -. (Traps, di nuovo di buon umore, lo interruppe: - Le prove, caro Kurt, le prove! ) - E con buone ragioni, poiché si tratta di un delitto perfetto, di uno splendido delitto. Il nostro caro assassino potrebbe forse credere che in queste mie parole ci sia del cinismo, che è ben lontano dalle mie intenzioni. La sua azione può essere definita «bella» in due sensi: in senso filosofico ed in senso di virtuosismo tecnico. Noi quattro seduti attorno a questo tavolo abbiamo infatti abbandonato il preconcetto per cui si vuole scorgere nel delitto qualcosa di orribile, di spaventoso e nella giustizia invece qualcosa di bello, anche se forse di spaventosamente bello. No, noi riconosciamo anche al delitto la bellezza come una premessa indispensabile che sola rende possibile la giustizia. Fin qui l’aspetto filosofico. Ed ora apprestiamoci ad apprezzare la bellezza tecnica dell’opera. Apprezzamento, ho detto. Credo di aver adoperato la parola esatta, perché la mia requisitoria non vuole essere un discorso intimidatorio, né mettere in imbarazzo né sconcertare il nostro caro amico, ma un apprezzamento che gli metta davanti il suo delitto, glielo faccia fiorire sotto gli occhi, lo faccia presente alla sua coscienza: solo sul bianco piedestallo della consapevolezza si può innalzare il monolitico monumento della giustizia. L’ottantaseienne procuratore si fermò, sfinito. Nonostante l’età aveva parlato a voce alta e vibrante, accompagnandosi con grandi gesti ed inoltre aveva mangiato e bevuto molto. S’asciugò il sudore dalla fronte con il tovagliolo macchiato, s’asciugò la nuca rugosa. Traps era commosso. Stava seduto nella sua poltrona, appesantito dal menu. Era sazio, ma non voleva lasciarsi superare dai quattro vecchi, benché dovesse ammettere che il loro appetito e la loro sete formidabile gli davano un bel da fare. Era una buona forchetta, ma non aveva mai visto una vitalità ed una voracità simile Era stupito, guardava stralunato al di là del tavolo lusingato per la cordialità con cui il pubblico ministero lo trattava. Dall’orologio della chiesa vicina scoccarono dodici solenni rintocchi, poi risuonò lontano nella notte il coro dei coltivatori di bestiame minuto: «La nostra vita è simile ad un viaggio… ~> - Sembra una favola, - continuava a ripetere il rappresentante generale, - sembra una favola, - e poi: - Io, proprio io avrei dovuto commettere un delitto. Vorrei proprio sapere come. Frattanto il giudice aveva stappato un’altra bottiglia di Chateau Margaux 1914, ed il pubblico ministero, di nuovo freschissimo, riprese la sua requisitoria. - Come è successo, dunque? - chiese. - Come ho scoperto che il nostro amico ha il merito di aver commesso un omicidio e non un omicidio qualunque, no, un omicidio da virtuoso, commesso senza spargere una goccia di sangue, senza ricorrere al veleno, alla pistola o ad altri mezzi simili? Si schiarì la gola. Traps lo guardava allibito con un pezzo di Vacherin in bocca, avvinto dalle sue parole. Come esperto in materia, continuò il pubblico ministero, doveva partire dalla tesi che dietro ogni incidente, dietro ogni persona poteva nascondersi un delitto. Il primo presentimento di aver trovato nel signor Traps un uomo favorito dal destino, un uomo che aveva avuto la grazia di commettere un delitto, gli era stato ispirato dalla circostanza che il viaggiatore in articoli tessili appena un anno prima viaggiava ancora su una vecchia Citroen, mentre ora si pavoneggiava al volante di una Studebaker. Ora io so naturalmente, - proseguì, - che viviamo in un momento di intensa ripresa economica, e perciò il presentimento era ancora vago, simile piuttosto alla sensazione di trovarmi di fronte ad un fatto lieto, alla scoperta di un omicidio, appunto. Che il nostro caro amico avesse preso il posto del suo principale, che si fosse dovuto sbarazzare di lui, che il principale fosse morto, tutti questi fatti non erano ancora delle prove, ma solo circostanze che rafforzavano e concretavano quella sensazione. Il sospetto vero e proprio, logicamente fondato, si affacciò solo quando si seppe di che malattia era morto questo leggendario principale: di un infarto cardiaco. Qui si trattava dunque di dedurre, di combinare, di dar prova di fiuto e di acume, di procedere con discrezione, di seguire le orme della verità, di riconoscere nell’ordinario lo straordinario, di vedere il determinato nell’indeterminato, di cercare un profilo nella nebbia, di credere ad un omicidio proprio perché sembrava assurdo supporlo. Diamo un’occhiata al materiale di cui disponiamo. Tracciamo un ritratto del defunto. Sappiamo poco di lui; ciò che sappiamo lo ricaviamo dalle parole del nostro simpatico amico. Il signor Gygax era il rappresentante generale della ditta «Eféstion», produttrice di tessuti sintetici, ai quali ben volentieri attribuiamo tutte le belle qualità che il nostro carissimo Alfredo ci ha decantato. Era un uomo, possiamo immaginare, che non aveva limiti nella sua ambizione, che sfruttava senza alcuno scrupolo i suoi dipendenti, che sapeva fare i suoi affari, anche se i mezzi di cui si serviva molto spesso erano