martedì 23 marzo 2021

LAGRANDE STORIA DEL TEMPO (2015) S.W. Hawking



LA GRANDE STORIA DEL TEMPO

LA TARTARUGA. C'è una domanda che mi interessa: perché i fisici si stanno dannando per trovare l'unificazione della relatività e della fisica quantistica, e quali sono le strade che potrebbero portare a trovarla....chissà se questo libro mi potrà aiutare e se è davvero scritto per chi è digiuno di fisica come il sottoscritto. 
O forse io sono come quella "anziana signora" che commentava la conferenza di Bertrand Russel. “Alcuni decenni fa, un famoso scienziato (alcuni dicono Bertrand Russell) tenne una conferenza pubblica sull’astronomia, soffermandosi a descrivere come la Terra ruoti intorno al Sole e quest’ultimo, a sua volta, percorra un’orbita intorno al centro di quel grande insieme di stelle che costituisce la nostra galassia. Al termine della conferenza, una piccola signora anziana, seduta in fondo alla sala, si alzò in piedi e disse: «Quelle che ci ha raccontato sono soltanto un cumulo di sciocchezze. In realtà, il mondo è un disco piatto che poggia sul dorso di una gigantesca tartaruga». Lo scienziato si lasciò sfuggire un sorriso di superiorità prima di replicare: «E su che cosa poggia questa tartaruga?». «Lei è molto intelligente, giovanotto, davvero molto intelligente,» disse l’anziana signora «ma la verità è che la tartaruga poggia su un’altra tartaruga e così via, all’infinito!»”


Stephen W. Hawking. “La grande storia del tempo. Guida ai misteri del cosmo (2015).” Bur.


CONCLUSIONE

Estratto di: Stephen W. Hawking. 

“La grande storia del tempo. Guida ai misteri del cosmo (2015).” 

