mercoledì 3 marzo 2021

MADAME BOVARY Lezione di Vladimir Nabokov



MADAME BOVARY 

Lezione sul romanzo 

Estratto da "Lezioni di letteratura" di Vladimir Nabokov 

(1856)

Incominciamo a goderci un altro capolavoro, un’altra fiaba. Di tutte le fiabe di questo corso, il romanzo Madame Bovary di Flaubert è la più romantica. Dal punto di vista stilistico, è prosa che fa ciò che si suppone faccia la poesia.{2}

Un bambino al quale leggete una storia può domandarvi : è vera questa storia? E se non lo è, ve ne chiede una vera. Ma evitiamo di mantenere questo atteggiamento, infantile di fronte ai libri che leggiamo. Naturalmente, se qualcuno viene a raccontarvi che il signor Smith ha visto un disco volante blu con accanto uno strano pilota tutto verde, voi avete il diritto di domandare se è vero; perché, in un modo o nell’altro, il fatto che sia vero influirebbe su tutta la vostra vita e avrebbe per voi. conseguenze pratiche incalcolabili. Ma non chiedete mai se è vera una poesia o un romanzo. Non facciamoci illusioni : ricordiamo sempre che la letteratura non ha alcun valore pratico, se non nel caso particolarissimo dell’individuo che desidera diventare, strano a dirsi, un professore di letteratura. La ragazza Emma Bovary non è mai esistita : il libro Madame Bovaryesisterà per tutti i secoli dei secoli. Un libro vive più a lungo di una ragazza.

Il libro si occupa di un adulterio e contiene situazioni e allusioni che scandalizzarono il governo prude e filisteo di Napoleone in. Fu persino processato per oscenità in un tribunale. Immaginatevi! Come se l’opera di un artista potesse mai essere oscena. Sono lieto di dire che Flaubert vinse il processo. Questo accadde esattamente cento anni fa. Ai nostri giorni, nella nostra epoca... Ma voglio attenermi al mio argomento.

Parleremo di Madame Bovary come Flaubert voleva che se ne parlasse : in termini di strutture (mouvementsli chiamava lui),

di linee tematiche, di stile, di poesia, di personaggi. Il romanzo si compone di trentacinque capitoli, ognuno di una decina di pagine, ed è diviso in tre parti, rispettivamente ambientate a Rouen e a Tostes; a Yonville; a Yonville, Rouen e ancora Yonville: tutti luoghi inventati, tranne Rouen, una città con una famosa cattedrale nel nord della Francia.

L’azione principale si svolge nel quarto e quinto decennio del XIX secolo, cioè durante il regno di Luigi Filippo (1830-1848). Il primo capitolo comincia nell’inverno del 1827 e in una sorta di epilogo si seguono le vicende di alcuni personaggi sino al 1856, quando era già iniziato il regno di Napoleone m, insomma sino alla data in cui Flaubert completò il suo libro. Egli incominciò a scrivere Madame Bovary a Croisset, vicino a Rouen, il 19 settembre 1851, lo finì nell’aprile del 1856, lo spedì in giugno e lo pubblicò a puntate alla fine di quell’anno sulla « Revue de Paris ». A Boulogne, un centinaio di miglia a nord di Rouen, Charles Dickens stava finendo Casa desolatanell’estate del 1853, quando Flaubert era arrivato alla seconda parte del romanzo; un anno prima, in Russia, era morto Gogol e Tolstoj aveva pubblicato la sua prima opera importante, Infanzia.

Tre forze costituiscono e plasmano un essere umano: l’eredità, l’ambiente e lo sconosciuto agente x. Di queste la seconda, l’ambiente, è di gran lunga la meno importante, mentre la terza, l’agente x, è di gran lunga quella che ha il peso maggiore. Quando si tratta di personaggi che vivono in un libro, è ovviamente l’autore che controlla, guida e applica le tre forze. La società che sta intorno a Madame Bovary è stata creata da Flaubert con la stessa intenzionalità con cui è stata da lui creata Madame Bovary, e dire che questa società flaubertiana influì su quel personaggio flaubertiano equivale a girare in circolo. Tutto ciò che accade nel libro avviene esclusivamente nella mente di di Flaubert, qualunque sia stato il banale impulso iniziale e qualunque fossero le condizioni che esistevano, o che gli sembravano esistere, nella Francia del suo tempo. Per questo io mi oppongo a quanti insistono a parlare dell’influenza delle condizioni sociali oggettive sull’eroina Emma Bovary. Il romanzo di Flaubert si occupa dei calcoli delicati del destino umano e non dell’aritmetica del condizionamento sociale.

Quasi tutti i personaggi di Madame Bovary sono borghesi. Ma dobbiamo mettere in chiaro una volta per tutte il significato che Flaubert dà alla parola borghese. A meno che non significhi semplicemente cittadino, come accade spesso in francese, la parola borghese, come la usa Flaubert, è sinonimo di « filisteo », di persona preoccupata soltanto degli aspetti materiali della vita e disposta a credere soltanto in valori convenzionali. Egli non dà mai alla parola borghese la minima connotazione politico-economica marxista. Borghese per Flaubert è una condizione mentale, non una condizione patrimoniale. In una scena famosa del libro, una vecchia contadina, nel ricevere una medaglia per aver sgobbato come una schiava per il proprietario terriero suo padrone, si trova di fronte una commissione di rilassati borghesi che le sorridono : ebbene, in questa scena entrambe le parti — i politici sorridenti e la vecchia contadina superstiziosa — sono filistee, cioè borghesi nel senso flaubertiano del termine. Ne chiarirò del tutto il significato dicendo che, per esempio, nella Russia comunista di oggi, la letteratura sovietica, l’arte sovietica, la musica sovietica, le aspirazioni sovietiche sono fondamentalmente e rispettabilmente borghesi. La cortina di pizzo dietro il sipario di ferro. Un funzionario sovietico, grande o piccolo, è l’esempio perfetto della mentalità borghese, del filisteo. La chiave del termine flaubertiano è il filisteismo del suo Monsieur Homais; Per chiarire ancor meglio, lasciatemi aggiungere che Marx avrebbe definito Flaubert un borghese nel senso politico-economico del termine, e Flaubert avrebbe definito Marx un borghese nel senso spirituale; e avrebbero avuto ragione entrambi perché Flaubert era un gentiluomo benestante nella vita materiale e Marx un filisteo nel suo atteggiamento di fronte alle arti.

Il regno di Luigi Filippo, il re cittadino (le roi bourgeois), durato dal 1830 al 1848, fu un periodo piacevolmente grigio, se lo si paragona ai fuochi d’artificio di Napoleone all’inizio del secolo e alla nostra variegata epoca. Negli anni Quaranta, « le cronache della Francia erano tranquille sotto la fredda amministrazione di Guizot ». Ma « il 1847 si aprì per il governo francese con tetri presagi : irritazione, povertà, desiderio di un governo più popolare e forse anche più brillante... L’imbroglio e il sotterfugio parevano regnare ai massimi livelli». Nel febbraio 1848 scoppiò una rivoluzione e Luigi Filippo, « assumendo il nome di Mr. William Smith, chiuse un regno inglorioso con una fuga ingloriosa su una carrozza da nolo » (Encyclopaedia Britannica, ix ed., 1879). Ho accennato a questo frammento di storia perché il buon Luigi Filippo, con la sua carrozza e il suo ombrello, era decisamente un personaggio flaubertiano. Un altro personaggio, Charles Bovary, nacque, secondo i miei calcoli, nel 1815; iniziò la scuola nel 1828; diventò « ufficiale sanitario » (qualcosa di meno che un medico) nel 1835; sposò la sua prima moglie, la vedova Dubuc, nello stesso anno a Tostes, dove cominciò a esercitare la medicina. Poi, rimasto vedovo, sposò Emma Rouault (l’eroina del libro) nel 1838; si trasferì in un’altra cittadina, Yonville, nel 1840; e, perduta anche la seconda moglie nel 1846, morì nel 1847 a trentadue anni.

È questa, sinteticamente, la cronologia del libro.

Prendiamo nel primo capitolo la nostra linea tematica iniziale : il tema degli strati o della torta a strati. Siamo nell’autunno del 1828: Charles ha tredici anni e, nel suo primo giorno di scuola, tiene ancora in aula il berretto sui ginocchi.

Era un copricapo piuttosto composito: vi si potevano infatti riconoscere gli elementi del cappuccio di pelo, del ciapska [una specie di elmetto piatto che portavano i lancieri], della bombetta, del caschetto di lontra e del berretto di cotone : insomma una di quelle povere cose che nella loro mula bruttezza hanno profondità d’espressione come il muso di un imbecille. Ovoidale, tenuto su da stecche di balena, aveva inizio con tre specie di sanguinacci arrotolati; poi s’alternavano, separate da strisce rosse, certe losanghe di velluto e di pelo di coniglio; poi era la volta di qualcosa che somigliava a un sacco e che culminava in un poligono cartonato coperto da un complicato ricamo di galloni; di li pendeva, a guisa di nappa, da un lungo cordone troppo sottile, un gomitolino di filo dorato. Era nuovo nuovo: la visiera luccicava.1

(Possiamo paragonare questa descrizione a quella che fa Gogol nelle Anime morte della borsa da viaggio di Cicikov e della carrozza di Koroboòka — un altro tema a strati!)

In questo e in altri tre esempi di cui parleremo, l’immagine si sviluppa strato per strato, piano per piano, stanza per stanza, bara per bara. Il berretto è un oggetto patetico e insulso; è un simbolo dell’intera vita futura del povero Charles, altrettanto patetica e insulsa.

Charles perde la sua prima moglie. Nel giugno del 1838, a ventitré anni, sposa Emma con una grande festa nuziale in una fattoria. L’obbligatoria torta a strati — altra cosa patetica e di cattivo gusto — viene fornita da un pasticciere che, nuovo della zona, ci si è messo d’impegno.

 

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Alla base un quadrato di cartone turchino [che parte dunque, per così dire, dove finiva il berretto, che culminava in un poligono cartonato]raffigurante un tempio con portici, colonnati e statue di stucco tutt’intorno nelle loro nicchie costellate di astri di stagnola; al secondo piano una torre di savoiardi, circondata da minute fortificazioni d’angelica, mandorle, uva passa, spicchi d’arancia; infine sulla sommità, verde prateria sparsa di rocce e di laghetti di marmellata, di barchette di gusci di nocciole, si vedeva un amorino dondolarsi in un’altalena di cioccolata, dai sostegni infiorati di autentici boccioli di rosa.2

Il lago di marmellata è qui una sorta di emblema premonitore dei romantici laghi svizzeri sui quali Emma Bovary, l’adultera in erba, si lascerà trasportare nei suoi sogni, al suono dei lirici versi alla moda di Lamartine; e ritroveremo l’amorino sulla pendola di bronzo nello squallido lusso della camera d’albergo di Rouen dove Emma s’incontra con Léon, il suo secondo amante.

Siamo ancora nel giugno 1838 ma a Tostes. Charles ha vissuto in questa casa con la prima moglie dall’inverno 1835-36 sino al febbraio 1837, data della sua morte, e poi da solo. Con la seconda moglie Emma trascorrerà a Tostes altri due anni (sino al marzo 1840) prima di trasferirsi a Yonville.

[Primo strato:] La facciata di mattoni era allineata esattamente con la via, anzi con la strada maestra. [Secondo strato:] Dietro la porta erano attaccati un mantello dal colletto basso, un paio di briglie, un berretto di cuoio nero, in un angolo, per terra, erano due gambali ancora tutti incrostati di fango secco. [Terzo strato:} A destra c’era la sala, ovvero la stanza ove si mangiava e si passavano le giornate. Una tappezzeria giallo-canarino, ravvivata in alto da festoni di pallidi fiori, s’increspava mal tesa; tende di calicò bianco s’incrociavano davanti alle finestre; sullo stretto ripiano del caminetto risplendeva, tra due doppieri placcati d’argento e culminanti in globi ovali, una pendola fatta a testa di Ippocrate. [Quarto strato:]Dall’altro lato del corridoio era il gabinetto di Charles, uno sgabuzzino non più largo di sei passi, con una tavola, tre sedie e una poltrona d’ufficio. I tomi delDizionario di scienze mediche, sempre intonsi ma piuttosto deteriorati dai successivi passaggi di proprietà di cui eran stati fatti oggetto, decoravano quasi da soli i sei scaffali di una biblioteca in abete. [Quinto strato:] L’odore dei soffritti penetrava attraverso la parete durante i consulti; in compenso, stando in cucina, si potevan sentire i inalati tossire e raccontare i loro guai. [Sesto strato:]Veniva poi [« Venait ensuite », con la ripetizione esatta della formula del berretto], e immetteva direttamente nel cortile ove si trovava la stalla, uno stanzone abbastanza scalcinato : un tempo vi aveva funzionato un forno, ora serviva da legnaia, cantina, magazzino.3

Nel marzo 1846, dopo otto anni di vita coniugale comprendente due tempestose relazioni di cui il marito non ha mai saputo nulla, Emma Bovary si trova ad aver accumulato una massa angosciante di debiti che non è in grado di pagare, e si uccide. Il povero Charles, nel suo unico momento di immaginazione romantica, stende questo piano per il funerale :

Si chiuse nello studio, prese la penna e, dopo aver singhiozzato per un poco, scrisse : « Voglio che sia seppellita nell’abito nuziale, con scarpette bianche, una corona. Le si scioglieranno i capelli sulle spalle. [Adesso arrivano gli strati:] Tre casse : una di quercia, una di mogano, una di piombo. [...] La bara sia coperta con un gran drappo di velluto verde. » 4

La prima Madame Bovary è la vedova di un usciere. La prima e, per così dire, la falsa. Nel n capitolo, quando la prima moglie è ancora viva, già incombe la seconda. Come Charles si è installato di fronte al vecchio medico quale suo successore, così la futura Madame Bovary entra in scena prima che la vecchia sia morta. Flaubert non ha potuto descrivere le sue nozze con Charles per non sciupare il racconto del banchetto nuziale della seconda Madame Bovary. Ed ecco come Flaubert chiama la prima moglie: Madame Dubuc (il cognome del suo primo marito), poi Madame Bovary, Madame Bovary junior (con riferimento alla madre di Charles), infine Héloise, ma Vedova Dubuc quando il suo notaio prende il largo con il denaro che gli è stato affidato; e poi ancora Madame Dubuc.

In altre parole, come la vediamo attraverso la mente semplice di Charles, ella comincia a tornare alla sua condizione iniziale quando Charles s’innamora di Emma Rouault, ripercorrendo le stesse fasi ma a ritroso. Dopo la sua morte, quando Charles Bovary sposa Emma, la povera Héloise torna ad essere la Madame Dubuc iniziale. È Charles che diventa vedovo, ma sembra in certo qual modo che la sua vedovanza si sia spostata su Héloise, tradita e poi morta. Emma, a quanto pare, non ha mai avuto compassione per la sorte patetica di Héloise Bovary. Incidentalmente, un tracollo finanziario contribuisce a provocare la morte di entrambe.

