martedì 30 marzo 2021

POESIE D'AMORE Nazim Hikmet



POESIE D'AMORE

Nazim Hikmet

Mondadori 


RUBAI (1)

Istanbul, 1933.

E' l'alba. S'illumina il mondo

come l'acqua che lascia cadere sul fondo

le sue impurità. E sei tu, all'improvviso

tu, mio amore, nel chiarore infinito

di fronte a me.


Giorno d'inverno, senza macchia, trasparente

come vetro. Addentare la polpa candida e sana

d'un frutto. Amarti, mia rosa, somiglia

all'aspirare l'aria in un bosco di pini.

 

Chi sa, forse non ci ameremmo tanto

se le nostre anime non si vedessero da lontano

non saremmo così vicini, chi sa,

se la sorte non ci avesse divisi.

 

E' così, mio usignolo, tra te e me

c'è solo una differenza di grado:

tu hai le ali e non puoi volare

io ho le mani e non posso pensare.

 

Finito, dirà un giorno madre Natura

finito di ridere e piangere

e sarà ancora la vita immensa

che non vede non parla non pensa.

 

Nota 1. Componimento poetico secondo la metrica tradizionale arabo-persiana.

 


LETTERE DAL CARCERE A MUNEVVER

Prigione di Bursa (Anatolia).

 

 

1942.

 

 

Il più bello dei mari

è quello che non navigammo.

Il più bello dei nostri figli

non è ancora cresciuto.

I più belli dei nostri giorni

non li abbiamo ancora vissuti.

E quello

che vorrei dirti di più bello

non te l'ho ancora detto.

 

 

1943.

 

 

Amo in te

l'avventura della nave che va verso il polo

amo in te

l'audacia dei giocatori delle grandi scoperte

amo in te le cose lontane

amo in te l'impossibile

 

entro nei tuoi occhi come in un bosco

pieno di sole

e sudato affamato infuriato

ho la passione del cacciatore

per mordere nella tua carne

 

amo in te l'impossibile

ma non la disperazione.

 

 

1943.

 

Guardo in ginocchio la terra

guardo l'erba

guardo l'insetto

guardo l'istante fiorito e azzurro

sei come la terra di primavera, amore,

io ti guardo.

 

Sdraiato sul dorso vedo il cielo

vedo i rami degli alberi

vedo le cicogne che volano

sei come il cielo di primavera, amore,

io ti vedo.

 

Ho acceso un fuoco di notte in campagna

tocco il fuoco

tocco l'acqua

tocco la stoffa e l'argento

sei come un fuoco di bivacco all'addiaccio

io ti tocco.

 

Sono tra gli uomini amo gli uomini

amo l'azione

amo il pensiero

amo la mia lotta

sei un essere umano nella mia lotta

ti amo.

 

 

1944.

 

 

Che sta facendo adesso

adesso, in questo momento?

E' a casa? Per la strada?

Al lavoro? In piedi? Sdraiata?

Forse sta alzando il braccio?

Amor mio

come appare in quel movimento

il polso bianco e rotondo!

 

Che sta facendo adesso

adesso, in questo momento?

Un gattino sulle ginocchia

lei lo accarezza.

O forse sta camminando

ecco il piede che avanza.

Oh i tuoi piedi che mi son cari

che mi camminano sull'anima

che illuminano i miei giorni bui!

A che pensa?

A me? o forse... chi sa

ai fagioli che non si cuociono.

O forse si domanda

perchè tanti sono infelici

sulla terra.

Che sta facendo adesso

adesso, in questo momento?

 

 

1944.

 

 

Se per i buoni uffici del signor Nuri spedizioniere

la mia città, la mia Istanbul mi mandasse

un cassone di cipresso, un cassone di sposa

se io l'aprissi facendo risuonare

la serratura di metallo: dccinnn...

 

due rotoli di tela finissima

due paia di camicie

dei fazzoletti bianchi ricamati d'argento

dei fiori di lavanda nei sacchetti di seta

e tu

e se tu uscissi da lì

 

ti farei sedere sull'orlo del letto

ti metterei sotto i piedi la mia pelle di lupo

con la testa chinata e le mani giunte starei davanti a te

ti guarderei, gioia, ti guarderei stupito

come sei bella, Dio mio, come sei bella

l'aria e l'acqua d'Istanbul nel tuo sorriso

la voluttà della mia città nel tuo sguardo

o mia sultana, o mia signora, se tu lo permettessi

e se il tuo schiavo Nazim Hikmet l'osasse

sarebbe come se respirasse e baciasse

Istanbul sulla tua guancia

 

ma sta attenta

sta attenta a non dirmi “avvicinati”

mi sembra che se la tua mano toccasse la mia

cadrei morto sul pavimento.

 

 

1945.

