mercoledì 5 febbraio 2020


IL GATTO CHE CONOSCEVA IL CARDINALE
Lilian Jackson Braun 
(The Cat Who Knew A Cardinal, 1991)

Personaggi principali:

JIM QWILLERAN giornalista
KOKO E YUM YUM i suoi amici siamesi
POLLY DUNCAN la direttrice della biblioteca di Pickax
HILLARY VANBROOK preside molto chiacchierato
SUSAN EXBRIDGE antiquaria di Pickax
DENNIS HOUGH un uomo dalle idee brillanti
FRAN BRODE una figlia troppo indipendente
ANDY BRODE capo della polizia di Pickax
STEVE O'HARE un uomo dai molteplici interessi
FIONA STUCKER una donna con molti problemi
ROBBIE STUCKER suo figlio
I BUSHLAND una coppia affiatata
NONNA INGLEHART una romantica d'altri tempi

1

Settembre prometteva di essere un mese tranquillo nella contea di Moose, quel paradiso delle vacanze estive, quattrocento miglia a nord di qualsiasi altro luogo. Dopo il Labor Day i turisti ritornavano nel caos delle città Giù in Basso; s'era esaurita la nefasta presenza dei simulidi; i ragazzi riprendevano malvolentieri la scuola e la vita quotidiana riassumeva il suo ritmo normale e sonnolento. Tuttavia quell'anno la tranquillità fu di breve durata perché, di lì a una settimana, l'intera comunità fu scossa dalla notizia dell'Incidente del Granaio, come riportava nei titoli il quotidiano locale.
Prima di quell'incidente a Pickax City, sede della contea (tremila abitanti), c'era stato un solo grosso evento clamoroso che aveva scatenato i pettegolezzi della gente del posto: Jim Qwilleran, giornalista per metà a riposo ed erede dell'enorme patrimonio Klingenschoen, era andato ad abitare in un granaio! Un granaio nel quale, un tempo, si riponevano le mele! Però, commentavano tutti stringendosi nelle spalle e scuotendo la testa, bisognava anche ammettere che il signor Q. aveva diritto di concedersi qualche stravaganza, dal momento che era l'uomo più ricco della contea e un vero filantropo.
«Un granaio per le mele è sempre meglio di un porcile» ridacchiavano nei bar davanti a una tazza di caffè. Dopo quattro anni si erano abituati alla vista dei suoi enormi baffi malinconicamente spioventi. Non eccepivano più su quella "W" poco ortodossa del suo cognome. E ormai quasi tutti avevano finito per accettare il fatto che quel solitario divorziato di mezza età avesse scelto di vivere da solo con due gatti.
Di fatto la realtà era la seguente: dopo essere andato a caccia di notizie per venticinque anni nelle città degli Stati Uniti e dell'Europa, Qwilleran aveva ceduto alle attrattive della vita rurale e si era dimostrato particolarmente affascinato dai granai, soprattutto da una struttura ottagonale che sorgeva sulla proprietà Klingenschoen.
Quella struttura di pietra, che risaliva a cent'anni prima, era intatta e il rivestimento in legno era diventato con il tempo di un grigio argenteo. Si levava maestosamente come un edificio a tre piani, affacciandosi su un campo di grotteschi scheletri, i resti fatiscenti di quello che un tempo era stato un rigoglioso meleto. Ora interessava soltanto gli uccelli, incluso uno che fischiettava un indiscreto "Chi-è?-Chi-è?-Chi-è?".
Qwilleran aveva scoperto per la prima volta quella costruzione durante le sue passeggiate in giro per la proprietà Klingenschoen che si estendeva dall'arteria principale di Pickax fino a Trevelyan Road, a quasi mezzo miglio di distanza. La palazzina della celebre famiglia Klingenschoen, che si affacciava su Main Street, era stata trasformata in un teatro e i vasti giardini sul retro erano stati asfaltati e adibiti a parcheggio. Più avanti c'era un'alta cancellata in ferro battuto. Di lì si apriva una fitta macchia boscosa che nascondeva sia il granaio sia il frutteto. Oltre la macchia il viottolo che conduceva a Trevelyan Road era poco più di un sentiero di terra battuta che si snodava in mezzo a terreno da pascolo, dove le erbacce crescevano liberamente, e passava davanti alle fondamenta di vecchi cottage un tempo occupati dai fittavoli. Qualcuno che ancora se ne ricordava lo chiamava il sentiero Trevelyan. Nel punto in cui finiva, un'enorme cassetta postale in stile rurale era inchiodata su un palo e vi si leggeva la lettera Q.
In origine il granaio era stato usato per la spremitura del sidro e la marmellata di mele cotte nel sidro. In anni più recenti tutto ciò che ne restava era una gran quantità di spazio vuoto che saliva, come in una cattedrale, fino al tetto ottagonale. C'era voluta una ristrutturazione drastica per renderlo abitabile, ma il signor Q, dopo esservisi insediato, aveva appurato con piacere che all'interno, nelle giornate calde e umide, aleggiava ancora nell'aria il profumo di mele Winesap e Jonathan.
In un certo giorno caldo e umido di settembre, per la precisione il dieci, gli ospiti di Qwilleran continuarono a sollevare il naso per annusare una fragranza che non riuscivano a identificare. Si trattava di una coppia di siamesi, gatti rigorosamente casalinghi, e in parte era per loro che il granaio era stato ristrutturato. C'erano gradini e stretti corridoi che salivano a spirale verso l'alto, tutt'attorno alle pareti interne, ampi balconi su due piani della costruzione e una massiccia travatura a sostegno del tetto. Tutto questo permetteva a quella coppia acrobatica di correre all'impazzata, di fare balzi sfrenati e ingaggiare battaglie rischiose su assi che distavano dal pavimento dieci o quindici metri. Per i loro momenti di quiete c'erano vetrate attraverso le quali potevano seguire il volo degli uccelli, la caduta di una foglia o il balletto dell'erba spazzata dal vento nel frutteto.
Anche Qwilleran, che aveva vissuto per due anni in un appartamento sopra il garage Klingenschoen, provava una sorta di riverente timore nel ritrovarsi in quella splendida dimensione spaziale della sua nuova residenza. Era un uomo imponente, con i suoi cinquant'anni dedicati alle comodità. Aveva spalle larghe e gambe lunghe, e la natura lo aveva reso inadatto a vivere in luoghi angusti. Quella calda e umida sera di sabato passeggiava per la sua proprietà godendosi quel senso di spazio e le fantastiche prospettive del panorama. Mentre camminava si lisciava con soddisfazione i folti baffi sale e pepe. Gli ultimi raggi del sole al tramonto penetravano all'interno da alte finestre triangolari. Una forma che era stata creata per conservare la simmetria delle travi.
«Questa volta siamo nel posto giusto» disse ai gatti che lo seguivano avanzando con eleganza sulle zampe snelle. «Questa è la nostra casa.» Tutti e tre avevano vissuto in numerose altre case, a volte felicemente, a volte disastrosamente. «Vi farà piacere apprendere che questa è l'ultima volta che traslochiamo.»
«Yow!» fu la risposta del gatto maschio, emessa in tono basso, e nella quale sembrava quasi di avvertire una punta di scetticismo.
Qwilleran si era prefissato di fare conversazione con i siamesi, e il maschio reagiva sempre come se capisse il linguaggio umano.
«Dobbiamo ringraziare Dennis di tutto questo» proseguì. «Come vorrei che la signora Cobb potesse vederci!» E ridacchiando per un ricordo molto personale, aggiunse. «Ne sarebbe felice, non credete?»
«Yow!» disse Koko in tono sommesso e di rimpianto, quasi ricordasse il superlativo pasticcio di carne della signora Cobb.
La ristrutturazione era stata progettata ed effettuata dal figlio della donna, ex governante di Qwilleran. Si chiamava Dennis Hough, che si pronunciava Huff, e il suo arrivo da St. Louis a Pickax aveva creato subbuglio per tre ragioni: il progetto del granaio era sensazionale; il giovane costruttore aveva dato alla sua impresa edilizia un nome stravagante che aveva entusiasmato la gente del posto; lui stesso aveva un effetto magnetico sulla popolazione femminile della contea di Moose. Era stato Qwilleran a insistere con Dennis Hough affinché si trasferisse lì, gli aveva affidato il lavoro del granaio e aveva predisposto affinché la sua attività nella nuova sede godesse di una sovvenzione della Fondazione Klingenschoen.
In quel tranquillo sabato sera i tre abitanti del granaio erano saliti su uno degli alti corridoi proprio sotto il tetto e Qwilleran si stava beando della visione panoramica del pianoterra, dotato di ogni comodità, allorché una protesta vibrante di Yum Yum, la femmina, gli fece capire che a lei interessava di più il cibo dello stile architettonico della casa.
«Chiedo scusa» disse il giornalista dando una fugace occhiata all'orologio. «Abbiamo fatto un po' tardi. Adesso andiamo a vedere che cosa troviamo in frigorifero.»
I due felini si girarono e cominciarono a scendere la scala, spalla a spalla, fino a che non raggiunsero il livello sottostante. Di lì balzarono giù a pianterreno come scoiattoli volanti, atterrando su una poltrona ben imbottita con un tonfo silenzioso. Una scorciatoia che avevano scoperto appena arrivati. Qwilleran scelse invece un percorso più convenzionale: la scala a chiocciola di metallo che portava direttamente in cucina.
Benché da molti anni conducesse vita da scapolo, non aveva mai imparato a cucinare nemmeno l'essenziale per la sopravvivenza. Le sue capacità culinarie non andavano oltre lo scongelamento dei cibi e la preparazione del caffè.
Immerse due enormi chele di granchio surgelato nell'acqua bollente, poi estrasse con cura la polpa dai gusci, la tagliò a pezzetti e la mise in una vaschetta.
I siamesi presero a girarci attorno con diffidenza, prima in senso orario e quindi in senso antiorario, per poi decidersi ad assaggiarla.
«Probabilmente stasera avreste preferito petto di fagiano» disse Qwilleran.
Se li viziava era perché loro rappresentavano i due terzi della sua vita. Non aveva nessun altro al mondo. Yum Yum era un'adorabile bestiola che gli si accucciava spesso in grembo e allungava con aria rapita una zampina a toccargli i baffi. Koko era un gatto straordinariamente intelligente, nel quale i naturali istinti felini erano sviluppati in modo quasi sovrannaturale. Yum Yum sapeva sempre quando Qwilleran indossava qualcosa di nuovo o serviva loro il cibo in un piatto diverso, ma Koko, con il naso vibrante e i baffi all'erta, era in grado di avvertire il pericolo e di scoprire verità nascoste. Yum Yum aveva zampe malandrine che sottraevano piccoli oggetti di valore, ma Qwilleran era convinto che fosse Koko a suggerirglielo. Insieme formavano un'astuta coppia di complici.
«Quei bricconi» aveva detto di recente alla sua amica Polly «hanno tutta l'aria di godere di privilegi speciali qui nella contea di Moose!»
Quella sera, mentre i gatti cacciavano il naso senza eccessivo entusiasmo nella polpa di granchio, il giornalista rimase immobile a osservare la posizione di manifesta disapprovazione dei due corpicini dal pelo fulvo, l'inclinazione delle orecchie che indicava una silenziosa critica e la curvatura delle code che esprimeva un muto rimprovero. Stava cominciando a interpretare il linguaggio del loro corpo, soprattutto quello della coda. In quel momento il telefono squillò e lo distolse da quella concentrata osservazione. All'altro capo del filo non c'era nessuno. Senza preoccuparsene, fece scongelare un sacchetto di stufato di carne che doveva costituire la sua cena.
Di solito il sabato sera andava a mangiare al Vecchio Mulino con Polly Duncan, la direttrice della libreria di Pickax e al momento la donna più importante nella sua vita. Ma lei era fuori città e lui trangugiò lo stufato senza neppure assaporarlo. Poi si ritirò nello studio per scrivere la sua rubrica Direttamente dalla penna di Qwilleran per il quotidiano locale. L'argomento brillante di cui doveva trattare riguardava il successo conseguito da un originale esperimento che era stato fatto a Pickax. Quella stessa sera al Club del Teatro si teneva l'ultima rappresentazione della famosa Storia della vita di Re Enrico VIII. Si era trattato di una scelta molto discussa e persino i più fanatici ammiratori di Shakespeare avevano previsto che ci sarebbero state più persone sul palcoscenico che in sala. E invece lo spettacolo aveva avuto il maggior numero do rappresentazione della storia del teatro di Pickax: dodici nell'arco di quattro fine-settimana e praticamente tutto esaurito.
Qwilleran era stato alla prima in compagnia di Polly, in poltrone laterali di quinta fila, e aveva fatto una recensione prudentemente favorevole, ma ora che i risultati del botteghino erano stati resi noti, scrisse un ulteriore articolo in cui elogiava il pubblico per aver capito e apprezzato quel lavoro impegnativo e si complimentava con la compagnia teatrale del posto per aver reso un ritratto credibile della nobiltà inglese del XVI secolo. Non era casuale che avesse citato il nome del regista solo in fondo all'articolo. Hilary Van-Brook aveva ferito l'orgoglio professionale di Qwilleran rifiutandosi di comparire nella sua rubrica, opportunità che la gente di Pickax considerava pari a una vincita alla lotteria. E adesso il giornalista poteva avere l'ultima parola, nel vero senso del termine, relegando il nome del regista in fondo.
Soddisfatto per il proprio lavoro di penna si preparò una tazza di caffè, andò a cercare una ciambella e si accinse a godersi un po' di relax con la lettura di un libro acquistato di seconda mano. Era un tipo parsimonioso, e nonostante la sua nuova condizione finanziaria, continuava a mantenere molte delle vecchie abitudini frugali.
Possedeva una macchina che aveva comperato usata, faceva benzina al self-service, sussultava quando dava un'occhiata ai cartellini dei prezzi e andava sempre alla ricerca di buone occasioni, se si trattava di libri.
Dopo essersi messo il pigiama e la vecchia e comoda vestaglia scozzese, accese con un fiammifero una pila di rami secchi sistemati nel camino. Stava per accomodarsi nella solita grande poltrona quando il telefono squillò per la seconda volta. Sollevò il ricevitore e sentì un clic secco seguito dal segnale di libero sulla linea. Questa volta si chiese che cosa significasse.
Nelle città Giù in Basso, dove aveva vissuto e lavorato, un fatto simile avrebbe fatto pensare a un ladro appostato in una cabina telefonica all'angolo della strada. Nella contea di Moose, dove le effrazioni erano rare, si poteva solo sospettare di qualche persona curiosa. C'erano stati tali pettegolezzi sul granaio di Qwilleran (dove nel 1920 un coltivatore di frutta si era impiccato a una trave) che la gente incuriosita si aggirava spesso attorno alla casa e arrivava addirittura a guardare dentro le finestre. Scacciò il pensiero di quella telefonata e si accomodò sulla grossa poltrona appoggiando i piedi sull'ottomana. I siamesi arrivarono di corsa aspettandosi una seduta di lettura. Era solito leggere spesso ad alta voce in loro presenza. I due felini sembravano capire il suono della sua voce, sia che recitasse le poesie di Walt Whitman dal libro che aveva comperato di seconda mano, sia che leggesse i punteggi delle partite di campionato nei giornali di Giù in Basso. La sua voce aveva un timbro caldo, risultato dei corsi di dizione ai tempi in cui studiava arte drammatica al college, che acquistava maggiore risonanza grazie all'acustica dell'ex granaio.
Mentre apriva il volume di Audubon, Uccelli di America, la cosiddetta edizione popolare di quel bestseller del diciannovesimo secolo, il suo pubblico si sistemò comodamente a mo' di fagottino, pronto ad ascoltare con attenzione: Yum Yum in grembo e Koko accanto al gomito sul bracciolo della poltrona. L'ornitologia non era una materia che facesse parte degli interessi di Qwilleran, ma Polly gli aveva regalato per il suo compleanno un binocolo e stava cercando di convertirlo al bird-watching. Inoltre, un libro con duecento tavole a colori costituiva un affare irresistibile al prezzo di un dollaro.
«Sono per lo più illustrazioni» spiegò agli attenti animali, cominciando a sfogliare le pagine. «Ma a chi mai verranno in mente questi nomi assurdi? Il piviere dal petto nero! L'averla dalla testa di legno! Il tuffetto dal becco maculato! Non li trovate assurdi?»
«Yow!» si dichiarò d'accordo Koko.
«Eccone uno bello! Si tratta del tuo amico cardinale rosso. Qui dice che vivono in boschetti, tra la vegetazione selvaggia, e nei giardini all'estremo nord come il Canada.»
Koko, che Giù in Basso era diventato un esperto osservatore di piccioni, ora trascorreva ore tutti i giorni alle finestre che stazionavano ai vari livelli della costruzione e avvistava miriadi di uccellini che svolazzavano nel frutteto dall'aspetto desolato. Negli ultimi tempi aveva fatto la conoscenza con un visitatore che si distingueva dagli altri per il piumaggio rosso, una crestina regale e un becco patrizio, che continuava a fischiettare una domanda: Chi è?
Mentre Qwilleran girava la pagina che raffigurava il frusone dal petto rosato, entrambi i gatti si rizzarono di scatto e tesero il collo in direzione della porta d'ingresso. Anche Qwilleran si eresse sul busto e si mise in ascolto. Udì un rombo minaccioso nel frutteto, un rombo che aveva l'allarmante fragore di un carro armato, e vide dei fari che si avvicinavano. Scattò in piedi e accese le luci esterne. Mentre guardava verso il sentiero Trevelyan li vide arrivare: una colonna di fari sobbalzanti e oscillanti mentre i veicoli avanzavano con difficoltà sulle buche della strada di terra battuta.
«Che diavolo è questa?» ringhiò il giornalista lisciandosi i baffi, perplesso. «Un'invasione?» Il tono allarmato della sua voce fece sparire entrambi i gatti; evidentemente non avevano intenzione di stare sulla linea di fuoco.
A uno a uno, i veicoli uscirono dal sentiero per parcheggiare nell'erba alta, fra i vecchi alberi di meli. I fari si spensero e delle figure scure scesero da macchine e furgoni pure scuri, convergendo verso la casa. Solo quando raggiunsero la zona illuminata Qwilleran li riconobbe: erano gli attori e tutti gli addetti di scena dell'Enrico VIII. Avevano con sé cestelli di birra, borse termiche, sacchetti di carta marrone e scatoloni per pizze.
Il suo primo pensiero fu: accidenti! Mi hanno beccato in pigiama e con la vecchia vestaglia! Il secondo fu: ma anche loro sembrano dei barboni. Ed era vero. La troupe indossava indumenti da lavoro: jeans laceri, magliette sbiadite, pantaloni a scacchi scoloriti, pullover malridotti e mocassini anneriti dall'uso: una drastica trasformazione, dopo le raffinatezze di corte rappresentate un'ora prima.
«Tanti auguri per la nuova casa!» si misero a urlare tutti insieme quando videro Qwilleran apparire sulla soglia. Lui tese la mano dietro lo stipite e premette un interruttore che illuminava tutto l'interno. Le luci in alto e quelle in basso erano state abilmente nascoste sotto le travi e i balconi. Poi si scostò e lasciò che tutto il gruppo entrasse in fila indiana: tutti e quaranta!
Se sbarrarono gli occhi e spalancarono la bocca c'era una buona ragione. Le pareti del pianoterra erano quelle originali, una sovrapposizione irregolare di grosse pietre tenute insieme da calce invisibile, con la superficie scabra come l'interno di una grotta. Il soffitto era sorretto da travi massicce di pino, alcune larghe novanta centimetri. Erano state sabbiate per ridare loro il primitivo coloro miele e formavano un morbido contrasto con le pareti che erano state insonorizzate e dipinte di bianco. Al centro di tutto ciò sorgeva il camino in stile moderno, un enorme cubo bianco con tre grosse canne fumarie bianche e cilindriche che raggiungevano il centro del tetto.
Per la prima volta a memoria d'uomo i membri del Club del teatro di Pickax rimasero senza parole. Presero ad aggirarsi per tutto il locale come in trance alzando gli occhi alle travi che si intersecavano, poi giù, a guardare il pavimento di mattonelle, dov'erano stati creati diversi angoli di conversazione con mobili collocati su tappeti marocchini. Poi tutti ripresero contatto con la realtà e si misero a parlare contemporaneamente.
«Vivi veramente qui, Qwill?»
«Non posso crederci!»
«Bello, davvero bello! Dev'essere costato un mucchio di quattrini!»
«È stato Dennis a fare tutto questo? Ma è un genio!»
«Perdiana, qui c'è posto per tre pianoforti a gran coda e due tavoli da biliardo!»
«Guardate il diametro di quelle travi! Qui non si piantano più alberi così!»
«Un posto fantastico per un'impiccagione!»
«Qwill, tesoro, è favoloso! Saresti disposto a subaffittarlo in tua assenza?»
Qwilleran aveva conosciuto tutta la troupe in occasioni diverse, e alcuni del gruppo erano diventati suoi buoni amici:
Larry Lanspeak, per primo, proprietario dei grandi magazzini Lanspeak, aveva fatto l'audizione per la parte del cardinale Wolsey, ma gli avevano assegnato il ruolo di re Enrico. Essendo di costituzione snella c'erano voluti otto chili di imbottitura per raggiungere il giro vita del ben nutrito monarca.
Fran Brodie, arredatrice di interni di Qwilleran e anche figlia del capo della polizia. Aveva fatto l'audizione per la parte della regina Caterina, ma si era deciso di affidarle la parte della bella Anna Bolena, personaggio che secondo Qwilleran le si addiceva alla perfezione. Durante la scena dell'incoronazione non era riuscito a toglierle gli occhi di dosso e aveva temuto che Polly potesse captare il suo respiro ansante.
Carol Lanspeak, presidentessa del club e amica di tutti. Anche lei un'ottima aspirante per la parte della regina Caterina. Era rimasta oltremodo delusa quando il regista Van Brook l'aveva scelta come sua assistente ed eventuale sostituta di Fran per la parte della regina.
Susan Exbridge, antiquaria e divorziata da poco. Dimostrava meno dei suoi quarant'anni e bramava disperatamente di ottenere la parte di Anna Bolena. Quando il regista le aveva assegnato quella della Vecchia Signora era andata su tutte le furie, ma si era calmata non appena aveva saputo che la Vecchia Signora doveva pronunciare alcune battute licenziose che forse le avrebbero consentito di rubare la scena alle sue colleghe.
Derek Cuttlebrink, aiuto cameriere al Vecchio Mulino di Pietra. Faceva cinque parti di scarso rilievo ed era notevole non per la recitazione, ma per la statura: era alto 1.95 e continuava a crescere. Ogni volta che compariva sulla scena nelle vesti di un altro personaggio il pubblico mormorava: "Eccolo di nuovo".
Dennis Hough, impresario edile e nuovo in città. Anche lui avrebbe voluto avere la parte del cardinale Wolsey, ma si era dovuto accontentare di un ruolo meno importante. Tuttavia, nei panni del duca di Buckingham ingiustamente condannato a morte, pronunciava un discorso d'addio che, ogni sera, faceva piangere il pubblico di commozione.
Eddington Smith, mercante di libri usati. Quel vecchietto timido recitava la parte del cardinale Campelius, anche se nessuno riusciva a udire una parola di quello che diceva. La cosa non aveva molta importanza, perché le battute migliori erano quelle del cardinale Wolsey.
Hixie Rice, direttrice della pubblicità per il quotidiano locale, si occupava gratuitamente della pubblicità del club ed era riuscita a trovare un numero di inserzionisti sufficiente a coprire le spese dei sontuosi costumi di scena.
Watty Toddwhistle, il giovane e dotato impagliatore di animali. Costruiva le scenografie per le produzioni del Club del Teatro e nell'Enrico VIII aveva fatto miracoli con legname usato, vernice a spruzzo e lenzuola.
C'era anche il regista, Hilary Van Brook, che si aggirava per la casa da solo e aveva poco o nulla da dire. Il resto della compagnia era molto su di giri dopo l'entusiasmante ultima replica dello spettacolo, gli applausi prolungati, i fiori e il sollievo all'idea che tutto fosse finito. Adesso avevano una reazione rumorosa. I due siamesi osservavano tutti dall'alto di un passaggio e annusavano nell'aria il profumo di formaggio, peperoni e acciughe che saliva sino a loro. L'intera troupe sembrava affamata. Si avventarono sulla pizza che spazzarono via insieme con birra fredda e caffè forte preparato con la macchinetta elettrica di Qwilleran, senza mai smettere di parlare.
«Qualcuno si è dimenticato di dare il segnale per le luci e io ho dovuto dire la mia battuta al buio. Avrei ammazzato l'operatore alle luci.»
«Quando Caterina stasera ha avuto la visione gli angeli le hanno fatto cadere in testa la corona di fiori. Ho fatto fatica a restare seria.»
«Di solito nell'ultimo spettacolo va tutto storto, ma il pubblico non se ne accorge.»
«Sapete, io avrei dovuto portare lo scettro d'oro durante la processione, ma nessuno è riuscito a trovare quel dannato affare!»
«Grazie al cielo per lo meno questa volta nessuno è inciampato nel mio strascico. Di questi piccoli doni dobbiamo essere grati al Signore.»
«Durante il processo per tradimento lui si è dimenticato di suggerire e io sono stato costretto a improvvisare, e per di più in un inglese elisabettiano.»
«Il pubblico era veramente con noi stasera, vero? La Vecchia Signora è riuscita addirittura a strappare risate fragorose alla balconata.»
«E perché non avrebbe dovuto riuscirci? Ha recitato malissimo?»
Qwilleran si muoveva tra gli ospiti facendo gli onori di casa con molta amabilità e agitando i cubetti di ghiaccio nel bicchiere di acqua minerale (che sembrava vodka con ghiaccio, mentre in realtà tutti sapevano che si trattava dell'acqua di una sorgente che sgorgava a Squunk Corners). Non si stupì nel vedere Dennis Hough attorniato da donne, tra le quali Susan Exbridge, i cui neri capelli erano lucenti e in ordine nonostante fino a poco prima avesse avuto in testa la parrucca della Vecchia Signora, Hixie Rice che scuoteva l'asimmetrico caschetto alla paggio che per quella settimana era rosso ramato, e Fran Brodie, la cui morbida chioma bionda formava un incredibile contrasto con gli occhi color grigio acciaio.
Carol Lanspeak diede una leggere gomitata a Qwilleran. «Guarda Dennis in mezzo alle sue ammiratrici! Peccato che io sia già felicemente sposata con Larry, sennò entrerei anch'io a far parte del gruppo...»
Qwill ribatté: «Dennis è davvero un bel ragazzo.»
«E ha una caratteristica interessante. È virile e al tempo stesso sensibile. Sembra freddo, invece si infiamma facilmente. Durante le prove si sono verificati parecchi botti.»
«È impulsivo, ma quando ha fatto i lavori di ristrutturazione del granaio non davo importanza ai suoi sbalzi di umore, perché i risultati erano fantastici. Stava per laurearsi in architettura prima di entrare in campo edilizio. Hai notato come è riuscito a inglobare armoniosamente le vecchie scale nel nuovo progetto?» Mentre parlava vide il dinoccolato aiuto cameriere a metà di una delle scalette. Il giovane stava agitando un braccio e una gamba sulla testa di quelli che gli stavano sotto.
«I passaggi sono stati fatti per consentire di lavare le finestre in alto. Appenderemo degli arazzi dalle balaustrate.»
«Potreste appendere delle trapunte» disse Carol, che amava molto lo stile country.
«No, quelle no!» ribatté lui seriamente. «Fran ha ordinato degli arazzi moderni. Dovrebbero arrivare da un giorno all'altro.»
«In città sono tutti ansiosi di vedere la tua casa, Qwill!»
«È per questo che sarà aperta al pubblico. Il ricavo dei biglietti d'ingresso sarà devoluto alla biblioteca, come ha suggerito Polly.»
«Se servirete dei rinfreschi la biblioteca si vedrà piovere addosso denaro da tutte le parti. I nostri concittadini sono molto affamati.» Poi, con voluta noncuranza e la tipica curiosità di chi viveva a Pickax, proseguì: «Dov'è Polly stasera?»
Tutti erano al corrente del fatto che l'erede del patrimonio Klingenschoen e la direttrice della biblioteca erano soliti trascorrere insieme i fine settimana.
Quando gli uomini si riunivano nel locale di Dimsdale qualcuno di loro finiva per chiedere agli altri: «Pensate che la sposerà?» E le donne, che erano solite andare a prendere il caffè alla tavola calda di Lois, tiravano sempre fuori quell'argomento: «Chissà perché lei non lo sposa!»
In risposta alla domanda di Carol, Qwilleran disse: «Polly è a Lockmaster per un matrimonio. La bibliotecaria di quella città ha un figlio che si è lasciato mettere il cappio al collo.»
«E nel frattempo chi si prende cura di Zampotto?» Un altro fatto risaputo a Pickax era l'affetto morboso della bibliotecaria per il suo gattino.
«Andrò stasera a dargli da mangiare, e poi di nuovo domani per rimpolpargli un po' quelle magre zampette e pulirgli la coda. Non ho mai visto un gatto mangiare tanto!»
«Deve crescere ancora.»
«Polly rientrerà nel tardo pomeriggio e mi racconterà com'era l'abito della sposa, a chi è finito il bouquet e tutte queste storie. Non capisco perché voi donne vi appassionate tanto ai matrimoni!»
«Parli come un vecchio scapolo brontolone, Qwill.»
«Io preferisco il baseball. Ti rendi conto che da quattro anni non vedo una partita di campionato? Eppure il mio tifo ha mosso i primi passi a Chicago.»
«È colpa tua, Qwill. Sai benissimo che a Larry farebbe molto piacere darti un passaggio aereo per Chicago o Minneapolis. Si è appena comperato un quadriposto. Polly e io potremmo accompagnarvi e farci un'orgia di shopping. A meno che anche lei abbia voglia di vedere la partita.»
«A Polly... il baseball... non piace» le rispose calcando sulle parole. E nemmeno fare shopping, pensò ricordando il ridotto guardaroba della sua amica messo insieme a casaccio nel periodo dei saldi da Lanspeak.
Furono raggiunti dal marito di Carol. «Ho sentito che mia moglie ti offriva i miei servigi, Qwill.»
In un primo momento i Lanspeak sembravano una coppia di mezza età dall'aspetto banale, invece erano dotati di un'energia vitale che consentiva loro di occuparsi fattivamente dei problemi della comunità, ne rendeva gradevole la compagnia e li portava a recitare per il club in modo splendido.
Qwilleran si chiedeva spesso che cosa mangiassero alla prima colazione.
«Larry, sei stato grande in scena. L'Enrico più regale che io abbia mai visto!»
«Grazie amico. Lascia che ti confessi quanto è bello sentirsi di nuovo magri. Oltre a portarmi a spasso in scena la pancia di Enrico dovevo anche abituarmi a pensare da grassone. Non è stato facile, credimi. E poi c'era quella maledetta barba che mi dava un prurito insopportabile. Me la sono rasata appena è calato il sipario dell'ultima recita.»
Carol chiese: «La rappresentazione è piaciuta a Polly?»
«Ne è stata entusiasta. Entrambi abbiamo trovato le scene di massa di grande effetto. Come avete fatto a tenere a bada tutti quei ragazzini?»
«Non è stato facile mettergli addosso i costumi, farli star quieti e spingerli sul palcoscenico al momento giusto. Sai, si vestivano in classe e arrivavano in teatro con il pullman della scuola. È stato un periodo terribile. Per fortuna Hilary aveva già fatto la regia di questo spettacolo e conosceva tutti i trucchi. Come sua assistente ho imparato una gran quantità di cose, devo ammetterlo.» Girò le spalle agli altri ospiti e abbassò la voce. «Ma come presidentessa del club e moglie del presidente del comitato scolastico, devo proprio dire che non sopporto quell'individuo.»
Un'alta percentuale degli abitanti di Pickax provavano una forte antipatia nei confronti di Hilary Van Brook, preside delle scuole superiori. La causa era da attribuirsi al suo carattere scostante e alla sua insopportabile presunzione. Alla gente dava persino fastidio che lui a scuola indossasse i maglioni a collo alto. Per quelli della contea di Moose c'era una connotazione sovversiva nel fatto che un funzionario pubblico portasse maglioni neri a collo alto, invece della camicia bianca e della cravatta classica. Ma, soprattutto, quello che più irritava in lui era che avesse sempre successo in tutto quello che realizzava, per quanto assurde e irragionevoli potessero apparire le sue idee a genitori, insegnanti, ispettori e comitati scolastici.
Il passatempo preferito della cittadinanza era sparlare di lui. Era un uomo privo di attrattive e gli era stato affibbiato il nomignolo di Faccia di cavallo. Ma non c'era chi non rimanesse a bocca aperta per le sue capacità e la sua sicurezza di sé. Era stato proprio per i brillanti risultati che aveva ottenuto come preside e per la sua notevole intelligenza che il Club del Teatro gli aveva consentito di mettere in scena un testo che veniva considerato assolutamente privo di interesse, su un palcoscenico troppo piccolo e con un cast di attori troppo numeroso. E ora l'Enrico VIII sarebbe passato alla storia come un ennesimo trionfo di Faccia di cavallo.
«Sì» disse Larry con riluttanza, abbassando la voce. «Quell'abbietta canaglia ce l'ha fatta anche stavolta. Abbiamo venduto tanti di quei biglietti che il ricavo è andato alle stelle. Con tutti quei ragazzini in scena, la sala era gremita di genitori, amici e compagni di scuola.» Si guardò attorno per accertarsi che il regista non fosse nei pressi e continuò con un bisbiglio da suggeritore: «Ha commesso due errori politici. Non avrebbe assolutamente dovuto recitare lui la parte del cardinale Wolsey e non avrebbe decisamente dovuto fare arrivare qualcuno dalla contea vicina per la parte della regina Caterina. Abbiamo molti talenti qui, nella contea di Moose.»
Qwilleran guardò il gruppo sparpagliato degli invitati. «Che cosa ne è della regina? Non la vedo qui stasera.»
Fu Carol a rispondergli. «È andata via subito dopo che è calato il sipario. Si è struccata in fretta e furia e non ha nemmeno salutato la compagnia.»
«Be', ho paura che non siamo stati troppo cordiali nei suoi confronti» confessò Larry. «Noi, però, le avevamo detto di questa festa e le avevamo spiegato come arrivarci, e lei si era annotata anche l'indirizzo. Pensavo che sarebbe venuta. Certo, abita a Lockmaster, sono un'ottantina di chilometri in auto, quindi possiamo anche scusarla.»
Carol strinse il braccio al marito. «Ti piace questo ex-granaio, tesoro?» È fantastico! In che condizioni era, Qwill, prima che tu iniziassi i lavori?
«Strutturalmente solido, ma di una sporcizia indescrivibile. Da anni era un motel accogliente per uccelli, gatti e perfino puzzole. Fran ha appeso alle pareti quelle stampe tedesche per farsi perdonare dai pipistrelli spodestati.» Indicò un gruppo di quattro stampe incorniciate che rappresentavano pipistrelli in volo, e che risalivano al 1824.
«Dovresti far fotografare il granaio, Qwill, per pubblicarlo su qualche rivista.»
«Sì, mi piacerebbe vederlo pubblicato, soprattutto per Dennis. E Fran ha fatto un gran lavoro con i mobili, considerato che io non sono un cliente molto facile. Dovrebbe arrivare John Bushland da Lockmaster per scattare qualche foto ai fini dell'assicurazione. Sono curioso di vedere che effetto fa la casa in fotografia.»
«Ma qui non abbiamo buoni fotografi?» chiese Larry in tono brusco. Da oltre un secolo tra Pickax e Lockmaster vigeva una costante rivalità.
«Sì, ma nessuno che abbia il talento, l'esperienza e l'attrezzatura di Bushy.»
«Hai ragione, è in gamba» dovette riconoscere Larry.
Qualcuno urlò: «Ultima chiamata per la pizza!» E tutti si affollarono al tavolo della cucina, tutti tranne Hilary Van Brook.
Gli altri avevano formato dei gruppetti che si aggiravano qua e là; lui, invece, era rimasto isolato. Indossava una giacca sportiva di velluto verde bottiglia e un maglione dolce vita rosso e, in mezzo a quella schiera di persone vestita alla bell'e meglio, era manifestamente il più elegante. Le spalle incassate, le mani in tasca e un'espressione cupa sul volto scavato e banale, sembrava assorto nell'osservazione attenta e critica della casa dall'intelaiatura di legno fatta e fissata a mano, dal disegno del camino, delle stampe con soggetti zoologici e della cassetta per caratteri tipografici piena di piccole lamine di metallo inciso montate su blocchi di legno.
Era davanti a un armadio di legno di pino alto un metro e ottanta quando Qwilleran gli si avvicinò e disse: «Questo è uno Schrank tedesco della Pennsylvania del 1850, o ancora prima.»
«È più probabile che sia austriaco» lo corresse il regista. «Si può ancora vedere che originariamente aveva delle decorazioni dipinte a mano. È stato scortecciato e ricoperto. Il che, come probabilmente lei sa, ne diminuisce il valore.»
Qwilleran rimpianse amaramente che la madre di Dennis non fosse presente per poter smentire quella dichiarazione. Van Brook aveva parlato senza nemmeno fissarlo. Quando dissertava aveva la sconcertante abitudine di guardarsi attorno facendo roteare gli occhi. Cercando di esercitare un ammirevole controllo su di sé, Qwilleran rispose: «Sia come sia, mi permetta di congratularmi per il successo dello spettacolo.»
L'altro diede un'occhiata ai risvolti lisi della sua vecchia vestaglia scozzese. «Questo successo non è stato una sorpresa, per me. Quando ho proposto di mettere in scena la commedia, l'opposizione è venuta da persone che hanno scarsa esperienza teatrale e conoscono pochissimo Shakespeare. Noiosa, l'hanno etichettata. Quando c'è una regia competente non ci sono spettacoli noiosi, inoltre l'Enrico VIII tratta problemi che sono attuali anche nella società di oggi. Io insisto perché i nostri studenti universitari studino l'Enrico VIII.»
«Mi risulta che, prima che lei prendesse le redini qui, a Pickax non si insegnava Shakespeare.»
«Purtroppo è vero. Ora le nostre matricole si vedono proporre Romeo e Giulietta, i liceali leggono il Macbeth e quelli che frequentano il ginnasio studiano il Giulio Cesare. Non solo li leggono, ma ne recitano anche i versi. Shakespeare è fatto per essere "parlato".»
Mentre ascoltava la voce teatrale di Van Brook e guardava oltre la sua spalla, Qwilleran vedeva la scala che scendeva dal piano superiore.
Notò che Koko stava venendo giù a indagare, avanzando con passo deciso, gli occhi fissi sul regista. Silenziosamente, con enorme agilità, salì in cima allo Schrank e si mise in una strana posizione sopra la testa dell'uomo fissando verso il basso con una curiosa espressione. Il giornalista, augurandosi che non avesse intenzioni imbarazzanti, gli lanciò un'occhiata severa e si schiarì significativamente la gola prima di chiedere al regista: «Che ne pensa del lavoro che ha fatto Dennis in questo enorme granaio?»
«Poco originale, naturalmente» rispose l'altro con uno sfoggio altezzoso da intenditore.
«A detta di Dennis queste rampe sono nel tipico stile locale. Quelle scale a pioli» proseguì Qwilleran «sono le originali, i gradini sono fissati alle balaustrate con cinghie di cuoio. Qualsiasi rassomiglianza con il museo Guggenheim è puramente casuale.»
Al giornalista parve evidente che il regista aveva avvertito lo sguardo di Koko sulla testa, perché si passò una mano sul parrucchino (quel parrucchino era argomento di molte discussioni a Pickax, dove gli uomini dovevano avere o capelli veri o niente del tutto). In quel momento Van Brook si girò bruscamente e guardò in cima allo Schrank.
Qwilleran si affrettò a dire: «Questo è il nostro gatto siamese Kao K'o Kung, il nome di un artista cinese del XIII secolo.»
«Yow!» dichiarò Koko, che riconosceva il proprio nome quando lo udiva pronunciare.
«Era della dinastia Yuan» disse il preside, facendo un cenno altero con il capo. «Era anche un famoso poeta, sebbene il genere non sia ben conosciuto dagli occidentali. Il nome significa "degno di rispetto", o qualcosa del genere. È difficile dare una definizione esatta.»
Girò le spalle allo Schrank tedesco della Pennsylvania, che improvvisamente era diventato austriaco, e Qwilleran fu contento che il gatto intento a fissare il parrucchino fosse Koko e non la sua complice Yum Yum, detta anche Zampa Lesta, che l'avrebbe afferrato con la velocità del fulmine e l'avrebbe portato su per la scala, fino in camera da letto, dove l'avrebbe nascosto sotto il letto o, peggio ancora, l'avrebbe gettato nella tazza del gabinetto.
Van Brook ora stava dicendo: «Una cosa che ho introdotto nel programma scolastico, qui a Pickax, è lo studio di tutte le arti, come avevo fatto quando ero preside alle scuole superiori di Lockmaster. Io sostengo che gli studenti che suonano male degli strumenti o che eseguono delle nature morte di pessima qualità non danno alcun contributo al clima culturale della comunità. L'essenza di una vera istruzione sta nella comprensione dell'arte, della musica, della letteratura e dell'architettura.» Si guardò attorno con aria meditabonda. «Mi piacerebbe venire qui con i miei studenti di ginnasio e di liceo, una classe per volta, nelle prossime settimane.»
Qwilleran sbatté le palpebre per la sfrontatezza di quell'uomo, ma prima che riuscisse a formulare una risposta, dall'alto dello Schrank si udì un mormorio, un fruscio di zampe, e un corpo peloso volò sopra la testa del preside per poi finire a terra su un tappeto, a tre metri di distanza. Dopo di che seguì un miagolio sonoro e imperioso. Larry Lanspeak lo udì e interpretò subito in modo corretto il messaggio.
«Andiamo, ragazzi!» disse ad alta voce. «Facciamoci il bicchiere della staffa. I gatti di Qwill hanno bisogno di dormire.»
Malvolentieri, gli invitati cominciarono a raccogliere i piatti di plastica, i tovaglioli, le bottiglie vuote, a raddrizzare le sedie, quindi, a poco a poco, uscirono nella notte emettendo urla di guerra. Fran si avvicinò a Qwilleran e gli diede un teatrale bacio della buonanotte. Lui le chiese: «Questa festa è stata una tua idea? Sei stata tu a telefonarmi un paio di volte e a riagganciare?»
«Volevamo essere sicuri che tu fossi a casa, Qwill. Pensavamo che potessi essere fuori con Polly. Dov'è lei stasera?»
«A Lockmaster, per un matrimonio.»
«Davvero? E tu perché non ci sei andato?» gli domandò in tono malizioso. «Avevi paura che ti avrebbero lanciato il bouquet della sposa?»
«Non essere sfacciata» le rispose in tono di avvertimento. «Non ho ancora pagato la tua fattura.»
La guardò allontanarsi pensando che era una brava designer, simpatica e alla mano, che aveva la metà dei suoi anni ed era di un'impudenza divertente, affascinante persino nella sciatta tenuta delle prove. Dennis se ne andò con Susan: ridevano entrambi, come se scherzassero su qualcosa di cui solo loro due erano al corrente. Eddington Smith si era unito ai Lanspeak, che gli avrebbero dato un passaggio con la loro macchina.
Van Brook indugiò il tempo sufficiente per dire: «Il mio assistente si metterà in contatto con lei per la visita dei miei studenti.»
Questa volta Qwilleran fu abbastanza pronto per la risposta.
«È un'ottima idea, ma devo porre una condizione: insisto perché sia Dennis a fare da guida durante le visite e a dare le spiegazioni sul design e sulle sue tecniche di costruzione. Se lei mi confermerà questa iniziativa e lo metterà al corrente della cosa, io sarò ben felice di acconsentire.» Sapeva che il regista e Dennis durante le prove dello spettacolo avevano sempre avuto rapporti molto conflittuali.
Van Brook fece roteare gli occhi, augurò una secca buona notte e seguì gli altri che stavano dirigendosi verso le macchine parcheggiate attorno alla casa. Tutti ridevano e urlavano, ricordando particolari dello spettacolo, chiedendo passaggi e combinando appuntamenti. I fari delle vetture cominciarono ad accendersi, i motori furono avviati, qualcuno sommessamente, altri scoppiettando e rombando con il fragore di aerei a reazione. Qwilleran rimase immobile a guardare le luci sobbalzanti dei fanalini di coda lungo il sentiero sconnesso che conduceva alla strada principale.
Chiuse la porta e spense le luci all'esterno e quasi tutte quelle interne, poi diede ai gatti uno spuntino notturno. «Voi due ve lo meritate, vi siete comportati molto bene. Sono contento che tu li abbia mandati via, Koko. Ti rendi conto di che ora è?»
I siamesi manifestarono grande soddisfazione per i bocconcini supplementari, quasi fosse stata loro offerta una cena di cinque portate, e Qwilleran, mentre li osservava, riandava con la mente agli ospiti appena usciti. Invidiava l'esperienza vissuta durante le prove e le rappresentazioni dello spettacolo, gli applausi ricevuti sul palcoscenico, il rincrescimento per essersi visti portar via una parte tanto desiderata, le lamentele nei confronti del regista, le angosce per le battute sbagliate e per i movimenti di scena mancati. Per un breve periodo di tempo lui era stato un socio attivo del club, ma Polly lo aveva convinto che studiare le battute a memoria e prender parte alle prove gli avrebbe rubato del tempo prezioso per il suo lavoro giornalistico. In realtà lui sospettava che la non più giovanissima bibliotecaria che portava la taglia quarantotto fosse gelosa delle fanciulle snelle e attraenti che recitavano al teatro del club. Polly era una donna intelligente e una compagna gradevole che condivideva la sua passione per la letteratura. Però aveva un difetto: la gelosia la rendeva morbosamente possessiva.
I siamesi, che avevano continuato a leccare per diversi minuti il piatto ormai vuoto, ora si stavano lavando il musetto scuro e i baffi bianchi con le zampe marrone inumidite dalla saliva. Poi, nel bel mezzo di una leccata, si interruppero di colpo restando immobili come statue di cera, la linguetta protesa nell'aria. Subito dopo Koko si mosse e trotterellò verso la porta d'ingresso. Lì scrutò dalla vetrata laterale nell'oscurità.
Qwilleran lo seguì, mentre Yum Yum avanzava silenziosa alle sue spalle. Il giornalista si bloccò a guardare il giardino buio e vide le due luci posteriori di un'auto sparire lungo il sentiero e ricomparire sul sentiero di Trevelyan.
Le poche luci ancora accese in casa gli consentirono di scorgere un riflesso metallico che in giardino non avrebbe dovuto esserci. Un'automobile a fari spenti era ancora parcheggiata tra gli alberi.
Sbuffò nei baffi. «Ci crederesti?» esclamò ad alta voce. «Sono sicuro che si tratta di Dennis e di Susan... ma perché non vanno a casa dell'uno o dell'altra?»
«Yow!» si dichiarò d'accordo Koko.
La moglie e la bambina di Dennis erano ancora a St. Louis e lui non le vedeva più da mesi, in parte a causa della ristrutturazione del granaio e in parte a causa delle prove dello spettacolo.
«Oh, be', vivi e lascia vivere» disse il giornalista, ricordando i propri peccati di gioventù. «Spegniamo il fuoco nel camino e andiamocene a letto.»
Si allontanò dalla porta di ingresso e seguì Yum Yum che ora stava salendo le scale. Ma Koko rimase dov'era, da incallito guardone, il corpo teso e la coda rigidamente ritta. Il giornalista udì un brontolio sommesso: si trattava forse di una protesta?
«Smettila!» lo rimproverò. «Pensa agli affari tuoi e ritirati. Sono le tre di notte.»
Il gatto continuò col suo brontolio e quel gorgogliare, che gli saliva dal profondo dei visceri, si concluse con uno stridio in falsetto. Era un segnale sinistro che Koko non dava mai senza una ragione fondata. Qwilleran prese una giacca e la torcia elettrica e si apprestò a uscire, dopo aver scostato il felino eccitato con la punta della pantofola a titolo dissuasivo e avergli gridato severamente: «No!» perché cercava di seguirlo.
«Resta qui!» urlò cominciando ad attraversare il giardino e facendo roteare la torcia elettrica attorno a sé. «Qualcuno è in difficoltà?»
La notte era silenziosa. A quell'ora non si udiva rumore di traffico dalla strada. Non c'era vento a smuovere le foglie dei meli e all'interno della vettura, un modello non nuovissimo ma ben tenuto, non si scorgeva alcun movimento. Nessuno mise in moto, nessuno accese i fari.
Qwilleran illuminò il terreno circostante e la zona alberata, poi puntò il fascio di luce sull'abitacolo dell'auto tenendolo di lato per evitare i riflessi sul finestrino. Riuscì a vedere il guidatore accasciato sul volante.
Avrà avuto un attacco cardiaco, pensò Qwilleran, allarmato. Ma quando si precipitò verso l'altra portiera vide il sangue e il foro del proiettile dietro la testa.

