IL VECCHIO CON GLI STIVALI
Vitaliano Brancati
Il Municipio della mia città è pieno di cartacce: quando, la mattina della domenica, gli uscieri si fanno aiutare dalle mogli o dalle figlie, per spazzare i pavimenti, grattare le volte, battere e picchiare gli scaffali, la polvere si affaccia alle finestre e ai balconi come una bestia restia e dagli occhi imbambolati che non voglia fare un passo fuori della buia stalla in cui ha piacevolmente poltrito.
Nel 1930, queste cartacce erano così numerose e fitte che si stabilì di accatastarle negli angoli delle camere, fino al soffitto, come grosse colonne adibite a rafforzare l'edificio.
Nella stanza di fondo al corridoio, la meno luminosa, quella che molti scambiavano per il luogo di decenza, i minutari, matricole, bollettari, campioni, repertori, non soltanto coprivano le pareti, ma formavano come dei muretti divisori, in mezzo ai quali, con estrema cautela, s'inoltrava la mattina un uomo di mezza età, magro e curvo come di solito sono le persone alte, e nondimeno corto, molto più corto del normale, ma non spiacevolmente corto, al contrario! Corto nel modo meno buffo, uno di quegli uomini piccini dei quali si apprende senza meraviglia che sono padri di ragazzi alti e ben fatti.
Egli era l'impiegato Aldo Piscitello, il primo che varcasse la porta del Municipio, quando ancora l'acqua della lavatura sullo scalone di marmo non s'era asciugata, sicché il suo ingresso rimaneva stampato sul pavimento del corridoio con le orme un po' lunghe di coloro che trascinano i piedi.
In qualunque stagione, si era presentato al Municipio in giacca nera, pantaloni a righe, colletto duro e cappello a cencio col nastro rattoppato; non si capiva se era un po' sordo, perché in verità chi avesse sangue nelle vene e non fosse sordo, avrebbe risposto Dio sa come al portiere che, vedendolo camminare sullo scalone ancora umido, aveva sempre mormorato: A questo qui la mattina lo svegliano le corna che ha in testa! (la frase venne pronunciata per intero nel 1920; poi si accorciò di alcune parole: Lo svegliano le corna!; e infine nel 1930 si era ridotta alla semplice esclamazione: Corna!), ma forse non aveva sangue nelle vene; tant'è vero che non soffriva il caldo, e mentre tutti, in luglio, bestemmiavano contro l'orario iniquo, e si tiravano i pantaloni, e rimboccavano le maniche, e passavano il fazzoletto dentro la camicia sul petto e le ascelle, egli non aveva mai sbuffato né portato la mano al colletto duro per allentarlo.
Tuttavia quest'uomo probo e poco rumoroso aveva un difetto aspramente contrario alla sua natura: soffriva di sbadigliarella nervosa, e naturalmente nelle occasioni meno opportune.
Al suono del suo sbadiglio, fra di guaito e pianto di neonato, gli uscieri si svegliavano brontolando: Come fa brutto, malanuova a lui!
Nella fotografia, che tutti gl'impiegati vollero farsi insieme al sindaco, nel 1923, si vede Piscitello che sbadiglia.
E il ricordo più tetro delle signorine Zingales è questo suono, fra di guaito e pianto di neonato, che Aldo Piscitello emise almeno dieci volte, nella chiesa del Carmine, durante le esequie del loro padre, tanto che Elena, la più grande, smise di piangere e mormorò: Una, col cuore nero che ha, deve anche sentire che quello lì si annoia!
Oltre a questo difetto egli aveva un segreto, un amaro, inconfessabile segreto: a cinquant'anni suonati, non era riuscito a diventare impiegato di ruolo.
Avventizio!, gli gridava la moglie, quando litigavano; ed egli correva a chiudere le finestre per non farlo sentire ai vicini.
Avventizio!, ribatteva lui.
Ma nessun sindaco mi ha licenziato, e nessun sindaco mi licenzierà mai, perché tutti mi stimano! Avventizio sì, ma come se fossi di ruolo!
Senonché una mattina del 1930, il podestà lo chiamò nel suo gabinetto e gli disse: Io dovrei licenziarla perché lei non è iscritta al fascio! Piscitello si fece pallidissimo, portò la testa indietro indietro e disse: Mamma!....
Poi cadde a sedere su una sedia imbottita posta davanti al tavolo.
Non faccia così, diamine!, continuò il podestà.
Io devo eseguire, e nel modo più rigido, l'epurazione del personale, perché qui, sia detto fra noi, c'è molta gente bacata.
Ma a lei, anche per riguardo a sua moglie, che è sarta della mia signora....
Perché dice sarta?, supplicò Piscitello, in mezzo a sbadigli penosi Non le permetterei di fare la sarta.
Qualche volta, aiuta le signore amiche!....
Ah!, sbuffò il podestà.
Insomma, lei farebbe bene a iscriversi nel fascio.
Vuole un consiglio? Si iscriva in quello di Canicattì, ove il segretario politico è un mio cliente, e se io gli dico una parola, e lei dal canto suo gli fa capire... insomma si regoli lei... nonostante che le iscrizioni siano chiuse, troverà il modo di farla figurare come iscritto!
Io, disse Piscitello, non ho fatto mai politica! E mi son trovato sempre bene!
Ma ora deve iscriversi al fascio!...
Eh, c'è poco da sbadigliare! L'ha capito che si tratta del pane? Del pane per lei e per i suoi figli! Quanti ne ha?
Tre.
E l'ultimo è piccino.
Di quanti anni?
E' nato nove mesi dopo la visita di sua eccellenza Mussolini in questa città, che, si ricorda?, mi hanno dato per la strada con rispetto parlando, uno scapaccione perché non m'ero levato il cappello!
E che c'entra il figlio, con questo?
E sì...
La sera, io non so più com'ero... molto arrabbiato, signor podestà... perché il cappello me lo sarei levato, se avessi saputo...
E non potevo dormire...
E mi facevo tenere le mani da mia moglie, e la baciavo piangendo...
E insomma è venuto fuori questo figlio, che non ci voleva davvero....
Sua moglie dev'essere una gran brava donna!...
Comunque, Piscitello, restiamo intesi: io rimando l'esame del personale, e lei frattanto s'iscrive!
Signor podestà, se potessi non....
Ma Piscitello, lei è impazzito! Ci sono ex deputati e ministri che regalerebbero un occhio per iscriversi al fascio.
E purtroppo ormai sono conosciuti come buoi di fiera per democratici arrabbiati e pipini, e non possiamo prenderli nella barca. E anzi, se non la smettono di brontolare, dobbiamo mandarli al confino...
E lei si fa pregare! Ma chi crede di essere, lei? Cosa fa, ci sputa sul fascismo e sul Duce?...
E la smetta, di sbadigliare!
Signor podestà, sua eccellenza Mussolini è dio e io sono, con rispetto parlando, merda.
Ma mi son sempre trovato bene a non far politica....
Piscitello, arrivederci.
Domani mi dirà se desidera rimanere al suo posto o cambiare mestiere!
Piscitello si alzò mogio mogio, fece due inchini che nessuno vide perché il podestà s'era preso la testa con le due mani e curvato a leggere le sue carte, e uscì infilandosi, per la prima volta nella vita, due dita entro il colletto con l'intenzione di allargarlo.
La sera, in casa, raccontò alla moglie quanto gli era successo.
E che vorresti fare?, disse la moglie.
Ti iscrivi!
Egli non rispose nulla fino a quando sbucciò meticolosamente la pera, asciugò il coltellino nella salvietta, lo chiuse e conservò in tasca.
Rosina, disse poi, io non sono fascista!
E lo diventi!, fece la moglie. - ` Aldo Piscitello non rispose nulla, porse la pera sbucciata alla moglie, si accese una cicca di sigaro e rimase a guardare, con le mani intrecciate sulla tavola, le buffate di fumo che gli uscivano tarde dalla bocca.
Chi diavolo guardava con l'occhio destro dal sopracciglio rialzato, e quale strano sogno gli passava nel chiuso occhio sinistro che pareva dormisse? Per quasi due ore, restò così, e non s'avvide che la tavola era sparecchiata, la lampada del soffitto spenta e sostituita da una piccola luce che veniva dal corridoio, la moglie già in letto.
Aldo!, gridò lei.
Vieni! Mettiti a letto! Devo dirti una cosa.
Egli arrossì vivamente, come se la moglie lo avesse sorpreso ad assaggiare la pasta nella pignatta, e compiute in fretta le solite operazione della sera, presto fu sotto le coltri.
In fondo, disse la moglie, il fascismo è una gran bella cosa!
Non dico di no, fece egli che, nei giudizi, era sempre rispettoso.
Ha fatto le strade; c'è ordine; nessuno più disturba i galantuomini; ti ricordi quando i comunisti ti fischiarono perché avevi in mano il pacchetto di dolci, che non era nostro...? Era del signor sindaco, disse Aldo Piscitello.