più che discutibili. - E vero, - esclamò Traps entusiasta, - era proprio così, un filibustiere! - Possiamo quindi pensare, - continuò il pubblico ministero, - che agli occhi degli altri si desse l’aria dell’uomo sano e robusto, dell’uomo tutto d’un pezzo dell’uomo d’affari estremamente fortunato, all’altezza di qualunque situazione, di vecchia volpe. Perciò Gygax cercava di tenere gelosamente segreto il suo grave vizio cardiaco (anche qui citiamo le parole di Alfredo) anzi egli considerava quella malattia con una specie di rabbia, pensiamo, quasi fosse una perdita del proprio prestigio. - Meraviglioso! - si stupì il rappresentante generale, sembrava una stregoneria, scommetteva che Kurt aveva conosciuto il defunto. Il difensore gli sibilò di tacere. - Inoltre, - continuò il pubblico ministero, - se vogliamo completare il ritratto del signor Gygax, dobbiamo aggiungere che il defunto trascurava la moglie, che dobbiamo immaginarci come un donnina bella ed appetitosa, così almeno si è espresso pressappoco il nostro amico. Per Gygax contava solo il successo, gli affari, l’esteriorità, la facciata, ed è probabile che egli fosse assolutamente convinto della fedeltà della moglie e pensasse di essere un personaggio troppo straordinario, un uomo troppo affascinante perché alla moglie passasse per la testa anche il solo pensiero di poterlo tradire. Sarebbe stato dunque un duro colpo per lui se fosse venuto a sapere che lei lo tradiva con il nostro Casanova del Club della Cuccagna. Tutti risero, Traps si batteva le cosce dal gran ridere. - E lo fu davvero! - disse, confermando raggiante il sospetto del pubblico ministero. - Fu il colpo di grazia, quando lo venne a sapere. - Lei è semplicemente pazzo! - gemette il difensore. Il pubblico ministero si era alzato a guardava felice Traps che stava togliendo con il coltello la crosta al Tete de Moine. - Dimmi un po’ , - gli chiese, - come lo venne a sapere, quel vecchio peccatore? Glielo confessò la bella mogliettina? - Era troppo vile per farlo, signor pubblico ministero, aveva una tremenda paura di quel gangster. - Fu Gygax stesso a scoprirlo? - Era troppo sicuro di sé. - Glielo confessasti tu, mio caro amico e don Giovanni? Traps arrossì involontariamente: - Ma no, Kurt, disse, - che cosa ti salta in mente ? Fu uno dei suoi bravi compagni d’affari ad aprirgli gli occhi. - Come mai? - Mi voleva rovinare. Ce l’aveva con me da sempre. - Ma guarda che canaglia! - si stupì il pubblico ministero. - Ma come venne a sapere questo galantuomo della tua relazione? - Glielo raccontai io. - Glielo hai raccontato tu? - Sì, bevendo insieme un bicchiere di vino. Che cosa non si finisce per raccontare davanti ad un bicchiere di vino. - Ammesso, - annuì il pubblico ministero, - ma tu hai appena detto che quel tale ti era nemico. Non eri forse certo fin dall’inizio che il vecchio furfante sarebbe venuto a sapere tutto? A questo punto l’avvocato difensore s’intromise energicamente, si alzò addirittura, madido di sudore, aveva il collo della giacca tutto bagnato. Voleva avvertire Traps, disse, che non era tenuto a rispondere a questa domanda. Ma Traps la pensava in modo diverso. - Perché no ? - chiese. - La domanda è del tutto innocente. Mi era completamente indifferente che Gygax lo venisse a sapere oppure no. Quel vecchio gangster mi trattava tanto brutalmente che io non volevo certo usargli dei riguardi. Ci fu di nuovo un momento di silenzio nella stanza, un silenzio di tomba, poi si scatenò un tumulto, un tripudio, risate omeriche, un uragano di allegria. Il vecchio calvo e silenzioso abbracciò Traps, lo baciò, il difensore perse il monocolo per il gran ridere, veramente non si riusciva ad essere crudeli con un imputato del genere, dissero, mentre il giudice ed il pubblico ministero ballavano qua e là per la stanza, urtavano contro le pareti, si stringevano la mano, si arrampicavano sulle sedie, mandavano bottiglie in frantumi, facevano gli scherzi più assurdi per la gran gioia. L’imputato confessava di nuovo, gracchiò con la sua voce potente il pubblico ministero, stando seduto sulla spalliera di una sedia, non c’erano davvero parole per esprimere al caro ospite tutto il loro plauso, egli recitava benissimo la sua parte. - Il caso è chiarissimo, abbiamo raggiunto l’ultima certezza! - continuò, e seduto su quella sedia traballante sembrava un monumento barocco roso dal tempo. - Consideriamo il nostro illustre e caro Alfredo! Era schiavo di quel gangster del suo principale e percorreva la nostra regione su una vecchia Citroen. Appena un anno fa! Poteva essere fiero di sé, il nostro amico, lui, padre di quattro figlioletti, figlio di un operaio! E a ragione. In tempo di guerra era ancora un venditore ambulante, anzi, ancor meno, senza licenza, un vagabondo con merce abusiva, un piccolo borsanerista che se ne andava in treno di villaggio in villaggio o percorreva a piedi le strade di campagna, spesso per chilometri e chilometri attraverso oscure foreste fino alle più lontane fattorie, con una borsa di pelle sporca a tracolla o addirittura una cesta o con una valigia mezzo