POESIE D'AMORE
Nazim Hikmet
Mondadori
RUBAI (1)
Istanbul, 1933.
E' l'alba. S'illumina il mondo
come l'acqua che lascia cadere sul fondo
le sue impurità. E sei tu, all'improvviso
tu, mio amore, nel chiarore infinito
di fronte a me.
Giorno d'inverno, senza macchia, trasparente
come vetro. Addentare la polpa candida e sana
d'un frutto. Amarti, mia rosa, somiglia
all'aspirare l'aria in un bosco di pini.
Chi sa, forse non ci ameremmo tanto
se le nostre anime non si vedessero da lontano
non saremmo così vicini, chi sa,
se la sorte non ci avesse divisi.
E' così, mio usignolo, tra te e me
c'è solo una differenza di grado:
tu hai le ali e non puoi volare
io ho le mani e non posso pensare.
Finito, dirà un giorno madre Natura
finito di ridere e piangere
e sarà ancora la vita immensa
che non vede non parla non pensa.
Nota 1. Componimento poetico secondo la metrica tradizionale arabo-persiana.
LETTERE DAL CARCERE A MUNEVVER
Prigione di Bursa (Anatolia).
1942.
Il più bello dei mari
è quello che non navigammo.
Il più bello dei nostri figli
non è ancora cresciuto.
I più belli dei nostri giorni
non li abbiamo ancora vissuti.
E quello
che vorrei dirti di più bello
non te l'ho ancora detto.
1943.
Amo in te
l'avventura della nave che va verso il polo
amo in te
l'audacia dei giocatori delle grandi scoperte
amo in te le cose lontane
amo in te l'impossibile
entro nei tuoi occhi come in un bosco
pieno di sole
e sudato affamato infuriato
ho la passione del cacciatore
per mordere nella tua carne
amo in te l'impossibile
ma non la disperazione.
1943.
Guardo in ginocchio la terra
guardo l'erba
guardo l'insetto
guardo l'istante fiorito e azzurro
sei come la terra di primavera, amore,
io ti guardo.
Sdraiato sul dorso vedo il cielo
vedo i rami degli alberi
vedo le cicogne che volano
sei come il cielo di primavera, amore,
io ti vedo.
Ho acceso un fuoco di notte in campagna
tocco il fuoco
tocco l'acqua
tocco la stoffa e l'argento
sei come un fuoco di bivacco all'addiaccio
io ti tocco.
Sono tra gli uomini amo gli uomini
amo l'azione
amo il pensiero
amo la mia lotta
sei un essere umano nella mia lotta
ti amo.
1944.
Che sta facendo adesso
adesso, in questo momento?
E' a casa? Per la strada?
Al lavoro? In piedi? Sdraiata?
Forse sta alzando il braccio?
Amor mio
come appare in quel movimento
il polso bianco e rotondo!
Che sta facendo adesso
adesso, in questo momento?
Un gattino sulle ginocchia
lei lo accarezza.
O forse sta camminando
ecco il piede che avanza.
Oh i tuoi piedi che mi son cari
che mi camminano sull'anima
che illuminano i miei giorni bui!
A che pensa?
A me? o forse... chi sa
ai fagioli che non si cuociono.
O forse si domanda
perchè tanti sono infelici
sulla terra.
Che sta facendo adesso
adesso, in questo momento?
1944.
Se per i buoni uffici del signor Nuri spedizioniere
la mia città, la mia Istanbul mi mandasse
un cassone di cipresso, un cassone di sposa
se io l'aprissi facendo risuonare
la serratura di metallo: dccinnn...
due rotoli di tela finissima
due paia di camicie
dei fazzoletti bianchi ricamati d'argento
dei fiori di lavanda nei sacchetti di seta
e tu
e se tu uscissi da lì
ti farei sedere sull'orlo del letto
ti metterei sotto i piedi la mia pelle di lupo
con la testa chinata e le mani giunte starei davanti a te
ti guarderei, gioia, ti guarderei stupito
come sei bella, Dio mio, come sei bella
l'aria e l'acqua d'Istanbul nel tuo sorriso
la voluttà della mia città nel tuo sguardo
o mia sultana, o mia signora, se tu lo permettessi
e se il tuo schiavo Nazim Hikmet l'osasse
sarebbe come se respirasse e baciasse
Istanbul sulla tua guancia
ma sta attenta
sta attenta a non dirmi “avvicinati”
mi sembra che se la tua mano toccasse la mia
cadrei morto sul pavimento.
1945.
“Addormentarsi adesso
svegliarsi tra cento anni, amor mio...”
