giovedì 7 giugno 2018


VANDALI
Di Raymond Carver
Estratto da "Se hai bisogno chiama"

Carol e Robert Norris erano vecchi amici di Joanne, la moglie di Nick. La conoscevano da anni, da ben prima che Nick la incontrasse. La conoscevano da quando lei era ancora sposata con Bill Daly. A quei tempi, i quattro – Carol e Robert, Joanne e Bill – erano sposi novelli e si stavano specializzando al dipartimento di Arte dell’università. Vivevano tutti insieme, in una grande casa su Capitol Hill a Seattle, dove dividevano l’affitto e il bagno. Mangiavano spesso insieme e restavano alzati fino a tardi a parlare e a bere vino. Si scambiavano i loro lavori per analizzarli e commentarli. Nell’ultimo anno in cui avevano condiviso la casa, prima che Nick facesse la sua comparsa sulla scena, si erano addirittura comprati una piccola barca a vela, che usarono durante l’estate sul lago Washington. – Momenti belli e momenti brutti, alti e bassi, – disse Robert; era la seconda volta che lo diceva, quella mattina, ridendo e guardando in faccia gli altri, seduti attorno al tavolo.

Era domenica mattina ed erano seduti al tavolo di cucina di Nick e Joanne, ad Aberdeen, a mangiare salmone affumicato, uova strapazzate, crema di formaggio e ciambelle salate. Il salmone l’aveva pescato Nick l’estate prima e se l’era fatto mettere sotto vuoto. L’aveva conservato in freezer. Gli aveva fatto piacere che Joanne avesse detto a Carol e Robert che il salmone l’aveva pescato lui. Joanne sapeva – o almeno sosteneva di sapere – perfino quanto pesava originariamente il pesce. – Questo faceva quasi otto chili, – disse e Nick scoppiò a ridere, compiaciuto. Nick aveva tirato il salmone fuori dal freezer la sera prima, dopo che Carol aveva telefonato e aveva parlato con Joanne, dicendole che a lei, a Robert e a Jenny, la figlia, avrebbe fatto piacere fermarsi da loro, dato che erano di passaggio in città.
– Possiamo alzarci adesso? – chiese Jenny. – Vogliamo farci un giro sullo skateboard.
– Gli skateboard sono in macchina, – disse Megan, l’amichetta di Jenny.
– Mettete i vostri piatti nel lavello, – disse Robert, – e poi direi che potete andare. Però non allontanatevi troppo. Rimanete qui intorno, – disse.– E state attente.
– È sicuro, sí? – chiese Carol.
– Ma certo, – disse Joanne. – Va benissimo. Vorrei avere uno skateboard anch’io. Se ce l’avessi, andrei con loro.
– Comunque i momenti belli erano in maggioranza, – riprese Robert, continuando a parlare dei loro giorni da studenti. – Giusto? – chiese, incrociando lo sguardo di Joanne e facendole un sorrisetto.
Joanne annuí.
– Bei tempi, davvero, – disse Carol.
Nick aveva l’impressione che Joanne volesse chieder loro qualcosa su Bill Daly. Ma lei non disse niente. Sorrise – un sorriso che durò un momento di troppo – e poi chiese se qualcuno voleva ancora un po’ di caffè.
– Ne prendo volentieri un altro, grazie, – disse Robert. Carol disse «no, no», e coprí la tazza con la mano. Nick si limitò a far segno di no con la testa.
– Allora, parlami un po’ di questa pesca al salmone, – disse Robert a Nick.
– Non c’è molto da dire, – disse Nick. – Ci si alza presto e si esce al largo. Se il vento non è troppo forte, non piove, i pesci sono arrivati e si ha l’attrezzatura adatta, può darsi che qualcuno abbocchi. Se si è fortunati, è probabile che si riesca a tirarne in secco uno ogni quattro che abboccano. Mi sa che c’è gente che ci dedica la vita. Io pesco un po’ d’estate e basta.
– Ma peschi da una barca o che? – disse Robert, come se ci avesse pensato un po’ su. Nick aveva l’impressione che la cosa non gli interessasse poi molto, ma si sentisse in obbligo di aggiungere qualcosa, visto che aveva sollevato lui l’argomento.
