giovedì 21 settembre 2017



L'OMBRELLO (Estratto da) 
Di Luigi Pirandello
 "Novelle per un anno". I Meridiani vol. III, Arnoldo Mondadori editore, Milano1990
....Quell’ammirazione, intanto, quegli sguardi ora arditi e impertinenti, ora languidi e dolci,....

[...]"Se avesse voluto... Non vestiva bene; non si curava più per nulla di sé; si pattinava, là, alla svelta, ogni mattina; s’appuntava un cappellino che non era più neanche di moda; e via alla scuola, senza guardare mai nessuno; eppure, se avesse voluto, già due partiti. Chi sa perché, anche quella sera là, mentre andava frettolosa fra le sue bambine, tutti si voltavano a mirarla; e pioveva! Figurarsi, però, se lei avrebbe voluto mai dare un altro babbo a Dinuccia e a Mimì. Pazzie! pazzie!
Quell’ammirazione, intanto, quegli sguardi ora arditi e impertinenti, ora languidi e dolci, colti a volo per via, con apparente fastidio o anche, certe volte, con sdegno, le cagionavano in fondo una frizzante ebbrezza: le ilaravano lo spirito; davano quasi un sapore eroico a quella sua rinunzia al mondo, e le facevano stimar bello e lieve il sacrifizio per il bene delle due figliuole."Era un po' il piacere dell'avaro, il suo: dell'avaro che non soffre tanto delle privazioni a cui s'assoggetta, pensando che, se volesse, potrebbe godere senz'alcuna difficoltà. Ma che sarebbe dell'avaro, se da un momento all'altro l'oro del suo forziere perdesse ogni valore? Ebbene, certi giorni, senza saper perché, o meglio, senza volersene dire la ragione, ella cadeva in una cupa irrequietezza; era agitata da una sorda irritazione, che cercava in ogni più piccola contrarietà (e quante ne trovava, allora!) un pretesto per darsi uno sfogo. Le erano mancati per via quegli sguardi, quell'ammirazione. E segnatamente sulla maggiore delle figliuole, su Dinuccia, si scaricava allora la maligna elettricità di quelle torbide giornate. La piccina, senza saperlo, attirava quelle scariche col suo visino pallido, silenziosamente vigile, coi suoi sguardi attoniti e serti, che seguivano la mammina furiosa, la mammina che si sentiva spiata e credeva di scorgere un rimprovero in quell'attonimento penoso e in quello sguardo serio e indagatore.
 - Stupida! - le gridava.
Stupida, perché? Perché non capiva la ragione per cui la mammina era così nervosa, quel giorno, e cattiva? Ma se non voleva capirla neanche lei, questa ragione! Era soltanto meravigliata, la piccina, di non vederla gala come gli altri giorni, ecco. Meravigliata? Si meravigliava a torto; perché non tutti i giorni si può essere gai; e non era mica gioconda per la mammina quella vita di stenti e d'angustie. Lo sapeva bene lei sola, quanti pensieri e quanti bisogni e quante difficoltà.
Soffocava così il rimorso d'aver maltrattato e fatto piangere ingiustamente la bambina. Erano più veri sì, i pensieri, gli stenti, i bisogni, le angustie, le difficoltà; ma il non voler confessare a se stessa la vera ragione della sua tristezza e della sua nervosità la rendeva ancora più triste e nervosa. Per fortuna, c'era l'altra piccina, Mimì, che faceva ogni volta il miracolo di rasserenarla tutt'a un tratto, con qualcuno de' suoi vezzi infantili, pieni di grazia, irresistibili. Mimì prima la guardava, la guardava per un pezzo, ma non con quegli occhi vigili e serti della maggiore; con occhi ingenui e amorosi la guardava; poi faceva parlare quello sguardo, soffiando coi labbruzzi di ciliegia:
 - Mammina bella![...]