venerdì 8 giugno 2018


I. VELEGGIARE CON VENTO DEBOLE
Hermann Bloch
Estratto da "Gli incolpevoli"
Sotto il tendone a strisce bianche e marroni, teso anche ora che è notte, stanno leggere sedie e tavolini di vimini. Tra le file delle case, attraverso il fogliame recente dei viali serpeggia il vento silenzioso della notte: quasi si potrebbe credere che venga dal mare. Invece è soltanto l’asfalto umido: l’annaffiatrice è passata poco fa lungo la strada vuota. Un paio di cantonate più avanti c’è il boulevard: si sente fin qui lo strombazzare delle automobili.
Forse il giovanotto era già un po’ brillo. Senza cappello, senza panciotto, se ne è venuto giù per la strada: tiene le mani dentro la cintura, in modo che la giacca gli stia tutta aperta e il vento arrivi, se possibile, fino alla schiena; come un bagno tiepido e fresco. Quando i vent’anni si sono passati da poco si può quasi sempre sentir fremere nel corpo la propria vitalità.
Davanti al caffè, il suolo è coperto da brune stuoie di cocco e il loro odore è leggermente soffocante. Un po’ incerto il giovanotto passò tra le sedie di vimini, sfiorò qua e là un cliente, sorrise scusandosi e giunse infine alla porta a vetri, che era aperta.
Nel locale faceva, se possibile, ancora più fresco. Il giovanotto prese posto sul sedile di cuoio che correva sotto la fila degli specchi lungo la parete: scelse di sedersi proprio di fronte alla porta, perché voleva che le piccole ventate gli entrassero, per cosi dire, di prima mano nei polmoni. Che sul banco del bar il grammofono smettesse proprio in quel momento di suonare - per qualche istante continuò a sibilare girando, per poi' lasciare il locale ai tipici rumori dei caffè — simili al silenzio — fu una spiacevole malvagità, e il giovane guardò il motivo a scacchi bianchi e blu del pavimento, che ricordava quello di una tavola-mulino: al centro, però, i riquadri formavano una croce sghemba, una croce di sant’Andrea e per giocare a mulinello non serve niente di simile -, si, era proprio inutile. Ma non bisogna lasciarsi turbare da cose del genere.
I tavoli avevano piani di marmo bianco con venature leggere: su quello davanti a lui c’era un bicchiere di birra scura, le bollicine della schiuma si gonfiavano e scoppiavano.
Al tavolo accanto, sempre sul sedile di cuoio, era seduto qualcuno. Si stava svolgendo una conversazione, ma il giovane era troppo pigro per voltare la testa da quella parte. Erano due voci, Ihmaschile molto adolescente e quella della donna gutturale e materna. Sarà certo una ragazza grassa e nera, pensò il giovane, e di proposito, ormai, non volse più la testa in quella direzione. Uno, quando gli è morta da poco la madre, non va alla ricerca di altre maternità. E si sforzò di pensare al cimitero di Amsterdam, alla tomba di suo padre, alla quale non aveva mai voluto pensare, alla quale doveva pur pensare ora che vi avevano calato anche lei.
Accanto, la voce maschile disse:
- Quanto denaro ti occorre?
Venne in risposta un ridere opaco e gutturale. Era davvero scura di capelli quella donna? Gli venne in mente l’espressione « buia maturità ».
- Insomma dimmi: quanto te ne occorre? - La voce era diventata quella di un adolescente eccitato. È naturale: chiunque vuol dare soldi alla propria madre. E questa qui ne ha bisogno. La sua non ne aveva avuto bisogno: aveva tutto. E sarebbe stato cosi bello invece provvedere a lei, poiché le rendite - laggiù nel Sud Africa - aumentavano continuamente. Ora era inutile. Tutto finito. Inutile.
Di nuovo quel ridere opaco, buio. Il giovane pensa: Adesso lei gli ha preso la mano. E subito sente: - E come ce l’hai tutto questo denaro?... e poi, anche se tu l’avessi, da te non lo prenderei —. Cosi parlano le madri: i soldi, li prendono solo dal padre.