– Sí, ho una barca, – rispose Nick. – È ormeggiata giú al porticciolo.
Robert annuí lentamente. Joanne gli versò il caffè. Lui alzò lo sguardo e le sorrise. – Grazie, piccola, – disse.
Nick e Joanne vedevano Carol e Robert ogni sei mesi circa – piú spesso di quanto avrebbe voluto Nick, a dire la verità. Non è che gli stessero antipatici: gli piacevano, davvero. Anzi, tra tutti i vecchi amici di Joanne che aveva conosciuto, erano quelli che gli stavano piú simpatici. Gli piaceva l’amaro senso dell’umorismo di Robert, il modo in cui raccontava le storie, facendole sembrare probabilmente piú buffe di quanto non fossero in realtà. E gli piaceva anche Carol. Era una bella donna, allegra, e ogni tanto dipingeva ancora qualche quadro con gli acrilici: Nick e Joanne ne avevano uno, un suo regalo, appeso in camera da letto. Carol era sempre stata gentilissima con Nick ogni volta che si erano trovati insieme. Ma certe volte, mentre Robert e Joanne si lasciavano andare ai ricordi, Nick si sorprendeva a guardare Carol dall’altra parte della stanza; lei sosteneva il suo sguardo, gli sorrideva e poi scuoteva leggermente il capo, come se tutte quelle chiacchiere sul passato in fondo non avessero alcuna importanza.
Eppure, quando erano insieme, ogni tanto Nick non poteva fare a meno di avere l’impressione che lo stessero giudicando in silenzio e che almeno Robert, se non anche Carol, gli rimproverasse ancora di aver rovinato il matrimonio di Joanne con Bill mettendo fine al periodo felice del loro quartetto.
Si vedevano ad Aberdeen almeno due volte all’anno, una volta all’inizio dell’estate e un’altra volta verso la fine. Robert, Carol e Jenny, la figlia di dieci anni, facevano una piccola deviazione in città mentre erano diretti a nord, verso le regioni boscose dell’Olympic Peninsula, dove conoscevano un rifugio in un posto chiamato Agate Beach: lí Jenny andava in cerca di agate e riempiva una borsetta di pelle di pietruzze che poi portava a Seattle per farle lucidare.
I tre non passavano mai la notte da Nick e Joanne: Nick si rendeva conto che in effetti loro non li avevano mai invitati, anche se era sicuro che a Joanne avrebbe fatto piacere ospitarli, se lui glielo avesse proposto. Ma lui non l’aveva mai fatto. Ogni volta che venivano a trovarli, arrivavano in tempo per la colazione, o poco prima di pranzo. Carol chiamava sempre prima per prendere accordi. Erano puntuali, cosa che Nick apprezzava molto.
Insomma, a Nick i Norris stavano simpatici, però per qualche motivo si sentiva sempre anche a disagio, in loro compagnia. Mai, neanche una volta, avevano discusso di Bill Daly in sua presenza, né menzionato il suo nome, nemmeno di sfuggita. Eppure, quando si trovavano tutti e quattro insieme, facevano provare a Nick, in qualche modo, la sgradevole sensazione che Daly non fosse mai molto lontano dai loro pensieri. Nick aveva soffiato la moglie a Daly e ora i vecchi amici di Daly erano ospiti in casa dell’uomo che aveva compiuto quel gesto insensibile e sconsiderato, l’uomo che per un po’ aveva sconvolto le lorovite. Non era una specie di tradimento per Carol e Robert essere amici dell’uomo che aveva fatto tutto questo? Spezzare il pane dell’amicizia in casa sua e osservarlo cingere affettuosamente le spalle della donna che una volta era la moglie dell’uomo cui loro volevano bene?
– Tesoro, cercate di non allontanarvi troppo, – raccomandò Carol a Jenny mentre le ragazzine ripassavano per la cucina. – Dobbiamo ripartire presto.
– No, no, – la rassicurò Jenny. – Facciamo solo su e giú qui davanti.