Mi piace come fa crescere i giovani! Guarda che i giovani vanno pazzi per Mussolini!
Non dico di no, non dico di no! Ma io mi son fatto sempre gli affari miei, e ora non so che cosa vogliano con questo fascismo!
Senti!, disse la moglie che cominciava a stizzirsi.
Mille e mille persone meglio di te e di me dicono che il fascismo è una grande cosa, e tu fai tante storie per diventare fascista?
Oh, io ne sono onorato! Ma vedi?....
E il Papa? Sai cos'ha detto il Papa? Che quell'uomo lo ha mandato la Provvidenza! Ora se il Papa, che è Vicario di Dio in terra, non ci pensa due volte....
E così continuò la moglie, finché levandosi nella foga dell'eloquenza, sul gomito destro, s'accorse che il marito dormiva.
Piano piano ricadde supina e seguitò a ragionare per conto suo.
Verso le due del mattino, non potendo più resistere alla maligna esultanza che le dava la conclusione cui era pervenuta ragionando, svegliò il marito: No, tu mi devi dire questo: ti credi meglio del Papa?
Che?...
No!... il Papa?, esclamò Aldo Piscitello nello spavento che gl'incutevano di notte le idee di Papa, Imperatori, Re, Dittatori, Ministri, Generali, tanto simili per lui ai baratri profondi e tenebrosi nei quali non abita che il vento.
Ma poi si calmò, richiuse gli occhi, e piano piano, tra una bollicina di saliva, disse: Domani m'iscrivo al fascio!
Dal 1930 al 1934, la vita di Aldo Piscitello, per la sua liscia e compatta semplicità, rimane impenetrabile, non diremo all'occhio nostro, ma anche a quello di un grande narratore e poeta.
Sulla sua giacca nera s'era posato come un maggiolino il distintivo col fascio, ed egli di tanto in tanto lo guardava torcendo gli occhi all'ingiù, con una espressione così ingannevole che chiunque avrebbe potuto dire: Lo ama, gli piace, lo odia, lo spaventa, lo infastidisce, gli fa il solletico, se lo gratta, ora se lo toglie, ora se lo mangia, no che se lo soffia, veh che se lo bacia!
Ma egli si accontentava di passarvi la manica sinistra, come per lucidarlo, e riprendeva a scrivere sui registri.
Nessuno riuscì a cavargli un giudizio politico dai denti.
Adempiva scrupolosamente tutti i suoi doveri d'iscritto al Partito, come per vent'anni aveva adempiuto quelli d'impiegato municipale: indossava la camicia nera nei giorni comandati; leggeva l'"Organo del Partito"; frequentava il circolo rionale; e nei pomeriggi del sabato, imbrancato con gli altri, visitava i musei pieni di luce bigia e sentiva echeggiare i passi degl'impiegati municipali nel marmo freddo delle statue.
Sebbene, in quel torno di tempo, le teste degl'Italiani, completamente rapate all'uso militare e drizzate su spalle irrigidite e protratte da giacche sportive, cominciassero piano piano, prima quelle dei giovani e degli atleti, poi anche quelle di anziani e professionisti e ben pensanti, a spirare furore, la faccia di Aldo Piscitello rimase sempre improntata a un'antica dolcezza, per cui egli sembrava piuttosto il ritratto di un italiano ingiallito dal tempo che un italiano vero e proprio.
Questa gentilezza di espressione dava nell'occhio del caposettore quando costui lo faceva veleggiare pomposamente, dalla pedana del circolo rionale, sull'uditorio in camicia nera.
Voi, camerata, laggiù!....
Piscitello si alzava col più dolce e rispettoso sorriso che si fosse mai visto: Io?
Si, voi!....
Il caposettore lo squadrava perplesso, sentiva che quell'uomo non andava bene e non faceva proprio al caso, ma non sapendo in che cosa precisamente non andasse bene, si accontentava di esclamare: ...
Che diavolo!
Fu messa una spia alle calcagna di Piscitello, non perché egli fosse un personaggio preoccupante, ma così per provare, e anche perché c'erano tante spie che non sapevano come passare la giornata.
La spia riferì di Piscitello sette parole di carattere politico, tutte piene di rispetto per il fascismo: aggiunse che, passando davanti alla fotografia di un metro e cinquanta per tre del Duce, posta ai Quattro Canti, Piscitello soleva toccarsi la falda del cappello; e infine, come frase lievissimamente sospetta, ma non di ordine politico, citò la seguente, detta da Piscitello a un giudice di Tribunale: Se non mi aiutasse un poco mia suocera, con lo stipendio, le assicuro, non riusciremmo a farcela....
Era il '34, e in casa Piscitello si mangiavano, ogni giorno, due o tre cose in meno di quelle che sarebbero state necessarie a un uomo di cinquantaquattr'anni piuttosto magrolino, a una donna che lavorava in casa, e probabilmente anche fuori di casa (su questo, Piscitello non aveva mai spinto lo sguardo) e a tre bambini che avevano la fame della lupa, di cui, secondo il Partito, erano figli.
Sicché quando si seppe che agl'impiegati squadristi lo Stato paternamente avrebbe regalato due mila lire, Piscitello si sentì abbracciare così strettamente dalla moglie che poi rimase a tossire per un pezzo.
E che c'entriamo noi?, disse Piscitello, accennando a se stesso, ai bambini e anche alla moglie.
Noi non siamo squadristi!
Lascia fare!, disse Rosina.
Come sei ingenuo, tu! Non sappiamo cos'abbia combinato quel demonio di donna.
Ma venti giorni dopo, Aldo Piscitello apprendeva ch'egli si era iscritto al Partito nel 1921, che gli spettava di diritto la qualifica di squadrista, e gl'incombeva l'obbligo di fregiare la camicia nera con un nastrino rosso, simbolo del sangue versato e fatto versare.
Il giorno in cui la moglie, gettando faville di gioia per le due mila lire già arrivate in casa e spalancate sulla tavola, gli cucì sui polsi due filetti rossi, la faccia di Aldo Piscitello aggiunse alla sua abituale espressione di mitezza un tratto molto strano.
Egli soleva portare sempre la bocca chiusa, e se gli toccava di parlare o sorridere, faceva un piccolissimo spiraglio, e quello stesso si affrettava a chiuderlo prima che l'ultima parola fosse riuscita a tirar fuori la sua desinenza o il sorriso a sgorgare pienamente.
Da quel momento, continuò a portare, sì, la bocca chiusa, ma vi aggiunse una certa visibile forza nel tenere unite le labbra.
Con questa singolare espressione, passò tutto il '34 e il principio del '35.
I suoi discorsi, già di poche parole, si ridussero ad alcuni monosillabi; ma i suoi atti e le sue abitudini, per quanto silenziosi come quelli di una bestia casalinga, divennero ineccepibili in ordine alla politica.
Già in numerose fotografie di gruppi fascisti, si vedeva la sua faccia, sempre però con quella strana espressione, già il suo nome figurava in alcuni album invidiati che, avvolti in fasce tricolori, venivano offerti da grosse ragazze impudenti a ministri e ispettori del Partito; e il podestà guardava a lui ogni volta che, parlando agl'impiegati, diceva: Noi vecchi fascisti, vere pellacce...; ed egli, quel giorno stesso avevo risposto: Sì!...
Come no?, a un amico che gli domandava se l'obbligo della divisa con gli stivali fosse o no sacrosanto, e poco dopo aveva fatto una smorfia, non diremo di approvazione, ma vagamente umida di un consenziente sorriso a proposito della persecuzione contro gli ebrei iniziata in Germania, quando la sera, quest'uomo mite, questo cinquantaquattrenne magro e taciturno, compì un atto...
Ecco cosa fece.
Giunto a casa, e visto che nessuno dei suoi era rientrato, si strappò il distintivo dalla giacca, ci sputò sopra due volte, lo buttò a terra e lo pestò; quindi così spiaccicato com'era e ridotto a una blatta, lo sollevò di nuovo e lo tenne davanti agli occhi, ma per poco; lo gettò nell'orinale, e vi pisciò; poi, con un legno, lo tirò fuori, lo pulì con acqua e sapone, lo aggiustò alla men peggio e se lo rimise all'occhiello.
Quando la moglie e i figli rincasarono, Aldo Piscitello stava seduto, in un angolo della saletta da pranzo, fermo, silenzioso, con lo sguardo fisso, e solo il petto che gli andava su e giù, proprio come a un volatile in preda all'affanno della febbre.
Che ha?, pensò la moglie, strappandosi di nascosto, col dorso della mano, il carminio dalle labbra.
Vieni qui, Maria!, disse alla figlia maggiore, che si avvicinò aggiustandosi, sui due grossi pomi che la bianca giubba di giovane italiana le stringeva e molestava con dolcezza, la barcollante M di legno.