La parola romantico ha molti significati. Nel parlare di Madame Bovary — del libro e della sua eroina — la userò nella seguente accezione : « Caratterizzato da un abito mentale sognante, fantasioso, con tendenza a indugiare su possibilità pittoresche derivate soprattutto dalla letteratura. » Una persona romantica, che vive mentalmente e emotivamente nell’irrealtà, può essere profonda o superficiale, a seconda delle qualità della sua mente. Emma Bovary è intelligente, sensibile, relativamente istruita, ma è superficiale : il fascino, la bellezza e la raffinatezza non precludono una vena fatale di filisteismo. Le fantasie esotiche non le impediscono di essere in fondo una piccola borghese di provincia, aggrappata a idee convenzionali o pronta a commettere una qualunque violazione convenzionale del convenzionale, e l’adulterio è un modo estremamente convenzionale di sollevarsi dal convenzionale; e la passione per il lusso non le impedisce di rivelare una volta o due quella che Flaubert definisce una durezza contadina, una punta di praticità campagnola. Tuttavia, il suo straordinario fascino fisico, la sua grazia inconsueta, .la sua vivacità da uccellino, da colibrì — tutto questo appare irresistibilmente attraente e incantevole ai tre uomini del libro, il marito e i due amanti successivi, due mascalzoni :. Rodolphe che trova in lei una sognante tenerezza infantile in gradito contrasto con le puttane che è abituato a frequentare; e Leon, un mediocre pieno d’ambizioni, lusingato d’avere per amante una vera signora.

E il marito, Charles Bovary? È un uomo ottuso, greve, noioso, senza fascino, senza cervello e senza cultura, e con una serie di idee e di abitudini convenzionali. È un filisteo, ma è anche una figura patetica. Indicherò ora due punti che hanno un’enorme importanza. Ciò che lo seduce in Emma e ciò che egli trova in lei è esattamente ciò che la stessa Emma cerca, senza trovarlo, nelle sue fantasticherie romantiche. Charles, confusamente ma profondamente, coglie nella sua personalità una bellezza iridescente, un distacco sognante, poesia, lusso, atmosfera romantica. Questo è il primo punto che esemplificherò tra poco. Il secondo punto è che l’amore che Charles nutre, quasi senza volerlo, per Emma è un sentimento reale, profondo e sincero, in assoluto contrasto con le emozioni brutali o frivole provate da Rodolphe e Leon, i due amanti tronfi e volgari. Questo è dunque il piacevole paradosso della fiaba flaubertiana : il personaggio più noioso e inetto del libro è l’unico che sia riscattato da qualcosa di divino : l’amore assoluto, indulgente e costante per Emma, viva o morta. Nel libro c’è anche un quarto personaggio innamorato di Emma, ma è soltanto un bambino dickensiano, Justin. Lo raccomando tuttavia alla vostra indulgente attenzione.

Torniamo al periodo in cui Charles era ancora sposato con Héloise Dubuc. Nel II capitolo il suo cavallo — i cavalli hanno nel libro un peso molto rilevante, e costituiscono un vero e proprio piccolo tema a sé{3}— conduce Bovary in un trotto sognante da Emma, la figlia di un suo paziente, un agricoltore. Emma però non è una qualunque figlia d’agricoltore; è una signorina aggraziata, una « demoiselle », allevata in un buon collegio con altre ragazze di buona famiglia. Abbiamo quindi Charles Bovary, strappato al suo viscido letto coniugale (non ha mai amato questa sua sventurata prima moglie, vecchiotta, piatta di petto e foruncolosa come una primavera — che egli non cessa di considerare come la vedova di un altro), abbiamo dunque Charles, giovane medico di campagna, strappato al suo squallido letto e diretto alla fattoria dei Bertaux per rimettere a posto la gamba di un agricoltore. Avvicinandosi alla fattoria, il suo mansueto cavallo ha uno scarto improvviso e violento, una sottile premonizione dell'imminente sconvolgimento nella tranquilla esistenza del giovane.

Noi vediamo la fattoria, e poi Emma, attraverso i suoi occhi quando vi giunge per la prima volta, ancora sposato con la povera vedova. I cinque o sei pavoni sull’aia sembrano una vaga promessa, un modello d’iridescenza. Verso la fine del capitolo possiamo seguire il piccolo tema del parasole di Emma. Qualche giorno dopo, in una giornata di disgelo in cui le cortecce degli alberi luccicano di umidità e sui tetti delle dipendenze si scioglie la neve, Emma si ferma sulla soglia; poi torna dentro a prendere il parasole e lo apre. L’ombrellino di seta cangiante, attraverso il quale splende il sole, illumina la pelle bianca del suo viso di lucenti colori riflessi. Emma sorride di quel dolce tepore, e si sentono gocce d’acqua cadere con una precisa nota tambureggiante, l’una dopo l’altra sulla moire tirata, sulla seta tesa.

Vari aspetti della grazia sensuale di Emma ci sono presentati attraverso gli occhi di Bovary : il vestito azzurro, con tre balze, le unghie ben curate, l’acconciatura. Questa acconciatura è stata così orribilmente tradotta in tutte le versioni che è necessario darne la descrizione, corretta per poterla visualizzare nel modo giusto :

I capelli, le cui due bande nere parevano fatte ciascuna di un pezzo unico, tanto erano lisce, erano divisi in mezzo da una scriminatura sottile che s’incideva lievemente secondo la curva del cranio [èun giovane medico che guarda] scoprendo appena i lobi degli orecchi [« lobi » non « punte » superiori come dicono molti traduttori: la parte superiore degli orecchi era ovviamente coperta da quelle lisce bande nere], e andavano a confondersi, dietro, in uno chignon abbondante. [...] Aveva le guance rosee.{4}

L’impressione sensuale che Emma fa al giovane è ulteriormente sottolineata dalla descrizione di una giornata estiva vista dall’interno, dalla cucina :

... le imposte erano chiuse. Attraverso le fessure del legno, il sole spingeva sul pavimento lunghe strisce sottili che andavano a infrangersi contro gli spigoli dei mobili o tremolavano sul soffitto. Mosche e mosche zampettavano sui bicchieri sporchi abbandonati sulla tavola e ronzavano annegandosi nei rimasugli di sidro. Il sole filtrava anche dalla cappa del camino, vellutando la fuliggine della placca metallica, inazzurrando un poco le ceneri fredde. Tra finestra e focolare, Emma era intenta a cucire : non portava scialle né altro del genere : piccole gocce di sudore erano visibili sulle sue spalle nude.6

Notate i lunghi e sottili raggi del sole attraverso le fessure delle imposte chiuse e le mosche che zampettano sui bicchieri (le mosche non « strisciano » come dicono certi traduttori : camminano e poi si sfregano le mani), zampettano sui bicchieri e annegano nei rimasugli di sidro. E notate la luce insidiosa che velluta la fuliggine della placca metallica e inazzurra le ceneri fredde. Anche le goccioline di sudore sulle spalle di Emma (portava un vestito aperto) sono da notare. È un esempio di imagerienell’accezione migliore del termine.

Il corteo nuziale che si snoda per i campi dovrebbe essere paragonato al corteo funebre, con la salma di Emma, che si snoda attraverso altri campi alla fine del libro.

Il corteo, unito dapprima come un’unica sciarpa colorata ondeggiante per la campagna, attraverso lo stretto sentiero che serpeggiava nel verde del grano, ben presto s’allungò, cominciò a frantumarsi in gruppi diversi, attardatisi in chiacchiere. In testa marciava il suonatore con il riccio del violino impennacchiato di nastri, poi venivano gli sposi, i genitori, i parenti, gli amici tutti alla rinfusa; i piccoli restavano per ultimi e si divertivano a strappare le campanelline degli steli d’avena, a giocare tra loro, al riparo della sorveglianza dei grandi. La veste di Emma, troppo lunga, strascicava un poco, a intervalli lei doveva fermarsi, dare una tiratina e allora, delicatamente, con le dita guantate si liberava di fili d’erbacce, di aculei di cardi, mentre Charles aspettava, inoperoso, di riprendere il cammino. Papà Rouault, con in testa un cappello nuovo di seta nera, e i paramani del vestito nero che gli coprivano le mani sino alle unghie, dava il braccio alla vecchia Bovary. Quanto al vecchio Bovary, che, disprezzando tutti quelli che gli stavano intorno, s’era presentato con una semplice redingote di taglio militare a una sola fila di bottoni, andava sciorinando galanterie da bettola a una paesanotta bionda, e quella ammiccava, avvampava, non sapeva cosa rispondere. Gli altri invitati parlavano dei propri affari o si davano scherzose manate sulle spalle, esortandosi in anticipo all'allegria. A tendere l’orecchio si sarebbe anche potuto sentire il frinire [nota della cicala]del violinista che continuava a suonare nell’aperta campagna.7

Ed ecco il funerale di Emma :

I sei portatori, tre da ogni lato, procedevano lentamente ansando un poco, f preti, i cantori e i due chierici recitavano il De profundis, le loro voci lontanavano nella campagna, alzandosi e abbassandosi come onde. Ogni tanto scomparivano a qualche svolta del sentiero, ma il crocione d’argento continuava a emergere tra gli alberi. [Cfr. il violinista del corteo nuziale.]

Dietro venivan le donne, con scialli neri, cappucci calati, in mano avevano grossi ceri accesi e Charles si sentiva mancare in quel continuo ripetersi di preghiere e fiaccole, sotto quell’oppressione di densi odori di cera e sottane. Soffiava una brezza fresca, la segala e i ravizzoni verdeggiavano, perle di rugiada tremolavano sull’orlo dei sentieri, tra le siepi di biancospino. Infiniti allegri rumori riempivano l’orizzonte : il rotolio di un calessino lontano sulla strada, il richiamo ostinato di un gallo o il galoppo di un puledro che si poteva scorgere in fuga sotto i pomari. Il cielo puro era capricciosamente maculato di nuvole rosa, barbagli bluastri volitavano sulle capanne coperte di giaggioli. Charles, passando, riconosceva un cortile dopo l’altro. Ricordava mattine e mattine simili a quella, in cui, visitato un malato1, usciva da questo o da quel cortile per tornare da lei. [Strano che non ricordi il corteo nuziale; il lettore è in una posizione migliore della sua. ]

II drappo nero cosparso di lacrime bianche si sollevava ogni tanto, lasciando intravedere la bara. Affaticati, i portatori rallentavano; lei avanzava a scossoni continui, come un scialuppa beccheggiarne a ogni ondata.8

Dopo le nozze, la felicità del nostro giovane eroe nella sua esistenza quotidiana viene raffigurata in un altro capoverso di sottile sensualità :

A letto, la mattina, con la testa vicino alla sua sul cuscino, lui contemplava la luce del sole filtrare tra la peluria bionda delle sue guance nascoste a metà dalla cuffietta da notte. Visti così, i suoi occhi gli apparivano più grandi, soprattutto quando lei, al risveglio, sbatteva più volte le palpebre. Neri all’ombra, turchini al sole, avevano come strati successivi di colore, più densi al fondo e sempre più chiari verso la superficie dello smalto.9[Una piccola eco del tema degli strati.]

Nel vi capitolo l’adolescenza di Emma viene presentata retrospettivamente nei termini di una superficiale cultura romantica, basata sui libri che ha letto e su quello che ne ha ricavato. Alcuni degli autori che lei conosce sono di prim’ordine, come Walter Scott o Victor Hugo; altri non esattamente dello stesso livello, come Bernardin de Saint-Pierre o Lamartine. Ma buoni o cattivi, il punto non è questo. Il punto è che Emma è una cattiva lettrice. Legge emotivamente, in maniera puerilmente superficiale, mettendosi al posto di questo o quel personaggio femminile. Flaubert fa una cosa molto sottile. In una serie di brani elenca i cliché romantici cari al cuore di Emma; ma la sua abile scelta di queste immagini dozzinali e la loro disposizione cadenzata lungo la curva della frase produce un effetto d’armonia e di arte. Nel convento i romanzi che leggeva

erano sempre amori, amanti maschi e amanti femmine, dame perseguitate precipitanti in deliquio in padiglioni solitari, postiglioni trucidati a ogni tappa, cavalli fatti scoppiare a ogni pagina, tenebrose foreste, tumulti del cuore, giuramenti, singhiozzi, lacrime e baci, barchette al chiar di luna, usignoli nei boschetti, eroi forti come leoni, dolci come agnelli, virtuosi come non è possibile essere, sempre ben vestiti, sempre pronti a piangere come fontane. A quindici anni, dunque, Emma si sporcò le mani per sei mesi con quella polvere di vecchie sale di lettura. Più tardi, con Walter Scott, s’infiammò per le avventure storiche, sognò forzieri, corpi di guardia e menestrelli. Avrebbe voluto vivere in qualche vecchio maniero come le castellane dai lunghi corsetti che, con i gomiti appoggiati al davanzale di un’ogiva a trifoglio e il mento nella mano, passavano le loro giornate a guardare se spuntasse all’orizzonte un cavaliere con la piuma bianca, al gran galoppo su un cavallo nero.10

Ricorre allo stesso espediente artistico quando elenca le volgarità di Homais. L’argomento può essere rozzo e ripugnante, ma l’espressione è modulata e bilanciata in maniera artistica. Questo è stile. Questa è arte. È la sola cosa veramente importante in un libro.

Il tema del fantasticare di Emma ha qualche rapporto con la levriera, regalatale da un guardacaccia, che lei

portava a spasso [a Tortesi, poiché ogni tanto usciva per starsene un poco da sola, per non aver più sotto gli occhi l’eterno giardino e la polverosa strada maestra. [...] I suoi pensieri, senza una meta dapprima, erravano a caso, come la levriera che girava in tondo nei campi, guaiva dietro le farfalle gialle, dava la caccia ai topiragni o mordicchiava i papaveri ai margini di una distesa di grano. Poi, a poco a poco, lei si fissava su un’idea più precisa, allora si sedeva per terra, e, tormentando le erbe intorno con la punta del suo ombrellino, si ripeteva :

« Dio mio, ma perché mi sono sposata? »

Si chiedeva se non avrebbe potuto, per una diversa combinazione del caso, incontrare un altro uomo; e cercava di immaginare quali avrebbero potuto essere gli avvenimenti non avvenuti, che vita avrebbe fatto, che marito avrebbe avuto. Nessuno di quelli che s’inventava somigliava minimamente a Charles. Sì, avrebbe potuto trattarsi di un uomo bello, spiritoso, distinto, affascinante, come erano senza dubbio quelli che avevano sposato le sue compagne di convento. Cosa facevano adesso loro? fn città, tra il frastuono delle vie, il brusio dei teatri e lo splendore dei balli, conducevano certo esistenze fatte per allargare il cuore e dare libero sfogo ai sensi. Ma per lei, ecco, l’esistenza era fredda come un solaio esposto a settentrione, il silenzioso ragno della noia tesseva e ritesseva la tela nell’ombra, in ogni cantuccio del suo animo.11

La perdita della levriera, durante il trasferimento da Tostes a Yonville, simboleggia la fine del fantasticare delicatamente romantico ed elegiaco di Tostes e l’inizio di esperienze più appassionate nella fatale Yonville.

Ma prima ancora di Yonville, la fantasiosa immagine romantica di Parigi che Emma si prospetta emerge dal portasigari di seta che ha raccolto su una deserta strada di campagna, tornando da Vaubeyssard,{5}un po’ come in Alla ricerca del tempo perduto di Proust, la cittadina di Combray con tutti i suoi giardini emerge da una tazza di tè. Questa visione di Parigi è una delle fantasie di Emma che si ripetono nel corso del libro. Un’altra, subito distrutta, è quella di poter rendere famoso, tramite Charles, il nome dei Bovary :

Le fosse almeno toccato come marito uno di quegli uomini dagli ardori silenziosi che trascorrono le notti sui libri e verso i sessant’anni, l’età dei reumatismi, sono in grado di ostentare sulle marsine nere mal tagliate le fatidiche crocette delle decorazioni! Avrebbe talmente voluto, lei, che quel nome di Bovary, ormai suo, diventasse illustre, avrebbe talmente voluto vederlo in mostra nelle librerie, ripetuto nei giornali, conosciuto nella Francia intera. Ma Charles non aveva ambizioni! 12

Il tema del sogno a occhi aperti si collega abbastanza automaticamente a quello dell’inganno. Così come nasconde il portasigari sul quale sogna, Emma inganna sin dall’inizio Charles perché la conduca altrove. Fingendo una malattia, è lei a imporre il trasferimento a Yonville, dove il clima dovrebbe essere migliore.

