venerdì 17 gennaio 2020

RICORDI: BANCHI DI LEGNO, PENNA E CALAMAIO.
Paolo Bolzani 
I banchi di legno della mia classe alle elementari, erano dipinti di un colore grigio topo, mentre il piano inclinato, dove si doveva scrivere, era invece nero, tutto rovinato da tagli e scheggiature. I sedili erano basculanti, così come il piano inclinato, per permettere di riporre al di sotto la cartella.
I banchi, dove sedevamo a due a due, avevano, sul piano, una scanalatura per poggiarvi penne e matite e due fori, in ognuno dei quali era inserito una specie di vasetto grigio, di ferro smaltato: il calamaio. Il bidello passava con qualcosa che sembrava un annaffiatoio e riempiva i calamai con un liquido nerastro e acquoso che spesso 'spandeva' sulla carta del quaderno, specie se avevi comprato quelli a buon mercato. Era solo dopo molti mesi dall'inizio della prima elementare che si poteva cominciare ad usare la penna col pennino. Nei primi mesi lo strumento di scrittura era solo il lapis, per fare le "stanghette," dritte e inclinate, per poi passare  a pagine intere di singole vocali, infine ai primi suoni composti. 
La maestra stava dietro una enorme scrivania, dello stesso colore dei banchi, poggiata su un'alta pedana di legno. Lo stanzone aveva soffitti altissimi e enormi finestroni, che venivano aperti nella buona stagione. Era allora che si riusciva sempre a catturare qualche mosca che entrava dalla finestra aperta. Quei finestroni erano, per me, una grande distrazione. Guardavo fuori  immaginando i campi luccicanti di erba verde. e le mucche al pascolo insieme ai vitellini appena nati.
Ma non bisognava distrarsi perché la maestra era attenta e severa:" Che fai Bolzani? Sei in bambola. Scrivi, scrivi". La mia era una penna di legno grezzo ed era tutta morsicata in cima da mio fratello maggiore, che me l'aveva passata. Non era una di quelle lucide, ben verniciate, del mio compagno di banco,  i cui genitori gestivano una rivendita di vino. Comunque, appena giunti in classe, il rito era sempre lo stesso: dopo l'appello e la preghiera, dovevamo prendere la penna dall'astuccio, per chi l'aveva, o, come nel mio caso, svolgerla dalla carta di giornale  nella quale era stata conservata, infilarvi il pennino, bagnare il pennino nell'inchiostro e provarlo. Se il pennino, malgrado ripetute prove e relativi asciugamenti nel 'nettapenne', o pezzo di giornale, non scriveva, era indispensabile sostituirlo. Ma il pennino non veniva buttato bensì barattato.  C'era sempre quello che recuperava i pennini usati, rifacendo le punte e rivendendoli usati. Erano accettati baratti con pezzi di pizza, castagnaccio o altro.   Il primo anno il quaderno era solo a quadretti, con la foderina nera, utilissima a fare la maschera per carnevale, quando l'avevamo terminato. (Continua)