“No,
non sono un disertore.
Del resto, il mio secolo non mi fa paura
il mio secolo pieno di miserie e di scandali
il mio secolo coraggioso grande ed eroico.
Non ho mai rimpianto d'esser venuto al mondo troppo presto
sono del ventesimo secolo e ne son fiero.
Mi basta esser là dove sono, tra i nostri,
e battermi per un mondo nuovo...”
“Tra cento anni, amor mio...”
“No,
prima e malgrado tutto.
Il mio secolo che muore e rinasce
il mio secolo
i cui ultimi giorni saranno belli
la mia terribile notte lacerata dai gridi dell'alba
il mio secolo splenderà di sole, amor mio
come i tuoi occhi...”
1947.
Ho sognato della mia bella
m'è apparsa sopra i rami
passava come la luna
tra una nuvola e l'altra
andava e io la seguivo
mi fermavo e lei si fermava
la guardavo e lei mi guardava
e tutto è finito qui.
1947.
Il vento cala e se ne va
lo stesso vento non agita
due volte lo stesso ramo
di ciliegio
gli uccelli cantano nell'albero
ali che voglion volare
la porta è chiusa
bisogna forzarla
bisogna vederti, amor mio,
sia bella come te, la vita
sia amica e amata come te
so che ancora non è finito
il banchetto della miseria
ma finirà...
1948.
Anima mia
chiudi gli occhi
piano piano
e come s'affonda nell'acqua
immergiti nel sonno
nuda e vestita di bianco
il più bello dei sogni
ti accoglierà
anima mia
chiudi gli occhi
piano piano
abbandonati come nell'arco delle mie braccia
nel tuo sonno non dimenticarmi
chiudi gli occhi pian piano
i tuoi occhi marroni
dove brucia una fiamma verde
anima mia.
1948.
In questa notte d'autunno
sono pieno delle tue parole
parole eterne come il tempo
come la materia
parole pesanti come la mano
scintillanti come le stelle.
Dalla tua testa dalla tua carne
dal tuo cuore
mi sono giunte le tue parole
le tue parole cariche di te
le tue parole, madre
le tue parole, amore
le tue parole, amica.
Erano tristi, amare
erano allegre, piene di speranza
erano coraggiose, eroiche
le tue parole
erano uomini.
1948.
Benvenuta, donna mia, benvenuta!
certo sei stanca
come potrò lavarti i piedi
non ho acqua di rose nè catino d'argento
certo avrai sete
non ho una bevanda fresca da offrirti
certo avrai fame
e io non posso apparecchiare
una tavola con lino candido
la mia stanza è povera e prigioniero
come il nostro paese.
Benvenuta, donna mia, benvenuta!
hai posato il piede nella mia cella
e il cemento è divenuto prato
hai riso
e rose hanno fiorito le sbarre
hai pianto
e perle son rotolate sulle mie palme
ricca come il mio cuore
cara come la libertà
è adesso questa prigione.
Benvenuta, donna mia, benvenuta!
1948.
1 giorni son sempre più brevi
le piogge cominceranno.
La mia porta, spalancata, ti ha atteso.
Perchè hai tardato tanto?
Sul mio tavolo, dei peperoni verdi, del sale, del pane.
Il vino che avevo conservato nella brocca
l'ho bevuto a metà, da solo, aspettando.
Perchè hai tardato tanto?
Ma ecco sui rami, maturi, profondi
dei frutti carichi di miele.
Stavano per cadere senz'essere colti
se tu avessi tardato ancora un poco.
1948.
I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
che tu venga all'ospedale o in prigione
nei tuoi occhi porti sempre il sole.
I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
questa fine di maggio, dalle parti d'Antalya,
sono così, le spighe, di primo mattino;
i tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
quante volte hanno pianto davanti a me
son rimasti tutti nudi, i tuoi occhi,
nudi e immensi come gli occhi di un bimbo
ma non un giorno han perso,il loro sole;
i tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
che s'illanguidiscano un poco, i tuoi occhi
gioiosi, immensamente intelligenti, perfetti:
allora saprò far echeggiare il mondo
del mio amore.
I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
così sono d'autunno i castagneti di Bursa
le foglie dopo la pioggia
e in ogni stagione e ad ogni ora, Istanbul.
I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
verrà giorno, mia rosa, verrà giorno
che gli uomini si guarderanno l'un l'altro
fraternamente
con i tuoi occhi, amor mio,
si guarderanno con i tuoi occhi.
RUBAI.
1948.
Il raggio è riempito di miele
i tuoi occhi son pieni di sole.