sfasciata in mano. Ma poi s’era fatto strada, s’era cacciato nel mondo degli affari, era iscritto al partito liberale, tutto all’opposto del padre marxista. Ma chi può starsene beatamente seduto su un ramo che ha finalmente raggiunto, se sopra la sua testa, verso la cima, per dirla poeticamente, vede pendere dai rami frutti ancor migliori? Guadagnava molto bene, certo, sfrecciava con la sua Citroen di affare in affare, la macchina non era poi tanto male, ma il nostro caro Alfredo vedeva a dritta e a manca spuntare nuovi modelli, sfrecciargli accanto, venirgli incontro rombando e sorpassarlo. Il benessere andava aumentando nel nostro paese, chi non voleva approfittarne? - Fu proprio così! - disse entusiasta Traps. - Fu proprio così! Il pubblico ministero ora era nel suo elemento, felice, soddisfatto come un bambino che abbia ricevuto un bel regalo. - Era facile dirlo, - spiegò stando sempre seduto sullo schienale della sua sedia, - il suo principale non gli permetteva di far carriera, continuava a sfruttarlo, malvagiamente, gli dava anticipi condizionati a nuovi impegni, sapeva legarlo sempre più spietatamente a sé. - Esatto! - gridò indignato il rappresentante generale. - Loro signori non hanno idea di come mi tenesse a catena quel vecchio gangster! - Bisognava tentare il colpo decisivo ! - disse il pubblico ministero. - Altroché! - confermò Traps. Le interruzioni dell’imputato infervoravano il pubblico ministero, ad un certo punto egli si arrampicò sulla sedia, con il tovagliolo, che egli sventolava come una bandiera, tutto macchiato di vino, sul panciotto aveva avanzi d’insalata, salsa di pomodoro, resti di carne. - Il nostro caro amico agì dapprima sul piano degli affari, anche qui non del tutto lealmente, come egli stesso ammette. Possiamo immaginare come. Si mise segretamente in contatto con i fornitori del suo principale, sondò il terreno, promise condizioni migliori, provocò del torbido, si accordò con altri viaggiatori in prodotti tessili, strinse alleanze e controalleanze. Ma poi gli venne l’idea di tentare un’altra strada. - Un’altra strada? - si stupì Traps. Il pubblico ministero annuì. - Questa strada, signori, passando sopra il divano dell’appartamento di Gygax portava direttamente dentro il suo letto matrimoniale. Tutti risero, specialmente Traps. - Veramente, confermò, - è stato un brutto scherzo quello che ho fatto allora a quel vecchio gangster. La situazione, d’altra parte, era fin troppo comica, a pensarci bene. Finora mi vergognavo a ricordarla, chi se la sente di conoscersi proprio a fondo, non c’è nessuno che abbia la coscienza perfettamente pulita, ma fra amici tanto comprensivi il pudore diventa ridicolo ed inutile. Strano! Ora mi sento compreso e io stesso comincio a conoscermi, ed è come se facessi la conoscenza di una persona che sono io stesso e che finora conoscevo solo superficialmente: un rappresentante generale in una Studebaker con moglie e figli da qualche parte. - Constatiamo con piacere, - disse il pubblico ministero, - che il nostro amico comincia a capire. Aiutiamolo affinché quel barlume d’intuizione diventi un sole. Seguiamo le sue argomentazioni con lo zelo d’entusiasti archeologi e c’imbatteremo nello splendore di delitti sepolti. Allacciò una relazione con la signora Gygax. Come incominciò? Un giorno gli capitò di vedere quell’appetitosa donnina. Forse una sera, d’inverno, verso le sei - (Traps: - Alle sette, Kurt, alle sette! ), - la città era già immersa nella notte, qua e là la luce dorata dei fanali, le vetrine ed i cinema illuminati e insegne luminose verdi e gialle dappertutto, piacevole, voluttuosa, seducente. Si era recato a bordo della sua Citroen lungo strade sdrucciolevoli verso il quartiere dei villini - (Traps entusiasta l’interruppe: - Sì, sì, proprio al quartiere dei villini! ), - dove abitava il suo principale, con una cartella sottobraccio, commissioni, campionari di stoffe, si trattava di prendere una decisione importante, ma la berlina di Gygax non era al solito posto all’orlo del marciapiede. Ciononostante Traps attraversò il parco buio, suonò il campanello, venne ad aprire la signora Gygax, gli disse che il marito non sarebbe tornato quella sera e che la domestica era uscita, lei era in abito da sera, anzi, in vestaglia, disse che Traps doveva gradire ugualmente un aperitivo, lo invitava di tutto cuore, e così sedettero uno accanto all’altra in salotto Traps era meravigliato: - Ma come indovini tutto Sei un mago, Kurt! - Questione d’esercizio! - spiegò il pubblico ministero. - I destini si assomigliano tutti. Non si può parlare di seduzione né da parte di Traps né da parte della signora, fu solo un’occasione favorevole di cui egli approfittò. Lei era sola, s’annoiava, non pensava a niente di particolare, era contenta di parlare con qualcuno, l’appartamento era ben riscaldato e lei sotto la vestaglia a fiorami variopinti non aveva che la camicia da notte. Quando Traps le fu seduto accanto e vide il suo collo bianco, l’inizio del seno, e lei cominciò a chiacchierare, arrabbiata con il marito, delusa, come ben capì il nostro amico, questi