Sarebbe proprio durata in eterno quella miseria? Non ne sarebbe mai uscita, lei? Eppure le valeva bene, tutte quelle fortunate che vivevano nella felicità! Aveva visto duchesse a Vaubeyssard con fianchi più grossi e modi di fare più grossolani dei suoi, c’era veramente di che esecrare l’ingiustizia di Dio; lei appoggiava la testa alla parete e piangeva; come invidiava le esistenze tumultuose, i piaceri sfrenati, tutti gli stordimenti che le erano ignoti ma che ne dovevano pur derivare!

Impallidiva sempre più, soffriva di palpitazioni di cuore. Charles le somministrava della valeriana, le prescriveva bagni canforati. E tutto quello che tentava pareva inasprirla solo maggiormente. [...]

Dato che lei si lamentava in continuazione di Tostes, Charles cominciò a supporre che la causa di quei malesseri andasse cercata in qualche malvagio influsso del luogo, e si fissò talmente su questa idea che pensò a trasferirsi davvero altrove.

Fu allora che lei bevve aceto per dimagrire, contrasse una fossetta secca, perse completamente l’appetito.13

A Yonville il fato finirà per travolgerla. La sorte del suo bouquetnuziale è una specie di premonizione o di emblema del suicidio di qualche anno dopo. Quando aveva trovato i fiori d’arancio della prima moglie di Bovary, si era chiesta che cosa ne sarebbe stato del suo bouquet. Ora, prima di lasciare Tostes, è lei stessa che lo brucia.

Un giorno, mettendo in ordine un cassetto in vista della prossima partenza, lei si punse le dita con qualcosa. Era un (il di ferro del suobouquet da sposa. I boccioli di fior d’arancio erano gialli di polvere e i nastri di raso argentato tutti sfrangiati. Lei lo buttò nel fuoco. S’infiammò meglio della paglia secca. Presto ne restò solo come un cespuglio rosso sulla cenere, a rodersi a poco a poco. Lei lo guardava consumarsi. Le piccole bacche di cartone scoppiavano, i legacci d’ottone si torcevano, i galloni d’argento si fondevano; indurite, le corolle di carta danzavano lungo la placca del camino come nere farfalle, e alla fine volarono via su per la cappa.14

In una lettera scritta intorno al 22 luglio 1852, Flaubert scriveva una frase applicabile a questo brano: « Una bella frase di prosa dev’essere come un bel verso : insostituibile, altrettanto ritmata, altrettanto sonora. » 15

Il tema del fantasticare riaffiora nei nomi romantici che Emma pensa di dare alla figlia:«Prima passò in rassegna tutti i nomi con desinenza italiana, come Clara, Louisa, Amanda, Atala; non le dispiaceva certo Galsuinde, per non parlare poi di Yseult e Léocadie. » Anche gli altri personaggi sono fedeli a se stessi nei nomi che propongono : « Charles, invece, desiderava chiamare la bambina come sua madre; Emma s’oppose. » Monsieur Léon, dice Homais, « si meraviglia veramente che non scegliate Madeleine, è un nome alla moda di questi tempi ».

« Ma la vecchia Bovary protestò aspramente contro quel nome di peccatrice. Il signor Homais, per conto suo, preferiva i richiami agli uomini illustri, ai fatti famosi, agli ideali generosi... » 16 È bene notare perché Emma finisce per scegliere Berthe : « Alla fine, Emma ricordò che al castello di Vaubeyssard aveva udito la marchesa chiamar Berthe una giovane donna; da quel momento fu quello il nome. » 17

Le considerazioni romantiche nella scelta del nome della piccola contrastano con le condizioni nelle quali viene affidata a una balia, secondo la singolare usanza dell’epoca. Emma va a trovarla con Léon:

Riconobbero l’abitazione da un vecchio noce che le faceva ombra. Bassa e coperta da tegoli bruni, aveva attaccata fuori, sotto il finestrino del granaio, una resta di cipolle. Fascine appoggiate diritte contro la siepe di biancospino delimitavano un quadrato di lattughe, cespi di lavanda e piselli in fiore inerpicantisi su esili paletti. Un poco d’acqua sporca colava spandendosi sull’erba, e tutt’intorno erano sciorinati bene in vista innumerevoli stracci indefinibili, calze di lana, una camiciola di cotonina rossa, un gran lenzuolo di tela ruvida steso lungo la siepe. Al rumore del cancello, la balia si fece sulla soglia, avendo in braccio un bambino che poppava. Con la mano libera si tirava dietro un povero marmocchio macilento e scrofoloso, il figlio di certi mereiai di Rouen, lasciato perpetuamente in campagna dai genitori troppo presi dalla loro bottega.18

Gli alti e bassi delle emozioni di Emma — i desideri, la passione, la frustrazione, gli amori e le delusioni che si alternano in una sequenza a scacchiera — sfociano nella morte violenta e decisamente indecorosa che lei stessa s’infligge. Tuttavia, prima di separarci da Emma, noteremo la sostanziale durezza del suo carattere, simboleggiata in certo qual modo da una lieve imperfezione fisica, dalla dura secca angolosità delle sue mani; mani amorevolmente curate, delicate e bianche, graziose, forse, ma non belle.

È falsa, è disonesta per natura : inganna Charles sin dall’inizio, prima ancora di commettere adulterio. Vive in mezzo a filistei, ma è filistea anche, lei. La sua volgarità mentale non è evidente come quella di Homais. È forse troppo severo nei suoi confronti dire che gli aspetti banali, convenzionali, pseudoprogressisti del carattere di Homais trovano in Emma un riscontro femminile, pseudoromantico; e infatti Homais e Emma non solo si echeggiano foneticamente, ma hanno qualcosa in comune — e questo qualcosa è la crudeltà volgare dei loro caratteri. In Emma, volgarità e filisteismo sono velati dalla sua grazia, dalla sua furbizia, dalla sua bellezza, dalla sua tortuosa intelligenza, dalla sua capacità di idealizzazione, dai suoi momenti di tenerezza e di comprensione e dal fatto che la sua breve vita d’uccellino si conclude in tragedia.

Non così Homais. Homais è il filisteo di successo. E sino alla fine, quando giace cadavere, la povera Emma è assistita da lui, dall’impiccione Homais, e dal prosaico prete Bournisien. C’è una scena deliziosa in cui questi due — quello che crede nei farmaci e quello che crede in Dio — si addormentano su due poltrone vicino alla morta, l’uno di fronte all’altro, e russano l’uno di fronte all’altro, con il ventre in fuori e le mascelle cascanti, appaiati nel sonno, finalmente uniti nella debolezza umana del sonno. E che insulto per il destino umano di Emma, l’epigrafe che trova Homais per la sua tomba! La sua mente è stipata di trite citazioni latine, ma in un primo tempo è incapace di trovare qualcosa di meglio di sta, viator, fermati, viandante (o sosta, passeggero). Ma fermati dove? La citazione latina finisce con heroem calcas : tu calpesti la polvere di un eroe. Ma, con la solita impudenza, Homais finisce per sostituire alla polvere dell’eroe quella della tua moglie amata. Fermati, viandante, tu calpesti la tua moglie amata. È l’ultima cosa che si poteva dire del povero Charles che, nonostante la sua stupidità, amava Emma con una patetica, profonda adorazione, fatto di cui lei si era resa conto solo per un attimo prima di morire. E lui dove muore? Nello stesso pergolato dove Rodolphe e Emma andavano a fare l’amore.

Homais ha diverse crepe nella sua armatura :

1. La sua scienza proviene da opuscoli, la sua cultura generale dai giornali; i suoi gusti letterari sono spaventosi, specie nelle combinazioni di autori che cita. Ignorante com’è, osserva a un certo punto : « Questo il problema, come ho letto di recente su un giornale, » senza sapere che sta citando Shakespeare e non un giornalista di Rouen — e forse non lo sapeva neanche l’autore di quell’articolo politico.

2. Sente ancora ogni tanto la terribile paura che ebbe quando rischiò la prigione per aver praticato la medicina.

3. È un traditore, uno zotico, un antipatico e non ha problemi a sacrificare la propria dignità agli interessi superiori dei suoi affari o per ottenere un’onorificenza.

4. È un codardo e, nonostante le sue parole spavalde, ha paura del sangue, della morte e dei cadaveri.

5. È spietato e perfidamente vendicativo.

6. È un borioso somaro, un impostore compiaciuto, un perfetto filisteo e una colonna della società come tanti altri filistei.

7. Riceve la sua onorificenza alla fine del romanzo, nel 1856. Flaubert riteneva che la sua fosse l’epoca del filisteismo, che chiamava muflisme.Ma non è un fenomeno tipico di un particolare governo o regime; è semmai più evidente durante le rivoluzioni e negli stati di polizia che in regimi più tradizionali. Il filisteo impegnato in azioni violente è sempre più pericoloso di quello che se ne sta tranquillamente seduto davanti al televisore.

Ricapitoliamo un momento gli amori di Emma, platonici e no :

1. Da ragazza, in collegio, può avere avuto un’infatuazione per il suo insegnante di musica, che passa, con il violino nella custodia, in uno dei brani retrospettivi del libro.

2. Sposata da poco con Charles (di cui all’inizio non è innamorata), ha dapprima un’amicizia amorosa, del tutto platonica, con Léon Dupuis, praticante presso un notaio.

3. La sua prima « relazione » è con Rodolphe Boulanger, il signorotto del luogo.

4. Nel pieno di questa relazione, accorgendosi che Rodolphe si rivela più brutale dell’ideale romantico da lei sognato, Emma tenta di scoprire il proprio ideale nel marito; cerca di vederlo come un grande medico e inizia una breve fase di tenerezza e di possibile orgoglio nei suoi confronti.

5. Dopo che il povero Charles ha completamente fallito l’operazione al piede equino del povero mozzo di stalla — uno degli episodi più salienti del libro — torna a Rodolphe, più appassionata che mai.

6. Quando Rodolphe distrugge il suo ultimo sogno romantico di fuggire in Italia e condurvi una vita di sogno, dopo una grave malattia trova in Dio un soggetto di adorazione romantica.

7. Fantastica per qualche minuto sul cantante d’opera Lagardy.

8. La sua relazione con l’insulso e pusillanime Léon, dopo che lo ha incontrato di nuovo, è una materializzazione grottesca e patetica di tutti i suoi sogni romantici.

9. Scopre in Charles, poco prima di morire, il suo aspetto umano e divino, il suo amore assoluto per lei, tutto quello che le è mancato.

10. Il corpo d’avorio di Gesù Cristo sulla croce che bacia qualche minuto prima di morire; e si può dire che questo amore sfocia in qualcosa di simile alle sue precedenti tragiche delusioni, perché tutta la miseria della sua vita riprende il sopravvento quando, morendo, sente l’orribile canzone del ripugnante vagabondo.

Chi sono i « buoni » del libro? Il « cattivo » è ovviamente Lheureux, ma a parte il povero Charles, i buoni chi sono? Il padre di Emma, il vecchio Rouault; in modo meno convincente, il ragazzo Justin che intravvediamo piangere sulla tomba di Emma, portando una nota di desolazione; e a proposito di note dickensiane, non dimentichiamo altre due sventurate bambine, la figlioletta di Emma e, naturalmente, quell’altra ragazzina dickensiana, quella tredicenne gobba, una camerierina deprimente, una squallida ninfetta, che lavora da Lheureux come impiegata, un’immagine su cui meditare. Quali sono gli altri buoni del libro? La persona migliore è il terzo medico, il grande Larivière, anche se ho sempre odiato la lacrima trasparente che versa davanti a Emma moribonda. Si potrebbe anche dire : Flaubert era figlio di un medico, e quindi Larivière è Flaubert senior che versa una lacrima sulle disavventure del personaggio creato da suo figlio.

Mi chiedo se possiamo definire Madame Bovary un romanzo realistico o naturalistico.

Un romanzo dove un marito giovane e sano, notte dopo notte, non si sveglia mai una volta per trovare vuota la metà migliore del suo letto; non ode mai la sabbia e i sassolini che un amante lancia contro le imposte; non riceve mai una lettera anonima da qualche ficcanaso locale.

Un romanzo dove il più grande di tutti i ficcanaso, Homais — Monsieur Homais, dal quale ci saremmo aspettati che sorvegliasse con occhio statistico tutti i becchi della sua amata Yonville — non s’accorge mai di nulla, non scopre mai nulla sulle relazioni di Emma.

Un romanzo dove il piccolo Justin — un nervoso ragazzo di quattordici anni che sviene alla vista del sangue e rompe piatti per mero nervosismo — va a piangere nel cuore della notte (dove?) in un cimitero, sulla tomba di una donna il cui fantasma potrebbe venire a rimproverarlo di non averle rifiutato la chiave della morte.

Un romanzo dove una giovane donna che non va a cavallo da anni — ammesso che ci fosse mai andata quando viveva nella fattoria di suo padre — galoppa ora nei boschi con perfetta compostezza, e non sente mai le giunture indolenzite.

Un romanzo in cui abbondano molti altri particolari non plausibili — come l’ingenuità assolutamente inaccettabile di un certo cocchiere di piazza — questo romanzo è stato definito una pietra miliare del cosiddetto realismo, qualunque cosa s’intenda con questo termine.

In realtà, la finzione è sempre finzione. L’arte è sempre inganno. Il mondo di Flaubert, come quello di tutti i grandi scrittori, è un mondo fantastico con una propria logica, proprie convenzioni e proprie coincidenze. Le curiose contraddizioni che ho elencato non stridono con il disegno generale del libro, e in effetti le scoprono soltanto noiosi professori universitari o studenti svegli. E ricorderete che tutte le fiabe che abbiamo amorosamente esaminato dopo Mansfield Park sono vagamente inserite dai loro autori in certe cornici storiche. La realtà è sempre relativa, perché ogni realtà data, la finestra che vedete, gli odori che percepite, i suoni che udite, dipende non soltanto dal rozzo compromesso dei sensi, ma anche da differenti livelli d’informazione. Flaubert poteva sembrare realistico o naturalistico cent’anni fa a lettori cresciuti sulle pagine di quegli autori sentimentali d’ambo i sessi che Emma ammirava. Ma realismo e naturalismo sono concetti relativi. Ciò che una determinata generazione considera il naturalismo di uno scrittore, appare a una generazione più vecchia l’esagerazione di squallidi particolari e a una più giovane l’insufficiente squallore dei particolari. Gli ismi passano; Vistamuore; rimane l’arte.

Riflettete con estrema attenzione su questo fatto : un maestro della forza artistica di un Flaubert riesce a trasformare quello che ha concepito come un sordido mondo popolato di imbroglioni e di filistei e di mediocri e di bruti e di signore incostanti in uno dei più perfetti esempi di finzione poetica che si conoscano, e ci riesce conferendo armonia a tutte le parti, forza interiore allo stile, ricorrendo a tutti gli espedienti formali, come il contrappunto nel passaggio da un tema all’altro, nelle premonizioni e negli echi. Senza Flaubert non ci sarebbe stato un Marcel Proust in Francia, né un James Joyce in Irlanda. In Russia, Cechov non sarebbe stato Cechov. Questo per quanto riguarda l’influenza letteraria di Flaubert.