I tuoi occhi, mia rosa, saranno cenere
domani, e il miele continuerà
a riempire altri raggi.
Non mi fermo a rimpiangere i giorni passati
- salvo una certa notte d'estate -
e anche l'ultima luce dei miei occhi azzurri
ti annuncerà lieti giorni futuri.
Un giorno, madre natura dirà: “Mia creatura
hai già riso, hai già pianto abbastanza”.
E di nuovo, immensa
sconfinata, ricomincerà
la vita, senza occhi, senza parola, senza
pensiero...
1949.
Sei la mia schiavitù sei la mia libertà
sei la mia carne che brucia
come la nuda carne delle notti d'estate
sei la mia patria
tu, coi riflessi verdi dei tuoi occhi
tu, alta e vittoriosa
sei la mia nostalgia
di saperti inaccessibile
nel momento stesso
in cui ti afferro.
FUORI DEL CARCERE.
Istanbul, 1951.
IL MATTINO.
Ti svegli.
Dove sei?
A casa.
Non hai potuto ancora abituarti:
al tuo risveglio
trovarti a casa.
Ecco quel che ti lasciano
tredici anni di carcere.
Chi c'è nel letto, accanto a te?
Non è la solitudine, è tua moglie.
Dorme coi pugni chiusi, come un angelo.
Le dona, essere incinta.
Che ore sono?
Le otto.
Possiamo dunque star tranquilli
fino a sera.
E' l'uso,
la polizia non fa irruzione in pieno giorno.
LA SERA.
Sei uscito di prigione
e appena uscito
ecco tua moglie incinta.
La sera
la prendi sottobraccio
ve ne andate a passeggio
per le strade del tuo quartiere.
Ha il ventre quasi fino al naso, tua moglie.
Il suo peso sacro
lo porta con civetteria
e tu
sei fiero e pieno di rispetto.
Fa fresco.
Una freschezza
come mani di bimbo infreddolito.
Hai voglia di afferrarla tra le palme
per riscaldarla.
I gatti del quartiere aspettano
attorno alla macelleria
e al primo piano, la macellaia ricciuta
i grossi seni appoggiati sul davanzale
contempla il tramonto.
In mezzo al cielo tutto pulito nel crepuscolo
una stella compare
limpida come un bicchier d'acqua.
L'estate è durata a lungo quest'anno
e se i gelsi sono ingialliti
i fichi sono ancora verdi.
Refik il tipografo e la figlia più giovane
di Jorghi il lattivendolo
passeggiano su e giù
con le dita intrecciate.
Karab‚ il pizzicagnolo
ha già acceso le luci
quest'armeno non ha dimenticato
il massacro
di suo padre
tra le montagne curde.
Ma a te, ti vuole bene;
anche tu, non li puoi perdonare
quelli che han messo questo marchio
sulla fronte del popolo turco.
1 malati, i tisici del quartiere
guardano, da dietro i vetri.
Il figlio di Nuriy‚ la lavandaia, disoccupato,
ingobbito dalla tristezza
s'avvia verso la bettola.
In casa dei Rahmì, si sente il radio-giornale:
in un paese dell'Estremo Oriente
degli uomini dal viso giallo lunare
combattono contro il drago bianco;
hanno mandato lì, da casa tua,
quattromila cinquecento ragazzi
per massacrare i loro fratelli.
Il tuo viso arrossisce
di collera e di vergogna
non ti senti obbiettivo, no, al diavolo,
ma triste di una tristezza tua propria
una tristezza con le mani e i piedi legati
come se rotolassero a terra tua moglie
facendola abortire
come se fossi ancora in prigione
e giù in guardina facessero battere
i contadini dai gendarmi.
La notte è caduta a un tratto.
Il passeggio serale è terminato.
Una jeep della polizia
entra nella nostra strada.
Tua moglie sussurra: “Andrà a casa?”.
LA NOTTE.
Una cotonata a quadretti blu copre il tavolo
e sopra, senza menzogne, sorridenti, arditi
stanno i nostri libri.
Sono un prigioniero, madre mia,
che ritorna al paese
da una fortezza nemica.
E' l'una di notte
la lampada è ancora accesa.
Al mio fianco è coricata mia moglie
mia moglie
incinta di cinque mesi.
Quando la mia carne tocca la sua
quando le poso la mano sul ventre
il bimbo si muove un poco.
Sul ramo la foglia
nell'acqua il pesce
nella matrice il piccolo dell'uomo.
Mio piccolo.
La camiciola di lana rosa
per il mio bambino
l'ha sferruzzata sua madre
è grande come la mia mano
con le maniche appena così.