intuì finalmente che era di qui che bisognava ingaggiar battaglia, e già l’aveva ingaggiata. Presto seppe tutto di Gygax, che le sue condizioni di salute erano precarie, che ogni emozione lo poteva uccidere, quanti anni aveva, che era villano con la moglie ed era assolutamente convinto della fedeltà di lei (perché da una donna che vuole vendicarsi del marito si viene a sapere tutto). Così egli continuò quella relazione perché ora aveva deciso di rovinare con qualsiasi mezzo il suo principale, qualunque cosa gli dovesse capitare. Venne dunque il momento in cui egli ebbe in mano tutto: i soci d’affari, i fornitori, la bianca morbida donna nuda di notte, ed allora fece scattare la trappola, provocò lo scandalo. Deliberatamente. Possiamo immaginarci la scena: un momento di confidenza verso il crepuscolo, siamo verso sera anche questa volta. Il nostro amico è al ristorante, anzi, in un’osteria della città vecchia; l’ambiente è surriscaldato, tutto originale, patriottico, solido e sicuro, prezzi compresi, le finestre a tondi di vetro, un oste imponente - (Traps: - Nella cantina del municipio, Kurt! ), - un’imponente ostessa, mi correggo, tutt’intorno i ritratti degli avventori defunti, uno strillone che gira per il locale e se ne va, più tardi l’Esercito della salvezza che canta: «Lasciate entrare un raggio di sole ! », qualche studente, un professore, su un tavolo due bicchieri ed una bottiglia del vino migliore, non si bada a spese, poi, finalmente, in un angolo, pallido, grasso, madido di sudore, con il colletto della camicia aperto, sbigottito come la vittima che si sta per uccidere, quel bravo socio d’affari, si meraviglia, non riesce a spiegarsi perché Traps l’abbia invitato così all’improvviso, è tutto orecchi, viene a sapere dalla stessa bocca di Traps tutta la storia dell’adulterio, e poi, più tardi, qualche ora più tardi, come doveva succedere e come Traps stesso aveva previsto, corre dal suo principale ad aprire gli occhi a quel disgraziato, per un senso del dovere, d’amicizia e di dignità morale. - Quell’ipocrita! - esclamò Traps, ascoltando affascinato, con gli occhi spalancati e luccicanti il racconto del pubblico ministero, felice di conoscere la verità, la sua fiera, coraggiosa, solitaria verità. Poi: - Giunse così il momento fatale, il momento, esattamente previsto, in cui Gygax venne a sapere tutta la faccenda. Il vecchio gangster ebbe ancora la forza di tornare a casa, immaginiamo, già in macchina grondava di sudore, sentiva delle fitte nella regione del cuore, le mani tremanti, poliziotti che fischiano arrabbiati, segnali stradali passati inosservati, una marcia faticosa dal garage al portone di casa, poi un crollo, forse già in corridoio, quando vede venirgli incontro la moglie, la bella ed appetitosa mogliettina. Non durò più a lungo, il medico gli somministrò ancora la morfina, poi via, per sempre, ancora un piccolo rantolo, singhiozzi da parte della moglie, Traps a casa, in seno alla famiglia, stacca il ricevitore, costernazione, intimo gaudio, ~<ce l’abbiamo fatta! » buon umore, tre mesi dopo la Studebaker. Di nuovo risate. Il buon Traps, sconvolto da quel fuoco di fila di emozioni, rise con gli altri, benché un po’ imbarazzato, si grattò la testa, fece cenni di consenso alla volta del pubblico ministero, ma non si sentiva infelice. Era perfino di buon umore. Trovava che la serata era magnificamente riuscita; che gli si attribuisse un delitto, era sì un sospetto che l’avviliva e lo impensieriva un poco, ma in fondo gli sembrava che la situazione fosse piacevole, poiché gli si affacciava il presentimento di cose più alte, di giustizia, di colpa e di espiazione, che lo riempivano di meraviglia. La paura, che egli non aveva dimenticato e che l’aveva assalito nel giardino e più tardi davanti agli scoppi d’ilarità dei commensali, ora gli sembrava infondata, lo divertiva addirittura. Tutto era così umano. Attendeva ansioso il resto. La compagnia si trasferì nel salotto per il caffé, barcollando; il difensore incespicava. Arrivarono in una stanza sovraccarica di ninnoli e di vasi. Appese alle pareti c’erano delle enormi incisioni, panorami della città, quadri storici, il giuramento del Rutli, la battaglia di Laupen, la fine della guardia svizzera, la bandiera dei sette giusti, il soffitto di gesso, stucchi, in un angolo un pianoforte a coda, poltrone comode, basse, enormi con sopra dei ricami, pii motti: «Beato colui che nella giustizia vive», «Una coscienza leale è il miglior guanciale». Dalle finestre aperte si sentiva la strada, non troppo visibile, a dire la verità, in quell’oscurità era più un presentimento che altro, favolosa, immersa nel buio, con le luci e i fari radenti delle automobili, che solo di rado (erano quasi le due) si sentivano passare rombando. Non aveva mai ascoltato nulla di più avvincente del discorso di Kurt, disse Traps. Non c’erano molte obiezioni da fare per quanto riguardava la sostanza, doveva fare solo alcune osservazioni secondarie. Così il bravo socio d’affari era piccolo e magro, aveva il colletto inamidato, non sudava affatto e la signora Gygax lo