 

“Addormentarsi adesso

svegliarsi tra cento anni, amor mio...”

 

“No,

non sono un disertore.

Del resto, il mio secolo non mi fa paura

il mio secolo pieno di miserie e di scandali

il mio secolo coraggioso grande ed eroico.

Non ho mai rimpianto d'esser venuto al mondo troppo presto

sono del ventesimo secolo e ne son fiero.

Mi basta esser là dove sono, tra i nostri,

e battermi per un mondo nuovo...”

“Tra cento anni, amor mio...”

“No,

prima e malgrado tutto.

Il mio secolo che muore e rinasce

il mio secolo

i cui ultimi giorni saranno belli

la mia terribile notte lacerata dai gridi dell'alba

il mio secolo splenderà di sole, amor mio

come i tuoi occhi...”

 

 

1947.

 

 

Ho sognato della mia bella

m'è apparsa sopra i rami

passava come la luna

tra una nuvola e l'altra

andava e io la seguivo

mi fermavo e lei si fermava

la guardavo e lei mi guardava

e tutto è finito qui.

 

 

1947.

 

Il vento cala e se ne va

lo stesso vento non agita

due volte lo stesso ramo

di ciliegio

gli uccelli cantano nell'albero

ali che voglion volare

la porta è chiusa

bisogna forzarla

bisogna vederti, amor mio,

sia bella come te, la vita

sia amica e amata come te

 

so che ancora non è finito

il banchetto della miseria

ma finirà...

 

 

1948.

 

 

Anima mia

chiudi gli occhi

piano piano

e come s'affonda nell'acqua

immergiti nel sonno

 

nuda e vestita di bianco

il più bello dei sogni

ti accoglierà

 

anima mia

chiudi gli occhi

piano piano

abbandonati come nell'arco delle mie braccia

nel tuo sonno non dimenticarmi

chiudi gli occhi pian piano

i tuoi occhi marroni

dove brucia una fiamma verde

anima mia.

 

 

1948.

In questa notte d'autunno

sono pieno delle tue parole

parole eterne come il tempo

come la materia

parole pesanti come la mano

scintillanti come le stelle.

Dalla tua testa dalla tua carne

dal tuo cuore

mi sono giunte le tue parole

le tue parole cariche di te

le tue parole, madre

le tue parole, amore

le tue parole, amica.

Erano tristi, amare

erano allegre, piene di speranza

erano coraggiose, eroiche

le tue parole

erano uomini.

 

 

1948.

 

Benvenuta, donna mia, benvenuta!

 

certo sei stanca

come potrò lavarti i piedi

non ho acqua di rose nè catino d'argento

 

certo avrai sete

non ho una bevanda fresca da offrirti

 

certo avrai fame

e io non posso apparecchiare

una tavola con lino candido

 

la mia stanza è povera e prigioniero

come il nostro paese.

 

Benvenuta, donna mia, benvenuta!

 

hai posato il piede nella mia cella

e il cemento è divenuto prato

 

hai riso

e rose hanno fiorito le sbarre

 

hai pianto

e perle son rotolate sulle mie palme

 

 

ricca come il mio cuore

cara come la libertà

è adesso questa prigione.

 

Benvenuta, donna mia, benvenuta!

 

 

1948.

 

1 giorni son sempre più brevi

le piogge cominceranno.

La mia porta, spalancata, ti ha atteso.

Perchè hai tardato tanto?

 

Sul mio tavolo, dei peperoni verdi, del sale, del pane.

Il vino che avevo conservato nella brocca

l'ho bevuto a metà, da solo, aspettando.

Perchè hai tardato tanto?

 

Ma ecco sui rami, maturi, profondi

dei frutti carichi di miele.

Stavano per cadere senz'essere colti

se tu avessi tardato ancora un poco.

 

 

1948.

 

I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi

che tu venga all'ospedale o in prigione

nei tuoi occhi porti sempre il sole.

 

I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi

questa fine di maggio, dalle parti d'Antalya,

sono così, le spighe, di primo mattino;

 

i tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi

quante volte hanno pianto davanti a me

son rimasti tutti nudi, i tuoi occhi,

nudi e immensi come gli occhi di un bimbo

ma non un giorno han perso,il loro sole;

 

i tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi

che s'illanguidiscano un poco, i tuoi occhi

gioiosi, immensamente intelligenti, perfetti:

allora saprò far echeggiare il mondo

del mio amore.

 

I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi

così sono d'autunno i castagneti di Bursa

le foglie dopo la pioggia

e in ogni stagione e ad ogni ora, Istanbul.

 

I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi

verrà giorno, mia rosa, verrà giorno

che gli uomini si guarderanno l'un l'altro

fraternamente

con i tuoi occhi, amor mio,

si guarderanno con i tuoi occhi.