Bur, 2015

Noi viviamo in un mondo stupefacente. Vogliamo comprendere ciò che vediamo intorno a noi e chiederci: qual è la natura dell’universo? Qual è il nostro posto nel cosmo? Da dove ha avuto origine, e da dove veniamo noi Perché l’universo è fatto in questo modo? Nel tentativo di rispondere a tali domande, adottiamo una certa rappresentazione del mondo. Una torre infinita di tartarughe che sostengono una Terra piatta è una rappresentazione di questo genere, così come lo è la teoria delle superstringhe. Sono entrambe teorie dell’universo, anche se la seconda è molto più matematica e precisa della prima. Peraltro nessuna di queste due teorie è fondata su dati di osservazione: nessuno ha mai visto una tartaruga gigante con la Terra sul proprio dorso, ma nessuno ha mai visto neppure una superstringa. Tuttavia, la teoria delle tartarughe non è una buona teoria scientifica, poiché predice che gli uomini dovrebbero precipitare dai confini del mondo e ciò è risultato essere in disaccordo con l’esperienza, a meno di non scoprire che si tratti della spiegazione del fenomeno delle persone che si ritiene siano scomparse nel Triangolo delle Bermuda! I primi tentativi teorici di descrivere e spiegare l’universo facevano perno sull’idea che gli eventi e i fenomeni naturali fossero controllati da spiriti dotati di emozioni umane che agivano in un modo imprevedibile, molto simile a quello degli uomini. Questi spiriti risiedevano in oggetti naturali, come i fiumi, le montagne o anche i corpi celesti, come il Sole e la Luna. Era necessario placare le loro ire e propiziarsi i loro favori allo scopo di garantire la fertilità del suolo e l’avvicendarsi delle stagioni. Gradualmente, però, gli uomini devono aver notato l’esistenza di alcune regolarità: il Sole sorgeva sempre a est e tramontava sempre a ovest, indipendentemente dal fatto che fosse stato offerto o meno un sacrificio al dio Sole. Inoltre, il Sole, la Luna e i pianeti seguivano precise traiettorie attraverso il cielo, le quali potevano essere predette in anticipo con notevole precisione. Il Sole e la Luna potevano ancora essere considerati come divinità, ma erano comunque divinità che obbedivano a leggi rigorose, apparentemente senza alcuna eccezione – a meno che non si voglia dar credito a delle storie come quella del Sole che si sarebbe fermato per Giosuè. Dapprima queste regolarità e queste leggi emersero con chiarezza solo nel campo dell’astronomia e in poche altre situazioni. Tuttavia, con il progresso della civiltà – e in particolare negli ultimi trecento anni – venne scoperto un numero sempre maggiore di regolarità e di leggi. All’inizio del XIX secolo, il successo di queste leggi spinse Laplace a postulare il determinismo scientifico; egli, cioè, sostenne l’esistenza di un insieme di leggi tali da determinare con esattezza l’evoluzione dell’universo, data la sua configurazione completa in un determinato istante. Il determinismo di Laplace era incompleto a due riguardi: non diceva come dovevano essere scelte queste leggi e non specificava la configurazione iniziale dell’universo. Questi aspetti venivano lasciati nelle mani di Dio. Dio avrebbe così scelto le condizioni iniziali dell’universo e le leggi alle quali avrebbe dovuto obbedire ma, dopo questo momento iniziale, non sarebbe più intervenuto nel cosmo. Di fatto, Dio veniva così confinato in quelle aree che la scienza del XIX secolo non comprendeva. Oggi sappiamo che le speranze deterministiche di Laplace non sono  realizzabili, perlomeno nei termini in cui egli le concepiva. Il principio di indeterminazione della meccanica quantistica implica che certe coppie di quantità, come la posizione e la velocità di una particella, non possono essere predette entrambe con piena accuratezza. La meccanica quantistica affronta questa situazione con una classe di teorie quantistiche nelle quali le particelle non hanno posizioni e velocità ben definite, ma sono rappresentate da un’onda. Queste teorie quantistiche sono deterministiche nel senso che forniscono delle leggi per l’evoluzione dell’onda nel tempo: conoscendo l’onda in un dato istante, la si può cioè calcolare per qualsiasi altro istante. L’elemento impredicibile, casuale, emerge solo quando cerchiamo di interpretare l’onda in termini di posizione e velocità di particelle. Ma forse è proprio questo il nostro errore: forse non ci sono posizioni e velocità di particelle, ma soltanto onde. Il cattivo assortimento che ne risulta è la causa dell’apparente impredicibilità.

