FARE L'AMORE FACENDO YOGA
Estratto da Emmanuel Carrère, "Yoga"
Ha cercato dietro di sé la mia mano destra e se l’è posata sul seno destro. Siamo rimasti ancora a lungo immobili. Tenevo il suo seno nella mia mano, eravamo entrambi totalmente presenti a tutte le sensazioni che riceveva il mio palmo e che riceveva il suo capezzolo, che stava diventando duro, tanto più duro in quanto non lo palpavo, non lo stuzzicavo, tutt’altro, avrei anzi voluto ritrarre il palmo – lo avrei ritratto senza muovermi, senza scostarmi –, perché fosse il suo seno a venire verso la mia mano, e sentivo i rilievi delle sue areole che si inturgidivano. Anche il mio sesso si inturgidiva, ma in modo tranquillo, imperturbabile, mentre facevo aderire la maggior superficie possibile della mia pelle alla maggior superficie possibile della sua. Aumentavamo questa superficie un millimetro dopo l’altro. Rilassando, poi contraendo, poi di nuovo rilassando un certo muscolo, guadagnavamo ogni volta un po’ di superficie di contatto, era un processo infinitesimo ma regolare, era davvero una forma di yoga. Si può dire che abbiamo cominciato a fare l’amore facendo yoga, e che abbiamo continuato a fare yoga facendo l’amore. Poco dopo ero dentro di lei, davo colpi di reni lenti, profondi, poi mi ritraevo, sempre di più, uscivo quasi completamente, lei sporgeva il bacino per seguire il mio, per non perdermi, io restavo sospeso sull’orlo, entrambi facevamo durare questo momento il più a lungo possibile, poi mi rituffavo dentro di lei, sempre più lentamente, sempre più profondamente, proprio come quando, meditando, la respirazione diventa sempre più lenta e profonda, più lunga l’inspirazione, più lunga l’espirazione, e più lunghe le pause fra l’una e l’altra, più dilatati anche i momenti in cui viene da pensare che il movimento
è ormai terminato, che è arrivato a fine corsa, che sta per ripartire nell’altro senso, e invece no, si prolunga ancora, si intensifica, si affina, mentre tutte le sensazioni sono concentrate in un unico punto. Saremo rimasti un’ora, forse due, così, senza cambiare posizione – stavo per scrivere: asana. Ogni gesto aumentava il nostro piacere e il nostro stupore. Alla fine giacevo interamente su di lei, nessuna parte del mio corpo era più in contatto con il letto – le mie gambe sulle sue, le dita dei miei piedi appoggiate alle sue caviglie, le mie braccia intorno alle sue spalle, le mie mani a stringere il suo viso. Ci muovevamo con estrema lentezza, come in fondo al mare, io variavo soltanto il peso con cui le gravavo addosso, ora sprofondando in lei, ora alleggerendo un po’ la pressione, variazioni infinitesimali nel contatto fra i nostri bacini e le nostre pance, lei accompagnava il mio ritrarmi, accoglieva i miei colpi di reni. A poco a poco abbiamo smesso di muoverci. Non ci muovevamo più, il mio sesso non si muoveva più, soltanto il suo si contraeva dolcemente, regolarmente, attorno al mio, come un respiro. I nostri volti erano vicinissimi, smettevamo di baciarci solo per guardarci negli occhi, sapendo di sentire ognuno esattamente ciò che sentiva l’altro. Anche se non cici eravamo mai rivolti la parola prima di quella mattina, anche se non sapevamo neppure i nostri nomi, io avevo l’impressione di essere lei, gliel’ho detto, lei aveva l’impressione di essere me, ed è stato in quel momento in cui eravamo così uniti, in cui non facevamo altro che questo: stringerci l’un l’altro, stringerci il più possibile l’un l’altro, mescolandoci il più possibile e quasi scambiandoci l’uno con l’altro, che lei mi ha chiesto se vedevo la luce, e allora sì, l’ho vista, la luce su di lei, la luce su di noi, detto così sembra una scemenza, ma quella luce, che era al tempo stesso un punto infinitamente lontano e un alone che ci circondava come un’aureola, era come quella descritta da chi ha vissuto una near-death experience, impossibile da descrivere quanto da riprodurre, ma quando la vivi sei sicuro
che non è né illusione né autosuggestione, che quanto stai vivendo è vero: the real thing. In seguito ce lo siamo ripetuti, stupefatti: era reale.