mercoledì 7 aprile 2021

GUGLIELMO DEL MULINO. Robert Louis Stevenson

 


GUGLIELMO DEL MULINO.

 Robert Louis Stevenson 

«Non c'è che una sola differenza tra un buon pranzo e una lunga vita: che, nel pranzo, il dolce viene alla fine.»

LA PIANURA E LE STELLE.

 

Il mulino nel quale abitava Guglielmo con i suoi genitori adottivi era in una pianura in declivio tra boschi di pini e grandi montagne. In alto, le montagne si levavano, una dopo l'altra, fino a un'altezza alla quale non potevano vivere neppure gli alberi più forti, e si stagliavano nude contro il cielo. A una certa altezza, un lungo villaggio grigio era come una sutura o un velo di vapori su una montagna boscosa; e, quando il vento era favorevole, il suono delle campane della chiesa scendeva, sottile e argentino, fino a Guglielmo.

Sotto, la vallata si faceva sempre più erta, e allo stesso tempo più ampia, da ogni parte; e da un'altura presso il mulino si poteva vedere tutta la sua lunghezza, e oltre: dove era una vasta pianura, nella quale il fiume faceva gomito e brillava, andando da città a città col suo viaggio verso il mare. In quella vallata c'era un passaggio che portava in un reame vicino; e così, per quanto tranquilla e rurale, la strada che correva lungo il fiume era una grande strada maestra, tra due splendidi e possenti paesi. Per tutta l'estate, le carrozze da viaggio s'arrampicavano, o scendevano veloci passando davanti al mulino; e poiché dall'altra parte la salita era molto più facile, il sentiero non era molto frequentato se non da gente che andava in una direzione; e delle carrozze che Guglielmo vedeva passare, cinque sesti scendevano veloci e soltanto un sesto s'arrampicava. E ancor più era questa la regola per i viandanti che andavano a piedi. Tutti i turisti dal piede leggero, tutti i merciai ambulanti carichi di strane mercanzie, andavano in giù, come il fiume che accompagnava il loro sentiero. Né questo era tutto; perché, quando Guglielmo era ancora bambino, scoppiò una guerra disastrosa su gran parte del mondo. I giornali erano pieni di sconfitte e di vittorie, la terra risonava degli zoccoli della cavalleria, e spesso per giornate di seguito e per miglia all'intorno il fragore della battaglia spaventava la buona gente, che non osava andare al lavoro dei campi. Di tutto questo, per lungo tempo non si seppe nulla nella vallata; ma alla fine uno dei capi spinse un esercito oltre il passo, a marce forzate, e per tre giorni cavalli e fanti, cannoni e carri d'artiglieria, tamburi e stendardi continuarono a scendere in folla, passando davanti al mulino. Il bimbo rimase tutto il giorno a guardarli passare; la ritmica marcia, i volti pallidi dalle barbe non rase e con gli occhi cerchiati di scuro, le uniformi scolorite e le bandiere a brandelli lo riempirono d'un senso di stanchezza, di pietà e meraviglia; e per tutta la notte, mentre era a letto, sentì i cannoni rumoreggiare e i piedi scalpicciare, e il grande esercito salire e scendere, passando davanti al mulino. Nessuno di quelli della vallata seppe mai la sorte di quella spedizione, perché erano lontani dalla strada che le notizie prendevano in quei tempi inquieti; ma Guglielmo vide chiaramente una cosa: che non un uomo ritornò. Dov'erano andati tutti quanti? Dove andavano tutti i turisti e i merciai ambulanti con le strane mercanzie? dove tutte le veloci berline coi servi nel sedile posteriore? dove l'acqua del fiume, che sempre scorreva verso il basso e sempre era rinnovata dall'alto? Perfino il vento soffiava più spesso giù nella valle, e portava con sé le foglie morte in autunno. Pareva vi fosse una grande cospirazione di cose animate e inanimate; tutte scendevano, leggere e allegre scendevano, e lui solo, pareva, restava indietro, come un tronco d'albero al margine della strada. A volte si rallegrava nel vedere i pesci salire contro corrente. Essi, almeno, gli rimanevano fedelmente vicini, mentre tutte l'altre cose s'affrettavano a scendere nel mondo sconosciuto.

Una sera domandò al mugnaio dove andasse il fiume.

«Scende nella valle» gli rispose, «e fa girare una grande quantità di mulini - centoventi mulini, dicono, da qui a Unterdeck - e senza stancarsi. E poi scende alle pianure, e irriga il gran paese del grano, e scorre attraverso molte città (così dicono), dove i re abitano soli in grandi palazzi, con una sentinella che va su e giù davanti alla porta. E passa sotto ponti sui quali stanno uomini di pietra che guardano con strani sorrisi l'acqua che passa, e gente che appoggia i gomiti al parapetto e guarda anch'essa la corrente. E poi va avanti e avanti, e scende per paludi e sabbie, e alla fine sbocca nel mare, nel quale sono i bastimenti che portano pappagalli e tabacco dalle Indie. Sì, fa un lungo cammino, dopo essere passato cantando alla nostra chiusa, che Dio lo benedica!»

«E che cos'è il mare?» domandò Guglielmo.

«Il mare!» esclamò il mugnaio. «Il Signore ci aiuti tutti, è la più gran cosa che Dio abbia fatta! E' lì che tutta l'acqua del mondo sbocca in un gran lago salato. Sta fermo, liscio come questa mano e innocente come un bambino; ma dicono che quando soffia il vento s'alzi in montagne d'acqua più grandi di tutte le nostre montagne, e che inghiotta navi più grandi del nostro mulino e dia tale muggito che lo si può udire a miglia di distanza, sulla terra. In esso sono grandi pesci, più grandi di cinque tori, e un vecchio serpente lungo come il nostro fiume e vecchio quanto il mondo, coi baffi come un uomo e una corona d'argento sul capo.»

Guglielmo pensò che non aveva mai sentito dire niente di simile e continuò a fare una domanda dopo l'altra chiedendo del mondo che era laggiù oltre il fiume, con tutti i suoi rischi e le sue meraviglie, fin che il vecchio mugnaio vi prese interesse, e finalmente lo prese per mano e lo condusse sulla cima del monte che guarda la valle e la pianura. Il sole stava per tramontare, ed era basso nel cielo senza nuvole. Tutto era chiaro e splendente nella luce dorata. Guglielmo non aveva mai veduto, in tutta la sua vita, una così grande estensione di paese; e la contemplò con tanto d'occhi. Vide le città, e i boschi e i campi, e le luminose curve del fiume, e vide lontano, dove il limite della pianura confinava con la luce del cielo. Un'emozione vinse il ragazzo, anima e corpo; il suo cuore batteva così forte che non poteva respirare; pareva il sole ruotasse all'intorno e mostrasse, nel girare, strane forme che scomparivano rapide come pensieri, ed erano sostituite da altre. Guglielmo si coperse il volto con le mani, e scoppiò in lacrime violente; e il povero mugnaio, tristemente deluso e perplesso, non trovò di meglio da fare che prenderlo in braccio e portarlo a casa in silenzio.

Da quel giorno Guglielmo fu pieno di nuove speranze e di nuovi desideri. Qualche cosa continuava a strappargli le fibre del cuore; l'acqua corrente portava con sé i suoi desideri mentre egli sognava guardando il suo rapido passare; il vento, nel correre sulle innumerevoli chiome degli alberi, lo salutava con parole che lo incoraggiavano; i rami accennavano all'ingiù; la strada aperta, nelle svolte e nelle tortuosità e nello svanire sempre più rapida giù per la vallata, lo torturava coi suoi inviti. Passava lunghi tratti sull'altura, guardando la distesa del fiume, e più in là, le grasse pianure, e osservava le nuvole che viaggiavano portate dal vento tardo e trascinavano le loro ombre purpuree sul piano; o s'indugiava a lato della strada, e seguiva con gli occhi le carrozze, mentre strepitavano scendendo al fiume. Non gli importava quello che vedeva; tutto quello che andava da quella parte, fosse nuvola o carrozza, uccello o bruna acqua del fiume, sentiva che il suo cuore lo seguiva, con un'estasi di desiderio.