2

Qwilleran rimase per un momento con la mano sul telefono, prima di decidersi a comporre il numero e avvertire che c'era stato un omicidio. Quando lavorava Giù in Basso, da vecchio giornalista consumato, prima di informare la polizia avrebbe chiamato il giornale. Ma in una città piccola come Pickax vigeva un forte senso di solidarietà e il suo concetto di etica professionale si era modificato. Conosceva la vittima e il capo della polizia era un suo intimo amico. Senza perdere altro tempo chiamò Brodie a casa.
«Brodie!» Dall'altro capo del filo gli giunse la voce brusca di un uomo abituato a esser svegliato nel cuore della notte.
«Andy, parla Qwill. Devo comunicare al tuo distretto che c'è stato un omicidio.»
«Dove?»
«Nel mio giardino.»
«Chi è il morto?»
«Hilary Van Brook.»
Seguì un attimo di silenzio. «E che cosa ci faceva nel tuo giardino?»
«Qui c'è stata una festa per il Club del Teatro e lui se ne è andato per ultimo. Ma gli hanno sparato prima che avesse la possibilità di mettere in moto l'auto.»
Il tono della voce del capo della polizia si trasformò da quello di burbero poliziotto in quello di un genitore preoccupato. «C'era anche Fran?»
«C'era tutto il club.»
«Arrivo subito.»
«Un momento, Andy. Tieni presente che probabilmente il sentiero è pieno di tracce di gomme e di impronte di piedi, se questo può esserti utile. Passa dall'altra parte, attraverso il parcheggio del teatro. Ti verrò incontro lì e ti aprirò il cancello.»
Brodie bofonchiò e riagganciò.
Qwilleran si infilò un paio di calzoni e un maglione sopra il pigiama, riprese la torcia elettrica e fece di corsa il tragitto per raggiungere la strada. Il sentiero in mezzo al bosco era stato di recente livellato e ricoperto di ghiaia e il cancello distava solo qualche centinaio di metri. Ciò nonostante, quando arrivò vide dei fari di automobile che stavano già illuminando il parcheggio del teatro. In una città piccola come Pickax qualsiasi luogo distava cinque minuti da qualsiasi altro.
Saltò sulla macchina di Brodie e gli indicò la strada che si snodava in mezzo ai bosco. Dietro di loro c'erano altre vetture con il lampeggiatore in funzione.
«Ultimamente qualcuno ha tentato di entrare e quindi abbiamo dovuto chiudere il cancello, di notte.»
«Come hai fatto a trovare il cadavere di Van Brook?» disse il capo della polizia in tono brusco.
«Dopo che tutti se ne sono andati ho visto che c'era ancora una macchina parcheggiata in mezzo agli alberi. Il mio gatto ha cominciato ad agitarsi. Sono uscito per indagare e ho trovato Van Brook riverso sul volante.»
«Non era una persona felice. Non aveva moglie né figli. Potrebbe essersi tolto la vita.»
«Non ficcandosi una pallottola nella nuca. Gli è schizzato via il parrucchino.» Adesso erano arrivati sul retro della casa. «Parcheggia qui. La festa era dall'altro lato.»
Un'autopattuglia e una macchina della polizia di stato di fermarono dietro di loro per lasciare spazio all'ambulanza, che sopraggiunse subito, insieme con il medico legale.
«Posso fare qualcosa?» chiese Qwilleran.
«Rimani in casa fino a che non avremo bisogno di te» gli ordinò Brodie. «E lascia le luci accese.»
«Qwilleran riaccese l'interruttore centrale e tutta la casa si illuminò come un faro. La luce rischiarò tutto il terreno circostante.»
I siamesi erano nervosi. Sapevano che c'era qualcosa che non andava. Estranei che si aggiravano per il giardino e riflettori della polizia che trasformavano gli alberi contorti in spaventosi giganti. Qwilleran li prese e salì la scala, tenendoli sotto le ascelle anche se si agitavano. Nell'appartamento in alto c'erano tappeti e cuscini, cesti e pertiche, un grattaunghie e un televisore. Dopo aver infilato una cassetta sulla vita degli uccelli nel videoregistratore per tranquillizzarli, ridiscese provando un vago senso di colpa. Non aveva ancora chiamato il giornale.
Telefonò al centralino notturno, chiese se ci fosse un cronista disponibile. Loro gli risposero di sì, informandolo che c'era Roger, che sostituiva Dave.
«Ditegli di entrare dall'ingresso principale» raccomandò Qwilleran. Poi cercò di mettersi in contatto con Larry Lanspeak; in quanto presidente del comitato scolastico, era la persona a cui bisognava comunicare immediatamente la notizia. Tuttavia, a quanto sembrava, i Lanspeak non erano ancora arrivati a casa. Vivevano in campagna, Larry era un guidatore prudente e accompagnavano sempre per primo a casa Eddington Smith. Qwilleran concesse loro altri quindici minuti per raggiungere il ricco quartiere alla periferia di West Middle Hummok, prima di riprovare.
Al decimo squillo, all'altro capo del filo udì la voce di Larry. «Siamo appena entrati, Qwill, che c'è?»
«Ho cattive notizie per te, Larry. Dovrai cercarti un altro preside.»
«Che significa?»
«Van Brook è stato ucciso.»
«Che cos'è successo? Un incidente automobilistico?»
«Non ci crederai, Larry, ma qualcuno gli ha ficcato un proiettile nel cranio. C'è qui la polizia. Stanno setacciando il giardino con i riflettori.»
«Tu come l'hai scoperto? Hai sentito sparare?»
«Non ho sentito nulla, a parte il rumore di una macchina. Quando siete andati via tutti, è rimasta una sola automobile. Mi sono avvicinato per vedere chi c'era dentro...»
«È un bel guaio, Qwill. La polizia penserà che sia stato uno di noi.»
«Non so che cosa penserà, ma domani faremo bene a essere preparati a rispondere a parecchie domande.»
Larry si offrì di telefonare al sovrintendente scolastico per avvertirlo. «Sennò lo sentirà alla radio e magari i piedipiatti andranno a picchiare contro la sua porta. Non riesco a credere a quello che è successo!»
Qwilleran udì un rombo basso di motore. «Scusami, Larry. È appena arrivata una macchina. Credo che sia un cronista. Ci sentiamo più tardi.»
La vettura parcheggiò accanto a quella della polizia e Qwilleran riconobbe il macinino vecchio di dieci anni di Roger McGillivray. Uscì per andare incontro al giovane barbuto che aveva rinunciato a insegnare storia per fare il cronista per il quotidiano locale.
«Che cosa è successo?» chiese Roger, infilandosi a tracolla due macchine fotografiche.
«Dopo lo spettacolo finale abbiamo fatto una festa con quelli del Club del Teatro. Alle tre se ne sono andati tutti tranne il regista. È tutto quello che so. Se vuoi altri dettagli dovrai chiederli a Brodie. Si trova nel punto in cui è successo.»
Qwilleran seguì la scena, guardando Roger che si avvicinava al capo della polizia e gli diceva qualche parola. Brodie si voltò e lanciò un'occhiata torva in direzione della casa. Poi rispose con calma ad alcune domande, dopo di che indicò qualcosa con il pollice dietro la propria spalla. Prima di tornare verso la casa Roger scartò velocemente un paio di foto.
«Come mai lavori, stasera?» gli chiese Qwilleran aprendo la porta.
«Dave è dovuto andare a un matrimonio a Lockmaster e allora ci siamo scambiati i turni» spiegò Roger. «Ehi, ma questo posto è favoloso! A Sharon piacerebbe moltissimo vederlo.»
«Una di queste sere portala qui per un drink, e porta anche Mildred.»
«Uno di noi dovrà restare a casa per fare da baby-sitter. Manderò le femmine da sole. Non permettere a mia suocera di bere troppo. Da quando è morto Stan, si è data alla bottiglia. Non so perché. Sta mille volte meglio senza di lui, ma sai come sono le donne...»
«Come reagiranno Sharon e Mildred alla notizia della scomparsa improvvisa del preside?»
«Avranno uno choc, ma non saranno eccessivamente addolorate. Certo Van Brook ha fatto alcune cose buone per il programma e per il livello accademico della scuola, e lo ammiravano, sia pure con una certa riluttanza. Sai, quel tipo era antipatico a tutti gli insegnanti, incluso me. Ci trattava come bambinetti. E poi quelle riunioni! Agli insegnanti in ogni caso le riunioni non garbano, le considerano improduttive e Faccia di Cavallo presiedeva degli incontri che erano soltanto noiose incursioni narcisistiche. È questo il motivo principale per cui ho piantato la scuola e sono andato a lavorare per il giornale. In seguito, ogni volta che arrivavo lì per qualche servizio, mi faceva sentire come l'idraulico venuto a sturare le latrine... Hai idea di chi possa avergli sparato? Dev'essere stato uno dei tuoi invitati, giusto?»
«Non azzardo ipotesi, Roger. E certo non con l'avida stampa. Vuoi una birra?»
«Potrei anche prenderla. Posso dare un'occhiata attorno?»
«Fai pure. Al primo piano troverai la camera da letto e uno studio. Puoi aprire la porta e guardare dentro. Ma non ti aspettare che sia in ordine. Al secondo c'è la camera degli ospiti. I gatti stanno al terzo. Non disturbarli. Hanno avuto una notte stressante.»
«Non ti preoccupare. Io con i gatti, lo sai... Sharon sostiene che sono ailurofobo.»
Squillò il telefono. In linea c'era un vecchio amico di Qwilleran. Si trattava di Arch Riker, suo collega di Giù in Basso, ora direttore ed editore del quotidiano locale. «Che sta succedendo, lì?» chiese. «Al centralino mi hanno dato la notizia. Perché non me l'hai comunicata?»
«Non c'è nulla che tu possa fare, Arch, torna a dormire. C'è qui Roger. Leggerai tutto in prima pagina lunedì.»
«Qualche indiziato?»
«Puoi chiederlo a Roger.»
«Passamelo.»
Quello che il cronista riferì al telefono fece capire a Qwilleran che da Brodie non aveva appreso nulla.
Dopo aver riagganciato, Roger si girò verso il padrone di casa. «Mi puoi dire chi c'era alla festa?»
«Queste informazioni sono sicuramente di importanza vitale per le indagini. Al momento non posso parlartene» ribatté Qwilleran con voce monocorde.
«Ma tu da che parte stai?» chiese Roger.
Prima che l'altro riuscisse a rispondergli si udirono dei colpi autoritari sulla porta. E subito dopo Brodie comparve sulla soglia e diede ordine a Roger di filare. Questi fece le proteste di routine, poi però si rimise le macchine fotografiche a tracolla e se ne andò.
«Vuoi una tazza di caffè?» domandò Qwilleran al capo della polizia.
«Cristo, non voglio suicidarmi bevendo l'intruglio che prepari tu!» Avanzò nella stanza con passo pesante. Fuori servizio era un cordiale scozzese che indossava il kilt e suonava la cornamusa. Ora, invece, era l'investigatore burbero che si guardava attorno con l'occhio del poliziotto incallito.
«Qualche indizio là fuori?» chiese Qwilleran. «Qualche prova?»
«Sono qui per fare domande, amico, non per rispondere.» Diede un'occhiata ai mobili moderni rivestiti di pelle e di tweed dai colori pallidi. «C'è qualcosa su cui sedersi? Che so, sedie da cucina o robe del genere?»
Qwilleran lo condusse in cucina, fermandosi davanti al tavolo per la prima colazione.
«Sento odore di pizza» disse Brodie.
«Agli attori viene molta fame. Dovresti saperlo, Andy. Ne nutrì una.»
«Non più» rispose l'altro, accigliandosi. «Fran se n'è andata di casa. Voleva un posto suo. Non so perché. Da noi aveva ogni comodità.» Sembrava turbato. Un padre tradizionale del nord secondo il quale le fighe dovrebbero o sposarsi o vivere in casa con i genitori.
«È normale per una giovane donna in carriera avere un appartamento proprio.»
Brodie abbandonò di colpo il ruolo paterno. «Chi c'era da te stasera?»
«Si dà il caso che abbia un elenco stampato degli invitati.» Gli porse il programma sul quale si leggevano i nomi degli attori in ordine alfabetico.
Brodie passò il pollice sopra il lato destro del foglio. «Tutte queste persone erano qui?»
«Sì, tutte tranne la donna che sta a Lockmaster e che recitava la parte della regina. E tranne, naturalmente, i lancieri che se sono andati via con il pullman della scuola subito dopo la scena dell'incoronazione. Tu hai visto lo spettacolo, no?»
Brodie confermò con un brontolio. «Che ci facevano qui, oltre a mangiare la pizza?»
«Hanno bevuto birra, bibite analcoliche e caffè. Hanno parlato della rappresentazione, hanno magnificato il successo riportato, hanno fatto un gran fracasso.»
«Per caso hanno fumato qualcosa che non avrebbero dovuto?»
«No. Carol è molto rigorosa al riguardo. Comanda la sua nave con un pugno di ferro. Fran te lo potrà confermare.»
«Qualche discussione? Qualche litigio?»
«Niente di tutto questo. Erano tutti di ottimo umore.»
«Per caso hai notato gironzolare attorno alla casa qualcuno che non era stato invitato?»
«No, stasera no. Ma abbiamo avuto parecchi curiosi qui attorno sin dal primo giorno che ci siamo trasferiti.»
«Come mai Van Brook vi ha onorati della sua presenza? Era un asociale.»
«Aveva una ragione recondita: voleva portare qui tutti gli studenti in un tour organizzato. Non me lo ha chiesto, me lo ha semplicemente comunicato.»
«È proprio tipico del personaggio. Era popolare al club?»
«Chiedilo a Fran, io non sono un socio attivo.»
«Hai sentito spari in giardino?»
«No, ma i gatti hanno udito qualcosa e, quando ho guardato dalla finestra, ho visto i fanalini di coda di una macchina che si dirigeva verso la strada principale.»
«Da che parte è andata?»
«Ha svoltato a destra.»
«Hai notato qualcosa di particolare nei fanalini di coda?»
«Adesso che me lo dici, Andy, non erano quelli orizzontali che si vedono abitualmente sulle vetture. Erano in posizione verticale e molto distanziati tra loro, come quelli di un furgone o di un autocarro.»
«Da quanto la tua cassetta per le lettere è stata abbattuta?»
«Era a posto quando ho ritirato la corrispondenza sabato.»
«Be', qualcuno l'ha buttata giù e ha piegato il palo.»
«Questo dovrebbe facilitarti il lavoro» osservò Qwilleran con aria pensosa. «Da qualche parte della ruota anteriore destra ammaccato.»
Brodie si alzò. «Non è il caso che ti tenga sveglio tutta la notte. Tornerò domattina.»
«Non troppo presto, per favore!»
Il capo della polizia raggiunse la porta e lì si girò per dare un'ultima occhiata di riluttante approvazione all'ambiente. «Ho salito un bel po' di scale come queste, quando ero bambino. Che cosa sono quelle tre cose bianche che sembrano delle ciminiere?»
«Delle ciminiere. È una trovata moderna per far tirare il camino. Porta tua moglie, una sera. Le farà piacere vedere il lavoro che ha fatto Fran.»
«È stata mia figlia a scegliere tutti questi mobili?» chiese Brodie, più costernato che ammirato.
«Il merito è tutto suo. Ha occhio e buon gusto.»
Il capo della polizia bofonchiò qualcosa e si girò per uscire dalla stanza, ma trattenne la mano sulla maniglia della porta. «Come si chiama il tizio che ha ristrutturato il granaio?»
«Hough... si pronuncia Huff. È il figlio di Iris Cobb.»
«Ho sentito dire che Fran ha un debole per lui.» Fissò Qwilleran per avere una conferma. «È sposato lo sai?»
«Non ti devi preoccupare. Tutte le donne vanno pazze per Dennis, ma lui stravede per la sua famiglia e, quando se ne andrà di qui, tutto rientrerà nella normalità. E poi ricordati che Fran e Dennis hanno collaborato in buona armonia a questo progetto.»
«Mi auguro tu abbia ragione. Bene, buona notte. Abbiamo bloccato la strada all'inizio e lasciamo un agente di guardia. La scientifica sta venendo da Giù in Basso.» Brodie si allontanò di pochi passi, poi aggiunse: «Qualcosa mi dice che questo sarà un caso facile da risolvere.»
Qwilleran spense le luci e salì in camera da letto, ma era troppo nervoso per addormentarsi. Rilesse il programma teatrale e cercò di immaginare tutti gli attori con una pistola fumante in mano. Ma ciascuno di essi non sembrava rientrare in un ruolo simile. Si chiese quando Brodie avrebbe iniziato a suonare campanelli alle porte e a buttar giù dal letto gli invitati al party. Era sicuro che avrebbe cominciato dalla propria figlia, che era andata ad abitare nell'Indian Village, un complesso di appartamenti popolari per singles.
Anche Susan, Dennis e Hixie abitavano in quella zona. I Lanspeak stavano un po' più lontano, in una stravagante casa di campagna. Il povero Eddington Smith era rientrato nel suo laboratorio di legatoria dietro la libreria. Gli altri soci del club venivano dalle città vicine. L'attiva Kennebeck, la caratteristica Sawdust City, la sgangherata Wildcat e addirittura la turistica Mooseville. Solo Wildcat si trovava a sud di Pickax. Un guidatore diretto a Wildcat avrebbe girato a destra su Trevelyan Road nell'uscire dal sentiero Trevelyan.
Mentre giaceva sul letto si ricordò della predizione che gli aveva fatto il suo ex custode quando aveva visto per la prima volta il granaio ristrutturato. Pat O'Dell, un uomo dai capelli bianchi che godeva di molto rispetto, era stato bidello del liceo di Pickax prima di andare in pensione e di iniziare la sua attività di custode. Aveva alzato gli occhi a osservare le travi e aveva esclamato in tono impaurito: "Lei vivrà qui?".
"Sì, adoro i grandi spazi, signor O'Dell, e conto su di lei e sulla signora Fulgrove perché continuiate a tenere in ordine questa casa proprio come facevate nel mio vecchio appartamento."
"Il diavolo in persona avrebbe difficoltà a pulire quelle finestre lassù!"
"Per questo motivo abbiamo costruito quei passaggi. Spero proprio che lei non soffra di vertigini."
Il signor O'Dell aveva scosso la testa con l'aria di chi ha delle brutte premonizioni. "Si dice che un vecchio contadino si sia messo una corda al collo e si sia impiccato a una di quelle travi. È successo settant'anni fa. E poi c'è anche la storia di quel fulmine che si è abbattuto sui meli. Certo che io sarei preoccupato all'idea di abitare qui, signor Q..."
"Ma la vita deve andare avanti, signor O'Dell. Adesso le farò vedere dove mettiamo la chiave nel caso lei voglia venire a riordinare in mia assenza. La signora Fulgrove viene il mercoledì."
"Che Iddio ci aiuti!" aveva concluso prima di andarsene il vecchio portiere, arrischiandosi a dare un'altra occhiata apprensiva a quella sovrastruttura.
Questo era successo due settimane prima, e ora il signor O'Dell avrebbe sicuramente dichiarato: "Glielo avevo detto!".
Quando finalmente la domenica mattina Qwilleran riuscì ad appisolarsi passarono non più di quindici minuti e fu svegliato dallo squillo del telefono che sembrava più pressante del solito.
All'altro capo del filo udì la voce di Fran Brodie. «Papà è appena stato qui e mi ha dato la notizia. Ma è terribile! Che cosa significa tutto questo?»
«Significa che saremo interrogati tutti» rispose lui, ancora insonnolito.
«Ma nessuno del club farebbe una cosa del genere, non ti pare? Papà si è rifiutato di dirmi se c'è già qualche indizio o se hanno trovato delle prove. È esasperante quando entra nella parte del poliziotto... Nel tuo giardino deve esserci stato un bel subbuglio, stanotte!»
«Infatti. Sono riuscito a dormire appena un quarto d'ora.»
«Mi spiace di averti svegliato. Torna a letto. Sveglierò qualcun altro.»
Lui guardò la sveglia sul comodino. Di lì a cinque minuti il giornale radio delle otto avrebbe dato la notizia del delitto avvenuto nel suo giardino. Si preparò mentalmente a un ennesimo comunicato fuorviante nel tipico stile della WPKX, infarcito di frasi ampollose e di pause che volevano apparire cariche di reconditi significati.
"Hilary Van Brook, preside delle scuole superiori di Pickax, è stato trovato morto alle prime ore del giorno in... un'automobile parcheggiata. Secondo la polizia, Van Brook è stato colpito da un proiettile alla testa dopo... un party notturno che si è tenuto in un... ex granaio abitato da... James Qwilleran. È stata esclusa l'ipotesi del suicidio e anche quella della rapina... secondo quanto afferma il capo della polizia, Andrew Brodie. Per ora non abbiamo altri particolari."
Qwilleran mormorò: «Mollerei volentieri un pugno sui denti a questo disgraziato!» L'accenno alla macchina parcheggiata e alla festa che si era protratta tutta la notte o quasi avrebbe scatenato le malelingue di tutta la contea. Era domenica e già immaginava le voci che dovevano ormai circolare tra i fedeli che si stavano recando in chiesa. Le linee telefoniche, di lì a poco, si sarebbero intasate. I ristoranti si sarebbero riempiti di gente che di solito non mangiava fuori; i vicini di casa, ai quali non piaceva fare lavori di giardinaggio, si sarebbero subito messi a ramazzare foglie e a spargere pettegolezzi da uno steccato all'altro. Il telefono di Qwilleran prese a squillare.
La prima chiamata fu quella di Larry Lanspeak. «Hai saputo qualcos'altro, Qwill?»
«Non una parola.»
«Ti va bene se passo da te prima di andare in chiesa?»
«Certo, vieni pure.»
«Carol deve presenziare alla funzione religiosa, quindi dovrò accompagnarla alle dieci con una vagonata di amiche.»
«Entra dal parcheggio del teatro» gli disse Qwilleran. «Il sentiero è bloccato dalla polizia.»
Poi chiamò Eddington Smith. Parlando con la stessa voce tremante che aveva reso inudibili le sue parole nella veste del cardinale Campeius, gli chiese: «Pensa che sospetteranno di me? Ho una pistola in laboratorio. Crede che dovrei liberarmene?»
«Ha sparato, di recente?» chiese Qwill, il quale sapeva che Eddy non aveva mai comperato una munizione in vita sua.
«No, ma ci sono su le mie impronte digitali. Forse dovrei cancellarle.»
«Non faccia nulla, Ed, e non si preoccupi. La polizia non sospetterebbe di lei nemmeno in un milione di anni.»
Poco dopo telefonò Susan Exbridge. Iniziò a parlare ostentando il tono scherzoso e sfacciato che aveva preso da quando aveva divorziato.
«Qwill, tesoro, perché non confessi? Con quelle palpebre sexy e con quei baffi sinistri hai proprio l'aria di un killer.»
Ai contrario, la persona che chiamò subito dopo parlò in tono serio e preoccupato. Era la madre di Wally Toddwhistle. «Oh, signor Q. Sono preoccupata da morire» strillò. «Pensa che sospetteranno di Wally?»
«C'è qualche motivo per cui dovrebbero farlo?»
«Be', nell'ultimo anno di liceo si è messo nei guai. E Faccia di Cavallo gliel'ha fatta pagar cara. Non lo sa?»
«No, che cosa è successo?»
«Si trattava solo di uno scherzo che i ragazzi avevano architettato. Non è stata nemmeno un'idea di Wally, ma lui si è preso tutta la colpa, non ha voluto coinvolgere i suoi compagni e quel maledetto preside lo ha espulso qualche settimana prima della maturità. Sono andata a scuola e ho fatto l'ira di Dio, ma non è servito a nulla. Wally non ha superato gli esami. In quel periodo suo padre era ammalato, e credo che sia stato proprio questo a ucciderlo.»
«Lei o Wally avete fatto qualche minaccia, all'epoca?»
«Wally non minaccerebbe neanche una mosca. Io ho detto alcune cose che non avrei dovuto dire... non ho peli sulla lingua, io! Ma Wally è un caro e bravo ragazzo. Ha preso da suo padre.»
«Quando è successo?»
«A maggio sono stati due anni.»
«Se lei avesse avuto intenzione di sparare a Van Brook, signora Toddwhistle, l'avrebbe fatto prima. Si metta l'animo in pace.» La donna avrebbe continuato a parlare, però. Ma in quel momento arrivò Larry Lanspeak e Qwilleran disse che doveva lasciarla.
Larry, di un'eleganza impeccabile nell'abito su misura, con scarpe dalla mascherina traforata lucidate a specchio, disse: «Non posso restare più di venti minuti. Oggi servo messa.» I Lanspeak frequentavano la vecchia chiesa di pietra, dall'altra parte del parco, di fronte al teatro Klingenschoen, la congregazione più grande, più vecchia e più ricca di tutta la città. Si lasciò cadere su una poltrona con aria sconsolata e proseguì: «Questa situazione mi preoccupa.»
«Hilary frequentava la vostra chiesa?» chiese Qwilleran versando il caffè.
«Non credo che fosse legato a nessuna chiesa, ma sembrava molto esperto di religioni orientali.»
«A quanto ho potuto notare sembrava esperto di tutto.»
«Puoi ben dirlo! Ricordo di aver visto il suo curriculum, quando l'abbiamo assunto. Aveva trascorso qualche anno in Asia. Sosteneva di saper leggere e scrivere in cinese, nonché in giapponese che, a sua detta, parlava correntemente... La sua cameriera ha raccontato alla nostra che lui aveva in casa un mucchio di cose orientali... Ma non è tutto. Secondo il curriculum, aveva studiato architettura e orticoltura, era iscritto al sindacato degli attori a New York e aveva diverse lauree in pedagogia. Suppongo che tutto questo si possa fare, se non si ha una famiglia e non si conduce vita mondana. Non ha mai preso parte a competizioni atletiche e a nessun'altra attività scolastica, il che è un passo falso in una piccola comunità. Di fatto, il sabato e la domenica non lo si vedeva da nessuna parte, anche se qualcuno ha detto di averlo notato, di venerdì sera, al volante della sua macchina diretto a sud... cioè verso Lockmaster.»
«Dove sicuramente trascorreva il fine settimana fumando oppio e leggendo poesia cinese» ribatté Qwilleran.
«Alla radio hanno detto che gli hanno sparato alla testa» disse Larry. «Non ti sembra un'esecuzione cinese?»
«O forse qualcuno si era nascosto dietro il sedile anteriore, in attesa che lui si mettesse al volante. È così che fanno nei film.»
«Non prendertela troppo alla leggera. Qualcuno di noi è sicuramente implicato in questa storia.»
«Oppure si tratta di qualcuno che voleva farsi passare per uno di noi.»
«Ti dirò una cosa sola: non ho mai visto un periodo di prove in teatro così carico di elettricità. E se invece si trattasse di una questione di droga?»
«Pensavo che la contea di Moose non fosse toccata dai problemi che hanno Giù in Basso. Non abbiamo catene di fast food e nemmeno organizzazioni di vendite porta a porta.»
«Ma arriveranno anche da noi» predisse Larry «adesso che abbiamo cominciato a promuovere il turismo.»
Qwilleran riempì di nuovo le tazze di caffè. «Sei riuscito a metterti in contatto con l'ispettore scolastico?»
«Sì, ho svegliato Lyle verso le quattro del mattino e gli ho dato la notizia.»
«E che reazione ha avuto?»
«Be', conosci Lyle Comton: non parla mai sul serio. Ha detto che lui stesso ha spesso avuto voglia di sfondare il cranio a Hilary. È la reazione che avranno un po' tutti, qui. E tutti indiscriminatamente ci sentiremo la coscienza abbastanza sporca da far affondare un'intera nave!»
«Ho sentito che Van Brook ha espulso, poche settimane prima della maturità, Wally Toddwhistle in seguito a uno scherzo messo in atto dai ragazzi.»
«Sì, è stata una cattiveria da parte di Hilary. Wally è un giovanotto simpatico e tranquillo e anche un bravo studente. Quanto al tipo di scherzo che gli hanno fatto, la maggior parte dei nostri concittadini si è molto divertita.»
«Di che cosa si è trattato?»
«Be', è andata così: il padre di Wally impagliava animali e Wally ha portato a scuola una puzzola impagliata. Chissà come è finita sulla sedia del preside. Il colpevole ovviamente è subito stato ritenuto Wally, per quanto lui avesse continuato a proclamarsi innocente. Tutto il comitato scolastico si è schierato dalla sua parte, ma Van Brook lo ha espulso egualmente. Ha detto alla commissione che, se non avesse potuto gestire il proprio lavoro a scuola come voleva, avrebbe strappato il contratto di assunzione. Lyle ha avuto paura di metterglisi contro.»
«Mi sembra che sia stata una punizione piuttosto draconiana!»
«Wally però non sembra averne sofferto in modo particolare. Lavorava col padre da quando era bambino e si è messo ad aiutarlo in negozio; se la cava egregiamente anche senza il diploma. È una persona piena di talento. I cacciatori del Midwest gli mandano le loro prede.»
«Ancora del caffè, Larry?»
«No, grazie. Quest'intruglio è forte! Andrò a zigzag verso l'altare e rovescerò il piattino delle offerte.» Guardò l'orologio. «Sento suonare le campane. Ci vediamo più tardi.» Prima di uscire si girò verso Qwilleran. «Aspetta che a Lockmaster si venga a sapere di questa faccenda. Lì ci ritengono dei barbari, e questo non farà che confermarli nella loro opinione.»
Quando Larry se ne fu andato per rispondere alla chiamata delle campane della vecchia chiesa, dalla terza rampa di scale giunse un altro tipo di chiamata. I siamesi avevano dormito fino a tardi, dopo l'eccitazione della notte. Qwilleran li fece uscire dalla loro stanza e diede loro da mangiare. In quel momento arrivò la telefonata di Polly Duncan. Qwill pensò che doveva aver sentito alla radio la terribile notizia, ma quando gli parlò la sua voce parve incredibilmente allegra.
«Tesoro, sono a Lockmaster. È stato un bel matrimonio e abbiamo festeggiato sino alle ore piccole. Hai dato da mangiare a Zampotto, stamane?»
«Uhm... sì» le rispose, dato che sapeva quando era consigliabile distorcere un po' la verità. Con quello che era successo si era dimenticato completamente di Zampotto.
«Come sta il mio tesorino? Ha mangiato bene? Hai fatto conversazione con lui?»
«Ma certo! Abbiamo avuto una discussione molto stimolante sulla politica estera americana e sul valore del dollaro. Quando torni a casa? Non dimenticarti che ho riservato un tavolo per una cena da Tipsy.»
«È per questo che ti ho chiamato, tesoro. Mi hanno invitata per un brunch al Palomino Paddock e penso proprio che dovrei accettare. È un ristorante a quattro stelle e non ci sono mai stata. Ti dispiace? Possiamo andare da Tipsy domenica prossima.» Sembrava insolitamente euforica.
«Non mi spiace affatto» le rispose Qwilleran, un po' rigido.
«Rientrerò in tempo per dar da mangiare a Zampotto e ti telefonerò subito.»
«Tra l'altro, è ovvio che tu non hai sentito la radio. Abbiamo avuto uno spiacevole incidente, qui "»
«No, non ho sentito nulla. Che cosa è successo?»
«Hilary Van Brook è stato ucciso.»
«Ucciso? Ma è incredibile! Chi è stato? Quando è successo?»
«Te lo dirò al tuo ritorno. Goditi il brunch.»
Si era sempre fatto un punto di onore di non venir mai meno agli impegni presi e la defezione di Polly lo irritò. Si era divertita per tutta la notte con quella gente di Lockmaster. Che bisogno aveva, adesso, di rimanere lì per un semplice brunch? Se voleva mangiare in un ristorante a quattro stelle poteva portarcela lui.
«Che cosa ne pensi di questo?» chiese a Koko.
Il gatto mormorò una risposta ambigua. La sua attenzione era concentrata sui cespugli pieni di bacche fuori dalla finestra, dove l'uccello cardinale era solito far echeggiare il suo saluto mattutino.
«Sarà meglio che vada a dar da mangiare al mostriciattolo!» disse Qwilleran.
Si avviò con passo deciso verso Soodwinter Boulevard. L'appartamento di Polly occupava il primo piano di una ex rimessa per carrozze che sorgeva dietro a un'austera palazzina di pietra. Tutti gli edifici su quella via erano di pietra: castelli di una freddezza solenne, appartenuti a grandi proprietari di miniere e a ricchi baroni del legname del diciannovesimo secolo. Una di queste case era stata presa in affitto da Van Brook, e Qwilleran si chiese come mai a quell'uomo fossero serviti degli alloggi così grandiosi, con quindici o venti stanze. Nel passarvi davanti notò che i tendaggi a tutte le finestre erano stati chiusi.
Quando fu arrivato davanti alla casa di Polly, aprì la porta d'ingresso che era chiusa a chiave e salì la scala che portava al suo appartamento, dove un cucciolo di siamese si stava lamentando per la prima colazione servita in ritardo.
«Mea culpa! Mea culpa!» esclamò Qwilleran. «Sono stato coinvolto in circostanze straordinarie. Eccoti un cucchiaio in più.» Poi cambiò l'acqua nello scodellino di Zampotto, gli fece una rapida carezza e si affrettò a tornare a casa, dove giunse appena in tempo per sentir squillare il telefono.
All'altro capo del filo si udì la voce esuberante di Hixie Rice.
«Non è eccitante questa storia, Qwill? Saremo interrogati tutti! Io mi inventerò dei particolari un po' sensazionali... Oh, nulla di incriminante, si capisce. Solo qualcosina per dare vita e colore all'indagine e attirare quassù i media di Giù in Basso.»
Hixie, che si era trasferita lì da Giù in Basso dove aveva lavorato in campo pubblicitario, si divertiva a manipolare i media, sia la stampa sia la televisione.
Qwilleran le rispose in tono severo: «Ti consiglio di frenare la tua creatività, Hixie. Siamo tutti di fronte a una situazione grave. Attieniti ai fatti e non spargere false notizie solo per il gusto di confondere la polizia o di intrattenere la gente del posto.»
«Adoro quando ti metti a recitare la parte dello zio!» dichiarò lei ridendo.
Addolcendosi un poco le chiese: «Ti andrebbe di parlare della faccenda a cena? Ho un tavolo riservato da Tipsy.»
Lei gli diede la risposta più ovvia: «Dov'è Polly?»
«Fuori città.»
«Bene, così ti avrò tutto per me! Ci vediamo al ristorante?»
La Taverna di Tipsy si trovava nella città di Kennebeck, a nordest di Pickax. Mentre si dirigeva in macchina verso quel luogo, Qwilleran si guardava attorno osservando il tranquillo paesaggio campestre che, quattro anni prima, quando da cittadino si era trapiantato là, gli era parso selvaggio e misterioso. Ma ormai si trovava bene nella Contea di Moose: terreni sassosi da pascolo, coltivazioni di patate e allevamenti di pecore, scure macchie di boschi che ospitavano centinaia di cervi dalla coda bianca, campi di grano, apparentemente morti nella stagione invernale, dai quali si levavano nugoli di cornacchie che roteavano, in formazioni compatte, sopra la testa della gente, pozzi marcescenti di miniere abbandonate, ora recintate, attorno alle quali erano stati affissi cartelli che vietavano l'accesso.
La prima cosa che si vedeva di Kennebeck era un torreggiante silo, il caratteristico grattacielo di quelle zone settentrionali, poi comparve la torre dell'acquedotto, che era stata verniciata di fresco sulla quale spiccava il simbolo della città. Un artista intraprendente, che non aveva paura dell'altezza, aveva setacciato la contea e dipinto tutte le torri degli acquedotti. Ogni comunità ostentava il proprio simbolo: un'ascia, un pesce, una barca a vela, un cervo con le corna, un volto felice, un albero di pino. La torre di Kennebeck dava come segnale di benvenuto alle porte della città la silhouette di un gatto. Quella era una comunità ricca. C'erano un'ampia strada principale, paracarri di pietra, edifici di vecchia data, blocchi di condomini e altri segni dei tempi. Eppure, negli anni trenta, Kennebeck aveva corso il rischio di diventare una città fantasma.
Ma, provvidenzialmente un contrabbandiere di alcolici di Giù in Basso, colpito dalla fine del proibizionismo, era tornato nella sua città natale di Kennebeck, dove aveva avviato un'attività del tutto legale: un bar e una steak-house. Si era portato appresso una gatta bianca, con una zampa deforme che la faceva zoppicare e una buffa macchia nera sulla testa, simile a un cappellino inclinato leggermente su un occhio. Si chiamava Tipsy, ed era un nome che le si confaceva alla perfezione. Le sue buffonerie, che facevano sospettare una propensione per l'alcool, e il suo carattere espansivo facevano sorridere i clienti e avevano finito per attirare gente anche da molto lontano. La personalità di Tipsy, abbinata alla buona qualità delle bistecche, avevano fatto ricomparire la città di Kennebeck sulla carta geografica.
Il locale originario, che era un capanno di tronchi, negli anni successivi era stato ampliato parecchie volte, ma ancora adesso dava la possibilità di una cena informale in un ambiente rustico. Il tavolo preferito di Qwilleran si trovava nella sala da pranzo principale, dove troneggiava un enorme ritratto a olio del gatto fondatore.
Qwilleran arrivò prima di Hixie e sedette al bar, dove ordinò dell'acqua Squunk con una spruzzata di limone. Era al terzo bicchiere quando giunse la sua invitata, che aveva un'aria preoccupata e scuoteva nervosamente la chioma pettinata alla peggio.
«Presto, ho bisogno di un Martini!» esclamò. «Me lo faccia doppio. Dopo ti chiederò scusa per il ritardo, Qwill.»
Il barista guardò Qwilleran con aria interrogativa, poi si girò a osservare Hixie e infine fissò di nuovo Qwilleran, come se volesse chiedergli: «Dov'è la signora Duncan?»
«Non ci crederai mai, Qwill» dichiarò Hixie nel suo solito stile tragicomico. «Stavo guidando lungo la Ittibittiwasseroad e non c'era neanche una macchina in vista, da nessuna parte... e ho avuto un incidente con un'altra auto!»
«Non è una cosa che succeda tanto facilmente.»
«Ora ti spiego com'è andata. Quando ho raggiunto Mayfus Road una vettura è sbucata dal nulla ed è passata con il semaforo rosso! C'eravamo solo noi con due macchine nel raggio di sessanta chilometri e ci siamo scontrati! Perché queste cose pazzesche succedono solo a me?»
«Ti attiri sempre addosso le disgrazie, Hixie» commentò lui in tono comprensivo. La ragazza aveva alle spalle una lunga storia di disavventure: per esempio rimanere chiusa a chiave in qualche sgabuzzino, incendiarsi i capelli, scegliere gli uomini sbagliati e così via. «Per fortuna non ti sei fatta nulla.»
«Avevo la cintura di sicurezza, ma ho dovuto aspettare il carro attrezzi di Gippel da Pickax.»
«Come sei arrivata qui?»
«Mi ha accompagnata lo sceriffo. È stato un tesoro... Adoro quei cappelli dalla tesa larga che portano. Dopo cena dovrai accompagnarmi tu da Gippel dove mi daranno un'auto a nolo.»
Presero posto al tavolo preferito di Qwilleran, sotto lo sguardo amichevole di Tipsy, e ordinarono dal menù, semplice ma sano, scritto su una lavagna: bistecca o pesce, prendere o lasciare. Il piatto del giorno era la minestra dell'anno, a base di fagioli. Le verdure si limitavano sempre e solo alle carote lessate, che però erano coltivate sul posto, piccole e dolci. Le patatine della contea di Moose, fatte bollire nella buccia, avevano un profumo d'Irlanda e la bistecca sapeva sempre di vera carne.
«La polizia ha bussato alla tua porta?» chiese Qwilleran.
«Non ancora. Tu hai parlato con qualcuno?»
«Con Larry. È preoccupato all'idea che il colpevole possa essere qualcuno del club, ma secondo me si sbaglia.» Si lisciò i baffi.
«Sai qualcosa che tutti noialtri ignoriamo?»
«Ho un sospetto, tutto qui.»
I suoi sospetti erano sempre accompagnati da una vibrazione alla radice dei baffi, qualcosa che non riusciva a spiegare e che si rifiutava di discutere. Gli anni trascorsi Giù in Basso come giornalista di nera, abbinati a una sua naturale curiosità, avevano fatto nascere in lui l'interesse per le indagini sul crimine. E quando era sulla pista giusta, provava sempre quella sensazione rassicurante sul labbro superiore.
Da Tipsy il cibo era servito da donne grassocce, attive, allegre e grigie di capelli, che raccomandavano ai clienti di vuotare il piatto.
Qwilleran disse a Hixie: «Dove mai troveranno tutte queste cameriere replicanti? Probabilmente mettono inserzioni sui giornali: Cerchiamo cameriere ai tavoli, grassocce, allegre, grigie di capelli e attive, preferibilmente nonne.»
Ordinarono bistecche e tutto quello che veniva servito come contorno. Mentre mangiava la minestra di fagioli Hixie disse: «Ho una cosa eccitante da raccontarti.»
«D'accordo, spara pure.» Le idee di Hixie erano sempre originali e in genere brillanti, tranne quando si trattava di Koko, il quale si rifiutava di fare spot pubblicitari in televisione o sponsorizzare una linea di prodotti surgelati di qualità per felini. Era stata lei a entusiasmare i lettori del posto battezzando il nuovo quotidiano di Pickax, il Moose County Something, ed era stata sempre lei a convincere Dennis Hough a chiamare la sua impresa edile Huff & Puff Construction Associates.
«Hai visto l'annuncio del mio nuovo concorso?» gli chiese.
«Sì, chi ti ha dato l'idea?»
«Be', vedi, Qwill... io percorro chilometri e chilometri per vendere pubblicità e mi capita di vedere migliaia di gatti bianchi e neri. La gente del posto sembra persuasa che discendano tutti da Tipsy. E allora ho pensato: perché non impostare un concorso per trovare il gatto più somigliante a Tipsy? La Camera di commercio di Kennebeck ha colto al volo l'occasione stampando poster e magliette.»
«E il giornale riesce a vendere altri spazi pubblicitari.»
«Naturalmente, il nostro slogan è ottimo. La capostipite Tipsy era una gatta molto graziosa, dolce e buffa, quindi il nostro slogan dice: "Più dolce e più buffa!". Ti va?»
«Potrebbe essere proprio quello di cui questa contea ha bisogno. Hai avuto molte iscrizioni al concorso?»
«A centinaia.»
Arrivarono le bistecche e la conversazione si spostò sul cibo, sui pettegolezzi al giornale e sulla festa in casa di Qwilleran.
Quando la cameriera servì il budino di pane lui disse: «Una cosa mi incuriosisce. Chi ci sarà nella giuria per il concorso Tipsy?»
«Mi fa piacere che me lo abbia chiesto. La gente manda fotografie dei loro gatti e noi ridurremo i numero dei concorrenti ai cinquanta più somiglianti. Verranno a Kennebeck per la gara finale e io mi auguro che tu voglia accettare di far parte della giuria.»
«Un momento, Hixie. Tu sai che a me piace collaborare, però preferirei non dover emettere giudizi su cinquanta gatti.»
«Il tuo nome nel comitato della giuria darà un tocco di prestigio al concorso e Lyle Compton ha accettato di fare il giudice di gara.»
«Lui farebbe qualsiasi cosa pur di comparire in pubblico. Un giorno o l'altro potrebbe decidere di candidarsi come governatore. Chi altro c'è nella giuria?»
«Mildred Hanstable.»
Qwilleran si lisciò ancora i baffi. La suocera di Roger McGillivray, rimasta vedova di recente, era una delle sue donne preferite e un'eccellente cuoca. «D'accordo. È un'orrenda prospettiva, ma accetto.»
Mentre bevevano il caffè, Hixie abbordò di nuovo l'argomento dell'omicidio. «Hilary è stato insopportabilmente non collaborativo quando ho cercato di ottenere pubblicità per l'Enrico VIII, e tutte le persone con le quali ho parlato ce l'avevano su con lui per un motivo o per l'altro.»
«Deve aver offeso qualcuno più di quanto noi sospettiamo. Ci devono essere nella sua vita lati oscuri che ha tenuto segreti.»
«Pensi che abbiano a che fare con la droga?»
«Non credo, anche se sono sicuro che l'idea di un preside di liceo che spacciava droga solletichi la tua immaginazione." La contea di Moose è sempre stata piuttosto pulita. È il vantaggio di vivere in campagna. Finora c'è stato solo un problema di alcolismo.»
«L'elicottero della polizia sorvola sempre quelle lande desolate tra Chipmunk e Purple Point.»
«Cercano cacciatori di frodo, non piantagioni di marijuana. Che cosa ne pensa Gary Pratt? Lo vedi spesso?»
«Ultimamente no. È uno scimmione peloso, e da quando esco con Dennis mi sono resa conto che mi piacciono gli uomini con capelli corti e la barba ben rasata.»
Qwilleran riassunse il suo ruolo di zio. «Mi auguro tu ti renda conto che Dennis è felicemente sposato. Non cacciarti in altre delusioni. Ha un bambino di due anni intelligentissimo che gli somiglia come una goccia d'acqua e sua moglie attualmente sta cercando di vendere la casa di St. Louis in modo che tutta la famiglia possa riunirsi qui.»
«Non mi pare che faccia molti sforzi in questo senso» fu la risposta secca di Hixie. «Dennis sostiene che lei non vuole vivere a quattrocento chilometri da qualsiasi altro luogo.» Si fece seria. «Non so se questo significhi qualcosa, Qwill, ma... ho cercato di chiamare Dennis stamattina dopo aver sentito la notizia alla radio, però non mi ha risposto. Gli ho lasciato un messaggio sulla segreteria telefonica.»
«Probabilmente stava dormendo e non voleva essere disturbato» azzardò lui. «Nessuno di noi ha dormito molto, stanotte.»
«Ma io ho dato un'occhiata fuori della finestra e ho visto che la sua macchina non c'era.»
«Forse è tornato a casa con qualcuno. Non hai pensato a questo?»
«Non credo. Questo pomeriggio, quando ho visto che la sua macchina non c'era ancora, ne ho accennato alla custode e lei mi ha detto che, secondo il sorvegliante notturno, Dennis se ne è andato prima dell'alba, subito dopo essere rientrato. Non gli ha parlato, ma le è parso preoccupato. Si è allontanato in macchina molto in fretta e ha imboccato la strada principale con grande stridore di gomme.»