Mio piccolo..
Se sarà femmina
voglio che sia sua madre dalla testa ai piedi,
s'è maschio, che sia della mia statura.
S'è femmina, che abbia gli occhi verde dorato
s'è maschio, azzurri.
Mio piccolo.
Non voglio che a vent'anni t'ammazzino
se sei maschio, al fronte
se sei femmina, dentro qualche rifugio, di notte.
Mio piccolo.
Femmina o maschio
a qualsiasi età.
non voglio che tu conosca il carcere
per essere stato dalla parte del giusto
del bello, della pace.
Ma so bene
figlia mia
o figlio mio
che se il sole tarderà molto a sorgere
dalle acque
dovrai combattere
e anche...
Insomma oggi, da noi, è un ben duro mestiere
essere padre.
E' l'una di notte.
La lampada
non l'abbiamo ancora spenta.
Tra mezz'ora forse, forse verso il mattino
la mia casa conoscerà
ancora un'altra irruzione
della polizia
e mi porteranno via, prenderò con me qualche libro
I questurini della politica
mi prenderanno in mezzo
e io mi volterò indietro a guardare:
mia moglie sarà sulla soglia
davanti alla porta
il vento del mattino
gonfierà la sua gonna
e nel suo ventre pesante
il bambino si muoverà un poco.
L'ADDIO.
L'uomo dice alla donna
t'amo
e come
come se stringessi tra le palme
il mio cuore, simile a scheggia di vetro
che m'insanguina i diti
quando lo spezzo
follemente.
L'uomo dice alla donna
t'amo
e come
con la profondità dei chilometri
con l'immensità dei chilometri
cento
per cento
mille per cento
cento volte l'infinitamente cento.
La donna dice all'uomo
ho guardato
con le mie labbra
con la mia testa col mio cuore
con amore con terrore, curvandomi
sulle tue labbra
sul tuo cuore
sulla tua testa.
E quello che dico adesso
l'ho imparato da te
come un mormorio nelle
e oggi so
che la terra
come una
tenebre
madre
dal viso di sole
allatta la sua creatura più bella.
Ma che fare?
I miei capelli sono impigliati ai diti di ciò che muore
non posso strapparne la testa
devi partire
guardando gli occhi del nuovo nato
devi abbandonarmi.
La donna ha taciuto
si sono baciati
un libro è caduto sul pavimento
una finestra si è chiusa.
E' così che si sono lasciati.
IN ESILIO
ARRIVEDERCI FRATELLO MARE.
Varna, 1951.
Ed ecco ce ne andiamo come siamo venuti
arrivederci fratello mare
mi porto un po' della tua ghiaia
un po' del tuo sale azzurro
un po' della tua infinità
e un pochino della tua luce
e della tua infelicità.
Ci hai saputo dir molte cose
sul tuo destino di mare
eccoci con un po' più di speranza
eccoci con un po' più di saggezza
e ce ne andiamo come siamo venuti
arrivederci fratello mare.
Varna, 1957.
Nella casa addormentata in quest'alba
la luce che si muove al secondo piano
è una stella rimasta lassù
sono sceso senza rumore
per la scala
sono andato attraverso il giardino
fino al bosco di faggi
nella freschezza calma di quest'alba
negli alberi la tenerezza
di una giovane madre
e a passi lenti sul ponte di pietra
la partenza.
Varna, 1952.
Impossibile dormire la notte qui a Varna
impossibile dormire
per via di queste stelle che son troppe
troppo lucide troppo vicine
per via del mormorio sul greto dell'onde morte
il loro sussurro
le loro perle
i loro ciottoli
le alghe salate
per via del rumore di un motore sul mare come un cuore che batte
per via dei fantasmi
venuti da Istanbul
sorti dal Bosforo
che invadono la stanza
gli occhi verdi dell'uno
le manette ai polsi dell'altro
un fazzoletto
nelle mani del terzo
un fazzoletto che sa di lavanda.
impossibile dormire la notte qui a Varna, mio amore,
qui a Varna, all'albergo Bor.
NON E' UN CUORE.
Varna, 1952.
Non è un cuore, perdio, è un sandalo di pelle di bufalo
che cammina, incessantemente, cammina
senza lacerarsi
va avanti
su sentieri pietrosi.
Una barca passa davanti a Varna
“Ohilà, figli d'argento del Mar Nero!”
una barca scivola verso il Bosforo.
Nazim dolcemente carezza la barca
e si brucia le mani.
QUEST'ANNO.
Varna, 1952.