– Mi raccomando, – disse Robert. – Tra poco si riparte, ragazze –. Gettò un’occhiata all’orologio.
La porta si richiuse dietro alle bambine e gli adulti tornarono su un argomento che avevano già sfiorato quella mattina: il terrorismo. Robert insegnava arte in un liceo di Seattle, mentre Carol lavorava in una boutique vicino a Pike Place Market. Tra tutti e due non conoscevano nessuno che avesse intenzione di andare in Europa o in Medio Oriente quell’estate. Anzi, diverse persone, amici loro, avevano cancellato le vacanze già pianificate in Italia e in Grecia.
– Il mio motto è: prima vediamo l’America, – disse Robert. Poi si mise a raccontare la storia di sua madre e del suo patrigno che erano appena tornati da un viaggio di due settimane a Roma. Il loro bagaglio era stato smarrito e non ritrovato per tre giorni, tanto per cominciare. Poi, la seconda sera in città, mentre passeggiavano per via Veneto diretti a un ristorante non lontano dal loro albergo – la strada era pattugliata da agenti in uniforme armati di mitragliette – un ladro in bicicletta aveva scippato la borsa alla madre. Due giorni dopo, mentre si trovavano a una cinquantina di chilometri da Roma, qualcuno aveva squarciato una gomma e rubato il cofano della macchina che avevano noleggiato, mentre loro visitavano un museo. – Non hanno preso né la batteria né altro, capite? – disse Robert. – Volevano solo il cofano. Avete mai sentito una cosa del genere?
– Ma che ci faranno con il cofano? – chiese Joanne.
– E chi lo sa? – rispose Robert. – In ogni caso, però, sta diventando sempre peggio, per i turisti, da quando abbiamo bombardato. Voi che ne pensate? Secondo me, peggiorerà solo le cose per noi Americani. Ormai siamo tutti diventati un bersaglio.
Nick mescolò il suo caffè e ne sorseggiò un po’ prima di rispondere: – Non so piú cosa pensare. Sul serio. Continuano a venirmi in mente tutti quei cadaveri negli aeroporti, in mezzo a una pozza di sangue. Non lo so proprio –. Girò di nuovo il caffè. – La gente con cui ho parlato da queste parti è convinta che, già che c’eravamo, magari avremmo dovuto sganciare un altro po’ di bombe. Ho sentito qualcuno dire che i nostri avrebbero dovuto radere tutto al suolo e farci un parcheggio, già che c’erano. Personalmente, non so proprio cosa avremmo dovuto fare o non fare laggiú. Ma qualcosa dovevamo fare, credo.
– Be’, mi pare un po’ esagerato, no? – disse Robert. – Un parcheggio? Tipo, dovevamo buttarci una bomba atomica? Per dire...
– Te l’ho detto: non so che cosa avrebbero dovuto fare. Ma era necessario dare una qualche forma di risposta.
– Diplomazia, – disse Robert. – Sanzioni economiche. Colpirli al portafoglio. Vedrai che poi si rimettono in carreggiata e rigano dritti.
– Che dite, preparo un altro po’ di caffè? – disse Joanne. – Ci vuole un attimo. Chi vuole una fettina di melone? – Spinse indietro la sedia e si alzò dal tavolo.
– Io sono piena, – disse Carol.
– Anch’io, – disse Robert. – Sto bene cosí –. Pareva volesse continuare a discutere dell’argomento, ma poi si trattenne. – Nick, una volta o l’altra vengo giú e andiamo a pescare insieme. Quando è il momento migliore?
– Buona idea, – disse Nick. – Sei sempre il benvenuto. Vieni giú e fermati pure quanto vuoi. Il mese migliore è luglio. Ma va bene pure agosto. Anche le prime due settimane di settembre –. Cominciò a dire qualcosa su quanto era bello pescare di sera, dopo che la maggior parte delle barche era rientrata. Si mise a raccontare di quella volta che ne aveva tirato su uno grosso al chiaro di luna.
Robert sembrò pensarci su un istante. Bevve un sorso di caffè. – Verrò senz’altro. Quest’estate stessa. A luglio, se per te va bene.
