sabato 9 settembre 2017




L'ARROTINO
(E. Vittorini, Conversazione in Sicilia, Einaudi, Torino 1957
Cap. XXXIII
Tutta la strada era in pieno sole aperta sulla valle, e l’arrotino scintillava da più punti di sé e della sua carriola, nero in faccia ai miei occhi abbagliati dalla luce.
- Arrota, arrota! – egli gridò alle finestre del palazzo. Stridette la sua voce, beccando vetri e sasso; e io notai che era una specie di selvaggio uccello con in testa uno di quei copricapo che si vedono per le campagne in testa agli spauracchi. – Nulla da arrotare? – gridò.
Parve ora rivolgersi a me e io lasciai il paracarro, mi avvicinai alla sua voce attraversando la strada.
- Dico a voi, forestiero, - egli gridò.
Era grande nelle gambe spennacchiate e sembrava in qualche modo appollaiato sul suo cavalletto, mandando la ruota avanti e indietro per prova. – Avete portato niente da arrotare in questo paese? – gridò.
La ruota del viaggio cominciava ormai a muoversi in me, così mi frugai nelle tasche, prima in una poi in un’altra, e mentre andavo a una terza l’uomo continuò: - Non avete da arrotare una spada? Non avete da arrotare un cannone?
Io tirai fuori un temperino, e l’uomo me lo strappò di mano, attaccò furiosamente ad arrotare; e mi guardava, nero in faccia come per fumo.
Gli domandai: - Non avete modo di arrotare, in questo paese?
- Non molto di degno, - l’arrotino rispose. E sempre mi guardava, mentre le sue dita ballavano, con la piccola lama tra esse, nel turbinio della ruota; ed era ridente, era giovane, era un simpatico tipo di magro sotto il vecchio copricapo da spaventapasseri.
- Non molto di degno, - disse. - Non molto che valga la pena. Non molto che faccia piacere.
- Arroterete bene dei coltelli. Arroterete bene delle forbici, - dissi io.
E l’arrotino: - Coltelli? Forbici? Credete che esistano ancora coltelli e forbici a questo mondo? 
E io: - Avevo idea di sì. Non esistono coltelli e forbici in questo paese? 
Scintillavano come bianco di coltelli gli occhi dell’arrotino, guardandomi, e dalla sua bocca spalancata nella faccia nera la voce scaturiva un po’ rauca, d’intonazione beffarda. – Né in questo paese, né in altri, - egli gridò. – Io giro per parecchi paesi, e sono quindici o ventimila le anime per le quali arroto; pure non vedo mai coltelli, mai forbici.
Dissi io: - Ma che vi danno da arrotare se non vedete mai coltelli, mai forbici?
E l’arrotino: - Questo lo domando sempre loro. Che mi date da arrotare? Non mi date una spada? Non mi date un cannone? E li guardo in faccia, negli occhi, vedo che quanto mi danno non può chiamarsi nemmeno chiodo.
Tacque, ora, smettendo anche di guardarmi; e si curvò sulla ruota, accelerò sul pedale, arrotò furiosamente in concentrazione per più di un minuto. Infine disse: - Fa piacere arrotare una vera lama. Voi potete lanciarla ed è dardo, potete impugnarla ed è pugnale. Ah, se tutti avessero sempre una vera lama!
Chiesi io: - Perché? Pensate succederebbe qualcosa?
- Oh, io avrei piacere ad arrotare sempre una vera lama! – l’arrotino rispose. Tornò ad arrotare in furiosa concentrazione per qualche secondo, poi,
rallentando, e sottovoce, soggiunse: - Qualche volta mi sembra basterebbe che tutti avessero denti e unghie da farsi arrotare. Li arroterei loro come denti di vipera, come unghie di leopardo...
Mi guardò e mi strizzò l’occhio, luccicante negli occhi e nero in faccia, e disse: - Ah! Ah!
- Ah! Ah! – dissi io, e strizzai l’occhio a lui.
E lui si chinò al mio orecchio, mi parlò nell’orecchio. E io ascoltai le parole sue al mio orecchio, ridendo, “ah! ah!”, e parlai nell’orecchio a lui, e fummo due che si parlavano all’orecchio, e ridevamo, ci battevamo le mani sulle spalle.