Gli uomini di scienza ci dicono che tutte le venture dei marinai per mare, tutte le guerre delle tribù e delle stirpi che confondono l'antica storia con la loro polvere e il loro fragore, non sorgono da nulla di più astruso delle leggi della domanda e dell'offerta, e da un certo istinto naturale verso i bassi prezzi. A chiunque pensi profondamente questa sembrerà una spiegazione sciocca e pietosa. Le tribù che sciamarono dal settentrione e dall'oriente, se in realtà furono spinte da altre, furon tratte allo stesso tempo dall'influsso magnetico del mezzogiorno e dell'occidente. La fama d'altre terre era giunta ad esse; il nome della Città Eterna risuonava nei loro orecchi; non erano coloni, ma pellegrini; facevano il loro viaggio verso il vino e l'oro e la luce del sole, ma i loro cuori aspiravano a qualche cosa di più alto. La divina inquietudine, l'antico, pungente turbamento dell'umanità che conduce a tutte le grandi gesta e a tutte le miserevoli cadute, lo stesso che fece aprir l'ali a Icaro, lo stesso che fece andare Colombo nell'Atlantico desolato, ispirò e sorresse quei barbari nella loro marcia pericolosa. C'è una leggenda che ritrae profondamente il loro spirito; che racconta come un gruppo in fuga di questi errabondi incontrasse un uomo assai vecchio ricoperto di ferro. Il vecchio domandò loro dove andassero; ed essi risposero a una voce: «Alla Città Eterna!» Egli li guardò gravemente:

«L'ho cercata» disse, «quasi in tutto il mondo. Tre paia di scarpe come quelle che ora porto ai piedi ho consumato nel mio pellegrinaggio, e ora il quarto sta diventando sottile sotto i miei piedi. E con tutto questo non ho trovato la città». E si voltò e se ne andò solo per la sua strada, lasciandoli stupiti.

Eppure questo non potrebbe paragonarsi se non pallidamente all'intensità di quello che sentiva Guglielmo per la pianura. Solo che avesse potuto inoltrarsi abbastanza, sentiva che la sua vista si sarebbe fatta più pura e più chiara, che il suo udito sarebbe divenuto più delicato, che il suo stesso respiro sarebbe stato una gioia. Così com'era, era trapiantato e appassiva; viveva in paese straniero e agognava la patria. A poco a poco, riunì varie nozioni del mondo di giù; del fiume, sempre in moto e sempre crescente fin che sboccava nell'oceano maestoso; delle città piene di uomini vivaci e belli, di scherzose fontane, di musiche e di palazzi marmorei e illuminate la notte, da un capo all'altro, con artificiali stelle d'oro; delle grandi chiese, delle savie università, dei coraggiosi eserciti, di immense quantità di danaro accumulate nei sotterranei; del vizio scervellato che si muoveva alla luce del sole e del furtivo e rapido assassinio di mezzanotte. Ho detto che agognava la patria: la metafora è imperfetta. Era come uno che giaccia in una preesistenza crepuscolare e informe, che allunghi le mani con amore verso una vita variopinta e multisonora. Non è meraviglia che fosse infelice; e andava a dirlo ai pesci: essi erano fatti per la loro vita, non desideravano se non vermi e acqua e una tana scavata in una ripa; ma egli era segnato per altro destino, pieno di desideri e d'aspirazioni, con le dita che gli prudevano, con gli occhi pieni d'ardente desiderio, e tutto il mondo multicolore non lo poteva saziare con l'infinità dei suoi aspetti. La vera vita, la vera, luminosa luce del sole, erano lontane, sulla pianura. Oh! vedere la luce di quel sole, prima di morire! muoversi con lo spirito lieto sulla terra d'oro! udire i meravigliosi cantori e le dolci campane delle chiese, e vedere i giardini delle vacanze! «Oh pesci!» esclamava, «se soltanto voleste volgervi e seguire la corrente che scende, potreste così facilmente nuotare nelle acque favoleggiate e vedere le grandi navi passarvi sul capo come nuvole e udire le grandi montagne d'acqua che risuonerebbero su di voi tutto il giorno!» Ma i pesci continuavano pazienti a guardare nella loro direzione, fin che Guglielmo non sapeva se dovesse ridere o piangere.

Fino ad allora il traffico della strada era passato davanti a Guglielmo come una cosa veduta in un dipinto: forse aveva scambiato il saluto con un turista, o s'era accorto di un vecchio signore col berretto da viaggio al finestrino d'una carrozza; ma per lo più tutto era stato come un simbolo, che contemplava standosene in disparte e con un sentimento che aveva della superstizione. Venne alla fine un tempo nel quale tutto questo doveva mutare. Il mugnaio, che era uomo avido, a suo modo, e non perdeva mai un'occasione di onesto guadagno, cambiò la casa del mulino in albergo; e poiché gli toccarono parecchie tempestive fortune, costruì delle stalle e divenne il maestro di posta di quella strada. Ora fu dovere di Guglielmo servire la gente, quando questa sedeva a rompere il digiuno nel piccolo belvedere, in fondo al giardino del mulino; e potete star certi che teneva gli orecchi aperti, e che apprese molte cose nuove del mondo lontano, mentre portava la frittata o il vino. Anzi, spesso si metteva a conversare con gli ospiti che erano soli, e con abili domande e cortese attenzione non soltanto soddisfaceva la sua curiosità, ma si guadagnava la simpatia dei viaggiatori. Molti facevano complimenti ai vecchi sposi per il ragazzo che li serviva; e un professore desiderava assai portarlo via con sé per farlo convenientemente educare nella pianura. Il mugnaio e sua moglie furono molto stupiti, e ancor più contenti. Pensarono che era proprio una bella cosa che avessero aperto l'albergo. «Vedi» osservava il vecchio, «ha una specie di dono per il mestiere dell'albergatore; non avrebbe mai potuto far altro!» E così la vita scorreva nella vallata, con grande soddisfazione di tutti, fuorché di Guglielmo. Pareva che tutte le carrozze che lasciavano la porta dell'albergo portassero con sé una parte di lui; e quando la gente, scherzando, gli offriva di portarlo con sé, gli era difficile dominare la sua emozione. Tutte le notti sognava d'essere risvegliato da servi affaccendati, e che uno splendido equipaggio l'aspettava alla porta, per condurlo giù, nella pianura; una notte dopo l'altra; fino a quando il sogno, che dapprima gli era sembrato tutto allegro, cominciò a prender colore di gravità, e il richiamo notturno e l'equipaggio in attesa occuparono nella sua mente un posto che a un tempo gli dava paura e speranza.

Un giorno, quando Guglielmo aveva sedici anni, un giovane grasso arrivò al tramonto, per passare la notte all'albergo. Aveva un viso di cuor contento, allegri occhi, e portava uno zaino. Mentre preparavano il pranzo, sedette nel belvedere a leggere un libro; ma non appena cominciò a osservare Guglielmo, il libro fu messo da parte; evidentemente era di quelli che preferiscono gli uomini vivi agli uomini fatti di inchiostro e di carta. Guglielmo, da parte sua, benché a prima vista non si fosse molto interessato dello straniero, ben presto cominciò a provare un gran piacere discorrendo con lui; le sue parole erano piene di bontà e di buon senso, e finì coll'avere un grande rispetto per il suo carattere e la sua saggezza. Rimasero seduti fino a tarda notte, e verso le due del mattino Guglielmo aperse il suo cuore al giovane, e gli disse quanto desiderasse lasciare la vallata e le luminose speranze che aveva concepite pensando alle città della pianura. Il giovane fischiettò, e poi aperse il volto a un sorriso.