aveva accolto non in vestaglia, ma in chimono, un chimono assai scollato naturalmente, sicché il suo cordiale invito si concretava anche nell’aspetto esteriore (era una delle sue battute di spirito, un piccolo esempio del suo senso dell’umorismo), l’infarto poi, che quel gangster ben si meritava, non l’aveva colto in casa, ma in uno dei suoi magazzini, durante una tempesta di fohn; era stato subito portato all’ospedale, poi il cuore s’era squarciato e lui se ne era andato, ma, come già aveva detto, erano osservazioni assolutamente marginali. Il suo carissimo amico procuratore aveva perfettamente indovinato dicendo che Traps aveva allacciato la relazione con la signora Gygax solo per rovinare quel vecchio furfante, anzi, ora ricordava perfettamente che standosene nel letto di costui, sopra sua moglie, aveva fissato a lungo la sua fotografia, quel VISO antipatico con gli occhiali di tartaruga davanti agli occhi imbambolati, e ricordava pure di aver pensato con sadica gioia che facendo quello che faceva con tanto piacere e con tanto entusiasmo, in verità ammazzava il suo principale, gli dava il colpo di grazia. Quando Traps diede queste spiegazioni, stavano già tutti seduti nelle morbide poltrone dai pii motti, ognuno prese la sua tazzina di caffé caldo, mescolò con il cucchiaino, ci bevette sopra un cognac, un Roffignac del 1893, da grandi bicchieri panciuti. Era giunto così il momento di chiedere la pena per Traps, annunziò il pubblico ministero, seduto di traverso in una mostruosa poltrona a guanciali e con i piedi, da cui spuntavano calzini di colore differente (grigio, a quadretti neri e verde), appoggiati sopra una spalliera. L’amico Alfredo non aveva agito dolo indirecto, la morte, cioé, non era stata casuale, aveva agito invece dolo malo, con intenzione malvagia, come era confermato dal fatto che da una parte egli stesso aveva provocato lo scandalo, dall’altra non aveva fatto più visita alla appetitosa signora Traps dopo la morte di quel gangster di suo marito. Da tutto ciò si deduceva necessariamente che la moglie era stata solo uno strumento per realizzare i suoi sanguinosi disegni, la galante arma del delitto, per così dire, per cui ci si trovava di fronte ad un omicidio attuato con tale rigore psicologico che, tranne l’adulterio, non era accaduto niente di illegale. Apparentemente, certo; per cui, dissoltasi quest’apparenza, anzi, dato che lo stesso imputato aveva tanto gentilmente confessato tutto, aveva il piacere - e con ciò era giunto alla conclusione del suo elogio di chiedere come pubblico ministero dall’alto giudice la pena di morte per Alfredo Traps quale ricompensa per un delitto che meritava ammirazione, stupore, rispetto ed aveva diritto ad essere considerato uno dei più straordinari delitti del secolo. Tutti risero, applaudirono e si buttarono sulla torta che Simonetta metteva in tavola. A coronamento della bella serata, disse. Fuori c’era lo spettacolo d’una tarda luna, una falce sottile, un leggero sussurro fra gli alberi, poi silenzio, sulla strada passava solo di rado un’automobile, poi qualcuno che rientrava tardi, con passo prudente, leggermente a zigzag. Il rappresentante generale si sentiva al sicuro; stava seduto accanto a Pilet su un morbido sofà, motto: « Siedi spesso fra i tuoi cari », aveva messo il braccio intorno al vecchietto silenzioso che solo di tanto in tanto diceva stupito: - Magnifico ~ - fischiando sull’effe, si stringeva a quella eleganza impomatata. Con tenerezza. Con affetto. Guancia a guancia. Il vino lo aveva fatto diventare pesante e pacifico, egli godeva, in mezzo a quella compagnia di amici comprensivi, di essere finalmente se stesso, di non avere più segreti perché non occorreva avere nessun segreto, godeva di essere stimato, adorato, amato, compreso, ed il pensiero di aver commesso un omicidio lo convinceva sempre più, lo commoveva, trasformava la sua vita, la rendeva più difficile, più eroica, più preziosa. Lo entusiasmava addirittura. Aveva progettato e compiuto il delitto, immaginava ora, per farsi strada, ma non per motivi di carriera o per motivi finanziari, o perché desiderava la Studebaker, ma per diventare - ecco la parola esatta - un uomo più essenziale, più profondo, come già aveva l’impressione di essere (e qui era già al limite delle sue capacità di ragionare), degno della venerazione, dell’amore di uomini colti, istruiti, che ora gli sembravano, Pilet compreso, quegli antichi maghi di cui aveva letto nel «Reader’s Digest», che conoscevano non soltanto i misteri delle stelle, ma anche i misteri della giustizia (questa parola l’inebriava), quella giustizia che durante la sua vita di viaggiatore di articoli tessili credeva fosse soltanto un’astratta sofisticheria e che ora invece saliva come un enorme, incomprensibile sole sul suo limitato orizzonte, come un’idea non del tutto compresa, ma che proprio perciò lo faceva rabbrividire, lo faceva tremare ancora di più. Così, sorseggiando un cognac color dell’oro, ascoltò, dapprima profondamente stupito, poi sempre più indignato le dichiarazioni del suo grasso difensore, i suoi zelanti