Antonio Puccio
L’Incantesimo del Gesto e L’Alchimia del Respiro
Vincitore del Premio Letterario Internazionale Nabokov 2020
(Estratto)
Parte Prima
1
Genesi di un dubbio
La decisione ultima e ormai irrevocabile di Sebastian fu dunque quella di incontrare molti anni dopo colui che solo sarebbe stato in grado di fugare, una volta per tutte, quell’antico dubbio che allora più di sempre offuscava la sua mente e gravava sulla sua anima e con il quale non sarebbe stato più disposto a convivere ancora a lungo. Quella decisione si rese allora necessaria (forse ormai inevitabile) a causa di un inatteso episodio che aveva rievocato in lui lo spettro di un passato che credeva ormai definitivamente sepolto ma che era invece riemerso, con più prepotenza di sempre, tanto da compromettere in breve le sorti future di quella che si prospettava come una brillante, concreta e sicura carriera; quello spettro era stato in grado di sovvertire, con subitanea veemenza, le solide certezze che avevano guidato i passi di Sebastian su quell’arduo ma affascinante sentiero che con lucida avvedutezza era stato tracciato fino a quel momento. Solo allora gli fu del tutto chiaro – come mai era avvenuto in precedenza – che aveva convissuto fino ad allora con quella lieve ma costante incertezza, in tutto simile a un dolore sordo e sottile, che si manifestava in tutta la sua deliberata crudeltà proprio quando egli giungeva – non senza una enorme fatica – al culmine di un successo. Quello spettro si presentava a Sebastian apparentemente senza motivo. Egli, però, era solito riconoscerne la comparsa attraverso una sensazione di oscura inquietudine e latente insoddisfazione proprio quando era pronto a raccogliere quei tanto sospirati consensi conquistati con tutto il rigore e la dedizione di cui era allora capace e che proprio per questo credeva del tutto meritati. Esso trovava, di volta in volta, l’occasione di insinuarsi in modo silente tra le pieghe di quelle velate e infide incertezze che Sebastian non aveva potuto colmare del tutto con quel sapere astratto a cui si era infine votato in nome di una ineluttabile osservanza. Egli nel suo intimo sapeva bene che in nulla quello spettro avrebbe potuto logorare la sua sensibilità se il repentino e prepotente riemergere dello stesso non gli avesse ricordato ciò che egli aveva volutamente abbandonato, molti anni prima, in un angolo ormai impolverato del suo passato. Era proprio in ragione di ciò che esso tornava a ridere di un riso beffardo, fomentando di continuo la sua frustrazione nel ricordargli che, nonostante i suoi sinceri propositi, non avrebbe potuto raggiungere nessun traguardo se in ciò che faceva fosse stato del tutto assente quel fondamentale elemento di unicità e di imponderabilità che siamo soliti riconoscere in una vera e autentica opera d’arte. Quella reiterata, puntuale e ostinata condizione di incertezza, seppur ben dissimulata, poneva Sebastian in uno stato di malinconico, costante disagio che col passare del tempo avrebbe finito per indebolire, fino a soffocare, il fervido entusiasmo che aveva animato – motivandola sin dal principio – la ragione della sua radicale scelta di vita. Ed era proprio a causa di ciò che egli si ostinava a respingere con la medesima ciclica determinazione la ricomparsa dello spettro, nonostante nel fondo della sua coscienza egli sapesse bene che non poteva disconoscere del tutto le ragioni del suo manifestarsi poiché esso originava da un irrefrenabile naturale istinto al quale già molti anni prima aveva opposto una deliberata, rigida, ottusa negazione. Perciò tentava in ogni modo di eluderlo attribuendo di volta in volta l’origine di quella fortuita, sgradevole sensazione a un casuale passeggero malessere che non aveva alcuna corrispondenza con ciò che lui sentiva di aver compiuto grazie all’assoluta osservanza di tutti quegli autorevoli precetti che gli erano stati impartiti durante i lunghi e faticosi anni di studio e che egli si era impegnato ad assimilare con rara obbedienza. Sebastian sentiva spesso con profondo rammarico che quello spettro che tormentava di tanto in tanto la sua coscienza originava da un segnale che il suo istinto primordiale emetteva per ricordargli che la verità, per sua natura, è circolare e per questo non ammette scelte parziali. Per chi è abituato a sentirsi ripetere costantemente durante il corso della propria vita che bisogna operare sempre delle scelte che includono una parte dell’universo escludendo, al contempo, l’altra sua metà per qualche oscura ragione ritenuta sbagliata, diventa molto difficile ammettere che la verità possa viaggiare in tondo, smussando di continuo tutte quelle asperità che diversamente non le consentirebbero di manifestarsi nella sua interezza. Per Sebastian, che aveva fatto