«Mio giovane amico» osservò, «certo sei un ben bizzarro omino, e desideri una quantità di cose che non avrai mai. Ti vergogneresti se tu sapessi come i giovani di quelle città incantate pensano alle stesse sciocchezze e si consumano dal desiderio di salire alle montagne. E lascia che ti dica che quelli che scendono alle pianure poco tempo dopo desiderano di tutto cuore di ritornare. L'aria non v'è così leggera, né così pura; e il sole non v'è più luminoso. In quanto ai begli uomini e alle belle donne, ne vedresti molti coperti di cenci e molti deformati da orribili mali; e la città è luogo tanto duro per quelli che sono poveri e sensibili, che molti preferiscono morire di propria mano.»

«Mi dovete credere assai semplice» rispose Guglielmo. «Sebbene io non sia mai uscito da questa vallata, credetemi, gli occhi m'hanno servito. So come ogni animale vive a spese dell'altro; per esempio, come il pesce sta in agguato nel turbine della corrente per prendere i suoi compagni; e il pastore, che fa così bel vedere quando porta a casa l'agnello, non lo porta a casa che per mangiarselo a pranzo. Non m'aspetto di trovare tutto giusto nelle vostre città. Questo non mi turba; forse, un tempo, sarebbe stato così; ma, sebbene io viva sempre qui, ho fatto molte domande e ho appreso molte cose in questi ultimi anni, e certo quanto basta a guarirmi delle mie antiche fantasie. Ma non vorrete ch'io muoia come un cane e non veda tutto quello che c'è da vedere, e non faccia tutto quello che un uomo può fare, sia buono o cattivo. Non vorrete ch'io passi tutti i miei giorni tra questa strada e il fiume, e non faccia neppure un movimento per levarmi, e vivere la mia vita. Preferirei morire subito» esclamò, «piuttosto di indugiare qui, come faccio.»

«Migliaia di persone» disse il giovane, «vivono e muoiono come te, e non sono per questo meno felici.»

«Ah!» disse Guglielmo, «se ce ne sono migliaia che sarebbero contenti, perché nessuno di essi prende il mio posto?»

Era buio; una lampada pendeva nel belvedere e illuminava i volti dei due e la tavola; e, lungo l'arco, le foglie sul graticcio si stagliavano luminose contro il cielo notturno, disegno d'un verde trasparente su un nero violaceo. Il giovane grasso s'alzò, e prendendo per un braccio Guglielmo lo condusse sotto l'aperto cielo.

«Hai mai guardato le stelle?» gli domandò, levando un dito.

«Spesso, spesso» rispose Guglielmo.

«E sai che cosa sono?»

«Ci ho pensato molte volte.»

«Sono mondi come il nostro» disse il giovane. «Alcuni, più piccoli; molti, un milione di volte più grandi; e alcune tra le più piccole scintille che vedi, non sono soltanto mondi, ma interi gruppi di mondi che girano, uno intorno all'altro, in mezzo allo spazio. Non sappiamo che cosa vi possa essere in ognuno di essi; forse la risposta a tutte le nostre difficoltà, o la cura di tutte le nostre sofferenze; eppure non li potremo mai raggiungere; neppure tutta l'abilità degli uomini più industriosi può preparare una nave per andare nel più prossimo di questi nostri vicini, e la vita del più longevo non basterebbe a un tal viaggio. Quando è perduta una grande battaglia, o muore un caro amico, quando siamo depressi o lieti, esse splendono egualmente sopra le nostre teste. Possiamo starcene qui, un intero esercito di uomini, e gridare fin che ci si spezzi il cuore, e non un sussurro le raggiunge. Possiamo salire sulla più alta montagna, e non siamo più vicini ad esse. Tutto quello che possiamo fare è rimanercene qui in giardino e toglierci il cappello; la luce delle stelle brilla sulle nostre teste, e dove la mia è un po' calva, credo la vedrai illuminarsi nell'oscurità. La montagna e il topo. Ed è probabile questo sia tutto quanto avremo mai a che fare con Arturo o con Aldebaran. Sei capace di intendere una parabola?» disse, posando una mano sulle spalle di Guglielmo. «Non è la stessa cosa della ragione, ma di solito è assai più convincente.»

Guglielmo abbassò un momento il capo, e poi lo tornò ad alzare verso il cielo. Le stelle parevano farsi più grandi e brillare più acute; ed egli continuava ad alzare gli occhi sempre più in alto, mentre esse parevano crescere di numero sotto il suo sguardo.

«Capisco» disse volgendosi al giovane. «Siamo in una trappola da topi.»

«Pressappoco della stessa misura. Hai mai veduto uno scoiattolo girare dentro una gabbia? e un altro scoiattolo starsene filosoficamente davanti a un mucchio di noci? Non c'è bisogno che ti domandi quale dei due paresse più sciocco.»

 

 

MARJORY, LA FIGLIA DEL CURATO.

Dopo qualche anno i vecchi morirono, tutti e due nello stesso inverno, assistiti con gran cura dal figlio adottivo, e furono molto tranquillamente pianti quando se ne furono andati. La gente che aveva sentito parlare delle sue fantasie errabonde, credeva che si sarebbe affrettato a vendere la proprietà e ad andarsene al fiume, per far fortuna. Ma Guglielmo non mostrò mai a nessun segno d'avere una simile intenzione. Al contrario, ingrandì e abbellì l'albergo, e prese un paio di servi che lo aiutassero; e vi si stabilì. Era un giovane cortese, discorsivo, impenetrabile, alto sei piedi e tre pollici quando s'era tolto le scarpe, con una salute di ferro e e con voce amichevole. Cominciò presto ad essere considerato come un po' strano, nel distretto; dapprima non se ne meravigliarono molto, perché era sempre stato pieno di idee bizzarre, e aveva continuamente messo in dubbio il più semplice buon senso; ma quello che più fece parlare di lui fu lo strano fatto che s'era messo a corteggiare Marjory, la figlia del curato.

Marjory, la figlia del curato, era una ragazza sui diciannove anni quando Guglielmo ne aveva circa una trentina; piuttosto graziosa, e assai meglio educata di ogni altra ragazza di quelle parti, come s'addiceva alla sua nascita. Teneva la testa molto alta e aveva già rifiutato parecchie offerte di matrimonio, dandosi delle grandi arie, che la fecero trattar male dai suoi vicini. Malgrado tutto, era una buona ragazza, che avrebbe reso felice qualsiasi uomo.

Guglielmo non l'aveva mai frequentata molto; perché, sebbene la chiesa e la casa del curato non fossero che a due miglia dalla sua porta, non ci andava che la domenica. Ma accadde che la casa del curato, essendo diroccata, dovesse essere rimessa a nuovo; e il curato e la figlia andarono ad alloggiare, per circa un mese, a prezzi molto ridotti, nell'albergo di Guglielmo. Ora, con l'albergo, e il mulino, e i risparmi del vecchio mugnaio, il nostro amico era uomo danaroso; e, oltre a questo, era rinomato per il suo buon carattere e per la sua accortezza, che contano assai nel matrimonio; e perciò i loro nemici solevan dire che il curato e la figlia non avevano scelto a occhi chiusi il loro alloggio temporaneo. Guglielmo era l'uomo meno facile del mondo, se si trattava di persuaderlo al matrimonio con la dolcezza o col timore. Bastava guardarlo negli occhi, limpidi e fermi come acqua, ma con una specie di chiara luce che pareva venisse dall'interno: e si capiva subito che quello era un uomo che sapeva quello che voleva e che ci si sarebbe attenuto, irremovibilmente.

Anche Marjory non aveva l'aspetto debole; e aveva gli occhi forti e decisi, e un portamento risoluto e tranquillo. Ci si poteva domandare se non fosse pari a Guglielmo in fermezza, dopo tutto; e quale dei due sarebbe stato il padrone, se si fossero sposati. Ma Marjory non aveva mai pensato a queste cose, e accompagnava il padre con la più placida innocenza e indifferenza.