Flaubert aveva una tecnica particolare che si potrebbe definire il metodo del contrappunto, o metodo delle interruzioni parallele fra due o più conversazioni o sequenze di pensieri. Il primo esempio segue di poco la presentazione di Léon Dupuis. Leon, un giovane praticante presso un notaio, viene portato in scena con l’espediente di descrivere Emma come lui la vede, nel rosso riverbero del caminetto dell’albergo che sembra risplendere attraverso di lei. Più avanti, quando un altro uomo, Rodolphe Boulanger, compare alla sua presenza, lei viene di nuovo mostrata attraverso gli occhi di lui, ma Emma vista attraverso gli occhi di Rodolphe è una figura più sensuale dell’immagine, tutto sommato pura, che aveva colto Léon. Tra parentesi i capelli di Léon sono descritti in seguito come castani, ma qui è biondo, o così appare a Flaubert, alla luce del fuoco appositamente acceso per illuminare Emma.

Veniamo ora al metodo del contrappunto nella conversazione all’albergo quando Emma e Charles arrivano per la prima volta a Yonville. Esattamente un anno dopo aver cominciato a comporre il libro (da ottanta a novanta pagine in un anno — è proprio il mio tipo), Flaubert, il 19 settembre 1852, scriveva alla sua amante, Louise Colet :

Quanto mi fa ammattire la mia Bovary [...] Per questa scena d’albergo mi ci vorranno forse tre mesi, almeno così penso. A volte mi vien voglia di piangere, tale è il sentimento della mia impotenza. Ma, piuttosto di eludere le difficoltà, voglio creparci sopra. Devo far sentire nella medesima conversazione cinque o sei persone (che parlano), molte altre (di cui si parla), il luogo dove sono, l’intero paese, descrivendo fisicamente persone e cose; e insieme mostrare una signora e un signore che, per simpatia di gusti, cominciano a innamorarsi un po’ l’uno dell’altro. Almeno avessi un po’ di spazio! Invece tutto deve essere .rapido senza secchezza e sviluppato senza prolissità.19

Dunque nella grande cucina dell’albergo inizia una conversazione. Vi partecipano quattro persone. Da una parte, un dialogo tra Emma e Léon, che lei ha appena conosciuto, interrotto da monologhi e occasionali osservazioni di Homais, il quale sta soprattutto conversando con Charles Bovary, ansioso com’è di stabilire buoni rapporti con il nuovo dottore.

Il primo movimento di questa scena è uno scambio vivace fra tutti e quattro.

Homais chiese il permesso di tenere in capo il suo berretto greco, aveva paura dei raffreddori. Poi, rivolgendosi alla sua vicina :

« La signora sarà senza dubbio piuttosto stanca. Un viaggio sulla nostra Rondinescombussola sempre talmente! »

« Non lo posso negare, » rispose Emma, « ma l’animazione non mi dispiace mai, io adoro cambiare posto. »

« E se invece foste costretto, come lo sono io, a stare sempre a cavallo... » borbottò Charles.

« Ma, » riprese Léon, e parlava proprio alla signora Bovary, « mi pare che non ci sia nulla di più gradevole; quando lo si può fare, naturalmente, » aggiunse.20[S’insinua ogni tanto il tema dei cavalli.]

Il secondo movimento consiste in un lungo discorso di Homais, che termina con qualche informazione destinata a Charles su una casa da comprare.

« Del resto, » stava dicendo il farmacista, « l’esercizio della medicina non è poi eccessivamente duro dalle nostre parti [...] si ricorre ancora alle novene, alle reliquie, al prete piuttosto di rivolgersi come sarebbe logico al medico o al farmacista. A ogni modo il clima non è cattivo, per la verità, e nei dintorni contiamo qualche nonagenario. Il termometro (l’ho osservato con i miei occhi) scende d’inverno sino ai quattro gradi e l’estate tocca i 25, i 30 centigradi al massimo, ovvero 24 Réamur, 54 Fahrenheit (misura inglese), mai di più! Infatti, da un lato la foresta di Argueil ci protegge dai venti di nord, mentre il colle di Saint-Jean ci ripara contro i venti di ovest; e, del resto, il calore che è causato dal vapore acqueo prodotto dal fiume e dalla considerevole frequenza di bestiame nei pascoli, dato che, come voi mi insegnate, il bestiame esala molta ammoniaca, ovvero azoto, idrogeno e ossigeno (anzi, no: azoto e idrogeno soltanto), aspirando l’humus della terra, confondendo insieme tutte queste varie emanazioni, riunendole, per così dire, in un fascio e combinandosi con l’elettricità dell’aria, evidentemente quando ce n’è, potrebbe a lungo andare, come nei paesi tropicali, generare miasmi insalubri; il calore, dunque, viene proprio a esser temperato dalla patte donde viene, o meglio donde verrebbe, ovvero dalla parte di sud, per effetto dei venti di sud-est, i quali, rinfrescatisi al passaggio sopra la Senna, giungono a noi d’improvviso, a volte, come vento di Russia! » 21

In questo discorso, Homais fa uno sbaglio : c’è sempre una piccola crepa nell’armatura del filisteo. Il suo termometro dovrebbe segnare 86 Fahrenheit, non 54; ha dimenticato di aggiungere 32 passando da un sistema all’altro. Rischia di fare un’altra gaffe anche quando parla dell’aria esalata, ma riesce a riprendersi. Cerca di stipare tutte le sue conoscenze in fatto di fisica e di chimica in un’unica frase elefantiaca; ha una buona memoria per i dettagli inutili appresi da giornali e opuscoli, ma niente altro.

Come il discorso di Homais è un guazzabuglio di pseudo-scienza e di « giornalese », così, nel terzo movimento, la conversazione tra Emma e Léon è uno stillicidio di lirismo stantio:

« C’è almeno qualche passeggiata nei dintorni? » continuava la signora Bovary, e parlava proprio al giovane.

« Oh, poca roba, » replicò quello. « C’è un luogo chiamato la Pastura in cima alla salita, dove comincia la foresta. Ci vado ogni tanto, la domenica, e ci resto con un libro, a guardare il tramonto. »

« Trovo che nulla è più ammirevole dei tramonti, » disse ancora lei, « ma in riva al mare, soprattutto. »

« Oh! Lo adoro, il mare, io, » disse Léon.

« E poi non vi pare, » insiste la signora Bovary, « che lo spirito spazi più liberamente su quella distesa sconfinata, la cui contemplazione eleva l'anima e prodiga idee d’infinito, d’ideale! »

« È lo stesso anche con i paesaggi di montagna, » replicò Leon.22

È molto importante notare che la coppia Léon-Emma nelle sue emozioni pseudoartistiche è banale, trita e convenzionale quanto lo è il borioso e fondamentalmente ignorante Homais di fronte alla scienza. La falsa arte e la falsa scienza s’incontrano. In una lettera all’amante (9 ottobre 1852) Flaubert indica la sottile ragione d’essere di questa scena :

Sto lavorando a una conversazione tra un giovane e una giovane sulla letteratura, il mare, le montagne, la musica e tutti gli altri argomenti cosiddetti poetici. Al lettore medio può sembrare tutto inteso seriamente, ma in realtà la mia vera intenzione è il giottesco. Sarà la prima volta, credo, che comparirà un romanzo nel quale ci si prende gioco della protagonista e del suo corteggiatore. Ma l’ironia non diminuisce il pathos; accentua anzi l’aspetto patetico.23

Léon rivela la propria inettitudine, la crepa nella sua armatura, quando accenna al pianista.

« Mio cugino ha viaggiato in Svizzera l’anno scorso, e mi diceva appunto che non ci si può neppure immaginare la poesia dei laghi, l’incanto delle cascate, la maestosa suggestione dei ghiacciai. Sapete che si vedono certi pini di grandezza incredibile gettati attraverso i torrenti, certe capanne sospese sui precipizi, e, a mille piedi sotto di voi, quando le nuvole si dileguano, certe vallate infinite. Spettacoli che debbono entusiasmare, predisporre alla preghiera, all’estasi! No, proprio non mi meraviglio che quel tal musicista celebre, per stimolare meglio la propria fantasia, avesse preso l’abitudine di andare a suonare il pianoforte davanti a qualche paesaggio imponente. » 24

Come i panorami della Svizzera devono trascinarti alla preghiera, all’estasi! Non stupisce che un musicista famoso andasse a suonare il piano davanti a qualche splendido paesaggio per stimolare la propria immaginazione! È magnifico!

Troviamo poco dopo una vera e propria bibbia del cattivo lettore — tutto quello che un buon lettore non fa :

« Mia moglie non se ne interessa per nulla [del giardinaggio], » disse Charles, « sebbene io non faccia altro che, raccomandarle un poco di moto, preferisce starsene tutto il giorno chiusa in camera a leggere. »

« Oh, proprio come me, » riattaccò Léon, « e cosa ci può esser di meglio che leggere un bel libro accanto al fuoco, la sera, mentre il vento batte alle imposte a la lampada splende? »

« Pare anche a voi, vero? » disse lei, fissandogli addosso i grandi occhi spalancati.

« Non si pensa a nulla, » continuò lui, « e così passano le ore. Senza muoversi, si attraversano paesi mai visti eppure reali, e il nostro pensiero, intrecciandosi con la finzione, entra con piacere in ogni particolare, segue il filo di ogni avventura. Ci si confonde con i personaggi, ci sentiamo noi stessi palpitare sotto i loro panni. »

« Com’è vero! Dio, com’è vero! » diceva lei.25

I libri non vengono scritti per coloro a cui piacciono le poesie che fanno piangere o i romanzi in cui eccellono nobili personaggi, come credono Léon e Emma. Solo ai bambini si può perdonare di identificarsi con i personaggi di un libro o di divertirsi con storie d’avventure mal scritte; ma è proprio questo che fanno Emma e Léon.

« E non v’è mai capitato, » rincarava lui, « d’incontrare in un libro un’idea vaga che già avevate avuto, qualche immagine oscura che pare tornare di lontano, insomma, quasi la più completa rivelazione del vostro sentimento più sottile? »

« L’ho provato anch’io, l’ho provato, » rispose; lei.

« È proprio per questo, » disse lui, « che amo soprattutto i poeti. Trovo i versi più dolci della prosa, mi fanno piangere tanto di più. »

« Però alla lunga annoiano, » ribatté Emma, « io, adesso, ho una passione per le storie che si leggono tutte d’un fiato e fanno paura. Detesto i personaggi banali, i sentimenti moderati, ce ne sono già troppi nella vita d’ogni giorno. »

« Effettivamente, » osservò il giovane di studio, « le opere che non toccano il cuore si allontanano, a mio modesto parere, dal vero fine dell’arte. È così consolante, in mezzo alle delusioni della vita, poter tornare con la mente su caratteri nobili, affetti puri, visioni di felicità. » 26

Flaubert si era proposto di fare del suo libro un’opera d’arte. Oltre al contrappunto, una delle sue preoccupazioni era di dare la massima eleganza e scorrevolezza possibili ai passaggi da un argomento all’altro all’interno dei singoli capitoli. In Casa desolata il passaggio da un soggetto all’altro avviene, generalmente, di capitolo in capitolo — diciamo dalla Cancelleria ai Dedlock e così via. In Madame Bovary c’è invece un movimento continuo all’interno dei capitoli. Chiamo questo metodo transizione strutturale. Ne vedremo tra poco alcuni esempi. Se i passaggi di Casa desolata si possono paragonare a gradini, in una struttura che procede per così dire en escalier, in Madame Bovary ci troviamo di fronte ad un andamento fluido, ondeggiante.

Il primo passaggio, abbastanza semplice, avviene all’inizio stesso del libro. La storia parte dal presupposto che l’autore, a sette anni, e un certo Charles Bovary, di tredici, erano stati compagni di scuola a Rouen nel 1828. Il metodo è quello del racconto soggettivo, alla prima persona plurale; ma naturalmente è solo un espediente letterario, in quanto Flaubert ha inventato Charles da capo a piedi. Questo racconto pseudo-soggettivo prosegue per circa tre pagine, dopo di che si passa alla narrazione oggettiva: dalla registrazione immediata del presente si passa al resoconto del passato di Bovary. Questo passaggio è dato dalla frase : « Era stato iniziato al latino dal curato del suo paese. » 27 Torniamo indietro nel tempo per avere notizie dei suoi genitori e della sua nascita e procediamo poi per la sua infanzia sino a tornare al presente e alla scuola, dove due capoversi, con un ritorno alla prima persona plurale, lo portano alla fine del terzo anno. Dopo di che il narratore non si fa più sentire e noi passiamo al periodo universitario e agli studi medici di Bovary.

A Yonville, poco prima che Léon parta per Parigi, un passaggio strutturale più complesso ci porta da Emma e dal suo stato d’animo a Leon e al suo stato d’animo, e infine alla partenza di quest’ultimo. Nell’effettuare questo passaggio, Flaubert, come fa spesso nel libro, approfitta dei meandri strutturali per rivedere alcuni suoi personaggi, riprendendo e, per così dire, verificando rapidamente certi loro tratti. Si comincia con Emma che torna a casa dopo il frustrante colloquio con il prete (nel tentativo di placare la febbre che Léon ha provocato), furiosa che tutto sia calmo mentre lei è agitatissima. Innervosita, respinge gli approcci affettuosi della figlioletta Berthe, che cade e si taglia una guancia. Charles corre da Homais, il farmacista, a prendere un cerotto che applica alla guancia di Berthe. Assicura Emma che il taglio non è grave, ma lei decide di non scendere per la cena e rimane con Berthe finché la piccola non si addormenta. Dopo cena Charles va a restituire il cerotto e si ferma in farmacia, dove Homais e sua moglie discutono con lui sui pericoli dell’infanzia. Prendendo da parte Léon, gli chiede di informarsi a Rouen sul prezzo di un dagherrotipo : nel suo patetico autocompiacimento, vorrebbe regalarne uno di se stesso a Emma. Homais sospetta che Léon abbia qualche relazione amorosa a Rouen e l’albergatrice Madame Lefrangois interroga sul suo conto l’esattore Binet. La conversazione di Léon con Binet contribuisce, forse, a mettere in evidenza fino a che punto egli sia stanco di amare Emma senza risultato. La sua codardia nel trasferirsi viene ripresa in esame, ma poi decide di andare a Parigi. Flaubert ha ottenuto quello che voleva : ha stabilito un passaggio impeccabile dallo stato d’animo di Emma a quello di Léon e alla decisione di quest’ultimo di lasciare Yonville. Troveremo più avanti un passaggio altrettanto preciso quando verrà presentato Rodolphe Boulanger.

Il 15 gennaio 1853, quando stava per cominciare la seconda parte, Flaubert scriveva a Louise Colet :

Ho impiegato cinque giorni a scrivere una pagina. [...] Quel che mi tormenta nel mio libro è l’elemento divertente, che è mediocre. Mancano i fatti. Io sostengo che le idee sono fatti. Con esse, lo so bene, è più difficile interessare, ma se non ci si riesce la colpa è dello stile. Ci sono così cinquanta pagine di fila senza un movimento. È una raffigurazione continua di una vita borghese e di un amore inattivo: amore tanto più difficile da rappresentare in quanto è a un tempo timido e profondo1, ma ahimè! senza frenesie interne, perché il mio messere è d’indole temperata. Già nella prima parte ho avuto da fare con qualcosa d’analogo : il mio marito ama sua moglie nella stessa guisa del mio amante. Sono due mediocri, che vivono nello stesso ambiente, ma che vanno dilTerenziati. Se la cosa riuscirà, sarà, credo, molto forte, perché si tratta di dipingere tono su tono e senza toni che facciano spicco.28

È tutta questione di stile, dice Flaubert, o più esattamente dell’aspetto particolare che si dà alle cose.