– Benissimo, – rispose Nick.
– In quanto ad attrezzatura, che cosa devo portare? – chiese Robert, interessato.
– Basta che porti te stesso, – disse Nick. – Di attrezzatura ne ho in abbondanza.
– Puoi usare la mia canna, – disse Joanne.
– Ma cosí non puoi pescare tu, – disse Robert. E cosí, all’improvviso, smisero di parlare di pesca. In qualche modo, Nick si rese conto che la prospettiva di starsene per ore insieme su una barca metteva a disagio sia Robert che lui. No, francamente non riusciva a immaginare che i loro rapporti potessero andare oltre lo starsene seduti insieme in quella bella cucina due volte all’anno, a fare un’abbondante colazione e a chiacchierare sorseggiando caffè. Era abbastanza piacevole, ma come tempo passato insieme bastava cosí. Piú di quello non era previsto. Di recente aveva rinunciato anche all’occasione di un viaggio a Seattle insieme a Joanne, perché sapeva che alla fine della giornata lei si sarebbe voluta fermare a prendere un caffè da Carol e Robert. Nick trovò una scusa e restò a casa. Disse che aveva troppo da fare nella segheria che dirigeva. Una volta Joanne era perfino rimasta a dormire da Carol e Robert, e quando era tornata a Nick era sembrato che fosse distante e pensosa per diversi giorni. Quando le aveva chiesto com’era andata la visita, aveva risposto che era stata bene e che erano rimasti a chiacchierare fino a tardi dopo cena. Nick sapeva che dovevano aver parlato di Bill Daly; ne era sicuro e la cosa lo aveva lasciato irritato per qualche settimana. Ma poi, quand’anche avessero parlato di Bill Daly, che differenza faceva? Joanne era sua, ormai. Un tempo sarebbe stato capace di uccidere per lei. L’amava ancora, certo, e lei amava lui, ma ormai non si sentiva piú cosí ossessivo. No, adesso non avrebbe ucciso per lei e, anzi, trovava difficile capire come aveva fatto a provare quell’emozione cosí forte all’inizio. Secondo lui, ora, non valeva la pena di ammazzare qualcuno per lei – né per chiunque altro, del resto.
Joanne si alzò e cominciò a sparecchiare.
– Ti do una mano, – disse Carol.
Nick cinse la vita di Joanne con un braccio e la strinse, come se si vergognasse un po’ di quello che aveva pensato. Joanne rimase immobile accanto alla sedia di Nick, la sciando che lui la stringesse. Poi arrossí leggermente, si scostò appena e Nick la lasciò andare.
Le bambine, Jenny e Megan, spalancarono di colpo la porta ed entrarono di corsa con gli skateboard sottobraccio. – C’è un incendio in fondo alla strada, – annunciò Jenny.
– Sta andando a fuoco una casa, – disse Megan.
– Un incendio? – disse Carol. – Se è un incendio serio, statene alla larga.
– Non ho sentito le sirene dei pompieri, – osservò Joanne. – Voialtri le avete sentite?
– No, io no, – disse Robert. – Ragazze, andate a giocare, voi. Fra un po’ dobbiamo andare.
Nick si avvicinò alle vetrate e guardò fuori, ma non pareva che stesse succedendo nulla di straordinario. L’idea di una casa che andava a fuoco nel loro isolato alle undici di mattina di una giornata serena e assolata era inconcepibile. E poi non si erano sentiti allarmi, né macchine piene di curiosi, né autopompe scampanellanti, urla di sirene o sbuffi di freni ad aria compressa. Nick pensò che l’annuncio facesse parte di un gioco delle bambine.
– È stata una colazione meravigliosa, – disse Carol. – Mi è piaciuta un sacco. Ho voglia di sdraiarmi e rimettermi a dormire.
– E perché non lo fai? – disse Joanne. – Abbiamo una stanza degli ospiti di sopra. Lascia che le ragazze si divertano un po’ e voi due fatevi un pisolino, prima di rimettervi in viaggio.
– Davvero, – disse Nick. – Perché no?