Che hai?, fece la moglie.
Aldo Piscitello levò gli occhi sulla moglie e la figlia, tirò in giù le labbra come la corda di un arco: Quanto siete brutte!, disse.
Da questo momento preciso, la storia di Aldo Piscitello cambia totalmente e pare la storia di un altro.
Che diamine gli avevano fatto, a quest'uomo mite, che non s'era mai occupato di politica, che non aveva grandi ideali né ambizioni né bisogno di spazio e libertà per i suoi progetti? In quale punto segreto lo avevano toccato? E così senza parere, come aveva potuto, la società in cui egli viveva, stringerlo per il collo sino a farlo starnazzare come un pollo che ha capito improvvisamente le intenzioni della mano che pareva accarezzarlo? Non sappiamo rispondere.
Certo è che, dopo le sue parole madre e figlia si guardarono intorno come a cercare il torvo sconosciuto che si fosse introdotto nella loro casa per insultarle.
Ma non c'era nessuno, e con pena, e stupore, e spavento dovettero convenire su questa realtà strabiliante: l'autore di sì nefande parole era proprio il loro padre e marito, e nessun altro che lui, il garbatissimo uomo che aveva sempre detto: Sì...
Come no?, e la mattina, pulendosi le scarpe, vi sputava piano piano per non svegliare la famiglia, e il cui solino, posato la sera sul canterano, pareva liso dai tanti sorrisi che vi erano colati durante il giorno dalla bocca chiusa giù giù per il collo dolce e macilento.
Ma di tali sorrisi, da quella sera in avanti, non rimase che il ricordo.
L'odio, il più forsennato e cieco odio, s'impadronì di Aldo Piscitello.
Era una passione talmente sproporzionata, si ficcò in lui con tanta difficoltà, come un vento tempestoso e lungo chilometri in un paio di mutande, che il piccolo uomo parve cigolare e cricchiare da ogni parte, non riuscì più a star fermo, quieto, composto, a chiudere completamente la bocca, a introdursi tutto nel sonno.
Anche dormendo, gli cascavano di bocca alcuni: Bestie! e Cornuti!, piani in verità e tutti fiato, ma con qualche goccia di saliva sulla fine, che andava a bagnare il guanciale; o la spalla di Rosina.
Per le strade, accanto a lui e all'altezza della sua spalla, c'era sempre la sua mano destra che disapprovava, faceva segno di no, mandava all'inferno.
In un tempo in cui tutti erano superbi e ottimisti, anche il violino nella stradetta solitaria provava cadenze di marcia, i bambini nei sesti piani vicino alle nubi imparavano gl'inni, inni mugolava a tavola fra un boccone e l'altro il professore sessantenne che non aveva mai cantato, l'ubriaco di notte, ruotando con le spalle a un fanale, rantolava: Dome-re-mo il mondo!, e notte e giorno ai balconi cigolavano le bandiere, Aldo Piscitello fece risuonare dei suoi Mah! pieni di sconforto alcuni grandi portoni davanti ai quali soleva passare rincasando.
Alle cerimonie politiche andava come prima, e forse con maggiore assiduità; vi andava aggricchiando le spalle come a soffocare il penoso e piacevole brivido che tutto lo faceva tremare.
Eccolo nella sala del circolo rionale: egli era ormai a poca distanza dagli oggetti del suo odio, poteva quasi strofinarvi gli occhi e il naso, ne era stretto da ogni parte con l'abbondanza dei sogni e degl'incubi.
Come attraverso una lente smisurata, egli era in grado di vedere quanto fossero imbecilli, quanto fossero balordi, quanto fossero prepotenti a destra e vigliacchi a sinistra, quanto scavezzacolli, corti, malpartoriti, sconci! Per lui era di un gusto inaudito potere strisciare accanto a un vicesegretario federale dicendogli mentalmente: Gran coglione!, e mentre quello si piantava in posa statuaria, e sollevava col respiro, come un'ampia mammella, il mucchio dei nastrini, medaglie, medagliette, teschi, pugnali, Aldo Piscitello a un passo da lui, con la faccia umile e magra, gli diceva mentalmente: Ladro!...
Ladrone di passo!...
Sì, ladro!
Nelle adunate estive, la sua gioia toccava gli estremi limiti perché ai soliti piaceri se ne aggiungeva un altro di natura olfattiva; egli "li" sentiva puzzare come capre sotto il pesante orbace.
Oh, le bestie!, diceva fra i denti, passando da un punto all'altro per confrontare il tanfo del segretario politico con quello del segretario federale amministrativo.
Oh, le bestie!
Il 28 ottobre, anniversario solenne della marcia su Roma, si alzava di buon mattino e si concedeva un diletto singolarissimo ritiratosi nella più piccola stanza della casa, accendeva un sigaro Roma e lo fumava lentamente guardandosi da ogni parte la mano che teneva il sigaro fra l'indice e il medio.
Una gran calma era nel suo occhio destro, e più nel sinistro, l'immobile naso pareva immerso nell'aria come il gambo di un fiore nell'acqua, silenziose buffate esalavano dalla sua bocca.
Era la vita che si occupava sbadatamente di lui, più che lui di vivere.
Finché non suonavano le otto all'orologio del palazzo degli studi.
Spento brutalmente il sigaro, Aldo Piscitello saltava in piedi, lasciava lo stanzino e correva nella camera da letto.
Qui, senza riguardo alcuno per la moglie che dormiva, spalancava le imposte e si dava a rovistare nel canterano.
Cosa cerchi, si può sapere?, diceva la moglie passandosi le mani sulle guance Frattanto Piscitello aveva tirato fuori, da un mucchio di roba bianca, una sorta di cencio funerario: era la camicia nera.
Diamine, Rosina, è sporca, questa camicia? Chi l'ha sporcata così?
Io non lo so davvero!
Solo dopo un poco, Aldo Piscitello si ricordava che, la sera dell'ultimo sabato fascista, prima di conservarla ci aveva ballato sopra.
Vuoi che te la stiri di ferro?, diceva la moglie.
No, Rosina, ti prego, sta a letto, lascia fare a me!
Voleva fare tutto lui, e nessuno s'azzardava di contraddirlo.
Lui infatti accendeva il ferro, lui stirava la camicia, lui la spazzolava.
Voleva esser solo, eseguendo queste rapide operazioni, perché pare che masticasse alcune strane parole.
Già aveva indossato la camicia; e la moglie e i figli lo vedevano passare e ripassare in mutande bianche e camicia nera con in mano i pantaloni alla zuava.
Andava su e giù, cercando con gli occhi un luogo conveniente, e masticando, sempre meno adagio, le sue strane parole.
Finalmente trovava questo luogo nella saletta da pranzo, fra la credenza e una parete.
Qui sedeva su uno sgabello basso e levando in aria le gambucce stecchite, le profondava nei pantaloni alla zuava.
Dopo averle cacciate più avanti che potesse, annodava i laccetti sugli stinchi; ma non era ancora finito, anzi il bello incominciava ora: davanti a lui, si drizzavano gli stivali, come dicendo: Qui ti voglio, squadrista del malaugurio!
Rosina!, strillava Aldo Piscitello, ormai incapace di combattere da solo.
E tu Maria, figlia della lupa, aiutatemi!
Madre e figlia si precipitavano dai letti, gli s'inginocchiavano davanti e si sforzavano di calcargli lo stivale, spingendolo per il tacco, mentre egli, afferrato ai tiranti, faceva forza sino a scoppiare.
Ma lo sforzo di tutti e tre riusciva vano, ed egli s'abbatteva gridando: Chiamate il portiere, non siete buone a nulla!
Ma il portiere, fiduciario di un circolo rionale, l'unica persona dell'edificio che possedesse un calzastivali, era andato al piano di sopra, ad aiutare il presidente del tribunale che, grasso com'era, si spremeva tutto, e riduceva con le lacrime agli occhi, prima di esser pronto per l'adunata.
Con l'aiuto di Dio, Aldo Piscitello riusciva a mettersi in piedi e, indossata la giacca d'orbace, si affibbiava il cinturone di cuoio sulla pancia magra: poi andava allo specchio, mentre la moglie con un sospiro diceva alla figlia: Cerca lo strofinaccio!
Non era mai accaduto infatti che, dopo aver riflesso il proprio padrone in divisa lo specchio non rimanesse con uno scaracchio sulla superficie, una sorta di pendaglio scivolante, qualcosa che, sciogliendosi a mano a mano, faceva sì che lo specchio sembrasse ridere malignamente, o, il diavolo sa come, piangere.
Il presidente del tribunale, incontrando per le scale Aldo Piscitello, ch'era squadrista, lo salutava per primo alzando la mano flaccida e gialla al di sopra della testa, e Piscitello gli cedeva il passo per godersi lo spettacolo di quell'uomo carnoso addentato, palpato e messo in mostra dai violentissimi cuoi che lo cingevano.