La vaga promessa di felicità che viene a Emma dai suoi sentimenti per Léon la conduce innocentemente da Lheureux (un nome ironicamente ben scelto, « il felice », per questo diabolico strumento del fato). Lheureux, mereiaio e usuraio, arriva con gli ornamenti della felicità; s’informa della salute del proprietario di un bar, Tellier, che crede sia in cura da suo marito; e dice che anche lui un giorno o l’altro dovrà consultare il dottore per certi dolori alla schiena. Sono tutte premonizioni, dosate con grande maestria. Flaubert fa in modo che Lheureux presti dei soldi a Emma, come li ha prestati a Tellier, e la rovini come rovina Tellier prima che il vecchio muoia; inoltre, esporrà i propri disturbi al medico famoso, chiamato in un disperato tentativo di salvare Emma dopo che si è avvelenata. È la progettazione di un’opera d’arte.

Disperata per il suo amore per Léon, « la mediocrità dell’esistenza domestica le suggeriva fantasie fastose, la tenerezza coniugale sogni adulterini ».29 Fantasticando sui suoi giorni di scolara in convento, « si sentì tutta molle e abbandonata come una piuma d’uccello volteggiante nella tempesta : senza averne coscienza, si avviò verso la chiesa, disposta a qualsiasi devozione pur di assorbirvi l’anima, pur di annullarvi dentro l’intera esistenza ».30 Sulla scena col curato, Flaubert scriveva a Louise Colet verso la metà d’aprile del 1853 :

Finalmente comincio a vederci un po’ chiaro nel mio dannato dialogo col curato... Voglio esprimere questa situazione : la mia donnina, in un accesso di religiosità, va in chiesa, trova sulla porta il curato, il quale in un dialogo (senza un soggetto determinato) si mostra talmente stupido, piatto, inetto, taccagno, che lei se ne torna disgustata e indevota; e il mio curato è un bravissimo uomo, anzi eccellente, ma pensa soltanto al fisico (alle sofferenze dei poveri, alla mancanza di pane 0 di legna), e non indovina i vacillamenti morali, le vaghe aspirazioni mistiche; è castissimo e osserva tutti i doveri. La scena deve occupare sei o sette pagine al massimo e senza una riflessione né un’analisi (tutto in dialogo diretto).31

Noteremo che questo episodio è composto con la tecnica del contrappunto : il curato che risponde a ciò che crede gli stia dicendo Emma, o meglio che risponde a immaginarie domande tipo di una normale conversazione con una parrocchiana, e la donna che dà voce a una sorta di lamentosa nota interiore che lui non percepisce — e nel frattempo dei bambini scorrazzano in chiesa e distolgono l’attenzione del buon prete da quel poco che ha da dirle.

L’apparente virtù di Emma allontana Léon, sicché quando lui parte per Parigi la strada è libera per un amante più intraprendente. Il passaggio avviene tra la malattia di Emma dopo la partenza di Léon e il suo primo incontro con Rodolphe, e poi alla scena dei comizi agricoli. L’incontro è un esempio di quei passaggi strutturali che richiedevano a Flaubert molti giorni di lavoro. Il suo intento è di introdurre Rodolphe Boulanger, un proprietario agricolo del luogo, un individuo sostanzialmente volgare e meschino come il suo predecessore, ma provvisto di un fascino impetuoso e brutale. Il passaggio avviene in questo modo : Charles ha invitato sua madre a venire a Yonville per decidere come affrontare la malattia di Emma, che si sta consumando. La madre arriva, stabilisce che Emma legge troppi libri, cattivi romanzi, e s’impegna a disdire, quando passerà da Rouen per tornare a casa, l’abbonamento di Emma alla biblioteca circolante. La madre parte un mercoledì, che a Yonville è giorno di mercato. Affacciata alla finestra per osservare la folla del mercoledì, Emma vede un signore in redingote di velluto verde (di velluto verde è anche il drappo funebre che Charles sceglierà per lei) avvicinarsi a casa Bovary con un contadino che deve sottoporsi a un salasso. Da basso, nello studio, il paziente sviene e Charles grida a Emina di scendere. (Si noti che Charles è lo strumento inconsapevole che fatalmente presenta Emma ai suoi amanti e l’aiuta a vederli di nuovo.) È Rodolphe che osserva (con il lettore) questa scenetta deliziosa :

La signora Bovary prese a sciogliergli la cravatta. I cordoni della camicia erano annodati, il nodo resisteva, lei per qualche minuto dovette armeggiare con le dita leggere intorno al collo del giovanotto, poi versò un poco d’aceto nel suo fazzoletto di batista, gli bagnò le tempie a colpetti premurosi, vi soffiò sopra delicatamente. Il contadino si svegliò...

La signora Bovary prese il catino per metterlo sotta la tavola; nel movimento che compì chinandosi, la sua veste (era una veste da estate a quattro volanti, gialla, con la vita lunga e la gonna larga) si sparpagliò intorno a lei sulle mattonelle della sala; e, dato che Emma così abbassata vacillava un poco, tendendo le braccia, i rigonfiamenti della stoffa seguivano le inflessioni del busto. 2

L’episodio dei comizi agricoli è strumentale al fine di ricongiungere Emma a Rodolphe. Il 15 luglio 1853 Flaubert scriveva: « Stasera ho abbozzato la grande scena dei comizi agricoli. Sarà grandiosa, comprenderà una trentina di pagine. Bisogna che, descrivendo questa festa rustico-municipale (vi passano, parlano e agiscono tutti i personaggi secondari del romanzo), in mezzo ai vari particolari io continui a svolgere in primo piano la conversazione di un signore che si lavora una signora. Inoltre, a metà della festa, ci sarà il discorso solenne di un consigliere di prefettura, e da ultimo (a festa finita) un articolo di giornale scritto dal mio farmacista, che fa il resoconto della festa in bello stile filosofico, poetico e progressista. »33 Le trenta pagine dell’episodio richiesero tre mesi di lavoro. In un’altra lettera del 7 settembre Flaubert diceva: « Quanto è difficile... Un capitolo arduo. Ho qui tutti i personaggi del mio libro mescolati nell’azione e nel dialogo e... un grande paesaggio che li avvolge. Se riesco, sarà qualcosa di assolutamente sinfonico. » E il 12 ottobre : « Se mai gli effetti di una sinfonia sono stati riportati su un libro, è proprio qui. Bisogna che l’insieme urli, che si sentano a un tempo muggiti di tori, sospiri d’amore e frasi di amministratori, e, su tutto, il sole e le grandi folate di vento sollevanti le grandi cuffie delle contadine... Al drammatico, arrivo solo per mezzo del dialogo e dei contrasti dei vari caratteri. » 34

Come per uno spettacolo in onore di un amore nascente, Flaubert riunisce nella piazza del mercato tutti i suoi personaggi per una dimostrazione di stile : è infatti questo il vero tema del capitolo. La coppia, Rodolphe (simbolo della finta passione) e Emma (la vittima), è messa in relazione con Homais (il guardiano del veleno di cui lei morrà) e Lheureux (simbolo della rovina economica e della vergogna che la spingeranno al boccale d’arsenico), e c’è anche Charles (il conforto coniugale).

Raggruppando questi personaggi all’inizio dei comizi agricoli, Flaubert fa qualcosa di particolarmente significativo per quanto concerne il merciaio-usuraio Lheureux e Emma. Qualche tempo prima, si ricorderà, Lheureux, venuto a offrire a Emma i propri servigi — capi di vestiario e, all’occorrenza, denaro — si era curiosamente interessato alla malattia di Tellier, il proprietario del caffè di fronte all’albergo. Ora la padrona dell’albergo riferisce a Homais, non senza soddisfazione, che il caffè di fronte sta per chiudere. Evidentemente Lheureux ha scoperto che la salute del suo proprietario continua a peggiorare e che è venuto il momento di farsi restituire le grosse somme che gli ha prestato, e il risultato è il fallimento di Tellier. « Che catastrofe spaventosa! » esclama Homais, il quale, dice ironicamente Flaubert, trova « espressioni adeguate a ogni circostanza ». Ma, dietro questa ironia, c’è anche qualcos’altro. Perché, proprio mentre Homais esclama : « Che catastrofe spaventosa! » nel suo tono fatuo, eccessivo, ampolloso, l’albergatrice addita Lheureux che sta passando dall’altra parte della piazza. « Ah, eccolo lì, disse, ... saluta la signora Bovary... E chi le dà il braccio? È il signor Boulanger, vero?» 35 La bellezza di questa linea tematica è nel fatto che Lheureux, il quale ha rovinato il padrone del caffè, viene qui collegato a Emma, la quale perirà sia a causa di Lheureux sia a causa dei suoi amanti — e la sua morte sarà veramente una « catastrofe spaventosa ». Ironia e patetismo si intrecciano mirabilmente nel romanzo di Flaubert.

Nella scena dei comizi agricoli si utilizza ancora una volta il metodo delle interruzioni parallele o del contrappunto. Rodolphe trova tre sgabelli, li unisce formando una panca, e si siede con Emma a una finestra del municipio per assistere allo spettacolo, ascoltare gli oratori e indulgere a una piccola schermaglia amorosa. Di fatto, non sono ancora amanti. Nel primo movimento del contrappunto, parla il consigliere di prefettura, mescolando orrendamente le sue metafore e contraddicendosi per mero automatismo verbale :

Signori, mi sia permesso anzitutto (prima ancora d’intrattenervi sullo scopo della nostra odierna riunione, e questo sentimento, ne sono sicuro, sarà da tutti voi condiviso), mi sia permesso anzitutto, dunque, riconoscere le grandi benemerenze dell’amministrazione centrale, del governo, del monarca, signori, del nostro sovrano, questo re amatissimo, al quale niun ramo della pubblica o privata prosperità riesce indifferente, il quale regge con polso siffattamente saldo e saggio il carro dello stato tra gli incessanti perigli d’un mare procelloso, sapendo far rispettare la pace siccome la guerra, le industrie, i commerci, l’agricoltura e le belle arti.36

In questa prima fase, la conversazione tra Rodolphe e Emma s’alterna a brani di oratoria ufficiale :

« Dovrei tirarmi un poco indietro, » bisbigliò Rodolphe.

« E perché mai? » disse Emma.

Ma a questo punto la voce dell’inviato della prefettura si alzò straordinariamente di tono. Ormai declamava :

« Passò, passò quel tempo, signori, nel quale la discordia intestina insanguinava le nostre pubbliche piazze, nel quale il proprietario, il commerciante, l’operaio stesso nel ceder la sera al sonno del giusto tremavan di dover essere subitamente ridesti dalle campane a martello, nel quale le massime più sovversive minavano arditamente le basi... »

« Perché potrebbero vedermi dal basso, » disse Rodolphe, « così mi toccherebbe tirar fuori scuse per una quindicina di giorni, e con la mia pessima reputazione... »

« Oh! vi state calunniando, » disse Emma.

« No, no, ve lo garantisco, non ne può esistere una peggiore. »

« Ma, signori, » proseguì l’inviato della prefettura, « se, allontanando dal mio ricordo siffatte atroci visioni, riporto l’occhio sulla presente situazione della nostra bella patria, cosa mai scorgo? » 37

Flaubert raccoglie tutti i luoghi comuni possibili del linguaggio giornalistico e politico; ma è molto importante notare che, se i discorsi ufficiali sono in « giornalese » stantio, la conversazione romantica tra Rodolphe e Emma è pseudoromanticismo altrettanto trito. La bellezza della scena è che non si tratta di bene e male che s’interrompono a vicenda, ma di un tipo di male che si intreccia con un altro. Come lui stesso diceva, Flaubert dipinge tono su tono.

Il secondo movimento inizia quando il consigliere Lieuvain si siede e comincia il suo discorso il signor Derozerays :

Il suo, forse, non fu così fiorito come quello dell’inviato della prefettura; ma si raccomandava per un carattere stilistico più positivo, ovvero per la specifica conoscenza dell’argomento e per qualche considerazione di maggior rilievo. L’elogio del governo vi era meno diffuso; la religione e l’agricoltura venivano, invece, più abbondantemente trattate. I loro reciproci rapporti eran messi in risalto, spiccava come l’una e l’altra avessero concorso a incrementare la civiltà. Rodolphe, intanto, parlava con la signora Bovary di sogni, presentimenti, magnetismo.38

Diversamente dal primo movimento, all’inizio la conversazione tra i due e il discorso alla tribuna vengono resi descrittivamente; solo nel terzo movimento riprende la citazione diretta, e i frammenti delle esclamazioni che accompagnano la distribuzione dei premi, portati dal vento, si alternano rapidamente senza commenti o descrizioni :

Dal magnetismo a poco a poco Rodolphe era arrivato alle affinità, e, mentre il presidente citava Cincinnato all’aratro, Diocleziano che piantava i suoi cavoli e gli imperatori della Cina che facevano iniziare l’anno con le seminagioni, il giovane uomo spiegava alla giovane donna che certe attrazioni irresistibili derivano sicuramente da qualche esistenza anteriore.

« E anche noi, » diceva, « perché mai ci siamo conosciuti noi? Quale caso lo ha voluto? Non ho dubbi : attraverso la lontananza, le nostre particolari inclinazioni ci hanno spinto l’uno verso l’altro, come due fiumi che scorrano per raggiungersi... »

E le prese la mano; lei non la ritrasse.

« Buone coltivazioni complessive! » gridò il presidente.

« ... Ora, a esempio, quando sono venuto da voi... »

« Al signor Bizet di Quicampoix! »

« ... potevo sapere che vi avrei accompagnata? »

«Settanta franchi!»

« Cento volte ho pensato di andarmene, e, invece, vi ho seguito, sono restato con voi... »

« Letamai! »

«... come ci resterei stasera, domani, gli altri giorni ancora, tutta la vita!... »

«Al signor Caron d’Argueil, una medaglia d’oro! »

« ... poiché non ho mai provato nella compagnia di nessuno un piacere tanto completo... »

« Al signor Bain di Givry-Saint-Martin! »

« ... e così porterò in me il vostro ricordo... »

« Per un montone merino! »

« ... ma voi mi dimenticherete, sarò passato come un’ombra... »

« Al signor Belot di Notre-Dame! »

« ... Oh, no! ditemi : potrò esser qualcosa nel vostro pensiero, nella vostra vita?... »

« Razza suina, premio ex aequo : ai signori Lchérissé e Cullembourg, sessanta franchi! »

Rodolphe le stringeva la mano e la sentiva tutta calda e fremente come un uccellino prigioniero che vuol riprendere il volo; ma, sia che lei tentasse di liberarsi, sia che davvero intendesse rispondere alla pressione, quelle dita si mossero; allora lui proruppe :

« Oh! grazie! grazie! Voi non mi respingete! Siete buona! Lo capite che son vostro? Lasciate che vi guardi, lasciate che vi contempli! »

Una raffica di vento s’ingolfò nella finestra, increspò il tappeto del tavolo, giù nella piazza le grandi cuffie delle contadine svolazzavano come ali di bianche farfalle.