– Carol scherza, naturalmente, – disse Robert. – Non potremmo mai fare una cosa del genere. Vero, Carol? – Robert la guardò.
– Oh no, certo che no, – disse Carol, ridendo. – Però è stato tutto cosí buono, come al solito. Una colazione a base di champagne, ma senza champagne.
– Sono le migliori, – disse Nick. Lui aveva smesso di bere sei anni prima, dopo essere stato arrestato per guida in stato di ubriachezza. Qualcuno l’aveva accompagnato a un incontro con gli Alcolisti Anonimi, aveva deciso che il posto faceva per lui e c’era andato tutte le sere, a volte addirittura due volte a sera, per un paio di mesi, finché la voglia di bere non gli era passata del tutto, quasi come se, diceva spesso, non l’avesse mai avuta. E ancora adesso, nonostante non bevesse, ogni tanto andava ancora a qualche incontro.
– A proposito di bere, – disse Robert, – Jo, tu te lo ricordi Harry Schuster? Il dottorHarry Schuster, che ora fa l’esperto di trapianti di midollo, non chiedermi come ha fatto, ma comunque, ti ricordi quel Natale in cui si mise a litigare con la moglie?
– Marilyn, – disse Joanne. – Marilyn Schuster. È un sacco di tempo che non penso piú a lei.
– Marilyn, esattamente, – disse Robert. – Litigarono perché secondo lui lei aveva bevuto troppo e si era messa a fare gli occhi dolci a...
Fece una pausa lunga abbastanza perché Joanne dicesse: – Bill.
– Proprio cosí, a Bill, – riprese Robert. – A ogni modo, prima si scambiarono accuse, poi lei gettò le chiavi della macchina a terra, lí in salotto, e disse: «E va bene, allora, guida tu, visto che sei cosí sobrio, cosí virtuoso, cosí sicuro». E allora Harry – erano venuti con due macchine, capite, dato che lui era interno all’ospedale ed era venuto direttamente dal lavoro – Harry uscí, prese la macchina di lei e la portò a due isolati di distanza, la parcheggiò e poi tornò indietro a piedi a prendere la sua macchina, la portò avanti di un paio d’isolati, parcheggiò, tornò indietro a riprendere quella di lei, la portò due isolati avanti, tornò a piedi alla sua macchina, la portò avanti, parcheggiò, tornò a prendere quella della moglie, la portò avanti di qualche isolato eccetera eccetera.
Si misero tutti a ridere. Anche Nick. Era una storia davvero buffa. Ai suoi tempi Nick ne aveva sentite di tutti i tipi, di storie sul bere, ma una di questo genere non l’aveva mai sentita.
– Insomma, – riprese Robert, – per farla breve, come si dice, ha riportato tutt’e due le macchine a casa in quel modo: gli ci sono volute due o tre ore per fare otto chilometri. E quando è arrivato a casa, ha trovato Marilyn, seduta comodamente a tavola con un bicchiere in mano. Qualcuno le aveva dato un passaggio fino a casa. «Buon Natale», gli ha augurato appena lui ha messo piede in casa, e mi sa che a quel punto Harry l’ha stesa.
Carol fece un fischio di stupore.
Joanne disse: – Si vedeva subito che quei due non potevano farcela. Viaggiavano a tutta birra verso la fine. L’anno dopo erano alla stessa festa di Natale, ma ognuno con un compagno diverso, ormai.
– Con tutte le volte che ho guidato ubriaco, – intervenne Nick, scuotendo la testa, – mi hanno beccato solo una volta.
– Hai avuto fortuna, – disse Joanne.
– Be’, qualcuno ha avuto fortuna senz’altro, – disse Robert. – Per esempio, gli altri automobilisti per strada.