La stagione era ancora agli inizi, e i clienti di Guglielmo eran pochi, e venivan solo ogni tanto; ma i lilla erano già in fiore, e il clima era così dolce che pranzavano sotto il belvedere, col rumorio del fiume nelle orecchie e i boschi all'intorno sonori del canto degli uccelli. Ben presto Guglielmo cominciò a prendere un piacere particolare a quei pranzi. Il curato era un compagno piuttosto noioso, e aveva l'abitudine di appisolarsi a tavola; ma dalle sue labbra non usciva mai una parola scortese o crudele. E in quanto alla figlia del curato, essa s'adattava al luogo con la miglior grazia del mondo; e tutto quanto diceva pareva così giusto e grazioso che Guglielmo stimava molto il suo ingegno. Vedeva il suo viso, quando si mostrava contro lo sfondo dei boschi di pini; i suoi occhi brillavano tranquilli; la luce era intorno ai suoi capelli come un copricapo; qualche cosa che era appena un sorriso increspava le sue pallide guance, e Guglielmo non sapeva trattenersi dal guardarla con gradito stupore. Appariva, anche nei momenti più placidi, così completa, e così pronta alla vita, fino alla punta delle unghie e all'orlo delle vesti, che, a paragone, le altre cose create non erano se non una macchia, e se Guglielmo staccava gli occhi da lei per guardarsi intorno, gli alberi parevano inanimati e insensibili, le nuvole stavano in cielo come cose morte, e anche le vette delle montagne perdevano il loro incanto. Tutta la vallata non poteva paragonarsi all'aspetto di quella ragazza.

Guglielmo era sempre osservatore, in compagnia dei suoi simili; ma la sua osservazione diveniva quasi dolorosamente ansiosa quand'era con Marjory. Ascoltava tutto quello ch'essa diceva, e allo stesso tempo le leggeva negli occhi il commento non detto. Molti dolci, semplici e sinceri discorsi trovavano un'eco nel suo cuore. S'accorse che aveva l'animo perfettamente equilibrato, che non dubitava di nulla, che non desiderava nulla, circondato dalla pace. Non era possibile separare i suoi pensieri dal suo aspetto. La linea dei suoi polsi, il sereno suono della sua voce, la luce dei suoi occhi, la forma del suo corpo, s'intonavano alle sue gravi e dolci parole, come l'accompagnamento che sostiene e dà armonia alla voce del cantore. Il suo influsso era cosa che non si poteva dividere o discutere, ma soltanto sentire con gratitudine e con gioia. A Guglielmo la sua presenza ricordava qualche cosa dell'infanzia, e il pensiero di lei era nella sua mente prima di quello dell'alba, dell'acqua corrente, delle prime viole e dei fior di lilla. E' dono delle cose vedute per la prima volta, o per la prima volta dopo molto tempo, come i fiori a primavera, di ridestare in noi sensi più attenti e quell'impressione di mistica stranezza che altrimenti se ne va dalla vita col passare degli anni; ma la vista d'un volto amato rinnova il carattere dell'uomo fin dalle origini.

Un giorno, dopo il pranzo, Guglielmo fece una passeggiata tra gli abeti; una grave beatitudine lo possedeva tutto e, nell'andare, sorrideva a se stesso e al paesaggio. Il fiume scorreva tra le pietre che facilitavano il guado con increspature piene di grazia; un uccello cantava alto nel bosco; le cime dei monti parevano incommensurabilmente elevate; e mentre le guardava, di tanto in tanto, pareva contemplassero i suoi moti con benevola, ma terribile curiosità. Il suo cammino lo portò all'altura che dominava le pianure; si mise a sedere su una pietra, e s'abbandonò a pensieri piacevoli e profondi. La pianura era laggiù, con le sua città e il fiume d'argento; tutto era addormentato, meno il gran turbine d'uccelli che continuava a salire e a scendere e ad andare intorno e intorno nell'azzurro dell'aria. Ripeté ad alta voce il nome di Marjory, e il suono era caro al suo orecchio. Chiuse gli occhi, e l'immagine di lei gli balzò davanti, tranquillamente luminosa e accompagnata da buoni pensieri. Il fiume poteva scorrere eterno; gli uccelli potevan volare sempre più in alto, fino a toccare le stelle. Vide che, dopo tutto, ogni cosa era vana fatica; perché qui, senza muover piede, aspettando paziente nella sua stretta vallata, aveva raggiunto anche lui la luce migliore.

Il giorno dopo Guglielmo fece una specie di dichiarazione, a tavola, mentre il curato stava caricando la pipa.

«Miss Marjory» disse, «non ho mai conosciuto nessuno che mi piacesse quanto voi. Di solito sono un uomo freddo, scortese; non per mancanza di cuore, ma per la bizzarria del mio modo di pensare; e la gente par lontana da me. E' come se intorno a me ci fosse un cerchio, dal quale tutti son fuori, meno voi; sento gli altri parlare e ridere; ma voi vi avvicinate. Forse questo vi dispiace?» domandò.

Marjory non rispose.

«Parla, ragazza mia» disse il curato.

«No, no» continuò Guglielmo, «non voglio importunarla, curato.

Anch'io, che non ci sono avvezzo, mi sento la lingua legata; e, dopo tutto, lei non è che una donna, e poco più d'una bambina. Ma per parte mia, da quello che mi par di capire la gente intenda quando dice così, mi par d'essere quello che dicono innamorato. Non desidero mi si consideri impegnato; perché mi potrei sbagliare; ma credo le cose stiano così. E se Miss Marjory sentisse diversamente, per conto suo, forse vorrà esser tanto cortese da scuotere il capo.»

Marjory rimase silenziosa, e non mostrò d'aver udito.

«Che cos'è, curato?» domandò Guglielmo.

«La ragazza deve parlare» rispose il curato, posando la pipa. «C'è qui il nostro vicino, che dice d'amarti, Madge. Gli vuoi bene, sì o no?»

«Credo di sì» disse Marjory con debole voce.

«Ma allora, è tutto quello che potevo desiderare!» esclamò di gran cuore Guglielmo. E prese la mano di lei sulla tavola, e la strinse un momento tra le sue, con grande soddisfazione.

«Dovete sposarvi» osservò il curato, rimettendosi in bocca la pipa.

«Vi pare che questa sia la cosa che va fatta?» chiese Guglielmo.

«E' indispensabile» disse il curato.

«Benissimo» rispose l'innamorato.

Guglielmo passò due o tre giorni con grande gioia; sebbene chi gli fosse stato vicino forse non se ne sarebbe accorto. Continuò a pranzare di fronte a Marjory e a guardarla, alla presenza del padre; ma non cercò di vederla da sola, e non mutò in alcun modo il suo contegno verso di lei, ma rimase come era stato fin da principio.

Forse la ragazza fu un po' delusa, e forse non ingiustamente; eppure, se poteva bastarle essere sempre nel pensiero di un'altra persona, e così invadere e cambiare tutta la sua vita, avrebbe potuto essere del tutto contenta. Perché Guglielmo pensava a lei in ogni istante. Sedeva davanti al fiume, e guardava lo spruzzare del turbine e gli uccelli nuotare e le erbe che passavano; andava solo nelle sere violacee, mentre tutti i merli fischiettavano intorno a lui nel bosco; si alzava di mattina presto, e vedeva il cielo grigio farsi d'oro, e la luce cadere sulle cime dei monti; e intanto continuava a domandarsi se avesse mai veduto quelle cose, o perché, adesso, fossero tanto diverse. Il rumore della ruota del suo mulino, o del vento tra gli alberi, turbava e ammaliava il suo cuore. I più incantevoli pensieri si mostravano, non chiamati, alla sua mente. Era tanto felice che, la notte, non poteva dormire, e tanto inquieto che non poteva rimaner seduto, se non era in compagnia di lei. Eppure pareva piuttosto evitarla che cercarla.