Perché non era tornato a casa dopo la morte del padre? Sarebbe stato giusto farlo. Che cosa aveva avuto ancora da fare in giro per l’Africa? Era rimasto, invece, senza pensare che sua madre poteva morire. Ora lei lo ha fatto: è morta. Certamente, non gli è stato telegrafato a tempo, ma, a rigore, egli avrebbe dovuto presagirlo. È arrivato ad Amsterdam sei settimane dopo la sua morte. E che cosa stava a fare ancora qui a Parigi?
Il giovane guarda il pavimento, guarda la croce di sant’Andrea. Il pavimento è interamente ricoperto da minuscoli mucchi di segatura che si addensano in piccole dune presso i dischi terminali delle gambe di ghisa dei tavolini.
Dopo un momento il giovanotto pensa: Molto probabilmente con cento franchi sarebbe a posto. Se soltanto sapessi come fare, le darei più che volentieri i cento, anzi i duecento, trecento franchi. Adesso ho anche L’eredità olandese, che non toccherò mai. Mio padre ha sempre avuto il terrore che io un giorno o l’altro l’avrei dissipata. Mi chiedo se non sarebbe deluso, vedendomi oggi. No, non toccherò il suo denaro. Ma l’ho investito bene, con prudenza eppure a un buon interesse. Anche di questo si stupirebbe. E ancora una volta si mise a considerare i vantaggi e gli svantaggi dei suoi recenti investimenti di capitale.
Per cui ha perso il filo del discorso accanto. Si rimette ad ascoltare e la voce da ragazzo dice:
— Ma io ti voglio bene.
— Proprio per questo non devi parlare di soldi.
Il giovane pensa: Tutti e due mandano fuori le loro voci. Le loro bocche emettono il respiro insieme con la voce e a un paio di spanne di distanza da loro, già al di sopra del loro tavolo, o poco più in là, le voci respiranti confluiscono per accoppiarsi una con l’altra. Ecco l’essenza di un duetto amoroso.
E, in realtà, di nuovo si riesce a sentire:
— Ma io ti amo, ti amo tanto.
Sottovoce viene la risposta:
— Oh! ragazzo mio.
Ora si baciano, pensa il giovane. Buona cosa, che di fronte non ci sia uno specchio: li vedrei, altrimenti.
— Ancora, — dice la voce profonda della donna.
Vorrei darle per questo quattrocento franchi, pensa il giovane e si accerta che il suo portafoglio sempre troppo pieno — al diavolo, perché mi porto sempre appresso troppo denaro? a chi voglio fare impressione? - sia effettivamente ancora al suo posto. Con quattrocento franchi si potrebbe farla felice. Ma la voce del ragazzo gli toglie la parola di bocca.
— Ti occorre proprio tutto in una volta?... A rate riuscirei a trovarlo.
Il ragazzo dev’essere suppergiù della mia età, pensa il giovane, al massimo di poco minore. Perché non fa soldi? Bisognerebbe insegnargli quanto è semplice far soldi. Potrei proporgli di venire a Kimberley con me. Per conto mio, può anche portarsi dietro la donna.
— Preferisco morire, piuttosto che prendere denaro da te.
Ci siamo, pensa il giovane, questo non va: con me non potrebbe parlare cosi. Capisco, capisco, lei vorrebbe risparmiargli la cosa: preferirebbe imboccarlo con il cucchiaino, ma vuole vivere, deve vivere e per la vita ci vuole il denaro, lo sporco denaro. Ma con chi vuol vivere lei? Con chi vuol vivere? Con lui? Se io le
do cinquecento, seicento franchi, vorrà vivere con me e dar da mangili re a lui di nascosto. Se prendesse il denaro da lui, forse vivrebbe con lui, ma allora lui non sarebbe più suo figlio ed è questo che lei vuole evitare. In un modo o nell’altro le cose sono messe male. Senza dubbio per lui sarebbe meglio che lei morisse: ma lei non lo fa, non muore, per non parlare poi di suicidio. A voler essere giusti, bisognerebbe proteggere il raga2zo da questa donna. Ma non riesce più a andare avanti sul filo di questo pensiero. Quando uno ha già bevuto un poco, non può portare ogni pensiero fino in fondo.