– Ho passato una sola notte in galera, – continuò Nick, – ma mi è bastata. È stato allora che ho smesso. In realtà, mi hanno messo nel reparto che chiamano «disintossicazione». La mattina dopo è arrivato un medico – si chiamava dottor Forester – e ci ha portati uno per uno in un piccolo ambulatorio per darci una bella ripassata. Prima ti guardava negli occhi con una torcia, poi ti faceva stendere le braccia con le palme in alto, ti prendeva il polso, ti auscultava il cuore. Ci ha fatto anche una predica sul problema del bere e poi diceva a ognuno di noi a che ora poteva uscire. A me disse che potevo uscire alle undici. «Mi scusi, dottore», gli dissi, «non è che potrei uscire prima, per favore?» «Che fretta c’è?», mi disse. «Vede, per le undici devo essere in chiesa», gli ho risposto. «Mi devo sposare».
– E lui che t’ha detto, a quel punto? – chiese Carol.
– Mi ha detto: «Si tolga immediatamente dai piedi, caro signore. Ma non si scordi mai di questo episodio, capito?» E infatti. Ho smesso di bere. Non ho bevuto neanche al pranzo di nozze, quello stesso pomeriggio. Neanche piú una goccia. M’era bastato e avanzato. Mi sono preso una bella paura. Certe volte ci vuole una cosa del genere, un vero e proprio shock al sistema nervoso, per cambiare rotta.
– Io ho avuto mio fratello piccolo che è stato quasi ammazzato da un automobilista ubriaco, – disse Robert. – È ancora tutto sconvolto e deve usare un busto d’acciaio per camminare.
– Ultima offerta: chi vuole altro caffè? – disse Joanne.
– Un goccio mi sa che lo prendo, – disse Carol. – Poi dobbiamo veramente chiamare le bambine e rimetterci in viaggio.
Nick si voltò verso la finestra e vide diverse macchine che passavano per strada. Parecchie persone si affrettavano sul marciapiedi. Si ricordò quello che Jenny e l’altra bambina avevano detto sull’incendio, ma, per l’amor di Dio, se c’era un incendio ci sarebbero state le sirene, le autopompe, no? Fece per alzarsi dal tavolo, ma poi non si mosse.
– È roba da matti, – disse. – Mi ricordo che, quando bevevo ancora, una volta ho avuto quel che si chiama un attacco etilico: sono caduto e ho battuto la testa su un tavolinetto. Per fortuna è successo nell’ambulatorio del dottore. Mi sono svegliato su un lettino del suo studio e Peggy, la donna con cui ero sposato all’epoca, era china su di me, assieme al medico e alla sua infermiera. Peggy mi stava chiamando per nome. Avevo la testa tutta fasciata, una specie di turbante. Il medico mi disse che avevo appena avuto il mio primo attacco e che non sarebbe stato l’ultimo, se continuavo a bere. Gli dissi che avevo ricevuto il messaggio. Ma lo dissi tanto per dire. Allora non avevo alcuna intenzione di smettere. Dissi a me stesso e a mia moglie che se ero svenuto era per colpa dei nervi: questione di stress. Ma quella sera avevamo organizzato una festa, Peggy e io. Era un paio di settimane che la stavamo preparando e non c’era modo di cancellarla all’ultimo minuto senza che tutti ci restassero male. Ve l’immaginate? E cosí la facemmo lo stesso, la festa, e vennero tutti i nostri amici. Io avevo ancora la testa fasciata. Ho passato tutta la serata con un bicchiere di vodka in mano. Alla gente dicevo che m’ero spaccato la testa sbattendola contro la portiera della macchina.
– Per quanto tempo ancora hai continuato a bere? – chiese Carol.
– Un bel pezzo. Un anno, piú o meno. Fino a quando non mi beccarono quella sera.
– Quando l’ho incontrato io era sobrio, – disse Joanne, arrossendo come se avesse detto una cosa sconveniente.
Nick posò una mano sulla nuca di Joanne e la accarezzò con la punta delle dita. Giocherellò con una ciocca di capelli, strofinandola tra i polpastrelli. Fuori, altra gente passò sul marciapiedi davanti a casa. La maggior parte in maniche di camicia. Un uomo portava una bambina a cavalcioni sulle spalle.
– Ho smesso di bere piú o meno un anno prima di incontrare Joanne, – disse Nick, come per confidare un’informazione necessaria.