3

Tornato a casa dopo la cena al ristorante, Qwilleran calpestò un piccolo oggetto nell'atrio e ne fece rotolare un altro con un calcetto involontario davanti allo Schrank. Un terzo finì sotto il tappeto. Si trattava di incisioni di metallo montate su basi di legno che aveva cominciato a collezionare. Imbarcandosi in quell'hobby aveva anche fornito un nuovo passatempo ai siamesi: quello di rubare i caratteri di stampa dalla cassetta tipografica. Questa volta avevano requisito dei pezzetti metallici raffiguranti un coniglio, un pesce e una gallina. O quei soggetti li avevano affascinati oppure le incisioni erano della misura giusta per una zampa vogliosa di giochi.
Nell'entrare in casa Qwilleran vide che la segreteria telefonica segnalava una chiamata. Schiacciò il pulsante e udì un breve messaggio di Polly.
«Qwill, sono tornata da Lockmaster più tardi del previsto. Non chiamarmi stasera. Sono stanchissima e voglio andare a letto presto.»
Dalla voce non traspariva alcunché di affettuoso. Qwilleran si disse che Polly doveva veramente essere molto stanca. Dopo il brunch al Palomino Paddock che altro aveva fatto?
Quanto a lui non aveva sonno, nonostante avesse dormito solo un quarto d'ora, la notte precedente. Era incuriosito per il puzzle che Brodie avrebbe dovuto risolvere, anche se non intendeva immischiarsi in quella storia. Il capo della polizia non avrebbe gradito suggerimenti da parte di un investigatore dilettante. Quando lavorava Giù in Basso alla cronaca nera, Qwilleran aveva scritto un libro sul crimine metropolitano, ora esaurito. Ma questo non gli dava certo il diritto di dare consigli a un professionista come Brodie.
Si preparò un caffè e si portò la tazza vicino a una comoda poltrona, poi appoggiò i piedi sul divano. Yum Yum gli si accovacciò subito sulle ginocchia, mentre Koko si metteva seduto ai suoi piedi con aria attenta. Erano pronti per qualche programma di qualità.
«Bene» cominciò lui. «Stasera abbiamo un caso di omicidio che, se non sarà risolto subito, non lo sarà mai più. Voi che cosa ne pensate?»
Koko strizzò gli occhi, un segnale che Qwilleran interpretò come "non ho idee in proposito". Si ricordò che i gatti non dimostravano mai interesse per questioni generiche.
«Non condivido la teoria che si sia trattato di un omicidio compiuto da qualcuno che ha partecipato alla festa» continuò, lisciandosi i baffi. «Anche se non so perché lo penso. Se Brodie perderà tempo e sprecherà ore preziose a torchiare i soci del club non caverà un ragno dal buco.»
«Yow!» fu la risposta di Koko.
«Sono contento che tu sia d'accordo. L'unica persona sulla quale dovrebbe indagare è la vittima stessa. Chi era in realtà? Dove ha preso un nome assurdo come Hilary Van Brook? Sappiamo che è venuto qui da Lockmaster, ma dove ha lavorato in precedenza? Ovviamente non è originario del nord, e allora come mai quest'uomo brillante, con un'educazione cosmopolita con delle credenziali così importanti, ha scelto di vivere in un luogo fuori del mondo come questo? Dove scompariva durante i fine settimana? Perché gli serviva quella casa così grande in Goodwinter Boulevard?»
Si era dimenticato di essere lui stesso indirettamente responsabile della venuta del preside a Pickax. Quattro anni prima, quattro lunghi anni densi di avvenimenti, Qwilleran era arrivato nella contea di Moose nella veste del riluttante erede del patrimonio Klingenschoen, riluttante perché non aveva mai avuto il desiderio di essere ricco. Era un giornalista impegnato al quale piaceva guadagnarsi da vivere occupandosi del crimine. Si accontentava di un monolocale, non aveva la macchina e disponeva di un magro guardaroba che si poteva mettere in una valigetta in un batter d'occhio ogni volta che il giornale lo mandava via per un servizio. Quando si era ritrovato, all'improvviso, con un peso di milioni sulle spalle, ma senza provare alcun interesse per gli aspetti economici, aveva risolto il problema molto semplicemente. Aveva stabilito che la Fondazione Klingenschoen elargisse il denaro ereditato. E, subito dopo, un consiglio di amministrazione aveva cominciato a concedere sovvenzioni, borse di studio e prestiti a beneficio della comunità.
Si dava il caso che l'aiuto più urgente dovesse essere accordato alla struttura scolastica locale, che aveva la spesa più bassa per alunno dello Stato.
Poiché la Fondazione Klingenschoen elargiva parecchio denaro per i servizi scolastici e gli stipendi degli insegnanti, quella cornucopia di finanziamenti aveva dato un'idea al sovrintendente scolastico Lyle Compton: il denaro forse avrebbe convinto il famoso Hilary Van Brook a lasciare le scuole di Lockmaster, dove nel giro di pochi anni aveva fatto miracoli, per trasferirsi lì. Anche se a Lockmaster consideravano la contea di Moose un deserto primitivo popolato di selvaggi, che non erano nemmeno capaci di vincere una partita a football, Van Brook aveva accettato la sfida lanciatagli da Pickax... e il vantaggioso contratto. Sotto la sua guida le scuole superiori di Pickax avevano ottenuto ottimi risultati, il piano di studi si era allargato e molti giovani si iscrivevano al college. Sebbene le squadre atletiche non avessero fatto passi avanti, il corpo insegnanti e i genitori consideravano il nuovo preside un mago, pur detestando il suo carattere borioso e il suo comportamento disumano.
Qualche mese prima di essere ucciso, Van Brook aveva scritto al Club del Teatro una lettera concisa e sprezzante, com'era nel suo stile, nella quale proponeva una produzione shakespeariana invece delle solite commedie leggere, dei musical e dei gialli che il pubblico locale prediligeva. Si era offerto di farne egli stesso la regia. L'opera che aveva proposto era: La Famosa Storia della Vita di Enrico VIII e l'associazione del Club del Teatro aveva espresso unanime disapprovazione.
Carol Lanspeak aveva telefonato a Qwilleran per avere il suo parere. "Chiedo la tua opinione" gli aveva detto "perché, se sarà un fiasco, la Fondazione potrebbe scaricarci. A nessuno l'idea garba. Tuttavia, Faccia di Cavallo gode fama di essere un genio che non sbaglia mai. Gli abbiamo chiesto di incontrarsi con il nostro comitato direttivo per discutere ulteriormente la cosa e ti invitiamo a partecipare. Se vuoi porta il registratore, l'argomento potrebbe essere buono per la tua rubrica... se decidessimo di tagliarci la gola."
L'incontro si era svolto durante una cena in una sala privata del nuovo albergo di Pickax, costruito nel 1935, l'anno in cui l'edificio precedente era bruciato. Dopo la cena, a base di pasticcio di carne e patatine in umido (l'albergo non era famoso per la sua cucina fantasiosa), il comitato si era messo in attesa dell'ospite d'onore, il quale aveva rifiutato di venire a mangiare, un gesto decisamente poco amichevole. Quando finalmente era arrivato, tardi e senza nemmeno fare le sue scuse, Carol aveva dato inizio alla discussione e aveva invitato il preside a fornire i particolari della sua proposta. Come se il comitato fosse composto da illetterati, lui aveva risposto leggendo una copia della medesima lettera che aveva spedito in precedenza, pronunciando le frasi con manifesto disprezzo.
Qwilleran aveva udito qualcuno bisbigliare: "Non è un tipo irritante?". Eppure quell'uomo aveva una voce pastosa e ben modulata, ed era facile credere che fosse stato un attore professionista. Il preside aveva finito di leggere, facendo girare lo sguardo sulle pareti e sul soffitto.
I membri del comitato e i funzionari si erano scambiati occhiate di costernazione. Il primo a trovare il coraggio di parlare era stato Scott Gippel, venditore di automobili e tesoriere del club, il cui giro di vita era così enorme da costringerlo a sedere su due sedie.
"Al pubblico questo genere pesante non garba."
Poi Carol Lanspeak aveva parlato a sua volta: "Dopo aver ricevuto la lettera del signor Van-Brook ho letto la commedia due volte e mi spiace dover dire che non sono riuscita a trovarci neanche una battuta memorabile o degna di essere citata, a parte la prima: Non vengo più qui per farvi ridere".
"È a questo punto che metà del pubblico si alza e se ne va" aveva dichiarato Gippel in tono allegro, mentre la sua carne gelatinosa vibrava divertita per la battuta.
Il presidente del comitato lettura, un insegnante di inglese in pensione, aveva commentato: "Su una cosa il signor Van Brook ha ragione: è ora che ci cimentiamo con Shakespeare, ma questa è la commedia giusta? C'è persino chi dubita che sia stato Shakespeare a scrivere l'Enrico VIII; sembra quasi, se volete perdonare la mia ingenuità, che sia stata scritta da un gruppo di persone.
Qwilleran aveva lanciato un'occhiata a Van Brook che ascoltava in un silenzio sprezzante, fissando il soffitto e continuando a girare lo sguardo tutt'attorno, quasi fosse alla ricerca di crepe nell'intonaco.
Fran Brodie aveva detto: "Io vorrei fare un'altra obiezione. L'Enrico VIII richiede un cast numeroso e noi abbiamo poco spazio dietro le quinte e pochissimi camerini. Il nostro teatro non è stato pensato per grandi produzioni".
"Il costo di tutti quei costumi sarà proibitivo" aveva aggiunto Gippel.
"E i ruoli femminili sono pochissimi" aveva obiettato Carol.
"Se volete il mio parere è troppo noiosa e troppo lunga" aveva dichiarato Junior Goodwinter, il giovane direttore editoriale del Moose County Something "e l'ultima scena... sai che brivido! Sembra il bruciante finale d'una partita già col punteggio di 7 a 0 al quarantacinquesimo minuto!"
Van Brook si era alzato. "Posso parlare?"
"Certamente, la prego" aveva risposto Carol con un sorriso artificioso. In realtà era seccata col marito che non aveva aperto bocca quando gli altri avevano fatto le loro obiezioni. In quanto presidente del comitato scolastico aveva contribuito a persuadere Van Brook perché lasciasse Lockmaster e, con Lyle Compton, si era adoperato per accontentare il nuovo preside in tutto e per tutto: il nuovo preside che faceva il suo lavoro così bene, che era noto per il suo carattere difficile e il cui contratto tra poco sarebbe dovuto essere rinnovato. Se Van Brook si fosse rifiutato di firmarlo sarebbe tornato sicuramente alle scuole di Lockmaster e la brava gente di Pickax sarebbe stata lasciata affogare nella disperazione.
Il preside aveva cominciato a parlare in tono condiscendente: "L'Enrico VIII non è più lungo di Romeo e Giulietta ed è molto più corto di Amleto e di Riccardo III, e questo taglia la testa al toro per quanto riguarda l'eccessiva lunghezza...". Un'occhiata sprezzante a Junior Goodwinter. "Quanto al fatto di essere noiosa, questa commedia ha conquistato il pubblico da tre secoli a questa parte per la sua vivacità e il suo fasto. Inoltre tratta di problemi contemporanei quali la corruzione, l'avidità, la politica del potere e i maltrattamenti sulle donne. Poiché trattasi di un'opera morale, deplora la vacuità dello sfoggio e della gloria di questo mondo... Mi seguite tutti?" Gli ascoltatori si agitavano sulle sedie. "Avete detto che ci sono pochi ruoli femminili, eppure una delle parti più pregnanti che Shakespeare abbia mai scritto per una donna è quella di Caterina d'Aragona, regina d'Inghilterra. Un altro ruolo molto ambito è quello di Anna Bolena, e anche La Vecchia Signora è una splendida parte. Per tutti coloro a cui piace immaginarsi abbigliati in costumi d'epoca c'è una gran quantità di dame di corte che entrano ed escono di scena di continuo. Se pensate che nell'Enrico VIII manchino le scene madri permettetemi di attirare la vostra attenzione sull'arresto di Buckingham, sulla sua ingiusta condanna come traditore, sulla festa sfrenata alla quale re Enrico si presenta travestito. Sul processo subito dalla regina, seguito dallo scontro con il cardinale Wolsey. Sul commiato di quest'ultimo che si è pentito, sull'incoronazione della regina Anna e sulla straziante morte di Caterina..."
Lanciando un'occhiata di trionfo attorno a sé aveva continuato: "Si dà il caso che io abbia già messo in scena questo lavoro. Si possono sfruttare alcune tecniche particolari, per esempio usare come comparse dei gruppi di studenti prelevati da scuola e portati a teatro con i pullman della medesima. Il garage Klingenschoen sul retro del teatro può essere dotato di camerini per gli attori impegnati in ruoli secondari e che compaiono in scena solo poche volte".
Qwilleran aveva pensato: vacci piano, amico, io nel garage ci abito ancora!
"Quanto alla scena finale, si tratta di un ossequio dell'autore per ingraziarsi la famiglia reale e vi posso assicurare che noi la elimineremo dallo spettacolo. L'Enrico VIII si concluderà con la morte di Caterina, scena che è stata definita la più pregnante di quest'opera."
Tutti erano rimasti in silenzio, poi Carol aveva detto: "Grazie, signor Van Brook, per la sua illuminante spiegazione... Vogliamo decidere subito oppure - si era rivolta al comitato - ci serve un po' di tempo per riflettere?"
Larry era intervenuto per la prima volta. "Io propongo di mettere in scena l'Enrico VIII come primo spettacolo in cartellone per la stagione autunnale."
Fran Brodie si era dichiarata d'accordo. "Corriamo questo rischio." E a Qwilleran era parso di intravedere nei suoi occhi verde acciaio immagini della regina Caterina nei cui panni lei già si metteva.
"D'accordo, sono anch'io favorevole" aveva esclamato Gippel. "E auguriamoci di vendere qualche biglietto. La mia impressione è che ci sarà più gente sul palcoscenico che in sala."
"È uno spettacolo che ha molte possibilità per quanto attiene alla pubblicità, se pensiamo a tutti gli studenti che compariranno in scena armati di lance" aveva detto Hixie.
Junior Goodwinter s'era arresa. "Va bene anche per me, purché l'ultima scena venga tagliata."
E quindi si era deciso di mettere in scena La famosa Storia di Enrico VIII. Qwilleran non era stato coinvolto più di tanto nella cosa, sebbene fosse al corrente del fatto che Carol e Fran avrebbero fatto un provino per il ruolo della regina Caterina, mentre Larry e Dennis si sarebbero contesi la parte del cardinale Wolsey. Tutti erano sicuri che quel ruolo importante sarebbe stato attribuito a Larry.

La sera dopo l'ultima audizione Qwilleran si stava recando a una cena al Vecchio Mulino di Pietra, arrivando proprio quando i Lanspeak se ne stavano andando. Li aveva incontrati al parcheggio del ristorante e rivolgendosi a Larry aveva detto: "Penso che dovrò ben presto baciare l'anello!".
"All'inferno, mi è andata male con Wolsey. Hilary vuole che io faccia la parte di re Enrico. Non ti sembra matto? Dovrò farmi crescere la barba per non dovermene incollare una sulla faccia ogni sera... Avrebbe dovuto fare Scott questa parte. Lui non ha bisogno di imbottiture."
Carol aveva detto: "Scott non sarà mai in grado di imparare la parte. L'unica battuta che riesce a ricordare è quella in fondo alla pagina".
"Dunque sarà Dennis a fare la parte di Wolsey?" aveva chiesto Qwilleran.
"No!" aveva replicato con aria disgustata Larry. "Sarà Hilary a farla. Ovviamente è un vantaggio dato che è un ruolo che ha già interpretato. Ha scelto anche una donna che sta a Lockmaster per la parte di Caterina. L'aveva già diretta alcuni anni fa nello stesso spettacolo di cui aveva curato la regia.
"Quando avranno inizio le prove? Mi piacerebbe fare un salto a teatro una di queste sere."
"Lunedì prossimo. Per cinque sere la settimana alle diciotto e trenta. Abbiamo sempre fatto le prove alle diciannove per consentire a quelli che lavorano di mangiare un boccone, ma Faccia di Cavallo ha deciso di anticipare di mezz'ora. Mi vuole come aiuto regista e come sostituta di Caterina. Dato che l'attrice prescelta per la parte abita a una settantina di chilometri da qui e potrà provare solo due volte la settimana, sarò io a leggere le sue battute per il resto della settimana. Non penso proprio che mi divertirò, ma se riuscirò a imparare qualcosa, quanto meno non sarà una totale perdita di tempo."
"Volevo scrivere un profilo di Van Brook per la mia rubrica, ma lui ha rifiutato categoricamente, senza neppure darmi una spiegazione" aveva detto Qwilleran.
"Tipico di lui" era stato il commento di Larry. "Dov'è Polly stasera?"
"Deve fare gli onori di casa a una cena del comitato della biblioteca. Voi che cosa avete mangiato qui?"
"Filetto di persico. È buonissimo. E prova, se ne trovi ancora, la torta di prugne nere. Ma devi sbrigarti perché ho visto che va a ruba."
I Lanspeak avevano raggiunto la loro macchina e Qwilleran era entrato nel locale, ricavato da un vecchio mulino e Derek Cuttlebrink gli aveva riempito un bicchiere d'acqua. Anche se faceva il cameriere, la sua altezza di circa due metri e i suoi modi cordiali inducevano i clienti nuovi a scambiarlo per il proprietario.
"Io recito cinque parti diverse" gli aveva annunciato subito. "Il mio nome compare nel programma cinque volte: come servitore di Wolsey, come banditore di corte, come boia, come sindaco di Londra e come messo. Quella che preferisco è la parte del boia, perché porto la scure e un cappuccio in testa."
"Sarai molto indaffarato con tutti i cambiamenti di costume".
"Immagino che potrò tenere addosso gli stessi pantaloni e cambiare soltanto giacca e cappello."
"Nei testi di Shakespeare i calzoni vengono chiamati brache."
"Ci sto pensando su. Ho deciso che mi piacerebbe fare l'attore, invece del poliziotto. Penso che sia più divertente. Si sta svegli tutta la notte e si dorme fino a tardi."
In quel momento era comparsa la cameriera e Derek era andato a sparecchiare alcuni tavoli. Qwilleran aveva ordinato il pesce persico.
"E mi tenga da parte anche una fetta di torta di prugne, se ne è rimasta ancora."
Nel corso della settimana successiva il numero delle vetture al parcheggio del teatro indicava che le prove erano in pieno svolgimento. Una sera Qwilleran era sgattaiolato nella sala per assistere a quello che stava succedendo sul palcoscenico, con l'idea di raccogliere un po' di materiale utile per la sua rubrica Direttamente dalla Penna di Qwill. Erano le sei e mezzo quando aveva preso posto in una poltrona laterale in fondo alla sala. Sul palcoscenico c'era tutta la compagnia al completo, tranne la donna che viveva a Lockmaster, perché quella era la sua sera libera. Il regista non aveva ancora fatto il suo ingresso.
Alle sette meno un quarto Carol aveva detto: "Non ha senso sprecare tempo prezioso. Proviamo la scena dal punto in cui Hilary ci ha interrotti ieri sera. Saltiamo il prologo e cominciamo dalla prima scena fino all'episodio dell'occhiata lasciva. Vengano sul palcoscenico il duca di Buckingham, il duca di Norfolk e lord Abergavenny. Per primo entra Norfolk da sinistra; gli altri sulla destra".
Tre attori con il copione in mano e con aria tutt'altro che aristocratica nell'abbigliamento casual delle prove avevano fatto il loro ingresso. Carol li fissava con aria critica.
"Norfolk, un'andatura più decisa. Sei un duca... Così va meglio. E tu, Abergavenny, mostra rispetto per tuo suocero, ma non nasconderli dietro di lui. Ripeti l'entrata e comincia da 'Buon giorno e ben trovati'. Norfolk, non guardare il suggeritore. Limitati ad ascoltare quello che dice, se non vuoi che se ne accorgano tutti. Buckingham, fai qualche passo sul palcoscenico quando dici 'Vai lontano'... Così."
Allorché Dennis era giunto alla spiritosa battuta di Buckingham: "Non c'è torta in cui egli non abbia ficcato le sue ambiziose dita", si era interrotto scoppiando a ridere. "È la mia battuta preferita."
Si udivano risate dalla prima fila dov'era seduto un gruppo di attori che si scambiavano occhiate significative. Carol aveva detto: "Va bene, ricomincia. E tu, Norfolk, stai rivolto con il viso dal lato sinistro, in fondo al palcoscenico, per non avere la faccia nascosta".
Erano arrivati all'episodio dello sguardo lascivo, ma Van Brook non era ancora comparso. Allora Carol aveva letto le battute del Cardinale Wolsey, raggiungendo il palcoscenico con gli altri. A un tratto le porte in fondo alla sala si erano spalancate.
"Che cosa sta succedendo qui?" aveva urlato con voce stentorea il regista, avanzando per il corridoio centrale, nel suo maglione verde bottiglia a collo alto, e fermandosi davanti a Qwilleran. "Che ci fa qui, lei?"
"Aspetto che inizino le prove delle diciotto e trenta" gli rispose, guardando ostentatamente l'orologio al polso.
"Fuori! Fuori!" Van Brook indicava la porta.
Dennis Hough era venuto fino al proscenio. "Santo cielo, lui può restare! È il proprietario di questo dannato teatro!"
Ma Qwilleran aveva lasciato la sala senza discutere, sgattaiolando verso la balconata buia mentre Van Brook continuava a camminare senza offrire né scuse né spiegazioni. Era manifestamente seccato per quello che lo aveva fatto arrivare in ritardo, ed era nervoso e irritabile con tutti.
"Arcivescovo, smettila di guardare l'orologio. Siamo nel sedicesimo secolo... e tu, tu Vecchia Signora... stiamo recitando l'Enrico VIII, non una pochade! Tieni le mani come un coniglio... Chi ridacchia dietro le quinte? State zitti o andatevene a casa! Suffolk, nella parola 'incoronazione' ci sono sei sillabe. Si tratta di incoronare un re, non è la corona di fiori che comperi da un fiorista..." tutto quello che diceva non aveva un tono scherzoso: le parole erano acide: "Campeius, riesci a recitare come un cardinale romano e non come un topo?".
Gli attori che stavano aspettando di entrare in scena per dire le loro battute si guardavano, a disagio. Eddington Smith, che faceva la parte del cardinale Campeius, era un ometto timido e in età che tutti i soci del club avevano sempre trattato con gentilezza, per quanto scadente fosse la sua recitazione.
Quando Van Brook aveva ingiunto ad Anna Bolena di smetterla di piagnucolare come una scema, gli occhi grigio-acciaio di Fran avevano lampeggiato in maniera tale da essere visti da tutti. Quanto a Dennis, per quasi tutto il tempo aveva tenuto la mascella quadrata completamente rigida. A un dato momento Dave Landrum, che recitava la parte di Suffolk, aveva scagliato il copione contro il regista e se ne era andato. Qwilleran si era detto che la sera successiva nessuno si sarebbe più presentato alle prove. Dubitava che sarebbero riusciti a fare lo spettacolo.
Tuttavia le prove erano riprese con una certa fatica, con un nuovo attore per la parte di Suffolk, e Qwilleran era stato informato di come procedevano le cose da Larry, con il quale prendeva il caffè due volte la settimana.
"Hilary se la prende sempre con il povero Ed Smith, che non sarebbe entrato a far parte del club se il dottor Halifax non glielo avesse ordinato come terapia. Ed non è tuttora in grado di esprimersi con chiarezza, anche se Carol gli dà qualche lezione. Urla le prime due parole, poi si perde in un sussurro. Dennis ha preso le sue difese un paio di volte. Tra lui e Van Brook c'è un vero e proprio scontro di personalità."
"Carol come la sta prendendo?"
"Si comporta come una santa. Accetta il comportamento di Hilary perché spera di riuscire a imparare qualcosa. Secondo me, sta imparando quello che non si deve fare quando si dirige un gruppo di dilettanti. Lui è rigido con alcuni e ignora gli altri. Tratta con i guanti la donna di Lockmaster e insulta il resto della compagnia."
"Ma è brava?"
"Certo, è brava, ma Carol o Fran avrebbero potuto fare altrettanto bene."
"Chi è tra l'altro?"
"Si chiama Fiona Stucker. Non so nulla di lei, tranne che ha fatto la parte di Caterina nell'ultimo spettacolo dell'Enrico VIII che è stato rappresentato a Lockmaster."
"Come vanno i ragazzi della scuola?"
"Carol si dà molto da fare con loro per riuscire a farli camminare come nobili del XVI secolo, invece che come sacchi di patate. Secondo me Derek, con le sue cinque parti e la sua statura, sarà l'elemento comico di questo spettacolo. È così diverso dagli altri che il pubblico lo riconoscerà nella parte del boia anche con il cappuccio nero sulla testa. E temo che provocherà delle grandi risate nella scena della morte di Caterina, quando entra, alla fine della commedia, nella veste di messo... la quinta parte che recita, tieni presente... Caterina deve pronunciare questa battuta: Non fatemi mai più rivedere quest'uomo. Noi fatichiamo a restare seri, ma il pubblico riderà di gusto."
"Be', io penso che un personaggio comico in questo lavoro non ci stia male" aveva commentato Qwilleran.
"Sì, ma non durante la scena della morte di Caterina."
La sera della prima il pubblico aveva avuto tutte le reazioni giuste. Tutti si erano commossi durante la scena del nobile addio di Buckingham, erano rimasti senza fiato per la magnificenza dell'incoronazione, e avevano represso le risatine ogni qual volta Derek compariva in scena.
C'era stato un mormorio eccitato durante le scene di massa quando i figli e le figlie adolescenti della gente in sala erano presenti lungo il corridoio centrale vestiti da guardie armate di alabarde, da vessilliferi che reggevano gli stendardi, da funzionari pubblici con il bastone, da nobili con le spade, da contesse con il diadema sul capo, da mazzieri con le mazze d'argento.
Sul palcoscenico si erano sentite soltanto due battute fuori tempo e una papera: niente male per una prima. Qwilleran, seduto in quinta fila con Polly Duncan, che aveva invitato allo spettacolo, aveva applaudito mentalmente allorché Dennis aveva fatto il suo commovente discorso, rabbrividendo allorché Eddington aveva pronunciato parole con voce troppo bassa, sentendosi salire la pressione sanguigna quando Fran era comparsa nelle vesti della bella Anna e aspettando ansiosamente che Derek rovinasse la scena della morte di Caterina. Per fortuna il regista aveva eliminato quelle battute che avrebbero provocato risate inopportune.
Quando Qwilleran aveva incontrato Larry per bere un caffè, questi aveva detto: "Devo ammettere che Hilary è bravo nella parte del cardinale. Malgrado la sua innata arroganza, riesce a rendere persuasivo il sentimento di Wolsey. Però ho l'impressione che sia risentito per l'adorazione che il pubblico prova nei confronti di Buckingham. Quando la gente, dopo lo spettacolo, si affolla dietro le quinte è Dennis che vogliono vedere. E al momento della prima comparsa sul palcoscenico di Dennis, quando dice: Buon giorno e bentrovati, si possono sentire i cuori che palpitano in sala".
"Il tuo Enrico è perfetto, Larry. È davvero il ritratto fatto da Holbein."
"È questo che Hilary voleva." Si era sfregato il mento. "Ti dirò una cosa... Sarò felice quando potrò radermi questa barba."
Tre settimane dopo che Larry si era rasato la barba, Van Brook era morto e Dennis era inspiegabilmente scomparso.