Un giorno, nel tornare a casa da uno dei suoi vagabondaggi, Guglielmo trovò Marjory in giardino, che coglieva fiori; e, raggiuntala, rallentò il passo e continuò a camminare al suo fianco.

«Vi piacciono i fiori?» le disse.

«Davvero li amo molto» gli rispose. «E voi?»

«Ebbene, no» le rispose, «non tanto. Dopo tutto, son cosa molto da poco. Posso capire che interessino molto alla gente; ma non che si faccia quello che state facendo.»

«Come?» gli chiese, fermandosi e guardandolo in viso.

«Che si colgano» disse Guglielmo. «Stanno molto meglio dove sono, e sono molto più graziosi, se ci pensate.»

«Mi piace averli per me» gli rispose, «portarli sul cuore, e tenerli nella mia stanza. Mi tentano, quando li vedo sulla pianta; pare mi dicano: "Vieni a far qualche cosa con noi"; ma quando li ho tagliati e li ho messi da parte, l'incanto è finito, e li posso guardare, col cuore in pace.»

«Desiderate possederli» rispose Guglielmo «per non pensare più ad essi. E' un po' come uccidere l'oca dalle uova d'oro. E' un po' quello che desideravo quando ero ragazzo. Poiché mi piaceva guardare la pianura, desideravo andarci; e, allora, non l'avrei più potuta guardare. Non era un bel ragionamento? Davvero, davvero, se ci pensassero, tutti farebbero come me; e lascereste stare i fiori, così come io me ne rimango qui, tra i monti.» D'un tratto gli sfuggì un grido acuto. «Signore!» esclamò. E quando essa gli chiese che cosa ci fosse, cambiò argomento, e se ne andò a casa con sul viso un'espressione piuttosto ilare.

A tavola rimase silenzioso; e quando fu caduta la notte e le stelle furono visibili sul loro capo, se ne andò a camminare per ore con passo ineguale in cortile e nel giardino. La finestra della stanza di Marjory era ancora illuminata: era una piccola macchia oblunga color arancione in un mondo di scuri monti azzurri e di argentea luce stellare. Il pensiero di Guglielmo correva spesso alla finestra, ma non erano, i suoi, pensieri da innamorato. "Eccola nella sua stanza" pensava, "e sopra di noi ci sono le stelle: siano benedette lei e loro!" L'una e le altre erano buoni influssi sulla sua vita; l'una e le altre lo calmavano e gli davan forza e lo facevano essere profondamente contento del mondo. E che cosa di più avrebbe dovuto desiderare da lei e da esse? Il giovane grasso e i suoi consigli erano tanto presenti al suo pensiero che buttò la testa all'indietro e, messe le mani davanti alla, bocca, gridò forte rivolto ai cieli fitti di stelle. Fosse per la posizione del capo, o per l'improvviso sforzo, gli parve di vedere le stelle muoversi per un momento, e una gelida luce diffondersi dall'una all'altra nel cielo. Nello stesso istante, un angolo della persiana si alzò, e fu subito abbassato. Egli rise forte. "L'una e le altre" pensò. "Le stelle tremano, e la persiana s'alza. Davvero, in nome del Cielo, debbo essere un gran mago! E se fossi soltanto uno sciocco? non mi sarei messo in un bell'impiccio?" E se ne andò a letto, ridendo tra sé: "Se fossi soltanto uno sciocco!" La mattina seguente, di buon'ora, la rivide in giardino, e andò da lei.

«Ho pensato al nostro matrimonio» cominciò bruscamente, «e dopo aver ben considerato ogni cosa ho deciso che non ne vale la pena.»

Marjory si volse a lui per un solo momento; ma il viso di Guglielmo, raggiante, gentile, avrebbe, in quell'ora, sconcertato un angelo; ed essa tornò ad abbassar gli occhi a terra, in silenzio. Poté vedere che Marjory tremava.

«Spero che non vi dispiaccia» continuò, un po' sconcertato. «Non dovrebbe dispiacervi. Ho considerato ogni cosa; e, sull'anima mia, non c'è niente nel matrimonio. Non saremmo per nulla più vicini di adesso; e, se non mi sbaglio, non saremmo altrettanto felici.»

«Non occorre farla tanto lunga, con me» gli rispose. «Ricordo benissimo che avete rifiutato di impegnarvi; e ora che m'accorgo che vi siete sbagliato, e che in realtà non v'è mai importato di me, posso soltanto rattristarmi d'essere stata ingannata.»

«Scusatemi» disse Guglielmo fieramente, «voi non capite quello che intendo dire. In quanto al fatto se v'abbia o no mai amata, lo debbo lasciar giudicare ad altri. Ma prima di tutto, il mio sentimento non è mutato; e poi, potete vantarvi di aver reso la mia vita intera e tutto il mio carattere diversi da quello che erano. Intendo dire quello che dico: non meno. Non mi pare che valga la pena di sposarsi. Preferirei che continuaste ad abitare con vostro padre, e poter venire laggiù a trovarvi una volta o forse due volte la settimana, come quando la gente va in chiesa; e, allora, saremmo tutti e due più felici, tra una visita e l'altra. Questa è la mia opinione. Ma, se volete, vi sposerò» disse.

«Lo sapete che mi state insultando?» lo interruppe Marjory.

«No, Marjory» diss'egli, «se una coscienza netta vale qualche cosa, no. Offro a voi tutto il migliore affetto del mio cuore; potete accettarlo o desiderarlo; per quanto io sospetti che sia di là dalle vostre forze e dalle mie mutare quello che è stato fatto, e rendermi libero. Vi sposerò, se volete; ma, ve lo ripeto, non ne vale la pena, ed è meglio rimanere amici. Sebbene io sia un uomo tranquillo ho notato una quantità di cose durante la mia vita. Credetemi, e fate come vi propongo di fare; o, se non siete d'accordo, dite una parola, e vi sposerò.»

Vi fu una lunga pausa, e Guglielmo, che cominciava a sentirsi a disagio, cominciò ad andare in collera, naturalmente.

«Pare che siate troppo orgogliosa per dire quello che pensate» disse.

«E' peccato, credetemi. Una bella confessione rende facile la vita.

Può un uomo essere più franco e più onorevole verso una donna di quanto lo sono stato io? Ho detto quello che dovevo dire, e vi ho lasciato la scelta. Volete che vi sposi? o volete la mia amicizia, che credo sia migliore? o ne avete abbastanza di me? Parlate; per amore di Dio! Sapete che vostro padre v'ha detto che una ragazza dovrebbe dire quello che pensa, in queste cose.»

A queste parole Marjory parve riprendersi; si voltò senza dire una parola, attraversò rapidamente il giardino, e scomparve in casa, lasciando Guglielmo piuttosto dubbioso del risultato. Egli si mise a camminare su e giù per il giardino, fischiettando adagio, per sé. A volte si fermava, e contemplava il cielo e le cime dei monti; a volte scendeva alla chiusa e si metteva a sedere, guardando attonito l'acqua. Tutti questi dubbi e queste perturbazioni erano così lontani dalla sua natura e dalla vita che aveva scelta risolutamente per sé, che cominciò a dolersi della venuta di Marjory. "Dopo tutto" pensò, "ero tanto felice quanto è giusto un uomo lo sia. Potevo scender qui a guardare i miei pesci tutto il giorno, se volevo; ero tranquillo e contento come il mio vecchio mulino".

Marjory scese per il pranzo, molto elegante e tranquilla; e non appena furono tutti e tre a tavola parlò a suo padre, con gli occhi fissi sul piatto, ma senza mostrare altro segno di imbarazzo o di dolore.