tentativi di riportare la sua azione nei limiti del consueto, del borghese, del quotidiano. Aveva ascoltato con piacere la fantasiosa requisitoria del pubblico ministero, dichiarò il signor Kummer, togliendosi il pince-nez dal volto rossastro e gonfio, e sottolineando le sue parole con gesti brevi, graziosi ed esatti. Certo, Gygax, quel vecchio gangster, era morto, il suo cliente aveva dovuto soffrire molto per causa sua, aveva concepito a poco a poco un vero e proprio odio contro di lui, aveva cercato di rovinarlo, chi lo poteva negare? dove non succede altrettanto ai nostri giorni? Ma era pura fantasia voler considerare un omicidio la morte di un uomo d’affari ammalato di cuore (- Ma io l’ho ucciso! - protestò Traps, cadendo dalle nuvole). In contrasto con il pubblico ministero riteneva l’imputato innocente, anzi, del tutto incapace di commettere un delitto (Traps amareggiato lo interruppe: - Ma io sono colpevole! ) IL rappresentante generale della ditta «Eféstion », produttrice di tessuti 6T sintetici, poteva valere da esempio per molti. Considerandolo incapace di commettere un delitto, non intendeva certamente dire che egli fosse innocente, al contrario. Traps era impigliato in ogni genere di colpe, commetteva adulteri, imbrogliava, s’arrangiava per campare, talvolta con una certa malizia, ma non al punto che la sua vita fosse fatta solo di adulteri e di imbrogli, no, la sua vita aveva i suoi lati buoni, le sue virtù L’amico Alfredo era zelante, tenace nel suo lavoro, era un fedele amico, cercava di assicurare ai suoi figli un avvenire migliore, da un punto di vista politico era una persona fidata, tutto sommato, ma era come intaccato, inquinato dalla scorrettezza generale, come, del resto, fra uomini di media levatura talvolta succede, come deve succedere anzi, ma proprio per questo egli era incapace di una grande colpa, pura, superba, di un’azione deliberata, di un delitto inequivocabile. (Traps: - Calunnia, una vera calunnia! ) Traps doveva essere considerato non un criminale, ma una vittima del nostro tempo, della nostra civiltà occidentale che, ahimè!, era venuta perdendo a poco a poco la fede (e qui il discorso divenne sempre più nebuloso), il cristianesimo, i valori universali ed era diventata un caos, sicché il singolo non aveva più una stella che lo guidasse, non si vedeva che disordine ed abbrutimento, violenza ed immoralità. Che cos’era successo? Questa uomo di media levatura era capitato, senza preparazione alcuna, fra le grinfie di un raffinato pubblico ministero. Quel suo fare e disfare a suo piacere nel campo dei prodotti tessili, che gli era istintivo, la sua vita privata, tutte le piccole avventure di un’esistenza che era fatta di viaggi d’affari, di lotte quotidiane Per il pane, di piaceri più o meno innocenti, era stata radiografata, analizzata, sezionata; fatti assolutamente indipendenti erano stati collegati fra di loro, si era voluto vedere nel tutto un piano logico, eventi occasionali erano stati presentati come cause di azioni che avrebbero potuto accadere benissimo in modo diverso, il puro caso era stato interpretato come intenzione, la sventatezza come un proposito deliberato, sicché alla fine dall’interrogatorio era necessariamente saltato fuori un assassino come dal cilindro di un mago salta fuori il coniglio. (Traps: - Non è vero!) Se si voleva considerare il caso Gygax a mente fredda, obiettivamente, senza lasciarsi incantare dalle mistificazioni del pubblico ministero, si giungeva alla conclusione che il vecchio gangster poteva ringraziare della sua morte più che altro se stesso, la sua vita disordinata, la sua costituzione fisica. Che cosa fosse questa tipica malattia del dirigente moderno, lo sapevano tutti, ansia, rumori, nervi spezzati, matrimoni falliti, ma la vera causa dell’infarto era stato il fohn che Traps stesso aveva ricordato, proprio il fohn era determinante nelle faccende di cuore (Traps: - Ma è ridicolo! ), sicché si trattava certamente di una disgrazia assolutamente fortuita. Certo, il suo cliente aveva agito senza scrupoli, ma egli era appunto soggetto alle leggi del mondo degli affari, come egli stesso aveva più volte affermato; naturalmente egli avrebbe ucciso ben volentieri il suo principale, ma che cosa non si pensa, che cosa non si fa col pensiero, ma col pensiero soltanto? Non esisteva né si poteva accertare un’azione che non si fosse limitata al solo pensiero. Era assurdo supporla, ma era ancora più assurdo che il suo cliente stesso si mettesse in testa di aver commesso un omicidio perché in questo caso si poteva dire che, oltre una panne automobilistica, aveva avuto anche una panne psicologica. Perciò in qualità di avvocato difensore chiedeva che Alfredo Traps fosse prosciolto con formula piena ecc. ecc. Ma il rappresentante generale era sempre più indispettito per questa benevola nebbia con cui si cercava di coprire il suo delitto, che lo travisava, lo dissolveva, lo faceva diventare incredibile, irreale, un prodotto della pressione barometrica. Si sentiva sottovalutato e perciò, quando il difensore ebbe terminato, riprese a protestare. Egli