4

Il lunedì successivo all'incidente, che venne definito "l'Incidente del granaio" dal Moose County Something, fu una giornata tetra confacente alla tetra attività della polizia che si svolgeva nel giardino della casa di Qwilleran. L'andirivieni degli agenti rovinò l'osservazione mattutina di Koko degli uccelli. A lui piaceva prendere posto davanti alla vetrata che si affacciava sul giardino, da dove poteva vedere uccellini rossi, grigi, azzurri e marrone svolazzare tra i rami di vecchi alberi e di siepi folte punteggiate di bacche, che un tempo erano state curate da giardinieri ma che ora crescevano selvatiche.
Quello che Koko preferiva in modo particolare era il cardinale rosso maschio che cantava, mattina e sera, insieme con la sua compagna sobriamente piumata. Con quel cupo piumaggio rosso, la cresta regale e la chiazza nera che metteva in risalto il becco patrizio, si comportava come il sovrano degli uccelli Tra il cardinale e l'aristocratico gatto sembrava esserci una reciproca intesa. Koko se ne stava quasi immobile, mentre gli ultimi dieci centimetri della coda si muovevano al ritmo delle mobili piume della coda dell'uccello.
A un dato momento, nel corso della mattinata grigia, un furgone si fermò in giardino. Un tizio che aveva preso a scaricare sacche contenenti macchine fotografiche, flash e treppiedi fu bloccato dagli agenti. Qwilleran li assicurò che si trattava di John Bushland, fotografo di professione di Lockmaster, al quale aveva fissato un appuntamento per fargli riprendere l'interno della casa.
Bushy, come veniva chiamato, era un giovanotto attivo, entusiasta ed espansivo, che faceva battute sulla sua precoce perdita di capelli.
"Oggi i capelli ci sono, domani chissà..." Era lo slogan che si leggeva sulla sua maglietta. Si rivolse a Qwilleran e gli chiese in tono serio: «Ho sentito del guaio che è successo. Quali sono le ultime notizie?»
«La polizia sta indagando. È tutto quello che so. Qual è stata la reazione a Lockmaster?»
«A dire la verità sono tutti sollevati. Temevano che si sarebbe stancato di Pickax e sarebbe tornato. Hai idea di chi può avergli sparato?»
«Sospetto si sia trattato di qualcuno di Lockmaster che ha cercato di far apparire colpevole qualcuno di Pickax. Sai quando Van Brook ha fatto il preside laggiù?»
«Non direttamente. Non avendo figli, Vicki e io non abbiamo avuto a che fare con questi problemi.»
Bushy osservò la massa ottagonale di pietra e le argentee assicelle di copertura del tetto con espressione di timore reverenziale. «Mi piacciono quelle finestre triangolari in alto. Dovremmo fare un po' di foto di esterni, ma finché ci sono qui le macchine della polizia...»
«Mi dispiace che non sia una giornata di sole.»
«Per gli interni è molto meglio. Non avremo da combattere con i riflessi troppo violenti.»
«Entra. Sei pronto per una tazza di caffè?»
«Non subito, prima voglio lavorare un po'.» Mentre portavano tutta l'attrezzatura fotografica in casa, Bushy guardò stupito la luminosità dell'interno. «Mi aspettavo che fosse buio. Con tutte queste pareti bianche e tutto questo legno chiaro diventa tutto più semplice.»
«È quello che desideravo: pochissimi angoli bui e poca ombra. È troppo facile per i gatti rendersi invisibili in un ambiente buio e a me piace sapere sempre dove sono, sennò mi preoccupo.» Porse un binocolo a Bushy. «Lassù, su una di quelle travi che si irradiano, puoi vedere il marchio originale di chi ha fatto i lavori di costruzione: J. Mayfus & Sons, 1881. Vorrei, se possibile, un primo piano. Devo chiudere i gatti nel loro appartamento?»
«Non sarà necessario. Chi ha creato l'arredamento?»
«Fran Brodie. Non volevo nulla di rustico, e secondo lei dei mobili moderni avrebbero accentuato l'antica struttura.»
Nel salotto c'erano due divani e un'enorme poltrona rivestiti in tweed color farina d'avena, tutti pezzi dallo stile ben definito e di forma quadrata. I tavoli erano cubi laccati di un bianco assoluto.
«Non si vede nulla del genere a Lockmaster!» commentò Bushy.
Qwilleran gli indicò alcuni oggetti che voleva comparissero nelle foto: l'armadio di legno di pino, le stampe dei pipistrelli, la cassetta dei caratteri tipografici e lo stemma dei Macintosh.
«Mia madre era una Macintosh» informò il fotografo.
«Non c'è problema, fotografo tutto quello che vuoi» lo rassicurò Bushy, aggirandosi nell'ambiente per controllare le varie possibilità di inquadrature. «Dovunque uno guarda è già una foto. C'è un mucchio di punti in cui collocare le luci: sotto una scala oppure dietro una trave, se mi serve illuminare un angolo.»
«Che cosa posso fare per rendermi utile?»
«Niente. Vedo che hai una gran quantità di prese elettriche. Può darsi che io debba spostare un po' qualche mobile.»
«Allora, se non hai bisogno di me, vado a fare qualche commissione. Prenditi pure dal frigo qualche bibita fredda. Se vuoi del caffè basta che tu prema il pulsante di accensione. Ci vediamo tra poco. Se dovesse squillare il telefono non ti preoccupare, c'è la segreteria. Assicurati che i gatti non scappino fuori.»
Mentre stava uscendo fu bloccato da Brodie.
«Dov'è Dennis Hough?» gli chiese il capo della polizia.
Questa volta invece di pronunciarlo "Huff" disse "Hove".
«Non lo so» rispose Qwilleran. «Non lo vedo da sabato, da quando sono finiti i lavori della casa non si fa più vedere.»
«Non è più tornato a casa dalla sera della festa.»
«Probabilmente è andato a St. Louis a trovare la famiglia. Ma Fran non sa dov'è?»
Brodie bofonchiò qualcosa di incomprensibile. «Quella sua società con lo strano nome di Huff & Puff non ha nemmeno una sede.»
Qwilleran spiegò con pazienza: «La ristrutturazione del granaio è stata il suo primo lavoro. Aveva soltanto bisogno di un telefono per mettersi in contatto con i muratori e i fornitori. Lui lavorava a casa sua.»
«Sai come potrei trovarlo a St. Louis?»
«No, ma sono sicuro che te lo diranno al servizio informazioni telefonico. Il suo nome si pronuncia "Huff" ma si scrive H-o-u-g-h. Devi però dargli il tempo di arrivarci. È un viaggio piuttosto lungo.»
Qwilleran andò in centro: quasi tutto a Pickax si poteva raggiungere a piedi e lui era abituato a usare le gambe, dato che in passato era stato un gran consumatore di suole sui marciapiedi cittadini. Tutti gli altri abitanti di Pickax erano autodipendenti.
Mentre raggiungeva il locale di Lois per la prima colazione fece una sosta al negozio di libri usati, un luogo davanti al quale non riusciva mai a passare senza farvi una capatina. Questa volta aveva uno scopo ben preciso. Eddington Smith aveva acquistato una ben fornita biblioteca da privati e Qwilleran sperava di riuscire a trovare una copia del libro che aveva scritto diciotto anni prima e che era stato un bestseller. In tutti gli alti e bassi della sua vita, dopo che quei giorni carichi di successi erano finiti, non era riuscito a salvarne neppure una copia. Ma ora che la sua sorte era cambiata stava sempre all'erta per vedere se riusciva a trovare il volume La città del Crimine Fraterno di James M. Qwilleran. A quei tempi usava inserire tra nome e cognome un'iniziale. Nemmeno investigatori professionisti che si occupavano della ricerca di libri fuori catalogo erano riusciti a scovarlo. E neppure le biblioteche pubbliche avevano quel titolo negli scaffali o sul catalogo. E tuttavia lui continuava caparbio ad andare disperatamente a caccia della sua opera come un genitore che ricerchi il figlio perduto.
Il negozio, che si chiamava Le Edizioni di Ed, era un antro buio pieno di libri grigiastri e impolverati, ammuffiti, cartonati o in edizione economica dalle copertine malridotte e dai bordi ingialliti. Eddington comparve dall'oscurità del retro.
«È riuscito a scovare il mio libro?» domandò Qwilleran.
«Finora no, ma non ho ancora sballato tutto» rispose l'anziano e coscienzioso libraio. «La polizia ha trovato qualche indizio?»
«Lei ne sa quanto me, Ed.»
«Non ho chiuso occhio, stanotte. Gli altri peccati si limitano a parlare, l'assassinio urla.» Eddington stupiva la sua clientela perché aveva sempre una citazione per ogni occasione.
«Chi lo ha detto?»
«Credo Webster.»
«Quale?»
«Non lo so. Quanti ce ne sono?»
In quel momento un gatto persiano grigio fumo, la cui voluminosa coda spazzava i libri, si avvicinò lentamente a Qwilleran, poi si mise seduto su una biografia di sir Edmund Backhouse.
«Devo considerarlo un suggerimento?» chiese il giornalista. «Oppure vuole semplicemente riposare un po'?»
«Dovrebbe essere un libro interessante» dichiarò il libraio. «Era un orientalista inglese e una persona piuttosto misteriosa.»
«Lo prendo» disse Qwilleran, che non riusciva mai a uscire da una libreria senza aver fatto un acquisto.
Arrivato da Lois prese posto al banco del bar e ordinò uova su un letto di croccanti patatine fritte, fette di pane integrale tostato e caffè liscio senza panna.
«Che cosa ne pensa dell'omicidio, signor Q?» gli chiese la cameriera che, secondo il cartellino sul grembiule, rispondeva al nome di Alvola.
«Gli altri peccati si limitano a parlare, l'assassinio urla» recitò in tono declamatorio.
«Che cos'è, Shakespeare?» chiese la donna. Grazie all'Enrico VIII, il bardo era diventato di moda tra i giovani di Pickax. Entro il mese di ottobre la mania del momento si sarebbe trasferita su un qualche cantante rock o su un eroe dei fumetti.
«Sembra proprio Shakespeare» proseguì Alvola in tono da intenditrice.
«No, è di un altro raffinato autore» rispose Qwilleran, affondando il naso nel libro. In realtà stava ascoltando le conversazioni ai tavoli vicini. Nessuno piangeva la scomparsa del regista, ma tutti temevano che l'assassino potesse essere un cittadino in vista, uno studente, un amico o un vicino. C'era timore misto a eccitazione, espressi però con un certo morboso piacere. Qwilleran pensò: questo caso non sarà mai risolto, perché nessuno nella contea di Moose vuole veramente che venga risolto.
La sosta successiva fu lo studio di design di Amanda, dove chiese di Fran Brodie. Sul lavoro lei portava tacchi alti otto centimetri e gonne più corte di tutte le altre che si portavano a Pickax, particolari che non sfuggirono al giornalista.
«Dov'è il tuo capo?» le chiese.
«Amanda è andata Giù in Basso al Centro del Design.» È successo qualcosa a casa tua?
«Ci sono parecchi funzionari di polizia che stanno facendo il loro dovere. Naturalmente tutti tengono la bocca chiusa e io mi tengo fuori da questa storia.»
«Papà ha detto alla mamma che nell'automobile sono stati trovati dei pezzetti di gommapiuma, il che significa che è stato usato il silenziatore.»
«Ma i gatti hanno sentito. Loro riescono persino a sentire cadere una foglia.»
«Vuoi che dica una cosa incredibile?» chiese Fran. «Hilary aveva ordinato paraventi su misura per venti finestre, cioè per tutto il pianoterra. Sono arrivati stamattina con un furgone. Ho telefonato ad Amanda, alla quale è venuto un colpo.»
«Com'è la casa di Hilary?»
«Uno di quegli edifici di pietra su Goodwinter Boulevard. Il pianterreno è arredato in stile giapponese. Se lo è fatto lui. I paraventi che avevamo ordinato per lui il mese scorso sono paraventi shoji. Non sono mai salita al primo piano, ma lui mi aveva detto che tutte le stanze sono piene di libri.»
Pensando a La Città del Crisi mine Fraterno Qwilleran azzardò: «Non mi spiacerebbe vedere la casa.»
«Ho le chiavi e Amanda vuole che i paraventi si trovino là dentro quando presenteremo la nostra domanda per essere risarciti. Vuoi darmi una mano a portarli?»
«Quando?» chiese lui con inconsueta impazienza.
«Te lo farò sapere, ma sarà presto.»
Prima di andarsene Qwilleran dichiarò: «Dobbiamo fare qualcosa riguardo all'effetto acquario da me. I guardoni se la spassano un mondo a spiarmi.» Quella che un tempo era stata l'enorme porta del granaio adesso era un'enorme vetrata.
«Delle minitapparelle risolveranno il problema. Passerò da te per prendere le misure. Ho sempre la tua chiave.»
La destinazione programmata da Qwilleran era la biblioteca pubblica, un edificio che somigliava a un tempio greco, se non fosse stato per la rastrelliera delle biciclette e per il contenitore in cui venivano inseriti i libri da restituire che stava vicino ai gradini dell'ingresso. Mentre traversava l'atrio girò automaticamente la testa a sinistra, dove su una lavagna si leggeva la citazione shakespeariana del giorno: una delle idee care a Polly. Si aspettava di trovare Il delitto più truce. Trovò, invece: L'amore è un fumo che si leva con il soffio dei sospiri. Il matrimonio di Lockmaster l'aveva messa in uno stato d'animo romantico. Nel salone principale le impiegate gli fecero il luminoso sorriso di saluto confacente all'uomo più ricco della contea, che era anche il compagno prescelto dalla loro direttrice. Per trarle in inganno, prima si attardò a dare un'occhiata al ripiano dei libri nuovi e premette alcuni tasti sul computer che raccoglieva i dati concernenti tutti i volumi, dopodiché salì la scala che portava all'ammezzato. Lì i quotidiani erano sparsi sui tavoli della sala di lettura e in un ufficio racchiuso da vetrate Polly si occupava del funzionamento della biblioteca. Era seduta alla scrivania, nel solito abbigliamento: tailleur grigio e camicetta bianca, ma aveva un'aria radiosa, e i capelli che tendevano al grigio recavano le tracce delle speciali attenzioni ricevute in vista del matrimonio.
«Hai l'aria di stare particolarmente bene» la salutò Qwilleran. «Evidentemente hai avuto un fine settimana divertente.» Sedette su una delle dure poltrone di legno di quercia che risalivano al 1904.
«Grazie, Qwill» rispose lei. «È stato un fine settimana assolutamente meraviglioso ma un po' troppo stressante. Non sono abituata a tutto questo gran festeggiare. Ecco perché ti ho lasciato il messaggio sulla segreteria telefonica chiedendoti di non chiamarmi. La cerimonia nuziale è stata magnifica! La sposa indossava l'abito in pizzo di sua nonna e aveva uno strascico lungo quasi due metri. E tutti erano tremendamente commossi. Il ricevimento si è tenuto al Club dell'equitazione e della caccia e io ho ballato con lo sposo e con il padre della sposa e... assolutamente con tutti!»
Qwilleran e Polly non ballavano mai. Ce n'era raramente l'occasione e lui non sapeva che a Polly piacesse. «Quanti invitati c'erano?» chiese.
«Shirley ha detto che erano trecento. Suo figlio era uno sposo bellissimo. Ha appena finito gli studi legali e lavora presso il migliore studio legale di Lockmaster. Tu non hai mai conosciuto Shirley, vero? È lei che ha avuto quella nidiata di gattini e che mi ha regalato Zampotto. Siamo amiche da vent'anni. Suo marito si occupa di immobili. Si chiama Alan.»
Chiacchiera molto, si disse Qwilleran. Come mai? Di solito il modo di parlare di Polly era riservato e spesso pedante: pronunciava una frase breve e decisa e attendeva la reazione di chi l'ascoltava. Adesso, invece, chiacchierava con l'esuberanza di una donna più giovane, di una donna che, per la prima volta, si è data alla pazza gioia. Si ravviò i baffi con le dita. «Dunque hai fatto il brunch al Paddock. L'hai trovato al livello della fama di cui gode?»
«Assolutamente sì. È un ristorante meraviglioso e mi ci sono trattenuta più a lungo di quanto avessi previsto.»
Quell'avverbio lo sconcertò. Non era il genere di parole che lei usava, eppure l'aveva ripetuto tre volte. Di norma avrebbe detto "indubbiamente" oppure "decisamente", ma "assolutamente" mai.
«Adesso dimmi di Hilary Van Brook. Sono tutti sotto choc... e preoccupati per quello che la polizia potrebbe scoprire.»
«Posso chiudere la porta?» le chiese. Nella sala di lettura c'era ancora un po' di gente e a Pickax stavano tutti all'erta.
«Ho sentito alla radio che hai dato una festa che si è protratta per tutta la notte!» Lo guardò con aria di accusa.
«La nostra radio locale ha la specialità di dare notizie confuse proprio per confondere la gente. In realtà tutta la compagnia dell'Enrico VIII si è riversata a casa mia verso mezzanotte ed è rimasta fino alle tre. Dopo che se n'erano andati Koko ha cominciato ad agitarsi suscitando la mia curiosità. Sono uscito e ho trovato il cadavere. L'assassino aveva usato il silenziatore eppure il gatto ha sentito lo sparo, o forse ha intuito che qualcosa non andava. Durante la festa si era messo in cima allo Schrank e ha continuato a fissare la testa di Van Brook dall'alto. Secondo me aveva intuito che l'uomo portava il parrucchino. Koko capisce sempre la differenza tra il vero e il falso. Ma adesso mi chiedo se invece non sapesse che a Van Brook sarebbe successo qualcosa... e che questo qualcosa sarebbe stato un colpo alla testa...»
«Oh, Qwill! Non ti pare di esagerare un po'? Lo so che i gatti hanno un sesto senso, ma non posso credere che siano preveggenti.»
«Koko non è un gatto come gli altri.»
«Non ti ha stupito che il signor Van Brook abbia partecipato alla serata? Gode fama di essere un asociale.»
«Aveva un motivo recondito, Polly. Pensava di far fare un giro in casa mia a tutto il corpo studentesco, facendo marciare gli allievi di tutte le classi per le stanze. Una bella faccia tosta!»
«È un uomo molto arrogante. Non era simpatico a nessuno, ma non si ammazza qualcuno solo perché è socialmente sgradevole.»
«Non esserne troppo sicura. Il mese scorso un uomo ha sparato al suo vicino di casa durante un litigio perché il cane aveva sporcato nel suo giardino.»
«Sì, ma questo è successo Giù in Basso; qui non ci si comporta così... Scusami.» Era squillato il telefono e lei rispose con voce decisa «Parla la signora Duncan... Ah, buongiorno!» Aggiunse in tono più basso, il volto di colpo illuminato di piacere. Lanciò un'occhiata a Qwilleran e proseguì: «Sto benissimo, grazie... assolutamente! Be', in questo momento sono in riunione... Sì, per favore.» Riagganciò con un sorrisetto soddisfatto.
Qwilleran avrebbe voluto chiedere chi l'aveva chiamata, ma decise di non parlare. Se Polly voleva dirglielo lo avrebbe fatto. «Sarà meglio che torni a casa. Questa mattina Bushy è venuto a fotografare il granaio.»
«Oh, bene!» rispose lei, riordinando dei fogli sulla scrivania. «Lui è stato il fotografo ufficiale delle nozze.» Sembrava preoccupata. E Qwilleran se ne andò senza fare ulteriori osservazioni.
Per tornare a casa prese la strada più lunga, dato che voleva passare negli uffici del Moose County Something. Gli era venuto in mente che il loro cronista di nera potesse avere qualche informazione di cui il pubblico non doveva essere messo al corrente. La stampa aveva sempre qualche informazione privilegiata, oppure era a conoscenza dei pettegolezzi del momento.
Junior Goodwinter lo salutò dal suo ufficio. «Salve, Qwill, ti hanno rilasciato su cauzione?»
«Se sarò accusato, Junior, coinvolgerò anche te. Forse ci metteranno in cella insieme. Quali sono le ultime novità?»
«Finora non è stato accusato nessuno. La polizia tiene la bocca cucita, ma noi abbiamo torchiato i fratelli Dingleberry e abbiamo scoperto che, su richiesta del legale di Van Brook, i resti cremati dovrebbero essere mandati a Lockmaster.»
«Niente funerali qui? Questo è l'insulto finale che Van Brook ha fatto alla gente del posto.» I cittadini di Pickax andavano matti per i funerali di personaggi famosi, con la banda che seguiva il feretro suonando un inno funebre e con una lunga processioni fino al cimitero. Si trattava di una tradizione prediletta fin dal diciannovesimo secolo.
«Esatto. Niente funerali!» disse Junior. «Abbiamo parlato con Lyle Compton riguardo la possibilità di un servizio funebre, ma lui ha detto che non sarebbe venuto nessuno. Ha detto anche che l'assistente di Van Brook assumerà l'incarico di preside, quanto meno pro tempore. La commissione dovrà votare a questo riguardo ma la persona è competente e non c'è ragione di non dargli il posto. Le notizie sono tutte qui, per il momento, però Arch vuole vederci.»
Arch Riker e Qwilleran erano vecchissimi amici fin dai tempi di Giù in Basso, e avevano lavorato insieme al Daily Fluxion.
Nei venticinque anni durante i quali Riker era stato direttore del giornale non gli erano mai stati concessi più di una scrivania, un telefono e un computer. Ora, come editore di un quotidiano pubblicato in un piccolo centro rurale, se ne stava seduto nel suo grande ufficio, il cui pavimento era coperto da tappeti. La scrivania aveva la dimensione di un tavolo da ping pong. Inoltre (i suoi colleghi del Fluxion non ci avrebbero mai creduto) alla finestra c'erano tendaggi montati dallo studio di design di Amanda.
«Accomodati» disse a Qwilleran «e versati un caffè.»
«Ti ringrazio, ma ne ho appena bevuto tre tazze da Lois.»
«Quali sono gli ultimi pettegolezzi?»
«Sono tutti molto nervosi all'idea che il colpevole possa essere qualche personaggio importante della comunità. E invece non tengono in alcuna considerazione il fatto che un uomo brillante che ha fatto tanto per la scuola sia stato colpito nel fiore degli anni. Era vero che si trattava di uno venuto da fuori, e nemmeno molto amato, ma un omicidio è un omicidio, anche se la vittima è un paria e anche se l'assassino potrebbe essere l'editore del Something.»
«Visto che ti sei messo sul pulpito a predicare, perché non mi fai un pezzo su questo argomento?»
«No, grazie. È successo nel mio giardino e io mi tengo fuori da questa storia, però consiglio a te di scrivere un articolo di fondo.» Portò inconsapevolmente le mani ai baffi.
Riker riconobbe quel gesto. «Ti è venuta voglia di fare l'investigatore? Pensi di svolgere un po' di indagini per conto tuo?»
«No, questa volta no. Ho fiducia in Brodie. Lui è cresciuto qui ed è un archivio ambulante, per quanto attiene alla sua città. Probabilmente sa già chi ha premuto il grilletto e sta preparando la trappola per l'assassino o l'assassina.» Si alzò per andar via.
«Hai sentito qualche vibrazione da parte di Koko?» gli chiese l'altro sarcasticamente.
«Continua a tirare fuori caratteri dalla mia cassetta tipografica, ma finora il messaggio che ricavo riguarda solo il cibo. Arrivederci a presto, Archie.»
Prima di uscire dall'edificio, Qwilleran cacciò la testa nell'ufficio di Hixie Rice, che in quel momento stava cercando di vendere un'intera pagina di pubblicità al proprietario di un negozio di aumentali, riversando tutto il suo fascino e il suo entusiasmo nella cornetta del telefono.
«Notizie di Dennis?» le chiese dopo che lei ebbe riagganciato con aria di trionfo.
«Il suo posto al parcheggio è sempre vuoto. Perché non ha detto niente né a me, né a te, né a Susan o a Fran? Sono preoccupata.»
«Se sottintendi che lui stia cercando di sfuggire alla giustizia toglitelo dalla testa. Sappiamo tutti che è una persona a posto. Secondo me si è limitato ad andare a casa per vedere la famiglia. Può darsi che ci sia qualche problema, oppure che la moglie abbia trovato un acquirente per l'appartamento. Forse lo ha chiamato al telefono mentre lui si trovava a teatro e gli ha lasciato un messaggio sulla segreteria.»
«Mi auguro che tu abbia ragione.»
Qwill rifiutò l'invito a mangiare qualcosa alla mensa aziendale e se ne andò per fare le ultime commissioni. All'ufficio postale ritirò la sua corrispondenza e disse all'impiegato di trattenere quella che sarebbe arrivata fino a quando non gli avessero riparato la cassetta della posta.
«È probabile che la ragazzaglia del suo quartiere distrugga le cassette con le mazze da baseball» azzardò l'uomo.
«È probabile.»
C'erano altre persone che stavano ritirando la corrispondenza, o comperando francobolli, e si erano raggruppate nel locale per discutere dell'omicidio. Avevano abbassato la voce o cambiato argomento, appena lui era comparso.
Al suo rientro vide che le auto della polizia erano diminuite di numero. La macchina del fotografo però c'era ancora.
«Come sta andando?» domandò a Bushy, che stava riponendo l'attrezzatura.
«Aspetta di sentire quello che è successo. Ti ricordi come si sono comportati i gatti quando me li hai portati in studio l'anno scorso perché li fotografassi?»
«Mi ricordo sì. Non volevano uscire dalla cesta. Avevo fatto centottanta chilometri senza fermarmi e non siamo riusciti a tirarli fuori dalla gabbietta nemmeno con l'apriscatole.»
«Be', oggi la situazione era diversa. Hanno voluto essere presenti in tutte le foto che ho scattato. Ogni volta che mi preparavo a farne qualcuna ce n'era sempre uno tra i piedi. Ho fotografato la cucina e si sono messi entrambi sulla scaletta a chiocciola. Dovunque puntassi l'obiettivo mi ritrovavo un gatto seduto su una balaustrata o intento a salire su qualche gradino.»
«Avrei dovuto chiuderli a chiave» disse Qwilleran. «I gatti sono dispettosi. Intuiscono quello che uno vuole e fanno esattamente l'opposto.»
«Che cosa cambia? Queste foto servono solo ai fini dell'assicurazione, no? Sembrerà che tu abbia venti gatti.»
Qwilleran lo osservò riporre la sua roba, sorprendendosi per la quantità di cose che si potevano cacciare in una sacca dove ogni oggetto ha il proprio posto.
«Adesso sarei pronto per quel caffè» disse Bushy.
«Non ti andrebbe un dito di scotch o un piatto di chili?»
«Va bene, però preferirei del vino, se ne hai.»
«Dimmi quello che vuoi e lo avrai. Questo è il bar migliore, a parte lo Shipwreck Tavern. Io ho amici assetati.»
«E tu non tocchi mai un goccio?» si stupì il fotografo. «Com'è possibile?»
«Lascia che ti dica che ho fatto la mia parte, quando ero giovane. Sono uscito dall'alcol dieci anni fa.»
I due uomini si sprofondarono nelle poltrone di pelle dai larghi braccioli e dal sedile basso ricoperto da accoglienti cuscini, vicino agli scaffali pieni di libri e alla cassetta del tipografo.
«Hai una bella casa» commentò Bushy. «E hai davvero molto spazio. Anche noi ne abbiamo, di spazio, ma è stato suddiviso in varie stanze... Vedo che sei un collezionista di stampe antiche. Ho un amico, il direttore del Lockmaster Logger, che fa collezione di caratteri tipografici e di vecchi poster pubblicitari. Ha un cartellone del Ford Theatre datato 14 aprile 1865, la sera dell'assassinio di Lincoln.»
I siamesi, non appena si furono resi conto che il menù comportava un piatto di chili, fecero un'improvvisa comparsa e si accoccolarono sul divano.
Bushy disse: «Mi piacerebbe fotografare questi due personaggi nel mio studio. C'è un vero e proprio mercato per le foto di gatti. Ora che mi conoscono potremmo provare a riprenderli. Ti andrebbe di riportarli a Lockmaster?»
«Sono disposto a fare un altro tentativo» dichiarò Qwilleran.
«Sei mai stato a vedere le nostre famose corse a ostacoli?»
«No, l'ippica non mi ha mai interessato. Non sono un giocatore. Se tiro fuori un dollaro voglio che mi ritorni in tasca.»
«Ma in questo caso è diverso. È come un gran picnic, con i cavalli che saltano le siepi, i segugi che abbaiano e le carrozze che sfilano. Ecco quello che ho pensato: la corsa a ostacoli è il prossimo fine settimana. Porta i gatti e fermatevi a casa nostra. Abbiamo un mucchio di stanze. I tuoi felini possono andare dove vogliono e abituarsi allo studio.»
«Ci penserò» rispose Qwilleran. «Comunque grazie per l'invito.»
«Sabato sera dopo le corse ci sarà una festa e la domenica molti di noi andranno a un brunch al Palomino Paddock.»
«Ho sentito parlare di questi brunch. La mia amica Polly ci è andata ieri.»
«Sì, lo so. L'ho vista e aveva l'aria di divertirsi molto. Anche lei era al ricevimento di nozze... Hanno preparato un buffet fantastico e il bar era fornitissimo. Avresti dovuto esserci, Qwill.» Bushy era loquace di natura e un bicchiere di vino rosso non faceva che rafforzare questa propensione. La gamma dei suoi argomenti racchiudeva la nuova barca, le condizioni di pesca a Purple Point, il dispiacere di sua moglie di non aver figli e il problema di vivere in una casa molto vecchia. Qwilleran era un buon ascoltatore, non sapeva mai quando gli sarebbe riuscito di raccogliere qualche notizia interessante per la sua rubrica...
Mentre Bushy gli stava raccontando della nonna della moglie che viveva con loro, un impulso improvviso fece scattare i siamesi, che si catapultarono giù dal divano mettendosi a girare attorno al cubo che costituiva il camino, a salire per la scala in direzione del tetto, a correre sulle travi, a balzare di piano in piano, per poi ricadere sui gradini con un lieve tonfo delle zampe. Quindi scivolarono sul pavimento al pianoterra e balzarono di nuovo sul divano, dove si fermarono di colpo per leccarsi il pelo. Tempo impiegato: trentacinque secondi.
«Come mai tutta questa agitazione?» chiese il fotografo, sbalordito.
«Credo che mi stiano dicendo di andare alla corsa a ostacoli. Accetto il tuo invito.»
Dopo il chili (molto caldo) e il caffè (molto forte), Qwilleran aiutò Bushy a portare l'attrezzatura fotografica in macchina. L'altro gli chiese: «Che cosa intendi fare con il tuo orto-giardino? Mi sembra un po' malandato.»
«Lo libererò dagli alberi morti e pianterò qualcosa d'altro» gli rispose Qwilleran.
«Potresti trasformarlo in un rifugio per gli uccelli. Non togliere quelle siepi di bacche e i ciliegi selvatici, e pianta qualche cedro, qualche acero o qualcosa del genere. Casa nostra è un punto di ritrovo per tutti i volatili. La nonna di Vicki è una fanatica degli uccelli.»
Qwilleran tornò in casa per chiedere ai siamesi se erano favorevoli a un rifugio per gli uccelli e fu accolto da Koko che si era messo nella sua solita posizione impertinente: zampe allargate, testa ripiegata, coda arrotolata.
«Farabutto!» disse il giornalista, raccogliendo i caratteri tipografici sparsi per terra. Questa volta si trattava di caratteri che raffiguravano uno scoiattolo, un coniglio, un'aquila, un cavalluccio marino. Due erano nascosti sotto il tappeto, malefatta che attribuì a Yum Yum. Erano entrambi annoiati, si disse. «Qualcuno ha voglia di fare due passi all'aperto?»
Quando tirò fuori le imbracature e le fece tintinnare a mo' di invito, Yum Yum scomparve ma Koko fu subito pronto all'azione. Dopo che il giornalista gli ebbe messo l'imbracatura e il guinzaglio, gli si appollaiò sulla spalla e si diressero entrambi verso la cassetta postale in strada. Qwilleran evitò il sentiero sconnesso e procedette attraverso le erbacce del giardino. Piccoli uccelli atterravano sulle estremità dei rami della vegetazione più alta facendole sobbalzare, e lui avvertiva il tremito del corpo del gatto.
Quando furono arrivati ai limiti della proprietà il siamese prese a divincolarsi per scendere dalla sua spalla. Era quello il punto in cui l'assassino aveva parcheggiato il proprio veicolo? Qwilleran concluse che era molto più probabile che nell'erba ci fosse un nido di uccelli abbandonato. Polly gli aveva spiegato che alcuni uccelli nidificatori lo preparano al suolo.
Quando raggiunsero la strada consentì a Koko di camminare e il gatto si mise a indagare su tracce di ruote e sui sassi che ricoprivano il ciglio stradale. Gli esperti della scientifica avevano portato via la cassetta della posta per esaminarla, Koko però trovò un frammento di vetro che quelli non avevano preso. Il frammento di un faro? La scheggia di una bottiglia di whisky lanciata contro la cassetta della posta da un qualche festaiolo del sabato sera?
Di qualunque cosa si tratti, si disse Qwilleran, noi ce ne staremo fuori da questa storia. Ma Koko continuava a tirare il guinzaglio con forza. Voleva andare in direzione sud: la direzione in cui l'ultima macchina si era avviata dopo la festa.

5

Il giorno dopo che Qwilleran aveva accettato l'invito di Bushy per la corsa a ostacoli c'era un sole scintillante; le previsioni del tempo erano favorevoli; i siamesi stavano bene ed erano felici. Ciò nonostante, accolse quella giornata in preda a una blanda depressione. Le finestre triangolari collocate in alto diffondevano la loro solita magia illuminando l'interno con chiazze geometriche di luce solare. Man mano che la terra ruotava, quei distorti triangoli di calore e di luminosità si spostavano da un punto all'altro, mandando in confusione i siamesi, che erano perennemente attratti dai posticini confortevoli della casa. Di norma Qwilleran era affascinato da quel minuetto al rallentatore di bagliori solari, ma quel giorno era turbato da un vago senso di disagio.
La mattina cominciò abbastanza bene, con una telefonata da Lockmaster. «Qwill, parla Vicki Bushland. Sono felice che tu e i gatti passiate il fine settimana con noi.»
«Sarà un piacere per me.»
«Spero che il tempo sarà buono. Oggi è molto bello. Lì da voi c'è il sole?»
«Sì, sta facendo gli straordinari» le rispose osservando i triangoli luminosi sul pavimento, sulle pareti e sullo Schrank. «Con che cosa posso contribuire a questo fine settimana?»
«Limitati a portare il binocolo e la macchina fotografica per la corsa. Il party di sabato sera al Club della caccia e dell'equitazione sarà piuttosto elegante. In lungo le donne ma per gli uomini la cravatta è un optional. Tutte le altre cose in programma sono informali. Sabato ci sarà un picnic all'ippodromo.»
«Mi sembra interessante» disse Qwilleran, più per educazione che per entusiasmo. I pasti al fresco non gli erano mai piaciuti. Comportavano piatti di carta molli, forchette di plastica, uova ripiene nelle quali durante la farcitura si erano infilati frammenti di guscio, panini al tonno con granelli di sabbia che andavano sotto i denti e formiche nella torta al cioccolato. Tuttavia quell'esperienza forse gli avrebbe fornito del materiale interessante per la sua rubrica, e anche il pretesto per non essere presente a casa durante gli orari in cui era aperta al pubblico. Il sabato, metà della contea di Moose, con il modico esborso di cinque dollari a testa, sarebbe andato su e giù per le sue scale, facendo sicuramente commenti denigratori sul design del camino e sui mobili moderni. Ma la ragione recondita per la quale aveva accettato l'invito dei Bushland poteva anche essere la curiosità che aveva sulla persona di cui Polly era stata ospite al Palomino Paddock, da dove era tornata a casa tardi, stanca e con gli occhi scintillanti. Era sicuro che doveva trattarsi della stessa persona che le aveva telefonato e con cui aveva avuto quella conversazione concisa e guardinga, mentre lui le sedeva di fronte a disagio sulla dura sedia di legno.
«Aspetto con impazienza questo fine settimana» disse a Vicki.
«Potresti arrivare in tempo per la cena, venerdì? Serviremo i cocktail alle sei. Vorrei dare una cenetta perché mia nonna muore dalla voglia di conoscerti. Andava pazza per la tua rubrica, quando scrivevi per il Daily Fluxion, e adesso comperiamo il giornale della contea di Moose ogni martedì e ogni venerdì, perché lei vuole leggere Direttamente dalla Penna di Qwill. A volte, però, tu sposti giorni, e la poverina subisce uno choc!»
«Sarò immensamente felice di conoscere tua nonna» disse Qwilleran.
«Inviteremo qualcun altro, persone che a te potrebbe far piacere conoscere. Qui sanno tutti chi sei e i nostri amici hanno sentito di quella volta in cui tu e Bushy siete rimasti bloccati sull'isola durante la bufera. Quindi aspettiamo tutti con impazienza la tua visita.»
«Non più di me» le rispose in quello stile elegantemente formale che adottava in occasioni simili.
«Ti piace la pasta? Devo preparare cose che mia nonna possa masticare senza fatica.»
«Io mi considero onnivoro, faccio solo una piccola eccezione per le rape e le pastinache.»
«E i gatti che cosa mangiano?»
«Non ti preoccupare per loro. Porterò io un po' di roba in scatola.»
La roba in scatola per i siamesi significava: salmone rosso, pollo disossato, tonno bianco, polpa di granchio e aragosta.
Se il problema dell'alimentazione dei gatti sarebbe stato una cosa semplice, vestirsi per la cena al Club della caccia e dell'equitazione avrebbe posto un problema serio. Il vestito blu marino che Qwilleran riservava ai funerali era andato perduto in un incendio. Inoltre, una giaccia da sera sarebbe stata di gran lunga preferibile anche solo per sfatare l'idea di quelli di Lockmaster che la contea di Moose fosse popolata da selvaggi. Non aveva mai posseduto una giacca da sera. Ne aveva presa a nolo una circa vent'anni prima, e presumette che fosse una pratica tuttora in uso. Si disse che i giovani agricoltori che coltivavano patate e gli allevatori di pecore, le cui foto di nozze venivano pubblicate sul Something, probabilmente prendevano a nolo le giacche da sera e le marsine al negozio di confezioni per uomo di Scottie. Non aveva molto tempo.
Si avviò verso il centro con andatura più veloce del solito girando il capo solo per contare i manifesti gialli nelle vetrine, resi ancora più brillanti dal sole settembrino che non dava tregua.

VISITA ALLA CASA-GRANAIO
Sabato 17 sett. dalle ore 10 alle ore 17
Costo del biglietto: dollari 5

Scottie, che stava sulla porta, lo salutò con la sua parlata strascicata scozzese: «Bene, ragazzo mio, l'hai rifatto» disse. Parlava in quel modo per compiacere i clienti scozzesi e quelli che lo erano per metà (tutti sapevano che la madre di Qwilleran era una Macintosh).
«Che cosa vuoi dire?» gli chiese il giornalista.
«Che hai trovato un altro cadavere. Non ricordo che siano stati trovati dei cadaveri da queste parti prima che tu arrivassi in città.»
Qwilleran si lisciò i baffi e decise di tagliar corto.
«Voglio noleggiare una giacca da sera e tutto quanto comporta indossarla.»
«Vuoi noleggiarla? Per l'erede del patrimonio Klingenschoen è troppo costoso acquistarne una?»
«Senti, Scottie, ho vissuto qui per quattro anni senza sentire la necessità di vestirmi in modo formale e può darsi che non mi si presenti mai più un'altra occasione per farlo. Non scialacquare e non diverrai povero!»
«Parli proprio come un vero MacIntosh. O forse tua madre era una MacKenzie?»
«Macintosh» grugnì Qwilleran.
«Questo darà spazio a molti pettegolezzi... quando si verrà a sapere che l'uomo più ricco della contea di Moose prende a nolo una giacca da sera! Chiunque nella tua posizione, ragazzo mio, si affretterebbe a comprarne un paio.»
Qwilleran si concesse di apparire riluttante e, mentre si sottoponeva alla prova delle giacche, l'altro ritornò sull'argomento dell'omicidio.
«Dicano pure quello che vogliono su Van Brook. Però è una tragedia! Una vera tragedia.»
«Era un tuo buon cliente?» chiese il giornalista, pensando che le reazioni di Scottie fossero in qualche modo collegate al registratore di cassa.
«Non buono, ma abbastanza regolare. Veniva qui per cercare maglioni a collo alto in colori che non esistono in commercio... A quanto ho sentito la polizia sospetta di qualcuno.»
«Io non ne so nulla, Scottie. Di chi si tratta?» gli chiese in tono innocente.
«Si dice che Dennis Hough sia nascosto da qualche parte.» Pronunciò quel cognome "Hoe". «La moglie del sindaco è andata a Mooseville per un'occasione mondana e lo ha visto uscire dallo Shipwreck, guardarsi attorno furtivamente, e aveva la barba lunga.»
«Che genere di buffet servivano a quella riunione per signore? Dennis è in viaggio verso St. Louis per riunirsi alla famiglia per la prima volta dopo molti mesi. I pettegoli locali vogliono che il sospetto sia lui perché non è di qui, viene da Giù in Basso. Se vuoi sapere come la penso io, i nostri concittadini sono una massa di xenofobi.»
«Se intendi dire che ritardano i pagamenti metti il dito nella piaga, ragazzo mio.»
Quando uscì dal negozio di Scottie, Qwilleran incontrò Carol Lanspeak che stava raggiungendo quello del marito. «Hai saputo qualcosa?» gli chiese.
«No. E tu?»
«Aspetta di sentire quello che ti dirò. Abbiamo appena ricevuto una lettera che Hilary ha spedito venerdì scorso, il giorno prima della sua morte, con la quale ci mandava la nota spese per le trasferte della donna di Lockmaster. Otto prove e dodici rappresentazioni e il tragitto di andata e ritorno di centosessanta miglia. Tu hai presente a quanto ammonta la spesa, calcolando 25 cents per miglio? Si arriva a 700 dollari. So che quella donna ha consumato molta benzina, ma il punto è che noi non avevamo bisogno di lei.»
«Il club se lo può permettere?»
«Be', ci farà di nuovo andare in rosso. Questo è un altro esempio dell'arroganza di Hilary. Non ci ha mai assolutamente accennato al fatto che saremmo stati noi a dover sostenere queste spese. Secondo Scott dovremmo ignorare completamente la lettera. Non conosciamo l'indirizzo della donna e non sappiamo chi tratterà la questione legale.»
«Che cosa dice Larry di questa storia?»
«Non ha ancora visto la lettera. Andrà su tutte le furie!» Notò il manifesto giallo nella vetrina. «Il tour in casa tua è stato reclamizzato bene. Ma non ti sembra che i cinque dollari richiesti per il biglietto siano un po' eccessivi per i portafogli di Pickax?»
«Pagheranno questi cinque dollari unicamente per vedere il luogo in cui è avvenuto il delitto.»
«È assurdo, Qwill.»
«Ma vero, aspetta e vedrai.»
Si lasciarono e Qwilleran proseguì, pensando alla lettera che i Lanspeak avevano ricevuto. Chi era l'esecutore testamentario di Van Brook? A quanto ammontava il patrimonio del defunto? Chi avrebbe ereditato? C'era una sola persona a Pickax che, secondo lui, poteva sapere qualcosa sul preside della scuola. Solo l'ispettore didattico poteva avere una sua scheda. Provò il bisogno pressante di pranzare con Lyle Compton e sapeva che a questi faceva comodo trovare sempre una buona ragione per allontanarsi dall'ufficio.
Gli telefonò e prese un appuntamento per l'ora di pranzo. Poi chiamò il Vecchio Mulino di Pietra per prenotare un tavolo. Per economizzare si servì dell'apparecchio dello studio di Amanda.
«Hai saputo qualcosa di nuovo?» gli chiese Fran quando lui ebbe riagganciato. «Io non sono riuscita a estorcere una sola parola a mio padre. Tiene la bocca chiusa persino con la mamma. Ma circolano brutte voci su Dennis.»
«Come sono nate queste voci infondate?» domandò Qwilleran in tono irritato.
«Lui ha lasciato la città all'improvviso.»
«Senza dubbio sta recandosi a St. Louis per motivi famigliari.»
«È quello che penso anch'io, anche se Dennis non ne ha accennato a nessuno. Com'è andato il servizio fotografico a casa tua?»
«Mi sembra abbastanza bene. Bushy ha scattato una gran quantità di foto e ha promesso di stampare una serie completa per te. Io le vedrò questo fine settimana perché vado a trovare i Bushland a Lockmaster. Sei mai andata a una corsa a ostacoli?»
«No; ma ho sentito dire che è uno spettacolo molto interessante.»
Qwilleran diede un'occhiata all'orologio.
«Ho appuntamento con Lyle per pranzo. Ci vediamo.»
«Aspetta un attimo, Qwill. Mi aiuteresti a fare quella consegna a casa di Hilary, domani?»
«Per che ora?»
«Le nove è troppo presto? Io so che hai il risveglio lento.»
«Non il mercoledì mattina. La signora Fullgrove viene a fare le pulizie e io cerco qualsiasi pretesto per tagliare la corda.»
«Allora siamo d'accordo. Parcheggia dietro lo studio. Mi darai una mano a caricare la roba. I paraventi sono contenuti in scatole piatte di cartone, grandi ma non pesanti. E - proseguì in tono furbesco - non ti faremo pagare le due telefonate.»
Si accomiatò da lei quindi si avviò con passo singolarmente baldanzoso verso il luogo del suo appuntamento, lisciandosi soddisfatto i baffi. Finalmente avrebbe potuto vedere che cosa c'era dietro i tendaggi abbassati della casa in Goodwinter Boulevard.
Il Vecchio Mulino di Pietra era un ristorante pittoresco, ristrutturato da un mulino del XVIII secolo, e le sue caratteristiche più rilevanti erano costituite da un cameriere alto almeno un metro e novantacinque che parlava in continuazione, e da una vecchia macina che girava perennemente, scricchiolando e stridendo. I due uomini furono condotti al tavolo prediletto da Qwilleran, da dove si godeva la vista migliore: offriva un'ottima privacy ed era opportunamente lontano dall'incessante frastuono dell'antica macina.
Mentre Derek Cuttlebrink si avvicinava con andatura dinoccolata, con la brocca dell'acqua e il cestino del pane, l'ispettore didattico disse con il suo solito sorriso cinico: «Ecco che sta arrivando il nostro alunno più eminente.»
«Salve, signor Compton» esclamò il gioviale cameriere. «Mi ha visto recitare?»
«Sì, certo, che ti ho visto, Derek. E sei stato sicuramente al di sopra di tutti gli altri.»
«Perbacco, grazie!»
«Quando concluderai gli studi, ragazzo mio? Oppure il tuo obiettivo è quello di essere il cameriere più vecchio di tutti i quarantotto Stati?»
«Be', ho una nuova ragazza alla quale piaccio un po', e lei non vuole che io vada a studiare al college» fu la spiegazione plausibile di Derek. «La vedo tre volte la settimana. Ieri sera siamo andati a schettinare.»
La capo-cameriera gli passò frettolosamente davanti con una pila di menù in mano e gli diede una gomitata. «Devi apparecchiare i tavoli sei e nove e al tavolo quattro vogliono dell'altra acqua.»
Quando il ragazzo si fu allontanato con la brocca, Compton disse: «I Cuttlebrink fanno parte dei fondatori della città di Wildcat, ma il loro spirito pionieristico si sta sgretolando. Di generazione in generazione diventano più alti ma non più intelligenti. Che c'è di interessante sul menù? Non voglio cose troppo nutrienti. Me le ammaniscono già a casa.» Era un uomo di una magrezza impressionante che fumava troppi sigari e disprezzava verdure e insalate.
Qwilleran disse. «C'è una minestra di formaggio e cavolo, così densa che si potrebbe usare come malta. La focaccia ripiena di avocado è complicatissima da mangiare, ma deliziosa. L'insalata di gamberi di Louis è la cosa migliore.»
«Io prendo un piatto di chili con un hot dog» disse Campton alla cameriera. «Dunque finalmente hanno eliminato Van Brook» aggiunse poi rivolgendosi a Qwilleran. «Lo sapevo che un giorno o l'altro gli sarebbe toccato. Un vero guaio che sia successo nella nostra città. Questo getta una cattiva luce sulla contea di Moose.»
«Se lo trovavi così discutibile perché hai continuato a rinnovargli il contratto?»
«Era talmente in gamba che ormai eravamo tutti in suo potere. Ci sono diavoli con i quali si può convivere, sai?»
«Che cosa succederà delle sue proprietà? Aveva una famiglia, da qualche parte?»
«L'unica persona il cui nome risulti nella sua pratica è un avvocato di Lockmaster. Quando la polizia mi ha informato della morte di Van Brook, ho parlato con quest'uomo e gli ho chiesto che cosa potevamo fare. Lui mi ha detto che il defunto aveva optato per la cremazione e ha chiesto che le sue ceneri venissero mandate a Lockmaster. Dopodiché mi ha domandato il nome di un liquidatore e io gli ho passato quello di Susan Exbridge.»
«Hilary era un uomo misterioso, vero? Sto leggendo la biografia di sir Edmund Backhouse, il sinologo inglese, e ci vedo una certa somiglianza. Un uomo brillante ed erudito che ha fatto cose egregie, ma anche un tipo eccentrico, non integrato socialmente.»
«Hilary era senz'altro così» si dichiarò d'accordo Compton.
«Persino il suo nome suscita, se non sospetto, quanto meno curiosità.»
«Hilary Van Brook era il suo nome d'arte, che aveva preso quando recitava sui palcoscenici di New York. Non è lo stesso che usava per la previdenza sociale, per le trattenute fiscali e così via, ma devi ammettere che ha un tocco di classe. Il suo vero nome era William Smurple... un nome difficile da portare per un divo di Broadway.»
«O per il preside di una scuola» disse Qwilleran. «Ho sentito che sosteneva di parlare bene in giapponese. Era vero?»
«Pare proprio di sì. Una volta abbiamo avuto per un anno uno studente giapponese, in occasione di uno scambio culturale, e i due conversavano animatamente. Quindi la notizia era vera. Non mi sono mai preoccupato per la sua credibilità, anche se spesso ho contestato il suo giudizio. Per colpa sua abbiamo perso un buon bidello e un buon bidello è una perla di valore incalcolabile. Pat O'Dell faceva parte del sistema scolastico da quarant'anni. E non c'era un lavoratore più coscienzioso di lui e con una personalità più carismatica della sua. Era il consigliere degli alunni; i ragazzi correvano da lui per avere un suo parere... Potremmo definirlo una figura di nonno? Be', Hilary ha fatto un inferno quando ha saputo di questo accomodamento non ortodosso! Credo che fosse geloso della popolarità di Pat. Comunque gli ha reso la vita così difficile che il poveretto se n'è andato.»
«Dimmi dell'incidente con Toddwhistle.»
«I ragazzi da generazioni, hanno sempre messo per scherzo qualcosa sulle sedie dei professori e nelle cassette delle lettere dei presidi. Hilary ha avuto una reazione esagerata. Adesso che lui non c'è più, probabilmente daremo il diploma a Wally, se lo vorrà ancora. Ma scommetto che guadagna molto più denaro lui a impagliare animali di quanto ne guadagno io assumendo professori.»
Ordinarono la torta e Qwilleran chiese: «Con il suo talento e la sua preparazione come mai Van Brook ha scelto di vivere in luoghi remoti come Lockmaster e Pickax? Ha mai dato una spiegazione al riguardo?»
«Sì, durante il primo colloquio. Ci ha detto che aveva visto il mondo nel bene e nel male e che ora desiderava trovare un luogo tranquillo in cui studiare e meditare.»
Qwilleran pensò: potrebbe darsi che volesse fuggire da qualcuno o da qualcosa... Forse era un evaso, ricercato dalla polizia. Il suo omicida sarebbe potuto essere qualcuno di Giù in Basso che aveva voluto chiudere un vecchio conto in sospeso.
Compton stava dicendo: «Lui sosteneva di avere novantamila libri nella sua libreria. Tra i suoi interessi principali elencava l'architettura, l'orticoltura, Shakespeare e la musica barocca... aveva tre lauree.»
«Hai appurato se erano autentiche, prima di assumerlo?»
«No, gli abbiamo creduto sulla parola, sapendo che bei risultati aveva conseguito come preside a Lockmaster. E di fatto si è dimostrato così in gamba, qui a Pickax, che non lo abbiamo mai contrastato, nel timore di perderlo.»
«Be', adesso l'avete perso» commentò Qwilleran.
«Ho sentito che la polizia sta cercando il tuo costruttore e che lui se l'è battuta.»
«Lyle, se io dovessi laurearmi in scienza delle comunicazioni scriverei la mia tesi sulla fabbrica di pettegolezzi della contea di Moose. Lascia che ti dica una cosa: Dennis Hough non aveva più motivi di quanto potessimo averne noi due per uccidere quell'individuo, e si dà il caso che io sappia che è andato a trovare la sua famiglia.»
«Mi auguro che tu abbia ragione» ribatté Compton. Si accese una sigaretta, e questo diede l'opportunità a Qwilleran di accomiatarsi, di chiedere il conto e di dire che aveva un altro appuntamento. Da quando aveva deciso di smettere di fumare la pipa non riusciva più a sopportare il fumo del tabacco. E pensare che, ai tempi in cui fumava, aveva una pipa che aveva la forma di un bulldog e andava in giro affumicando ristoranti, uffici e ricevimenti con il tabacco Groat & Bodle n° 5, importato dalla Scozia, convinto di fare un favore al naso di chi gli stava vicino.
Effettivamente aveva un altro appuntamento, con Susan Exbridge, che presiedeva il comitato della biblioteca incaricato del programma di visita al Granaio di Qwilleran.
Mentre si dirigeva verso il negozio di antiquariato gli venne un pensiero raggelante. E se Dennis non fosse andato a St. Louis? Se si fosse recato da qualche meccanico fuori della contea per farsi riparare la macchina danneggiata? Oppure se la moglie del sindaco lo avesse veramente visto uscire dallo Shipwreck? Cercò di scacciare quei pensieri con un'alzata di spalle.
Il negozio di antiquariato Exbridge & Cobb sulla via principale di Pickax era di classe: le vetrine luccicanti, i caratteri dorati sui vetri, gli oggetti di mogano e ottone scintillavano sui ripiani alla luce del sole pomeridiano grazie alle solerti cure del signor O'Dell e della signora Fullgrove.
Quando Qwilleran entrò, Susan si girò, aspettandosi di vedere un cliente ma il sorriso professionale si tramutò in costernazione alla sua visita. «Oh, Qwill, hai sentito la notizia?» disse con voce tremante. «Stanno dando la caccia a Dennis e lui è scomparso.»
«Non devi allarmarti» rispose, e il suo ottimismo calò di colpo. «È andato a trovare la famiglia. Vi ho visti lasciare il party insieme. Che cosa è successo subito dopo, se posso permettermi questa domanda?»
«Mi ha accompagnato alla macchina che avevo parcheggiato dall'altra parte del vialetto, poi è andato al suo furgoncino. Non mi ha accennato alla sua intenzione di andare a St. Louis.»
«Ti offendi se ti faccio una domanda personale?»
«Be'...» cominciò un po' esitante.
«Di che cosa stavate ridendo tu e Dennis quando siete usciti?»
«Ridendo?»
«Stavate ridendo di qualcosa che dovevate conoscere solo voi due. Non intendo curiosare nei fatti tuoi, ma potrebbe esserci utile per sapere che cosa ha fatto dopo che ti ha lasciato.»
«Uh!» disse Susan ricordando l'episodio. «Nulla di particolare. Parlavamo di una battuta della Vecchia Signora che si rivolge ad Anna Bolena: dicendole "E tu, pesce freschissimo, hai la bocca piena ancor prima di aprirla". L'ultima sera l'ho recitata con una certa enfasi. Qualcuno nel pubblico ha ridacchiato. E Fran mi ha guardata come se mi volesse uccidere. Darei qualunque cosa per sapere chi è stato a ridere.»
«Mmm» fece Qwilleran. «Non sono venuto qui per farti un interrogatorio, ma per chiederti notizie sulla visita programmata a casa mia. È tutto sotto controllo?»
«C'è un problema. Dennis avrebbe dovuto darmi qualche particolare sulla ristrutturazione per consentirmi di aiutare le guide a rispondere alle domande del pubblico. Che cosa facciamo adesso?»
«Ti batterò qualcosa io a macchina. Chi sono le guide?»
«Sono membri del comitato della biblioteca e alcuni volontari.»
«Quanti visitatori vi aspettate di avere?»
«Abbiamo stampato cinquecento biglietti e li stiamo vendendo bene. La pubblicità esce domani e stiamo anche trattando per qualche spot pubblicitario alla radio.»
«Io venerdì vado via per il fine settimana. Perché non fai un salto giovedì mattina prima di aprire il negozio? Potresti ritirare la chiave e controllare se tutto è in ordine. Non preoccuparti per Dennis, Susan. Sono sicuro che si sistemerà tutto.»
Era più o meno convinto di quello che diceva fino a quando non incontrò Hixie Rice che usciva dalla banca. «Ti ho cercato, Qwill! Ero a Moose questa mattina per visitare dei clienti e ho visto la macchina di Dennis. Stavo andando a est lungo il lago. Lui era proprio davanti a me e ha svoltato per la strada che conduce alla tua proprietà. Per caso all'ingresso del capanno di tronchi hai fatto affiggere una lettera K?»
Lui annuì con aria solenne.
«Dopo che ha svoltato a sinistra sono riuscita a vederlo benissimo. Era chino sul volante e aveva un'aria orribile. Ha una chiave del capanno?»
«No, me l'ha restituita. Ho lasciato che usasse il capanno il mese scorso quando provava, perché voleva dire le battute camminando su e giù per la spiaggia.»
«Che cosa dovremmo fare secondo te?»
«Farò un salto io con la macchina per vedere se lì sta succedendo qualcosa.»
«Stai attento, Qwill» lo mise in guardia lei. «Se gli ha dato di volta il cervello, se ha una pistola e se ha già ammazzato una volta...»
«Dennis non ha pistole, Hixie. Anzi, detesta le armi. Ma gli dev'essere successo qualcosa. Vado a prendere l'auto e andrò direttamente a Mooseville.»
«Ti ci porto io. Ho la macchina proprio qui, se non ti importa di viaggiare su una carriola. L'ho presa a noleggio.»
La strada per Mooseville, che distava una quarantina di chilometri di lì, era quasi un rettilineo e Susan viaggiava veloce superando di parecchio i limiti consentiti. In quel periodo dell'anno c'era poco traffico. La stagione turistica era finita e mancava un bel po' a quella della caccia. La strada passava attraverso un passaggio desolato, devastato a causa del taglio degli alberi che veniva effettuato all'inizio della stagione e delle operazioni di scavo. Anche se splendeva il sole, lo scenario era tetro, e così pure la conversazione.
«Se è nei guai» disse Qwilleran «perché non si è confidato con me? Pensavo fossimo buoni amici.»
«Anch'io lo pensavo. Mi era quasi venuta l'idea di lasciare il Something e di mettermi in società con lui. Avrei potuto stilare i contratti e ottenere pubblicità.»
Giunsero sulla riva del lago dove i cottages dei vacanzieri sulla spiaggia avevano un che di abbandonato. Qwilleran disse: «Devi svoltare alla prossima curva. Rallenta.»
«Mi sto innervosendo!» dichiarò Hixie.
La lettera K, affissa a un palo, segnava l'ingresso alla proprietà Klingenschoen. E il vialetto privato si snodava in mezzo a folti di alberi e lungo una successione di dune fino a sbucare in una radura.
«Non c'è nessuno» osservò Qwilleran. «È qui che avrebbe dovuto parcheggiare.»
Tuttavia trovarono impronte di copertoni sul terreno molle e sulla spiaggia, ai piedi della duna, c'erano anche impronte di piedi che la sabbia e la risacca non avevano ancora cancellato. Quanto al capanno, chiuso per la stagione, sembrava deserto.
«Se è davvero in fuga, probabilmente dorme in macchina» disse Qwilleran. «Conosci bene la direttrice del Villaggio indiano?»
«Abbiamo un buon rapporto, ed è sulla mia Usta per i regali che faccio a Natale.»
«Potresti farti dare la chiave dell'appartamento di Dennis?»
«Potrei inventarmi qualcosa, per esempio che lui è fuori città e che mi ha telefonato pregandomi di andare a prendergli dei documenti dalla sua scrivania.»
«Come pretesto mi sembra abbastanza buono.»
Al Villaggio indiano c'erano otto appartamenti in ogni edificio a due piani, con un atrio d'ingresso centrale collettivo. Hixie condusse Qwilleran nel proprio appartamento e poi lo lasciò per andare dalla direttrice. Ritornò con la chiave.
«Secondo me» le disse il giornalista «Dennis è tornato dalla festa domenica alle prime luci dell'alba e deve aver trovato un messaggio sulla segreteria telefonica, oppure qualcosa nella posta che l'ha convinto a partire immediatamente. Per essere stato indotto a scappare e a starsene nascosto in macchina dev'essersi trattato di una faccenda seria, magari una minaccia.»
Entrarono nell'appartamento di Dennis con molta circospezione e si diressero subito verso la scrivania, il cui ripiano era ingombro di carte che avevano a che vedere con la ristrutturazione del granaio. C'era tutta una serie di moduli rossi o gialli per l'ordinazione di barattoli di vernice e per i chiodi. Il tutto elencato meticolosamente. L'unica corrispondenza recente era una bolletta telefonica che non era stata aperta. Poi Qwilleran premette il pulsante di ascolto della segreteria telefonica.
Dopo aver sentito il primo messaggio estrasse il registratore tascabile che portava sempre nella giacca insieme con le chiavi.
«Dobbiamo registrare questa roba» disse. «Voglio farla sentire a Brodie. Ma non farti sfuggire una sola parola di questo con nessuno, Hixie. E adesso torniamo in città.»