Con questa birra non si combina niente. Ha vuotato l’ultimo bicchiere in una sorsata sola e si sente poco bene. Tutt’intorno alla regione dello stomaco si è fissato qualche cosa di gelido, la camicia gli si appiccica addosso e neppure respirando profondamente gli riesce di riacquistare il senso di benessere: sarebbe una cosa buona avere accanto a sé una donna materna.
Ride tra sé: se mi uccido e lascio lei erede del mio denaro, di tutto lo sporco bel denaro che ho, lei può mantenere il ragazzo e se per caso, oltre a tutto, il suicidio mio diventa per lei un buon esempio da imitare, ecco che il ragazzino è addirittura liberato dalla sua presenza: in un modo o nell’altro le cose si mettono bene, o meglio, si metterebbero bene, perché si dà il caso che, io non voglia affatto uccidermi, non ci penso neanche, io, ad uccidermi. Perché poi ci ho pensato?
Dietro il bar si muoveva una persona anziana in un vestito rosa non molto pulito. Quando parlava con il cameriere, si vedeva il suo profilo e tra mascella superiore e mascella inferiore si formava un triangolo che si apriva e chiudeva. Un grosso gatto d’angora bianco-candido, con un salto silenzioso, era balzato sul banco del bar, per un poco si pulì, per restare poi fermo immobile, naso rosa e tondi occhi azzurri, a contemplare il locale.
Sono contento di non poter vedere quella donna, pensava, e inavvertitamente, inatteso a lui stesso, disse a mezza voce:
- Ci si può uccidere tranquillamente.
L’aveva detto e ne fu spaventato: era come la risposta a un appello che ha udito e non udito, pur sapendo di essere stato chiamato col proprio nome di quando era bambino, un ordine di smettere di giocare, un ordine di rientrare immediatamente in casa. E rifletté: se non avessi avuto nessun nome, non avrebbe potuto chiamarmi: cosi, invece, bisogna ubbidirle; bisogna sempre ubbidire alla mamma, è lei che me l’ha insegnato, fino alla tomba bisogna ubbidirle, come se nemmeno il sopravvivere fosse permesso. Ma doversi uccidere era cosi spaventoso, non c’era modo di cambiarlo; quello che è giusto è giusto e va dichiarato apertamente.
- Soltanto la morte ci trattiene dall’intrecciare nuovi legami.
Chiare e nette nell’aria stettero ora queste parole, in un certo
senso parte del suo Io, restarono in un certo senso incise nell’aria e formarono al tempo stesso una prova della cosa detta. Sì, perché era da attendersi ora che la sua voce li incisa si sarebbe intrecciata con le voci dei due ed egli calcolò in quale punto dell’aria davanti a lui la cosa avrebbe potuto verificarsi: l’incisione si trovava esattamente al punto giusto, a circa otto o nove piedi di distanza da lui. Ecco, ora diventa un trio, pensò, e tese l’orecchio alle reazioni dei due. Ma quelli non avevano fatto attenzione, tanto che la donna disse mezzo scherzando e mezzo tremando di paura:
- Se venisse ora!
- Ci ucciderebbe, - risponde la voce da adolescente, - me, per lo meno, mi ucciderebbe, se dovesse capitare qui... cosa che è estremamente improbabile.
Sciocchezze, quei due dicono delle sciocchezze, pensò il giovane, stanno parlando di qualcuno, che a quanto pare dovrebbe essere una specie di Vendicatore, una specie di Inquisitore e di Giudice, una specie di boia che li massacrerà tutti e due. Eh, no!
Li devo tranquillizzare:
- Non viene. Paralisi cardiaca. Tre anni fa, in treno, tra Amsterdam e Rotterdam.
- Dammi una sigaretta, — dice la donna e la sua voce suona davvero rasserenata.
Bene, l’ha capito, approva con un cenno della testa il giovane, e io mi berrò un whisky allo spavento preso. E ordina un whisky al cameriere accorso.
Si sentì veramente meglio dopo, anzi bene, proprio bene. Si può continuare. — Cameriere un altro whisky! - Sì, andiamo avanti. Sciocchezze, miserabili sciocchezze, i discorsi di quei due. I morti dovrebbero venire fuori dalle tombe per uccidere loro. Il commendatore. L’Ospite di pietra. Ma, signori miei, questa roba la trovate solo all’opera e solo nel Don Giovanni. Gli passò all’improvviso per la mente: «E invece adesso arriva e fa piazza pulita ».