Ma questo spettacolo, non era il solo che si godesse, in quel giorno memorabile.
Professori di università, vecchi signori cadenti, giovani in verità molto grassi.. ormai li conosceva uno per uno, e se non l'incontrava per il corso, andava a cercarli nei caffè in cui solevano recarsi o addirittura nei vicoletti.
I piedi gli dolevano mortalmente, e gli specchi dei negozi sembrava gli si parassero davanti ad arte, per mostrargli continuamente quel se stesso in stivaloni, con la faccia verde e sconcertata, sicché egli si annusava l'alito nella palma della mano, e doveva convenire che il fegato non gli andava bene.
Ma pazienza! Purché rincasando potesse dire: Come siamo deformi, bontà divina! Altro che popolo guerriero!
Sì, esclamava la moglie sarcastica.
Infatti non è vero che l'altezza media degl'Italiani è cresciuta di un centimetro, da quando c'è il fascismo?
Non è vero! Non è vero!, gridava egli.
Per te, non dicono la verità, nemmeno per isbaglio! No, mai! Quello che dicono loro non è vero mai!
Disfattista!, mormorava fra i denti la moglie.
Quello che dicono mi fa schifo! Mi nasconderei sottoterra, per non sentirli!
Ma frattanto quello che essi dicevano, glielo dicevano sempre più forte, sempre più dentro l'orecchio; le radio dei vicini erano sempre aperte, facendo tremare, nei bicchieri, nelle caraffe, nei vetri dei balconi e della credenza, i loro evviva e i battimani e credere! obbedire! combattere!; e i negozi, essendo scoppiata la guerra etiopica, avevano collocato i megafoni dei loro apparecchi sui balconi, sicché le strade parevano tunnel scavati entro gl'imperiali urli fascisti; e comandamenti, incitamenti, sferzate contro di lui e quelli come lui, teste di potenti, gli entravano in casa coi calendari-réclame, il giornale, i quaderni e i libri dei figli.
Impazzirò!, disse egli.
No, fece la moglie, tu sei già pazzo!
Il '36 e il '37 furono gli anni più neri per Aldo Piscitello.
Si sentiva solo come una mosca in gennaio, e aveva paura di passare in quei punti del marciapiede ove l'ombra tempestosa delle bandiere pareva scavare dei vortici.
Fu allora che l'avvocato Padalino, ex democratico e mai iscritto al fascio, gli disse: Caro Piscitello, hanno ragione loro, non vede che vincono?
E il ragioniere capo, che una volta aveva sputato sul ritratto del Duce, una sera, tornando da un viaggio a Roma, lo chiamò in disparte e gli confidò:
Questo nuovo berretto con la visiera gli s'adatta proprio bene; è stato per me una rivelazione:... ha il profilo della vecchia razza latina, non c'è che fare!
E il vecchio farmacista Platania, reduce dal confino, nelle passeggiate a due per le stradette solitarie, si torceva a destra e a manca il pizzo brizzolato e gli mormorava: Prudenza, prudenza, signor Piscitello! Non parli così alto!
Una sera, la moglie sparecchiò in fretta, gli si sedette di fronte, poggiò le braccia conserte sulla tavola, il petto sulle braccia, e gli disse: Sentiamo un po': che ti ha fatto di male, il fascismo?
Aldo Piscitello arrossì come chi si trova all'orlo di un piacere inaudito, mille impulsi gli affluirono alla mente, la memoria gli presentò tutte le parole possibili perché egli parlasse, parlasse fino al domani, non smettesse più di parlare, ma in verità, quando venne al fatto, non trovò che questi argomenti: Tutte le cose antipatiche, le fa lui; i cantanti nei teatri non possono concedere il bis: ci ha tolto il piacere di prendere una tazza di caffè; dobbiamo darci tutti quanti del voi, e un superiore sbarbatello a me anzi può dire tu... tu... tu...!
Egli riprodusse tutte le intonazioni offensive con cui gli davano del tu.
Ai ragazzi insegnano a cantare dalla mattina alla sera come se fossimo a teatro, e non insegnano invece l'educazione o che so io; dobbiamo salutare alzando la mano, come se ci riparassimo da una bacchettata o da uno sputo! Infine, dobbiamo mettere gli stivali!
Ci fu una pausa.
Tutto qui?, fece la moglie.
Aldo Piscitello si sentì confuso, abbassò gli occhi sulla tavola, poi li rialzò pesanti di tutte le cose che avrebbe voluto dire, dovuto dire, ma che non sapeva dire.
Perché un canto di Milton o di Leopardi sulla libertà, o il libro di un filosofo proibito non volò in soccorso di questo poveruomo, tradito da tutte le sofferenze che un'anima onesta può ricevere dall'oppressione, e tuttavia incapace di dire perché soffrisse? Così una donnetta, educata nei corsi per le massaie rurali, ebbe ragione di lui, e rimase a ridergli in faccia lievemente.
Egli sentì di essere barbaramente abbandonato dalle cose alte per cui soffriva pene acerbe, e uscì sul balcone a guardare il cielo.
Le stelle, purissime e chiare, così diverse dagli occhi torvi e limacciosi dei gerarchi, gli dissero che aveva ragione lui; ma questo lo incoraggiò fino a un certo punto; esse infatti non aggiunsero perché avesse ragione.
Fortunatamente passava una serenata, e questa gli provocò un lampo nel cervello.
Non abbiamo più musica!, gridò rientrando dal balcone.
Una volta si facevano tante belle opere, l'"Aida", la "Traviata", la "Butterfly", la "Vedova allegra"...
Nessuno fa più musica!
E perché non la fanno?, disse fredda la moglie.
Chi glielo vieta? Perché non la fanno?
Egli si ficcò le unghie della destra nella palma della sinistra: se la sentiva su tutta la pelle, la ragione per cui nessuno sapeva fare più musica, ne tremava e rabbrividiva come di un sudore freddo, ma non sapeva dirla.
La notte morse il cuscino, lacerò la federa, e andò a finire con le labbra tra i fiocchi di lana.
Brutta notte!...
Egli se ne vendicò un anno dopo, durante la guerra di Spagna, svegliando la moglie che, la sera avanti, aveva battuto le mani a una radio che proclamava il bombardamento di Valencia: E tu sei cattolica, e tu sei cristiana? E tu ti fai la Croce, e baci il Cuore di Gesù? Tu che vai in sollucchero per il bombardamento di una città dove ci sono bambini, donne meglio di te, e ammalati?
La moglie finse di non averlo sentito.
Verso l'alba, gli rispose: L'importante è che vinciamo! Ora, sì, ci mettiamo a far complimenti! Scommetto, aggiunse poi, levando a sedere sul letto il proprio corpo come uno stendardo di vittoria, scommetto che a te non piace che l'Italia vinca!
Egli si levò a sedere accanto a lei e, ficcandole gli occhi negli occhi: Sì, disse, hai detto la verità: non mi piace che l'Italia vinca!
E perché?
Ahi! Come al solito, Aldo Piscitello non lo sapeva.
Ma sapeva che un perché c'era e scintillava di notte sul mondo come un cielo stellato, e splendeva di giorno come il sole.
Afferrò allora il mento della moglie e, facendole una moina infernale, accosto accosto, sino a fregarle il naso sul naso, coi denti stretti e le labbra spalancate, sillabò: Perché non mi piace!
Pagò caramente le smoderatezze di quella notte, perché l'antica sbadigliarella, sopita per alcuni anni, tornò a stringergli le guance, con questo di nuovo: che ora gli sbadigli non giungevano a compimento ed egli rimaneva a boccheggiare per alcuni minuti come un pesce tirato sulla sabbia.
Il colloquio con la moglie, lo riprese bruscamente cinque sere dopo, con le seguenti parole: Io uscivo pazzo per l'Italia! Quando sentivo la Marcia Reale, mi veniva sempre da piangere...
Ma questa, aggiunse con un tono insolito, non è l'Italia, questa è un pugno di mascalzoni che vuole versare il nostro sangue per opprimerci ancora di più! Se quest'Italia vince, gl'Italiani perdono la... la... il....
Qui inciampò e, voltandosi cautamente di fianco, come uno scolaro, cercò di gettare lo sguardo nel fogli che teneva dentro la palma e nel quale aveva copiato alcune parole sentite al caffè.
Ah, bene!, esclamò la moglie.
Impari la lezione! Egli arrossì fino alle orecchie, bevve un bicchiere d'acqua, stracciò quel foglio, ed altri che aveva in tasca, e s'immerse in una ventina di sbadigli uno più faticoso dell'altro.
La moglie ne ebbe pena.
Ma che hai? Ma che cosa ti manca?, gli domandò.
Aldo Piscitello si agitò un poco, frugò nelle tasche come cercando i foglietti che aveva stracciato, poi parve assottigliarsi, e fissò la moglie con quell'aria di povera bestia malata nella quale si rannicchiava tremolando allorché gli mancavano le parole per rispondere.
