venerdì 31 gennaio 2020



POZZO SENZA FONDO
Loredana Canderle

Tutti abbiamo bisogno di un "rifugio", parola che deriva dal latino "refugere" rifugiarsi, fuggire da qualcosa o da qualcuno.
Soprattutto nel periodo dell"adolescenza c'è questo bisogno di rifugiarsi in qualcosa che ci dia conforto e consolazione.
In alcuni anni della mia adolescenza il mio rifugio fu il cibo. Non ricordo come accadde e in quanto tempo, fatto sta che accadde. Ogni volta che il mondo attorno non mi accoglieva, io mi nascondevo e mangiavo fino a sentirmi male.
Il cibo diventò la mia ossessione, mi occupava pensieri, cuore e corpo, avevo i miei nascondigli: dietro le poltrone del salotto, sotto il letto, dappertutto avevo le mie scorte per le grandi abbuffate. Lo facevo sempre da sola con una vergogna e una disperazione che mi laceravano l'anima e mi facevano ingrassare.
Ricordo che allora imperversava Twiggy, la top model "ramoscello" ed io ragazzone alta e cicciona, mi sentivo sempre fuori posto.
Ma non era la mia ciccia a tormentarmi, bensì la mia ossessione disperata per il cibo. Era la mia droga.
Conservo ancora le mie lunghe liste di tutto quello che ero in grado di ingurgitare, sentendo che il buco che avevo nell'anima non si riempiva mai.
Le mie abbuffate erano compensate da lunghe camminate in montagna, anche mentre   nevicava, da giri in bicicletta per smaltire tutte le calorie che mi tenevano compagnia.
Il grasso era la mia corazza, era ciò che mi proteggeva da un mondo che non mi piaceva.
Avevo paura delle delusioni, dell'amore tiepido che avvertivo attorno a me, avevo paura del maschio, portatore di peccato e di piacere, io con il cibo mi consolavo e mi fustigavo.
Con l'arrivo dell'estate, portatrice di nuove amicizie e forse di qualche amore, passavo all'anoressia, per mesi mangiavo pochissimo fino a perdere 20 kg in poco tempo... D'estate pesavo 65 kg, d'inverno arrivavo a 90 kg.
Sì sa che bulimia e anoressia sono due facce della stessa medaglia.
Per fortuna non ho mai vomitato per liberarmi di tutto il cibo che divoravo, però facevo uso di molti purganti rovinandomi l'apparato digerente.
Allora non si parlava ancora di disturbi alimentari.
Andavo dal mio medico e lo supplicavo di ordinarmi qualcosa che mi aiutasse a strapparmi dal cervello quell'ossessione, lui mi rispondeva che ero bella, così giunonica e che non dovevo intervenire.
Decisi di informarmi, comperai tutti i libri di psicologia che parlavano di questa malattia e così seppi darle un nome: BULIMIA.
Questo mi aiutò solo a diventarne consapevole, ma non a guarirmi.
Ero, per carattere, una compagnona e riscuotevo molta simpatia, per cui alternavo i miei momenti di isolamento con bagni di amicizie e di socievolezza, puntando tutto sul mio gusto di approfondire, diventando così, ricercata per confidenze da parte di amici, quando si sentivano soli e depressi... era il mio ruolo.
Furono anni di sofferenza vissuta tutta in solitudine.
Mia madre era disorientata con questa figlia che le procurava solo preoccupazione, mio padre mi fu di molto aiuto, mi capiva, mi accoglieva, mi dava consigli, mi era vicino, credo che mi abbia salvato la vita.
Non so che cosa mi portò alla guarigione, forse tante cose insieme: l'amore del mio moroso che poi diventò il mio primo marito, le prime esperienze sessuali, la nascita di mio figlio e la separazione... tutto è il contrario di tutto.
Sicuramente queste malattie hanno una radice comune: bisogno disperato di amore.
Jung dice che, se un bambino non viene sfiorato dallo sguardo innamorato della madre, avrà un vuoto che non riuscirà a colmare per tutta la vita..
Ecco, non lo so, so che ora sono una donna con tante contraddizioni, con molte ombre e poche luci, il cibo per me è un piacere, ma sono una che assaggia, sono quella delle mezze porzioni, forse sono gli strascichi di quella ossessione.
Ora il mio rifugio è l'amore in tutte le sue sfumature.