Quest'anno quest'inizio d'autunno nel meridione
m'impasticcio di mare di sabbia di sole
mi stropiccio all'albero
alle mele
come ci s'impasticcia di miele.
La notte, il cielo ha un buon odore di semi
la notte, il cielo scende sulla via polverosa
m'impasticcio di stelle.
Io m'abituo, mia rosa,
io m'abituo
al mare alla sabbia al sole alle mele alle stelle
è tempo di andare
mischiato
al sole alla sabbia alle mele alle stelle al mare.
DA VARNA A SOFIA.
Sofia, 1952.
Da Varna a Sofia, amor mio
lungo la strada tanti noci.
Odor d'alcanna, odor di verde.
Non è la strada ch'è fatta di noci
o mio tesoro, noi siamo nei noci.
Sulla strada abbiam visto il cimitero
di pietre nere
ci siamo avvicinati.
Un cimitero immenso.
Le lastre, cadaveri sparsi, lunghi distesi.
Le pietre, erte nella loro altezza, marciscono in piedi.
Il vento rode loro il cuore e poi se ne va.
Così, mia bella dagli occhi di falco, è la mia tristezza.
Che destino è mai questo!
Diventar polvere, terra immobile.
Una nostalgia amara
un fumo nero, o mia bella,
che destino è mai questo!
Una tristezza così grande
a questo punto, mia stella,
non la conosco che io...
A SOFIA.
Sofia, 1952.
Sono entrato a Sofia un giorno di primavera, amor mio
la tua città natale ha un profumo di tigli.
Percorro il mondo senza di te
tale è il mio destino
che posso farci?
A Sofia, l'albero vien prima della pietra, è più bello
della pietra.
A Sofia, l'albero e l'uomo si mescolano
soprattutto il pioppo
sembra che voglia entrar nella stanza
a sedersi sul tappeto rosso.
Qui, quando viene la sera, tutti sciamano per le vie
donne, vecchi, giovani, bambini
risa, chiasso, mormorio, tumulto
in lungo e in largo
fianco a fianco
a braccetto, la mano in mano.
A Istanbul, a Scehsadebasci, le sere di ramadan
- Munevver, non te ne puoi ricordare -
si passeggiava così, in altri tempi.
Quei tempi sono passati
se fossi adesso a Istanbul
nemmeno me ne ricorderei.
Ma lontano da Istanbul
tutto è pretesto per la nostalgia
anche il parlatorio
della prigione di Uskudar...
Sono entrato a Sofia un giorno di primavera, amor mio
la tua città natale ha un profumo di tigli.
La tua città natale è la casa accogliente
di un fratello
ma anche in casa del fratello
la propria non si scorda.
E' un duro mestiere, l'esilio,
un duro mestiere...
PIOGGIA D'ESTATE.
Varsavia, 1954.
Pioggia d'estate cade dentro di me
acini d'uva si schiacciano contro i miei vetri
gli occhi delle mie foglie sono abbagliati
pioggia d'estate cade dentro di me
piccioni d'argento volano dai miei tetti
la mia terra corre coi piedi nudi
pioggia d'estate cade dentro di me
una donna è scesa dal tram
i polpacci bianchi bagnati
pioggia d'estate cade dentro di me
senza rinfrescare la mia tristezza
pioggia d'estate cade dentro di me
all'improvviso e all'improvviso s'arresta
il peso dell'afa è rimasto dov'era
al termine delle grosse rotaie
arrugginite.
I PESCI.
Mosca, 1955.
Nuotano nel boccale, i pesci di corallo
nel boccale, in mezzo alle stelle,
com'è bizzarro, mia rosa, com'è bizzarro
la stupidità dei pesci di corallo
sanguina dalla ferita di tante canzoni.
Mosca, 1956.
C'è un albero dentro di me
trapiantato dal sole
le sue foglie oscillano come pesci di fuoco
le sue foglie cantano come usignoli
è un pezzo che i viaggiatori sono scesi
dai razzi sul pianeta ch'è in me
parlano una lingua che ho udito in sogno
non ordini non vanterie non preghiere
in me c'è una strada bianca
le formiche passano coi semi di grano
i camion passano col chiasso delle feste
ma il carro funebre - è proibito - non può passare
in me il tempo rimane
come una rossa rosa odorosa
che oggi sia venerdì domani sabato
che il più di me sia passato che resti il meno
non importa.
Bakù, 1957.
La tristezza sulle mie spalle
è una camicia di tela da vela
lavata all'acqua di mare
con una spazzola di ferro
sul ponte spazzato dal vento.