 

 

RUBAI.

1948.

 

Il raggio è riempito di miele

i tuoi occhi son pieni di sole.

I tuoi occhi, mia rosa, saranno cenere

domani, e il miele continuerà

a riempire altri raggi.

 

Non mi fermo a rimpiangere i giorni passati

- salvo una certa notte d'estate -

e anche l'ultima luce dei miei occhi azzurri

ti annuncerà lieti giorni futuri.

 

Un giorno, madre natura dirà: “Mia creatura

hai già riso, hai già pianto abbastanza”.

E di nuovo, immensa

sconfinata, ricomincerà

la vita, senza occhi, senza parola, senza

pensiero...

 

 

1949.

 

Sei la mia schiavitù sei la mia libertà

sei la mia carne che brucia

come la nuda carne delle notti d'estate

sei la mia patria

tu, coi riflessi verdi dei tuoi occhi

tu, alta e vittoriosa

sei la mia nostalgia

di saperti inaccessibile

nel momento stesso

in cui ti afferro.

 

 

 

FUORI DEL CARCERE.

Istanbul, 1951.

 

 

IL MATTINO.

 

Ti svegli.

Dove sei?

A casa.

 

Non hai potuto ancora abituarti:

al tuo risveglio

trovarti a casa.

Ecco quel che ti lasciano

tredici anni di carcere.

 

Chi c'è nel letto, accanto a te?

Non è la solitudine, è tua moglie.

Dorme coi pugni chiusi, come un angelo.

Le dona, essere incinta.

Che ore sono?

Le otto.

Possiamo dunque star tranquilli

fino a sera.

E' l'uso,

la polizia non fa irruzione in pieno giorno.

 

 

LA SERA.

 

Sei uscito di prigione

e appena uscito

ecco tua moglie incinta.

La sera

la prendi sottobraccio

ve ne andate a passeggio

per le strade del tuo quartiere.

Ha il ventre quasi fino al naso, tua moglie.

Il suo peso sacro

lo porta con civetteria

e tu

sei fiero e pieno di rispetto.

Fa fresco.

Una freschezza

come mani di bimbo infreddolito.

Hai voglia di afferrarla tra le palme

per riscaldarla.

 

I gatti del quartiere aspettano

attorno alla macelleria

e al primo piano, la macellaia ricciuta

i grossi seni appoggiati sul davanzale

contempla il tramonto.

In mezzo al cielo tutto pulito nel crepuscolo

una stella compare

limpida come un bicchier d'acqua.

 

L'estate è durata a lungo quest'anno

e se i gelsi sono ingialliti

i fichi sono ancora verdi.

 

Refik il tipografo e la figlia più giovane

di Jorghi il lattivendolo

passeggiano su e giù

con le dita intrecciate.

Karab‚ il pizzicagnolo

ha già acceso le luci

quest'armeno non ha dimenticato

il massacro

di suo padre

tra le montagne curde.

Ma a te, ti vuole bene;

anche tu, non li puoi perdonare

quelli che han messo questo marchio

sulla fronte del popolo turco.

1 malati, i tisici del quartiere

guardano, da dietro i vetri.

Il figlio di Nuriy‚ la lavandaia, disoccupato,

ingobbito dalla tristezza

s'avvia verso la bettola.

In casa dei Rahmì, si sente il radio-giornale:

in un paese dell'Estremo Oriente

degli uomini dal viso giallo lunare

combattono contro il drago bianco;

hanno mandato lì, da casa tua,

quattromila cinquecento ragazzi

per massacrare i loro fratelli.

Il tuo viso arrossisce

di collera e di vergogna

non ti senti obbiettivo, no, al diavolo,

ma triste di una tristezza tua propria

una tristezza con le mani e i piedi legati

come se rotolassero a terra tua moglie

facendola abortire

come se fossi ancora in prigione

e giù in guardina facessero battere

i contadini dai gendarmi.

 

La notte è caduta a un tratto.

Il passeggio serale è terminato.

Una jeep della polizia

entra nella nostra strada.

Tua moglie sussurra: “Andrà a casa?”.

 

 

LA NOTTE.

 

Una cotonata a quadretti blu copre il tavolo

e sopra, senza menzogne, sorridenti, arditi

stanno i nostri libri.

Sono un prigioniero, madre mia,

che ritorna al paese

da una fortezza nemica.

E' l'una di notte

la lampada è ancora accesa.

Al mio fianco è coricata mia moglie

mia moglie

incinta di cinque mesi.

Quando la mia carne tocca la sua

quando le poso la mano sul ventre

il bimbo si muove un poco.

Sul ramo la foglia

nell'acqua il pesce

nella matrice il piccolo dell'uomo.

 

Mio piccolo.

La camiciola di lana rosa

per il mio bambino

l'ha sferruzzata sua madre

è grande come la mia mano

con le maniche appena così.