Hixie lo accompagnò al parcheggio del teatro e Qwilleran tornò a casa a piedi, varcando il cancello di ferro e attraversando il bosco. Nell'avvicinarsi alla casa vide una macchina parcheggiata davanti all'ingresso di servizio. Era quella di Dennis, e affrettò il passo con un senso di sollievo che si alternava all'apprensione.
La porta dell'ingresso di servizio era aperta come lui si era aspettato. Dennis sapeva dove trovare la chiave. Raggiunta la cucina, gridò in tono allegro: «Ehi, c'è qualcuno?» L'unica risposta furono uno strillo violento e un miagolio gutturale provenienti dal piano di sopra. Quella mattina, turbato per la sensazione spiacevole di premonizione, aveva chiuso i siamesi nella loro stanza. La cacofonia che proveniva da lassù gli fece raggelare il sangue. Trattenne il respiro, a un tratto consapevole della presenza della morte. Si avviò verso il centro del locale e lentamente, sistematicamente, esaminò lo spazioso ambiente.
Il sole pomeridiano entrava dalle alte finestre a occidente, formando triangoli di luce sui tappeti. Sulle pareti e sul cubo bianco che era il camino, su un triangolo di luce, c'era un'ombra verticale: l'ombra di un corpo che penzolava da una trave del soffitto.

6

Dennis Hough, ideatore della spettacolare ristrutturazione del granaio e beniamino del Club del Teatro, si era introdotto in casa martedì pomeriggio servendosi della chiave nascosta. Poi era salito al piano superiore, aveva lanciato una corda su una trave e si era lanciato dalla balaustra.
Fu Brodie in persona a rispondere allorché Qwilleran, dopo aver fatto la scoperta, chiamò la polizia. Il capo si precipitò subito lì e tuonò: «Che cosa ti avevo detto? Che cosa ti avevo detto? È stato lui ad ammazzare Van-Brook. Non è riuscito a vivere con quel rimorso!»
«Ti sbagli, invece» protestò Qwilleran. «Lascia che ti faccia ascoltare una registrazione. Dennis è arrivato a casa sua domenica mattina alle prime luci dell'alba, dopo che è venuto via dalla festa, ha sentito i messaggi sulla segreteria telefonica ed ecco quello che ha udito. Subito dopo si sentì una voce femminile dal tono cattivo e vendicativo.»
"Non tornare più a casa, Dennis... mai più. Ho chiesto il divorzio. Ho trovato qualcuno che sarà un buon padre per Danny e un buon marito per me. Danny non ne vuol più sapere di te. Non c'è nulla che tu possa fare o dire in merito. Quindi non telefonarmi. Rimani pure al nord e divertiti."
Qwilleran chiese: «Vuoi riascoltarlo?»
«No» rispose Brodie. «Come hai fatto ad avere questo nastro?»
«Io potevo entrare nel suo appartamento proprio come lui poteva entrare nel mio. Ho trovato il messaggio questo pomeriggio e l'ho registrato per smontare la tua teoria. Dennis non sapeva di essere sospettato e forse neppure dell'omicidio di Van Brook. Era sconvolto per la sua tragedia personale.»
Brodie bofonchiò qualcosa e si pizzicò il mento. «Bisognerà dare la notizia alla moglie.»
«Sono disposto a farlo io» dichiarò Qwilleran, che si vantava di avere un suo stile personale nel comunicare notizie luttuose ai parenti delle vittime e nel consolarle. Formò il numero che si fece dare dal centralino telefonico e quando udì una voce femminile all'altro capo del filo disse, con quel caratteristico tono che esprimeva sincerità e preoccupazione: «Parlo con la signora Hough?» Il fatto di aver pronunciato il nome nel modo corretto costituì un punto a suo favore.
«Sì.»
«Sono Jim Qwilleran, un amico di suo marito. Chiamo da Pickax.»
«Non voglio parlare con nessun amico di quel bastardo» urlò la donna, e sbatté il ricevitore sulla cornetta.
Lui sussultò. «Hai sentito, Andy?»
«Dammi il telefono.» Brodie compose lo stesso numero e quando ebbe risposta disse in tono freddo e autorevole: «Qui è la polizia. Suo marito è morto, signora Hough. Suicidio. Ci servono le sue disposizioni riguardo al cadavere... Grazie, signora.»
Quando ebbe finito si girò verso Qwilleran. «Non ti ripeterò quello che ha detto. Il succo del suo discorso è che possiamo farne quello che vogliamo. Non desidera avere nulla a che fare con il marito, né vivo né morto.»
«Si occuperanno di tutto gli amici del Club del Teatro. Chiamerò Larry Lanspeak.»
«Porto via il nastro» dichiarò il capo della polizia. «Mi raccomando, non una parola su questo. Hough non è mai stato ufficialmente indiziato, quindi non c'è alcun bisogno di smentire che si sospettava di lui. Lascia che la gente pensi quello che vuole, noi andremo avanti con le nostre indagini.»
Mentre la scientifica e il medico legale si davano da fare, Qwilleran informò una persona del suicidio: si trattava di Hixie.
«Lo sentirai al notiziario delle sei. Dennis si è tolto la vita.»
Aspettò che il pianto isterico all'altro capo del filo si calmasse e aggiunse: «Non parlare del messaggio che abbiamo trovato sulla segreteria con nessuno. Questi sono ordini di Brodie. Quando si troverà l'assassino, Dennis sarà scagionato.»
Alle sei un breve annuncio sulla stazione radio locale, la WPKX, diede la notizia: "Un impresario edile, Dennis Hough, trent'anni, residente a St. Louis, Missouri, è morto improvvisamente oggi in un... ex granaio di Pickax... da lui ristrutturato di recente. Non si conoscono... particolari al riguardo. «Il nome del defunto fu pronunciato Huck. Lì al nord "morto improvvisamente" era un eufemismo che stava per suicidio.»
Qwilleran non volle nemmeno pensare all'angoscia che aveva dovuto precedere il gesto disperato del suo amico. Si disse: se io fossi stato in casa avrei potuto impedirglielo... Anche lui in passato aveva visto distrutta la propria vita, sapeva quale choc si prova per un matrimonio fallito, il dolore che provocava l'abbandono, il senso di colpa, di fallimento e di disperazione... Saltò la cena: il solo pensiero del cibo gli dava la nausea. Diede invece da mangiare ai siamesi nel loro appartamento. Koko si era reso conto che doveva essere successo qualcosa di inconsueto ed era fermamente intenzionato a fuggire dalla stanza per indagare, ma Qwilleran lo riportò indietro con un placcaggio al volo.
Mise in funzione la segreteria telefonica, perché non aveva voglia di sentire pettegolezzi e domande curiose. Poi si chiuse nello studio, per non vedere le travi del soffitto, il camino a forma di cubo e le finestre triangolari. Cercò di concentrarsi nelle pagine di un libro. Quanto più si immergeva nella biografia di Backhouse tanto più aveva l'impressione che la vita del misterioso Van Brook doveva essere altrettanto affascinante. Il mistero della personalità e del passato di quell'uomo, che si scoprisse o meno la verità su di lui, sarebbe stato reso ancor più drammatico dopo la sua morte violenta. La ricerca dell'assassino, sviata da falsi sospetti, avrebbe aggiunto un'ulteriore carica di suspense.
Quella notte si scatenò un violento temporale: raffiche di vento provenienti dal Canada spazzarono la superficie del grande lago e si unirono alla pioggia battente per sferzare i meli marcescenti. Quando venne il mattino, il giardino era distrutto e il sentiero Trevelyan era diventato un nastro di fango.
Qwilleran chiamò il servizio giardinaggio e chiese che gli mandassero gli addetti alla pulizia e vagonate di ghiaia.
Poi fece una doccia e si rasò in fretta. Diede il cibo ai gatti senza troppe cerimonie. Era mercoledì e sperava di riuscire a sfuggire all'energica signora Fullgrove che stava per arrivare a pulire, a spolverare, a passare l'aspirapolvere, la cera e a fare la sua conferenza settimanale. Questa settimana sicuramente l'argomento principale sarebbe stato l'omicidio-suicidio, in aggiunta alla consueta tirata sull'abbondanza di peli felini sparsi dappertutto. Riuscì a evitarla ed ebbe addirittura il tempo di concedersi un caffè e una brioche al bar di Lois prima di presentarsi all'ingresso di servizio dello studio di design di Amanda.
Fu accolto da una donna sconvolta. «Papà mi ha detto quello che è successo» disse Fran tra i singhiozzi. «Non ha voluto darmi altre spiegazioni ma, a quanto sostengono tutti, questo significa che è stato Dennis a uccidere Van Brook.»
Qwilleran ribatté in tono irritato: «Quello che si dice, si pensa, si sente, si sa o si crede a Pickax non mi interessa, Fran.»
«Io so quello che provi, Qwill. Anch'io sono disperata. Dennis e io abbiamo lavorato così bene a ristrutturare la tua casa... Sentirò la sua mancanza.»
«Larry sta organizzando i funerali. Ci sarà una funzione privata nella cappella dei Dingleberry per pochi amici, poi verrà sepolto vicino a sua madre.»
Fran domandò: «Qual è stata la reazione di Polly?»
«Non ne ha parlato» le rispose.
«Voi due andate sempre d'amore e d'accordo?» gli chiese con aria preoccupata.
«Perché me lo chiedi?» ribatté lui bruscamente.
«Be', sai, lei non era... sabato sera non è venuta al Granaio e qualcuno mi ha detto di averti visto da Tipsy con un'altra donna.»
Qwilleran si lisciò irosamente i baffi. «Basta così. Dove sono gli scatoloni? Quanti devi consegnarne? Carichiamo il furgone.»
Durante il breve tragitto verso il Goodwinter Boulevard, Fran gli disse: «I vicini di Hilary avranno già tirato fuori i cannocchiali. Penseranno che sto svaligiando la casa di un morto.»
«E a quanto mi risulta, spiare è il passatempo preferito a Pickax.»
«E quello che sai non è niente. Ci sono due ficcanaso che passano la vita a spiare il prossimo, a curiosare e a spettegolare. Ma se le incontri davanti all'ufficio postale sembrano innocenti di tutto.»
«Chi sono?»
«Ti darò un paio di dritte» gli rispose Fran con aria scherzosa. «Una porta un berretto di plastica per la pioggia anche quando splende il sole e l'altra chiama tutti "Cuoricino mio".»
«Grazie di avermi avvertito» disse Qwilleran. «Hilary era un buon cliente?»
«Non comperava granché, ma gli piaceva venire allo studio a guardarsi attorno e a dirci cose che sapevamo già. Si considerava un'autorità su tutto. Una volta ha comperato una lampada e l'anno scorso gli abbiamo rivestito una poltrona, ma i paraventi sono la prima grossa ordinazione che ci ha dato.»
«Suppongo che tuo padre abbia un mandato di perquisizione e sia già entrato in quella casa.»
«Non lo so.»
«Lo sa che devi consegnare della merce lì?»
«No, ma Cuoricino Mio farà sì che lui lo scopra. In realtà Qwill, papà e io non siamo in buoni rapporti, da quando sono andata a vivere per conto mio.»
«Mi dispiace.»
Fran parcheggiò sul retro della casa ed entrambi cominciarono a scaricare dal furgone. L'interno della casa era simile ad altri interni di Goodwinter Boulevard: stanze grandi e quadrate con alti soffitti collegate ad ampie arcate; pesanti infissi in legno verniciati di scuro, un'imponente scala ad ampie volute con la balaustra decorata. Finestre alte e strette. Ma invece dei soliti mobili ereditati di padre in figlio e delle elaborate tappezzerie alle pareti, le stanze principali avevano muri intonacati di bianco e l'arredamento era sobrio: stuoie e fatami per terra, tavolini orientali bassi e cuscini sparsi sul pavimento. C'erano alcuni oggetti di porcellana, due pergamene giapponesi e un paravento pieghevole sul quale erano raffigurati dei cavalli dai quarti posteriori poderosi. L'unica nota stonata erano i pesanti tendaggi che soffocavano le finestre.
Fran gli spiegò: «Hilary aveva deciso di sostituire le tende con dei paraventi shoji per avere luce, oltre che privacy. Era molto riservato sul proprio stile di vita.»
Come poteva vivere in questo modo? «Qwilleran aveva bisogno di abitare in locali con comode e ampie poltrone e con sgabelli dove tenere i piedi sollevati.»
«Penso che dormisse sul pavimento, su un futon, ma diceva di avere uno studio di sopra, oltre che delle stanze per i libri e per i suoi hobby.»
«Hobby?» Qwilleran si mise ad arzigogolare in modo sfrenato. «Posso dare un'occhiata attorno?»
«Certo, fai pure. Intanto io aprirò gli scatoloni e sistemerò i paraventi. Sono stati fatti tutti su misura, sai? Qui si parla di diecimila dollari e sa Dio quanto dovremo aspettare per incassarli!»
«Il giornalista salì lentamente l'imponente scala pensando ai novantamila libri ai quali aveva accennato Compton. Si chiese se la collezione includesse la Città del Crimine Fraterno e si chiese anche se i libri fossero catalogati. Ma quando cominciò ad aprire una porta dopo l'altra le sue speranze svanirono: i libri non erano mai stati sballati.»
Passò di stanza in stanza e trovò centinaia di scatoloni pieni di volumi, tutti sigillati. Quanto meno, la scritta sul cartone diceva che si trattava di libri.
Una sola stanza era sufficientemente organizzata per contenere dei ripiani, e questi ricoprivano le quattro pareti. Evidentemente quello era lo studio del preside, perché c'erano una scrivania, una poltrona, una lampada da lettura e un complesso stereo. Come i volumi sugli scaffali, essi riflettevano i gusti estetici di Van Brook. Filosofia orientale, drammi elisabettiani, architettura, arte orientale, abiti del XVIII secolo, cucina cantonese, botanica ma nessun libro che riguardasse il crimine urbano.
Il ripiano della scrivania di quella stanza-rifugio appariva eccessivamente ordinato e rispecchiava lo stile giapponese del pianoterra. Un tagliacarte di ottone a forma di drago era collocato in parallelo al portapenne di onice. Il telefono era a filo col bordo sinistro della scrivania, mentre a filo con quello destro c'era una scatola, pure di ottone, chiusa a chiave.
Al centro esatto spiccava una cartella nuova da scrittoio sulla quale stava una grossa pila di lettere. Evidentemente erano arrivate ed erano state aperte il sabato, erano state lette e infilate di nuovo nelle buste.
Nella stanza c'era un silenzio ovattato. Si udivano i passi di Fran dal basso e, di tanto in tanto, il rumore di uno scatolone che veniva strappato. Con noncuranza, ma con l'orecchio all'erta a quanto stava accadendo al piano di sotto, Qwilleran esaminò la corrispondenza. C'erano bollette del gas e della luce, offerte di abbonamenti a riviste e una polizza d'assicurazione automobilistica. Rimase deluso di non trovare alcuna minaccia di morte. La sua curiosità fu attratta da una piccola busta scritta affrettatamente a mano, che riportava sul lato sinistro un indirizzo: F. Stucker, 231 Four Street, Lockmaster. Quando fu sicuro che Fran sarebbe stata completamente assorbita dai paraventi ancora per un po', sfilò con circospezione la lettera dalla busta e cominciò a leggere:

Caro signor Van Brook,
la ringrazio molto per i 200 dollari. Non mi aspettavo che lei mi pagasse la benzina. È stato gentile da parte sua chiedermi di recitare nel suo spettacolo. Ma certo quel denaro mi è utile. Ho dovuto comperare degli stivali nuovi per Robbie. Quindi, la ringrazio di nuovo.

Fiona.

«Duecento dollari!» bisbigliò Qwilleran agli scaffali pieni di libri che lo attorniavano. «Quell'imbroglione ci ha mangiato su cinquecento dollari! Che i furtarelli fossero uno dei suoi hobby? Provò ad aprire i cassetti della scrivania, ma erano tutti chiusi a chiave.»
Poi, mentre rimetteva con cura la lettera nella busta, udì nel silenzio ovattato un curioso ronzio. Prima non lo aveva sentito. Gli parve che provenisse dal fondo del pianerottolo. Uscì dalla stanza e procedette per il corridoio. In fondo una luce rosata filtrava da sotto una porta. Vi si avvicinò cautamente, l'aprì e guardò all'interno del locale. Il ronzio proveniva da un trasformatore; il soffitto era ricoperto da un'intera batteria di luci rosa che un timer aveva appena acceso.
Sotto le luci c'erano dei lunghi tavoli sui quali erano collocati dei vassoi pieni di piante, come in una serra, che però stavano cominciando ad appassire. Evidentemente nessuno le aveva innaffiate dall'ultimo giorno di vita di Van Brook. Che cos'erano? Lui non era un orticoltore, ma sapeva che non si trattava di Cannabis sativa. In mezzo al verde spiccavano dei fiori purpurei. Fregò una foglia tra pollice e indice, poi si annusò le dita: non avevano il minimo odore. Spezzò un rametto e se lo mise nella tasca della camicia, pensando di darlo a Koko perché lo annusasse.
«Bene, Qwill» lo chiamò Fran dal corridoio. «Ho fatto quello che dovevo fare, andiamocene.»
Mentre si allontanavano in macchina, con gli scatoloni vuoti nel retro del furgoncino, lei disse: «Be', che ne pensi della casa?»
«A dir poco esoterica. Se gli esecutori testamentari metteranno in vendita i libri, vorrei esserne informato. Che piante sono quelle che coltiva di sopra?»
«Non ho mai visto piante. Non sono mai stata invitata a salire. Quando sono venuta a prendere le misure per i paraventi, mi offriva una tazza di tè e sedevamo a gambe incrociate sui cuscini per terra. Spero proprio che Amanda possa ricevere il denaro per quei paraventi.»
«Amanda non permette a nessuno di truffarla, vivo o morto che sia...»
«Sei in grado di sentire anche una buona notizia?» gli chiese poi. «I tuoi arazzi sono arrivati e possiamo applicarli domani in tempo per l'apertura ufficiale delle visite al pubblico.»
«Come sono?»
«Non ho ancora aperto l'imballaggio e questa suspense mi uccide, ma aspetterò a guardarli dopo che te li avrò consegnati.»
«Ti serve aiuto?»
«No. Porterò Shawn, il mio operaio: più muscoli che cervello, ma quello che fa lo fa bene.»
«Come li applicherai?»
«Con delle strisce adesive di tessuto. Ti va bene se veniamo verso le cinque del pomeriggio?»
Fran faceva sempre le sue visite di lavoro a casa di Qwilleran nel tardo pomeriggio, costringendolo a offrirle un aperitivo e, di conseguenza, a invitarla a cena. Come faceva Van Brook a cavarsela con una tazza di tè? Non che Qwilleran avesse qualcosa da ridire sul fatto di cenare con la sua designer. Lei era una buona compagnia, ma Polly disapprovava.
Fran lo lasciò al negozio di Scottie, che gli fece provare un abito blu scuro. Qwilleran sarebbe stato uno dei portatori della bara ai funerali di Dennis e gli era venuto in mente, troppo tardi, che avrebbe dovuto optare per un abito scuro invece di ordinare la giacca da sera per il ricevimento dopo la corsa a ostacoli. Si chiedeva se Scottie se la sarebbe ripresa. Lo infastidiva comperare due cose quando una bastava. Tuttavia aveva deciso di non proporglielo. Durante la prova Scottie aveva voglia di parlare del suicidio, ma Qwilleran lo scoraggiò facendo un'espressione accigliata e dandogli risposte secche.
La successiva fermata la fece al Moose County Something e quando entrò nell'ufficio di Archie Riker questi scattò in piedi. «Qwill, dove diavolo sei stato? Ho sentito la novità alla radio, ieri sera, e ho cercato di raggiungerti. Perché non mi hai chiamato? Oggi pubblicheremo la notizia titolandola "Morte improvvisa", ma nessuno alla polizia ha voluto parlare con noi. Che cos'è successo?»
«Non lo so» rispose Qwilleran.
«Questo significa che il caso Van Brook è chiuso?»
«No, non significa questo. Assolutamente no.»
«Che cosa ti fa sentire tanto sicuro? Hai captato delle vibrazioni da Koko?» domandò in un tentativo di umorismo.
«La polizia ha prove in questo senso. È tutto quello che posso dire. E non chiedermi come lo so. Ma vorrei darti un suggerimento, Archie.»
«Sentiamo.»
«Credo che dovresti pubblicare quell'articolo che ti ho proposto: "Un crimine è un crimine! Si offre una ricompensa di cinquantamila dollari a chi darà informazioni sull'omicidio". Questo farà zittire le voci che danno Dennis come indiziato e potrebbe aiutare Brodie. La cifra la stanzierà la Fondazione K.»
«Diamo il nome del benefattore?»
«No. Mantieni l'anonimato. Quando puoi far uscire la notizia?»
«Venerdì.»
«Bene. Io non ci sarò. Vado a Lockmaster per il fine settimana, per vedere una corsa a ostacoli.»
«Sei fortunato. Ho sentito dire che è uno spasso.»
Dato che era troppo presto per tornare a casa, poiché la signora Fullgrove doveva essere ancora lì intenta a spazzare, a pulire e a lustrare freneticamente, Qwilleran decise di andare in biblioteca a riferire a Polly dei propri progetti per il fine settimana. Non la vedeva e non le aveva più parlato da due giorni, da quando quella telefonata misteriosa le aveva fatto arrossare le guance e scintillare gli occhi.
Nell'atrio della biblioteca la citazione del giorno era: il male che gli uomini fanno sopravvive loro. Il bene viene spesso sepolto con le loro ossa. Le impiegate lo salutarono con solennità confacente alla situazione. Mentre cominciava a salire la scala che portava al piano rialzato, una di loro gli disse: «Lei non c'è, signor Q.»
«È andata dal parrucchiere» spiegò l'altra.
«Vado su solo per dare un'occhiata ai giornali» dichiarò lui.
Sul tavolo, nella sala da lettura, c'era una copia del Lockmaster Logger, una pubblicazione fondata ai tempi in cui lì si commerciava legname, più di un secolo prima. Tiratura: undicimilacinquecento copie. Direttore: Kipling MacDiarmid.
La prima pagina del Logger era dedicata alle notizie sulla corsa a ostacoli. Cinque corse, con un premio complessivo di settantacinquemila dollari, preceduto dalla corsa dei cani, dalla sfilata dei carri e da un concerto eseguito dalla banda musicale delle scuole superiori di Lockmaster. C'erano ancora alcuni spazi di parcheggio lungo la strada, al prezzo di cento dollari, però in ogni macchina potevano entrarci tutte le persone che ci stavano. Seguivano informazioni sui cavalli, sui proprietari, sugli allenatori e sui fantini che avrebbero partecipato alla corsa, oltre a notizie utili su che cosa bisognava indossare per l'occasione e su che cosa bisognava portarsi appresso nel cestino da picnic.
Allorché udì il rumore smorzato delle scarpe, che Polly con molto buon senso portava basse per non disturbare i lettori quando era in biblioteca, Qwilleran posò il giornale e subito dopo i loro sguardi si incontrarono. Lei appariva elegante, ma nei suoi occhi non c'era più la luce di giovanile esuberanza che glieli aveva illuminati il giorno dopo il lungo brunch al Palomino Paddock.
Polly si avvicinò subito al suo tavolo. «Qwill, sono molto dispiaciuta per Dennis» disse a bassa voce. «Tu devi essere particolarmente addolorato.»
«Moltissime persone lo sono, Polly.»
«Suppongo si possa presumere che Dennis... che il caso Van-Brook ora sia chiuso» continuò lei, sedendosi al tavolo.
«Io non presumo nulla; quello che so è che la contea di Moose ha perso un bravo costruttore e un attore di talento.»
«Per certa gente di Pickax il preside era un tale mascalzone che Dennis potrebbe diventare un eroe popolare... Stai leggendo il Lockmaster Logger? Che cosa te ne pare?» Quando pronunciò il nome della città il suo viso si illuminò.
«Nell'impaginazione è più conservatore del Something, ma ha un approccio più cordiale.» Ho sentito dire che Lockmaster è una città cordiale... Tu l'hai trovata cordiale? «Nel ripetere la parola la guardò con espressione allusiva.»
Per una frazione di secondo gli occhi di Polly si oscurarono un poco. «Ho trovato tutti molto cordiali e ospitali.» Poi aggiunse in tono allegro: «Ti andrebbe di combinare qualcosa di eccitante per questo fine settimana? Vorresti fare un po' di birdwatching nei terreni paludosi vicino a Purple Point?»
Quello era il momento di Qwilleran. «Mi piacerebbe, sì, ma sarò a Lockmaster per la corsa dei cavalli. Ero venuto a dirti proprio questo. Ho avuto un invito dai Bushland. Starò via tre giorni.»
«Oh, davvero?» esclamò lei, senza riuscire a celare del tutto la delusione. «Non mi avevi mai detto che i cavalli ti interessano.»
«Io sono soprattutto interessato alla gente che si interessa ai cavalli. Forse ci troverò del materiale per la mia rubrica.»
«Dovrò dare da mangiare io a Koko e Yum Yum in tua assenza?»
«Le due altezze reali sono invitate ad accompagnarmi per farsi fotografare da un mago della fotografia.»
«Fantastico!» dichiarò lei senza troppo entusiasmo. «Quando parti?»
«Venerdì, dopo i funerali.»
«Perché non vieni da me domani sera a cena? Potrei preparare del pollo farcito.»
«Mi farebbe piacere, ma Fran viene a portarmi gli arazzi alle cinque e non so quanto durerà tutta l'operazione e se insorgeranno complicazioni.»
Polly si irrigidì e trasse un respiro profondo, come faceva sempre quando veniva messa faccia a faccia con il suo demone personale. Si alzò di scatto. «Bene, ci vediamo al tuo ritorno.»
Qwilleran si avviò lentamente verso casa. Gli eventi della mattinata avevano rafforzato la sua decisione di scrivere una biografia sull'uomo misterioso della contea di Moose. Sarebbe stata una ricerca monumentale. Per prima cosa avrebbe dovuto cercare negli archivi di Lyle Compton la scheda sul preside defunto. Era sicuro che i genitori e gli insegnanti di Pickax e di Lockmaster sarebbero stati entusiasti di collaborare. Il legale di Van Brook avrebbe sicuramente concesso di buon grado un'intervista e poi c'era Fiona Stucker, i cui rapporti con il defunto avrebbero di per sé costituito una storia succosa. Sarebbe stato necessario indagare presso le università che avevano rilasciato le lauree e consultare l'archivio del Sindacato attori a New York. Quella sfida esaltava Qwilleran. Era portato a curiosare ed era abilissimo nel cavare informazioni da soggetti timidi o riluttanti.
Ricordò la lettera scritta da Fiona Stucker. Se Van Brook era stato capace di sottrarre poche centinaia di dollari al Club del Teatro, forse c'era un elenco di altri misfatti, piccoli o grandi, qualche tentativo di appropriazione indebita, una qualche astuta frode finanziaria, oppure un'evasione fiscale ben riuscita. Era il tipo dotato di sufficiente faccia tosta e del cervello giusto per portare avanti questo genere di operazioni. Sarebbe stato attratto dalla possibilità di rubare tesori d'Oriente, sia dal punto di vista intellettuale sia da quello estetico. Che cosa c'era nelle centinaia di scatoloni al primo piano di quella sua casa arredata in modo così strampalato?
Man mano che si avvicinava al Granaio poteva udire sempre più distintamente i miagolii di saluto dei gatti. Questo gli fece venire in mente un'altra domanda: la sera della festa, quando Koko fissava con tanta concentrazione la testa di Van Brook, lo aveva fatto perché aveva intuito che era una persona poco raccomandabile? Un mascalzone? Per quanto quest'idea potesse sembrare assurda, non era al di sopra delle notevoli capacità di quel felino. D'altro canto Qwilleran dovette ammettere che c'era anche la probabilità che Koko si fosse messo a fissare i capelli del regista perché si era reso conto che si trattava di un parrucchino.

7

Giovedì mattina Qwilleran uscì ancora semiaddormentato dalla sua stanza da letto al piano di sopra e udì il familiare richiamo dell'uccello: "Chi è? Chi è?" «Domanda azzeccata!» bofonchiò, mentre scendeva barcollante giù per la scala a chiocciola e raggiungeva la macchinetta automatica per il caffè. «Che ne diresti di darci qualche risposta?» Schiacciò un pulsante e sentì il rumore rassicurante dei chicchi del caffè che venivano macinati. Uno dei suoi timori costanti era quello di ritrovarsi un giorno o l'altro in cucina davanti alla macchinetta fuori uso.
Gli pervenne alle orecchie un miagolio imperioso: giungeva dal piano più alto della casa. Salì la scala per liberare i siamesi dalla loro prigionia. Yum Yum emerse dalla stanza con andatura tranquilla, consapevole del proprio incedere da principessa; Koko invece balzò giù per la scala sino al piano sottostante poi fece un volo atterrando sui cuscini di una poltrona al pianoterra. Di lì si avventò verso la vetrata per salutare il suo amico di fresca data. Rimase per qualche momento assolutamente immobile, agitando la punta della coda, mentre il piccolo cardinale rosso girava il capino di lato per prendere visivamente contatto con lui. Di lì a poco sopraggiunse il furgone della spazzatura a spargere ghiaia sul vialetto e l'uccello volò via alla ricerca di un ambiente più consono alle sue esigenze.
Qwilleran scongelò una brioche per sé, diede ai siamesi il roast-beef preso dal negozio di Delicatessen, con contorno di Roquefort, cacciò degli indumenti e degli asciugamani nella lavabiancheria, dopo di che si fece una doccia e la barba appena in tempo per accogliere Susan Exbridge che arrivò al volante della sua automobile ultimo modello dalla linea aerodinamica.
«Oh, Qwill, sono proprio distrutta!» esclamò, entrando in casa e lasciandosi cadere nella prima poltrona che vide. «Dennis era così caro! Come ha potuto buttar via la sua vita? Perché lo ha fatto?»
«C'è più di quanto non appaia dietro questa storia. Posso offrirti un caffè?»
«Non potresti metterci anche qualcosa che mi tiri un po' su?»
«Come... del rum?»
Lei annuì con espressione grata.
«Bene, Susan, spiegami come farai a gestire l'affollamento, sabato.»
Susan bevve qualche sorso di caffè corretto, aprì la valigetta e cominciò a spuntare le varie voci su un foglio. «Sui biglietti ci sono le istruzioni per usare i parcheggi in Main Street, quello del teatro, quello del tribunale e quello della chiesa: ci siamo messi d'accordo in merito con chi di dovere.»
«Supponiamo che qualcuno decida di imboccare il sentiero Trevelyan per evitare l'ingorgo sulla strada principale.»
«Il sentiero è riservato alle guide che accompagnano i gruppi e l'ingresso sarà bloccato. I cartelli segnaleranno ai visitatori il percorso attraverso il bosco per raggiungere l'ingresso centrale. All'interno ci saranno passatoie di tela cerata per proteggere il pavimento. Cordoni di recinzione impediranno alla gente di calpestare i tappeti. Potrà accedere all'interno solo un numero limitato di persone alla volta.»
«Ma andranno anche di sopra? Non vorrei che ficcassero il naso in camera mia.»
«No, sarà vietato salire per le scale e i gruppi dovranno limitarsi a visitare il pianoterra e uscire dalla porta di servizio. Le guide non permetteranno a nessuno di sostare più del dovuto e sarà proibito scattare fotografie.»
«E tuttavia dovranno pagare cinque dollari?» chiese lui, sbalordito.
«I biglietti sono esauriti e avremmo potuto venderne molti di più. Dopo sabato sera c'è stata improvvisamente una grande richiesta. La biblioteca incasserà duecentocinquanta dollari. Polly è assolutamente estasiata.»
Qwilleran sapeva che la direttrice della biblioteca estasiata non lo era mai. Poteva essere soddisfatta o moderatamente contenta o addirittura blandamente felice, ma estasiata mai. L'enfasi volutamente sarcastica che Susan aveva posto nel pronunciare quella parola mirava a ricordargli in modo sottile che le due donne mantenevano rapporti di lavoro ma non erano affatto amiche.
«Ti sei organizzata molto bene» si complimentò Qwilleran con lei. «Eccoti le chiavi delle porte d'ingresso e del retro. Tienile tu dopo la visita e verrò a riprenderle al negozio la settimana prossima.»
Una donna bella e interessante, si disse mentre la guardava allontanarsi, più elegante di Polly ma troppo aggressiva e melodrammatica per i suoi gusti. Inoltre, non si dava mai la pena di starsene seduta a leggere un libro.
Nel pomeriggio si presentò un'altra visitatrice, mentre lui stava leggendo ai siamesi le disoneste gesta di sir Edmund Backhouse. Cullati dal suono cantilenante della sua voce i gatti erano distesi con aria sognante in posizione di totale rilassamento quando un rumore che orecchie umane non avrebbero individuato li mise di colpo all'erta. Le orecchie ritte, la testa sollevata, il collo teso, i corpi eretti sulle quattro zampe, i fianchi pronti allo scatto, si avventarono verso la porta d'ingresso come se dovessero accogliere un carico di aragoste fresche. Qualche minuto dopo Qwilleran sentì a sua volta quello che loro avevano sentito: il rombo di un motore che aveva bisogno di una revisione.
Era la macchina d'annata di Lori Bamba, la sua segretaria part-time e consulente per tutti i problemi riguardanti i felini. Aveva lunghi capelli biondi pettinati a treccia e legati con dei nastri e i siamesi, alla vista di quelle due invitanti appendici, cadevano in uno stato ipnotico di ammirazione. L'accoglievano sempre con entusiastici giri e strofinii attorno alle caviglie.
«Che piacevole sorpresa, Lori!» esclamò Qwilleran facendola accomodare in casa. Il marito di solito veniva a consegnargli la corrispondenza che lei gli aveva battuto a macchina e a prendere quella della settimana successiva.
«Nick mi ha detto che hai fatto miracoli col granaio! E allora sono venuta a vedere di persona. Scommetto che i gatti sono entusiasti di tutte quelle scale e di quei corridoi.»
«Posso farti fare un giro della casa... La visita da cinque dollari del sabato limita al pianoterra i gruppi di visitatori, tu, in quanto amica intima di Koko e di Yum Yum, sei autorizzata a salire e a visitare il loro loft.»
«Prima lascia che ti dia la tua corrispondenza. Hai quarantasette lettere da firmare, su quelle meno personali ho falsificato la tua firma e quelle mandate dai soliti matti sono state buttate nel cestino della carta straccia.»
Salirono le scale, seguiti dai siamesi che si muovevano con la coda eretta. Poi ridiscesero. Non appena Lori si fu seduta, i due gatti andarono ad accoccolarsi sulle sue ginocchia.
Qwilleran disse: «Vorrei riuscire a mettere il guinzaglio a Yum Yum. Con Koko non è un problema, è lui che porta me al guinzaglio.»
«Mettile l'imbracatura in casa per darle modo di abituarsi a sentirsela addosso» gli consigliò. «E, Qwill, ti rendi conto di avere l'ambiente ideale qui per fare le bolle?»
«Le bolle?» chiese lui senza capire.
«Le bolle di sapone. Vai sul corridoio in alto e falle fluttuare verso i gatti che stanno sotto. Si divertiranno un mondo a saltare e a cercare di prenderle.»
«Mmm!» fece il giornalista, lisciandosi i baffi. Gli pareva già di vedere i pettegoli locali appostati dietro le sue finestre per tentare di guardar dentro per poi andare a riferire la notizia nei vari bar. "Il signor Q. si è messo a fare bolle di sapone!"
«La cosa migliore per riuscire a farle bene» continuò Lori «è usare quelle vecchie pipe antiquate di argilla. Le vendono al negozio di ferramenta a Wildcat.»
In quel momento Koko le saltò giù dal grembo e si avventò verso la finestra.
E tutti udirono lo squillante richiamo: "Chi è? Chi è? Chi è?"
«Questo è un cardinale!» esclamò Lori.
«È amico di Koko.»
«Sono una coppia di aristocratici.»
«Sì, si comportano come due sovrani a un summit. Il giardino è pieno di altre specie, ma chissà perché Koko è attratto dal cardinale... Non so se ammira il comportamento regale di quell'uccello o se gli piace il rosso.»
«Ho letto pareri contrastanti sulla capacità dei gatti di vedere i colori. Io sono portata a credere che loro i colori li sentano, che provino sensazioni diverse di fronte a colori diversi.»
«Ci credo anch'io. Koko è dotato di più sensi dei cinque fondamentali. È un animale particolarmente dotato.»
Lori dichiarò: «Ti dirò una cosa interessante. Ho una vecchia zia che qualche anno fa è diventata completamente cieca. Comunque riconosce il colore rosso. Sostiene di riuscire a sentirlo. E le piace vestirsi di rosso; dice che le ridà energia.»
«Mi piacerebbe conoscerla. Costituirebbe un argomento interessante per la mia rubrica. Vuoi un bicchiere di sidro, Lori?»
«No, grazie, Qwill. Dammi solo la corrispondenza da sbrigare per questa settimana. Devo scappare. A casa ho la baby-sitter.»
Più tardi, mentre stava firmando le quarantasette lettere portate da Lori, un furgone nero, con scritte dorate sui lati, si fermò nel cortile dietro la casa. Dal veicolo balzò giù un gigante giovane e biondo, che aprì le portiere posteriori per poi issarsi sulle spalle, apparentemente senza il minimo sforzo, un grosso cilindro avvolto nella carta, lungo due metri e mezzo e con un diametro di un metro. Con lui c'era Fran Brodie, che gli indicò l'ingresso di servizio.
«Ti presento Shawn, il nostro installatore di fama mondiale» spiegò a Qwilleran.
«Salve!» disse il gigante con un sorriso cordiale.
Lei lo condusse, attraverso la cucina, verso il salone alto tre piani e gli disse di mettere il rotolo per terra, ai piedi della rampa di scale. Abbassandosi su un ginocchio, come Atlante con il mondo sulle spalle, il giovanotto lasciò cadere il cilindro al suolo con un gran tonfo e osservò le finestre triangolari e il cubo del camino con le sue tre canne fumarie.
«Quanto è costata questa roba?» chiese in tono di stupore reverenziale. «Certo è diverso da tutto quello che ho visto finora... È qui che si è impiccato quel poveraccio?»
«Shawn!» esclamò Fran in tono brusco. «Porta dentro la borsa degli attrezzi, le strisce adesive e la corda.» Poi si rivolse a Qwilleran. «Voglio srotolare gli arazzi qui per controllarli. Questo è il momento della verità.»
Tolsero con cura la carta che avvolgeva il rotolo, distesero per terra il tessuto che misurava 2,30 x 3.
«Bello!» disse Qwilleran.
«Splendido!» gli fece eco Fran.
Shawn scrollò la testa ed esclamò: «Pazzesco!»
Il disegno raffigurava un albero stilizzato, punteggiato da una dozzina di mele di un rosso vivo, grandi come palle da basket. Il fogliame conferiva loro dimensione.
«Sembrano abbastanza vere da farti venire voglia di coglierle» osservò Qwilleran.
«Non ti pare che l'artista abbia davvero colto la loro succosità?» chiese Fran.
«Voi dovete essere matti» disse Shawn. «Io so solo che pesa una tonnellata.»
I siamesi, che guardavano dalla sommità del cubo del camino, non fecero commenti.
«Dunque, questo arazzo» spiegò la designer «penderà dalla balaustrata del corridoio più alto, Qwill, e costituirà un formidabile punto focale che attirerà gli sguardi verso l'alto, verso quella deliziosa galassia di travi che si irradiano e verso le finestre triangolari. Inoltre, aggiungerà calore e colore a questo interno nel quale ci sono grandi quantità di legno e grandi quantità di spazio aperto. Non sei d'accordo?»
«Yow!» commentò Koko.
«Bene, Shawn» continuò Fran. «Arrotolalo di nuovo e portalo in alto.»
«Niente ascensore?»
«Non ti serve l'ascensore.»
Le strisce adesive furono installate sulla superficie superiore della balaustrata del corridoio; il bordo alto dell'arazzo venne fissato bene alle strisce, dopodiché fu lentamente srotolato, mentre le corde venivano tolte.
«Spero che non caschi e ammazzi un gatto» disse il giovane installatore con un sorrisetto.
«Se dovesse succedere» ribatté Qwilleran «la rincorrerò con un fucile.»
«Con l'altro arazzo sarà più facile» dichiarò Fran in tono rassicurante a Shawn. «Lo appenderemo alla parete vuota dietro il cubo del camino, di fronte all'ingresso, ed è un po' più piccolo.»
«Perché non mettete quello pesante quaggiù?» chiese lui.
La carta che ricopriva il secondo rotolo fu tolta e l'arazzo srotolato per terra: una galassia di uccelli e di fogliame verde.
«Yow!» si udì dal cubo del camino, e Koko balzò a terra. Gli uccelli della contea di Moose erano soliti svolazzare tra la vegetazione, becchettare sui rami degli alberi e ondeggiare sull'erba alta.
Raggiunse con andatura decisa il centro dell'arazzo e annusò l'uccellino rosso con la macchia nera sulla testa e la crestina rossa.
«Sbalorditivo!» commentò Qwilleran.
Quel capriccio ornitologico fu appeso e debitamente ammirato. Poi Fran guardò l'orologio. «Non posso fermarmi» disse. «Oggi è il compleanno di mia madre; papà e io la portiamo fuori a cena. Quando parti per Lockmaster, Qwill?»
«Dopo i funerali.»
«Divertiti, alle corse. E non perdere tutti i tuoi soldi.»
Qwilleran fu contento di poter evitare una conversazione mondana. Voleva starsene solo in casa, progettare il suo viaggio e imparare come fare la nuova valigia che aveva comperato. Era l'ultimo grido: di nylon, con cinghie di cuoio e più tasche e scomparti di quanti gliene servissero. Sostituiva le due vecchie valigie che aveva perso in un evento disastroso Giù in Basso. Di finta pelle, logore e malconce, avevano viaggiato con lui, di città in città, durante gli anni delle vacche magre. Polly diceva che erano spaventose. Lui sosteneva che erano facili da preparare. "Basta buttare tutto dentro."
Dopo cena, quando ebbe aperto la valigia nuova sul letto per studiarne la complessità, Koko vi si trasferì dentro e Yum Yum prese possesso del carrellino. Li lasciò lì a dormire e poi andò a sedersi con l'edizione del giovedì del Lockmaster Logger.
Apprese che la corsa aveva un percorso di poco più di tre chilometri e si svolgeva in un ambiente naturale attorniato da dolci colline, dalle quali si godeva una vista adeguata della gara. Per coloro che assistevano per la prima volta, c'erano le istruzioni per la lettura del programma della corsa: il nome del cavallo e il peso che portava; i nomi del proprietario, dell'allenatore e del cavaliere; il colore dei giubbetti; il colore, il sesso e l'età del cavallo; i nomi dello stallone e della cavalla: questi dettagli non interessavano Qwilleran in modo particolare. C'era soltanto una voce che lo incuriosì: Robin Stucker avrebbe preso parte a una prova aperta ai dilettanti. Si chiese se Stucker non fosse il cognome della donna che aveva recitato la parte di Caterina. Nella lettera che aveva mandato a Van Brook non aveva forse accennato alla necessità di acquistare degli stivali per Robbie? Il cavallo, secondo quanto stava leggendo sul programma, era di proprietà di un certo W. Chase Ambreton. L'allenatore era S.W. O'Hare. Il nome del cavallo, e questo indusse Qwilleran a lisciarsi i baffi pensosamente, era Figlio di Cardinale.