Così passarono altri due anni.
Che cosa abbia fatto in questo tempo Aldo Piscitello, io non lo so: mi mancano molte notizie e mi mordo le mani.
Posso dire solo questo: che il suo odio si fece sempre più ardito e perfetto, le sue parole più impacciate e insignificanti, e i suoi sbadigli più lunghi.
Credo che anch'egli fosse in piazza Venezia, quando Mussolini domandò agli squadristi se amassero la vita comoda, e quelli, appunto perché l'amavano teneramente, e non volevano essere incomodati dai questurini risposero con un urlo: No! Non l'amiamo, la vita comoda! Vogliamo la guerra! Ci piace star male!
Quello lì, mormorò un vecchietto in orbace e decorazioni, accanto ad Aldo Piscitello, indicando il balcone del palazzo, era magro quando venne la prima volta a sfruconarci, e il popolo italiano invece stava bene ed era grasso; ora lui è grasso, e il popolo italiano è magro! Sante parole!, disse Aldo Piscitello.
Ma qui di nuovo lo perdo di vista, e lo ritrovo nella mia città, dentro lo sgabuzzino di una farmacia, mentre un signore in camice bianco pizzica la chitarra e canta:
"In te rapito, al suon della tua voce lungamente sognai..."
e due altri signori anziani si torcono dalla delizia, così seduti come sono, facendo perno su una guancia appoggiata al manico del bastone.
Com'erano belli, quei tempi!, dice uno.
Cortesia, gentilezza, rispetto degli altri, la musica, l'amore, la Patria, gioventù, studio, Francia, dolce Francia, e tu Italia, e il mio compagno che si uccide per una donna!
Che ci hanno messo nel cuore?, dice l'altro.
Buio!
Buio.
Questa parola fa alzare Aldo Piscitello, rapito dalla sua verità.
Sì, mormora col fiato, buio, nel cuore!
E poco tempo dopo, quando i giornali e la radio ordinarono l'oscuramento, e le lampade delle strade si ridussero ciascuna a una favilla rossa con un nastrino di barlume azzurrognolo, e si spensero le icone cancellando Madonne e Cuori di Gesù dalle mura di lavagna, e si spensero le cappelle funerarie chiudendo totalmente il buio a quelli che vi sono immersi per sempre, e imbrunirono le scale e gli abbaini, e un solo raggio, che gemesse da un balcone, sottile come uno spillo, suscitava grida di scandalo e paura, quando la città parve un mucchio di carbone umido, e dei passanti si videro si e no i piedi fiocamente illuminati da arnesi tascabili, o la bocca nei momenti in cui svampava la sigaretta, e il signor Castorina, cieco dell'altra guerra, che usciva ogni notte alle undici tastando il terreno col timido bastone, cominciò a camminare spedito, festivo, sicuro, come se il mondo ormai fosse suo, e i nottambuli cercarono invano con gli occhi, sulla nera piramide della chiesa, l'antico orologio della gioventù che tante volte li aveva ammoniti sull'ora tarda o avvertiti che fra cinque minuti il portone di lei si aprirebbe, e un modesto e laborioso cittadino vestito di bianco fu nero come un gerarca vestito di orbace, Aldo Piscitello si affacciò al balcone e disse: Buio nel cuore e buio fuori! Così va bene!
E dopo? Dopo, cosa disse e fece? Sinceramente non lo so.
Dei due amici, che gli furono accanto in questo primo tempo della guerra, l'uno, un tipo gioviale, non può dirmi nulla perché l'anno scorso gli si rovesciò addosso, dal camino alla garitta del portinaio, la casa a tre piani che s'era messa su amorosamente, pietra per pietra, chiodo per chiodo, quadretto per quadretto, e più cose aveva comprato e amato e più gliene caddero in testa, e l'ultimo biglietto che lasciò tra le macerie non è affatto gioviale né dice nulla che riguardi Piscitello, limitandosi a queste quattro parole a matita: Muoio dopo cinque giorni.
Dell'altro so che, due anni fa, avanzandosi in Egitto verso Alessandria, era interamente coperto di pidocchi, e bestemmiava anche nelle cartoline.
Adesso è prigioniero, e io aspetto che ritorni per invitarlo a cena, dargli da bere e farlo parlare.
Saprete allora perché io certamente mi affretterò a riferirvelo, che cosa fece Aldo Piscitello quando la città regalò i pugnali agli squadristi volontari che, dal palcoscenico del teatro, guardavamo smarriti nella sala quei figli di cane dei fascisti semplici che sarebbero rimasti tranquillamente a casa, mentre loro... ma parecchi di loro, a ogni buon conto, badavano a tossicchiare a pizzicarsi lo stomaco, e avevano, come suol dirsi, il settebello già incassato, perché erano già d'accordo coll'ufficiale medico che li avrebbe dichiarati inabili alla guerra; o quando, ai tre notturni lamenti della sirena, milioni di brave persone, taluni con le scarpe in mano, lasciavano i letti e facevano ressa nei ricoveri come formiche che si rintanino mentre nel cielo scorrazzavano lugubremente una ventina di giovanotti con le giubbe di camoscio...
So questo però che, nonostante Aldo Piscitello avesse una gran paura degli allarmi, e corresse primo nel rifugio, con un bambino in braccio e la moglie dietro che gli portava le bretelle, tuttavia diventava rosso come un tacchino quando gli dicevano che le bombe inglesi s'eran prese l'umido nelle cantine di Malta e non scoppiavano, che gli aeroplani scaricavano fuori della città non per cortesia, ma perché temevano i cannoni, e non sarebbero stati simili paurosi con simili armi a vincere il fascismo, che il mondo sarebbe stato tutto fascista, non c'era nulla da fare! Un giorno, per la strada, il segretario federale, facendo le ruote col mantello nero che, sbattuto a destra e a manca, lasciava lampeggiare, ora a destra ora a manca, i sottostanti alamari e decorazioni, posò l'occhio su Aldo Piscitello proprio nel momento in cui pensava Dio sa che cosa sul Duce e se stesso.
Sebbene quell'occhio l'avesse guardato senza vederlo, anzi proprio per questo, parve a Piscitello che quell'occhio parlasse.
E le prime parole furono: "Che sei tu, strana cosa posata sul marciapiede? Prima che io possa darti un nome qualunque, e finalmente vederti, devi riunirti a centomila cose come te, vestite tutte allo stesso modo, stipate in una piazza, e allora, se getterete un urlo, un buon urlo, un urlo come si deve, allora sì, allora andrà benissimo, allora certamente!...".
Piscitello rimase fuori di sé per tutta la giornata, e la notte, essendosi pesantemente levata dal mare la luna piena, telefonò, dalla casa del vicino Aleffi, all'amico Platania, reduce dal confino: Senta Platania, se non vengono stasera, alludeva agli aeroplani, sono dei fessi!...
Ma se c'è una luce che pare di giorno?...
Quando vogliono venire allora?
E quest'uomo ha dei figli?, mormorò inorridita la moglie del vicino, ascoltando dall'altra stanza le parole di Piscitello.
L'indomani questa signora confidò il suo orrore alla signora Rosina.
Mi lasci stare, signora mia!, rispose la Piscitello.
Quante ne ho viste! Se non fosse il padre dei miei figli, pregherei Dio che lo legassero mani e piedi, così vecchio com'è, e lo buttassero in prigione!
E una domenica Aldo Piscitello corse veramente il rischio di finire in prigione.
Eran cadute Cirene, Tobruk, Bengasi; giungevano i tedeschi in Sicilia; le navi traghetto beccheggiavano nello stretto di Messina, irte di tedeschi armati e fermi coi binocoli agli occhi, le terrazze della mia città parevano graticci di fichi bianchi, zeppe com'erano di tedeschi nudi che prendevano il sole; e ai balconi dei primi piani stavano appesi piccoli specchi, guardandosi nei quali tedeschi in calzoncini si radevano la barba, mentre nella via sottostante, davanti all'umida rimessa ove dormivano i bersaglieri, una vecchietta si fermava per dire a un sergente dalla faccia di carcerato: E tu, figlio, la barba te la fai solo di domenica? Gli ufficiali, alloggiati nell'albergo principale, avevano ricevuto istruzioni dai loro superiori perché, ascoltando in piedi il bollettino del Quartier Generale, mostrassero un viso fiero e sicuro, tale da incoraggiare la povera gente raccolta davanti alla radio.
Senonché questi ufficiali, sebbene con gli occhi immobili, si accorsero che più amare eran le notizie del bollettino, e più numerosi nella sala i sorrisetti subito repressi, gli ammicchi, le pestatine, le gomitate, e davanti al banco del bar subito più folto lo stuolo degli amici che bevevano toccandosi il bicchiere e alzandolo con un occhio socchiuso.