« Uso dei semi oleosi, » continuava il presidente. Cercava di sbrigarsi, andava sempre più in fretta : « Concimi fiamminghi, coltivazione del lino, prosciugamenti, lunghe affittanze, prestazioni di domestici. » 39

Il quarto movimento comincia qui, quando entrambi ammutoliscono e le parole dalla tribuna, dove si sta consegnando un premio speciale, si odono ora completamente e con i relativi commenti :

Rodolphe non parlava più. Si guardavano. Un desiderio supremo increspava le loro labbra assetate; mollemente, senza alcuno sforzo, le loro dita si confusero.

«A Catherine-Nicaise-Elizabeth Leroux di Sassetot-la-Guerrière, per cinquantaquattro anni di servizio nella stessa fattoria, una medaglia d’argento del valore di venticinque franchi! [...] »

Allora si vide farsi avanti sulla tribuna una vecchierella dal comportamento timoroso: pareva raggomitolarsi tutta nei suoi poveri panni. [...] Una specie di rigidità monacale rafforzava l’espressione. Nulla di triste o di tenero ammolliva quel suo pallido sguardo. A forza di governare le bestie, doveva aver finito per imparare il loro mutismo e la loro placidità [...] Così quel mezzo secolo di servitù fronteggiava quel gruppo di borghesi esaltati [...]

« Ma avvicinatevi, su, avvicinatevi! »

« Siete sorda? » disse Tuvache, saltando su dalla sua sedia. E cominciò a gridarle neU’orecchio : « Cinquantaquattro anni di servizio! Una medaglia d’argento! Venticinque franchi! Per voi! »

Quando ebbe finalmente la medaglia tra le dita, quella la osservò. Allora le si diffuse su tutta la faccia un’autentica beatitudine; la sentirono borbottare, mentre s’allontanava :

« La darò al nostro curato, perché mi dica qualche messa. »

« Ma che fanatismo! » protestò il farmacista, chinandosi verso il notaio.40

 

 

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L’apoteosi di questo splendido capitolo a contrappunto è il resoconto dello spettacolo e del banchetto che Homais scrive per il giornale di Rouen :

« Perché quei festoni, quei fiori, quelle ghirlande? Dove correva quella folla, come i flutti di un mare infuriato, sotto i torrenti d’un sole tropicale che spandeva il suo calore sui nostri maggesi? »

[...] Si citava tra i primi parlando dei membri della giuria, e arrivava a ricordare in una nota che il signor Homais, farmacista, aveva inviato una memoria sul sidro alla Società agronomica. Nel riferire la distribuzione dei premi non mancava di dipingere la gioia degli eletti a tratti ditirambici. « Il padre serrava tra le braccia il figlio, il fratello il fratello, lo sposo la sposa. Più d’uno 'mostrava con orgoglio la sua umile medaglia e, senza dubbio, tornato a casa dalla sua virtuosa massaia, l’avrà appesa lacrimando alle discrete pareti della sua capanna. Verso le sei un banchetto approntato sul prato del signor Liegeard ha riunito i principali partecipanti alla festa. Vi ha regnato costante la maggiore cordialità. Sono stati fatti brindisi: dal signor Lieuvain all’indirizzo del monarca! Dal signor Tuvache all’indirizzo del prefetto! Dal signor Derozerays all’indirizzo dell’agricoltura! Dal signor Homais all’indirizzo dell’industria e delle belle arti, queste due sorelle! Dal signor Leplichey al progresso! La sera, uno splendido spettacolo pirotecnico ha improvvisamente illuminato il ciclo. Lo si sarebbe detto un autentico caleidoscopio, un vero scenario d’opera, e per un momento la nostra piccola località ha potuto credersi trasportata nel cuore di un sogno delle Mille e una notte. » 41

In un certo senso, l’industria e le belle arti, queste due sorelle, simboleggiano gli allevatori di suini e la tenera coppia, in una sorta di sintesi farsesca. È un capitolo meraviglioso. Ha avuto un’influenza enorme su James Joyce; e non credo che, nonostante le innovazioni superficiali, Joyce sia andato oltre Flaubert.

« Oggi... uomo e donna a un tempo, amante e amata, ho passeggiato a cavallo in una foresta, in un pomeriggio d’autunno, sotto foglie ingiallite, ed ero i cavalli, le foglie, il vento, le parole che si dicevano e il sole vermiglio che faceva socchiudere le loro pupille inondate d’amore. »42 Così scriveva Flaubert a Louise Colet il 23 dicembre 1853, riferendosi al famoso ix capitolo della seconda parte, la seduzione di Emma ad opera di Rodolphe.

Nella cornice generale e nello schema del romanzo ottocentesco, questa scena veniva tecnicamente definita la caduta di una donna, la caduta di una virtù. Nel corso di queste pagine squisite, bisogna soprattutto notare il comportamento del lungo velo azzurro di Emma — un vero personaggio per propri meriti serpentini.{6} Smontati da cavallo, i due si mettono a camminare : « Cento passi più in là, lei tornò a fermarsi; attraverso il velo, che dal cappello di foggia maschile le scendeva obliquamente sui fianchi, la sua faccia affiorava in un riflesso azzurro, come se navigasse sotto onde turchine. »43 Così quando, dopo il loro rientro, sta fantasticando in camera sua su quanto è accaduto :

Vedendosi nello specchio, si stupì della propria faccia. Non aveva mai avuto occhi così grandi, così neri, così profondi. Qualcosa di sottile era diffuso sul suo corpo, la trasfigurava. Si ripeteva : « Ho un amante! Un amante! » appassionandosi a un simile pensiero come all’idea di una nuova pubertà. Dunque avrebbe posseduto le famose gioie dell’amore, la febbre della felicità di cui aveva disperato. S’inoltrava in un’era meravigliosa in cui tutto sarebbe stato tempesta dei sensi, estasi, delirio; un’immensità celeste la circondava, le cime del sentimento scintillavano nella sua mente, l’esistenza normale le appariva ormai così lontana, in basso, nell’ombra, tra i vuoti di quelle altezze.44

E non bisognerebbe dimenticare che, più avanti, l’arsenico velenoso è in un boccale turchino — né il cielo azzurro che incombe sulla campagna durante il suo funerale.

L’evento che ha dato il via al suo fantasticare viene descritto in poche righe, ma con un particolare estremamente significativo :

Il panno del suo vestito aderiva al velluto della giacca. Lei rovesciò il collo bianco dilatato da un sospiro e, stremata, tutta in lacrime, celando la faccia in un lungo fremito, si abbandonò.

Ormai calavano le ombre della sera : il sole orizzontale, filtrando tra i rami, la accecava. Qua e là intorno a lei, tra il fogliame e sull’erba, tremolavano chiazze luminose, come se colibrì,{7}volando, avessero seminato le proprie piume. Ovunque era silenzio; gli alberi stessi parevano emanare dolcezza; lei si sentiva il cuore riprendere a palpitare, il sangue le fiottava nella carne come un fiume di latte. Allora le giunse all’orecchio da lontano, molto lontano, di là dal bosco, sulle alte colline, un grido vago e prolungato, un richiamo strascicato, lo ascoltava muta confondersi nelle ultime vibrazioni dei nervi scossi. Rodolphe, il sigaro tra i denti, riaggiustava con il suo temperino una briglia rotta.45

Quando Emma si riprende dall’estasi amorosa, la lontana nota che le arriva da qualche punto di là dal bosco silenzioso — un gemito musicale in lontananza — nonostante tutta la sua malia, non è altro che l’eco esaltata della rauca canzone del ripugnante vagabondo. E ora Emma e Rodolphe tornano dalla loro cavalcata... con un sorriso sul volto dell’autore. Perché quella rauca canzone qui e a Rouen si mescolerà orribilmente ai rantoli di Emma morente meno di cinque anni dopo.

Dopo la fine della relazione di Emma con Rodolphe, che la pianta nel momento stesso in cui lei si aspetta di fuggire con lui nell’azzurra nebbia dei suoi sogni romantici, ci sono due scene, collegate tra loro, che Flaubert scrive nel consueto contrappunto. La prima è la serata all’opera (si rappresenta Lucia di Lammermoor),quando Emma rivede Léon tornato da Parigi. I giovani eleganti che lei nota pavoneggiarsi nella platea del teatro, con le mani inguantate appoggiate sul pomo dorato dei bastoni, costituiscono una introduzione agli accordi preliminari dei diversi strumenti che si preparano a suonare.

Nel primo movimento della scena Emma è inebriata dalle melodiose lamentazioni del tenore, che le ricordano il suo amore per Rodolphe da tempo finito. Charles interrompe la musica del suo stato d’animo con osservazioni prosaiche. Lui vede l’opera come un guazzabuglio di gesti idioti, mentre lei, che ha letto il romanzo, capisce la trama. Nel secondo movimento segue il destino di Lucia sulla scena, mentre i suoi pensieri indugiano sulla propria sorte. Si identifica con la ragazza sul palcoscenico ed è pronta a far l’amore con chiunque lei possa identificare con il tenore. Ma nel terzo movimento i ruoli s’invertono. Sono l’opera, il canto, che diventano interruzioni sgradite, e la cosa importante è la sua conversazione con Léon. Charles incominciava a divertirsi, quando viene trascinato in un caffè. Nel quarto movimento, Léon le propone di tornare domenica per vedere l’ultima scena che hanno perso. Le equazioni sono veramente schematiche : per Emma l’opera è dapprima eguale alla realtà; il cantante è Rodolphe all’inizio, e poi un possibile amante, Lagardy stesso; poi il possibile amante diventa Léon; e infine è Léon che viene identificato con la realtà e lei perde qualsiasi interesse per l’opera e va con lui al caffè per sfuggire al caldo del teatro.

Un altro esempio di contrappunto si trova nell’episodio della cattedrale. C’è una scaramuccia preliminare, quando Léon va a trovare Emma in albergo, prima di arrivare al loro appuntamento alla cattedrale. Questa conversazione preliminare echeggia quella con Rodolphe ai comizi agricoli, ma stavolta Emma è molto più sofisticata. Nel primo movimento della scena nella cattedrale, Léon entra in chiesa ad aspettare Emma. L’interazione è ora tra il sagrestano che funge da custode (guida permanente in attesa di turisti) da una parte, e Léon che non desidera visitare la chiesa. Ciò che vede della cattedrale — la luce iridescente che chiazza il pavimento, eccetera — è in armonia con il suo interesse per Emma : egli la immagina come le dame spagnole cantate da de Musset, sottoposte a gelosa sorveglianza, mentre vanno in chiesa per consegnare messaggi d’amore ai loro cavalieri. Il sagrestano ribolle di rabbia alla vista di quel turista potenziale che si arroga la libertà di ammirare la chiesa per proprio conto.

Il secondo movimento si apre con l’ingresso di Emma, che bruscamente porge un foglio a Léon (una lettera d’addio) ed entra a pregare nella cappella della Vergine.

Si stava alzando, ormai se ne sarebbero andati, ma lo svizzero si avvicinò, disse con vivacità :

« Senza dubbio, la signora non è di qui. La signora desidera vedere le curiosità della chiesa? »

« No! » gridò Léon.

« Perché no? » disse lei. Si aggrappava con la sua virtù vacillante alla Vergine, alle sculture, alle tombe, a ogni pretesto.46

Ora il torrente dell’eloquenza descrittiva del sagrestano scorre parallelo all’impaziente tempesta dell’animo di Léon. Il sagrestano sta per mostrare loro addirittura la guglia, quando Léon trascina Emma fuori della chiesa. Ma, nel terzo movimento, quando sono già fuori, il sagrestano riesce ancora a intromettersi, offrendo in vendita una pila di grossi volumi rilegati, tutti sulla cattedrale. Finalmente il frenetico Léon cerca di trovare una carrozza per farvi salire Emma. A Parigi si fa, risponde quando lei esita — e per lei è la Parigi del portasigari di seta verde — e questo argomento irresistibile la convince.

La carrozza, però, tardava ad arrivare. Léon aveva paura che Emma si rifugiasse di nuovo in chiesa. Finalmente il fiacchere comparve.

« Uscite almeno dal portone a nord! » gridò lo svizzero, impalato sulla soglia. «Così vedrete la Resurrezione, .il Giudizio universale, il Paradiso, il Re Davide e I reprobi tra le fiamme dell’inferno. »

« Il signore dove va? » domandò il vetturino.

« Dove volete voi, ».disse Léon e spinse Emma dentro la carrozza.

E la pesante vettura si mosse.47

Come i soggetti agricoli (maiali e letame) della scena dei comizi preannunciavano il fango che Justin scrosta dalle scarpe di Emma dopo le sue passeggiate alla casa dell’amante Rodolphe, così l’ultima raffica della pappagallesca eloquenza del sagrestano preannuncia le fiamme dell’inferno alle quali Emma avrebbe ancora potuto sfuggire se non fosse salita con Léon su quella carrozza.

Finisce così la parte a contrappunto che si svolge nella cattedrale e che trova un’eco nella scena immediatamente successiva della carrozza chiusa.{8}Anche qui la prima idea del vetturino è di mostrare ai due, che nella semplicità della sua mente non informata scambia per turisti, i luoghi più interessanti di Rouen, per esempio la statua di un poeta. Poi c’è un suo tentativo automatico di condurli a gran carriera alla stazione, e ci sono altri tentativi della stessa natura. Non c’è bisogno di entrare nei particolari di questo divertente giro in carrozza, sarà sufficiente una citazione. Bisogna tuttavia notare che una grottesca vettura di piazza, con le tendine tirate, che circola in piena vista dei cittadini di Rouen è ben lontana dalla cavalcata nei boschi fulvi e sulla rossa erica fatta insieme a Rodolphe. Gli adulteri di Emma si stanno immiserendo.

E la pesante vettura si mosse. Discese la rue Grand-Pont, attraversò la place des Arts, il quai Napoléon, il pont Neuf e si fermò di colpo davanti alla statua di Corneille.

« Avanti! » disse una voce dall’interno.

La vettura ripartì e, lasciandosi trascinare dalla discesa, subito dopo il carrefour La Fayette, entrò a gran carriera nella stazione ferroviaria.

« No, sempre dritto! » gridò la stessa voce.

Il fiaccherò uscì dai cancelli e, arrivato ben presto sul corso, procedette a un lento trotto tra i grandi olmi. Il vetturino si asciugò la fronte, si mise il cappello di cuoio tra le gambe, spinse la carrozza fuori dei viali, in riva all’acqua, vicino all’erba. [...]

Ma a un tratto si slanciò d’un balzo attraverso Quatremares, Sotteville, la Grande-Chaussée, la rue d’Elbeuf, e si fermò per la terza volta davanti al Jardin des Plantes.

« Ma continuate, continuate! » gridò ancora quella voce, pareva furiosa.

E subito riprendendo la corsa, la carrozza passò da Saint-Sever [...] Risalì il boulevard Bouvreuil, percorse il boulevard Cauchoise, poi tutto il Mont-Riboudet,. sino alla collina di Deville.

Tornò indietro; e allora, senza direzione, a caso, vagò di qua e di là.

Fu vista a Saint-Pol, a Lescure, al Mont-Gargan, alla Rouge-Mare e in place du Gaillardbois; rue Maladrerie, rue Dinanderie, davanti a Saint-Romain, Saint-Vivien, Saint-Maclou, Saint-Nicaise davanti alla Dogana  alla Basse-Vieille-Tour, alle Trois-Pipes e al Cimitero monumentale. Ogni tanto il fiaccheraio in serpa lanciava sguardi disperati alle osterie. Non capiva proprio quale furore locomotorio costringesse i suoi passeggeri a non fermarsi mai. Ci si provava a volte, ma subito sentiva alle sue spalle esclamazioni colleriche. Allora sferzava con maggiore violenza le sue due rozze sudate, senza badare ai sobbalzi, urtando da una parte e dall’altra, indifferente a tutto, demoralizzato e quasi piangente di sete, stanchezza e tristezza.