E in questo villaggio del sud, senza sosta nè tregua,
il sole rosseggia e si gonfia di miele
sulle fanciulle e dentro le albicocche.
BAKÉ.
Bakù, 1957.
Durante la notte fino al mare pesante senza stelle
durante la notte nelle tenebre fitte
la città di Bakù è un campo di grano soleggiato
sono sulla collina
manciate di semi di luce mi colpiscono il viso
nell'aria una melodia orientale cola come le acque del Bosforo
sono sulla collina
e il mio cuore come una zattera
s'allontana sulla separazione infinita
va oltre i ricordi
fino al mare pesante senza stelle
nelle tenebre fitte.
ORA DI PRAGA.
Praga, 1957.
Millenovecento cinquantasette, diciassette gennaio,
suonano le nove.
Il freddo soleggiato, sincero,
il freddo è rosa pallido
il freddo è celeste cielo.
I miei baffi rossi stanno per gelarsi.
La città di Praga è incisa su una coppa di vetro
incisa con un diamante.
Risuonerebbe se la toccassi;
striata d'oro, limpida e bianca.
Sono le nove sonanti
a tutte le torri
e al mio orologio da polso.
In questo minuto, in questo istante
a Praga nessuno ha mentito
in questo minuto, in questo istante
le donne hanno partorito
senza doglie
e in tutte le strade
non è passata una sola bara.
In questo minuto, in questo istante
tutti i diagrammi sono saliti
- eccetto quelli dei malati -
in questo minuto, in questo istante
le donne eran tutte belle tutti gli uomini intelligenti
e i manichini di cera senza tristezza
in questo minuto, in questo istante
nelle scuole tutti i ragazzi han risposto
senza confondersi alle domande
in questo minuto, in questo istante
in tutte le stufe c'era carbone
tutti i termosifoni
erano caldi
e come sempre la Torre Nera dalla punta d'oro
in questo minuto, in questo istante
i ciechi han dimenticato la loro tenebra
e i gobbi la loro gobba
in questo minuto, in questo istante
non ho un solo nemico
nessuno può neanche immaginare
che i giorni passati potrebbero ritornare.
In questo minuto, in questo istante
Vastlav è sceso dal suo cavallo di bronzo
s'è mescolato alla folla
come uno sconosciuto
in questo minuto, in questo istante
mi amavi, mio amore,
come non hai mai amato nessuno
in questo momento, in questo istante
il freddo soleggiato, sincero,
il freddo è rosa pallido
il freddo è celeste cielo.
La città di Praga è incisa su una coppa di vetro
incisa con un diamante.
Risuonerebbe se la toccassi
striata d'oro, limpida e bianca.
Mosca, 1958.
E muore e nasce a tutta forza
albero stella uomo
virus eccetera eccetera
un tumulto uno strepito
speranza malinconia
nostalgia
e nasce e muore
a tutto vapore.
LE PIOGGE.
Mosca, 1958.
Al sole brillano coi loro lustrini coi fili d'argento
le piogge son biondi capelli di sposa fanciulla
la tranquillità delle tegole molli
mi penetra a poco a poco.
PRIMA CHE BRUCI PARIGI.
Parigi, 1958.
Finchè ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finchè ancora tempo, mio amore
finchè il mio cuore è sul suo ramo
vorrei una notte di maggio
una di queste notti
sul lungosenna Voltaire
baciarti nella bocca
e andando poi a Notre-Dame
contempleremmo il suo rosone
e a un tratto serrandoti a me
di gioia paura stupore
piangeresti silenziosamente
e le stelle piangerebbero
mischiate alla pioggia fine.
Finchè ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finchè ancora tempo, mio amore
finchè il mio cuore è sul suo ramo
in questa notte di maggio sul lungosenna
sotto i salici, mia rosa, con te
sotto i salici piangenti molli di pioggia
ti direi due parole le più ripetute a Parigi
le più ripetute, le più sincere
scoppierei di felicità
fischietterei una canzone
e crederemmo negli uomini.
In alto, le case di pietra
senza incavi nè gobbe
appiccicate
coi loro muri al chiar di luna
e le loro finestre diritte che dormono in piedi
e sulla riva di fronte il Louvre
illuminato dai proiettori
illuminato da noi due
il nostro splendido palazzo
di cristallo.
Finchè ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finchè ancora tempo, mio amore
finchè il mio cuore è sul suo ramo
in questa notte di maggio, lungo la Senna, nei depositi
ci siederemmo sui barili rossi
di fronte al fiume scuro nella notte
per salutare la chiatta dalla cabina gialla che passa
- verso il Belgio o verso l'Olanda? -
davanti alla cabina una donna
con un grembiule bianco
sorride dolcemente.
