venerdì 24 gennaio 2020


RICORDI: L'ANNO CHE CAMBIÒ LA MIA VITA
Loredana Canderle


I miei ricordi, quando mi assalgono, sono sempre in ordine cronologico, partono da quello che ero da bambina, fino a quello che sono oggi, una donna che ancora non ha ben digerito molte cose.
Diciamo che sono una disordinata organizzata, ma nei ricordi sono quasi militaresca.
Sono ancora in prima media, nella città di Schio, presso le anziane signorine che mi ospitano.
Vengo a sapere che una famiglia di cugini si era trasferita da Posina, in un paesino poco lontano dalla città in cui mi trovavo.
Non mi par vero: posso riabbracciare persone di famiglia e respirare un po' di aria di casa.
Decido di andarli a trovare.
Con il permesso dei miei, un giorno, all'uscita dalla scuola, prendo la corriera per Catrenta, mi sembra facile arrivarci, ho ben chiaro dove avrei dovuto scendere, dimenticando, per un momento, la mia mancanza di senso di orientamento.
Parlo al conducente che dimostra di capire quale sia la mia meta.
Arrivo in un posto che mi sembra familiare, cerco il mio punto di riferimento e naturalmente non lo trovo.
Mi guardo in giro, sono in aperta campagna, da sola.
È primavera, perciò ho a disposizione più ore di luce.
Dopo aver camminato a lungo, decido di avvicinarmi ad una cascina e chiedere informazioni ad una signora che si mette le mani nei capelli, desolata.
Mi dice che, per arrivare a Catrenta, devo camminare per qualche chilometro.
Parto di buona lena, avrei scalato una montagna pur di raggiungere i miei cuginetti.
Cammino e cammino, finalmente trovo il mio punto di riferimento: il bar dal quale parte un viottolo in mezzo ai prati, che mi avrebbe portata a destinazione.
È l'ora degli angeli, quella in cui non è più giorno, ma non è ancora notte, la mia preferita da sempre.
Non c'è anima viva, soltanto io con una cartella che pesa più di me, con tutti i libri della giornata, più quelli per il giorno dopo.
Ricordi ancora quel viottolo... era interminabile.
Incomincio ad avere paura, finché incrocio un signore in Topolino che si ferma e mi chiede cosa ci faccia una bambina sola, a quell'ora, in mezzo al nulla.
Mi metto a piangere (camminavo da 3 ore) e, come fanno i bambini che, quando parlano dei parenti pensano che tutto il mondo li conosca, dico :"Vado dalla zia Arduina".
Il signore, per mia fortuna, è il medico condotto di Catrenta e mi dice che stava appunto tornando dalla casa della zia.
Mi fa salire in auto e mi ci porta.
Non vi so descrivere la mia gioia quando arrivo e abbraccio i miei cugini Luisa e Fernando, la zia e lo zio.
Per me è il paradiso.
Quando racconto la mia avventura, la zia rabbrividisce e mi abbraccia come fossi una sopravvissuta.
In quell'anno, sicuramente, attecchirono in me  i germi che poi sarebbero sbocciati nella bulimia della mia adolescenza.
Ma questa è un'altra storia.