«Babbo» incominciò, «il signor Guglielmo e io abbiamo parlato delle nostre cose. Ci siamo accorti di esserci sbagliati tutti e due sui nostri sentimenti, ed egli accetta, a mia richiesta, d'abbandonare ogni idea di matrimonio, e di non esser più che il mio molto buon amico, come in passato. Vedete, non c'è nemmeno l'ombra d'un litigio, e davvero ho la speranza che lo vedremo molto spesso in avvenire, perché le sue visite saranno sempre ben accolte in casa nostra.

S'intende, babbo, sta a voi decidere; ma mi pare che forse sarebbe meglio lasciassimo la casa del signor Guglielmo, per ora. Mi pare che, dopo quello che è accaduto, non potremmo essere buoni compagni, per qualche giorno.»

Guglielmo, che dapprima s'era contenuto a fatica, a queste parole si lasciò sfuggire un rumore inarticolato, e alzò una mano, mostrando grande sgomento, come se stesse per interromperla e contraddire. Ma essa lo fermò subito, con una rapida occhiata e un rossore d'ira sulle guance.

«Forse mi userete la cortesia» disse Marjory, «di permettermi di spiegare io queste cose.»

Guglielmo fu sconcertato dall'espressione del volto di Marjory, e dal suono della sua voce. Rimase silenzioso, e concluse che c'erano cose, in quella ragazza, che non poteva capire; e in questo aveva davvero ragione.

Il povero curato rimase proprio abbattuto. Cercò di dimostrare che non si trattava d'altro che d'una lite da veri innamorati, che sarebbe passata prima di sera; e quando dovette abbandonare questa posizione continuò a ribattere che se non v'era litigio non c'era ragione di separarsi; perché al buon uomo piacevano tanto il suo trattamento che il suo ospite. Era curioso vedere come la ragazza li guidasse, parlando sempre poco, e molto tranquillamente, eppure facendo di loro quello che voleva e conducendoli insensibilmente dove desiderava con tatto e femminile capacità di comando. Pareva appena che tutto fosse stato fatto da lei; pareva soltanto che le cose fossero andate a finir così: ma lei e suo padre partirono in quello stesso pomeriggio col carro d'una fattoria, e andarono più lontano, nella vallata, ad aspettare in un altro villaggio che la casa fosse pronta. Ma Guglielmo l'aveva molto osservata, e comprese bene la sua abilità e la sua decisione. Quando si trovò solo, ebbe molte cose bizzarre da ripensare. Dapprima, era molto triste e si sentiva solo. Ogni interesse se n'era andato dalla sua vita; e per quanto guardasse le stelle, per una ragione o per l'altra non ci trovava né sostegno né consolazione. E poi, il suo animo era così in tumulto, per Marjory. Il contegno di lei l'aveva imbarazzato e irritato, eppure non poteva fare a meno di ammirarlo. Gli pareva di riconoscere un angelo, bello e perverso, in quell'animo tranquillo, del quale fino ad allora non aveva sospettato; e sebbene si accorgesse che un simile influsso non si sarebbe adattato alla sua vita di calma artificiosa, non poteva trattenersi dal desiderare ardentemente di possederlo. Come un uomo che abbia vissuto nell'ombra, e veda per la prima volta il sole, era ad un tempo addolorato e affascinato.

Col passare dei giorni, cadde da un estremo all'altro; ora si gloriava della sua forte decisione, e ora disprezzava la sua timida e sciocca cautela. La prima era, forse, il vero sentimento del suo cuore, e rappresentava il tenore regolare delle sue riflessioni; ma la seconda, a ripensarci, lo induceva, di tanto in tanto, a un'estrema violenza, e allora dimenticava ogni considerazione, e andava su e giù per la casa e per il giardino, o camminava tra gli abeti come sopraffatto dal rimorso. Questo stato di cose era intollerabile per il tranquillo, posato Guglielmo; e decise di mettervi fine, a qualunque costo.

Perciò, in un caldo pomeriggio d'estate, si mise i vestiti migliori, prese in mano una bacchettina di biancospino e scese la vallata, verso il fiume. Non appena presa la sua decisione, aveva ritrovato d'un tratto l'abituale pace del cuore, e godeva il bel tempo e la varietà della scena senza ombra d'allarme o di spiacevole ansietà. Adesso, per lui era quasi lo stesso, in qualunque modo la cosa fosse andata a finire. Se Marjory lo avesse accettato, avrebbe dovuto sposarla, questa volta, e forse sarebbe stata la cosa migliore. Se lo avesse rifiutato, dopo aver fatto tutto quanto era possibile, avrebbe potuto, in avvenire, vivere a suo modo, senza sentirsi la coscienza turbata.

In complesso, sperava d'essere rifiutato; e poi, ancora, nel vedere il tetto scuro sotto il quale essa viveva, nel guardare attraverso i salici, a un gomito del fiume, aveva quasi voglia di mutar desiderio, e quasi si vergognava di quella sua incertezza di proposito.

Marjory parve lieta di vederlo, e gli porse la mano, senza affettazione e senza indugio.

«Ho pensato a questo matrimonio» cominciò a dire Guglielmo.

«Anch'io» rispose Marjory. «E vi rispetto sempre più, poiché vi considero uomo saggio. Voi mi avete capita meglio di quanto non mi capissi io medesima; e adesso son proprio certa che le cose andranno meglio, così, come abbiamo deciso.»

«Allo stesso tempo...» s'arrischiò a dire Guglielmo.

«Dovete essere stanco» lo interruppe Marjory. «Mettetevi a sedere, e lasciate che vi porti un bicchiere di vino. Il pomeriggio è assai caldo; e non desidero che la vostra visita vi debba far pentire.

Dovete venire proprio spesso; una volta la settimana, se ne avrete il tempo; sono sempre così contenta di vedere i miei amici.»

"Oh, benissimo" pensò Guglielmo. "Pare che avessi ragione, dopo tutto". E la visita fu molto gradevole, e poi se ne tornò a casa d'umore eccellente e non si preoccupò della cosa.

Per quasi tre anni Guglielmo e Marjory continuarono così; si vedevano una volta o due la settimana e tra loro non passava mai una parola d'amore; e, per tutto quel tempo, credo Guglielmo fosse tanto felice quanto un uomo può esserlo. Soleva lesinarsi il piacere di vederla; e spesso percorreva metà della strada che portava alla casa del curato, e poi tornava indietro, come per accrescere il suo desiderio. E invero, c'era un angolo della strada, dal quale poteva vedere il campanile della chiesa da un'apertura della vallata, tra boschi d'abeti in pendio, con un triangolo di pianura per sfondo, che gli piaceva molto come luogo nel quale sedere e riflettere prima di tornarsene a casa; i contadini s'abituarono tanto a trovarcelo all'ora del crepuscolo che diedero a quel luogo il nome di "Angolo di Guglielmo del Mulino".

Alla fine di questi tre anni Marjory gli fece un triste tiro, sposando un altro, all'improvviso. Guglielmo fu molto coraggioso; e osservò soltanto che, per il poco che sapeva delle donne, gli pareva di essersi comportato con molta prudenza non sposandola lui, tre anni prima. Era evidente ch'essa sapeva ben poco quello che desiderava; e, malgrado i suoi modi ingannevoli, era tanto volubile e incostante quanto le altre donne. Si congratulò con se stesso d'averla scampata bella; e si disse che, per conseguenza, doveva avere della propria saggezza una migliore opinione. Ma, in cuor suo, era ragionevolmente rattristato, fu assai melanconico per un mese o due, e dimagrì, con stupore dei suoi servi.

Fu forse un anno dopo questo matrimonio che Guglielmo fu svegliato una notte, a tarda ora, dal rumore di un cavallo che galoppava sulla strada, seguito da un bussare precipitoso alla porta dell'albergo.

Aperse la finestra, e vide un servo di fattoria, a cavallo, e che teneva un altro cavallo per la briglia; e che gli disse di affrettarsi quanto più poteva ad andare con lui; perché Marjory moriva, e l'aveva mandato con urgenza a prenderlo, perché potesse essere accanto a lei.