Ma era soltanto il cameriere, che gli stava davanti col secondo whisky e la cosa era in sé cosi comica, che dovette ripetere ridendo:
- Viene, viene, invece, è già venuto.
E senza dubbio la donna li accanto ha preso la cosa sul serio: Torse sarebbe meglio che ce ne andassimo.
Sì, - dice il giovane. Forse le cose stavano davvero cosf, forse crii davvero l’Ospite di pietra e non il cameriere, Colui-che-vicne a-prendere, non Colui-che-viene-a-portare.
- Non farti prendere dalla paura, — prega la voce da adolescente, - è molto più verosimile che possiamo incontrarlo per la strada... Non è possibile che venga proprio a finire qui, in questo locale.
Non cosf presuntuoso, ragazzino... se ha potuto andare a finire nell’ospedale a prendere la mamma, perché non dovrebbe essere capace di capitare anche qui, proprio in questo locale? I medici, all’ospedale, hanno raccontato che il grave atto operatorio allo stomaco, cui era stata sottoposta, non avrebbe potuto essere superato che a stento anche da organismi molto più robusti; ma non c’è assolutamente niente che dimostri che egli, tuttavia, non l’abbia costretta ad uccidersi.
Accanto, la donna risponde:
- Almeno per la strada si può scappare.
Non c’è fuga, mia cara, non c’è modo di scappare. Se lei scappa, lui le tira un colpo nella schiena. C’è una sola possibilità di rifugio ed è non avere nome. Chi non ha più nome, non può essere chiamato, non possono chiamarlo. Io, grazie al cielo, il mio l’ho dimenticato. E scelse un sigaro da un astuccio, lo accese con lentezza soddisfatta.
- Andremo via, tesoro, andremo lontano... Niente e nessuno ci potrà più raggiungere, - disse la voce da adolescente.
Allora sei riuscito a capire che partiamo per il Sud Africa, che andiamo a far soldi. A me sta bene, ma che non mi piaccia il sigaro, che non mi piaccia proprio affatto, ecco, questo non mi va... Al diavolo, dovrei bere del latte caldo.
L’idea fu subito raccolta dalla donna alla tavola accanto: - Cameriere, un latte caldo!
Eccoci, siamo in azione, pensava il giovane; l’intreccio delle voci sta funzionando egregiamente, e quello dei destini verrà in seguito. A questo punto, però, dovrei andarmene. E perché devo continuare a farmi intessere ai destini di quei due? Mi piacerebbe ficcarle in tasca un foglio da mille franchi e scomparire. Non mi importa niente di loro. Io sono solo ed essendo solo sono protetto nel modo migliore contro di lui. Se resto con loro, niente mi potrà salvare da lui.
- Cara cara cara... - insisteva il ragazzino lì accanto.
Non hanno dunque nessun nome quei due, uno per L’altro? Sanno già forse quanto sia pericoloso un nome? In sé la cosa è comprensibile, e tuttavia devo riprovarla. Certo, certo mia cara, lei è materna: ma le madri trovano nomi per il loro bambino e niente, per grande che possa essere il rischio, le può trattenere dall' adoperarli.
- Siamo in un locale pubblico, — si scusava la donna e si capiva che intendeva alludere al cameriere.
Il cameriere aveva una pelata lucida. Quando non aveva niente da fare, si appoggiava al banco e la cassiera si metteva a parlare con lui, mascelle che si aprono e si chiudono, animatamente. Una fortuna, che non si capisse quello che le loro voci dicevano, altrimenti si sarebbero avvolte anche quelle nel gomitolo dei destini vocali, delle voci fatali, tutti quanti intrecciati assieme, ma ogni cosa e ognuno disperatamente soli: il gomitolo, io ce l’ho in gola: ho di nuovo una sete d’inferno.
La donna aveva avuto il latte ordinato e la cassiera ne versò un avanzo nel piattino: - Arouette, - cercava di attirare l’angora,
- il latte, qui, Arouette, il latte E Arouette esitando con molta dignità si portò, passando lungo il banco, fino al piattino del latte.