8

I funerali del venerdì mattina furono una cerimonia doppiamente lugubre a cui parteciparono pochi membri del Club del Teatro. Doppiamente lugubre perché gran parte dei dolenti pensavano che stavano dando l'ultimo saluto a un omicida, oltre che a un suicida. Nessuno ne parlava, ma ci fu uno scambio di occhiate quando il pastore della chiesa alla quale apparteneva Larry Lanspeak fece un discorso infarcito dei soliti ambigui luoghi comuni. Soltanto i Lanspeak e Fran Brodie continuavano a considerare false le voci che circolavano. E soltanto Qwilleran, Hixie Rice e il capo della polizia conoscevano la verità. Brodie era presente: non in uniforme, ma con il kilt e il berretto sormontato dal ponpon. Eseguì un canto funebre che gli aveva suggerito Qwilleran.
"Placherà i sospetti senza smentirli ufficialmente" aveva detto a Brodie.
Hixie prese in disparte il giornalista e gli disse con voce bassa ma carica di commozione: «È frustrante, no? Perché la polizia non trova un indiziato? Perché non fai qualcosa al riguardo, Qwill?»
«È successo solo una settimana fa, Hixie. La polizia possiede informazioni alle quali io non ho accesso. Quello che più conta è che hanno i computer.»
«Ma tu risolvesti il caso Fitch quando la polizia si era arenata. Sei riuscito a individuare l'assassino al Museo prima che altri si rendessero conto che si era trattato di omicidio.»
Qwilleran si strizzò i baffi con aria meditabonda. Era restio a rivelare che era stato Koko con il suo naso fine e con i suoi istinti felini a risolvere il caso. Solo i suoi amici più intimi e qualche giornalista Giù in Basso erano a conoscenza delle capacità del siamese. Ed era meglio lasciare le cose così come stavano.
«Ci penserò su» rispose.
Continuò a pensarci mentre riponeva il binocolo e la giacca da sera che aveva preparato per il suo fine settimana alle corse. Si augurava che allontanarsi da Pickax potesse aiutarlo a rimettere i fatti nella giusta prospettiva. Ficcò in valigia diverse scatolette di cibo per gatti e le gocce di vitamine, oltre al piatto e allo scodellino per l'acqua che loro preferivano, la grossa scodella per i loro bisogni e un sacchetto di ghiaietto. Questa sarebbe stata la loro prima esperienza di ospiti in casa altrui. Si sentiva piuttosto nervoso, a questo riguardo. Ma Koko si avventò con impazienza nella loro gabbietta, il che era buon segno, e rimproverò Yum Yum che invece sembrava restia, convincendola a seguirlo.
Quando uscirono di casa e furono saliti in macchina, si diressero a sud, passando davanti ai campi di patate e ai terreni di pascolo, e lungo la strada trovarono le solite puzzole morte, fatto che provocò moltissime lamentele da parte dei passeggeri che stavano sul sedile posteriore. Mentre si avvicinavano alla linea di demarcazione della contea, Qwilleran cominciò a notare il nome Cuttlebrink sulle cassette della posta. E poi, a un tratto, un cartello stradale.

BENVENUTI A WILDCAT
AB. 95

Qualche centinaio di metri più avanti un altro cartello gli fece pensare che i Cuttlebrink fossero dotati di un certo spirito umoristico.

SIETE APPENA USCITI DA
WILDCAT

Qwilleran rallentò e fece un'inversione a U a bassa velocità e con estrema prudenza. Frenate improvvise e curve imboccate troppo bruscamente sconvolgevano l'apparato gastro-intestinale di Yum Yum e suscitavano violente proteste o qualcosa di peggio. Tornato all'incrocio che costituiva il centro di Wildcat, contò un totale di quattro costruzioni: un bar fatiscente, una stazione di rifornimento abbandonata, i resti di un vecchio granaio e un edificio in legno segnato dalle intemperie, sul quale si vedeva un'insegna scolorita.

CUTTLEBRINK
FERRAMENTA E ALTRI PRODOTTI
FONDATO NEL 1862

La pulizia delle vetrine, pensò Qwilleran, doveva risalire al centenario dell'apertura del negozio, nel 1962. L'edificio in legno doveva essere stato imbiancato l'ultima volta sul finire del secolo. Quanto alla merce esposta, ma che si intravedeva a stento attraverso i vetri sporchi, c'erano polverosi finimenti per cavalli, cinghie per ventilatori, barattoli arrugginiti contenenti stucco per riparare i tetti. Evidentemente erano stati buttati lì chissà quanto tempo prima e nessuno era mai riuscito a venderli.
L'interno era fiocamente illuminato da lampadine a basso voltaggio che pendevano dal soffitto di lamiera ondulata. E l'assito grigio e sconnesso formava degli incavi davanti al registratore di cassa e alla vetrina degli articoli da fumo. Scorse nell'ombra un uomo seduto su una botte, con un paio di cespugliosi baffi ingialliti e ciocche di capelli dello stesso colore che sbucavano da sotto il berretto di tela.
«Buon giorno» disse il vecchio con un tono di voce stridulo e sottile.
«È davvero un giorno buono... un bel settembre davvero, anche se secondo il bollettino meteorologico dovremmo aspettarci la pioggia entro pochi giorni» rispose Qwilleran. Aveva imparato che nella contea di Moose i discorsi sul tempo costituivano uno degli argomenti preferiti di conversazione.
«Non pioverà» sentenziò il vecchio.
Qwilleran aveva cominciato a osservare la merce sui banchi, sugli scaffali e sul pavimento: lumi a petrolio, secchi di latta, coltelli per squamare il pesce, torce elettriche, rotoli di fili di ferro, lampadine, filtri per il latte, pipe fatte con rotoli di mais, ma niente pipe di argilla.
«In che cosa posso servirla?» chiese il vecchio senza alzarsi.
«Voglio solo dare un'occhiata, grazie.»
«Non c'è una legge che lo vieti.»
«Ha un assortimento notevole di merce!»
«Sì.»
C'erano montagne di chiodi, rotoli di catene, trappole per topi, fiammiferi di legno, appendiabiti di metallo, cerchioni per botti, ganci per bottoni, guanti da lavoro e sveglie.
«Ho visto molti negozi interessanti, ma questo li batte tutti» dichiarò Qwilleran in tono amabile. «Da quanto tempo esiste?»
«È più vecchio di me.»
«Lei è un Cuttlebrink?»
«Qui siamo tutti Cuttlebrink.»
Qwilleran continuò a guardarsi attorno, cercando di apparire un possibile cliente. Vide stivali di gomma, molle d'acciaio, sturalavandini, incerate, cinghie per ventilatori, blocchi di sale da venticinque chili, ossi da rosicchiare per conigli, sottaceti, munizioni, ma niente pipe per far bolle di sapone.
Mentre osservava una spugna di cellulosa che, a detta dell'etichetta, puliva perfettamente gli impianti igienici, chiese: «È buona questa spugna?»
«Ha una mucca?» chiese Cuttlebrink. «Perché in questo caso ci vuole un'altra spugna.»
«Mi servirebbe per lavare la macchina» rispose Qwilleran, benché in effetti avesse intenzione di usarla per pulire e disinfettare la comoda dei gatti.
Il vecchio scrollò le spalle e dondolò il capo con aria perplessa di fronte alle stravaganze della gente di città.
«Lei è di Pickax?»
«Ci ho abitato per un certo periodo.»
«Lo immaginavo.»
Solvente per vernici, cibo per capre, valvole, grasso per ruote, lamette per rasoio, fazzoletti rossi, forconi, pastoni per i maiali, altri modelli di guanti da lavoro.
«Mi sembra che lei abbia proprio tutto» osservò il giornalista.
«Sì, tutto quello che la gente può volere, niente è inutile.»
«Per caso non ha pipe di argilla per far bolle di sapone? Mi piacerebbe comperarne qualcuna per i miei bambini.»
L'uomo si alzò dal barile e si diresse verso il retrobottega. Lì salì su una scala traballante con passi lenti e insicuri. Su uno scaffale alto trovò una scatola di cartone molto malconcia e la portò giù, sempre con passi lenti e insicuri.
«Mi sbalordisce!» dichiarò Qwilleran con ammirazione. «Come fa a trovare le cose?»
«Qui dentro non si perde mai niente.»
Nella scatola c'erano una mezza dozzina di pipe d'argilla che un tempo erano state bianche e che adesso erano grigie di polvere.
«Bene, penso che le prenderò tutte.»
«Ma non me ne resterà nessuna da vendere» obiettò Cuttlebrink.
«Che ne direbbe di darmene cinque?»
«Facciamo quattro.»
Qwilleran pagò le quattro pipe, la spugna, un cetriolo sottaceto e la vendita fu suggellata dal tintinnio di un vecchio registratore di cassa di ottone, sul quale c'era un cartello scritto a matita: SI ACQUISTANO PISTOLE BROWNING. II negoziante tornò zoppicando al suo barile e i tre viaggiatori proseguirono per la loro strada.
Alla linea di demarcazione della contea, il terreno da pascolo sassoso si trasformava in verdi e ondulate colline. Quella era la famosa zona di caccia di Lockmaster dove chilometri di steccati si snodavano attraverso il paesaggio e dove, di tanto in tanto, qualche collina era sovrastata da opulenti case coloniche con granai e stalle. Di lì a poco comparve il ristorante noto come Palomino Paddock, nel cui parcheggio si vedevano macchine di lusso, dopo di che la strada diventava quella principale della città.
Nel diciannovesimo secolo ricchi costruttori navali e industriali del legname avevano scelto di costruire le loro case sull'arteria principale, esposte all'ammirazione e all'invidia di tutti. Dato che le famiglie facoltose facevano di tutto per superarsi l'un l'altra, edifici grandi come alberghi erano arricchiti da torrette, balconi, verande, bovindo, tetti a staffa, frontoni decorativi e vetri colorati.
Tuttavia, di pari passo con le varie epoche, era cambiata anche la qualità degli insediamenti. Adesso s'erano aggiunti sopralzi adibiti a camere in affitto, pensioni di lusso, studi legali, compagnie di assicurazioni. Un'imponente struttura si rivelò un'impresa di pompe funebri, un'altra un museo, un'altra la casa e lo studio fotografico di Bushland. Dato che Vicki aveva ereditato dalla propria famiglia, avevano unito la sede di lavoro all'abitazione. Si trattava di un massiccio edificio di legno, con una torre circolare che svettava dall'angolo di sud-ovest.
Qwilleran si fermò sotto la porte-cochère il cui tetto riparava l'ingresso laterale e disse ai suoi passeggeri: «Siamo arrivati. Mi aspetto che vi comportiate al meglio per le prossime quarantott'ore. Se collaborate forse potreste finire sulla copertina di una rivista di lusso.» Non ebbe risposta. Che stessero dormendo? Quando si girò vide due paia di occhi azzurri che lo fissavano con un'intensità impenetrabile, quasi sapessero qualcosa che lui non sapeva.
Lasciati i gatti e tutta la loro attrezzatura in macchina, Qwilleran trasportò la propria valigia fino alla porta e suonò il campanello. Gli aprì Vicki, che indossava un grembiule da cuoco.
«Mi scuso per essere arrivato così presto» le disse. «Ho pensato di andare a dare un'occhiata alla città.»
«Buona idea!» esclamò la padrona di casa. «Entra. Bushy è nella camera oscura e non può essere disturbato, e io sto lottando con la torta di mele... Ma la tua stanza è pronta e puoi andarci subito. Ti abbiamo dato la nostra camera per gli ospiti, che è veramente grandiosa, che si trova nell'angolo a sud-ovest. Puoi mettere i gatti nella stanza adiacente. So che sono abituati ad avere il loro appartamento personale.»
«Per la verità preferirei averli con me. Quando mi trovo in un ambiente nuovo, sono propenso a tenerli paternamente d'occhio.»
«Come ti pare meglio, Qwill. Fai come se fossi a casa tua.»
Lui prese ad aggirarsi, lentamente e con curiosità, per l'ampio salone, poi salì la grande scala, notando il legno lavorato della balaustrata, i vecchi impianti per l'illuminazione a gas sostituiti da moderni interruttori per la luce elettrica, i ritratti degli antenati in cornici ovali appesi alle pareti rivestite di velluto e i vetri dai colori scintillanti come gioielli. La stanza degli ospiti si trovava nella parte anteriore dell'edificio, un ampio spazio di forma quadrata che si allargava in un bovindo circolare che di fatto costituiva il basamento della torre. Era arredata con un letto con baldacchino, una scrivania, una poltrona, sedie con braccioli, cassettone, cassapanca, armadietto per le lenzuola e una profusione di tappeti orientali rosso rubino. L'atmosfera era sufficientemente calda e accogliente anche per un soggiorno di una settimana. Ogni oggetto era scompagnato, ma quei cimeli di famiglia finivano per essere accomunati in un'armonia accogliente. Nel bovindo circolare, lungo la cui parete c'erano panchette sotto le finestre, era collocato un tavolo centrale sul quale facevano bella mostra di sé una coppa piena di mele lustre, un vassoio contenente delle gelatine di frutta e alcune riviste di fotografia e di equitazione. C'era anche un giornaletto di quattro pagine dal titolo Quattro chiacchiere di scuderia, una raccolta di informazioni sulle corse a ostacoli e di notizie sull'ambiente dell'ippica, il cui editore si chiamava S.W. O'Hare, e che era diretto da Liza Amberton.
Qwilleran assaggiò una gelatina rossa, l'unico colore che riteneva degno di essere mangiato, e scese a prendere l'equipaggiamento dei gatti. Quando finalmente arrivò di sopra con la gabbietta, gli occupanti ne emersero con circospezione e si infilarono sotto il letto, da dove non si mossero più.
«Per vostra informazione futura» disse Qwilleran parlando al letto «i vostri cuscini sono sulla sedia, la scodella dell'acqua e la comoda sono in bagno e adesso io esco a fare due passi.»
Scese in cucina a cercare Vicki, che stava facendo due intagli a forma di Z nella parte superiore della torta di mele.
«Posso chiederti il significato di quella Z?» chiese lui. «Oppure si tratta di un N orizzontale.»
«Non saprei. Mia madre la faceva sempre e io continuo a farla a mia volta. Come vanno le cose lassù?»
«Bene. La stanza mi sembra molto confortevole. Avete una bella collezione di cose antiche.»
«È stato tramandato tutto di generazione in generazione e ogni generazione ha aggiunto qualcosa di nuovo, in meglio e in peggio. Il mio trisavolo Inglehart ha costruito questa casa, la nonna Inglehart vive al secondo piano. Noi la chiamiamo nonna Ingle. Vai a dare un'occhiata alla città? Con l'auto?»
«Preferisco andare a piedi. Che strada devo prendere?»
«Be', potresti scendere per la collina sul retro della casa e girare a destra, di lì arriverai in Fourth Street, dove troverai tutti i negozi. La strada finisce al fiume. In origine entrambe le sponde erano piene di segherie e cantieri navali. Adesso da un lato c'è il parco Inglehart e dall'altro alcuni palazzi di condominio.»
«C'è una libreria?»
«Due case dopo il municipio. È un vecchio negozio dove il nonno di Bushy aveva uno studio fotografico prima della grande guerra.»
A Qwilleran piaceva camminare e guardarsi attorno. Mentre scendeva per la collina rimase attonito alla vista delle enormi case, capolavori dell'architettura di gusto pomposo e appariscente i cui particolari erano messi in risalto dai diversi colori di intonaco. Avevano un che di allegro rispetto alle costruzioni di pietra grigia di Pickax. Trovò la libreria ed entrò. Lì acquistò un volume sull'equitazione. Al seminterrato c'erano libri usati ma non trovò La città del Crimine Fraterno. Trovò invece una raccolta di stampe ricordo e decise di prenderne una che raffigurava una balena.
Gran parte dei negozi locali traevano un buon profitto dall'interesse della gente di Lockmaster per i cavalli. Equus era un negozio che vendeva confezioni maschili. Il Tacky Tack Shop esponeva in vetrina magliette vistose, T-shirt e poster raffiguranti soggetti che avevano attinenza con la corsa. Al Foxtrotter tutto, dal tovagliolino di carta agli alari per il camino, recava l'immagine di un cavallo o di una volpe, ma nulla di tutto questo attrasse Qwilleran. E poi vide la biblioteca pubblica.
Era stata manifestamente costruita sulla falsariga di quella di Pickax, per la quale il progettista si era ispirato a disegni raffiguranti antichi templi greci. Le stesse colonne classiche, gli stessi sette scalini, la stessa coppia di lampioni ornamentali. Entrò, aspettandosi di leggere sulla lavagna, nell'atrio, una citazione da Shakespeare, ma vide soltanto un cartello che annunciava la presentazione di nuovi video. Chiese di parlare con la direttrice della biblioteca, Shirley, che sapeva essere amica di Polly.
«La signora Corcoran è nel suo ufficio all'ammezzato» gli rispose un'impiegata.
La scala aveva lo stesso disegno di quella di Pickax, l'ufficio racchiuso da vetrate si trovava nella stessa posizione e la donna seduta alla scrivania sarebbe potuta essere la sorella di Polly: capelli che andavano ingrigendo, un volto piacevole, un tailleur classico e un corpo taglia 48.
Lui si presentò. «Signora Corcoran, io sono il padrino di Zampotto.»
«Oh, lei dev'essere Jim Qwilleran!» esclamò la donna. «Polly mi ha parlato molto di lei. Si accomodi. Come sta Zampotto?»
Qwilleran spostò una sedia che naturalmente aveva il sedile duro ed era di lucido legno di quercia.
«È un bel gatto dall'appetito insaziabile. Prevedo che tra pochi mesi assumerà la stazza di un piccolo pony.»
«Anche sua madre e i suoi fratelli sono fatti così. Eppure non ingrassano mai. Vorrei sapere qual è il loro segreto È qui per la corsa?»
«Sì. È la prima volta. Sto dai Bushland.»
«Dovrebbe piacerle. Bushy è stato il fotografo ufficiale alle nozze di mio figlio. Sarebbe dovuto venire anche lei con Polly. Si sono divertiti tutti moltissimo. Mi hanno appena mandato l'album delle foto di nozze, vuole vederle?»
«Sì, con piacere» rispose in tono sinceramente convincente, sebbene le fotografie di cerimonie nuziali fossero seconde solo alle cerimonie nuziali stesse, nel suo elenco di cose da evitare.
La signora Corcoran aprì l'album mostrandogli l'immagine di una coppia felice sull'altare dopo lo scambio degli anelli. «Ecco i ragazzi: Donald e Heidi. Vero che lui è bello? Ha appena finito gli studi di legge e lavora allo studio legale Summers, Bent e Frickle. Heidi è una ragazza deliziosa, fa la dietologa. Suo padre lavora in borsa e sua madre è psichiatra. Frequentano la nostra chiesa... Ed eccoli in questa foto con le due coppie di orgogliosi genitori... questi sono i padrini... La damigella d'onore è riuscita a cogliere il bouquet al volo.»
A bassa voce Qwilleran fece le osservazioni del caso, guardando educatamente tutte le immagini degli invitati. «Questa è una persona che conosco» disse, indicando un uomo dai capelli biondo cenere. «È un giornalista del Moose County Something.»
«Sì, è Dave Landrum. Uno degli amici del golf di Donald.»
E poi Qwilleran intravide Polly. Indossava un abito blu elettrico che lui non aveva mai visto prima e ballava con un uomo dalla barba rossa.
Aveva un'aria decisamente troppo felice. Probabilmente aveva bevuto champagne, invece del solito bicchierino di sherry. Mano a mano che la signora Corcoran girava le pagine, lui guardava sempre più interessato. Ecco di nuovo Polly. Questa volta era seduta al tavolo in compagnia dello stesso uomo barbuto ed era assorta in un'animata conversazione. Lui indossava una giacca sportiva a scacchi su fondo verde che non sembrava adatta a un ricevimento di nozze.
«Chi è quel signore con la barba?» chiese in tono volutamente noncurante, aggiungendo poi una menzogna: «Mi sembra familiare.»
«Oh, è un amico di Donald che si interessa di cavalli» rispose la direttrice. «Non riesco a ricordarmeli tutti. Avrà notato i begli allevamenti di cavalli che ci sono lungo la strada che porta qui.»
«I festeggiamenti nuziali sono continuati domenica a mezzogiorno al Palomino Paddock?» chiese in tono innocente lui.
«Santo cielo no! Eravamo tutti esausti. I ragazzi sono partiti in viaggio di nozze alle nove e tutti noi siamo rimasti fino alla chiusura del bar a divertirci come matti. Sono contenta di non avere altri figli da sposare.»
«Magari un volta o l'altra, per allentare un po' il ritmo stressante di Lockmaster, lei e il signor Corcoran potreste venire a Pickax a cenare con Polly e con me, un fine settimana, quando i colori dell'autunno sono al massimo dello splendore.»
«Ne saremmo entusiasti. Polly ci ha parlato del suo granaio, e quanto a me, vorrei vedere come è cresciuto il mio piccolo Zampotto. Pensa che si ricorderà di me?»
Qwilleran risalì per la collina senza osservare gli splendori architettonici in Main Street. Pensava all'uomo dalla barba rossa e dalla giacca scozzese. E si chiedeva se era stato lui a portare Polly al Paddock per il brunch domenicale. Era lui la misteriosa persona che le aveva telefonato lunedì mattina in ufficio provocandole un brivido colpevole? Non che Qwilleran provasse gelosia. Era solo curioso. Polly aveva gusti tradizionali e quell'uomo era proprio il genere di individuo che lei avrebbe tenuto a distanza: barbuto, vestito vistosamente e... con un forte interesse per i cavalli!
Arrivato a casa dei Bushland incontrò il fotografo che stava uscendo dalla camera oscura.
«Che ne pensi della nostra città?» gli chiese Bushy.
«Mi sembra una comunità fiorente.»
«Oggi è una giornata molto piena. Tutti si stanno preparando per la corsa.»
«Quanto tempo ho per rassettarmi un po'? Mi sono fermato al negozio di Cuttlebrink mentre scendevo e mi sento come se avessi addosso la polvere dei secoli passati.»
«Capisco che cosa intendi. Non c'è fretta. La gente non arriva prima delle sei e non è necessario che tu ti metta in ghingheri. Abbiamo invitato Kip e Moira McDiarmid. Lui è il direttore del Logger e Vicky ha invitato Fiona Stucker, quella che era venuta a Pickax a recitare nel vostro spettacolo.»
I baffi di Qwilleran fremettero di interesse. «Ha fatto un ottimo lavoro» disse. «Non vedo l'ora di complimentarmi con lei.»
Mentre saliva l'ampia scala che conduceva al primo piano si chiese quali sorprese gli avessero preparato i siamesi. Di una cosa era sicuro: dovevano aver trovato il loro cuscino azzurro sulla poltrona e si sarebbero comportati come sovrani in visita.
In realtà si era sbagliato. La coppia era uscita dal nascondiglio e il loro atteggiamento era sì regale e altero, però entrambi erano distesi al centro del letto a baldacchino. Era straordinario come facessero sempre in modo di prendere possesso della poltrona migliore, del cuscino più morbido, del grembo più caldo e del centro esatto di un letto. Lori Bamba gli aveva detto che ogni persona od oggetto ha un'aura o un campo energetico, chi più chi meno. E che un gatto, sempre in grado di individuare la differenza, si fa avanti per approfittare delle vibrazioni. Lori aveva una spiegazione per qualsiasi cosa.
Mentre si avvicinava all'armadio, togliendosi il maglione, calpestò qualcosa di piccolo e duro. No, non del tutto duro, di fatto qualcosa di leggermente gommoso. Esitò per un attimo prima di abbassare gli occhi, temendo quella qualsiasi cosa che avrebbe potuto trovarsi sotto la suola della sua scarpa... una reazione che si basava su esperienze del passato. Con grande sollievo vide che si trattava di una gelatina di frutta rossa, nella quale c'erano segni di denti. Avrebbe dovuto immaginarselo che sarebbe stato imprudente lasciare scoperto il vassoietto con le gelatine. A Koko piaceva azzannare qualsiasi cosa di gommoso o masticabile. Controllò il vassoietto e vide che tutte le gelatine rosse erano scomparse. Subito dopo le ritrovò, sparse per terra, nascoste dai tappeti orientali rossi. La mente di Koko era in attività, anche se non si capiva bene quali fossero le sue intenzioni. I siamesi se ne stavano immobili sul letto a guardarlo strisciare per la stanza carponi. Seguivano la performance quasi si trattasse di uno spettacolo strano.
«Gli svitati della famiglia siete voi» li rimproverò Qwilleran. «Avrei dovuto lasciarvi a casa.»
Dopo aver nascosto le gelatine nel cassetto superiore della cassettiera si fece una doccia, si vestì e trascorse un po' di tempo assorto nella lettura del libro sull'arte dell'equitazione che aveva appena comperato.
Assetato di conoscenza com'era sempre stato su qualsiasi argomento, imparò per la prima volta in vita sua dove si trovava il garrese dei cavalli. Scoprì che i cavalli non hanno clavicole, e che una "scuderia di allevamento" è il posto dove si allevano cavalli di razza. Osservò le fotografie del cavallo arabo, del Morgan, dell'Andaluso, del Pinto e del suo preferito, il Clydesdale. Poi, quando furono le sei, aprì una scatoletta di polpa di granchio per i siamesi e scese nel salone illuminato dalla luce solare scintillante come pietre preziose, che entrava dalle finestre colorate.
Il salotto, con il camino di marmo e i sontuosi mobili in stile vittoriano, gli parve di un formalismo rigido. Bushy lo usava come studio per fotografare spose e gruppi familiari su quello sfondo singolare. In quel momento era nel soggiorno, intento a preparare i drink e Vicki si trovava nell'adiacente sala da pranzo dove stava dando gli ultimi ritocchi al tavolo.
«Vorrei fare una domanda» dichiarò Qwilleran. «Perché i padri fondatori costruivano case così grandi?»
«Per prima cosa» gli rispose Bushy «perché c'era legname in gran quantità e perché la manodopera era a buon mercato.»
«E perché avevano un mucchio di figli» aggiunse Vicki. «Di solito c'era almeno una sorella zitella o una zia vedova o una cugina povera che viveva con loro. Inoltre, quando veniva gente in visita, si tratteneva almeno un mese perché ci voleva una settimana per arrivare qui con la diligenza e con la nave. A quei tempi, poi, c'era moltissima servitù.»
«Come vanno i gatti?» domandò Bushy.
«Hanno occupato il letto, quindi può darsi che io debba passare la notte sulla panchetta sotto la finestra.»
Vicki disse: «La nonna non vede l'ora di conoscerti, Qwill. È una cara e vecchia signora. Ha appena compiuto ottantotto anni. Quando i miei genitori si sono ritirati in Arizona per via della salute di papà, la nonna ha intestato questa casa a Bushy e a me, senza porci condizioni.»
«Come riesci a tenere in ordine una casa tanto grande?»
«Ho un aiuto part-time. Un tempo c'erano governante, cuoca, due cameriere, maggiordomo, giardiniere e cocchiere, quest'ultimo accudiva ai cavalli e accompagnava in chiesa la famiglia con la carrozza.»
«Allora non c'erano falciatrici elettriche o aspiratori per le foghe» si intromise Bushy.
«E nemmeno forni a microonde o piastre elettriche. Porteresti giù i gatti adesso, Qwill?»
«A mio parere dovrebbero fare il loro debutto ufficiale domattina, quando non ci saranno estranei per casa. Ricordi come si sono comportati l'ultima volta che siamo stati qui? Non voglio ritrovarmi in situazioni imbarazzanti.»
«Fai come ritieni meglio. Tra l'altro, la nonna non ci raggiungerà per il cocktail, scenderà per cena alle sette e non si tratterrà a lungo. Si stanca facilmente. Abbiamo fatto installare un ascensore per lei, con pareti rivestite di velluto e una panchetta col sedile ricamato. È piccolina, ma a lei piace...»
Bushy la interruppe. «Vicki ti avevo detto che ha chiamato Fiona?»
«No, che cos'è successo questa volta?» chiese lei in tono esasperato.
«Lei e Steve arriveranno un po' in ritardo. Lui si è trovato incastrato all'ippodromo.»
«Be', io servo in tavola alle sette in punto, succeda quel che succeda. Non possiamo far aspettare la nonna. Ho l'impressione che Steve si ritrovi perennemente incastrato in qualcosa. Probabilmente starà ancora dormendo.»
«Non colpevolizzarlo sempre. Prima di una corsa saltano sempre fuori emergenze di ogni genere.»
In quel momento si udì il campanello e sulla soglia comparvero il direttore del Logger e sua moglie. Gli furono presentati come Kip e Moira MacDiarmid.
«Si scrive...» cominciò Moira, ma Qwilleran la fermò con un gesto.
«So benissimo come si scrive un bel nome scozzese come questo. Mia madre era una Macintosh. Io invece lo chiedo: sa come si scrive Qwilleran?»
«Con la Q e la W» risposero i due all'unisono.
«Leggiamo sempre i suoi articoli sul Something» spiegò il direttore. «Non riferisca al suo editore che gliel'ho detto, ma la sua rubrica è la cosa migliore di tutto il giornale. Vorrei proprio che lei scrivesse per noi.»
«Mi faccia un'offerta» disse Qwilleran cordialmente.
«Sono sicuro che non potremmo permettercelo.»
«È lei che colleziona vecchi caratteri tipografici? Io ne ho trovati alcuni questa primavera all'asta Goodwinter.»
«Anch'io. Le interessano?»
«Mi interessano per lo più i segni speciali, detti anche fuori cassa in modo da poterli inserire in una cassa tipografica. Ma possiedo un modesto assortimento di Bodoni. E a lei che cosa interessa?»
«Ho appena acquistato degli Erasmus del 1923. Mi piacerebbe mostrarle la mia collezione.»
«Sarei felice di vederla.»
Moira disse a Qwilleran: «Bushy ci ha detto che lei ha ristrutturato un granaio.»
«Sì, un granaio che serviva per conservare le mele, di forma ottagonale. Risale a più di cent'anni. Il meleto è distrutto, ma la costruzione è in buone condizioni.»
«Abbiamo pubblicato un paio di articoli sul delitto che avete avuto lì» disse Kip. «Ma come vanno le indagini? Sa che da noi c'è un interesse morboso per la vittima? Quando Van Brook faceva il preside qui era una spina nel fianco per tutti.»
«Sì, a voler essere generosi!» disse Moira con un sorriso ironico.
Kip spiegò: «Mia moglie era presidente del PTA durante gli anni del terrore vanbrookiano. Di fatto però lui aveva fatto grandi cose per la scuola. Era una specie di genio, ma un tipo strano.»
Qwilleran si dichiarò d'accordo. «Mi piacerebbe scrivere una biografia su di lui, se solo riuscissi a scoprire qualche suo segreto... Potrei intitolarla L'uomo Misterioso della Contea dì Moose.»
«Se lo farà, venga qui, le racconteremo alcune cosette che le faranno ribollire il sangue.»
In quel momento suonò il campanello della porta. Qwilleran rimase sorpreso dalla coppia che stava entrando in casa. La donna era Fiona Stucker, che aveva recitato la parte della regina Caterina con grande regalità e vibrante energia. Era piccola di statura, sembrava un tipo scipito; porse una mano molliccia e sorrise timidamente. Aveva occhi grandi, ma il suo sguardo era preoccupato. Qwilleran ricordava quegli occhi: truccati per il palcoscenico erano apparsi il suo tratto più irresistibile.
Dietro di lei c'era un uomo che fu presentato come Steve O'Hare. Qwilleran lo guardò e lo riconobbe: era l'uomo dalla barba rossa e indossava sempre la giacca verde scozzese. Dunque quello era l'amico con interesse per i cavalli che si era attaccato a Polly al ricevimento di nozze!
«Felice di conoscerla» disse il nuovo arrivato, stringendogli cordialmente la mano.
Aveva un modo di fare troppo cordiale, pensò Qwilleran e provò immediatamente dell'antipatia nei suoi confronti. Tuttavia dichiarò compitamente: «Ho saputo che domani sarà impegnato nella corsa. Che compiti svolge?»
«Sono soltanto un povero mozzo di stalla!» rispose l'altro con un sorriso.
«Non è vero» si intromise Bushy. «Steve è un ottimo allenatore.»
Fiona pigolò con la sua vocina: «Ha allenato il cavallo che Robbie farà correre domani. Robbie è mio figlio.»
«Mi è stato detto che monterà Figlio di Cardinale» disse Qwilleran, felice di avere studiato a casa il compitino. «Ha buone probabilità di vincere?»
«Certo» rispose l'allenatore, e si girò per starnutire.
Uno dei presenti commentò: «Se si afferma una cosa e ci si starnutisce sopra significa che è vera.»
Qwilleran si girò verso Fiona. «Mi consenta di complimentarmi con lei, signora Stucker, per la sua bella interpretazione nell'Enrico VIII.»
«Be'... grazie» rispose la donna arrossendo un po'. «Immagino che abbia visto lo spettacolo.»
«Sì, due volte. E sono rimasto molto colpito dalla qualità della sua voce e dalla profondità dei suoi sentimenti, in particolare nella scena con il cardinale Wolsey. Lei ha visto lo spettacolo, Steve?»
«No, non amo questo genere di cose.»
«Suo figlio lo ha visto?» chiese Qwilleran alla donna.
«No. Lui aveva da fare... lavora con Steve. Alle scuderie, sa? All'allevamento Amberton.»
«Abbiamo venti cavalli» dichiarò l'allenatore. «Ci alziamo alle cinque del mattino per dar da mangiare, abbeverare, strigliare, raccogliere il concime e far fare esercizio ai pony. E questo per sette giorni la settimana, senza contare le ore di allenamento. Non si finisce mai! Eppure non vorrei fare niente di diverso.» Starnutì di nuovo e Fiona gli porse un fazzolettino di carta.
Bushy annunciò: «Ultimo bicchiere al bar prima di cena. Tra pochi minuti chiameremo la nonna.»
«Devo salire io a prenderla?» domandò Moira, piena di buona volontà.
«È meglio di no. A lei piace sentirsi indipendente e preferisce fare una comparsa alla grande.»
«Scende con il carro elettronico come una dea dell'Olimpo» commentò Kip.
«È vero!» esclamò Vicki, e si diresse verso il citofono interno. «Certe persone anziane non amano la nuova tecnologia, ma questo non è il caso della nonna. Fiona, mi daresti una mano in cucina?» Poi parlando nel microfono a muro, disse: «Nonna cara, la cena è servita!»
Il gruppetto tracannò alla svelta quanto era rimasto nei bicchieri e lentamente si avviò verso il salone dove si apriva l'ascensore. Una luce sul pulsante vicino alla porta si accese a segnalare che la cabina era in movimento. Scendeva lentamente, poi la porta cominciò ad aprirsi. Qwillieran si scoprì a trattenere il fiato.