"Come sono curiosi, gl'Italiani!", pensavano gli ufficiali tedeschi, rompendo, col passare da un punto all'altro della sala, come nere stelle filanti, gli sguardi di odio che li avvolgevano.
Per voi maledetti, dobbiamo fare questa guerra!, brontolò una domenica Aldo Piscitello.
Non ne avete abento, voi! Certo, come no, che vuol dire? tutti gli uomini si faranno comandare da voi, figli di cameriere, che non sapete chiudere una porta con garbo, anticristi massacratori dei polacchi e di quei poveri ebrei che sono onesti lavoratori, e basterebbe a dirlo il dottor Bologna che non si fece mai pagare dagl'impiegati del Municipio, e ora s'è dovuto buttare in mare con le tasche piene di sassolini come un cane con la mazzera!
Volle la mala sorte, che, in quel momento, una spia fotografasse di nascosto la sala.
Sviluppata e ingrandita, la fotografia mostrò l'avvocato Rossi che ancora sorrideva e strizzava l'occhio per le cattive notizie trasmesse dalla radio, e, poco discosto, Piscitello che guardava un tedesco alzando il mento a sinistra e gettando fiamme dalle narici.
L'avvocato Rossi fu mandato al confino, ma quanto ad Aldo Piscitello la commissione di disciplina non sapeva a quale consiglio attenersi.
L'espressione di quel viso risultava veramente assai strana, ma era proprio di odio, e non per caso di malessere? Chi poteva assicurare che non fosse dovuta a due o tre sbadigli falliti sul nascere? In ogni modo, la commissione pregò il podestà, ch'era un giovane di fede o, come soleva dirsi a quei tempi, un uomo nuovo, di sospendere Piscitello dallo stipendio per un mese.
E un giorno difatti...
Quel giorno Piscitello, non aveva alcuna voglia di parlare, ma era stato costretto a dire due volte, con voce risentita ma flebile: Qua lavoro io!, prima a un grosso signore semicieco, poi a un vecchio mingherlino, che gli erano entrati nella stanza dandosi il da fare di chi arriva finalmente nel luogo comodo, e Qui lavoro io, lo sapete!, aveva ripetuto all'usciere birbante che forse era lui a mandargli siffatte persone nella stanza... quando lo stesso usciere, con un sorrisetto, amaro, gli annunziò: Vi vuole il podestà!
"Qualche brutta notizia!", pensò Aldo Piscitello, che dal 1930, non era più entrato nel gabinetto stile impero.
Cautamente, come un gatto che entri da sconosciuti, s'introdusse Piscitello nel vasto salone, in fondo al quale lo attendeva il podestà, in divisa di squadrista, ritto in piedi dietro il tavolo.
A fianco del tavolo, stava in piedi un ispettore federale, anche lui in divisa nera, con un teschio d'argento sul braccio e una testa di Mussolini sul petto.
Tutti e due, questi personaggi ritti fissavano Piscitello col mento levato, ed egli si avanzava piano piano sbagliando finanche direzione perché la paura pareva averlo preso per le spalle e spingerlo a forza verso il balcone invece che verso il tavolo.
Sei un traditore!, risuonò tutt'a un tratto.
Era la voce del podestà.
Chi ti ci porta all'Albergo Centrale, la mattina della domenica?
Uno di questi giorni, aggiunse forse l'ispettore, - diciamo "forse" perché la sua voce era così rauca da non far capire se egli parlasse o raschiasse con la gola - mi ricordo... i bei tempi... spedizione... sorbe... randellate... a uno di voi... pelle... sì, la pelle! Se ci capiti un'altra volta, io stesso con le mie mani ti butto fuori del Municipio!, aggiunse il podestà, e detto questo, con un giro sui tacchi, si volse a destra verso l'ispettore che, girando sui tacchi, si volse a sinistra verso di lui.
Podestà e ispettore si rischiararono in volto, dimenticando completamente Piscitello, e si misero a parlare del Duce, dell'Asse, della vittoria, dell'impero, dello spazio vitale, della razza, dei turni di avvicendamento, del corpo dei guastatori da poco istituito, e di quello dei moschettieri del Duce istituito da molto tempo.
Così chiacchierando, attraversarono il salone e giunsero fin presso la porta.
Piscitello stava per addormentarsi in piedi, sfinito dalla paura, dalla sfiducia e dallo sconforto, quando un suono come di schiaffi, ma in verità di gambali e tacchi lo svegliò: i due s'erano irrigiditi l'uno di faccia all'altro, mento contro mento, il braccio levato in alto, avventandosi l'un l'altro negli occhi uno sguardo da avvoltoio.
Ma poi si sciolsero sorridendo; l'ispettore uscì, e il podestà tornò dietro il tavolo.
Piscitello seguiva il podestà, fissandolo tra gli stivali e il cinturone, ma quando osò guardarlo in viso, dové ammettere che stava succedendo qualche cosa di diabolico: la grinta del podestà si squagliava rapidamente come la cera al fuoco; un sorriso, che pareva un vecchio e ben noto sorriso, gli affiorava dalle labbra, l'occhio sinistro gli si piegava in un segno d'intesa, e la stessa orecchia sinistra, respinta indietro dalle grinze di quel sorriso, si mosse e salutò amichevolmente Piscitello.
Sciocco!, disse il podestà, con voce bassa e mutata.
Ti fai cogliere in castagna come un bambino! E sorvegliati, diamine!...
La sconfitta non può tardare.
Di... chi?, tartagliò Piscitello, quasi asfissiato dal timore di comprendere.
Come di chi? La nostra! Vuoi che il mondo si faccia battere da un popolo in stivaloni e da un esercito senza scarpe?
Il podestà invitò Piscitello a sedere nel divano accanto a lui, e gli confidò che odiava il fascismo, il municipio, il ministero degl'Interni, l'impero, se stesso in divisa.
Ma tu non lo dire a nessuno!
Oh, signor podestà!, esclamò Piscitello levando le mani e quasi inginocchiandosi.
Poi parlarono del colonnello Stevens che, secondo il podestà, si esprimeva come un angelo, e secondo Piscitello, non era un colonnello, a lui non la facevano, ma un generale che non voleva confessare di essere un generale; e ricordando le sue battute, si agitarono in tal modo che stavano per abbracciarsi.
Come diavolo sarà fisicamente?
Il podestà, lo immaginava alto e bruno; Piscitello biondo e tarchiato; il podestà un po' brizzolato; Piscitello, un po' calvo; il podestà sposato; Piscitello, sposato e con tre figli; il podestà ricco; Piscitello, non molto ricco; il podestà, elegante in abito borghese e trascurato in divisa; Piscitello, sempre in divisa... quando improvvisamente: Via di qui!, tuonò il podestà.
Via, subito!
S'era drizzato in piedi e gl'indicava col braccio teso la porta ove era apparso il segretario generale con una cartella in mano.
Via, fuori!
Piscitello si alzò più morto che vivo, e lottando stentatamente contro la paura che lo aveva riafferrato per le spalle e lo cacciava, al solito, verso il balcone, raggiunse la porta, varcando la quale sentì il podestà urlare ancora: E voi, segretario, sospendetelo per un mese dallo stipendio!
Piscitello si ammalò la sera stessa.
Sono tutti gli stessi!, mormorava, strofinando sul cuscino la guancia infuocata.
Ha voluto farmi parlare!...
E come farò senza lo stipendio di questo mese?
Senonché l'indomani venne a visitarlo il podestà in persona, e pregò la signora e i bambini, che stavano a guardarlo come il tesoro di sant'Agata, e la signora anzi diceva: Io, signor Podestà, ho sentito la vostra bella conferenza sull'impero!, di lasciarlo solo col loro babbo e marito.
Piscitello!, esclamò il podestà non appena la porta fu richiusa.
Ma sei un bambino! Non hai capito che dovevo fare così perché era entrato il segretario generale ch'è una lurida spia?
Piscitello non aveva più forza per ripassare dalla paura alla gioia, e si accontentò di toccare con la sua mano pallida una mano del podestà.
Quanto allo stipendio, disse questi, permettimi che te lo rifonda io di mia tasca!
E posò una busta sul ribaltino del comò.
E via, Piscitello, perdio, guariamo al più presto!
Il podestà abbassò la voce.
Gli americani sono sbarcati in Africa!
Dammi i calzoni!, gridò Piscitello alla moglie.
Mi voglio vestire!