Molto probabilmente nello stesso momento anche la donna stava sorbendo il suo latte a piccoli sorsi leccati, perché la voce da adolescente diceva con ammirazione:
- O come ti amo... noi ci capiremo sempre.
- Capire è intrecciare, — disse il giovane, - e questa è la mia situazione. Se non avessero nome le cose, ecco che non ci sarebbe un Capirsi, ma non ci sarebbe neppure nessuna sventura.
E pensava: sono ubriaco, indicibilmente ubriaco e non ho più nome; la mamma è morta.
Ha risposto la donna? Si, ha risposto:
- Noi ci amiamo, ci amiamo fino alla morte.
- Lui sta per venire e sparerà, può starne sicura, sicurissima, mia cara, — e il giovane è molto soddisfatto perché ha scoperto il riflesso della lampada centrale ora sulla pelata del cameriere: una pelata è una pelata e una luce è una luce e una pistola è una pistola e tra i nomi sta teso l’accadere, sicché senza nomi il mondo si fermerebbe: ma la mia sete è una sete e che razza di sete.
Un uomo era intanto entrato nel locale: un uomo grassoccio coi baffetti neri, il cui volto, percorso da piccole vene rosse, faceva pensare ad una certa naturale predisposizione al colpo apoplettico: senza guardarsi in giro se n’era andato direttamente al bar, si era appoggiato al banco, aveva tirato fuori dalla tasca un giornale e aveva cominciato a leggere, un cliente abituale, che non ha bisogno di ordinare niente: la cassiera, come chi fa una cosa ovvia e normale, gli spinse davanti il vermouth.
Il giovane pensò: non lo vedono. E forte disse:
- Eccolo ora.
E siccome niente si muove e neppure l’uomo al bar accenna a voltarsi, grida forte:
- Cameriere, un’altra birra.
Tra la sete e la birra, nomi luna e l’altra, si estende delizioso l’accadere del bere.
Il vento fuori si era fatto più forte e i festoni penzolanti del tendone si agitavano e chi stava leggendo il giornale seduto ai tavolini di vimini era spesso obbligato a rilisciare con un breve colpo frusciarne la carta arricciata dal vento.
Eppure, sempre più interessante dei lettori di giornali là fuori era l’individuo al banco di mescita, e il giovane che lo osservava ebbe di colpo l’impressione che tenesse in mano il giornale alla rovescia, impressione falsa, anzi offensiva, perché rivolto alla signorina della cassa l’individuo si stava ora — era evidente — intrattenendo sul contenuto di quanto aveva letto, perché continuava a tambureggiare col dorso peloso e nero della mano e con le nocche delle dita sempre su uno stesso punto del foglio.
Che cosa poteva avere letto, che lo agitava tanto? Uno avrebbe addirittura potuto credere che per la grande eccitazione gli stesse per venire un altro colpo. Non c’era dubbio possibile: l’uomo aveva trovato stampato sul giornale il processo a se stesso, già stampato il processo per omicidio, e la cosa era strana, tanto più strana in quanto non solo si anticipava il futuro, ma si verificava anche un rovesciamento dell’ordinamento gerarchico —, come si può osare di fare il processo ad un Giudice ed Inquisitore? Non è forse il suo diritto, il suo buon diritto, il suo eterno diritto di uccidere il ragazzo, di uccidere la donna, di uccidere tutti? E il giovane tiene gli occhi fissi nel punto in cui tutte le voci loro e i loro destini si erano intrecciati, per intrecciarsi sempre di nuovo in quello stesso unico punto.
- Siamo qui, — annuncia alla fine il giovane che si è spazientito.
- Se soltanto potessi trovare i soldi, - dice la donna, — è uno che si può comprare.
- Pagherò, — dice il giovane, - io...
E mette sul tavolo un biglietto da cento franchi, come per vedere se bastano.
Il cliente al banco non presta nessuna attenzione, né al gesto né al denaro. I debiti devono essere pagati con la vita.
- Non avere preoccupazioni, non voglio che tu abbia preoccupazioni, - suona supplichevole la voce da adolescente, — io...