E sul porto, in mezzo ai carri e alle botti, nelle strade, alle cantonate, i borghesi aprivano tanto d’occhi sbalorditi da un avvenimento talmente straordinario in provincia : una carrozza con le tendine abbassate che andava e veniva senza posa, chiusa come una bara, sballottata come una scialuppa.

A un certo punto, a metà giorno, in piena campagna, quando il sole dardeggiava più forte contro i vecchi fanali argentati, una mano nuda sbucò sotto le tendine gialle e buttò via dei pezzetti di carta che si dispersero nell’aria, e andarono a posarsi lontano, come candide farfalle, su un campo fiorito di trifoglio rosso. [È la lettera di rottura che Emma aveva dato a Léon nella cattedrale.]

Poi, verso le sei, la carrozza si fermò in una stradina del quartiere Beauvoisine, ne scese una donna che s’avviò con il velo calato sulla faccia, senza girarsi indietro.48

Appena tornata a Yonville, Emma si vede venire incontro la serva, latrice di un messaggio che richiede la sua immediata presenza a casa del signor Homais. Al suo ingresso nella farmacia c’è una curiosa atmosfera di disastro — per esempio, la prima cosa che vede è la grande poltrona rovesciata — ma il disordine è dovuto soltanto al fatto che la famiglia Homais sta furiosamente facendo la marmellata. Emma è vagamente preoccupata per il messaggio; tuttavia Homais ha completamente dimenticato ciò che voleva dirle. Si viene poi a scoprire che Charles gli aveva chiesto di informare Emma, con tutte le precauzioni del caso, della morte di suo suocero, notizia che lei accoglie con la massima indifferenza quando Homais gliela spiattella alla fine di un infuriato monologo rivolto contro il piccolo Justin che, ricevuto l’ordine di andare a cercare un’altra bacinella per la marmellata, l’ha presa nel ripostiglio, nell’immediata pericolosa vicinanza della bottiglia azzurra dell’arsenico. La sottigliezza di questa mirabile scena è che il suo vero messaggio, la vera informazione trasmessa a Emma e che s’imprime nella sua mente è l’esistenza di quella bottiglia di veleno, del luogo in cui si trova e del fatto che la chiave di quel luogo ce l’ha il piccolo Justin; e anche se in quel momento è nel delizioso stordimento dell’adulterio e non pensa certo alla morte, questa informazione, mescolata alla notizia della morte del vecchio Bovary, resterà nella sua ottima memoria.

Non è necessario seguire particolareggiatamente i trucchi ai quali Emma ricorre perché il suo povero marito le consenta di andare a Rouen per i suoi incontri con Léon nella loro camera d’albergo preferita, che ben presto viene a sembrar loro una vera casa. A questo punto Emma raggiunge con Léon il massimo della felicità : i suoi sentimentali sogni lacustri, le sue fantasie di ragazza tra le modulazioni di Lamartine, trovano una loro realizzazione — qui c’è l’acqua, una barca, un amante e un barcaiolo. Salta fuori sulla barca un nastro di seta. Il barcaiolo accenna a un tale — Adolphe, Dodolphe — un tipo divertente che è stato di recente su questa stessa barca con amici e ragazze. Emma rabbrividisce.

Ma a poco a poco, come un vecchio scenario, la sua vita comincia a traballare e a cadere a pezzi. A partire dal iv capitolo della terza parte, il fato, incoraggiato da Flaubert, procede a distruggerla con mirabile precisione. Sul piano tecnico della composizione, questa è la punta affusolata in cui s’incontrano arte e scienza. Emma riesce in qualche modo a puntellare la finzione delle sue lezioni di pianoforte a Rouen; per un po’, puntella anche le cambiali di Lheureux con altre cambiali. In quella che si può definire una nuova scena di contrappunto, s’intromette Homais insistendo perché Léon lo ospiti a Rouen proprio alla stessa ora in cui Emma sta aspettando l’amante all’albergo, una scena grottesca e molto divertente che ricorda l’episodio della cattedrale, con Homais al posto del sagrestano. Uno scatenato ballo in costume a Rouen non è un successo per la povera Emma, che comincia a capire in quale sordida compagnia è capitata. Infine comincia a sgretolarsi anche la sua casa. Un giorno, rientrando dalla città, trova un’intimazione a pagare 8000 franchi, a tanto ammonta ora il suo debito, entro ventiquattro ore, pena il pignoramento di tutti i suoi mobili. Comincia di qui il suo ultimo viaggio, da una persona all’altra, in cerca di denaro. Tutti i personaggi partecipano a questo tragico climax. Tenta anzitutto di guadagnare altro tempo.

« Vi scongiuro, signor Lheureux, concedetemi ancora qualche giorno! »

Singhiozzava.

« Ecco quel che ci mancava! Le lacrime! »

« Mi fate disperare! »

« Sapeste quanto mi strazia! » disse quello, e le chiuse dietro la porta.49

Da Lheureux, va a Rouen, ma a questo punto Léon non vede l’ora di sbarazzarsi di lei. Gli suggerisce persino di rubare soldi nel suo studio :

Un’audacia infernale si sprigionava nelle sue pupille infuocate, le palpebre le si socchiudevano in modo lascivo e incitante, il giovane uomo avvertì la propria debolezza smarrirsi sotto la muta volontà di quella donna che gli suggeriva un delitto.

Ma le sue promesse suonano vuote ed egli non ha intenzione di andare all’appuntamento fissato per il pomeriggio dell’indomani.

Le strinse la mano, ma la sentì inerte nella sua. Emma non possedeva più la forza di una qualsiasi reazione.

Suonarono le quattro; lei si alzò per rientrare a Yonville, ubbidendo come un automa all'impulso delle abitudini.50

Lasciando Rouen, è costretta a lasciare il passo al visconte Vaubeyssard — o a qualche altro personaggio del genere — che guida uno scalpitante cavallo nero. Rientra sulla stessa diligenza su cui viaggia Homais, dopo un disgustoso incontro con l’odioso mendicante cieco. A Yonville, si rivolge al notaio Guillaumin che cerca di far l’amore con lei.

Si trascinava in ginocchio verso di lei, non aveva il minimo riguardo per la sua bella vestaglia.

« Vi prego, restate qui! lo vi amo! »

E l’afferrò per la vita. Un’onda di sangue salì alla faccia della signora Bovary. Indietreggiò con aria feroce, disse : « Approfittate impudentemente della mia disperazione, signore! Ma io son da compiangere, non da comprare! »

E uscì.51

Poi va a casa Binet, e qui Flaubert modifica il punto di vista: noi e due donne assistiamo alla scena da una finestra, anche se non possiamo sentire nulla.

L’esattore, con quegli occhi spalancati, aveva l’aria di ascoltare e non capire. Lei continuava a parlargli teneramente, supplichevolmente. Gli s’accostò; il suo petto palpitava, non parlavano più.

« Adesso cosa fa? cerca di sedurlo? » disse la signora Tuvache.

 

 

Binet avvampava sino agli orecchi. Lei gli afferrò le mani.

« Ah! è troppo! »

Certamente gli proponeva qualcosa di abominevole; poiché l’esattore — ed era un coraggioso, aveva combattuto a Bautzen e Lutzen, aveva fatto la campagna di Francia, ed era stato persino proposto per la croce di guerra — d’improvviso rinculò lontano, come se avesse visto un serpente. Gridava :

« Signora! come potete credere? »

« Ci vorrebbe la frusta con donne simili, » disse la signora Tuvache.52

Poi va dalla sua vecchia balia Rollet per qualche minuto di riposo e, dopo aver sognato a occhi aperti che Léon è arrivato con il denaro :

D’improvviso si batté la fronte, lanciò un grido : come un gran lampo in una notte buia il ricordo di Rodolphe le aveva attraversato la mente. Era così buono, così delicato, così generoso! E, d’altra parte, se lui avesse esitato a venirle in aiuto, avrebbe ben saputo costringervelo lei, ricordandogli con una sola occhiata il loro amore perduto. Si avviò, dunque verso la Huchette, senza rendersi conto che andava a offrirsi proprio a quel che l’aveva tanto nauseata poco prima, senza minimamente sospettare che, insomma, andava a prostituirsi.53

La falsa storia che racconta al fatuo e volgare Rodolphe si collega all’episodio autentico dell’inizio del libro, quando un vero notaio scappando ha provocato la morte della prima Madame Bovary. Le carezze di Rodolphe s’interrompono bruscamente quando lei gli chiede 3000 franchi.

« Ah! ecco perché è venuta! » pensò Rodolphe, di colpo era diventato livido.

Finalmente le disse con molta calma:

« Ma io non li ho, cara la mia signora! »

Diceva la verità. Se li avesse avuti, glieli avrebbe certamente dati, sebbene sia in genere spiacevole fare simili buone azioni : di tutte le tempeste che possono abbattersi sull’amore una richiesta di denaro è senz’alcun dubbio la più crudele e sconvolgente.

Lei restò a guardarlo in silenzio per qualche attimo.

«Non li hai!» ripeté più volte: «Non li hai!... Avrei potuto risparmiarmi quest’ultima vergogna! Non mi hai mai amata tu! tu non vali più degli altri! » [...]

« Non li ho! » rispose Rodolphe, con quella perfetta calma che ricopre come uno scudo le collere rassegnate.

Lei uscì. [...] Sotto i suoi piedi, la terra era più molle di un’onda, i solchi si alzavano per infrangersi come immensi cavalloni neri. Tutto quel che stava nella sua testa, ricordi, idee, fuggiva in un sol colpo come i mille arabeschi di un fuoco d’artificio. Vide suo padre, il bugigattolo di Lheureux, la loro camera laggiù, un altro paesaggio. Ebbe paura d’impazzire, cercò di riprendersi, anche se in modo confuso, è vero: infatti, s’era dimenticata proprio la causa di quelle sue orribili condizioni, ovvero la que: stione economica. Soffriva soltanto del suo amore, sentiva che l’anima l’abbandonava in quel ricordo, come i feriti, agonizzando, sentono che la vita

se ne va nelle ferite sanguinanti. [...]

Poi, in uno slancio eroico che la rese quasi allegra, scese la collina, correndo, attraversò il ponticello delle vacche, il sentiero, il viale, il mercato

e arrivò davanti alla porta del farmacista.54

Qui convince Justin a darle la chiave dello sgabuzzino.

La chiave girò nella serratura. Lei si diresse spedita verso il terzo scaffale, ricordava bene quel che aveva sentito dire una volta, afferrò il boccale turchino, ne tolse il tappo, poi ci ficcò dentro la mano, la tirò fuori, alla fine, piena d’una polvere bianca, cominciò a inghiottirla.

« Fermatevi! » gridò il ragazzo, buttandosi su di lei.

« Sta’ zitto! Se no verranno... »

Lui si disperava, voleva chiamare.

« Non dir nulla, tutta la colpa ricadrebbe sul tuo padrone! »

Poi se ne andò, era calma adesso, quasi serena, come chi ha compiuto finalmente il proprio dovere.55

Lo straziante crescendo della morte di Emma è descritto in tutti i suoi inesorabili particolari clinici sino alla fine :

Subito il petto le prese a palpitare in fretta e furia. Dalla bocca le uscì tutta la lingua; roteando, i suoi occhi impallidivano al pari di due globi di lampada che si spengono; la si sarebbe potuta credere già morta senza lo spaventoso sussultar delle costole, scosse da un vento feroce, come se l’anima, dentro, facesse salti per staccarsi. [...] Don Bournisien riprese a pregare, il volto appoggiato alla sponda del letto, la lunga sottana nera che gli s’allungava dietro come uno strascico. Charles era in ginocchio dall’altro lato del letto, le braccia tese verso Emma. Le aveva preso le mani, gliele stringeva, trasalendo a ogni battito del cuore, come al contraccolpo di una caduta rovinosa. Via via che il rantolo aumentava d’intensità, il sacerdote infittiva le sue preghiere : le preghiere si mescolavano ai singhiozzi soffocati di Bovary e ogni tanto tutto pareva scomparire nel sordo mormorio delle sillabe latine, rintoccanti come una campana.

D’improvviso si sentirono sul marciapiede un frastuono di pesanti zoccoli, lo strascicare di un bastone, poi una voce, una voce roca che cantava :

Spesso d’estate il calor

fa sognare alle pupe l’amor.

Emma balzò su come un cadavere galvanizzato, i capelli tutti sciolti, le pupille fisse, beanti.

Per raccogliere per bene

la messe dalla falce tagliata

la mia Nanette s’è chinata

verso il solco donde proviene.

« Il cieco! » gridò. E scoppiò a ridere, un riso atroce, frenetico, disperato; credeva di vedere la ripugnante faccia del mendico drizzarsi come un incubo nelle tenebre eterne.

Ma un vento forte soffiò

le gonne corte rubò!

Una convulsione la rovesciò sul materasso. Tutti si avvicinarono. Non esisteva più.56

 

Annotazioni

STILE

Gogol definì le Anime morte un poema in prosa; anche il romanzo di Flaubert è un poema in prosa, ma lo stile è più curato, con un ordito più fine e più compatto. Per entrare subito in argomento, voglio anzitutto attirare l’attenzione sull’uso che Flaubert fa della congiunzione e preceduta dal punto e virgola. Il punto e virgola-e viene dopo un elenco di azioni, di stati d’animo o di oggetti; allora il punto e virgola crea una pausa e Ve interviene a concludere il periodo, a introdurre un’immagine culminante o un particolare vivido, descrittivo, poetico, malinconico o divertente. È una caratteristica propria dello stile di Flaubert.