della Musica una scelta estrema, così radicale da non poter ammettere alcun dubbio in ciò che dirigeva o suonava, convivere con quello spettro equivaleva a cercare di continuo soluzioni di entità superiore o almeno pari, capaci di respingerlo o quantomeno di contenerlo. Ma uno spettro non si può né eludere né tantomeno respingere per sempre. L’unico modo che abbiamo per dissolverlo definitivamente è quello di smettere di alimentare quello stesso vento che lo ha infuocato. Viceversa noi continuiamo a perseverare con ostinazione nel rifiutarci di risolvere gli enigmi che di tanto in tanto esso ci ripropone credendo, a torto, di essere al riparo dalle sue insidie; questa è infine la ragione per la quale le nostre misere certezze, tirate su a fatica, sono destinate a crollare come i castelli di sabbia che da bambini costruiamo con candida fierezza sulla battigia, ignorando la forza silente ma dirompente dell’alta marea che, giungendo inaspettata ma con ciclica costanza, dissolve ciò che avevamo eretto con cura, cancellando, infine, persino la memoria che in noi avevamo di esso. Così avveniva sovente che, durante il corso degli studi giovanili, Sebastian, attanagliato da ciò che appariva ancora solo come un dubbio, rivolgesse quell’interrogativo a coloro i quali, più avveduti di quanto non fosse lui allora, credeva avrebbero di certo saputo e potuto dissipare senza sforzo alcuno il dilemma che tormentava la sua coscienza rendendo così molte delle sue notti insonni. Ma quelle figure che incarnavano per lui il simbolo di un sapere definitivamente consolidato, consideravano quell’interrogativo del tutto privo di qualunque serio fondamento poiché frutto di una mente, la sua, ancora troppo giovane e per questo troppo smaniosa e infervorata da ambiziose quanto utopistiche visioni. Sì… ecco, proprio quell’idea che a molti appariva ad un tempo così bizzarra e fantasiosa non gli rendeva più così chiaro l’obiettivo da raggiungere, tanto da costringerlo a ridisegnare di continuo un percorso che, invece, credeva da tempo ormai accuratamente tracciato. La sua candida, fedele ma tirannica ossessione – così amava chiamarla allora Sebastian – era proprio il voler dimostrare ciò che a lui appariva come una fin troppo evidente e inammissibile indeterminatezza tra significato e significante se rivolta all’interpretazione musicale. Egli, seppur giovane e inesperto, amava speculare su quella che riteneva una inaccettabile e spesso astutamente vantaggiosa ambiguità da parte degli esecutori, credendo (non sapeva ancora decidersi se a torto o a ragione) che la risoluzione di quell’enigma gli avrebbe consentito di giungere a un equilibrio tale da fondere indissolubilmente insieme i due elementi. Egli si ostinava a credere infatti che la Musica, quale significato, avesse in sé quella componente di imponderabilità che nessun significante – seppur accuratamente enunciato – avrebbe avuto la forza di esprimere da solo nella sua totalità. Sebastian pensava perciò che, così come era avvenuto per tutte le altre forme di linguaggio, anche per la Musica fosse stato necessario tramutare il complesso mondo sonoro in segni che sotto forma di significante avrebbero consentito successivamente all’interprete, attraverso la loro decodifica, di accedere all’origine di quell’universo primigenio che tali segni aveva ispirato. La sua ossessione risiedeva proprio nella difficoltà di credere che quell’imponderabile – che era poi l’unica vera ragion d’essere della Musica quale espressione del suo stesso significato – potesse essere pienamente espresso dalla sola e semplice traduzione del suo significante, rappresentato da quei segni che – per quanto accurati fossero e sia pure abilmente tradotti – mai avrebbero potuto esprimere appieno l’elemento di indeterminatezza che faceva della Musica l’espressione più alta mai raggiunta dall’essere umano. Perciò egli si aggrappava, con tutte le sue forze ma con crescente affanno, a quel suo primordiale istinto il quale gli suggeriva che forse avrebbe potuto ancora viaggiare, allora più che mai, libero da quelle briglie che sentiva via via farsi sempre più strette intorno a quel naturale, spontaneo sentimento che aveva animato, sin dall’inizio, la sua incrollabile fiducia in ciò che le sue visioni oniriche gli suggerivano. Sebastian sentiva che quell’atavico, ruvido e vivifico sentire avanzava imperturbabile e costante lungo la via della vorace e spietata ragionevolezza, la quale, finemente spianata come era dai fardelli delle tante granitiche sovrastrutture culturali – che la tradizione aveva reso ormai inviolabili – avrebbe finito col tempo, in maniera silente ma inesorabile, per soffocarlo definitivamente. Per molti anni Sebastian restò fermo nel credere che al di là del puro simbolo