dichiarò indignato, alzandosi in piedi, con un piatto con un secondo pezzo di torta in una mano il suo bicchierino di Rof~gnac nell’altra, che voleva, prima che si giungesse alla sentenza, confermare nel modo più assoluto che egli era d’accordo con ciò che il pubblico ministero aveva detto nel suo discorso (a questo punto gli spuntarono le lacrime), si era trattato di un vero omicidio, di un omicidio consapevole, ora gli era tutto chiaro, mentre il discorso del difensore l’aveva profondamente deluso, addirittura inorridito proprio lui, da cui egli s’aspettava, poteva aspettarsi comprensione, e perciò chiedeva la sentenza, anzi, chiedeva la pena, non per servilismo, ma per entusiasmo, perché solo quella notte aveva intuito che cosa significasse vivere realmente (e a questo punto il prode Traps Si confuse), per cui erano necessarie le grandi idee di giustizia, di colpa e di espiazione, come per fare i tessuti sintetici, di cui era rappresentante, erano necessari certi elementi e certe combinazioni chimiche, per rimanere nel suo campo; era una rivelazione che lo aveva fatto rinascere, ad ogni modo (lo si volesse scusare, il suo vocabolario era un po’ ristretto), sicché non era in grado di esprimere ciò che veramente pensava ad ogni modo la parola «rinascita» gli sembrava l’espressione adatta per dire la gioia che come un vento impetuoso lo avvolgeva, lo scuoteva, lo sconvolgeva tutto. Si giunse così alla sentenza che il minuscolo giudice, anch’egli completamente ubriaco, pronunziò fra le sghignazzate, le grida, l’esultanza ed i tentativi di jodeln (da parte del signor Pilet), a gran fatica, dato che non solamente s’era arrampicato sul pianoforte a coda, anzi, dentro il pianoforte a coda, poiché prima egli lo aveva aperto, anche la lingua stessa gli procurava continue difficoltà. Incespicava nelle parole, alcune le travisava o le storpiava, cominciava delle frasi che poi non riusciva a finire, si riferiva ad altre di cui da molto tempo aveva dimenticato il senso, tuttavia il pensiero, a grandi linee, lo si poteva ancora indovinare. Egli iniziò chiedendosi chi avesse ragione, il pubblico ministero o l’avvocato difensore, se Traps avesse commesso uno dei più straordinari delitti del secolo o se fosse invece innocente. Non poteva accettare del tutto né l’una né l’altra delle due opinioni. Traps non era certo preparato all’interrogatorio del pubblico ministero, come pensava il difensore, e per questo aveva ammesso troppi fatti che non s’erano svolti come sosteneva lui, ma tuttavia egli aveva pur commesso un delitto, non con proposito diabolico, certo, ma facendo propria la sventatezza del mondo in cui come rappresentante della ditta «Eféstion», produttrice di tessuti sintetici, viveva. Aveva ucciso solo in quanto per lui era la cosa più naturale del mondo togliere di mezzo qualcuno, agire senza scrupoli, succeda quel che succeda. Nel mondo che egli percorreva sulla sua rombante Studebaker non gli sarebbe potuto succedere nulla, ma ora egli aveva avuto la gentilezza di recarsi da loro, nella loro piccola bianca villa silenziosa (da questo momento in poi il giudice divenne sempre più nebuloso e profferì quanto segue fra singhiozzi di gioia, interrotti di tanto in tanto da un commosso e potente starnuto, per cui la sua minuscola testa scompariva per un po’ sotto un enorme fazzoletto, cosa che provocava risate sempre più fragorose da parte degli altri), si era recato da quattro vecchi che avevano rischiarato il suo mondo con il limpido raggio della giustizia. Certo, era una ben strana giustizia, lo sapeva bene, una giustizia che sogghignava da quattro facce incartapecorite, si rispecchiava nel monocolo di un vecchio procuratore, nelle lenti a molla di un grasso difensore, ridacchiava nella bocca sdentata di un giudice brillo e già un poco farfugliante, splendeva rossa sulla testa calva di un boia in pensione (gli altri, impazientiti da queste divagazioni poetiche: - La sentenza! La sentenza! ), una giustizia grottesca e strampalata, una giustizia in pensione, ma anche così era pur sempre la Giustizia (gli altri, scandendo: - La sentenza! La sentenza! ) nel cui nome egli ora condannava il caro Traps a morte (il pubblico ministero, il difensore, il boia e Simonetta erano tutto un giubilo ed un evviva, Traps singhiozzava per la commozione: - Grazie, caro giudice, grazie!), benché tale sentenza si fondasse solo sul fatto che l’imputato stesso s’era dichiarato colpevole. Era questa la cosa principale, del resto. Era per lui un piacere dunque aver emesso una sentenza che l’imputato riconosceva totalmente, la dignità dell’uomo non tollerava grazia alcuna, perciò l’egregio commensale gradiva il coronamento del suo omicidio che, come sperava, era avvenuto in circostanze non meno piacevoli del delitto stesso. Ciò che nell’uomo borghese, nell’uomo medio appariva come un caso, in seguito ad un incidente, o come semplice necessità di natura, come una malattia, come un’occlusione di un vaso sanguigno a causa di un embolo, come un’escrescenza maligna, si presentava qui come un necessario risultato di natura morale, qui