– Caro, raccontagli un po’ di tuo fratello, – disse Joanne. Da principio Nick rimase in silenzio. Smise di massaggiare la nuca di Joanne e tolse la mano.
– Che è successo? – chiese Robert, piegandosi verso di lui.
Nick scosse la testa.
– Be’? – disse Carol. – Tranquillo, solo se te la senti.
– Com’è che ci siamo messi a parlare di questa roba? – chiese Nick.
– Hai cominciato tu, – disse Joanne.
– Insomma, be’, vedete, è successo che io stavo cercando di smettere e avevo come la sensazione che a casa non ci sarei riuscito, però non volevo neanche andare da qualche parte, tipo una clinica o un centro di recupero, capite? Dunque, mio fratello aveva una casa per le vacanze che non usava – era ottobre – e cosí gli ho telefonato e gli ho chiesto se potevo andare lí e restarci una o due settimane per cercare di rimettermi in sesto. All’inizio ha detto di sí. Cosí ho cominciato a fare la valigia e stavo pensando che era bello avere una famiglia, meno male che avevo un fratello e che mi avrebbe dato una mano. Invece, dopo un po’ squilla il telefono ed era lui, mio fratello. Disse che ne aveva discusso con la moglie e che gli dispiaceva, non sapeva come dirmelo, ma insomma la moglie aveva paura che io mandassi a fuoco la casa. Magari, disse, mi addormentavo con una cicca accesa tra le dita, oppure, che ne so, lasciavo un fornello acceso. A ogni modo, avevano paura che avrei dato fuoco alla casa e perciò gli dispiaceva ma non poteva farmici stare. E cosí gli ho detto va bene e ho disfatto la valigia.
– Caspita! – esclamò Carol. – Tuo fratello ti ha fatto una cosa del genere. Ti ha voltato le spalle, – disse. – Tuo fratello!
– Non lo so che cosa avrei fatto io, fossi stato nei suoi panni, – disse Nick.
– Ma sí che lo sai, – disse Joanne.
– Be’, forse sí, – disse Nick. – Certo. Gli avrei lasciato usare la casa. E che cavolo! È solo una casa. Che vuoi che sia? La puoi sempre assicurare, no?
– Certo che c’è da non crederci, – disse Robert. – E ora, che rapporti hai con tuo fratello dopo questa cosa?
– Non ne ho, purtroppo. Un po’ di tempo fa mi ha chiesto di prestargli dei soldi e glieli ho prestati. Me li ha restituiti puntualmente. Ma ormai sono circa cinque anni che non ci vediamo. Con la moglie, poi, non ci vediamo da ancora piú tempo.
– Ma da dove spunta fuori tutta questa gente? – chiese Joanne. Si alzò dal tavolo, andò alla finestra e scostò la tendina.
– Le bambine dicevano che c’era un incendio, – disse Nick.
– Che sciocchezza! Non è possibile che ci sia un incendio, – disse Joanne. – Ti pare?
– Be’, là fuori qualcosa sta succedendo, – osservò Robert.
Nick andò alla porta d’ingresso e l’aprí. Una macchina rallentò, poi s’accostò al marciapiedi proprio davanti alla casa e parcheggiò. Arrivò un’altra macchina e parcheggiò sull’altro lato della strada. Il marciapiedi era pieno di gente che camminava a gruppetti. Nick uscí in giardino e gli altri – Joanne, Carol e Robert – lo seguirono. Nick guardò in fondo alla strada e vide il fumo, la folla di curiosi, due autopompe e una macchina della polizia parcheggiate all’incrocio. I pompieri puntavano gli idranti sullo scheletro di una casa – quella dei Carpenter, si rese subito conto Nick. Fumo nero si riversava fuori dalle pareti e le fiammes’alzavano dal tetto. – Mio Dio, c’è davvero un incendio! – esclamò. – Le bambine avevano ragione.
– Ma com’è che non abbiamo sentito niente? – chiese Joanne. – Voi avete sentito qualcosa? Io no.
– Robert, sarà meglio andare laggiú a controllare le ragazze, – disse Carol. – Magari danno fastidio. Magari vanno troppo vicino o chissà che. Può succedere qualunque cosa.