Poco dopo il matrimonio, Charles « non poteva proprio trattenersi, ogni momento toccava il pettine, gli anelli, il fazzoletto da collo di lei; a volte le dava grossi baci sulle guance, altre volte le somministrava piccoli baci in fila per tutta la lunghezza del braccio nudo, dalla punta delle dita sino alla spalla; e lei lo respingeva, mezzo divertita," mezzo annoiata, come si fa con un bambino che non vuol lasciarci stare ».97

Emma annoiata dal suo matrimonio verso la fine della prima parte : « Ascoltava, inebetita, eppure attenta, rintoccare uno a uno i colpi sordi della campana. Camminando cautamente sui tetti, qualche gatto inarcava la schiena agli smorti raggi solari. Il vento trascinava nugoli di polvere sulla strada maestra. A volte un cane abbaiava lontano; e quella campana continuava, continuava a rintoccare, il suo monotono rombo si sperdeva nei campi. » 58

Dopo la partenza di Leon per Parigi, Emma spalanca la finestra e guarda le nuvole : « Si ammucchiavano a occidente, dalla parte di Rouen, srotolavano rapidamente le loro volute nere trapassate da dietro dai raggi del sole simili alle frecce d’oro di un trofeo sospeso, il resto del cielo era vuoto, d’un biancore di porcellana. Ma una raffica di vento incurvò i pioppi, di colpo cadde la pioggia; crepitava sulle foglie verdi. Poi ricomparve il sole, le galline schiamazzarono, i passeri sbattevano le ali nei cespugli stillanti; e i rigagnoli d’acqua trascinavano sulla sabbia i fiori rossi di un’acacia. » 59

Emma giace morta : « Emma aveva la testa china sulla spalla destra. L’angolo della bocca restata aperta era un buco nero nella parte inferiore della faccia, i due pollici erano ripiegati dentro le palme delle mani, una specie di polvere bianca era sparsa sulle ciglia, e gli occhi cominciavano a scomparire in un pallore viscoso simile a una tela sottile, come se i ragni vi avessero filato sopra. Il lenzuolo s’infossava dal petto ai ginocchi, rialzandosi poi sulle punte dei piedi; e a Charles pareva che una massa enorme, un peso immenso gravasse su di lei. » 60

Un altro aspetto del suo stile, del quale si sono forse notati alcuni accenni negli esempi precedenti, è la cura di Flaubert per quello che si potrebbe definire il graduale disvelarsi dei particolari visivi — uno dopo l’altro — con un’accentuarsi di questa o quell’emozione. Se ne trova un esempio all’inizio della feconda parte, dove sembra che una macchina da presa si sposti lentamente per portarci a Yonville attraverso un paesaggio che si rivela, si spiega, a poco a poco :

Si lascia la strada maestra alla Boissière, e si prosegue per uno sterrato sino alla salita di Leux, di dove si può vedere l’intera valle. Il fiumiciattolo che l’attraversa la divide in due regioni dalla diversa fisionomia : a destra solo prati, a sinistra tutti campi coltivati. Le praterie si estendono sotto un cerchio di collinette e finiscono per congiungersi dietro di esse ai pascoli della regione di Bray, mentre a oriente la pianura sale dolcemente, slargandosi sempre più, e ostentando a perdita d’occhio i suoi biondi campi di grano. L’acqua che scorre proprio sull’orlo erboso separa con la sua striscia chiara il colore delle praterie dal colore dei solchi, la campagna somiglia così a un grande mantello spiegato, con un colletto di velluto verde orlato da un gallone d’argento.

Al limite dell’orizzonte, chi arriva ha davanti a sé le querce della foresta d’Argueil, con le scarpate del colle Saint-Jean, rigate dall’alto in basso da lunghe, inuguali strisce rosse; sono le tracce della pioggia, e i segni color mattone, formanti tutta quella ragnatela sottile sul grigio del monte, provengono dalle numerose sorgenti d’acqua ferruginosa che scendono per l’altro versante nella regione vicina.61

Un’altra caratteristica — più attinente alla poesia che alla prosa — è quel modo di esprimere emozioni o stati d’animo attraverso uno scambio di parole insignificanti. Charles ha appena perduto la moglie e Homais gli sta facendo compagnia.

Per darsi un contegno, Homais prese una bottiglia d’acqua dalla credenza, e cominciò ad annaffiare i gerani.

« Ah! grazie, » disse Charles, « come siete buono! »

E non andò avanti, soffocato sotto i troppi ricordi che quel gesto del farmacista gli richiamava. [Anche Emma aveva l’abitudine di annaffiare quei fiori.]

Allora, per distrarlo, Homais giudicò opportuno parlargli un poco d’orticoltura : le piante avevano bisogno di umidità. Charles chinò il capo in segno d’approvazione.

« Del resto, sta per tornare il bel tempo. »

« Ah! » sospirò Bovary.

A corto d’idee, il farmacista scostò lievemente le tendine della finestra.

« Toh! passa il signor Tuvache. »

Charles ripete come una macchina: « Passa il signor Tuvache. » 62

Parole insignificanti, ma quanto suggestive.

Altro punto importante nell’analisi dello stile flaubertiano riguarda l’uso dell’imperfetto, che esprime un’azione o uno stato che continuano nel tempo, che accadono in maniera abituale. Proust ha detto da qualche parte che il magistrale senso del tempo, del tempo che scorre, di Flaubert si esprime nel suo uso dell’imperfetto. Questo imperfetto, dice Proust, permette a Flaubert di esprimere la continuità del tempo e la sua unità.

A Tostes, Emma va a spasso con la sua levriera: « Cominciava con il guardarsi intorno, per vedere se fosse cambiato qualcosa dall’ultima volta che era stata là. Ritrovava al loro posto le digitali, le viole gialle, i ciuffi d’ortica intorno ai grossi sassi, e le macchie di lichene lungo le tre finestre, le cui imposte sempre chiuse si sfacevano, marce, sui rugginosi sostegni di ferro. I suoi pensieri, senza una meta dapprima, erravano a caso... » 63

METAFORE

Flaubert non usa molte metafore; quando lo fa è per esprimere emozioni che corrispondono ai caratteri dei personaggi.

Emma dopo la partenza di Léon : « ... e il dolore scavava profondamente nella sua anima, con dolci urli, come fa il vento invernale nei castelli abbandonati. » 64 (In questi termini Emma avrebbe descritto il proprio dolore, se avesse avuto genio artistico.)

Rodolphe è stanco delle dichiarazioni appassionate di Emma : « Dato che labbra libertine o venali gli avevan bisbigliato frasi simili, lui prestava solo debole ascolto alla verità di quelle di Emma; meglio far sempre la tara, pensava, i discorsi esaltati stan lì a ricoprire gli affetti mediocri; come se la ricchezza dell’anima non traboccasse a volte nelle metafore più vuote, come se a questo mondo fosse effettivamente possibile esprimere esattamente i propri desideri, le proprie idee, i propri dolori, come se la parola umana non fosse un vaso di rame incrinato su cui battiamo cadenze capaci al massimo di far ballonzolare gli orsi, mentre aspireremmo a intenerir le stelle. »65 (Mi sembra di sentire Flaubert lamentarsi delle difficoltà di composizione.)

Rodolphe rilegge vecchie lettere d’amore prima di scrivere la lettera d’addio a Emma alla vigilia della loro fuga : « Alla fine, annoiato e assonnato, rimise a posto la scatola nell’armadio, e disse a se stesso :

« Che mucchio di balle !

« Era l’esatta sintesi dei suoi pensieri, poiché i piaceri, come scolari nel cortile di un collegio, avevano talmente pasticciato sul suo cuore che non poteva più spuntarvi un filo di verde, chi passava per lo spazio arido, più stordito di quei ragazzacci, non vi lasciava neppure, come loro, il nome inciso sul muro. »66 (Mi par di vedere Flaubert che rivisita la sua vecchia scuola di Rouen.)

IMMAGINI

Riportiamo alcuni brani descrittivi che mostrano Flaubert al meglio di se stesso nel cogliere dei dati sensoriali e nel selezionarli con l’occhio dell’artista.

Un paesaggio invernale che Charles percorre a cavallo andando a curare la gamba rotta del vecchio Rouault : « La campagna si stendeva, piatta, a perdita d’occhio, e i ciuffi d’alberi intorno alle cascine creavano a lunghi intervalli macchie d’un nero violetto su quella grande superficie grigia che si perdeva all’orizzonte nella tristezza del cielo. » 67

Emma e Rodolphe s’incontrano per far l’amore : « Tra i rami spogli dei gelsomini brillavano le stelle. Sentivano il fiume scorrere alle loro spalle, ogni tanto un crepitio di canne secche sulla sponda. Grandi ombre si gonfiavano qua e là, nel buio, a volte, rabbrividendo d’un solo fremito, si alzavano e chinavano' come immense ondate nere sopravanzanti a sommergerli. Il freddo della notte li spingeva a stringersi ancor di più; i sospiri delle loro labbra parevano più forti; i loro occhi appena intravisti parevano più grandi; e, in mezzo a quel silenzio, certe parole confessate sottovoce cadevano nelle loro anime con sonorità cristalline, vi riecheggiavano in vibrazioni perpetuantisi quasi all’infinito. »68

Emma quale appare a Leon nella sua camera d’albergo il giorno dopo l’opera : « Emma aveva addosso una vestaglia di bambagina, appoggiava lo chignon contro lo schienale della vecchia poltrona, la tappezzeria gialla della parete le irradiava dietro come uno sfondo d’oro; e la sua testa scoperta si ripeteva nello specchio, con la riga bianca in mezzo e le punte degli orecchi che sfuggivano da sotto le bande. » 69

IL TEMA DEL CAVALLO

Indicare le apparizioni del tema del cavallo equivale a fornire una sinossi di tutta Madame Bovary. I cavalli, infatti, hanno una parte curiosamente importante nelle vicende del libro.

Il tema inizia quando Charles e la sua prima moglie « una notte... vennero svegliati dallo scalpitio di un cavallo che si fermò davanti alla loro porta ».70 È arrivato un messaggero del vecchio Rouault, che si è rotto una gamba.

Quando Charles è in vista della fattoria dove, tra un minuto, incontrerà Emma, il suo cavallo ha uno scarto violento, come davanti all’ombra del destino di lui e di lei.

Quando cerca il suo frustino, si china su Emma in un movimento esitante per aiutarla a raccoglierlo dietro un sacco di farina. (Cosa non avrebbe fatto Freud, quel ciarlatano medioevale, di questa scena!){1}

Quando gli invitati ubriachi tornano dal banchetto nuziale al chiaro di luna, carrozze trascinate a un galoppo sfrenato finiscono nei fossi d’irrigazione.

Il vecchio padre di lei, vedendo partire la giovane coppia, ricorda come, anni prima, aveva portato via la sua giovane moglie, a cavallo, su un cuscino dietro la sua sella.

Si noti il fiore che Emma lascia cadere dalla bocca stando a una finestra e i petali che cadono sulla criniera del cavallo di suo marito.

Le buone suore, in uno dei ricordi di convento di Emma, le hanno dato tanti buoni consigli sulla modestia del corpo e la salute dell’anima che lei « si comportò come i cavalli troppo imbrigliati : si fermò d’improvviso, e il morso le uscì dai denti ».71

Il padrone di casa a Vaubeyssard le mostra i suoi cavalli.

Quando lei e il marito lasciano il castello, vedono passare al galoppo il visconte e altri cavalieri.

Charles si adegua al trotto della sua vecchia giumenta che lo porta dai suoi pazienti.

La prima conversazione di Emma con Léon nell’albergo di Yonville inizia con il tema del cavallo. « Se... foste costretto come lo sono io a stare sempre a cavallo, borbottò Charles. Ma, riprese Léon, e parlava proprio alla signora Bovary, mi pare che non ci sia niente di più gradevole...) » 72 Già, niente di più gradevole.

Rodolphe suggerisce a Charles che cavalcare potrebbe fare molto bene a Emma.

La famosa scena della galoppata amorosa di Rodolphe e di Emma nei boschi è vista, si può dire, attraverso il lungo velo azzurro del suo abito d’amazzone. Notare il frustino che lei alza per rispondere al bacio che le manda la figlia alla finestra prima della cavalcata.

Più avanti, quando legge la lettera di suo padre dalla fattoria, ricorda la fattoria stessa — i puledri che nitrivano e galoppavano, galoppavano.

Una deformazione grottesca dello stesso tema si può trovare nel piede equino del mozzo di stalla che Bovary cerca di curare.

Emma regala a Rodolphe un elegante frustino. (Il vecchio Freud ridacchia nel buio.)

Il sogno di Emma di una nuova vita con Rodolphe comincia con una fantasia : « al galoppo di quattro cavalli » 73 viene portata in Italia.

Un tilbury turchino porta via al gran trotto Rodolphe, fuori della sua vita.

Un’altra scena famosa: Emma e Léon nella carrozza chiusa. Il tema del cavallo è diventato decisamente più volgare.

Negli ultimi capitoli la Rondine, la diligenza che fa la spola tra Yonville e Rouen, comincia ad assumere un ruolo rilevante nella sua vita.

A Rouen vede di sfuggita il cavallo nero del visconte, un ricordo.

Durante la sua ultima tragica visita a Rodolphe, che risponde alla sua richiesta di denaro dicendole che non ne ha, Emma indica con frasi sarcastiche i costosi ciondoli del suo frustino. (La risata nel buio è divenuta diabolica.)

Dopo che lei è morta, un giorno in cui va a vendere il suo vecchio cavallo — l’estrema risorsa —- Charles incontra Rodolphe. Adesso sa che è stato l’amante di sua moglie. È la fine del tema dei cavalli. In termini di simbolismo, non è forse più simbolico di quanto lo sarebbe oggi una decappottabile.

NOTE

MH Gustave Flaubert, Madame Bovary, in Oeuvres, Gallimard, Paris 1959-62, 2 voli.

(MBGustave Flaubert, Madame Bovary, trad. it. di Oreste del Buono, Garzanti, Milano 1965.

c Gustave Flaubert, Correspondance 1830/1846-1880, L. Conard, Paris 1926-1933, 9 voli.

L Gustave Flaubert, Lettere, a cura di Paolo Seiini, Einaudi, Torino 1949-

LC Gustave Flaubert, Lettere a Louise Colet, a cura di Giuseppe Lanza, Domus, Milano 1945.

 

1 MB, p. 328; (mb), pp. 3-4.

2 MB, p. 351; (MB), p. 24.

3 MB, pp. 353-354; (MB), p. 26.

4 MB, p. 625; (MB) p. 264.

5 MB, p. 339; (MB), p. 14.

6 MB, pp. 344-345; (MB), p. 18.

7 MB, p. 350; (MB), p. 23.

8 MB, p. 634; (MB), pp. 271-272.

9 MB, p. 355; (MB), p. 27.

10 MB, pp. 358-359; (MB), p. 30.

11 MB, pp. 365-366; (MB), p. 36.

12 MB, p. 381; (MB), pp. 49-50.

13 MB, p. 386; (MB), p. 54.

14 MB, p. 387; (MB), p. 55.

15 MB, p. 469; L, p. III.

16 MB, p. 406; (MB), p. 74.

17 MB, p. 407; (MB), p. 75.

18 MB, p. 409; (MB), pp. 76-77.

19 C, pp. 24-25; I-, p. 118.

20 MB, p. 398; (MB), p. 67.

2 1 MB, pp. 398-399; (MB), pp. 67-68.

22 MB, p. 399; (MB), p. 68.

23 C, pp. 42-43; L, p. 236.

24 MB, p. 399; (MB), pp. 68-69.

25 MB, pp. 4OO-4OI; (MB), pp. 69-7O.

26 MB, p. 401; (MB), p. 70.

27 MB, p. 329; (MB), p. 5.

28 C, pp. 85-86; L, pp. 13O-I3I.

29 MB, p. 424; (MB), p. 9O.

30 MB, pp. 425-426; (MB), p. 91.

31 C, pp. 166-167; LC) P- 72.

32 MB, p. 442; (MB), p. 106.

33 C, pp. 283-284; LC, p. 151.

34 C, P. 335 e p. 365; LC, p. 168.

35 MB, p. 448; (MB), p. III.

36 MB, p. 454; (MB), p. Il6.

37 MB, p. 455; (MB), p. 117.

38 MB, p. 460; (MB), p. 121.

39 MB, pp. 460-462; (MB), pp. 122-123.

40 MB, pp. 462-463; (MB), pp. 123-I 24.

41 MB, pp. 465-466; (MB), p. 126.

42 C, p. 405; LC, p. I74.

43 M», P- 47; (MS), p- 130.

44 MB, p. 473; (MB), P. 133.

45 MB, p. 472; (MB), p. 132.

46 MB, p. 545; (MB), p. 197.

47 MB, p. 548; (MB), p. 199.

48 MB, pp. 548-549; (MB), pp. 199-200.

49 MB, p. 594; (MB), p. 238.

50 MB, pp. 596-597; (MB), pp. 240-

51 MB, p. 602; (MB), p. 245.

52 MB, pp. 604-605; (MB), p. 247.

53 MB, pp. 606-607;(MB), p. 249.

54 MB, pp. 609-612;(MB), pp. 251-253.

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