Mio piccolo..

Se sarà femmina

voglio che sia sua madre dalla testa ai piedi,

s'è maschio, che sia della mia statura.

S'è femmina, che abbia gli occhi verde dorato

s'è maschio, azzurri.

Mio piccolo.

Non voglio che a vent'anni t'ammazzino

se sei maschio, al fronte

se sei femmina, dentro qualche rifugio, di notte.

Mio piccolo.

Femmina o maschio

a qualsiasi età.

non voglio che tu conosca il carcere

per essere stato dalla parte del giusto

del bello, della pace.

Ma so bene

figlia mia

o figlio mio

che se il sole tarderà molto a sorgere

dalle acque

dovrai combattere

e anche...

Insomma oggi, da noi, è un ben duro mestiere

essere padre.

 

E' l'una di notte.

La lampada

non l'abbiamo ancora spenta.

Tra mezz'ora forse, forse verso il mattino

la mia casa conoscerà

ancora un'altra irruzione

della polizia

e mi porteranno via, prenderò con me qualche libro

I questurini della politica

mi prenderanno in mezzo

e io mi volterò indietro a guardare:

mia moglie sarà sulla soglia

davanti alla porta

il vento del mattino

gonfierà la sua gonna

e nel suo ventre pesante

il bambino si muoverà un poco.

 

 

L'ADDIO.

 

L'uomo dice alla donna

t'amo

e come

come se stringessi tra le palme

il mio cuore, simile a scheggia di vetro

che m'insanguina i diti

quando lo spezzo

follemente.

 

L'uomo dice alla donna

t'amo

e come

con la profondità dei chilometri

con l'immensità dei chilometri

cento

 

per cento

mille per cento

cento volte l'infinitamente cento.

 

La donna dice all'uomo

ho guardato

con le mie labbra

con la mia testa col mio cuore

con amore con terrore, curvandomi

sulle tue labbra

sul tuo cuore

sulla tua testa.

E quello che dico adesso

l'ho imparato da te

come un mormorio nelle

e oggi so

che la terra

come una

tenebre

madre

dal viso di sole

allatta la sua creatura più bella.

Ma che fare?

I miei capelli sono impigliati ai diti di ciò che muore

non posso strapparne la testa

devi partire

guardando gli occhi del nuovo nato

devi abbandonarmi.

 

La donna ha taciuto

si sono baciati

un libro è caduto sul pavimento

una finestra si è chiusa.

E' così che si sono lasciati.

 


IN ESILIO

 

 

ARRIVEDERCI FRATELLO MARE.

Varna, 1951.

 

Ed ecco ce ne andiamo come siamo venuti

arrivederci fratello mare

mi porto un po' della tua ghiaia

un po' del tuo sale azzurro

un po' della tua infinità

e un pochino della tua luce

e della tua infelicità.

Ci hai saputo dir molte cose

sul tuo destino di mare

eccoci con un po' più di speranza

eccoci con un po' più di saggezza

e ce ne andiamo come siamo venuti

arrivederci fratello mare.

 

 

Varna, 1957.

 

Nella casa addormentata in quest'alba

la luce che si muove al secondo piano

è una stella rimasta lassù

 

sono sceso senza rumore

per la scala

sono andato attraverso il giardino

 

fino al bosco di faggi

 

nella freschezza calma di quest'alba

negli alberi la tenerezza

di una giovane madre

e a passi lenti sul ponte di pietra

la partenza.

 

 

Varna, 1952.

 

Impossibile dormire la notte qui a Varna

impossibile dormire

per via di queste stelle che son troppe

troppo lucide troppo vicine

per via del mormorio sul greto dell'onde morte

il loro sussurro

le loro perle

i loro ciottoli

 

le alghe salate

per via del rumore di un motore sul mare come un cuore che batte

 

per via dei fantasmi

venuti da Istanbul

sorti dal Bosforo

che invadono la stanza

gli occhi verdi dell'uno

le manette ai polsi dell'altro

un fazzoletto

nelle mani del terzo

un fazzoletto che sa di lavanda.

 

 

impossibile dormire la notte qui a Varna, mio amore,

qui a Varna, all'albergo Bor.

 

 

NON E' UN CUORE.

Varna, 1952.

 

Non è un cuore, perdio, è un sandalo di pelle di bufalo

che cammina, incessantemente, cammina

senza lacerarsi

va avanti

su sentieri pietrosi.

 

Una barca passa davanti a Varna

“Ohilà, figli d'argento del Mar Nero!”

una barca scivola verso il Bosforo.

Nazim dolcemente carezza la barca

e si brucia le mani.

 

 

QUEST'ANNO.

Varna, 1952.