finalmente la vita si compiva in tutta la perfezione e la coerenza di un’opera d’arte, qui si vedeva la tragedia dell’uomo, qui essa splendeva in tutta la sua luce, prendeva una sua forma immacolata, giungeva alla sua perfezione (gli altri: - Basta! Basta! ), anzi, si poteva tranquillamente dire: solo all’atto dell’emissione della sentenza che faceva dell’imputato un condannato, la giustizia celebrava il suo trionfo, perché non vi era nulla di più alto, di più nobile, di più grande del momento in cui un uomo viene condannato a morte. Così era avvenuto. Traps, quest’uomo non del tutto legittimamente favorito dalla fortuna (perché, in fondo, era concessa la pena di morte solo sotto certe condizioni, ma voleva trascurare questo particolare per non deludere l’amico), insomma, Alfredo diventava da quell’istante uno dei loro, degno di essere accolto nel loro collegio come un vero maestro in quel giuoco ecc. ecc. (Gli altri: - Vogliamo lo champagne! ) La serata aveva raggiunto il suo apice. Lo champagne spumeggiava, nulla offuscava l’allegria dei commensali, un’allegria esultante e fraterna; anche il difensore era di nuovo avvolto dalla simpatia generale. Le candele erano già consumate, alcune già spente; fuori s’affacciava il mattino, le stelle impallidivano, un’aurora lontana, frescura e rugiada. Traps era entusiasta e nello stesso tempo stanco, chiese di essere condotto nella sua stanza, passò dalle braccia dell’uno in quelle dell’altro barcollando. I vecchi farfugliavano, ubriachi, potenti sbornie riempivano il salotto, discorsi senza senso, anzi, monologhi perché nessuno stava ad ascoltare. Puzzavano di vino e di formaggio, accarezzavano i capelli del rappresentante generale, lo vezzeggiavano, baciavano quell’uomo felice e stanco che ora sembrava un bambino in una cerchia di nonni e di zii Il vecchio calvo e silenzioso lo condusse di sopra. Era una gran fatica salire le scale, carponi, a metà strada si fermarono, impigliati l’uno nell’altro, non riuscivano ad andare avanti, s’accoccolarono sui gradini. Dall’alto, attraverso una finestra giungeva la luce dell’alba, una luce di pietra, che si mescolava al bianco delle pareti; dall’esterno giungevano i primi rumori della giornata che cominciava, dalla stazioncina lontana fischi ed altri segnali per la manovra dei treni come un vago ricordo di un ritorno a casa che non era avvenuto. Traps era felice, soddisfatto come mai lo era stato nella sua vita di piccolo borghese; pallide immagini affioravano nella sua memoria, un volto di fanciullo, del più piccolo, il prediletto, poi l’immagine evanescente del villaggio in cui era giunto in seguito alla sua panne, il nastro lucente della strada che risaliva una piccola altura, la collinetta con la chiesa, la grande quercia che stormiva, con i suoi cerchi di ferro ed i suoi sostegni le colline boscose, e dietro, sopra, ovunque, un cielo luminoso, infinito. Ma a questo punto il vecchio calvo ebbe un crollo, borbottò: - Voglio dormire! Voglio dormire! Sono stanco! Sono stanco! - e s’addormentò davvero, udì solo Traps che s’arrampicava verso il piano superiore, poi udì trascinare una sedia, il vecchio si risvegliò sulla scala solo per pochi secondi, pieno di sogni e di ricordi di spaventi e di momenti d’orrore già dimenticati, poi ci fu un guazzabuglio di gambe intorno a lui che dormiva, perché gli altri stavano salendo le scale. Pigolando e gracchiando avevano riempito di scarabocchi una pergamena con la condanna a morte, in uno stile enfatico, con locuzioni spiritose, frasi accademiche in latino ed in tedesco antico, poi s’erano messi in cammino per andare a posare sul letto del rappresentante generale addormentato il prodotto del loro lavoro perché fosse un grato ricordo, quando si svegliava il mattino dopo, della loro bella sbornia. Fuori c’era il chiarore dell’alba, l’incanto del mattino; si sentivano i primi richiami acuti ed impazienti degli uccelli. I vecchi cominciarono a salire le scale, inciamparono nel vecchio calvo rannicchiato. Si sostenevano l’uno con l’altro barcollando tutti e tre e salivano non senza difficoltà, specialmente nella svolta della scala, era inevitabile, si fermarono, fecero qualche passo indietro, avanzarono e ritornarono di nuovo al punto di prima. Finalmente furono davanti alla porta di Traps. Il giudice aprì e tutto il solenne gruppo si fermò allibito sulla soglia, il pubblico ministero ancora con il tovagliolo attorno al collo: nel vano della finestra era appeso Traps, una silhouette nera contro l’argento opaco del cielo, in un forte profumo di rose, tanto definitivamente e irrimediabilmente che il pubblico ministero, nel cui monocolo si rispecchiava sempre più splendente il mattino, dovette pigliar fiato prima di 6~ esclamare addolorato, perplesso e rattristato per la perdita dell’amico: - Alfredo, mio caro Alfredo! Ma che cosa ti sei messo in testa, santo cielo? Ci rovini la più bella serata della nostra vita! Finito di stampare in Torino il 7 ottobre 1972 per conto della Giulio Einaudi editore s. p. a. presso l’Officina Grafica Artigiana U. Panelli C. L. 34J3-8 Nuovi Coralli