SPERANZA OLTRE ALLA "BANALITÀ DEL MALE" (28/1/2017)
Io credo che si debba evitare una interpretazione della visione arendtiana in termini di tragedia senza sbocchi. Karl Jaspers suo maestro ed amico) scrive che si tratta di una “tragedia, che tuttavia non lascia senza speranze”. (H. Arendt, K. Jaspers, Briefwechsel 1926-1969, Monaco, 1985, pp 541-43). L'uomo infatti non perde mai completamente la sua capacità di agire, anche se spesso si trova a combattere con forze che non riuscirà mai a dominare del tutto completamente. Per la Arendt con l’agire «ci inseriamo nel mondo umano, e questo inserimento è come una seconda nascita, in cui confermiamo e ci sobbarchiamo la nuda realtà della nostra apparenza sica originale. Questo impulso non ci viene imposto dalla necessità, come il lavoro, e non ci è suggerito dall’utilità, come l’operare. [..] Agire, nel senso generale, significa prendere un’iniziativa, iniziare, incominciare, condurre, e anche governare, mettere in movimento qualcosa» (H. Arendt, Vita Activa la condizione umana, Milano, 2009, pag. 128). Quindi un prospettiva c'è, anche se non la vediamo. La vita dell’uomo è un continuo cambiamento. Parlo del continuo superamento, nella storia umana, di quanto l’esterno impone a ciascuno di noi, proprio a partire dalla presa di coscienza di tale imposizione. Noi non possiamo non confrontare continuamente il "ciò che si è" con il "ciò che si vuole essere" perchè l'uomo è totalmente determinato e totalmente libero: in quanto obbligato ad accettare il suo determinismo non può che partire per conquistare la propria libertà.
Severina Alberti
Vero. Sia la Arendt cheJaspers, ma anche altri fra i quali Benjamin sono 'ebrei'. Lo spirito di fondo che li accompagna è soprattutto la speranza... uno spirito messianico.
Il tema che tu hai toccato nei post precedenti, quello della responsabilità, c'entra, secondo me... nella società, oltre alla forza modellante l'individuo (come vedeva Adorno) è presente anche una forza che parte dal basso ...che reagisce... E' una visione non deterministica... che vede l'uomo libero e responsabile. Mi ricordo un passo di Jaspers in cui dichiarava che, nonostante i colpevoli siano stati gli 'altri' lui si sentiva colpevole. 'noi c'entravamo, siamo stati i testimoni dell' orrore...quasi in silenzio. ( dovrei cercarlo perché non ricordo su quale testo l'ho letto)
Fabio Noto
Ci vogliamo 'responsabili', immaginando così d'esser nel 'giusto'. Ma la parola 'responsabile' racchiude un doppio senso, che fa emergere di rado la 'colpa' che sottende.
Un po' come esser colpevoli per nascita.
Severina Alberti
Non intendevo responsabile= essere nel giusto. Un ladro può rubare per sé o per altri con piena coscienza delle proprie azioni e conseguenze. Un 'ladro' in una 'catena di montaggio' per il furto può esserne cosciente oppure no. Potrebbe non essere consapevole dell' obiettivo della struttura alla quale appartiene. Altrimenti, Fabio, anche noi qui parliamo per parlare senza la responsabilità delle conseguenze del nostro dire. Forse sopra mi sono spiegata male.
Fabio Noto
È un discorso molto complesso quello sulla responsabilità. Essa si inscrive in un 'sistema di valori', riconosciuto e riconoscibile per, anche, 'abitudine' (plasma il nostro abito e il nostro abitare). Eichmann, ad esempio, si sentiva profondamente responsabile nei confronti del 'sistema di valori' nazista. Poi divenne, con sua meraviglia, colpevole: il 'sistema di valori' era cambiato, non la doppiezza della parola 'responsabilità'.