Che cosa significa Io? taci tu; chi non ha soldi, deve star zitto. Ne ho abbastanza di te. Io voglio pagare e pagherò. Io sono io. Lo sono, anche senza nome lo sono:
- Qui!
Il giovanotto l’ha gridato, l’ha gridato forte, perché il cliente laggiù, queU’immobile cliente si volti alla fine e cacci l’urlo atteso, l’urlo sperato da tempo, l’urlo del riconoscimento, urlo associato a urlo, destino a destino, uno nell’altro intrecciati in un comune punto di unione.
Non successe niente, invece. Non venne neppure il cameriere; che era occupato sulla terrazza e il suo grembiule bianco svolazzava mosso dalla brezza. L’individuo al bar rimane fermo, immoto, immoto come immota è la pietra, e continua a parlare con la cassiera, a cui ha passato la pagina di giornale. Ecco la sua vendetta per la mancanza di nome: petrigno disprezzo.
Al tavolo accanto la donna dice:
- Non ho preoccupazioni; al contrario, il mio cuore è pieno ' di speranza. Ma i miei piedi e le mie mani sono pesanti e se davvero venisse, io sarei come paralizzata... è ora di andare a casa.
Speranza? Si, speranza. Chi non ha più nome, vive nel Nonaccaduto e niente gli può più accadere: è sciolto da tutti i lacci e gli intrecci: io non ho nome, io non voglio avere più nome; troppo a lungo sono andato girando con quello che ho dovuto accettare per forza, e ora tutti i nomi mi fanno schifo, tutti. Ma: non è questo forse un vuoto, inutile rivoltarsi, un andare in collera contro la madre, che ha gridato il nome? E quasi piagnucolando conclude:
- Non serve a niente...
- Si, andiamo a casa..., - dice la voce da adolescente.
Andare a casa, vuoi tu, vero? Senza Io? senza nome? No, non
si fa, non è mai successa una cosa di questo genere. Il giovane sente che la debolezza lo riprende, che il suo volto - ma forse anche quello del ragazzo qui accanto - è impallidito, e prendendosi la fronte tra le mani sente il sudore freddo: io ho tutti i nomi dal-l’A alla Z e per questo appunto, nessuno.
- Oh, bambino caro..., - dice ora la donna piano, innamorata, triste.
Il giovane fece di si con la testa. Bene, ora lei saluta e va via, anch’io saluto e me ne vado, un saluto senza nome. Appenderò la catena di tutti i nomi al mio Io. Comincerò con A, questo al fine di essere esaminato per primo, scrutato nel cuore e nelle reni, scrutato nella vita e nella morte, anche se lui, lf nella tasca dell’abito, ha il giudizio bell’e pronto.
E realmente l’uomo al bar ha tirato fuori ora la pistola e sta facendo vedere, in questo momento, al cameriere come funzionerà l’arma; la faccenda del giornale era dunque stata soltanto una preparazione -, certo, perché le cose non dovrebbero svolgersi una volta tanto a rovescio?
Il cameriere soppesa nella mano l’arma che gli viene mostrata e poi dà una lustrata alla canna col suo tovagliolo, perché brilli.
E no: quello che è troppo è troppo. La cosa non riguarda affatto il cameriere: lui, tutt’al più, potrebbe lavare, dopo, il sangue dal pavimento di marmo e spargerci la segatura. Proprio per richiamarlo all’ordine, il giovanotto grida forte: — Un’altra birra! — E nel dire sventola il foglio da cento, estremo disperato segnale di far fuoco e tuttavia già fuori di ogni speranza. Naturalmente l’individuo non si volta neppure: seguita a darsi da fare intorno all’arma, la prepara, pronta per sparare, lui giudice, inquisitore, boia in una sola persona.
Il gatto Arouette ha finito il suo latte e saggiamente si arrotola su se stesso per dormire, dopo essersi leccato un’ultima volta brevemente i baffi, il collo, le zampe.