Finchè ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finchè ancora tempo, mio amore.
CONCERTO IN RE MINORE NUMERO 1 DI J. S. BACH.
Sofia, 1959.
Mattino d'autunno nella vigna
fila per fila ceppo per ceppo i ceppi si ripetono
e i grappoli sui ceppi
e gli acini sui grappoli
e la luce sugli acini.
La notte nella casa grandissima e bianca
una luce dentro ciascuna
le finestre si ripetono
tutte le piogge che cadono si ripetono
sul suolo sull'albero sul mare
sulla mia mano il mio viso i miei occhi
e le gocce si schiacciano sul vetro
rinnovamento dei miei giorni
simili gli uni agli altri
differenti gli uni dagli altri
ripetersi dei punti a maglia
ripetersi nel cielo stellato
in tutte le lingue ripetizione dei “t'amo”
e nelle foglie il rinnovamento dell'albero
e in ogni letto di morte il dolore
per la vita troppo breve
ripetersi della neve
che cade
della neve che cade leggera
della neve che cade a fiocchi
della neve che fuma come la nebbia
disperdendosi nella tempesta
che imperversa
ripetersi della neve che mi sbarra il cammino
i bambini giocano nel cortile
nel cortile giocano i bambini
una vecchia passa nella strada
nella strada una vecchia passa
passa una vecchia nella strada.
La notte nella casa grandissima e bianca
una luce dentro ciascuna
le finestre si ripetono
sui grappoli, rinnovamento di acini
sugli acini, la luce
camminare verso il giusto e il vero
combattere per il vero, il giusto
conquistare il giusto, il vero
le tue lagrime mute e il tuo sorriso, mio amore,
i tuoi singhiozzi i tuoi scoppi di risa, mio amore,
il ripetersi del tuo riso
dai denti bianchi
brillanti
il mattino d'autunno nella vigna
fila per fila nodo per nodo i ceppi si ripetono
sui ceppi, i grappoli
sui grappoli, gli acini
sugli acini, la luce
nella luce, il mio amore.
Il miracolo del rinnovamento, mio cuore,
è il non ripetersi del ripetersi.
Mosca, 1959.
Ti amo come se mangiassi il pane spruzzandolo di sale
come se alzandomi la notte bruciante di febbre
bevessi l'acqua con le labbra sul rubinetto
ti amo come guardo il pesante sacco della posta
non so che cosa contenga e da chi
pieno di gioia pieno di sospetto agitato
ti amo come se sorvolassi il mare per la prima volta in aereo
ti amo come qualche cosa che si muove in me
quando il crepuscolo scende su Istanbul poco a poco
ti amo come se dicessi Dio sia lodato son vivo.
Stoccolma, 1960.
La mia tavola la mia carta la tuia macchina da scrivere
i miei abiti son tutti insanguinati
sono insanguinati i marciapiedi
delle città dove sono passato
le tracce delle mie mani sui muri sono di sangue
ho lacerato
la camicia sul petto
e il mio cuore lo stiamo divorando
con una femmina
scrivimi delle lettere telegrafami telefonami
dimmi vengo vengo vengo
morte dammi la saggezza.
Stoccolma, 1960.
Sono cent'anni che non ho visto il suo viso
che non ho passato il braccio
attorno alla sua vita
che non mi son fermato nei suoi occhi
che non ho interrogato
la chiarità del suo pensiero
che non ho toccato
il calore del suo ventre
eravamo sullo stesso ramo insieme
eravamo sullo stesso ramo
caduti dallo stesso ramo ci siamo separati
e tra noi il tempo è di cent'anni
di cent'anni la strada
e da cent'anni nella penombra
corro dietro a te.
Berlino, 1960.
In questa stagione calda penso a te
la tua nudità il tuo collo il tuo polso
il tuo piede sdraiato sul divano
come una rondine bianca
quello che mi dicevi
in questa stagione calda penso a te
non so che cosa penso di più
quello che vedevo con gli occhi
il tuo collo il tuo polso il tuo piede nudo
oppure quello che mi dicevi
donandoti a me
in questo calore giallo penso a te
in questo calore giallo in una stanza d'albergo
pensando a te
mi spoglio della mia solitudine ,
della mia solitudine che somiglia alla morte.
Caucaso, 1960.