9

Il giornalista stava immobile nel salone della vecchia casa degli Inglehart e aspettava insieme con gli altri invitati che la porta dell'ascensore si aprisse completamente. Non avendo conosciuto i propri nonni si sentiva attratto da qualsiasi persona che avesse più di settantacinque anni. E in quella parte del nord dove molti arrivavano a cento anni aveva incontrato molti anziani veramente notevoli.
La porta della cabina si aprì del tutto e comparve una donna molto distinta dai capelli bianchi, che indossava un abito da sera di velluto rosso, lungo sino ai piedi. Si appoggiava a due bastoni dall'impugnatura di avorio ingiallito per gli anni. Avanzò pian piano, ma aveva un portamento eretto. Alla vista del pubblico in attesa chinò il capo a salutare con grazia ciascuna delle persone presenti, poi all'improvviso scorse Qwilleran dietro il gruppo.
«Questo è il signor Qwilleran!» esclamò con un tono di voce da persona istruita, che però, col passare degli anni, s'era fatta tremula. Aveva una bel volto per essere quasi novantenne, un volto che sembrava porcellana dalle fini venature, occhi buoni e azzurri e labbra sottili abituate a sorridere. Lui notò che non portava occhiali. Si disse che, probabilmente, aveva l'ultimo modello di lenti a contatto.
Mentre si muoveva verso di lei, vide che si metteva un bastone sotto il braccio per potergli porgere la mano.
«Il piacere è mio, signora Inglehart» mormorò, chinandosi con galanteria sulla mano tremante. Era un gesto di rispetto che riservava alle donne di una certa età.
«Sono eccitatissima di poterla finalmente conoscere!» gli disse la vecchia signora. «Leggevo la sua rubrica quando scriveva per i giornali di Giù in Basso, ma ora vive in mezzo a noi. Come siamo fortunati! Io ammiro non soltanto il suo talento di scrittore, signor Qwilleran, e tutte le sue idee, ma...» aggiunse con un sorriso pudico «adoro anche i suoi baffi!»
Qwilleran pensò fugacemente alla Città del Crimine Fraterno e si chiese se la biblioteca di Inglehart ne avesse una copia.
«Vogliamo andare a cena, nonna?» chiese Bushy, offrendole il braccio. Gli altri li seguirono in sala da pranzo e aspettarono finché la donna non fu seduta alla sinistra della nipote. A Qwilleran fu indicato di prendere posto di fronte, vicino a Moira, poi tutti attesero che la matriarca sollevasse il cucchiaio.
Guardandosi attorno con espressione vivace, lei disse: «Ringraziamo per quello che stiamo per ricevere.»
Barba Rossa, che sedeva all'atro capo del tavolo, vicino alla padrona di casa, starnutì rumorosamente.
«È allergico» dichiarò Fiona in tono di scusa.
«A tutto» soggiunse l'uomo, che ora si stava soffiando il naso. «Cavalli inclusi.»
«Davvero?» chiese Kip.
«Assolutamente sì.»
«Dovrebbe rinunciare ai cavalli e darsi al giornalismo. Fa un buon lavoro per il nostro giornaletto, Quattro chiacchiere di Scuderia.»
«Oh, è roba da niente» rispose Steve. «Ho un gruppo di ragazzi che cercano il materiale e la signora Amberton lo coordina.»
«Che tiratura avete, adesso?»
«Quasi un migliaio di copie.»
«Altre diecimila copie» disse il direttore del Logger «e cominceremo a preoccuparci.»
La nonna si chinò verso Qwilleran. «Vittoria mi ha detto che ha portato con sé i gatti. Spero che non ammazzino gli uccellini.»
«Non tema, sono gatti da interno. E il loro interesse per gli uccelli è puramente accademico. Koko ha per amico un cardinale rosso e i due si guardano attraverso una vetrata e comunicano telepaticamente.»
«Se portasse via il vetro» disse Steve «le cose cambierebbero subito. I gatti sono gatti:»
Vicki si affrettò a cambiare discorso: «La nonna ha una stanzetta nella torre dove, dalla finestra, dà il becchime agli uccelli e annota su un blocco la migrazione delle diverse specie... Non dimenticarti di mangiare la minestra, nonna cara.» La signora Inglehart, con il cucchiaio sollevato a mezz'aria, stava fissando Qwilleran, come una ragazzina romantica.
Moira disse: «Qualche anno fa avevo deciso di dare da mangiare agli uccelli, ma riuscivo solo ad attirare gli storni. Venivano da tre contee fino al mio cortile: milioni di invasori rumorosi e imbrattatori. E con questo ho finito di occuparmi di volatili.»
«Il mio problema, invece» interloquì Qwilleran «è costituito dai merli. Quando vado in giro in bicicletta per le strade di campagna si levano dai cigli come un'enorme nube e si avventano in picchiata su di me e sulla mia bicicletta strillando chuck chuck chuck.»
«Questo accade nella stagione della nidificazione. Lo fanno per proteggere i loro piccoli.»
«Quali che siano le loro ragioni, sono assai poco cordiali. Quando mi rivolgo a loro fanno fuoco e fiamme.»
«Che cosa si dice a un merlo poco cordiale?» chiese Moira.
«Chuck, chuck chuck. Ma la cosa più misteriosa è il comportamento dei gabbiani quando gli agricoltori arano i campi. Nel giro di cinque minuti un centinaio di gabbiani si avventano dal lago che è a quaranta chilometri di distanza e accerchiano il campo come avvoltoi.»
Kip disse: «I gabbiani hanno una rete di spionaggio da fare invidia alla CIA!»
Vicki portò via i piatti fondi e Fiona diede una mano a servire il secondo: conchiglie di pasta (che la nonna riusciva a infilzare senza fatica con la sua mano tremolante), con aggiunta di polpettine per gli ospiti.
Mentre veniva servito il parmigiano, la nonna abbordò di nuovo il suo argomento preferito. «Quando sono venuta a vivere in questa casa, subito dopo essermi sposata, ho dato disposizioni al giardiniere perché piantasse tutto quello che poteva attirare gli uccelli e per settant'anni ho tenuto un diario che li riguardava. Anche Teddy Roosevelt ne teneva uno e registrava tutte le specie che vedeva sul prato della Casa Bianca.»
Di tanto in tanto si udiva uno starnuto di Barba Rossa. E subito Bushy chiedeva se c'era qualcuno che volesse dell'altro vino. Fiona invece guardava di sottecchi in direzione di Qwilleran, mentre Kip parlava dell'imminente voto per l'aumento delle aliquote fiscali. Ma ogni volta la nonna riportava la conversazione sugli uccelli.
Il direttore disse: «Secondo un articolo che abbiamo pubblicato di recente, il colibrì ha un battito cardiaco di 615 pulsazioni al minuto. Spero che non si sia trattato di un errore di stampa.»
«Assolutamente no» ribatté l'anziana signora. «Il colibrì è uno dei piccoli miracoli della natura.»
Qwilleran confessò: «Non riesco a riconoscere un uccello dall'altro. Non si fermano mai abbastanza per consentirmi di consultare i libri di ornitologia.»
«Quando avevo il mio rifugio per gli uccelli» proseguì la nonna «riuscivo ad attirare quelli selvatici e a farli mangiare nella mia mano. E una volta ho allevato una famiglia di pettirossi nidiacei dopo che la madre era stata colpita a morte dal fucile di un ragazzo.»
Steve starnutì di nuovo.
«Nonna cara» disse Vicki in tono dolce e sommesso «non dimenticarti di mangiare la pasta.»
La signora Inglehart si divertiva moltissimo, ma quando fu servita l'insalata apparve stanca e chiese scusa. Bushy l'accompagnò all'ascensore.
Dopo la torta e il caffè Steve annunciò che doveva tornare all'allevamento, perché il mattino dopo bisognava svegliarsi alle cinque. Fiona invece disse che voleva rientrare a casa per assicurarsi che Robbie andasse a letto presto, la sera precedente alla sua prima corsa. Nell'accomiatarsi si rivolse a Qwilleran con quella sua voce pigolante. «Volevo parlare... di Van Brook, ma... non ho avuto modo di farlo.»
«Lo conosceva bene?»
Lei annuì. «Forse... domani. Vicki mi ha invitato alla corsa.»
«Allora subito dopo avremo modo di parlare» la rassicurò. «È stato un piacere conoscerla.»
La donna si allontanò, girandosi una volta per guardarlo, mentre lui rimaneva immobile a osservarla.
Nonostante l'apparente modestia, c'era in lei qualcosa di affascinante: i suoi occhi grandi e dolenti, perfetti per la parte della regina Caterina.
Poi fu la volta dei MacDiarmid di accomiatarsi, perché avevano preso una baby-sitter che doveva andarsene entro le dieci. «Ci vediamo alla corsa» dissero, poi spiegarono a Qwilleran: «Il nostro posto di parcheggio è vicino a quello di Bushy, quindi facciamo qualche scommessa amichevole tra noi.»
Il padrone e la padrona di casa si tolsero le scarpe e si versarono qualche drink. Qwilleran accettò la terza tazza di caffè. «Bella serata!» commentò. «La nonna è un tesoro di donna e Kip e Moira sono molto simpatici. Mi ha sorpreso invece Fiona, perché sulla scena era molto diversa. Ma quello Steve... che rapporti ci sono tra i due?»
I Bushland si scambiarono un'occhiata. Fu Vicki a parlare per prima «Be', lui è l'istruttore di Robin e Fiona nutre l'ambizione di vedere suo figlio riuscire in qualcosa. Il ragazzo ha smesso di studiare e il suo unico interesse è per i cavalli.»
«Non è il solo, a quanto ho capito. Qual è il nostro programma domani mattina?»
«Dopo la prima colazione» disse Vicki «avrai tutto il tempo per andare di sopra dalla nonna a mostrarle i gatti. Ne sarà felicissima.»
Suo marito annunciò: «Usciremo verso le undici e andremo a prendere Fiona. Questo ci darà modo di evitare l'ingorgo e trovare un buon posto dove fermarci per il picnic, che inizierà alle due.»
«Kip ha accennato a delle scommesse. Come funziona la cosa?»
«Se si puntano pochi dollari su un cavallo è più divertente. Noi, di solito, ci mettiamo insieme per una scommessa da cinque dollari con i MacDiarmid.»
«La prima colazione è alle otto e trenta» dichiarò Vicki. «che cosa ti va di mangiare?»
«Qualunque cosa e il caffè. E adesso penso che andrò di sopra a vedere se i gatti si sono ambientati.»
«Pensi che mangerebbero una polpettina? Ce ne sono rimaste un po'.» Qwilleran la seguì in cucina. «Da quanto tempo conosci Fiona?» le chiese.
«Dai tempi del ginnasio. I miei genitori la invitavano, quando facevano un picnic o una gita, perché aveva una vita familiare molto infelice. La solita vecchia storia: padre assente e madre alcolizzata. A me era simpatica, sempre ansiosa di conoscenza e piena di comprensione. E poi aveva quegli occhi che facevano male al cuore...»
«Sono proprio quelli che ricordo di più della sua interpretazione di Caterina. Che genere di vita ha fatto, dopo aver finito gli studi?»
«Molto dura. Il suo unico sogno era quello di avere una casa e una famiglia, e per questo si è sposata subito dopo il liceo. Ed è stata una vera ironia della sorte, perché il marito l'ha abbandonata dopo la nascita di Robbie.»
«Come se la cava economicamente?»
«Fa la domestica a ore. Viene ad aiutare me due volte la settimana. Potrebbe fare di meglio se seguisse qualche corso, ma non ha fiducia in se stessa. Se le cose andranno come spero, vorrei avviare un servizio di catering e prenderla come aiutante. Ci specializzeremo in prime colazioni per la gente che viene a caccia. Sono l'ultimo grido, a Lockmaster.»
«Che legame aveva con Van-Brook?»
Vicki si strinse nelle spalle e assunse un'aria di mistero. «Sarà meglio che tu lo chieda a Fiona stessa.»
Qwilleran diede la buona notte ai Bushland e si avviò verso il primo piano. A metà della scala cominciò a sentire delle grida esultanti proveniente dalla sua stanza. I siamesi sapevano che si stava avvicinando con le polpettine. Gli vennero incontro sulla porta, Koko facendo balzi di gioia e Yum Yum girandogli attorno alle caviglie. Dopo aver messo il piattino sul pavimento del bagno, andò a dare un'occhiata in camera per vedere se avessero combinato guai. Era tutto in ordine, a parte della carta stracciata sul davanzale. Ma si trattava solo di una copia di Quattro chiacchiere in Scuderia. I due felini avevano spesso questa reazione all'inchiostro fresco.
Dopo il pasto, soddisfatti, Koko e Yum Yum raggiunsero il loro cuscino azzurro sulla poltrona, si fecero una bella pulizia e poi si distesero. Qwilleran lesse per un po' prima di andare a letto a ripensare alla giornata appena trascorsa. Aveva dato sepoltura a Dennis Hough, comperato pipe per le bolle di sapone, conosciuto lo strano amico di Polly a Lockmaster e incontrato un'affascinante ottuagenaria, e forse l'indomani avrebbe appreso qualcosa su Van Brook da una donna che voleva parlargliene. Spense la luce sul comodino e, pochi istanti dopo, due corpicini caldi salirono furtivamente sul letto e si infilarono sotto la coperta. Yum Yum sul lato sinistro e Koko sul quello destro, continuando a stringerglisi sempre di più addosso, finché lui ebbe l'impressione di essere imprigionato in una soffice camicia di forza.
«Ma è ridicolo!» esclamò ad alta voce. Balzò giù dal letto, prese il loro cuscino azzurro e lo depose sul pavimento del bagno, con mano ferma ce li sistemò sopra, poi chiuse la porta. Gli ululati e gli strilli iniziarono subito. Temendo che avrebbero disturbato la nonna al secondo piano e i Bushland sotto di lui, aprì la porta della stanza da bagno, si rimise a letto e attese preoccupato nell'oscurità. Per un po' non accadde nulla. Poi un primo corpicino atterrò con leggerezza sul letto, seguito da un secondo. Lui girò la schiena e la coppia gli si accoccolò alle spalle. Lì rimasero per tutta la notte, dormendo pacificamente, appiccicandoglisi sempre di più addosso a mano a mano che lui si spostava, un centimetro per volta. Al mattino si ritrovò aggrappato al bordo del materasso mentre i siamesi erano allungati su tutto il letto.
«Come avete dormito, ragazzi?» chiese il mattino seguente Bushy, quando il profumo della pancetta affumicata attirò i tre ospiti in cucina.
«Benissimo» rispose Qwilleran. «Un ottimo letto! Non me ne hanno lasciato molto, ma quel poco che ho avuto era molto comodo.»
«Come le vuoi le uova?» chiese Vicki.
«Ben cotte.» Si guardò attorno per la cucina. «Sento aroma di caffè.»
«Serviti pure, Qwill.»
Con una tazza piena nelle mani, seguì i siamesi che avevano preso a esplorare la casa, soffermandosi felici sul tappeto nei punti in cui si vedevano chiazze di luce solare colorata proveniente dalle finestre. Poi andò a dare un'occhiata alla biblioteca, ma non trovò traccia della Città del Crimine Fraterno.
Quando la prima colazione fu pronta, vide i due siamesi che si rincorrevano allegramente su e giù per l'ampia scala.
«Stanno abituandosi alla casa e si comportano come se fossero nella loro» spiegò al fotografo. «Non dovresti avere difficoltà a fotografarli, domani.»
«Ho un paio di cose in mente» rispose Bushy. «Ma lascerò che siano loro a fare quello che vogliono. Stamane, quando ho portato il vassoio alla nonna, mi ha pregato di rammentarti che li aspetta sopra dopo la prima colazione.»
Quando fu l'ora di salire, Vicki chiamò la nonna con il citofono interno.
Qwilleran prese i due siamesi e salì al secondo piano con un gatto per ascella. L'anziana signora li accolse amabilmente. Indossava una lunga vestaglia a fiori e si appoggiava ai due eleganti bastoni.
«Benvenuti alla mia corte» disse con voce tremula. «E questi sono i due aristocratici di cui ho sentito parlare tanto?»
I siamesi la fissarono con espressione vacua, poi cominciarono a contorcersi per sfuggire alla presa di Qwilleran. Si stavano purtroppo comportando nel modo deludente dei gatti.
«Ho fatto un tè al mirtillo» disse la nonna. «Se porta lei il vassoio andremo a sederci nella nicchia della torre.»
La serie di stanze era arredata con mobili vecchi passati di generazione in generazione, in una profusione di stili, e non c'era superficie sulla quale non si vedessero fotografie incorniciate, inclusa una di Theodore Roosevelt con autografo. C'erano bacheche di vetro che contenevano una preziosa collezione di uccelli in porcellana e alla loro vista Koko si rizzò sulle zampe anteriori agitandole nell'aria. Uno degli uccelli era un cardinale rosso. Persino Qwilleran ormai riconosceva un cardinale quando lo vedeva.
Mentre la signora Inglehart, che conosceva bene l'arte raffinata di servire il tè, lo versava con gesti eleganti, gli disse: «Dunque questa è la prima volta che lei assiste a una Stuple chase, signor Qwilleran. Conosce l'origine del nome?»
«Temo di no.»
Lei cominciò a spiegare, nello stile preciso e con l'eloquio ben strutturato di chi ha presieduto migliaia di riunioni di club: «In passato cavalli e cavalieri correvano attraverso la campagna saltando steccati e siepi e ruscelli, rischiando l'osso del collo per arrivare per primi allo stuple, il campanile della chiesa del villaggio. A Lockmaster lo sport dell'equitazione era sconosciuto fino al giorno in cui non lo ha introdotto mio suocero. Prima di allora avevano soltanto cavalli da tiro che portavano i carri e vecchi pony stanchi che venivano usati per il trasporto. Poi questo sport divenne di moda. Tutti abbiamo preso lezioni d'equitazione. A me piacevano moltissimo la caccia e il latrato dei segugi. Io, naturalmente, avevo il mio cavallo personale; si chiamava Thimothy.»
«Lei ha un bel portamento, signora Inglehart. Immagino che in sella fosse magnifica!»
Yum Yum ora si lasciava accarezzare dall'anziana signora, che la teneva sulle ginocchia.
«Sì, tutti mi dicevano che ero una brava amazzone. Avevo un eccellente controllo e un ottimo equilibrio. D'altro canto, queste doti sono necessarie se si vuol padroneggiare un cavallo che pesa mezza tonnellata con il solo aiuto di una mano, delle gambe e della voce. Il peso corporeo è una sfida eccitante. Ma sto parlando soltanto io, le chiedo scusa.»
«È un piacere ascoltare qualcuno come lei. Che cosa ha suscitato il suo interesse per il mondo degli uccelli?»
«Be', mi faccia pensare... dopo il mio matrimonio con il signor Inglehart ho accuratamente evitato di frequentare sia i club di ricamo sia quelli noiosi in cui si parlava solo di libri che, secondo la logica comune, tutte le giovani signore dell'epoca avrebbero dovuto onorare della loro assidua presenza. Invece ho fondato il club del martedì pomeriggio per le signore interessate all'ornitologia... sapesse quanto ci hanno preso in giro in città perché invece di ammazzare gli uccellini li studiavamo! Scrivevano lettere al giornale accusandoci di avere mani e menti oziose.»
«Intende dire che si usava sparare agli uccelli canori?»
«Sì. I ragazzi tornavano a casa portandosi sulla spalla una sfilza di minuscoli volatili che poi vendevano al macellaio. Erano molto richiesti per le cene formali. Mi spiace doverlo dire, ma qui ci sono tuttora cacciatori dalla mira infallibile che considerano gli uccelli dei bersagli. Naturalmente è iniziato tutto quando il governo ha deciso di dare una ricompensa a chi ne uccideva in maggior numero, perché si riteneva che distruggessero i raccolti. Poi gli scienziati scoprirono che gli uccelli proteggono i campi dai roditori, dagli insetti nocivi e persino dalle erbacce infestanti... Ora invece temo che gli agricoltori si affidino solamente ai diserbanti e a ogni genere di prodotti chimici.»
Udirono Koko che stava conversando con gli uccelli che venivano a mangiare fuori dalla finestra a est, con le zampe anteriori appoggiate al davanzale. Yum Yum faceva le fusa sulle ginocchia dell'anziana signora.
«Credo di piacerle.»
«Che genere di uccelli vengono a mangiare da lei?» chiese il giornalista.
«Di tutti i generi. I miei preferiti sono le cinciallegre: sono socievoli e amabili. Rimangono tutto l'inverno. E Koko avrà un amico anche durante l'inverno, perché i cardinali non migrano, e sullo sfondo della neve sono splendidi!»
«Mi chiedo come facciano gli uccelli a sopravvivere in questo clima.»
«Si riparano con il loro corredo invernale, un bello strato di grasso sotto le piume» spiegò la vecchia signora. «Oh, potrei parlarle a lungo dei miei amici pennuti, ma tra poco lei dovrà andare alla corsa.»
«Non ho fretta» le rispose. «Lei deve avere una gran quantità di ricordi, oltre all'equitazione e allo studio degli uccelli.»
«Posso rivelarle un segreto?» disse la donna con un sorriso complice. «Lei ha uno sguardo onesto e so che non mi tradirà. Mi promette che non dirà nulla a Victoria?»
«Glielo prometto» dichiarò lui con quella sincerità che gli aveva sempre consentito di ottenere molte confidenze nel corso della sua carriera giornalistica.
«Bene!» esclamò l'anziana signora con manifesta soddisfazione. «Quando escono tutti di casa io scendo con il mio ascensore, che ho battezzato la mia magica navicella del tempo, e vago da una stanza all'altra rivivendo la mia vita. Mi siedo a capotavola in sala da pranzo, dov'ero solita servire il tè alle socie del club del martedì, e immagino che la tavola sia apparecchiata con tovaglie di lino di Madera, con fiori disposti in vasi di cristallo e con vassoi d'argento pieni di dolci. Tutte le signore hanno il cappello in testa. Questo non le fa pensare che io sia uscita di senno?»
«Assolutamente no. Quello che sta dicendo mi sembra affascinante.»
«Poi passo nel salotto, mi siedo al pianoforte di bois-de-rose, suono qualche accordo e mi sembra di risentire la bella voce tenorile di mio marito che canta "Quando arrivi alla fine di una giornata perfetta!" e mi pare quasi di avere davanti la partitura con le rose sulla copertina. Com'eravamo felici! Quindi vado anche in altre stanze e do alla governante le istruzioni per la giornata. Prendo un cesto di fiori recisi dal giardiniere... a volte, ma non sempre, passo nell'atrio e ricordo quando ho letto il telegramma riguardante mio figlio in Corea...» Si girò a guardar fuori dalla finestra. «Dopo di allora niente è stato più lo stesso.»
«Dove siete?» chiese una voce dal pianerottolo. «Ah, siete qui!» Vicki si avvicinò con un vassoio coperto.
«Non dica nulla a Victoria!» si raccomandò di nuovo la nonna in un bisbiglio.
«Nonnina cara, dobbiamo andare alla corsa. Ti ho messo il pranzo in frigorifero. Basta che riscaldi la minestra. Ci sono anche una focaccina e un budino alla crema.»
«Ti ringrazio, Victoria. Divertitevi. Vi penserò.»
Vicki l'abbracciò. «Ci vediamo dopo la quinta corsa.»
«La ringrazio per la sua ospitalità, signora Inglehart» disse Qwilleran, chinandosi sulla sua mano tremula e ricambiando la confidenziale strizzatina d'occhio.
«La prego, lasci qui i gatti. Mi fa piacere avere la loro compagnia.»
Mentre scendevano, Vicki disse: «Rifiuta di avere qualcuno in casa quando noi usciamo, ma ha una linea diretta con l'ospedale. In caso di emergenza non ha che da premere un pulsante rosso.»
Bushy aveva estratto dal furgoncino l'armamentario fotografico per sistemarvi i cesti per il picnic e le borse termiche, le sedie e i tavolini pieghevoli. Vicki che indossava un modello sgargiante del Tacky Tack Shop, disse: «Ti piace la mia T-shirt? Me l'ha regalata Fiona per il mio compleanno.»
Quando si fermarono davanti all'appartamento di Fiona, che stava sopra un emporio, la videro arrivare. Portava anche lei una T-shirt stampata nello stile entusiastico dei fan delle corse di cavalli. Un capo molto diverso da quello deprimente della sera precedente. Strada facendo rimase seduta in silenzio, mordendosi l'unghia del pollice.
«Suppongo che abbia partecipato a parecchie di queste corse» disse Qwilleran.
«Sono un po' nervosa. È la prima gara di Robbie!»
Il flusso del traffico diretto verso l'ippodromo era costituito da automobili e furgoni gremiti di persone, le più giovani delle quali chiassose e turbolente nell'impaziente attesa di assistere alla corsa. A sud della città la strada si snodava attraverso i territori di caccia, poi svoltava in un sentiero ghiaioso dove il personale di controllo all'ingresso, vestito con le giacche del Club della caccia, ritirava i biglietti e vendeva programmi-souvenir del settantacinquesimo concorso ippico annuale di Lockmaster. Dopo un'ultima collina, un piccolo ponte e un folto d'alberi, comparve all'improvviso l'ippodromo: un'ampia conca erbosa che formava uno stadio naturale e i cui pendii si affacciavano su una pista delimitata da steccati mobili.
Bushy fece marcia indietro per entrare nel posto del parcheggio che recava il numero G12, con la parte posteriore del furgone rivolta al pendio. Sedie e tavolini per il picnic furono sistemati in basso e lui cominciò a preparare i drink. «Va bene per tutti un Bloody Mary?» chiese.
«Tu sai come lo voglio io» disse Qwilleran.
«Sì. Molto forte, con due gambi di sedano e niente vodka.»
I fianchi della collina erano già occupati da centinaia di veicoli e punteggiati da migliaia di appassionati. Il personale del club, in giubbe color rosa, stava in sella a cavalli purosangue e pattugliava il tratto erboso controllando la folla che si assiepava nelle tende dove si offrivano i rinfreschi nel campo interno. Vicino al posto di parcheggio n. G12 c'era la torretta dei giudici di gara che si affacciava sulla linea del traguardo. Sul lato opposto del campo una striscia di sempreverde nascondeva alla vista il rettifilo. Lì erano fermi in vistosa evidenza tre ambulanze e un furgone da veterinario, pronti a intervenire in caso di necessità.
Dalla torretta dei giudici di gara si udì una voce amplificata dall'altoparlante che annunciava la corsa dei cani. E di lì a poco si poterono udire accompagnati dagli squilli di tromba, i latrati dei segugi che arrivavano di corsa dal pendio dal quale si dipartiva il rettifilo.
Bushy disse: «Questo suono è musica per un cacciatore di volpi.»
Oppure fa ghiacciare il sangue, pensò Qwilleran, se sei una volpe.
Il camper dei MacDiarmid entrò nel posto di parcheggio G11, la portiera si aprì e dal veicolo scese un'orda di ragazzi. Qwilleran ne contò tre, sei, otto, undici... saltarono a terra rumorosamente e si precipitarono subito verso le tende dei rinfreschi. Dopo di loro comparvero Kip, Moira e altre quattro persone adulte.
Qwilleran chiese a Kip: «Quanti di quei ragazzi sono i vostri?»
«Solo quattro grazie al cielo! Ci siamo persi la corsa dei cani? Siamo in ritardo! Perché ci hanno mandato all'ingresso sbagliato.» Presentò i suoi ospiti, tutta gente che aveva a che fare con il giornale, poi le donne si diedero da fare con i cestini da picnic. Unendosi ai Bushland allestirono una specie di tramezza costituita da prosciutti, insalata di patate, fagioli in umido, cavolo, olive, sottaceti, torte di zucca e di cioccolato.
Attorno alle pendici delle colline si udì di nuovo echeggiare la voce che, dalla torretta, ora stava annunciando la sfilata dei carri, che comparvero dietro la curva, circa una dozzina: carri semplici e carri fantasiosi tirati da cavalli al passo con guidatori e passeggeri vestiti in costumi d'epoca.
C'era ancora una mezz'ora prima dello schieramento al palo di partenza. La banda musicale della scuola suonava a tutto volume ma i tamburi e le trombe erano quasi soffocati dal frastuono del pubblico in preda a una sfrenata eccitazione. Tutti giravano di qua e di là, salutavano amici, si pavoneggiavano negli abiti della festa, si dividevano cibo e bevande, urlando, ridendo, facendo baccano. Qwilleran li guardava attonito, consapevole che quell'evento faceva loro l'effetto di una scarica elettrica, e la cosa gli riusciva incomprensibile.
«Le va di fare due passi?» domandò a Fiona che se ne stava meditabonda in disparte.
Lei accettò immediatamente e mentre facevano il giro dell'anello verde commentò dopo un lungo silenzio: «Che bello spettacolo!» Lunghi tavolini pieghevoli erano coperti da tovaglie con le frange e al centro erano stati collocati coppe con fiori, secchielli per il ghiaccio e interi tacchini su vassoi d'argento.
«Mi spiace non averla conosciuta mentre recitava nello spettacolo, ma lei spariva subito dopo che calava il sipario.»
«Avevo da fare un bel viaggio per tornare a casa» gli spiegò. «E poi dovevo badare a Robbie.»
«Nel complesso, tra prove e rappresentazioni, deve aver fatto un bel po' di chilometri. Spero che Van Brook ne abbia tenuto conto.»
«Oh sì» disse la donna. «Mi ha pagato di tasca propria la benzina.»
Qwilleran sbuffò silenziosamente nei baffi. «Molto gentile da parte sua. Ma come vi siete conosciuti, a teatro?»
«No, io lavoravo in un ristorante e lui era solito venire a mangiare lì. Non era molto bello e le altre mie colleghe lo prendevano in giro. Invece a me piaceva. Era... diverso. Poi un giorno mi chiese, del tutto improvvisamente, se mi interessava un altro lavoro. Aveva bisogno di una governante fissa, Robbie allora aveva otto anni. Andammo a vivere in casa sua. Fu proprio una manna dal cielo!» Mentre parlava, il ricordo di quel miracolo le fece dimenticare la timidezza.
«Era un uomo difficile da trattare?» chiese Qwilleran. «Quelli di Pickax lo trovavano piuttosto stravagante.»
«Be', in un certo senso sì ma io mi ero abituata al suo modo di fare. Continuava a dirmi che dovevo istruirmi e mi dava dei libri da leggere. Non erano molto interessanti.»
«Com'è stato che l'ha scelta per l'Enrico VIII?»
«Be', lui stava allestendo lo spettacolo qui a Lockmaster, e mi ha detto che voleva darmi una parte. Per poco non sono svenuta. Non avevo mai recitato in scena e lui mi ha promesso di darmi delle lezioni. Io ho una buona memoria e mi limitavo a fare esattamente quello che mi diceva.»
«Le piacerebbe recitare ancora?»
«Sarebbe bello, ma non potrei farlo senza il suo aiuto.»
«Andavano d'accordo lui e Robbie?» chiese Qwilleran.
«Trattava Robbie come un figlio, lo pungolava perché studiasse e ottenesse voti migliori. Dopo il trasferimento a Pickax veniva a trovarci una volta al mese. Continuava a offrirsi di mandare Robbie al college se solo lui avesse accettato di studiare il giapponese. Sosteneva che il futuro apparteneva a coloro che conoscono il giapponese.» Fece una risatina un po' strana. «Robbie pensava che fosse pazzo, e lo pensavo anch'io.»
La banda della scuola smise di suonare e guardando l'orologio Qwilleran vide che era quasi l'ora dell'inizio della corsa. «Ne riparleremo alla festa, stasera» le promise. Si affrettarono a raggiungere il G12 dove arrivarono proprio nel momento in cui Kip MacDiarmid stava facendo passare il cappello per raccogliere le scommesse.
«Cinque dollari... prego! Se vuol entrare nel gruppo» disse.
Qwilleran estrasse il numero cinque, un cavallo sauro che si chiamava, secondo il programma, Quantum Leap. Dopo un annuncio dalla torretta, la banda prese a suonare l'inno nazionale. Vi furono poi squilli di fanfara e un portabandiera a cavallo imboccò la curva per entrare sulla pista seguito dai funzionari del club pure a cavallo. La prima corsa si svolgeva nel paddock e i cavalieri indossavano giubbetti di seta dai colori vivaci. Il fantino numero 5 portava i colori blu e bianco. Poi i funzionari condussero i corridori verso il traguardo e, ancor prima che a Qwilleran riuscisse di mettere a fuoco il binocolo, il gruppo era già scattato e saltava il primo ostacolo.
Scomparvero tutti dietro la curva e dietro gli alberi e, un attimo dopo, ricomparvero. La folla urlava. Qwilleran non riuscì neppure a vedere Quantum Leap. Cavalli e cavalieri scomparvero di nuovo per ricomparire in fondo alla pista e qualche attimo dopo era tutto finito. Il numero 5 era arrivato sesto, e vinse la posta di cinquanta dollari un amico di Kip. Qwilleran si sentì truffato. Non perché aveva perso ma perché era successo tutto troppo in fretta.
«Tu devi urlare incoraggiamenti al tuo cavallo» disse Vicki. «Non c'è da stupirsi che sia arrivato sesto.»
Per temperamento Qwilleran non era un tipo molto estroverso, e quando intravide fugacemente il suo cavallo nelle successive tre corse, non riuscì a trovar la voce per manifestare il dovuto entusiasmo. Una partita di baseball lo eccitava di più, e anche quando scendeva in campo a seguire il gioco raramente si metteva a urlare.
Fiona vinse il piatto nella seconda corsa e ne furono tutti contenti. Alla terza corsa il cavallo di Qwilleran andò a terra al quarto ostacolo, a quanto fu annunciato dalla torretta. E subito il furgone del veterinario e un'ambulanza si avviarono verso il rettifilo.
Uno dei ragazzi del gruppo MacDiarmid, di lì a poco, tornò al camper urlando: «Ehi, papà, hanno dovuto sparare al cavallo.»
«E il fantino?»
«Non lo so. L'hanno portato via con l'ambulanza. Puoi anticiparmi cinque dollari sulla paga settimanale?»
«Parlane con tua madre.»
Nell'ultima corsa c'erano solo cinque concorrenti e venivano accettati fantini dilettanti. Kip, nella sua veste di allibratore ufficiale, propose di far società per le scommesse.
Fiona disse: «Non posso scommettere. Io faccio il tifo per Robbie.»
«Anch'io» le fece eco Qwilleran.
«Lo faremo anche noi» dichiararono i Bushland.
«La scommessa fu annullata e i Bushland e i MacDiarmid scesero per la collina e raggiunsero la recinzione interna, dove avrebbero potuto far più liberamente il tifo per Figlio di Cardinale. Mentre i cavalli venivano scortati fuori dal paddock, si vide Robbie Stacker. Il ragazzo appariva pateticamente giovane e magro nel giubbetto rosso e oro.»
«Oh, Dio! Oh, Dio! Fallo vincere» stava mormorando Fiona.
Partirono. E per la prima volta Qwilleran provò l'impulso di urlare. I cavalli superarono il primo ostacolo e galopparono su per il pendio scomparendo dietro gli alberi lontani. Prima che ricomparissero alla vista, dagli spettatori che si trovavano sul rettifilo si levò un grido di allarme.
«Oh, no!» gemette Fiona «Oh, no! È caduto qualcuno!»
Di nuovo ambulanza e furgone corsero verso il rettifilo e dalla torretta giunse un annuncio gracchiante: «Il numero quattro è caduto al terzo ostacolo!»
Il gruppo di Qwilleran sospirò di sollievo. Robin era il numero 3.
Mentre i quattro cavalli finivano il primo giro i fans di Robin urlavano a squarciagola, incoraggiandolo in vista dell'ostacolo successivo e seguendolo con le loro urla su per il pendio fino al rettifilo invisibile. Quando i cavalli ricomparvero alla vista Figlio di Cardinale era secondo di stretta misura.
Altri fans urlavano: «Vai, Spunky!» oppure «Vai, Midnight!» Ma il gruppo del G12 e del G11 schiamazzava: «Vai Robbie!... Fallo correre, Rob... continua così, stai guadagnando terreno!» Figlio di Cardinale saltò l'ostacolo senza sforzo e risalì il pendio. «Bravo Rob! Ce ne sono ancora tre!» Vi fu qualche momento di suspense mentre i cavalli sfrecciavano sul rettifilo. «Stanno arrivando! Robbie è in testa... Avanti, Robbie... Ce l'ha fatta! È un vincitore!»
Fiona scoppiò in lacrime. Vicki l'abbracciò e gli altri le si fecero attorno per congratularsi.
«Beviamo qualcosa per festeggiare!» esclamò Bushy. «Così lasceremo anche che l'ingorgo finisca.»
«Se non vi dispiace» disse Fiona «vorrei andare alle scuderie a vedere Robbie. Mi accompagnerà in città Steve.»
«D'accordo» disse Vicki. «Ma fatti trovare vestita e pronta per le sette e mezzo. Passeremo a prenderti.»
I MacDiarmid raggrupparono la loro orda di ragazzi e si accomiatarono. «Quando tornerà qui, Qwill?» chiese Kip. «Mi piacerebbe mostrarle la mia collezione di caratteri tipografici.»
Mentre tornavano a casa, Qwilleran chiese: «Il fatto che Robin abbia vinto è importante, a parte il premio di cinquemila dollari?»
«Dovrebbe aumentare il valore del cavallo e aiutare il ragazzo nella carriera» gli spiegò Bushy. «E addolcire la situazione per gli Amberton quando venderanno l'allevamento.»
«Vendono? E perché vendono?»
«A quanto ho sentito dire, Amberton desidera andare a vivere in climi più caldi. Va verso la sessantina e ha una brutta forma artritica. È sua moglie che non vuol vendere. È lei che pubblica Quattro chiacchiere di Scuderia.»
«Lisa è molto più giovane di suo marito» si intromise Vicki. «E oltre che al giornaletto, è interessata a Steve O'Hare.»
«Questi sono pettegolezzi privi di fondamento» la rimproverò il marito.
«Steve è un donnaiolo» spiegò lei a Qwilleran. «Detesto questa parola, ma lui è proprio un donnaiolo.»
Quando arrivarono a casa, Qwilleran udì Koko che miagolava.
Bushy disse: «Sento il comitato di accoglienza.»
Qwilleran aggrottò la fronte. «Questo non è il solito miagolio di Koko, c'è qualcosa che non va!»
Schizzarono tutti e tre fuori dalla macchina, Bushy e Qwilleran si precipitarono per i gradini e nell'atrio, con Vicki che li seguiva subito dietro. Koko era nell'atrio e stava miagolando con quel tono frenetico che solitamente si concludeva con uno strillo in falsetto. Yum Yum non si vedeva da nessuna parte.
Bushy prese a salire le scale tre scalini alla volta e Vicki corse verso l'interfono.
«Nonna!» urlò. «Stai bene? Stiamo arrivando!» E poi anche lei si avventò per le scale.
Koko schizzò verso l'ascensore sul retro dell'atrio, Qwilleran lo seguì, premette il pulsante e udì chiudersi una porta automatica. Poi la cabina cominciò a scendere e una luce rossa si accese sulla bottoniera. Koko adesso si era calmato e fissava la porta dell'ascensore che stava scendendo.
I Bushland, intanto, erano arrivati al secondo piano e si udirono echeggiare le loro voci nel pozzo delle scale. «Non è qui!» urlò Vicki in preda al panico.
La cabina arrivò lentamente e lentamente la porta si aprì al pianoterra. Erano lì... entrambe: la nonna accasciata sulla panchetta ricamata e Yum Yum accovacciata ai suoi piedi, con un'espressione preoccupata.