Quando le bombe e gli scoppi cominciarono a entrare in città e si scavarono baratri là dove nei pomeriggi d'estate, sedeva la gaia gente ai tavolini di vimini e passeggiavano gravi e pacifici vecchi col bastone appeso al gilet, quando i santi del cielo si affacciarono, per le volte squarciate dei templi, sulle proprie immagini senza naso o braccia, e una grossa campana volò con un urlo lugubre, quasi chiamasse aiuto contro i diavoli che la rapivano, volò su strade e piazze e cadde nel mare, quando la trave del palazzo del Governo, che, sporgendo appena appena da una parete del salone, aveva visto ballare il segretario del Partito e il ministro dell'Educazione, andò ad abitare nel casotto buio di un portinaio scacciandone per sempre, da lì e da ogni altro punto della terra, i suoi quattro poveri inquilini, quando lo specchio, relegato da trent'anni nel corridoio scuro, per terra, a veder passare qualche piede in pantofola, restò issato nello spazio libero a specchiare il sole, la luna e la rondine che quasi dentro vi precipita, quando nei balconi inaccessibili, poggiate alle ringhiere, si videro affacciate solo le imposte, quando insomma il diavolo mise le corna per tutto, Aldo Piscitello, insieme a tanti altri, fuggì ad abitare in piccolo paese dell'Etna.
Egli si alzava alle tre del mattino, e scendeva a piedi in città per apporre la firma nei registri del Municipio.
E questo, diceva un collega, guardando, da un balcone, alla città deserta, è caduto stanotte? Ieri, se non sbaglio, stava su!
Alle undici, Piscitello lasciava la città, e a piedi, sotto il sole che rompeva le pietre, insieme a una processione di povera gente coi fazzoletti legati al collo, le giacche in mano o anche le scarpe e le calze, risaliva verso il paese dell'Etna.
Fu allora che il popolo della mia terra, incolpevole e mansueto, dimagrì in un batter d'occhio, e la vecchia isola parve nitrire mestamente, come un cavallo che non riconosca più, dal peso che ha in groppa, il suo antico signore.
Il 9 luglio Piscitello si ammalò di tifo.
Per due giorni, ebbe la gioia di riposare le gambe indolenzite dalle marce, e conversare la sera con un medico molto ammodo, che gli sedeva al capezzale per riferirgli piano le notizie di radio Londra e ogni tanto sollevava una natica e infilava nell'aria qualcosa che poi faceva dire alla signora: Sarebbe bene aprire, qualche volta!
Dottore, implorava Piscitello, stordito dal mal di capo, dalla febbre e da una felicità rabbiosa come la febbre.
Glielo dica lei, a mia moglie, che quell'uomo ci ha rovinati!
E che bisogno c'è che lo dica io?, rispondeva il medico.
Basta affacciarsi e guardare!
La moglie stava ritta e muta davanti al letto, fissando la testa calva del marito arrossata dalla febbre.
Sì! E inutile che mi guardi!, diceva egli.
Ci ha rovinati! Lo direi a tutti, non me ne importa del confino e del carcere, ci ha rovinati, si è bevuto il nostro sangue!
Non gridi, signor Piscitello!, consigliava il medico.
Le fa male!
Ma ora verranno gl'inglesi e gli americani e gli daranno tanti cinque e cinquantacinque da levargli l'appetito! Gli calerà, il naso, ai gerarchi!
Furono le ultime parole chiare e ordinate che egli disse, perché dopo s'impadronì di lui il delirio.
E non vide, o almeno vide come in sogno, che lo portavano all'ospedale di Giarre; e qui lo abbandonarono tutti, fuorché le mosche che piovvero e rotolarono sul suo lenzuolo, umide e fitte come un mucchio d'uva passa.
Migliaia di mosche stavano notte e giorno su di lui, alzandosi rabbiose per un istante quando egli si voltava, ma subito tornando a calzarlo dalla fronte ai piedi.
Gliene camminavano sulla testa calva e sul naso; alcune gli giungevano fino all'orlo dell'occhio e volevano entrare, ma poi si accontentavano di bagnarvi una zampetta; alcune si introducevano nell'orecchia suscitandogli un desiderio di sternutire e di ridere che gli torceva la faccia come un morso di cavallo.
Proprio questa smorfia fece dire a un medico, il solo che, passando di corsa per quella stanza, gli gettasse uno sguardo: Il signore mi pare che ci saluti!
I colpiti, gli squarciati, i mutilati dalle bombe riempivano le sale accanto, e i pochi medici dell'ospedale non avevano tempo di badare a quel vecchietto privo di ferite.
Mancava la garza, mancava il cotone idrofilo.
Non sapevano, i poveri medici, come spiegare ai feriti che avevano commesso un atto spaventosamente leggero, una monelleria fuori posto da pagarsi coi più atroci dolori, a non morir subito tra le rovine come tanti loro compagni.
Finalmente una bordata dal mare mandò ruzzoloni quel miserabile carnaio, e Aldo Piscitello, con una leggerissima ferita alla fronte, fu trasportato di nuovo a casa, nel paesino dell'Etna, e restituito ai suoi che già lo piangevano morto.
Ma egli guarì, malignamente guarì, ed era al balcone quando un'armata straniera scorreva per le strade di tutte le città, e i paesini dell'Etna, su carri, carri armati, fusti di cannone, auto, motocicli, trattrici, furgoni, furgoncini, e il frastuono e il rotolio ne andavano al cielo, al mare, sotterra, scacciando gli uccelli dai boschi, i topi dalle chiaviche, confinando sulle tegole i gatti digiuni.
Aldo Piscitello salutava i soldati seminudi e di pelo rosso alzando l'indice e il medio, credeva che tutti lo conoscessero per averlo visto davanti la tromba della radio con l'orecchia tesa alla voce di Londra, voleva chiedere notizie del colonnello Stevens e di Candidus.
Ma i soldati rispondevano, piuttosto che a lui, a coloro che stavano a destra, a manca, sopra e sotto di lui, al parroco, ai bambini, al farmacista, a Rosina, a un vecchio, agli orfanelli del Sacro Cuore, e perfino a una spia che soleva togliere le tegole dai tetti per incastrarvi la guancia e ascoltare i discorsi che si facevano in casa, ma i soldati, questo, non lo sapevano.
E comunque Piscitello era contento che tanti sguardi di uomini liberi gli si posassero sulla casa, sbattendo sul muro che ancora portava scritto a lettere grandi come balconi: "Solo Dio può piegare la volontà fascista, gli uomini e le cose mai"; e a tutti quegli sguardi e sorrisi, sebbene non indirizzati a lui, rispondeva con molto scrupolo, levando ogni volta la mano macilenta, coll'indice e il medio divaricati.
Sicché la sera era stanco come se avesse portato una torcia di cento chili nella processione del venerdì santo, e non gli bastava il fiato per rispondere alla moglie e alla figlia che in ogni modo volevano fargli capire, anche con domande indirette, che ormai erano completamente d'accordo con lui.
E' vero o no che quei fascisti ci dicevano una carrettata di sciocchezze?...
Gentili gl'inglesi, che gente compita!...
Guarda che i biscotti erano molto fini!...
Anche la cioccolata era fine!...
Oh, ma guarda che quei fascisti erano veramente dei criminali!...
Io preferisco gli americani!...
No, guarda che gl'inglesi sono signori in tutto!...
Sì, ma gli americani hanno qualche cosa!...
Va bene, ma guarda che gl'inglesi...
Tuo padre, cos'ha stasera?
Piscitello aveva soltanto questo: che non si sentiva dentro una sola parola da dire.
Fino a ieri, il cervello gli brulicava di parole come una pietra di campagna può brulicare di formiche; parole di protesta, dispetto, insofferenza, noia gli correvano dal cervello per tutto il sangue, gli andavano alle labbra, su cui egli picchiava con la palma come a saldarne la chiusura, gli lasciavano sulla lingua un forte sapore di caffè muffito e pipa intasata; ora invece si sentiva il cervello liscio e nudo come il sasso di un torrente, un sasso compatto, pesante, tutto sonno, che gli portava giù la testa, mentre Rosina e Maria, ancora agitate dalla domanda che gli avevano rivolta, aspettavano la sua risposta.
Be', vado a dormire!, disse Aldo Piscitello, e presa una candela andò a rifugiarsi nell'angolo del camerone ove stava rannicchiato il suo letto.
Durante la notte si svegliò due volte, e sia la prima che la seconda udì bussare ai vetri il malinconico suono che, dal balcone del municipio, mandavano le zampogne scozzesi.
Da anni, quando si svegliava, sentiva ancora risuonarsi in bocca il Bestie! e Cornuti! che aveva cacciato fuori dormendo; ora invece udiva quel suono lamentoso ed estraneo, e non più sulla bocca, ma fuori di casa.
Sbalordito di se stesso e di quello che succedeva, ricadde giù nel sonno vi precipitò per ore e ore, senza mai intoppare un'immagine, un ricordo, una parolaccia, una parolina, un monosillabo, senza mai toccare fondo.
L'indomani, richiamato da una luce che si faceva lentissimamente meno debole, come al di sopra di opache onde lentissimamente risalite, l'indomani, fra le dieci e mezzo e le undici, riuscì, con indicibili stenti, a svegliarsi.