rappresentato dall’ermetica, affascinante e insieme seducente scrittura musicale, dovesse pur esserci traccia di una nobile quanto apollinea visione rivelatrice: insomma, l’opinione comune che il significato più oscuro e profondo di un’opera d’arte risiedesse unicamente nella più o meno travagliata vita dell’artista nell’atto di generarla e nei segni che questi aveva adoperato per fissare tale significato, appariva ai suoi occhi molto più fantasiosa e infondata di quanto non fosse la sua. Come potevano infatti non apparire evidenti le discordanze che sovente si riscontravano tra un momento specifico della vita di un artista e l’opera che in quel preciso momento egli si apprestava a creare? Continuava a ripetere a se stesso come si potesse prender tanto sul serio, ad esempio, tutta la letteratura, evidentemente falsa, che circondava di un alone di romanticismo a buon mercato la vita di Ludwig van Beethoven. Dirigere, suonare, ascoltare o semplicemente contemplare la partitura di una sinfonia o di un quartetto oppure di una sonata di Beethoven equivaleva allora, per Sebastian, a quell’unica quanto straordinaria opportunità di accedere a un universo parallelo, dove tutti gli inutili e dannosi contrasti della quotidianità – frutto di relazioni troppo spesso irrisolte poiché scandite da un ritmo disordinato in un tempo perfetto – in esse si sarebbero potuti fondere insieme, mitigando così la refrattaria natura degli opposti, grazie alla misteriosa forza centripeta propria della Musica; quella forza capace cioè di fonderli in una vorticosa danza ancestrale oppure, semplicemente, in un contemplativo, disteso granitico adagio sostenuto, dove lo spazio tempo era di una tale ampiezza da consentirgli di disperdere tutte quelle inquietudini che troppo spesso tormentavano la sua anima. Suo malgrado, quelle ossessive meditazioni intorno al tema che riguardava la trascendenza in Musica, e che solo di tanto in tanto cercava disperatamente di condividere con chi più di lui avrebbe dovuto comprenderne la profonda essenza, finirono per isolare il giovane Sebastian da quella corrente – allora come oggi molto comune – la quale pretendeva che, oltre le pure e semplici note di una partitura, ci fossero solo le note benché corredate dalle indicazioni agogiche e dinamiche che il compositore poneva per meglio tracciare il percorso che l’esecutore avrebbe dovuto seguire all’interno di quell’intricato dedalo di figure musicali. Il culmine di questo dubbio, infine, fu raggiunto quando si chiese in cosa risiedesse, dunque, la vera sostanziale differenza tra due o più interpretazioni della medesima opera se queste avevano come unici punti di riferimento la sola traduzione, certamente quanto più fedele possibile, delle note con le quali tale opera era stata scritta e il grado di perfezione tecnico-meccanica con la quale queste venivano eseguite. Alla fine di quel lungo viaggio di ritorno da una breve tournée per molto tempo sospirata e poi lungamente meditata, Sebastian si persuase a scrivere dunque una breve lettera alla sola persona che aveva rappresentato il suo unico e costante faro durante le numerose tempeste emotive degli anni giovanili, ma con la quale mai aveva affrontato – con il dovuto fermo proposito di scioglierlo – quel dubbio, forse perché in cuor suo egli temeva che la sua definitiva risoluzione avrebbe richiesto un radicale e forse anche periglioso mutamento delle sorti di quel futuro che in qualche modo sentiva già scritto per intero dentro di sé. ☐☐☐ Sebastian aveva speso molto tempo per scegliere con cura l’ambizioso programma per quel ciclo di concerti; aveva per tale ragione preteso di metterlo a punto sin nei minimi dettagli, provandolo per giorni con una magnifica orchestra che da tempo ambiva a dirigere: era ben conscio che quei concerti, diversamente dalle precedenti occasioni, avrebbero creato molte aspettative in un pubblico sempre più numeroso e sempre più esigente e che, come sempre e forse più di sempre, questa volta sarebbero state pienamente soddisfatte. Trascorse così le estenuanti settimane di viaggio della tournée tra le prove di assestamento con l’orchestra – di routine prima di ogni concerto – e ossessivi ripensamenti sull’interpretazione, continuando perciò con insistenza maniacale a definire sempre più nel dettaglio l’intero programma. Tutto procedeva insomma secondo le sue aspettative, con un crescendo costante di soddisfazioni che lo ripagavano della tanta fatica che tutti quei continui viaggi comportavano e mai, mai avrebbe potuto immaginare che un inaspettato quanto singolare episodio, avvenuto proprio alla fine dell’ultimo concerto di quella tournée, lo costringesse a prendere una decisione che di lì a poco avrebbe rivoluzionato dal profondo la sua vita artistica e