 

Quest'anno quest'inizio d'autunno nel meridione

m'impasticcio di mare di sabbia di sole

mi stropiccio all'albero

alle mele

come ci s'impasticcia di miele.

La notte, il cielo ha un buon odore di semi

la notte, il cielo scende sulla via polverosa

m'impasticcio di stelle.

 

Io m'abituo, mia rosa,

io m'abituo

al mare alla sabbia al sole alle mele alle stelle

è tempo di andare

mischiato

al sole alla sabbia alle mele alle stelle al mare.

 

 

DA VARNA A SOFIA.

Sofia, 1952.

 

Da Varna a Sofia, amor mio

lungo la strada tanti noci.

Odor d'alcanna, odor di verde.

Non è la strada ch'è fatta di noci

o mio tesoro, noi siamo nei noci.

Sulla strada abbiam visto il cimitero

di pietre nere

ci siamo avvicinati.

Un cimitero immenso.

Le lastre, cadaveri sparsi, lunghi distesi.

Le pietre, erte nella loro altezza, marciscono in piedi.

Il vento rode loro il cuore e poi se ne va.

Così, mia bella dagli occhi di falco, è la mia tristezza.

Che destino è mai questo!

Diventar polvere, terra immobile.

Una nostalgia amara

un fumo nero, o mia bella,

che destino è mai questo!

Una tristezza così grande

a questo punto, mia stella,

non la conosco che io...

 

 

A SOFIA.

Sofia, 1952.

 

Sono entrato a Sofia un giorno di primavera, amor mio

la tua città natale ha un profumo di tigli.

 

Percorro il mondo senza di te

tale è il mio destino

che posso farci?

 

A Sofia, l'albero vien prima della pietra, è più bello

della pietra.

A Sofia, l'albero e l'uomo si mescolano

soprattutto il pioppo

sembra che voglia entrar nella stanza

a sedersi sul tappeto rosso.

 

Qui, quando viene la sera, tutti sciamano per le vie

donne, vecchi, giovani, bambini

risa, chiasso, mormorio, tumulto

in lungo e in largo

fianco a fianco

a braccetto, la mano in mano.

 

A Istanbul, a Scehsadebasci, le sere di ramadan

- Munevver, non te ne puoi ricordare -

si passeggiava così, in altri tempi.

 

Quei tempi sono passati

se fossi adesso a Istanbul

nemmeno me ne ricorderei.

 

Ma lontano da Istanbul

tutto è pretesto per la nostalgia

anche il parlatorio

della prigione di Uskudar...

 

Sono entrato a Sofia un giorno di primavera, amor mio

la tua città natale ha un profumo di tigli.

La tua città natale è la casa accogliente

di un fratello

ma anche in casa del fratello

la propria non si scorda.

 

E' un duro mestiere, l'esilio,

un duro mestiere...

 

 

PIOGGIA D'ESTATE.

Varsavia, 1954.

 

Pioggia d'estate cade dentro di me

acini d'uva si schiacciano contro i miei vetri

gli occhi delle mie foglie sono abbagliati

 

pioggia d'estate cade dentro di me

piccioni d'argento volano dai miei tetti

la mia terra corre coi piedi nudi

 

pioggia d'estate cade dentro di me

una donna è scesa dal tram

i polpacci bianchi bagnati

 

pioggia d'estate cade dentro di me

senza rinfrescare la mia tristezza

 

pioggia d'estate cade dentro di me

all'improvviso e all'improvviso s'arresta

il peso dell'afa è rimasto dov'era

al termine delle grosse rotaie

arrugginite.

 

 

I PESCI.

Mosca, 1955.

 

Nuotano nel boccale, i pesci di corallo

nel boccale, in mezzo alle stelle,

com'è bizzarro, mia rosa, com'è bizzarro

la stupidità dei pesci di corallo

sanguina dalla ferita di tante canzoni.

 

 

Mosca, 1956.

 

C'è un albero dentro di me

trapiantato dal sole

le sue foglie oscillano come pesci di fuoco

le sue foglie cantano come usignoli

 

è un pezzo che i viaggiatori sono scesi

dai razzi sul pianeta ch'è in me

parlano una lingua che ho udito in sogno

non ordini non vanterie non preghiere

 

in me c'è una strada bianca

le formiche passano coi semi di grano

i camion passano col chiasso delle feste

ma il carro funebre - è proibito - non può passare

 

in me il tempo rimane

come una rossa rosa odorosa

che oggi sia venerdì domani sabato

che il più di me sia passato che resti il meno

non importa.

 

 

Bakù, 1957.

 

La tristezza sulle mie spalle

è una camicia di tela da vela

lavata all'acqua di mare

con una spazzola di ferro

sul ponte spazzato dal vento.

E in questo villaggio del sud, senza sosta nè tregua,

il sole rosseggia e si gonfia di miele

sulle fanciulle e dentro le albicocche.

