venerdì 22 giugno 2018


A proposito di Rom
[...] Non è possibile parlare con i nomadi. Non conoscono la nostra lingua e non ne hanno quasi una propria. Tra loro s'intendono come i corvi[...]

UN VECCHIO FOGLIO
Tutti i racconti 
Franz Kafka
 Sembra che ci sia stata molta trascuratezza nella difesa della nostra patria. Sinora non ce ne siamo curati e abbiamo pensato al nostro lavoro; ma gli eventi degli ultimi tempi ci preoccupano.
Ho un laboratorio da calzolaio sulla piazza dinanzi al palazzo imperiale. Alle prime luci dell'alba, appena apro la porta della mia bottega, vedo l'ingresso di tutte le strade, che sboccano qui, occupato da uomini armati. Ma non sono soldati nostri, bensì dei nomadi provenienti dal Nord. In modo per me incomprensibile sono riusciti a penetrare sino alla capitale, che pure è distante dal confine. Comunque sono qui; sembra che ogni mattina aumentino.
Seguendo la propria natura si accampano all'aperto, perché detestano le case. Passano il tempo affilando le spade, aguzzando le frecce, allenandosi con i cavalli. Hanno trasformato questa piazza silenziosa e sempre scrupolosamente pulita in una vera stalla. Qualche volta cerchiamo di correre fuori dalle nostre botteghe per eliminare almeno il peggior sudiciume, ma ciò accade sempre più di rado, perché la fatica è inutile e ci espone inoltre al pericolo di finire sotto i cavalli selvaggi o di essere colpiti dalle fruste.
Non è possibile parlare con i nomadi. Non conoscono la nostra lingua e non ne hanno quasi una propria. Tra loro s'intendono come i corvi. Si sente continuamente questo gracchiare di corvi. Il nostro modo di vivere, le nostre istituzioni sono per loro tanto incomprensibili quanto indifferenti. Per questo respingono qualsiasi linguaggio a segni. Puoi slogarti le mascelle e storcerti le mani, non ti capiscono e non ti capiranno mai. Talvolta fanno delle smorfie; allora le pupille gli si rovesciano e la bocca si riempie di schiuma, ma con questo non intendono dire nulla, né vogliono spaventare; lo fanno perché è la loro indole. Quando hanno bisogno di qualcosa la prendono. Non si può dire che usino la violenza. Davanti a un loro intervento ci si mette in disparte e si abbandona tutto.
Anche dalle mie provviste hanno preso qualche pezzo buono. Ma io non posso lamentarmi se guardo, per esempio, che cosa sta succedendo al macellaio dirimpetto. Appena porta la sua merce gli viene subito strappata e divorata dai nomadi. Anche i loro cavalli si cibano di carne; spesso un cavaliere se ne sta disteso accanto al suo cavallo ed entrambi si nutrono con lo stesso pezzo di carne, ciascuno a un'estremità. Il macellaio ha paura e non osa interrompere le consegne di carne. Noi lo comprendiamo, raccogliamo dei soldi e lo sovvenzioniamo. Se i nomadi non ricevessero la carne chi sa che cosa si metterebbero in testa di fare; chi sa poi che cosa si metteranno in testa di fare anche se riceveranno quotidianamente la loro parte di carne.
Ultimamente il macellaio ha pensato di potersi almeno risparmiare la fatica di macellare e un mattino ha portato un bue vivo. Non dovrà più ripeterlo. Sono rimasto sdraiato per un'ora nel fondo della mia bottega sotto tutti i vestiti, le coperte e i cuscini che possiedo per non sentire i muggiti del bue assalito da ogni parte dai nomadi che gli strappavano via coi denti brani di carne calda e sanguinante. Già da tempo regnava un silenzio profondo prima che osassi avventurarmi fuori; come bevitori attorno ad una botte giacevano stanchi intorno ai resti dell'animale.
Proprio allora credetti di aver visto l'imperatore in persona a una finestra del palazzo; egli non suole mai venire in questi appartamenti esterni, vive sempre nel giardino più interno; ma quella volta stava, almeno così mi parve, a una finestra e fissava col capo chino il movimento davanti al suo castello.
«Che succederà?» ci chiediamo tutti. «Per quanto tempo sopporteremo questo peso e questo tormento? Il palazzo imperiale ha attirato i nomadi, ma non sa respingerli. Il portone rimane chiuso; la guardia che prima entrava e usciva marciando festosamente, se ne sta dietro le inferriate. La salvezza della patria è affidata a noi artigiani e mercanti; ma noi non siamo in grado di assolvere a questo compito; né ci siamo mai vantati di esserlo. Si tratta di un equivoco che ci manda tutti in malora».