Sono sceso dal nord un pomeriggio in questo paese delle
montagne del sud
vicino a me c'era una donna giovane e bianca
con gli occhi tracciati sul viso come un orizzonte azzurro
con i capelli lisci color del fieno
sono sceso dal nord un pomeriggio in questo paese delle
montagne del sud
queste montagne vivevano con gli uomini le vacche i camion
col suolo le mele le querce gli abeti e già
con i capelli color del fieno
con la donna che è con me
con le tigri e le trote
queste montagne eran coperte di neve soleggiata di rosso di
verde scuro
queste montagne vivevano nelle pagine dei quaderni di scuola
nei sanatori nei magazzini di Stato
nell'asfalto che serpeggia nei ponti di legno
queste montagne vivevano nel sangue delle capre selvatiche
in fondo ai laghi
e adesso c'è una donna
una donna dagli occhi tracciati sul viso come un orizzonte
azzurro
e io so già che quell'orizzonte azzurro soltanto
resterà nel ricordo di quelle montagne.
Mosca, 1960.
Nel cortile c'è neve fino al ginocchio
cade a fiocchi
cade da stamattina senza riuscire a frenarsi
siamo in cucina
sulla tela cerata del tavolo è la primavera
sulla tela cerata c'è un cetriolino fresco
ha il fiore al naso
è tutto, picchiettato
siamo seduti attorno a lui lo guardiamo
siamo stupiti
pensosi
ottimisti
sentiamo qualche cosa come se fossimo in sogno
sulla tela cerata c'è la speranza
sulla tela cerata c'è la bella giornata
un cielo carico di sole verde
una folla di smeraldi impaziente agitata
gli amori che debbono esplodere
sulla tela cerata c'è un cetriolino fresco
ha il fiore al naso
è tutto picchiettato
nel cortile c'è neve fino al ginocchio
cade a fiocchi
cade da stamattina senza riuscire a frenarsi.
Roma, 1960.
Quante donne belle ci sono al mondo
quante belle ragazze
s'affacciano sulle terrazze della città
contemplale vecchio
contemplale e mentre da un canto i tuoi versi
si fanno più tersi e lucenti
dall'altro
devi contrattare cercando di tirarla in lungo
con la morte che ti sta accanto.
Roma, 1960.
La tua anima è un fiume, mio amore
scorre in alto tra le montagne
tra le montagne verso la piana
verso la piana senza poterla raggiungere
senza raggiungere il sonno dei salici piangenti
la quiete dei larghi archi di ponte
dell'erbe acquatiche dell'anatre dalla testa verde
senza raggiungere la dolcezza triste delle superfici piane
senza raggiungere i campi di grano al chiaro di luna
scorre verso la piana
scorre in alto tra le montagne
tirandosi dietro le nubi che si fondono e si separano
portandosi di notte le grosse stelle
le stelle delle cime delle montagne
il sole azzurro delle nevi delle montagne
scorre schiumeggiando mescolando nel fondo le pietre nere
con quelle bianche
scorre coi suoi pesci che nuotano contro corrente
vigili nelle curve
s'inabissa e s'inalbera
pazza del proprio fragore
scorre in alto tra le montagne
tra le montagne verso la piana
verso la piana inseguendola
senza poterla raggiungere.
Varsavia, 1960.
La mia donna è venuta con me fino a Brest
è scesa dal treno è rimasta sul marciapiede
si è fatta più piccola più piccola più piccola
un seme di grano nell'azzurro infinito
poi, eccetto i binari, non ho visto più niente.
E poi mi ha chiamato, dalla terra polacca non potevo
rispondere
non potevo chiederle dove sei, mia rosa, dove sei
mi ha detto vieni ma non potevo andare da lei
il treno correva come se non dovesse fermarsi mai più
soffocavo dalla tristezza.
E poi sulla terra i pezzi di neve si scioglievano
e a un tratto ho capito che la mia donna mi vedeva
mi chiedeva mi pensi ancora mi pensi ancora
mentre la primavera camminava coi nudi piedi fangosi sul
cielo
e le stelle scendevano a posarsi sui fili del telegrafo
e l'oscurità batteva come pioggia sul treno
la mia donna restava in piedi sui pali del telegrafo
il suo cuore batteva - tac tac - come se stesse fra le mie
braccia
i pali si muovevano e passavano ma lei non si muoveva da lì
il treno correva come se non dovesse fermarsi mai più
soffocavo dalla tristezza.
E poi ho capito che da anni da lunghi anni stavo in quel treno
ma come l'ho capito e perchè mi stupisce ancora
come cantando la grande canzone della speranza
m'allontano dalle città dalle donne amate
porto la nostalgia di loro come ferita che non rimargina nella
mia carne
ma cammino sempre per avvicinarmi in qualche luogo a
qualcosa.
Varsavia, 1960.