Severina Alberti
In un tuo post parli di olocausti 'moderni' nei quali il sistema anestetizza la coscienza per poter essere efficiente, nonostante la sua spietatezza... è vero. Tu quindi sei convinto che ci sono oggi sistemi che considerano bene ciò che in fondo è solo 'male'. C'è anche in te il riconoscimento di una differenza fra ciò che è bene e ciò che è male, fra la responsabilità e la mancanza della stessa perché si è sotto anestesia. Eichmann credeva di fare il bene del sistema...ma non era un uomo libero. Era un drogato di ideologia. Non era responsabile come uomo era il funzionario di un apparato ma quando ha scelto la 'droga' del nazismo non era nel sistema...era un uomo libero, quindi era colpevole.
Fabio Noto
Ci sono sistemi, non solo oggi, che si preoccupano di distinguere un Bene e un Male, per dispiegare rapporti di forza. Ciascuno di noi abita uno di quei sistemi ed è, per ciò stesso, 'drogato' in partenza. Acquisisce una cultura, degli usi e dei costumi. Può 'disintossicarsi'? Difficile, dovrebbe uscire totalmente da quel sistema. Così c'è chi brancola, cercando lumi e ombre senza poter incidere in alcun modo. Se non per riempirsi una vita. Con la presunzione che ciò non sia una colpa, né un dovere. È solo vita.
Severina Alberti
Sembri anche tu un 'sistema'. L'analisi va bene, ma non si può negare la necessità di lasciare l'analisi e immergerci nel mondo: il rapporto diretto con il mondo richiede che ciascuno di noi si assuma le proprie responsabilità... senza delegare a nessun sistema. Insomma, Fabio io sono condizionata dal mio ambiente...ma anche'io condizionò l'ambiente... anche tu lo fai con l'agire e con le parole.
Fabio Noto
Il 'mio ambiente' è estremamente circoscritto. Pensa quanta capacità di incidere possa avere, ad esempio, una multinazionale che, per sua natura, ha confini pressoché illimitati.
Severina Alberti
Siamo usciti parecchio del seminato. Forse è meglio spostare la conversazione... E' interessante, ma non c'entra nulla con il tema della responsabilità.
Fabio Noto
Ritorno al post di Paolo; che si conclude con la dicotomia tra "accettare il determinismo" (cioè la Necessità) e "conquistare la libertà": individuare questa antitesi, e porla come tale, ha come conseguenza la lotta per l'abolizione di uno dei due termini. Gli ultimi cento anni di storia umana (occidentale) sembrano avere come orizzonte la libertà: il che significa l'annullamento di ogni necessità e, quindi, la 'macchinizzazione' dell'umano nel solco della pura razionalità (cioè come 'creazione libera' dell'umano). La Ragione non accetta vincoli di sorta, si libera anche dell'uomo pur di prevalere. Ma, così facendo, è destinata a consegnarsi alla Necessità più pura: il proprio superamento.
Paolo Giacobbe Piol
Fabio scusami, mangiare è una necessità e tu sei libero di decidere cosa mangiare, un esempio banale ma reale
Fabio Noto
Scusa P.G., so di pretendere di 'volare alto' e tu mi riporti ad un reale che così banale non è. La Necessità di cui parlavo è qualcosa d'altro, non è riducibile all'umano. È l'incessante (da nec-cedere, scusa il gioco latino che sa di professorale) che tutto avvolge, come dicevano gli antichi greci. Ben al di là degli dèi olimpici. Rispetto a cui ogni apparente scelta si riduce a tracotanza. Ma non chiedo d'esser compreso. 😀
Paolo Giacobbe Piol
Con l' esempio banale intendevo dire che la nostra libertà è limitata però questo non toglie la nostra responsabilità.
Fabio Noto
Perfetto. Inscritto nel nostro quotidiano sensato non fa, effettivamente, una grinza. È quando si esce da quel recinto che, però, si apre uno spazio infinito, dove tutto è possibile. Anche l'insensato. Il che non fa vivere 'meglio', sia chiaro.