giovedì 13 febbraio 2020



CORPI ALLA PROVA. 
Gianfranco Giudice
13 febbraio 2016

Prendiamo adesso in considerazione il secondo volume che Foucault dedica alla storia della sessualità, intitolato L’uso dei piaceri. Ci soffermeremo in particolare sull’analisi che il pensatore francese dedica a Platone, perché ci tornerà utile per l’analisi che condurremo successivamente di alcune pagine dei dialoghi platonici dedicate al tema dell’Eros e al rapporto anima – corpo. La domanda di fondo che si pone Foucault rispetto all’Antichità, è il perché la cultura antica abbia problematizzato in maniera così peculiare la sfera del desiderio e della sessualità, inestricabilmente legata alla carne. “ Perché il comportamento sessuale – leggiamo ne L’uso dei piaceri - , le attività e i piaceri che ne dipendono, costituiscono l’oggetto di una preoccupazione morale ? Perché questo assillo etico, che, almeno in certi momenti, in determinate società o gruppi, appare più importante dell’attenzione morale che si porta ad altri campi pure essenziali della vita individuale o collettiva, come i comportamenti alimentari o il compimento dei doveri civici “ (cfr. M. Foucault, L’uso dei piaceri, Storia della sessualità 2, Feltrinelli, Milano 1998, p. 15). L’analisi foucaultiana non prende in considerazione la storia dei sistemi morali, bensì quella delle problematizzazioni etiche; questo perché se la prima si ridurrebbe ad una storia dei divieti, le seconde ci conducono alle pratiche di sé, da cui non si può prescindere se si vuole comprendere il rapporto che gli antichi, quantomeno le classi dominanti, avevano con la corporeità.
Un tema di grande rilevanza è da questo punto di vista quello dell’omosessualità; se da un lato è indubbia la maggiore libertà sessuale nell’antichità rispetto alle società europee moderne, ovvero la sostanziale bisessualità per esempio nell’antica Grecia; d’altro canto osserva Foucault  come proprio l’ambito degli amori maschili “ lo si veda contrassegnare molto presto da intense reazioni negative e da forme di discredito che perdurranno nel tempo “ (ibidem, pp. 24-25). Il fatto che la società antica fosse una società maschilista, e la morale fosse una morale di uomini e per gli uomini, rende il discorso sull’omosessualità nell’antichità ancora più rilevante al fine di una analisi del tema della corporeità. Proprio perché l’uomo è dominante, in quanto la donna è un mero oggetto rispetto al maschio, allora diventa essenziale problematizzare quella macchina del desiderio costituita dal corpo maschile che prova attrazione erotica per un altro corpo maschile. Se l’uomo detiene nella cultura antica le chiavi della verità, allora diventa fondamentale assoggettare alla verità la minaccia più grande costituita proprio dal desiderio omosessuale radicato nelle fibre stesse del soggetto produttore di verità, quale è il maschio stesso. Il maschio è ripetibile in quanto produttore di verità, ed è irripetibile in quanto corporeità desiderante, carne sessuata.