 

 

BAKÉ.

Bakù, 1957.

 

Durante la notte fino al mare pesante senza stelle

durante la notte nelle tenebre fitte

la città di Bakù è un campo di grano soleggiato

sono sulla collina

manciate di semi di luce mi colpiscono il viso

nell'aria una melodia orientale cola come le acque del Bosforo

 

sono sulla collina

e il mio cuore come una zattera

s'allontana sulla separazione infinita

va oltre i ricordi

fino al mare pesante senza stelle

nelle tenebre fitte.

 

 

ORA DI PRAGA.

Praga, 1957.

 

Millenovecento cinquantasette, diciassette gennaio,

suonano le nove.

Il freddo soleggiato, sincero,

il freddo è rosa pallido

il freddo è celeste cielo.

I miei baffi rossi stanno per gelarsi.

La città di Praga è incisa su una coppa di vetro

incisa con un diamante.

Risuonerebbe se la toccassi;

striata d'oro, limpida e bianca.

Sono le nove sonanti

a tutte le torri

e al mio orologio da polso.

In questo minuto, in questo istante

a Praga nessuno ha mentito

in questo minuto, in questo istante

le donne hanno partorito

senza doglie

e in tutte le strade

non è passata una sola bara.

In questo minuto, in questo istante

tutti i diagrammi sono saliti

- eccetto quelli dei malati -

in questo minuto, in questo istante

le donne eran tutte belle tutti gli uomini intelligenti

e i manichini di cera senza tristezza

in questo minuto, in questo istante

nelle scuole tutti i ragazzi han risposto

senza confondersi alle domande

in questo minuto, in questo istante

in tutte le stufe c'era carbone

tutti i termosifoni

erano caldi

e come sempre la Torre Nera dalla punta d'oro

in questo minuto, in questo istante

i ciechi han dimenticato la loro tenebra

e i gobbi la loro gobba

in questo minuto, in questo istante

non ho un solo nemico

nessuno può neanche immaginare

che i giorni passati potrebbero ritornare.

 

In questo minuto, in questo istante

Vastlav è sceso dal suo cavallo di bronzo

s'è mescolato alla folla

come uno sconosciuto

in questo minuto, in questo istante

mi amavi, mio amore,

come non hai mai amato nessuno

in questo momento, in questo istante

il freddo soleggiato, sincero,

il freddo è rosa pallido

il freddo è celeste cielo.

La città di Praga è incisa su una coppa di vetro

incisa con un diamante.

Risuonerebbe se la toccassi

striata d'oro, limpida e bianca.

 

 

Mosca, 1958.

 

E muore e nasce a tutta forza

albero stella uomo

virus eccetera eccetera

 

un tumulto uno strepito

speranza malinconia

nostalgia

e nasce e muore

a tutto vapore.

 

 

LE PIOGGE.

Mosca, 1958.

 

Al sole brillano coi loro lustrini coi fili d'argento

le piogge son biondi capelli di sposa fanciulla

la tranquillità delle tegole molli

mi penetra a poco a poco.

 

 

PRIMA CHE BRUCI PARIGI.

Parigi, 1958.

 

Finchè ancora tempo, mio amore

e prima che bruci Parigi

finchè ancora tempo, mio amore

finchè il mio cuore è sul suo ramo

vorrei una notte di maggio

una di queste notti

sul lungosenna Voltaire

baciarti nella bocca

e andando poi a Notre-Dame

contempleremmo il suo rosone

e a un tratto serrandoti a me

di gioia paura stupore

piangeresti silenziosamente

e le stelle piangerebbero

mischiate alla pioggia fine.

 

Finchè ancora tempo, mio amore

e prima che bruci Parigi

finchè ancora tempo, mio amore

finchè il mio cuore è sul suo ramo

in questa notte di maggio sul lungosenna

sotto i salici, mia rosa, con te

sotto i salici piangenti molli di pioggia

ti direi due parole le più ripetute a Parigi

le più ripetute, le più sincere

scoppierei di felicità

fischietterei una canzone

e crederemmo negli uomini.

 

In alto, le case di pietra

senza incavi nè gobbe

appiccicate

coi loro muri al chiar di luna

e le loro finestre diritte che dormono in piedi

e sulla riva di fronte il Louvre

illuminato dai proiettori

illuminato da noi due

il nostro splendido palazzo

di cristallo.

 

Finchè ancora tempo, mio amore

e prima che bruci Parigi

finchè ancora tempo, mio amore

finchè il mio cuore è sul suo ramo

in questa notte di maggio, lungo la Senna, nei depositi

ci siederemmo sui barili rossi

di fronte al fiume scuro nella notte

per salutare la chiatta dalla cabina gialla che passa

- verso il Belgio o verso l'Olanda? -

davanti alla cabina una donna

con un grembiule bianco

sorride dolcemente.