Dov'era più sulla lingua quell'amaro sapore di una volta, quel sapore di caffè muffito e morchia di pipa lasciatogli dai vari Bestie! e Cornuti! pronunciati durante la notte, quell'aspro, eccitante, ributtante e piacevole sapore che lo faceva sputare contro il muro, e smaniare, e srotolare le coperte, e saltare giù da letto? Prosit!, disse la moglie.
Hai dormito come un bambino, e mi pare che non sei ancora soddisfatto!
Egli sorrise veramente come un bambino, e chiese che lo lasciassero a letto ancora un poco...
Ma ecco ormai la storia di Piscitello volge al termine.
Che cosa narreremo di lui? Che dormì quasi una settimana, con pochi intervalli di luce? Abbandonato dall'odio che lo aveva fatto gridare e dimenarsi per tredici anni, quest'uomo mite si trovò pieno di sonno e sbalordimento, e notò che i reumi, profittando ch'egli aveva badato ad altro, ed era stato notte e giorno assorto nelle sue imprecazioni, gli s'erano arrampicati fin dentro la nuca.
Pare che altri sentimenti cercassero, in un primo momento, di occupare quell'animo vecchio e abbandonato: una mattina, egli si cavò una scarpa e ne baciò la suola, dicendo che così baciava la polvere della sua terra adorata; e una sera, gettando lo sguardo stanco sulla città sottostante, fece capire, con l'imprecisione e lo stento propri al suo linguaggio, che aveva desiderio di voltolarsi fra le rovine di quei poveri palazzi e baciarle pietra per pietra, granellino per granellino.
Ma questi due segni, di un animo che passa dall'odio, all'amore, non furono seguiti da altri.
Dopo una settimana ch'era stato in casa, si vestì del solito solino, giacca scura e pantaloni a righe, ormai così vecchi e scoloriti che parevano un disegno a matita mal cancellato con la gomma, e tentò una passeggiata.
Per via, incontrò i vecchi amici, ma ogni volta, dopo cinque minuti di silenzio e d'imbarazzo, gli stringeva la mano: Basta, arrivederci! e se ne andava.
Né odio né amore abitavano ormai quel piccolo uomo aggobbato che camminava spingendo avanti, sul collo magro e lungo, la testa completamente di marmo, tanto era scarna e lucida in ogni suo punto.
Se vogliamo essere veritieri, e non lasciarci trasportare dalla tentazione di adornare il nostro eroe, dobbiamo dire che una sola qualità lo vestiva dalla testa ai piedi, di fuori e dentro, ne involgeva ogni atto e parola: insignificante.
Egli era tornato insignificante come lo era stato sempre fino al 1930, insignificante come lo fu nel 1925, anno in cui fu talmente insignificante che una signora fece con un suo amico il diavolo sa che cosa sopra un divano, alla presenza di lui.
Le zanzare, che di notte, nel buio del camerone, saettavano a centinaia i corpi della moglie e dei figli, risparmiando totalmente lui, perché di notte le zanzare hanno bisogno di bere sangue e non acqua, il giorno invece gli si posavano tutte sulla faccia come nel luogo più tranquillo e riparato della casa.
La moglie si stizziva vedendogli il viso coperto d'insetti che vi camminavano e dormivano.
Ma non te li senti addosso, sia lodato Dio?, gli diceva con acredine.
E alzala, una mano!
Sì...
Come no?, rispondeva egli, e per far piacere a sua moglie, levava una mano.
Ma anche qui si mostrava inesperto, perché sbagliava il punto del viso, e andava a picchiare sul collo mentre le zanzare gli stavano sulla tempia, o sulla tempia mentre le zanzare gli stavano sul collo.
Frattanto qualche cosa si preparava per lui, ed egli non ne sapeva nulla, e nulla in verità stava bene al suo viso e alla sua persona tutta come questo non saper nulla.
Era stato nominato sindaco della città il farmacista Platania, reduce dal confino.
Se non sbaglio, disse la moglie a Piscitello, il nuovo sindaco è tuo amico.
Finisce che sarai promosso impiegato di ruolo!
Ma non era questo che si preparava per Aldo Piscitello.
Nessun avanzamento e nessun premio custodiva il futuro per lui; e quale avanzamento e quale premio avrebbero preso una strada talmente strana e poco battuta? La cosa che si preparava per Aldo Piscitello, e di cui egli non sapeva nulla, era il suo licenziamento in tronco dal posto d'impiegato municipale.
Nell'anticamera del sindaco, fra la polvere dei calcinacci buttati giù dall'ultimo bombardamento, si aggiravano sempre, sporcandosi di bianco e ficcandosi qualche chiodo nelle suole, cinque o sei persone che, quando capitavano davanti al tavolo rotondo che occupava il centro del salone, vi battevano sopra il pugno, e chiedevano giustizia, e prima di tutto che si mandassero via gli squadristi, dei quali avevano imparato i nomi a memoria, sicché spesso, sotto la volta a cassettoni e fra le tende strappate, risuonava Aldo Piscitello! o il Piscitello! o quel Piscitello!
Era bene, dicevano in sostanza queste persone, che dopo vent'anni che soffrivano loro, soffrissero quelli che li avevano fatti soffrire, come per esempio il tale, il talaltro, e Aldo Piscitello, il Piscitello, quel Piscitello! Il sindaco si trovava, come suol dirsi dalle mie parti, in un mare di confusione.
Come faccio?, diceva, sollevando e sbattendo le carte che riguardavano Piscitello.
D'altro canto, io devo eseguire l'epurazione, e nel modo più rigido!
Una mattina, stabilì di tagliare la testa al toro e si recò in persona da Piscitello, nel paese dell'Etna.
Da tempo, a causa dei bombardamenti, non arrivavano in Sicilia né cosmetici né tinture per i capelli; così molte persone avevano aggiunto alla magrezza, provocata dai disagi, una canizie repentina e pietosissima come cenere di una giovinezza scomparsa in una vampata di paglia.
Il sindaco invece era riuscito a procurarsi una tintura gelatinosa che lo rendeva corvino, ma lucidissimo, e attirava su di lui gl'infiniti e minutissimi occhi degl'insetti; già nella scala buia di Piscitello, fu assalito dalle mosche; ed entrò nella casa, o per meglio dire nell'unico camerone, con un nimbo ronzante entro il quale invano picchiava con la destra e con la sinistra.
D'altro canto, Aldo Piscitello aveva anche lui le sue mosche e le sue zanzare, contro le quali però non muoveva un dito, profittando della quiete in cui lo avevano lasciato Rosina e i figli recandosi alla messa.
Il colloquio fra il sindaco e Aldo Piscitello fu al principio molto impacciato e fioco, poi si animò: vogliamo dire che, al principio, Piscitello taceva e il sindaco diceva poche e rade parole, e in seguito Piscitello taceva e il sindaco gettava con violenza parole su parole: ...Non posso fare altrimenti! Devo eseguire, e nel modo più rigido, l'epurazione! So come lei la pensava.
Ma il fatto è che lei è squadrista! Diamine, squadrista!...
Io perdonerei alla violenza, specialmente quando poi c'è stato il pentimento! ...Ma la violenza genera violenza.
E come si fa a indurre gli altri a perdonare?...
Devo licenziarla! Non posso farne a meno!
A questo punto, il sindaco guardò Piscitello dal quale probabilmente s'aspettava una parola cattiva.
Ma il viso di Piscitello era privo di sangue, di curiosità e perfino di sguardo, essendo le sue palpebre levate solo a metà, e brillando, in quella metà d'occhio scoperto, solo una parte trascurabile della pupilla, e questa medesima trascurabile parte della pupilla essendo bianca com'è in generale il bianco degli occhi, con l'effetto che il marmoreo viso di Piscitello era più che mai di marmo.
Gl'insetti, che vi dimoravano sopra pulendosi le ali o sbrigando comodamente altre loro faccende, ne aumentavano per contrasto il candore, e la piccola ombra che li seguiva pareva, piuttosto che un'ombra, la loro immagine riflessa dalla lucida superficie su cui camminavano.
Il sindaco parve preoccuparsi, e quando finalmente Piscitello disse: Sì...
Come no?, il sindaco gettò un respiro di sollievo; e giudicò anzi ch'era arrivato il momento di salutarlo prima che egli rientrasse nel suo impenetrabile silenzio.
E lo salutò infatti battendogli affettuosamente una mano sulla spalla, e poi abbracciandolo, e infine baciandolo sulla fronte gelata.
In macchina, sulla via del ritorno, il sindaco era perplesso, stupito, e da un altro verso soddisfatto: perché la giustizia, la severità, o addirittura il male, egli l'aveva operato, grazie a Dio, non su un uomo vero e proprio, ma su un essere poco poco più animato della sedia che quell'essere stesso aveva occupato per quarant'anni nel suo cotidiano lavoro davanti a un tavolo del Municipio.
Quanto alla famiglia, si sarebbe poi studiato se non fosse il caso di aiutare la signora Rosina, ch'era stata sempre una brava donna.
1944.