intellettuale in una maniera così radicale che niente di ciò che aveva fatto e pensato fino a quel momento sarebbe stato più lo stesso per tutti gli anni a venire. ☐☐☐ Ci sono particolari, significativi eventi nel corso della nostra vita che attendono pazienti per molto tempo prima di manifestarsi con la loro imprevista e prepotente forza. Poi, in un momento che a noi sembrerà del tutto disgiunto da situazioni o condizioni concomitanti, immersi come siamo nelle nostre ostinate ma effimere certezze, qualcosa di nuovo farà la sua comparsa e, venendoci incontro con un sorriso, ci prenderà per mano e ci condurrà su una strada che solo in seguito scopriremo di aver noi stessi, inconsapevolmente ma con cura, tracciato fino a quel punto. Tutte le sfide che la vita ci pone davanti sono sempre un invito a portare lo sguardo oltre quei limiti superati i quali riscriviamo una nuova storia poiché abbiamo di colpo smesso gli abiti ormai logori di un passato stanco e dormiente. Spesso le nostre idee e le nostre certezze sono come gli oggetti con i quali arrediamo con cura le nostre case e che consideriamo puri ornamenti fino a quando la loro apparentemente statica e immutata vita nel corso del tempo assume di colpo un valore storico e simbolico solo perché un giorno, senza un motivo evidente, decidiamo che è giunto il momento di dare ad essi una nuova collocazione. È solo allora che ci accorgiamo della loro costante e muta presenza nella nostra vita; solo allora capiamo con stupore che tali oggetti, proprio perché rimossi dalla loro originaria posizione, sono in grado, ad un tempo, di raccontarci una storia già scritta con orgoglio mentre si preparano a viverne una nuova senza soffrire dell’immaginaria perdita dei fasti di un glorioso passato. Così fu per Sebastian quando sopraggiunse tanto repentina quanto inaspettata la necessità di ristabilire un nuovo e diverso ordine a quelle strutture e sovrastrutture della conoscenza che aveva conquistato faticosamente in anni di studi e di intense ricerche e che avevano fino a quel momento modellato, definendola in ogni suo dettaglio, la sua statura di uomo e di musicista della quale allora andava così fiero. 2 Lo spettro In ogni piccola o grande rivoluzione c’è sempre un elemento che le accomuna: un velato, silente ma costante disagio che aleggia sull’inconsistenza di un presente che non ha saputo essere il degno erede di un glorioso passato e per questo dispera di poter conquistare un futuro del quale non riesce a scorgere la salvifica linea dell’orizzonte, costringendoci a vivere così in una lenta, ininterrotta, insostenibile incertezza. Fu alla fine di quella breve tournée che accadde l’episodio che avrebbe condotto Sebastian, di lì a poco, ad assumere la ferma decisione di rimettere in gioco tutte le certezze che lo avevano guidato fino a quel momento sul difficile sentiero di una promettente carriera. L’ultimo concerto si preannunciava come l’evento più atteso dell’intero tour e per questo Sebastian aveva chiesto con insistenza che le prove con l’orchestra che lo avrebbero preceduto fossero più lunghe del previsto: la sua smania irrefrenabile di continuare incessantemente a limare sino all’ultimo i dettagli del programma era diventata ormai per lui una autentica ossessione, con il rischio di rimettere ogni volta in discussione tutto ciò che egli riteneva definitivamente risolto il giorno prima. Tutto procedeva, come sempre, secondo una rigida scaletta che era stata meticolosamente messa a punto nei lunghi mesi che avevano preceduto l’evento. Sebastian dal canto suo era sereno e desideroso solo di dimostrare a se stesso, una volta in più, che quello che ora stava vivendo era il meritato frutto di anni di duro lavoro e di una rigida disciplina nell’applicare quelle regole che gli avrebbero garantito di svolgere il suo delicato compito secondo un secolare percorso già ampiamente tracciato dalla consuetudine. Niente insomma avrebbe potuto allora fargli nascere il benché minimo sospetto che qualcuno o qualcosa avrebbe potuto riesumare, dal profondo delle sue giovanili memorie, quello spettro che credeva da tempo ormai estinto. Di certo egli non avrebbe potuto e saputo immaginare in quel momento quanto la sua improvvisa, inaspettata ricomparsa avrebbe minato dalle fondamenta le granitiche certezze che un tempo avevano seppellito quello stesso spettro in nome di una consolidata, incontestabile tradizione. Pur nonostante, quella delicata ma intensa brezza, capace di risvegliare l’antico spettro che di lì a poco avrebbe sparso i semi di un radicale quanto inatteso cambiamento, si presentò sotto le sembianze di una giovane donna dall’aspetto elegante e fiero come le parole che pronunciò in un ottimo inglese ma con un vago accento che tradiva le sue vere origini.