La signorina intanto si era data da fare a disporre sul banco una fila di bicchieri, una catena di bicchieri, e ogni volta che ne ha posato uno, c’è stato un tintinnare leggero e sonoro. La pistola scatta. Gli strumenti vengono approntati, pensa il giovanotto, e quando tutte le voci sono accordate, allora è arrivato il momento della morte: allora io sarò abbattuto al suolo, colpito dall’arma che lui sta avvolgendo ora nel giornale, abbattuto al suolo sul pavimento di marmo, abbattuto sul marmo della croce di sant’Andrea, come se dovessi esservi inchiodato, inchiodato al suo nome. Ma non mi chiamavo già una volta Andrea? Può darsi, ma non lo so più. Andrea, in ogni caso, comincia con A, ed egli ordinò:
- Da questo momento in poi dovete chiamarmi A.
Il vento, che ora entrava a folate più violente, portava sentore di acacia.
- È bella oggi la notte sotto gli alberi, sotto le stelle sonanti,
- disse la voce della donna, morbida e buia.
- Sotto le stelle sonanti della morte, - fece eco il giovane, e non fu sicuro d’averlo detto.
Ma la voce da adolescente disse:
- In una notte come questa potrei morire sul tuo seno.
— Sì, - disse il giovane.
— Sì, - disse la voce di donna molto profonda, - vieni.
E ora l’uomo al banco del bar si mosse. Senza la minima fretta, lento, molto lento, si mosse. E prima riprese dalle mani della cassiera il giornale, per battere ancora una volta insistendo e confermando su quel solito punto, che dava La notizia del suo processo, e volgendo poi lento molto lento il viso agli astanti, lo sguardo fisso come quello di un cieco al di sopra delle loro teste, la sentenza sulle labbra.
— L’esecuzione può avere inizio.
Nonostante la sua mollezza, la voce giudicante non tollerava alcuna opposizione; si portò fino al punto di intreccio, fino a quel punto preciso su cui il giovane fissava da tempo affascinato lo sguardo con estrema fatica, e impegno, e in quel punto restò sospesa.
Invece A. - poiché così vuole essere da questo momento in poi chiamato - dice:
- Ora la catena è chiusa: nascita e tomba: qui come là, la madre.
La cosa non commuove il cliente al banco. Con gesto ampio, rotondo solleva l’arma, la mostra tutt’intorno agli sguardi affascinati e paralizzati e poi, nascondendola dietro la schiena, si mette in movimento, con granitica decisione avanza, sempre più vicino, immutabile inevitabile — non era questo che ci si aspettava? -dirigendosi al tavolo accanto. E poiché l’istante della catastrofe era ormai arrivato, e poiché il tempo a ritroso ha raggiunto ormai l’Adesso, il Punto-Adesso, il Punto-Adesso della morte, in cui il tempo salta dal futuro nel passato, o si, poiché adesso tutto torna ad essere di nuovo passato, A. si concede di scoprire, per la prima e per l’ultima volta, il sogno che lo deve afferrare e inghiottire nell’istante successivo, e gli occhi fissi su colui che si avvicina, quello seguendo e la direzione da lui scelta, guarda il tavolo accanto.
Il tavolo accanto era vuoto, la coppia era scomparsa. Nello stesso istante il grammofono cominciò a suonare Le Pére de la victoire.
Agitando il suo tovagliolo, il cameriere aveva seguito il cliente che veniva avanti. A. gli tese i cento franchi:
- I signori che erano qui hanno pagato?
Il cameriere lo guardò senza capire.
Vede, io volevo pagare anche per loro.
'lutto pagato, signore, - disse il cameriere indifferente, e mise in azione il suo tovagliolo, perché il cliente grassoccio apoplettico e dai baffetti neri, che stava per sedersi sul sedile di cuoio, potesse trovare il tavolo pulito.
Il cliente sorrise, anzi, con tutto il volto rossiccio:
Non sia così onesto, amico mio!
Chi voleva dire? pensò A., il cameriere o me? Sono ubriaco davvero, ubriaco fradicio.
La cassiera cominciò ora a ripulire la fila di bicchieri. Prendeva un bicchiere dopo l’altro: tintinnare sonoro, e ogni bicchiere rispecchiava le luci del locale. Arouette, che si era svegliata di nuovo, allungava a volte la zampa sui vividi riflessi. E fuori il vento era caduto.