In effetti, noi abbiamo ridefinito il compito della scienza come la scoperta di leggi che ci consentiranno di predire gli eventi entro i limiti stabiliti dal principio di indeterminazione. Rimane comunque aperta una questione: come o perché furono scelti le leggi e lo stato iniziale dell’universo. Questo libro ha dato un particolare rilievo alle leggi che governano la gravità, poiché è la gravità a plasmare la struttura su larga scala dell’universo, pur essendo la più debole delle quattro categorie di forze. Le leggi della gravità erano incompatibili con la concezione, accettata fino a non molto tempo fa, che l’universo fosse immutabile nel tempo: il fatto che la gravità è sempre attrattiva implica che l’universo deve espandersi oppure contrarsi. Secondo la teoria della relatività generale, in passato dev’esserci stato un momento in cui la densità dell’universo era infinita, il big bang, che ha segnato l’inizio effettivo del tempo. Analogamente, se l’intero universo ricollassasse su se stesso, in futuro dovrebbe esserci un altro stato di densità infinita, il big crunch, che segnerebbe la fine del tempo. E anche se non fosse l’intero universo a ricollassare, ci sarebbero comunque delle singolarità in tutte quelle regioni limitate che si fossero contratte fino a formare dei buchi neri. Queste a singolarità segnerebbero la fine del tempo per chiunque cadesse nel buco nero. In corrispondenza del big bang e delle altre singolarità, tutte le leggi perderebbero il loro valore, così che Dio sarebbe stato ancora completamente libero di scegliere che cosa sarebbe dovuto accadere e in che modo l’universo avrebbe dovuto iniziare la propria esistenza.
Quando combiniamo la meccanica quantistica con la relatività generale,
sembra però affacciarsi una nuova possibilità mai emersa prima: che lo
spazio e il tempo possano formare insieme uno spazio-tempo quadridimensionale finito, senza singolarità o confini, simile alla superficie della Terra ma con un maggior numero di dimensioni. Pare che questa idea potrebbe spiegare molti dei caratteri osservati dell’universo, come la sua uniformità su larga scala e anche le deviazioni dall’omogeneità che si riscontrano su scala più ridotta, come le galassie, le stelle e persino gli esseri umani. Ma se l’universo è completamente autonomo, senza singolarità o confini, e completamente descritto da una teoria unificata, ciò ha profonde implicazioni per quanto riguarda il ruolo di Dio come creatore. Una volta Einstein si chiese: «Quanta libertà di scelta ha avuto Dio nella creazione dell’universo?». Se l’ipotesi della condizione dell’assenza di confini è corretta, Egli non ha avuto alcuna libertà nella scelta delle condizioni iniziali. Naturalmente, Dio avrebbe ancora avuto la libertà di scegliere le leggi alle quali l’universo avrebbe dovuto obbedire, ma questa – in realtà – non sembra essere stata una gran scelta: ci potrebbero infatti essere soltanto poche (e forse solo una) teorie complete unificate, come la teoria delle stringhe, tali da non essere autocontraddittorie e da permettere l’esistenza di strutture complesse come gli esseri umani, capaci di investigare le leggi dell’universo e di porsi delle domande sulla natura di Dio. Ma anche se ci fosse una sola teoria unificata possibile, essa sarebbe semplicemente un insieme di regole e di equazioni. Che cos’è che soffia il fuoco vitale nelle equazioni e crea un universo che esse possono descrivere? L’approccio solitamente adottato dalla scienza, quello di costruire un modello matematico, non può rispondere alle domande sul perché dovrebbe esistere un universo descrivibile da quel modello. Perché mai l’universo si dà la pena di esistere? La teoria unificata ha una forza tale da darsi da sola la propria esistenza? O ha invece bisogno di un creatore? E, in tal caso, questo creatore esercita qualche altro effetto sull’universo? E chi ha creato questo creatore?
Fino a oggi, la maggior parte degli scienziati è stata troppo occupata a elaborare nuove teorie che descrivono che cos’è l’universo per porsi la domanda sul perché. Dall’altro lato, le persone il cui lavoro consiste proprio nel chiedersi il perché delle cose – ossia i filosofi – non sono riusciti a tenere il passo con il progresso delle teorie scientifiche. Nel XVIII secolo, i filosofi ritenevano che l’intero scibile umano, scienza inclusa, fosse di loro competenza, e discutevano su questioni come: «L’universo ha avuto un inizio?». Nel corso del XIX e del XX secolo, però, la scienza è diventata troppo tecnica e troppo matematica per i filosofi, o per chiunque altro tranne pochi specialisti. I filosofi hanno quindi a tal punto ridotto l’ambito delle proprie ricerche che Wittgenstein – il filosofo più famoso del XX secolo – è giunto ad affermare che «L’unico compito che resta alla filosofia è l’analisi
del linguaggio». Che declino rispetto alla grande tradizione della filosofia da Aristotele a Kant! Tuttavia, se riuscissimo a scoprire una teoria completa, col tempo tutti – e non solo pochi scienziati – dovrebbero essere in grado di comprenderla,
almeno nei suoi princìpi generali. Tutti noi – filosofi, scienziati e gente comune – saremmo allora in grado di prender parte alla discussione del perché noi e l’universo esistiamo. E, se trovassimo la risposta a quest’ultima domanda, decreteremmo il definitivo trionfo della ragione umana, arrivando a conoscere il pensiero stesso di Dio.