Si avviarono tutti e quattro lungo il marciapiedi. Si unirono ad altra gente che si dirigeva verso l’incendio senza fretta. Camminavano tutti insieme. Nick aveva come la sensazione che stessero facendo una gita di gruppo. Però continuavano a tenere gli occhi puntati sulla casa in fiamme: vedevano i pompieri che versavano acqua sul tetto della casa, da dove continuavano a levarsi qua e là delle fiamme. Altri pompieri reggevano un grosso tubo dirigendone il getto nel vano di una finestra. Un vigile del fuoco con l’elmetto trattenuto da cinghie, un lungo impermeabile nero e stivaloni al ginocchio si dirigeva con un’ascia in mano verso il retro della casa.
Arrivarono nel punto dove s’era radunata la folla di curiosi. La macchina della polizia sbarrava la strada, parcheggiata di traverso in mezzo alla carreggiata, e si sentiva la radio che crepitava all’interno, al di sopra del rumore delle fiamme che squarciavano le mura della casa. Poi Nick individuò le due bambine, in piedi davanti alla folla, con gli skateboard sotto il braccio. – Eccole là, – disse a Robert. – Laggiú. Le vedi?
Si fecero largo tra la folla chiedendo permesso e si affiancarono alle bambine.
– Ve l’avevamo detto, – disse Jenny. – Vedete? – Megan se ne stava in piedi con lo skateboard in una mano e il pollice dell’altra infilato in bocca.
– Si sa che cosa è successo? – chiese Nick a una donna accanto a lui, che indossava un cappello per ripararsi dal sole e fumava una sigaretta.
– Vandali, – disse. – Perlomeno, cosí mi hanno detto.
– Per come la vedo io, se li acchiappano dovrebbero ammazzarli, – disse un signore che si trovava accanto alla donna. – Oppure rinchiuderli da qualche parte e buttare via la chiave. Quella gente è in vacanza in Messico e non sa neanche che non ha piú una casa dove ritornare. Non sono ancora riusciti a mettersi in contatto con loro. Poveracci. Ma ci pensate? Tornano e non trovano piú la casa.
– Ci siamo! – gridò il pompiere con l’ascia in mano. – State indietro!
Accanto a lui o vicino alla casa non c’era nessuno. Ma la folla fece lo stesso un passo indietro e Nick si irrigidí. Qualcuno tra la folla gridò: – O Dio mio, Dio mio!
– Guardate che roba, – disse un’altra voce.
Nick si avvicinò a Joanne che fissava assorta le fiamme. I capelli sulla fronte parevano bagnati. Le mise un braccio attorno alla vita. Mentre lo faceva si rese conto che era per lo meno la terza volta, quella mattina, che la cingeva in quel modo.
Nick voltò leggermente la testa verso Robert e rimase sorpreso nel vedere che stava fissando lui, invece della casa. Robert era rosso in viso e aveva un’espressione severa, come se tutto quello che era successo – l’incendio, la prigione, il tradimento, l’adulterio, il sovvertimento dell’ordine costituito – fosse colpa di Nick e solo a lui potessero essere attribuite tutte le responsabilità. Nick lo fissò a sua volta, sempre stringendo Joanne, finché il rossore non abbandonò le guance di Robert e lui non abbassò lo sguardo. Quando lo rialzò, non guardava piú Nick. Si portò piú vicino alla moglie, come per proteggerla.
Nick e Joanne guardavano l’incendio tenendosi stretti, ma mentre lei gli accarezzava distrattamente una spalla, Nick fu assalito dalla sensazione familiare, che ogni tanto lo attanagliava, di non sapere bene a cosa lei stesse pensando.
– A che pensi? – le chiese.
– Penso a Bill, – rispose lei.
Lui continuò a stringerla. Lei non disse altro per un po’, ma poi aggiunse: – Ogni tanto mi torna in mente, sai. Dopo tutto, è stato il primo uomo che abbia mai amato.
Lui la strinse ancora. Lei gli poggiò la testa sulla spalla, lo sguardo fisso sulla casa in fiamme.