Guglielmo non era buon cavaliere, e fece la strada con tanto poca rapidità che la povera giovane sposa era assai vicina alla fine prima che egli arrivasse. Ma parlarono per qualche minuto in segreto, ed egli era presente e pianse assai amaramente quando Marjory esalò l'ultimo respiro.

 

 

MORTE.

Un anno dopo l'altro finirono nel nulla, con grandi esplosioni e tumulti nelle città delle pianure; grosse rivolte si levarono e furono represse nel sangue, battaglie scoppiarono qua e là, pazienti astronomi nelle torri degli osservatori scoprirono e battezzarono nuove stelle, furon recitate le commedie nei teatri illuminati, la gente fu portata negli ospedali sulle barelle, e vi fu tutto l'abituale tumulto, la consueta agitazione di vite umane nei centri affollati. Nella vallata di Guglielmo, soltanto i venti e le stagioni segnavano le epoche; i pesci stavano nella rapida corrente, gli uccelli volavano in cerchio nel cielo, le cime dei pini frusciavano sotto le stelle, le alte montagne stavano sopra ogni cosa; e Guglielmo andava su e giù, e si occupò del suo albergo sulla strada maestra, fin che la neve cominciò a farsi folta sul suo capo. Il suo cuore era giovane e vigoroso; e se le sue pulsazioni erano più tranquille, pur battevano forti e regolari ai suoi polsi. Aveva una macchia rossa sulle guance, come una mela matura; andava un po' curvo, ma il passo era ancora fermo; e tendeva le sue mani muscolose a tutti per un'amichevole stretta. Il suo volto era coperto di quelle rughe che vengono a chi vive all'aperto, e, guardate convenientemente, non sono che una specie di permanente abbronzatura; son rughe che accrescono la stupidità delle facce sciocche, ma che a una persona come Guglielmo, con gli occhi chiari e la bocca ridente, non fanno che donare un altro fascino testimone di vita semplice e facile. I suoi discorsi erano pieni di savi detti. Aveva simpatia per la gente; e la gente aveva simpatia per lui. Quando, durante la buona stagione, la vallata era piena di turisti, si passavano allegre serate nel belvedere di Guglielmo, e il suo modo di veder le cose, che pareva bizzarro ai vicini, era spesso ammirato da persone colte, che venivano dalle città e dalle scuole. Invero, ebbe una assai nobile vecchiezza, e ogni giorno era più conosciuto; tanto che la sua fama giunse alle città della pianura; e i giovani che avevan viaggiato durante l'estate parlavano nei caffè di Guglielmo del Mulino e della sua rozza filosofia. Potete credere che ricevette molti e molti inviti; ma niente poté tentarlo a lasciare la sua vallata tra i monti. Scuoteva il capo e sorrideva in modo molto significativo, fumando la pipa.

«Venite troppo tardi» soleva rispondere. «Ora sono un uomo morto: ho già vissuto e son morto. Cinquant'anni fa, m'avreste fatto salire il cuore in gola; e adesso non mi tentate neppure. Ma questo è lo scopo d'una lunga vita: che l'uomo finisca di interessarsi alla vita.» E ancora: «Non c'è che una sola differenza tra un buon pranzo e una lunga vita: che, nel pranzo, il dolce viene alla fine.» Oppure:

«Quand'ero ragazzo, ero un po' imbarazzato, e non sapevo bene se il mondo o io stesso fossimo interessati e degni d'essere studiati. Ora, so che degno di studio e d'interesse sono io, e a questo mi sono fermato.»

Non mostrò mai un solo segno di debolezza, ma rimase gagliardo e fermo sino alla fine; ma dicono che verso la fine divenisse meno discorsivo, e che ascoltasse gli altri per ore, serbando un silenzio divertito e pieno di simpatia. Soltanto, quando parlava, s'esprimeva meglio, ed era più carico d'antica esperienza. Beveva lietamente una bottiglia di vino; sopra tutto, al crepuscolo, sulla vetta del monte, e a notte molto inoltrata, sotto le stelle, nel belvedere. La vista d'una cosa attraente e irraggiungibile, diceva, dava sapore al godimento; e professava di aver vissuto abbastanza per ammirare tanto più una candela quando la poteva paragonare a un pianeta.

Una notte, nel suo settantaduesimo anno, si svegliò nel letto con tal disagio del corpo e della mente che si alzò e si vestì e uscì a meditare nel belvedere. Era buio pesto, non c'era una stella; il fiume era gonfio, e gli umidi boschi e i prati gravavano l'aria di profumo.

Aveva tuonato, durante il giorno, e c'era la promessa di nuovi tuoni per il giorno seguente. Una notte di tenebra, soffocante, per un uomo di settantadue anni! Fosse il tempo, o l'insonnia, o un po' di febbre nelle sue vecchie membra, la mente di Guglielmo era assediata da tumultuose e ingombranti memorie. La sua adolescenza, la notte col giovane grasso, la morte dei genitori adottivi, i giorni d'estate con Marjory, e molti di quei piccoli fatti che paion nulla ad un altro, e sono lo stesso sapore della sua vita per un uomo - cose vedute, parole udite, sguardi mal compresi - salivano dai loro angoli dimenticati e occupavano la sua attenzione. Gli stessi morti erano con lui; non soltanto prendevano parte a questa povera sfilata di ricordi che si muoveva nel suo cervello, ma tornavano a visitare i suoi sensi corporei, come nei profondi e vividi sogni. Il giovane grasso appoggiava i gomiti sulla tavola, davanti a lui; Marjory veniva e se ne andava, con una grembiulata di fiori, dal giardino al belvedere; sentiva il vecchio curato picchiare con la pipa, o soffiarsi il naso sonoro. La marea della sua coscienza fluiva e rifluiva; a momenti era mezzo addormentato e travolto dai ricordi del passato; e a momenti era ben sveglio, e si meravigliava di sé. Ma verso mezzanotte sobbalzò alla voce del vecchio mugnaio che lo chiamava perché uscisse di casa, come soleva fare all'arrivo dei clienti. L'allucinazione era così perfetta che Guglielmo si levò da sedere e stette in ascolto, aspettando che il richiamo si ripetesse, e, mentre ascoltava, s'accorse d'un altro rumore, oltre il mormorio del fiume e il ronzio delle sue orecchie prese dalla febbre. Era come un muoversi di cavalli e un cigolio di finimenti, come se una vettura con un attacco impaziente fosse stata portata sulla strada, davanti al cancello del cortile. A quell'ora, in quel passo difficile e pericoloso, la supposizione era assurda; e Guglielmo la scacciò dalla mente, e tornò alla sua sedia, nel belvedere; e il sonno tornò a chiudersi su di lui, come acqua corrente. Fu di nuovo risvegliato dal richiamo del vecchio mugnaio, più sottile e più spettrale di prima; e di nuovo sentì il fragore d'un equipaggio sulla strada. E così tre o quattro volte, lo stesso sogno, o la stessa fantasia, si presentò ai suoi sensi; e alla fine, sorridendo tra sé come quando uno accontenta un bambino nervoso, andò verso il cancello per dar pace alla sua incertezza.

Dal belvedere al cancello la distanza non era grande, ma a Guglielmo prese un certo tempo; pareva che la tenebra s'infittisse intorno a lui nel cortile, e attraversasse il suo cammino, a ogni passo. Perché, dapprima fu sorpreso all'improvviso da una dominante dolcezza d'eliotropi; pareva che il giardino ne fosse pieno, e che la calda, umida notte avesse tratto a sé tutti i loro profumi, in un solo respiro. Ora, l'eliotropio era stato il fiore favorito di Marjory, e dopo la sua morte non uno di questi fiori era stato piantato nel terreno di Guglielmo.