 

Finchè ancora tempo, mio amore

e prima che bruci Parigi

finchè ancora tempo, mio amore.

 

 

CONCERTO IN RE MINORE NUMERO 1 DI J. S. BACH.

Sofia, 1959.

 

Mattino d'autunno nella vigna

fila per fila ceppo per ceppo i ceppi si ripetono

e i grappoli sui ceppi

e gli acini sui grappoli

e la luce sugli acini.

 

La notte nella casa grandissima e bianca

una luce dentro ciascuna

le finestre si ripetono

 

tutte le piogge che cadono si ripetono

sul suolo sull'albero sul mare

sulla mia mano il mio viso i miei occhi

e le gocce si schiacciano sul vetro

 

rinnovamento dei miei giorni

simili gli uni agli altri

differenti gli uni dagli altri

 

ripetersi dei punti a maglia

ripetersi nel cielo stellato

in tutte le lingue ripetizione dei “t'amo”

e nelle foglie il rinnovamento dell'albero

e in ogni letto di morte il dolore

per la vita troppo breve

 

ripetersi della neve

che cade

della neve che cade leggera

della neve che cade a fiocchi

della neve che fuma come la nebbia

disperdendosi nella tempesta

che imperversa

ripetersi della neve che mi sbarra il cammino

 

i bambini giocano nel cortile

nel cortile giocano i bambini

una vecchia passa nella strada

nella strada una vecchia passa

passa una vecchia nella strada.

 

La notte nella casa grandissima e bianca

una luce dentro ciascuna

le finestre si ripetono

sui grappoli, rinnovamento di acini

sugli acini, la luce

 

camminare verso il giusto e il vero

combattere per il vero, il giusto

conquistare il giusto, il vero

 

le tue lagrime mute e il tuo sorriso, mio amore,

i tuoi singhiozzi i tuoi scoppi di risa, mio amore,

il ripetersi del tuo riso

dai denti bianchi

brillanti

 

il mattino d'autunno nella vigna

fila per fila nodo per nodo i ceppi si ripetono

sui ceppi, i grappoli

sui grappoli, gli acini

sugli acini, la luce

nella luce, il mio amore.

 

Il miracolo del rinnovamento, mio cuore,

è il non ripetersi del ripetersi.

 

 

Mosca, 1959.

 

Ti amo come se mangiassi il pane spruzzandolo di sale

come se alzandomi la notte bruciante di febbre

bevessi l'acqua con le labbra sul rubinetto

ti amo come guardo il pesante sacco della posta

non so che cosa contenga e da chi

pieno di gioia pieno di sospetto agitato

ti amo come se sorvolassi il mare per la prima volta in aereo

ti amo come qualche cosa che si muove in me

quando il crepuscolo scende su Istanbul poco a poco

ti amo come se dicessi Dio sia lodato son vivo.

 

 

Stoccolma, 1960.

 

La mia tavola la mia carta la tuia macchina da scrivere

i miei abiti son tutti insanguinati

sono insanguinati i marciapiedi

delle città dove sono passato

le tracce delle mie mani sui muri sono di sangue

ho lacerato

la camicia sul petto

e il mio cuore lo stiamo divorando

con una femmina

 

scrivimi delle lettere telegrafami telefonami

dimmi vengo vengo vengo

morte dammi la saggezza.

 

 

Stoccolma, 1960.

 

Sono cent'anni che non ho visto il suo viso

che non ho passato il braccio

attorno alla sua vita

che non mi son fermato nei suoi occhi

che non ho interrogato

la chiarità del suo pensiero

che non ho toccato

il calore del suo ventre

 

eravamo sullo stesso ramo insieme

eravamo sullo stesso ramo

caduti dallo stesso ramo ci siamo separati

e tra noi il tempo è di cent'anni

di cent'anni la strada

e da cent'anni nella penombra

corro dietro a te.

 

 

Berlino, 1960.

 

In questa stagione calda penso a te

la tua nudità il tuo collo il tuo polso

il tuo piede sdraiato sul divano

come una rondine bianca

quello che mi dicevi

 

in questa stagione calda penso a te

non so che cosa penso di più

quello che vedevo con gli occhi

il tuo collo il tuo polso il tuo piede nudo

oppure quello che mi dicevi

donandoti a me

 

in questo calore giallo penso a te

in questo calore giallo in una stanza d'albergo

pensando a te

mi spoglio della mia solitudine ,

della mia solitudine che somiglia alla morte.

 

 

Caucaso, 1960.