"Mi pare d'impazzire" pensò. "Povera Marjory, con i suoi eliotropi!" E alzò gli occhi alla finestra che era stata quella della sua stanza.

Se prima era rimasto sbalordito, ora fu quasi terrificato; perché c'era della luce nella stanza; la finestra era un rettangolo arancione, come un tempo; e l'angolo della persiana fu alzato e lasciato cadere, come quella notte che aveva gridato alle stelle, nella sua perplessità. L'illusione non durò che un istante; ma lo lasciò impaurito, e si stropicciò gli occhi e guardò il profilo della casa e la nera notte dietro ad essa. Mentre stava così, e pareva ci fosse rimasto a lungo, ritornarono i rumori dalla strada; e si voltò in tempo per andare verso uno straniero, che gli veniva incontro, attraversando il cortile. Sulla strada, dietro lo straniero, si scorgeva qualche cosa che pareva una vettura, e sopra di essa poche nere vette di pini, simili a pennacchi.

«Mastro Guglielmo?» domandò il nuovo venuto, concisamente, alla militare.

«Sono io, signore» rispose Guglielmo. «Posso fare qualche cosa per servirvi?»

«Ho sentito parlar molto di voi, Mastro Guglielmo» soggiunse l'altro, «ho sentito parlar molto di voi, e bene. E benché abbia una quantità di faccende, desidero bere una bottiglia di vino con voi, nel vostro belvedere. Prima di andarmene mi presenterò.»

Guglielmo gli mostrò la strada e prese una lampada accesa e una bottiglia suggellata. Non gli mancava del tutto l'abitudine a questi colloqui di complimento, e non sperava gran che da questo, poiché molte delusioni l'avevano fatto accorto. Pareva una nube circondasse il suo spirito e gli impedisse di ricordare la stranezza dell'ora. Si muoveva come chi dorma; e parve che la lampada s'accendesse e la bottiglia si stappasse con la facilità del pensiero. Pure, aveva una certa curiosità di conoscere l'aspetto del visitatore, e cercò invano di fargli cader la luce sul volto; o muoveva goffamente la lampada, o c'era un velo davanti ai suoi occhi; ma, seduto a tavola davanti a lui, non riusciva a distinguere che un'ombra. Guardava e guardava quell'ombra, mentre puliva i bicchieri, e cominciò a sentirsi freddo e strano intorno al cuore. Il silenzio gli pesava, perché non udiva nulla, adesso, nemmeno il fiume: soltanto il ronzio delle sue arterie alle orecchie.

«Alla vostra salute» disse ruvido lo straniero.

«Al vostro servizio, signore» rispose Guglielmo, sorseggiando il suo vino, che pareva avesse uno strano sapore.

«Sento dire che siete uomo assai positivo» continuò lo straniero.

Guglielmo rispose con un sorriso piuttosto soddisfatto, e con un piccolo cenno.

«Anch'io lo sono» continuò l'altro, «e la gioia del mio cuore è pestare i calli alla gente. Non voglio che ci sia nessuno di positivo all'infuori di me; nessuno. Ai miei tempi, ho messo intralci ai capricci di re e generali e grandi artisti. E che cosa direste» proseguì, «se venissi qui apposta per intralciare i vostri?»

Guglielmo aveva una risposta acerba sulla punta della lingua; ma prevalse la cortesia del vecchio albergatore; e rimase in silenzio e rispose con un cortese cenno della mano.

«Son venuto per questo» disse lo straniero. «E se non facessi di voi una stima particolare, non ve ne parlerei. Pare che vi vantiate di rimanervene dove siete. Volete restare al vostro albergo. E io voglio che veniate a fare un giro con me, nella mia berlina; e, prima che questa bottiglia sia vuota, ci dovrete venire.»

«Certo sarebbe una strana cosa» disse Guglielmo con un sogghigno.

«Signore, io son cresciuto qui come una quercia antica; il Diavolo stesso potrebbe appena sradicarmi; e se non m'accorgessi che siete un vecchio signore assai cortese, scommetterei con voi un'altra bottiglia che perdete il vostro tempo, con me.»

Intanto, il velo ch'era davanti agli occhi di Guglielmo s'era fatto sempre più fitto; ma si rendeva conto di una acuta e gelida osservazione che lo irritava, e che pure lo dominava.

«Non dovete pensare» scoppiò a dire all'improvviso, e fu come un'esplosione febbrile che lo sorprese e lo mise in allarme, «che io sia uno di quelli che se ne rimangono in casa perché temono qualcosa delle cose create da Dio. Dio sa quanto sono stanco di tutto; e quando verrà il tempo d'un viaggio più lungo di quanti non ne possiate sognare, so che sarò pronto.»

Lo straniero vuotò il bicchiere, e l'allontanò da sé. Guardò in basso, per un po' di tempo, e poi, curvandosi sulla tavola batté con un solo dito tre volte sull'avambraccio di Guglielmo. «Il tempo è venuto!» disse solennemente.

Un orribile brivido si irradiò dal punto ch'egli aveva toccato. Il tono della sua voce era sordo e pauroso, ed echeggiò stranamente nel cuore di Guglielmo.

«Scusate» disse Guglielmo con una certa inquietudine. «Che cosa intendete dire?»

«Guardatemi, e la vostra vista ondeggerà. Alzate una mano; è pesante come se fosse morta. Questa è l'ultima bottiglia di vino che berrete, Mastro Guglielmo, ed è la vostra ultima notte sopra la terra.»

«Siete un dottore?» disse Guglielmo con voce tremante.

«Il migliore che mai ci sia stato» rispose l'altro, «perché curo il corpo e la mente con la stessa ricetta. Porto via ogni dolore e perdono tutti i peccati; e se i miei pazienti han dovuto penare in vita, appiano tutte le complicazioni e li rimetto, liberi, in piedi.»

«Non ho bisogno di voi» disse Guglielmo.

«Per tutti gli uomini viene il tempo, Mastro Guglielmo» rispose il dottore, «nel quale il timone è loro tolto di mano. Per voi, perché siete stato prudente e tranquillo, ha tardato a venire, e avete avuto molto tempo per prepararvi a riceverlo. Avete veduto tutto quanto c'è da vedere intorno al vostro mulino; siete rimasto seduto al chiuso tutti i vostri giorni, come una lepre nella sua tana; ma adesso tutto questo è finito; e» soggiunse il dottore, alzandosi in piedi «dovete alzarvi e venire con me.»

«Siete uno strano medico» disse Guglielmo guardando fisso il suo ospite.

«Sono una legge di Natura» gli rispose, «e la gente mi chiama Morte.»

«Perché non me lo avete detto subito?» esclamò Guglielmo. «Vi ho aspettato per tanti anni. Datemi la mano, e siate il benvenuto.»

«Appoggiatevi al mio braccio» disse lo straniero, «perché già le forze vi mancano. Appoggiatevi a me secondo vi bisogna; perché, sebbene io sia vecchio, sono molto forte. Non ci son che tre gradini per salire sul mio carro, e là finisce ogni vostro male. Davvero, Guglielmo» soggiunse, «vi ho desiderato come se foste mio figlio; e di tutti gli uomini che ho incontrati nei miei lunghi giorni, siete quello che son venuto a prendere più lietamente. Sono caustico, e a volte offendo la gente, a prima vista; ma sono un cordiale e buon amico, per quelli come voi.»

«Da quando Marjory è morta» rispose Guglielmo, «lo dichiaro davanti a Dio, siete stato il solo amico di cui potessi fidarmi.»

E così i due attraversarono il cortile dandosi il braccio.

Uno dei servi si svegliò in quel momento, e udì uno scalpitare di cavalli prima di riaddormentarsi; lungo tutta la vallata, in quella notte, vi fu un rumore simile a quello d'un vento placido ed eguale che scendesse verso la pianura; e, quando la gente si levò la mattina dopo, certo Guglielmo del Mulino era partito, alla fine, per i suoi viaggi.