 

Sono sceso dal nord un pomeriggio in questo paese delle

montagne del sud

vicino a me c'era una donna giovane e bianca

con gli occhi tracciati sul viso come un orizzonte azzurro

con i capelli lisci color del fieno

sono sceso dal nord un pomeriggio in questo paese delle

montagne del sud

queste montagne vivevano con gli uomini le vacche i camion

col suolo le mele le querce gli abeti e già

con i capelli color del fieno

con la donna che è con me

con le tigri e le trote

queste montagne eran coperte di neve soleggiata di rosso di

verde scuro

queste montagne vivevano nelle pagine dei quaderni di scuola

nei sanatori nei magazzini di Stato

nell'asfalto che serpeggia nei ponti di legno

queste montagne vivevano nel sangue delle capre selvatiche

in fondo ai laghi

e adesso c'è una donna

 

una donna dagli occhi tracciati sul viso come un orizzonte

azzurro

e io so già che quell'orizzonte azzurro soltanto

resterà nel ricordo di quelle montagne.

 

 

Mosca, 1960.

 

Nel cortile c'è neve fino al ginocchio

cade a fiocchi

cade da stamattina senza riuscire a frenarsi

siamo in cucina

sulla tela cerata del tavolo è la primavera

sulla tela cerata c'è un cetriolino fresco

ha il fiore al naso

è tutto, picchiettato

siamo seduti attorno a lui lo guardiamo

siamo stupiti

pensosi

ottimisti

sentiamo qualche cosa come se fossimo in sogno

sulla tela cerata c'è la speranza

sulla tela cerata c'è la bella giornata

un cielo carico di sole verde

una folla di smeraldi impaziente agitata

gli amori che debbono esplodere

sulla tela cerata c'è un cetriolino fresco

ha il fiore al naso

è tutto picchiettato

nel cortile c'è neve fino al ginocchio

cade a fiocchi

cade da stamattina senza riuscire a frenarsi.

 

 

Roma, 1960.

 

Quante donne belle ci sono al mondo

quante belle ragazze

s'affacciano sulle terrazze della città

 

contemplale vecchio

contemplale e mentre da un canto i tuoi versi

si fanno più tersi e lucenti

 

dall'altro

devi contrattare cercando di tirarla in lungo

con la morte che ti sta accanto.

 

 

Roma, 1960.

 

La tua anima è un fiume, mio amore

scorre in alto tra le montagne

tra le montagne verso la piana

verso la piana senza poterla raggiungere

senza raggiungere il sonno dei salici piangenti

la quiete dei larghi archi di ponte

dell'erbe acquatiche dell'anatre dalla testa verde

senza raggiungere la dolcezza triste delle superfici piane

senza raggiungere i campi di grano al chiaro di luna

scorre verso la piana

scorre in alto tra le montagne

tirandosi dietro le nubi che si fondono e si separano

portandosi di notte le grosse stelle

le stelle delle cime delle montagne

il sole azzurro delle nevi delle montagne

scorre schiumeggiando mescolando nel fondo le pietre nere

con quelle bianche

scorre coi suoi pesci che nuotano contro corrente

vigili nelle curve

s'inabissa e s'inalbera

pazza del proprio fragore

scorre in alto tra le montagne

tra le montagne verso la piana

verso la piana inseguendola

senza poterla raggiungere.

 

 

Varsavia, 1960.

 

La mia donna è venuta con me fino a Brest

è scesa dal treno è rimasta sul marciapiede

si è fatta più piccola più piccola più piccola

un seme di grano nell'azzurro infinito

poi, eccetto i binari, non ho visto più niente.

 

E poi mi ha chiamato, dalla terra polacca non potevo

rispondere

non potevo chiederle dove sei, mia rosa, dove sei

mi ha detto vieni ma non potevo andare da lei

il treno correva come se non dovesse fermarsi mai più

soffocavo dalla tristezza.

 

E poi sulla terra i pezzi di neve si scioglievano

e a un tratto ho capito che la mia donna mi vedeva

mi chiedeva mi pensi ancora mi pensi ancora

mentre la primavera camminava coi nudi piedi fangosi sul

cielo

 

e le stelle scendevano a posarsi sui fili del telegrafo

e l'oscurità batteva come pioggia sul treno

la mia donna restava in piedi sui pali del telegrafo

il suo cuore batteva - tac tac - come se stesse fra le mie

braccia

 

i pali si muovevano e passavano ma lei non si muoveva da lì

il treno correva come se non dovesse fermarsi mai più

soffocavo dalla tristezza.

 

E poi ho capito che da anni da lunghi anni stavo in quel treno

ma come l'ho capito e perchè mi stupisce ancora

come cantando la grande canzone della speranza

m'allontano dalle città dalle donne amate

porto la nostalgia di loro come ferita che non rimargina nella

mia carne

ma cammino sempre per avvicinarmi in qualche luogo a

qualcosa.

 

 

Varsavia, 1960.