10

Vicki era isterica. Bushy urlava in due telefoni simultaneamente. Qwilleran prese in silenzio i due gatti e li portò al piano superiore. Dalla finestra vide arrivare l'ambulanza, poi l'automobile del dottore e di lì a poco il furgone dell'impresa di pompe funebri. Quando tutto tornò tranquillo, scese.
«Posso fare qualcosa?» chiese.
Vicki camminava su e giù per la stanza gemendo. «Povera nonna! L'eccitazione è stata troppo forte per lei!»
«Ha vissuto una lunga vita e l'ha goduta sino all'ultimo giorno» la rincuorò Qwilleran. «E se n'è andata senza soffrire. È stata una fortuna.»
«Perché si trovava nell'ascensore? Se fosse stata di sopra avrebbe potuto schiacciare il pulsante di emergenza e l'avrebbero salvata. Non aveva alcun bisogno di scendere.»
Qwilleran sapeva qual era la risposta, ma mantenne il segreto che gli era stato confidato. Sospettava che l'anziana signora fosse scesa per l'ennesima volta a rivivere il proprio passato e che si fosse accinta a risalire. Forse il ricordo del telegramma che il ministero di Guerra le aveva mandato le aveva provocato l'attacco cardiaco.
Bushy disse. «Dovrai andare al club senza di noi, Qwill. Puoi prendere i biglietti e passare da Fiona.»
«No. In queste circostanze, no. Sarà meglio che faccia le valigie e torni a Pickax. Nei prossimi giorni voi avrete molto da fare.»
«I funerali dovrebbero svolgersi martedì.»
Vicki si rivolse al marito: «Vuoi telefonare a Fiona per comunicarle la notizia? Non mi sento ancora in grado di parlare con nessuno. Chiedile se vuole i biglietti.»
Qwilleran andò di sopra, prese la giacca da sera che non aveva mai indossato e il cuscino azzurro che i gatti non avevano mai usato, poi si accomiatò mestamente dagli annichiliti padroni di casa. «Parleremo di quello che è successo un'altra volta, dopo che sarà passato lo choc. Lei era una nonna fantastica e unica.»
Bushy disse in tono desolato: «Ritorna con i gatti per un altro fine settimana. Faremo ancora un tentativo per fotografarli.»
Qwilleran imboccò il viale lungo il quale sorgevano le gigantesche e vistose costruzioni, rimuginando su quello che era accaduto nelle ultime ventiquattr'ore. I siamesi, consapevoli del fatto che stavano tornando a casa, sonnecchiavano tranquilli nella loro gabbietta, lasciandolo libero di pensare a molte cose. Aveva visto una città nuova, assistito per la prima volta a una corsa a ostacoli, conosciuto un collega giornalista, era stato testimone del canto del cigno di una vecchia e coraggiosa signora e aveva individuato l'uomo barbuto che aveva manifestamente affascinato Polly. Si accarezzò i baffi, sconcertato, continuando a guidare. A lei non erano mai piaciuti gli uomini con la barba e aveva sempre evitato di frequentare persone che facessero parte del mondo dello sport. Si chiese anche come fosse riuscita a comperarsi quell'abito di un blu brillante senza che lui venisse a saperlo. In genere lo consultava nelle rare occasioni in cui andava a fare shopping.
Ma la scoperta più sbalorditiva di quel fine settimana era stata la conoscenza di quella diffidente e minuta donna che sulle scene si era trasformata in una regale sovrana. Per tutta la durata delle rappresentazioni Van Brook le aveva infuso una personalità del tutto nuova, facendola muovere come una regina, impostandole la voce e riuscendo addirittura a farla apparire più alta. Fuori del palcoscenico la donna tornava a essere una persona nervosa dall'espressione preoccupata e dalla conversazione non particolarmente brillante. Ma per poche sere era stata una creazione di Van Brook. Il fatto di non essere riuscito a modellare Robin secondo la propria immagine doveva aver costituito per lui una delusione frustrante.
C'erano altre domande che Qwilleran desiderava porre a Fiona. Van Brook non aveva parlato del proprio passato vissuto Giù in Basso o in Asia? E la sua casa a Lockmaster era forse arredata in stile giapponese? Non coltivava una serra e, se sì, quali piante e fiori vi crescevano? Perché indossava sempre maglioni a girocollo? Doveva nascondere qualcosa? Forse una cicatrice... Aveva mai tolto i suoi libri dagli scatoloni? Dopo quattro anni trascorsi a Pickax erano ancora tutti imballati. E c'erano altre domande di natura più intima che avrebbe voluto fare.
Quando raggiunse la linea di demarcazione della contea il suo orologio segnava le sette. Il giro organizzato in casa sua doveva essere finito, ormai. Si augurò di non trovare le stanze sottosopra come un terminal di autobus la domenica mattina. Sicuramente ci sarebbero stati parecchi messaggi sulla segreteria telefonica, ma era deciso a ignorarli sino a lunedì. Non c'era motivo per spiegare quel rientro anticipato a tutti. L'unica telefonata l'avrebbe fatta a Polly. Intendeva chiamarla per dirle della morte dell'anziana signora e aggiungere: "Sono passato dalla biblioteca e ho conosciuto la tua amica Shirley. Mi ha chiesto notizie di Zampotto e mi ha fatto vedere le fotografie del ricevimento di nozze. Ce n'erano un paio nelle quali tu indossi un vestito blu che io non ho mai visto. Ho fatto altre conoscenze interessanti lì. Per esempio, un allenatore di cavalli, un tipo simpatico dalla barba rossa. Si chiama Steve, ma non ricordo il cognome." Dopo un breve silenzio Polly gli avrebbe detto in tono volutamente indifferente: "Ah sì?".
Questa fantasia divertente gli occupò la mente fino a quando imboccò il sentiero Trevelyan. Il signor O'Dell aveva installato una nuova cassetta postale, sul vialetto d'accesso c'era un nuovo strato di ghiaia e in giardino i detriti lasciati dal temporale erano stati spazzati. In casa non c'erano tracce del passaggio di metà cittadinanza di Pickax, ma i siamesi intuirono subito che cinquecento estranei erano stati lì dentro. Ispezionarono ogni centimetro del pianoterra con il loro naso sensibile.
Mentre loro erano indaffarati in quell'operazione Qwilleran chiamò Polly, ma non ebbe alcuna risposta. Probabilmente era fuori a cena con la cognata che era rimasta vedova. Riprovò alle nove e ancora alle undici, ma continuò a non avere alcuna risposta. Gli pareva strano... Polly non restava mai fuori molto tardi, quando doveva rientrare in macchina da sola.
Stanco dopo quella visita così movimentata a Lockmaster andò a letto presto ma stentò a prender sonno. L'assenza di Polly lo preoccupava.
La domenica mattina fece di nuovo il suo numero. Era l'ora in cui di solito lei dava da mangiare a Zampotto e si preparava le uova in camicia per la prima colazione. Lasciò squillare il telefono una dozzina di volte prima di agganciare. Si sentiva inquieto. Cominciò a temere che fosse andata a un appuntamento con Barba Rossa, che poteva aver lasciato Lockmaster dopo la quinta corsa ed essere arrivato a Pickax nel giro di un'ora. Si infilò la giacca e andò a fare una camminata col pretesto di comperare i giornali della domenica. Mentre svoltava in Goodwinter Boulevard notò che la macchina di Polly non era parcheggiata al solito posto. Forse era andata a incontrare quell'uomo a metà strada per un appuntamento lontano da occhi indiscreti.
Polly e Qwilleran erano amici molto intimi da due anni. Si scambiavano confidenze, consultandosi sui problemi più o meno gravi che insorgevano di volta in volta e dandosi reciprocamente i dovuti consigli... e ora si era comperata un vestito che era del tutto difforme dal suo solito stile e dai colori che prediligeva, e non gliene aveva assolutamente parlato. Forse la sua buona amica Shirley aveva pensato di combinarle un incontro con Barba Rossa... Impossibile sapere di che cosa le due donne potessero parlare quando si trovavano insieme. Gli parve significativo che Shirley, interrogata sulla persona fotografata con Polly, avesse dichiarato di non ricordare come si chiamava.
Passò sistematicamente in rassegna tutti quei particolari: Polly aveva annullato una cena da Tipsy il giorno dopo il matrimonio, adducendo a pretesto il fatto di essere stanca. Era stata abbottonatissima riguardo alla misteriosa telefonata che aveva ricevuto in ufficio. Era stata dal parrucchiere due volte nel giro di una settimana, dopo essersi lavata per una vita i capelli da sola. Tutto portava a ritenere che ora si fosse creata una frattura nella loro relazione...
Era vero che in quei due anni c'erano stati alti e bassi, contrasti e incomprensioni, ma solo perché Polly tendeva a essere gelosa delle donne che lui conosceva nella vita quotidiana.
Sentendosi frustrato e anche un po' abbandonato a se stesso, chiamò Susan Exbridge per informarsi di come era andata la visita di gruppo al Granaio.
«Caro, è stato magnifico!» esclamò lei. «È piaciuto moltissimo a tutti.»
«Ti ho telefonato per congratularmi con te per aver lasciato l'appartamento in un ordine perfetto. Ma vuoi spiegarmi perché ho sentito un profumo di torta di mele così forte quando sono entrato in casa?»
«Ti è piaciuto? Abbiamo tenuto a bollire sul fornello mele e cinnamomo per tutta la giornata. I coltivatori di Mayfus hanno regalato sette bushel di mele e noi abbiamo offerto a tutti i visitatori un bicchiere. Com'è andato il tuo fine settimana?»
«Abbastanza bene. È successo qualcosa qui in mia assenza?»
«Solo un articolo di fondo sul Something nel quale veniva offerta una grossa ricompensa a chiunque avesse fornito qualche informazione sul delitto Van Brook. Spero che succeda presto qualcosa in grado di dimostrare l'assoluta estraneità di Dennis al fatto. Sai, Qwill, ho perso un mucchio di tempo e ho mosso un bel po' di pedine per cercare di introdurre quel ragazzo nella migliore società della contea di Moose... nella speranza di fargli ottenere dei lavori. Se risulterà essere un omicida, la cosa avrà delle ripercussioni negative anche su di me.»
La successiva telefonata la fece ad Arch Riker nel suo appartamento all'Indian Village. «Ho saputo che hai pubblicato l'articolo e offerto la ricompensa, Arch. Hai avuto qualche risultato?»
«Solo due chiamate. Il centralino ha ricevuto una telefonata di una pazza che telefona sempre al giornale. Conoscono la sua voce, ormai. La chiamano Cuoricino Mio. Prima ha accusato Lyle Compton, poi ha puntato il dito su Larry Lanspeak. Scegli tu... Infine c'è stata una telefonata e hanno fatto il nome di una persona del nostro giornale.»
«Chi?» Nella mente di Qwilleran passò tutto l'elenco degli impiegati.
«Dave Landrum.»
«Dave? Si dà il caso io sappia che è stato a Lockmaster per una cerimonia nuziale. Per questo Roger ha fatto il turno di notte. Come hanno tentato di collegare Dave a questo caso?»
«Be', è una spiegazione piuttosto contorta. Sei pronto a sentirla? Un anno fa c'è stato un incidente mortale al Ponte Gobbo. Ricordi?»
Il Ponte Gobbo sul Black Creek era un famoso luogo di incidenti. I giovani guidatori che lo percorrevano a tutta velocità potevano provare il brivido da montagne russe e, se la velocità era veramente folle, per qualche secondo restavano sospesi in aria.
«Se ricordo bene, morirono due ragazzi sul quel ponte» disse Qwilleran. «Però risultò che si era trattato di un doppio suicidio. Giusto?»
«Giusto... Un patto d'amore. È successo il dieci settembre... esattamente un anno prima che Van Brook venisse eliminato. La persona che ha chiamato sembrava convinta dell'importanza di questa coincidenza.»
«Sapete chi era al telefono?»
«No, ha rifiutato di rivelare la sua identità, ma noi abbiamo indicato un nome in codice, affinché possa incassare i suoi cinquantamila se l'informazione si dovesse rivelare esatta.»
«E come sarebbe implicato Dave nella faccenda?»
«È il padre di una delle due vittime.»
«Non capisco» disse Qwilleran.
«Nemmeno io capivo, fino a quando non abbiamo controllato in archivio. La figlia di Dave avrebbe dovuto tenere il discorso di commiato dalla sua classe alle scuole superiori di Pickax. Il suo ragazzo era un giocatore di football. E quando è accaduto il fatto abbiamo messo un annuncio con il titolo "Morte improvvisa", dopodiché sono arrivate le solite lettere di lettori furibondi i quali chiedevano che il Ponte Gobbo fosse spianato. Naturalmente per il ponte non si è mai fatto nulla, ma Roger, che gira per i caffè molto spesso, ha raccolto un pettegolezzo. La giovane coppia aveva sperato di frequentare un'università statale dove avrebbe potuto vivere in un pensionato misto. Purtroppo il ragazzo aveva voti inferiori alla media e Van Brook si è rifiutato di promuoverlo.»
«Non c'è niente di male in questo, no?»
«Tranne che il suo comportamento è stato considerato una vendetta. I preoccupati genitori di Pickax da un paio di anni contrastavano i suoi sistemi e il padre del ragazzo era il più critico di tutti. Dopo i suicidi si è recato nell'ufficio di Van Brook e ha fatto una violenta scenata davanti a testimoni. Potrebbero anche averlo minacciato.»
«Come si chiama? Io lo conosco?»
«Può darsi. Si occupa della distribuzione di bevande analcoliche... si chiama Marv Spencer.»
«E noi dovremmo presumere che i due padri abbiano ideato insieme una vendetta in occasione dell'anniversario del suicidio?»
«Più o meno l'hanno pensata così un po' tutti. Abbiamo passato l'informazione alla polizia.»
«Ascolteranno, ma non vorranno crederci» dichiarò Qwilleran, anche se in seguito ricordò che Dave Landrum aveva partecipato alle prove dell'Enrico VIII nella parte del duca di Suffolk fino al giorno in cui aveva lasciato il palcoscenico indignato e furibondo per l'atteggiamento offensivo del regista nei suoi confronti.
Riker chiese: «Com'è stata la corsa?»
«Sto preparando un articolo che uscirà martedì. Te lo farò avere domani pomeriggio. A essere sinceri, sarebbe uno spettacolo più interessante se ci fossero più cavalli e meno gente.»
Alle sei del pomeriggio Qwilleran tentò di ritelefonare a Polly e ci riprovò alle otto. Preoccupato, finì per chiamare la cognata e le espresse i propri timori.
«È partita per il fine settimana» rispose la donna. «Non mi ha detto dove andava. Ha ricevuto un invito improvviso e mi ha chiesto di occuparmi di Zampotto. Tornerà stasera tardi.»
«Grazie. Ora potrò smettere di preoccuparmi.»
In realtà quella notizia non fece che aumentare il suo turbamento.
Scrisse l'articolo per il martedì, presentando Lockmaster e la corsa da un punto di vista adatto alla contea di Moose: oggettivo, descrittivo, compitamente elogiativo e non eccessivamente entusiastico.
Lo consegnò personalmente in redazione lunedì mattina, poi si diresse verso la biblioteca pubblica.
Passando per l'Emporio Toodle (era il nome di una vecchia famiglia della contea di Moose) si fermò ad acquistare del sapone in polvere per fare bolle di sapone, di una marca che gli era stata consigliata da Lori Bamba. Poi prese un petto di tacchino per i siamesi. Fu in quel momento che notò un cartello dietro il banco della macelleria. SI, ABBIAMO CONIGLI.
«Come sono i conigli che vendete?» chiese al macellaio.
«Surgelati» rispose l'altro con l'aria inespressiva di chi ha trascorso troppo tempo a una temperatura di 10° Fahrenheit.
«Ne prendo uno» disse il giornalista, pensando che lo avrebbe tenuto nel congelatore in attesa di trovare qualcuno disposto a cucinarlo per i siamesi.
Il macellaio scomparve nella cella frigorifera e tornò tenendo tra le mani un oggetto dalle dimensioni di una grossa mazza da golf, solo che era rosso e sanguinolento.
«È un coniglio?» chiese il giornalista, deglutendo sconcertato.
«È quello che mi ha chiesto.»
«Ma non si scongelerà prima che io arrivi a casa?»
«No, a meno che lei non viva a sud dell'Equatore.» E per dare enfasi a quelle parole sollevò il coniglio e lo abbatté con forza sul banco. Né banco né bestia subirono danni per il colpo.
«Me lo incarti, per favore» disse Qwilleran. «Sono a piedi.»
Il pacco che gli fu consegnato faceva pensare a un fucile incartato. Se lo mise in spalla mentre raggiungeva la biblioteca. Superò i quattro isolati con passo più veloce del solito. Nell'atrio la citazione shakespeariana sulla lavagna diceva: "Il silenzio è il perfetto messaggio della gioia". Sbuffò nei baffi. Che cosa significava? Evitando di avvicinarsi alle impiegate, salì le scale fino all'ammezzato.
Lei era lì, nel suo ufficio a vetri, come un comandante sulla tolda della sua nave. Indossava il solito completo grigio, ma sotto portava una camicetta più vivace del solito.
«Bella camicetta!» le disse, mettendosi a sedere pesantemente su una sedia. Aveva dimenticato quanto erano dure quelle sedie di legno.
«Grazie» rispose. Qwilleran attese che gli rivelasse dove l'aveva acquistata e perché, ma lei si limitò a fargli un sorriso gioviale. E misterioso, pensò. Poi si chiese se per caso non si trattava di un regalo di Barba Rossa.
«Ti ho cercata questo fine settimana, dovresti insegnare a Zampotto a rispondere al telefono.»
«Forse dovrei investire in una segreteria telefonica.»
Polly si era sempre opposta a quell'idea e lui trovò sospetto l'improvviso cambiamento. «Hai trascorso un buon fine settimana?» chiese.
«Molto piacevole. Irma Hasselrich mi ha invitata a passarlo nella villetta dei suoi genitori vicino a Purplepont. Siamo andate a osservare gli uccelli nei terreni paludosi e abbiamo visto centinaia di anatre canadesi che si preparavano a migrare.»
Qwilleran trasse un sospiro profondo di sollievo. «Non sapevo che Irma facesse bird-watching.»
«Ed è bravissima! La sua conoscenza del mondo ornitologico fa impallidire la mia. L'anno scorso, mentre viaggiava per il Michigan, ha avvistato un pettirosso di Kirtland. Ti sei divertito alla corsa?»
«Ho mangiato troppo e ho perso venti dollari. E poi, non so perché, ma la vista di diecimila persone che urlano e saltano su e giù come marionette non mi fa impazzire. Però ho esplorato un po' Lockmaster e, quando ho visto la biblioteca, sono entrato a conoscere la tua amica.»
«Ti è piaciuta Shirley?»
«È accogliente come una pantofola. Tra l'altro ho proposto a lei e al marito di venire qui a cenare con noi, uno di questi sabati. Mi ha mostrato le fotografie del ricevimento di nozze. In alcune ci sei anche tu. Mi è parso che ti stessi divertendo molto. Quasi non ti avevo riconosciuto con quel vestito così vivace.»
«Ti piace? Adesso che i miei capelli si stanno ingrigendo forse dovrei portare colori più vivi. Sei andato al Palomino Paddock per il brunch?»
«No. Ma i Bushland davano una cena. Ho conosciuto il direttore del Lockmaster Logger... e anche un tizio che allena cavalli e pubblica un giornaletto che si chiama Quattro chiacchiere di Scuderia.» Qwilleran stava osservando le sue reazioni con attenzione. «Mi ha detto di averti conosciuta al matrimonio. Forse ti ricordi di lui. È un uomo tozzo con la barba rossiccia e un'incipiente calvizie.»
«Non ricordo» rispose Polly, e a lui parve che le si fossero improvvisamente incavate le guance. «C'erano tanti invitati al ricevimento: circa trecento... Gradisci un tè?»
«No, grazie.»
«Un caffè?»
«No, grazie. Nelle fotografie ballavi con quel tizio. Credo che si chiami Steve.»
«Forse me lo ricordo» ammise lei in tono incerto.
«Ho anche conosciuto una donna che ha recitato nell'Enrico VIII la parte di Caterina. Dovremmo invitare lei e Steve quassù per un fine settimana. Potremmo prendere gli aperitivi al Granaio e poi andare a cena al Mulino.»
La vide impallidire e decise di allentare un po' la corda. L'aveva stuzzicata abbastanza e gli dispiaceva vederla così imbarazzata. Caritatevolmente le chiese se era libera per cenare con lui.
«Ho una cena con il comitato della biblioteca» gli rispose, manifestamente dispiaciuta. «Magari domani sera.»
«Domani a Lockmaster c'è un funerale, quindi sarà meglio che non programmi nulla. Quel direttore del giornale ha una collezione di caratteri tipografici che vuole mostrarmi.»
«E se facessimo mercoledì?»
«C'è la premiazione per la sosia di Tipsy. Ci vediamo presto, comunque.» Si alzò. «Devo portare a casa questa roba prima che cominci a sgocciolare.»
«Che cos'è?»
«Un coniglio surgelato che ho preso da Toodle per i siamesi.»
«Ah, davvero? Adesso mangiano selvaggina?»
«Be', la cacciagione e il fagiano piacciono a entrambi, e quando hanno cominciato a buttarmi fuori dalla cassetta dei caratteri tipografici la sagoma del coniglio ho pensato che avessero cercato di dirmi qualche cosa.»
«Forse vogliono che tu legga La collina dei Conigli.» Non era chiaro se lo stava prendendo in giro o se voleva essergli utile. Dopo due anni di intimità nel corso dei quali Qwilleran le aveva confidato i soprannaturali mezzi di comunicazione di Koko, non aveva ancora la certezza che gli avesse creduto. A volte sospettava che volesse assecondarlo, che accettasse quella situazione, se così si voleva chiamarla. Ciononostante, accolse quel suggerimento e andò a dare un'occhiata nella sala della biblioteca dove si trovavano i romanzi. Aveva già letto La collina dei Conigli e decise che meritava una rilettura ad alta voce. Quando rientrò i suoi conviventi lo accolsero rumorosamente. Non mostravano alcun interesse per il pacchetto del macellaio, ma ne manifestavano per il libro che aveva preso alla biblioteca. O sapevano che trattava di coniglio o sapevano che doveva essere stato preso in prestito in precedenza da abbonati alla biblioteca che vivevano con animali in casa. Qwilleran cacciò il coniglio nel surgelatore e invitò i siamesi a raggiungerlo nella sala di lettura. Lì c'erano poltrone con cuscini morbidi, di cuoio chiaro, sistemate accanto a una parete dietro il cubo del camino. Sui ripiani laccati di bianco c'erano molti libri vecchi.
Sopra la scrivania, pure laccata di bianco, era appesa la cassetta con i caratteri tipografici, i cui ottantanove scomparti erano pieni a metà di vecchi caratteri.
«Siamo tutti comodi?» chiese Qwilleran aprendo il libro. Aveva messo i piedi sul divano. Yum Yum gli stava in grembo e Koko si era raggomitolato comodamente vicino al gomito. Aveva appena letto la prima frase quando squillò il telefono. Bofonchiando blandamente, scostò i suoi ascoltatori e raggiunse la scrivania per rispondere.
«Pronto... Parlo con il signor Qwilleran?» chiese una voce tremula.
«Sì.»
«Sono Fiona, da Lockmaster. Fiona Stucker.»
«Sì, certo avevo riconosciuto la sua voce. Mi dispiace per sabato sera, ma eravamo tutti sconvolti per la signora Inglehart. Non era certo un'occasione per festeggiare.»
«Sì, certo. Mi dispiace molto. Era una cara vecchia signora.»
«Verrà ai funerali, domani?»
«Non credo, devo lavorare.»
Seguì un silenzio imbarazzato durante il quale Qwilleran udì delle voci in sottofondo.
«Che effetto fa a Robin avere vinto la gara?» le chiese.
«È molto eccitato. Ha solo diciassette anni, sa?»
Seguì un altro silenzio e Qwilleran lo riempì con le usuali banalità. «Com'è il tempo laggiù? Qui a Pickax è una bella giornata.»
«Anche qui è bello.»
Adducendo la solita scusa che usava quando lavorava in redazione, disse: «Mi spiace se non potrò prolungare questa conversazione, ma devo consegnare un articolo urgente.»
«Oh, le chiedo scusa. Steve voleva che la chiamassi per una cosa.»
«Di che si tratta?»
«Le interesserebbe... comprare una fattoria per allevare cavalli?»
«Una fattoria per allevare cavalli?»
«Ce n'è una in vendita. E secondo Steve, è un buon affare.»
«Purtroppo non è il mio genere di investimenti, Fiona.»
«È l'allevamento degli Amberton. Steve dirige la scuderia, sa? E Robbie lavora lì.»
«Sì, lo so, ma...»
«Mi ha dato un elenco di cose che dovrei dirle. Vuole che gliele legga?»
«Sì, la ringrazio.»
Koko era sulla scrivania, ritto sulle zampe posteriori, e cercava di raggiungere la cassetta dei caratteri. Qwilleran lo scostò, ascoltando attentamente quello che Fiona leggeva.
«Sessantotto acri, un terzo boscoso, tutti i pascoli sono recintati, otto cavalli, incluso Figlio del Cardinale, capienza di venti cavalli nelle scuderie. Attualmente ce ne sono dodici. La casa colonica, che ha settant'anni, è stata ristrutturata, con tutte le migliorie necessarie, valore quattrocentomila. Piscina. Dépendance per gli ospiti. Granaio di rilevanza storica incluso nella proprietà.»
Un po' colpito per quell'elenco, Qwilleran non vide che Koko era tornato furtivamente sulla scrivania. Se ne accorse solo quando un carattere tipografico, che il gatto aveva tirato silenziosamente fuori da uno scomparto, cadde prima sulla guida del telefono, poi rimbalzò per terra. L'accenno al granaio di rilevanza storica lo indusse a chiedere: «Si tratta di un affare proficuo o solo di un hobby per i suoi proprietari?»
«Secondo Steve rende parecchio. Allevano e addestrano cavalli. Ne accettano in pensione. E danno lezioni di equitazione.»
Le fantasie più sfrenate presero a vorticare nella testa di Qwilleran. «È già stato messo sul mercato? Se ne occupa qualche agenzia?»
«Non ancora. Il signor Amberton non vuole passare attraverso agenzie. Steve dice di avere un paio di idee.»
«Mi piacerebbe parlarne con Amberton.»
«In questo momento è in Arizona. Steve lo ha accompagnato ieri all'aeroporto, ma ha lui tutte le informazioni che potrebbero interessarle. Steve... voglio dire.»
«È da lei? Mi faccia parlare.»
«No, è alla scuderia, ma verrebbe molto volentieri a casa sua. Mercoledì è il suo giorno libero.»
«D'accordo, allora mercoledì pomeriggio. Gli dica di venire con cifre e dati precisi.»
«Potrei accompagnarlo e portare Robbie? Mi piacerebbe che lei lo conoscesse.»
«D'accordo, facciamo verso l'una e mezzo.»
Qwilleran riagganciò lentamente con espressione pensosa, dicendosi che era pazzesco e tuttavia... viveva a Pickax da quattro anni e stava cominciando a diventare irrequieto. Come giornalista Giù in Basso aveva vissuto la vita dello zingaro, cambiando di continuo giornale, spostandosi da una città all'altra, alla ricerca di nuove sfide e accettando ulteriori incarichi. Le circostanze attuali richiedevano che vivesse nella contea di Moose per un periodo di cinque anni, se non voleva perdere l'eredità Klingenschoen. Mancava ancora un anno...
«Che cosa ne dici, Koko?» chiese al gatto che gli stava seduto accanto, con le orecchie ritte e la coda piatta sul pavimento.
«Yow!» gli rispose.
Distrattamente e meccanicamente Qwilleran raccolse i caratteri tipografici che vide per terra. Adesso erano tre: uno raffigurava il coniglio, l'altro la puzzola e l'ultimo la testa di cavallo.

11

Quel martedì mattina mentre si dirigeva verso Lockmaster al volante della sua macchina per partecipare ai funerali della signora Inglehart, Qwilleran passò la linea di demarcazione della contea entrando nelle terre dei cavalli, passando in mezzo a terreni collinosi da pascolo, davanti a steccati pittoreschi e scuderie ben tenute. Vide cavalli che venivano fatti correre entro i recinti e cavalieri che si esercitavano nei salti a ostacoli.
Pensò che non doveva essere difficile adattarsi a quel genere di vita, mostre equine, gare di equitazione, corse a ostacoli, gare di salto e corse al trotto.
Il servizio funebre si svolse in una imponente chiesa di mattoni che si affacciava sul Parco Inglehart sulla riva del fiume. Dopo Qwilleran raggiunse il cimitero con i MacDiarmid.
«La nonna era l'ultima Inglehart rimasta» disse Kip. «Gli altri sono sparsi per tutto il Paese. A quanto risulta abbiamo un forte ricambio di popolazione. Vecchie famiglie che se ne vanno, nuove che arrivano. L'ambiente ippico li attira qui.»
«Secondo lei, Lockmaster è un buono posto per viverci?»
«Sta pensando di trasferirsi qui? In tal caso, abbiamo un posto per lei, al giornale. Potremmo pubblicare la sua rubrica in prima pagina.»
Il cimitero era antico ed era situato in un pendio boscoso. La signora Inglehart fu tumulata nella grande tomba di famiglia sovrastata da un monumento funebre confacente a uno dei fondatori della città. Al momento della sepoltura i membri del Club di ornitologia liberarono in volo dei colombi e tutti coloro che prendevano parte alle esequie alzarono il capo a guardarli sparire nel cielo.
«Mi dispiace averla conosciuta per così poco tempo» disse Qwilleran. «Avrebbe potuto convertirmi all'ornitologia. ' Nessuno c'è mai riuscito finora.»
Mentre tornavano in città Kip gli indicò gli allevamenti di cavalli più importanti, il Club della caccia e dell'equitazione, i canili dell'Associazione cani segugi di Lockmaster, il Club della caccia alla volpe e altri luoghi che erano legati alla passione per i cavalli. Moira sedeva in silenzio al suo fianco e aveva un'espressione meditabonda.
Qwilleran, che stava dietro, chiese: «Un allevamento di cavalli è un buon investimento?»
«Ne dubito. Qui da noi un'attività del genere costituisce uno status symbol o un hobby a livello personale.» Spiegò Kip. «Le piacciono i cavalli? Lei monta?»
«Io li ammiro moltissimo, sono animali splendidi. Ma non ho mai avuto un desiderio particolare di possederne uno. Forse mi piacerebbe vivere in mezzo a loro. Purché non mi debba ritrovare a fare il lavoro di scuderia.»
«Gli Amberton vendono il loro allevamento, hanno delle buone razze e attrezzature magnifiche.»
«Allevare cavalli è un grosso rischio, lo sa?» chiese Moira con voce pacata.
«Che cosa sapete dell'uomo che allena i loro cavalli?»
«Steve, vuol dire? Non è qui da molto tempo» rispose Kip. «Ma sostengono tutti che sia un ottimo allenatore. Ha visto che bella corsa ha vinto con Figlio di Cardinale, sabato? Da quanto ho saputo, conosce questo mondo in tutti i suoi risvolti.»
«Da dove arriva?»
«Da posti diversi. Dallo Stato di New York, dal Kentucky, dal Tennessee, penso.»
«Come mai si è fermato a lavorare a Lockmaster?» si informò Qwilleran.
L'altro allentò la stretta sul volante e guardò fuori del finestrino prima di rispondere. «Probabilmente gli è piaciuto l'ambiente e ha capito che qui c'era la possibilità di viaggiare parecchio. Gli Amberton si spostano spesso per presenziare ai vari concorsi ippici.»
Moira lo interruppe bruscamente. «Perché non dici la verità, Kip? Si girò a guardare Qwilleran.» Si è messo nei guai Giù in Basso perché drogava cavalli da corsa.
Il marito dichiarò: «Sono sicuro che adesso è pulito.»
L'auto rallentò e Moira si slacciò la cintura di sicurezza. «Può darsi» ribatté. «Ma la maggior parte dei proprietari di cavalli lo temono.» Balzò giù dall'auto che s'era fermata davanti alla compagnia d'assicurazione dove lavorava. «La prossima volta, Qwill» concluse facendogli un cenno di saluto «speriamo di vederci in un'occasione più allegra.»
Kip rimise in moto, e mentre l'auto si avviava disse: «Perché non viene a cena a casa nostra, stasera?»
A un tratto Qwilleran si rese conto che aveva voglia di tornare a Pickax. «Grazie, ma mi aspettano a casa per le cinque.»
«Va bene, sarà per un'altra volta. Tra l'altro, Pickax offre una ricompensa generosa a chi darà informazioni utili sul caso Van-Brook. Abbiamo avuto la notizia ieri e l'abbiamo subito pubblicata sul nostro giornale di oggi.»
«Spero che dia dei risultati» rispose il giornalista in tono distratto.
Stava pensando a quanto aveva detto Moira.
«Dove vuole che la lasci?»
«Ho la macchina parcheggiata davanti alla chiesa. A quanto pare Moira ha delle riserve su Steve, vero?»
«Be', non è un cattivo ragazzo; ma la vigilia di Capodanno siamo stati tutti invitati a una festa al Club della caccia... si è bevuto parecchio e Steve è uscito dalle righe in modo abbastanza sconveniente. Moira se l'è presa, a dir poco... e ancora non le è passata. Non si è trattato di una cosa grave. Lui era sbronzo... gli piacciono l'alcool e le donne.»
Qwilleran salì sulla propria automobile e si fermò a una cabina telefonica per chiamare Polly alla biblioteca.
«C'è un cambiamento di programma. Posso essere di ritorno per l'ora di cena. Se non hai impegni possiamo andare al Mulino.»
Lei accettò e Qwilleran, rimessosi al volante, si ritrovò a guidare più velocemente del solito.
Arrivato a casa fu accolto da Koko che gli corse incontro con grande eccitazione, il che significava che sulla segreteria telefonica ci doveva essere un messaggio. Lui ascoltò e subito dopo telefonò a Susan Exbridge, augurandosi che ci fosse qualche evoluzione favorevole nella vicenda di Dennis Hough che tanto la preoccupava.
«Mio caro, ho novità fantastiche!» esclamò lei all'altro capo del filo. «Mi ha chiamato da Lockmaster l'avvocato di Hilary riguardo alla liquidazione delle proprietà del defunto. È venuto qui oggi per discuterne. Si chiama Torry Bent, dello studio legale Summers, Bent & Frickle.»
«Hai visto la casa di Hilary?»
«Sì, lui aveva una chiave che mi ha consegnato, segno che mi ha ritenuta dégna della sua fiducia. È un posto strano, e quando dico strano intendo proprio strano. Le stanze al piano di sopra sono piene fino al soffitto di scatoloni di libri e c'è un locale pieno di piante morte.»
«Che ne farete di tutti quei libri?»
«Lo sa solo Iddio! Sul mercato ci sono troppi libri usati. Comunque apriremo tutti gli scatoloni. Sarà un lavoro duro, ma spero di trovare qualcosa di raro e di prezioso. Ed Smith potrà darci degli utili consigli al riguardo.»
«Sarò felice di darti una mano ad aprire gli scatoloni» dichiarò Qwilleran, dimostrando un interesse immediato. «Sono molto bravo nella cernita dei libri e dopodomani sera non ho niente in programma.»
«Qwill, sei un tesoro! Ti andrebbe giovedì mattina? Ti invito a pranzo. Ho portato Torry a mangiare al Mulino ed è rimasto molto favorevolmente impressionato.»
«Dal ristorante o dalla liquidatrice?»
«Da entrambi, se ho capito bene. E ti dirò anche che è un uomo affascinante, per di più è divorziato...»
La conversazione si concluse con allegria e Qwilleran segnò sulla agenda l'appuntamento con Susan per giovedì: un impegno che avrebbe accuratamente evitato di riferire alla direttrice della biblioteca.
Quando andò a prendere Polly a casa, la trovò vestita con una camicetta di un rosa vivido e il tailleur grigio... l'altro tailleur grigio, quello che riservava alle occasioni mondane.
«Questo colore ti dona» le disse. «Come si chiama?»
«Fucsia. Non lo trovi troppo intenso?»
«Assolutamente no.»
Il tragitto per raggiungere il Vecchio Mulino di Pietra, alla periferia della città, fu breve. E in quel frattempo entrambi fecero commenti sul clima, discutendo sul freddo e sul caldo, sull'umidità e sulla visibilità, e su come era stato il giorno prima e su com'era adesso. Al ristorante furono accompagnati al tavolo prediletto da Qwilleran. Lui ordinò il solito sherry dry per Polly e la solita acqua minerale Squunk per sé. Quando i bicchieri arrivarono, tutti e due li sollevarono e brindarono.
Seguì un silenzio, dopo di che Polly si arrischiò a chiedere: «Ai funerali di chi sei andato?»
«Quelli della nonna di Vicki Bushland. Una donna stupenda, ottantotto anni, entusiasta di ornitologia. Ti sarebbe piaciuta.»
«In questi ultimi tempi mi pare che graviti parecchio intorno a Lockmaster.»
«Lì la campagna è molto bella» le rispose. «E c'è un allevamento di cavalli che verrà messo in vendita e che costituirebbe forse un buon investimento per la Fondazione K. Ho l'impressione che potrei interessarmi ai cavalli senza affaticarmi molto.»
«Ti trasferiresti a vivere lì?»
«Non subito, ma è un bel posto.» Quindi le fece una scintillante descrizione della proprietà Amberton. «Domani una delegazione verrà da me per parlare della faccenda.»
«A quanto pare fai sul serio.»
«È molto allettante. Però ho una sola riserva. Il direttore della scuderia è molto competente, ma ha un passato piuttosto discutibile. Oltre ad avere fama di essere un forte bevitore e un gran dongiovanni, ha perso un bel po' di lavori, Giù in Basso, per uso illegale di droghe nel campo dei cavalli da corsa. Un vero peccato! Credo di avertene accennato. Si chiama Steve O'Hare.»
Polly posò il bicchiere bruscamente sul tavolo e impallidì.
«Non ti senti bene?» le chiese il giornalista.
«Mi gira un po' la testa. Tutto qui. Ho saltato il pranzo. Sto cercando di perdere qualche chilo» disse con un sorriso patetico. «Lo sherry...»
«Faccio servire subito il primo.» Fece un cenno alla cameriera. «Mangia un crostino. Te lo imburro io. E non preoccuparti di dimagrire, Polly. Ti preferisco così come sei.» Quando fu servito il pollo e lei si fu ripresa, Qwilleran proseguì: «Ti rendi conto che è la prima volta che ceniamo insieme da dieci giorni? E che ci siamo persi due fine settimana? Non è un bel record per noi due?»
«Lo so» mormorò lei in tono mesto.«Noi ci apparteniamo. Gli ultimi due anni sono stati i migliori della mia vita.»
«Potrei affermare la stessa cosa... cosa pensi che dovremmo fare?»
«Tu che cosa pensi di fare?»
Arrivarono le bistecche di halibut con contorno di broccoli e soufflé di zucca e la risposta fu rinviata.
Armeggiando con una lisca trovata nel pesce, Polly disse: «C'è qualche novità... al granaio?»
«Non riconoscerai il frutteto. È stato danneggiato dalla tempesta la settimana scorsa, ma adesso hanno portato via i rami caduti e alcuni degli alberi in cattive condizioni. Da quando è stato organizzato il giro turistico, il numero dei curiosi è aumentato. Quelli che hanno protestato per avere dovuto pagare cinque dollari ora stanno tentando di guardare dentro gratis. Ho ordinato delle tapparelle, ma ci vogliono tre settimane.»
«Gli arazzi sono arrivati?»
«Sì, e sono stati appesi. Penso che ti piaceranno. Il più grande è stato fissato alla balaustrata del passaggio più alto e mi auguro solo che sia ben saldo. È stato attaccato con delle strisce adesive. Nella nostra famiglia siamo soggetti alla legge di Yum Yum: "Se c'è qualcosa che può essere sganciato, slegato, aperto o staccato, FALLO!" Ha cominciato con i lacci delle scarpe e ha proseguito con i cassetti della scrivania. Può darsi che gli arazzi siano la successiva voce sull'elenco, ragione per cui seguo da vicino la situazione. Lei sta cambiando voce... dopotutto ha quasi cinque anni, è una femmina matura. Sempre più spesso emette uno yowl da contralto molto imperioso, che risuona come un "subito"!»
«Che ne pensa Koko di tutto questo?» chiese Polly.
«Oh, lui ha i suoi passatempi personali. In questi ultimi tempi è diventato molto amico di un cardinale rosso che viene in giardino. Comunicano attraverso la vetrata e c'è un fatto strano: sabato scorso un cavallo che si chiamava Figlio di Cardinale ha vinto la quinta corsa a ostacoli. Non ti sembra una coincidenza curiosa? Supponiamo che Koko sia in grado di indovinare chi saranno i vincitori. Sarebbe un animale preziosissimo... Ti ho detto che ho conosciuto la donna che ha recitato nell'Enrico VIII? È una piccola creatura riservata e insicura, che Van Brook ha ricreato secondo l'immagine della regina Caterina... Un'azione da Pigmalione che deve averlo reso molto orgoglioso.»
Qwilleran era insolitamente chiacchierone; passava da un argomento all'altro, e questa era la prova che la compagnia di Polly gli era mancata più di quanto credeva. Lei, invece, era insolitamente silenziosa e si limitava a porre solo qualche domanda.
A un tratto gli chiese: «Hai letto la lettera scritta da una ragazzina undicenne la settimana scorsa al direttore del Something?»
«Non leggo mai cose scritte da ragazzine undicenni» le rispose nel suo stile di finto disprezzo.
«Ci sono state diverse lettere sul quotidiano di venerdì. Sapevo che eri fuori città e quindi te le ho fotocopiate. Si tratta del problema Tipsy.»
«Problema? Che genere di problema?»
«Leggi la lettera originale e vedrai quello che intendo.»
La lettera scritta da una certa Debbie Watt di Kennebeck era stata pubblicata per intero con quei caratteristici errori infantili che facevano sempre sobbalzare Qwilleran.

Ho undici anni. Sono in prima media. È stata la mia nonna a dire di scrivere. Abbiamo un album di famiglia. Dentro c'è una foto di mia nonna quando era piccola. Lavorava da Tipsy. Hanno fatto una fotografia a lei e a Tipsy fuori, sul davanti. Lei dice che Tipsy aveva piedi bianchi. Nella foto i piedi sono bianchi.

«Mmm!» bofonchiò Qwilleran, riflettendo sul significato di quella rivelazione. «Nel ritratto che c'è al ristorante i piedi sono neri.»
«Esattamente! Se il premio va a una sosia di Tipsy, i piedi saranno neri o bianchi? E adesso leggi le risposte!»
La prima era firmata da una certa signora G. Wilson Goodwinter di West Middle Hummock. Quel cognome apparteneva a una vecchia e distinta famiglia e la residenza si trovava in un quartiere di tono.

La piccola Debbie Watt ha ragione. La figlia della mia governante lavora in un ricovero per anziani Giù in Basso.
Uno dei suoi pazienti è un vecchio marinaio che ha conosciuto Tipsy quando lei stava al Timberline Bar di Gus, al fronte del Porto. Gus era della contea di Moose e, nel periodo della Depressione, tornò qui e aprì un ristorante portandosi appresso Tipsy e dando il suo nome al locale. Il marinaio sostiene che Tipsy aveva piedi bianchi. Ne è assolutamente certo.

Qwilleran commentò: «Questo non promette nulla di buono per Hixie Rice e la sua idea luminosa.»
«Vai avanti a leggere» disse Polly.
La lettera successiva era di una certa Margaret Roche di Sawdust City.

L'artista che ha eseguito il ritratto di Tipsy negli Anni Trenta era cugino di mio marito. Un uomo di grande integrità e non avrebbe mai dipinto dei piedi neri se non fosse stato il caso. Scrivo io perché lui non è più qui per difendersi, dato che è passato a miglior vita tre anni fa. Si chiamava Boyd Smithers e ha firmato la tela con le sue iniziali.

«La cosa si fa sempre più grigia» dichiarò Qwilleran. «Ecco un'altra lettera dalla Camera di commercio di Kennebeck. Sono pronto a scommettere che quelli sono favorevoli ai piedi neri. La faccenda sta diventando un problema politico.»

Per cinquant'anni e più Tipsy e i suoi piedi neri sono stati l'immagine che noi colleghiamo al ristorante e alla città di Kennebeck. Due generazioni delle contea di Moose hanno allevato gatti dalle zampe nere e le hanno chiamate Tipsy. Perché adesso si vuole sovvertire tutto?

Polly disse: «Leggi quella firmata Samantha Campbell. È l'archivista dell'Associazione storica.»

Riguardo alla controversia sorta sul caso Tipsy, voglio far notare che gli archivi dell'Associazione storica detengono una pratica con ritagli di giornale tratti dal Picayune di Pickax che purtroppo ha cessato le pubblicazioni. Nel 1939 un breve articolo faceva riferimento a Tipsy definendola tutta bianca con una calottina nera. Un articolo nello stesso giornale del 1948 si riferisce alle zampette nere di Tipsy. Lo scrivo per sottolineare la necessità di essere precisi circa le notizie giornalistiche, dato che quanto pubblicato dai giornali viene conservato negli archivi storici. Grazie.

«Grazie a lei, signora Campbell!» esclamò Qwilleran. «Dovrei portare Koko al ristorante e lasciare che dia la sua sniffatina siamese al ritratto. Lui è in grado di distinguere il vero dal falso.»
«Tu non stai prendendo la cosa seriamente, Qwill» lo rimproverò Polly. «Leggi l'ultima lettera.» Era scritta da Betty Bee Warr di Purple Point.

«Mia nonna, che si trova nella Casa per l'assistenza agli anziani, dato che soffre di una grave forma artritica alle mani, ricorda che un uomo di nome Gus aveva portato Tipsy a Kennebeck durante la Depressione. Aveva fatto fare da un artista il suo ritratto. Allorché nel 1940 Gus vendette il locale, i nuovi proprietari diedero del denaro a mia nonna, che aveva la pittura come hobby, chiedendole di ritoccare di nero le zampe di Tipsy, sostenendo che questo avrebbe dato al quadro un fascino maggiore. Ora lei si rende conto di aver sbagliato nel fare quell'aggiunta, ma dice che aveva bisogno di soldi.»

Qwilleran disse: «Questo è il pasticcio più brutto dopo la controversia sulla carta moschicida esplosa alla riunione della giunta municipale. Ma Hixie e la Camera di commercio dovranno affrontare loro il problema. Io sono solo uno dei giudici e ho altre cose per la testa.»
«Sei preoccupato per il misterioso omicidio di Van Brook?» chiese Polly sapendo che lui spesso si tormentava quando si trovava davanti a interrogativi senza risposta.
«No, per il mistero della sua vera identità. Era veramente quello che dichiarava di essere, oppure era un impostore? Sospetto che l'ultima ipotesi sia quella vera. Fin dall'inizio Koko aveva capito che in lui c'era qualcosa di poco chiaro. Quel gatto riesce a capire che una cosa è fasulla non appena l'annusa, che si tratti di un parrucchino di capelli autentici oppure di un toupet sintetico.»
Polly trasse un sospiro. «Pensi che Zampotto diventerà mai brillante come Koko?»
«Non con un nome del genere. Manca di dignità. Come sai, Koko si chiama in effetti Kao K'o Kung... Vuoi qualcosa di dolce?»
«No, grazie, preferisco di no.»
«Prendi un caffè?»
Polly esitò, poi disse in tono tenero: «Vuoi che andiamo a bere il caffè a casa mia?»
Più tardi nel corso della serata, mentre si salutavano sulla porta, la direttrice della biblioteca buttò lì in tono noncurante: «Questo fine settimana potrebbe essere l'ultima occasione per fare un po' di bird-watching nella palude. Andiamo?»
«Certo. O magari potremmo volare con l'aereo dei Lanspeak a Chicago a vedere una partita di baseball.»
«Sarebbe bello!» dichiarò Polly.
Qwilleran arrivò a casa di ottimo umore e carico di energia. Ma era mezzanotte e i suoi conviventi gli chiesero solo lo spuntino della notte e che spegnesse tutte le luci. Si ritirò nel suo studio per continuare a leggere la biografia di sir Edmund Backhouse. Il sinologo inglese aveva una personalità accattivante e una compita eleganza. Van Brook era un essere sprezzante e narcisista.
Il giorno successivo era un mercoledì e Qwill si alzò presto per evitare l'incontro con la garrula e brontolona signora Fullgrove. Riuscì a non vederla uscendo di casa e andando a scrivere al giornale la sua solita rubrica del venerdì. Poi passò dalla libreria per far due chiacchiere con Ed Smith e comperò un paio di guanti di cashmere per Polly al negozio di Lanspeak. Grigi per intonarli al cappotto grigio.
Mentre stava incassando un assegno in banca, incontrò Hixie. Le disse: «Sei al corrente della controversia sulle zampe di Tipsy?»
Lei scrollò i capelli alla paggetto con aria di sfida. «Non c'è problema, Qwill. Serve solo a creare ulteriore pubblicità. Noi metteremo in palio due premi: uno per la popolare Tipsy dalle zampette nere e l'altro per l'autentica sosia. Non scordarti che sei il nostro ospite d'onore, prima della premiazione. Vuoi venire a pranzo con me?»
«Non posso» le rispose. «Sto aspettando una persona a casa.»
Puntualmente all'una e trenta un'automobile cominciò a salire per il sentiero Trevelyan e da essa scese il gruppetto che costituiva la delegazione dell'Allevamento Amberton: Fiona, che teneva in mano una scatola di fazzolettini di carta e indossava indumenti anonimi che le svolazzavano attorno al corpo snello, seguiva Barba Rossa che avanzava con un'andatura arrogante mettendo in mostra le spalle poderose. Per ultimo veniva il ragazzo, basso e magro come la madre, che si muoveva con l'agilità tipica della sua giovane età, i pollici ficcati nelle tasche posteriori dei pantaloni.
I due uomini indossavano jeans di tela scura e giubbetti di nylon blu con lo stemma degli Amberton color rosso cardinale ricamato sul taschino superiore.
Qwilleran li salutò sulla porta e li invitò a entrare. Tutti e tre si fecero avanti lentamente, muovendo la testa a destra e a sinistra e in alto e in basso, con espressione attonita.
«Oh, non ho mai visto nulla del genere!» esclamò Fiona.
«Ehi» disse Steve, dando una gomitata al ragazzo. «Che ne pensi, figliolo?»
Robbie fece un cenno di assenso ed entrambi si scambiarono un sorrisetto, che Qwilleran interpretò come: "Abbiamo trovato il pollo. È straricco! Questa roba deve valere una barca di soldi!".
Tre o quattro anni prima quel pensiero lo avrebbe irritato molto. Ora però s'era abituato all'immaginario marchio del dollaro impresso sulla sua fronte.
Fiona disse: «Signor Qwilleran... questo è mio figlio Robbie.»
«Congratulazioni, ragazzo, ti ho visto sabato. Sei stato grande!»
L'altro annuì con aria compiaciuta.
Qwilleran li fece accomodare nella zona salotto dov'erano sistemati i lussuosi divani e le eleganti poltrone color avena. «Volete sedervi?»
Robbie guardò la pelle chiara delle poltrone, poi si girò verso la madre.
«Puoi sederti. I calzoni sono puliti, li ho appena lavati» disse lei.
Qwilleran pensò che il ragazzo doveva essere muto. Nessuno gliene aveva accennato.
«Qualcuno vuol bere un bicchiere di sidro?» chiese.
«Per caso non ha una birra?» disse Steve.
«Robbie e io prenderemo il sidro.»
Madre e figlio sedettero l'una accanto all'altro su uno dei divani, Steve si lasciò cadere sull'altro dopo aver buttato il giubbetto sul tappeto.
I siamesi osservavano gli estranei dalla balaustrata al primo piano. Steve li vide e chiese: «Sono gatti?»
«Siamesi» rispose il giornalista.
«Perché mi fissano?»
«Non la stanno fissando, è che sono presbiti.»
L'allenatore puntò il pollice in direzione del giardino. «Che cos'è successo agli alberi?»
«È stata la grandine qualche anno fa» spiegò Qwilleran. «E la tempesta la settimana scorsa ha compiuto l'opera di distruzione. E allora ho pensato che fosse arrivato il momento di liberarsi degli alberi morti.»
«Questo sarebbe un buon terreno da pascolo, se lei volesse allevare un paio di cavalli.»
«Purtroppo c'è un'ordinanza municipale: niente cavalli, niente bestiame, maiali, polli e capre entro le mura cittadine.»
Mentre bevevano la birra e il sidro, gli ospiti guardavano con curiosità il cubo del camino, le scale a pioli, i passaggi e le massicce travi. Steve disse: «Ho letto sul Logger che un tizio si è impiccato a queste travi!»
«A che cosa serve quella scala?» chiese Robbie.
Ma allora parlai pensò Qwilleran. «È una specie di scala antincendio» rispose. «Ha portato le informazioni riguardo all'allevamento, Steve?»
«Ma certo!» L'altro estrasse una busta dalla tasca del giubbetto e gliela porse. «Mi sono fatto dare le cifre da Amberton, che avrebbe piacere di conoscerla e di mostrarle tutto quando rientrerà dall'Arizona.»
«Da dove viene il reddito della società?»
«Dall'allevamento dei cavalli, dalla vendita dei cavalli, dalle corse, dalla retta per ospitare i cavalli e dal loro addestramento, dalle lezioni di equitazione. Ci sono un mucchio di famiglie ricche a Lockmaster desiderose di far prendere lezioni ai figli e di far vincere loro delle medaglie.»
«Lei dirigerebbe tutta l'operazione?»
«Certo, è quello che faccio già.»
«Ha un curriculum?» E, vedendo che l'altro esitava, aggiunse: «Devo spiegarvi che io non ho denaro mio da investire. Tutti gli investimenti di affari son gestiti dalla Fondazione Klingenschoen e io dovrò discutere la proposta con i membri del consiglio di amministrazione. Costoro vorranno sapere qual è il suo bagaglio di esperienza, dove e per chi ha lavorato e per quanto tempo. Inoltre, la ragione per cui ha lasciato i precedenti impieghi, eccetera.»
Steve starnutì e Fiona si alzò e gli porse la scatola dei fazzoletti di carta dicendogli: «Potrei preparartelo io, Steve.»
Lui si asciugò la fronte. «Ehi, fa caldo qui dentro!»
«È un'allergia» spiegò Fiona. «Ha delle vampate di caldo e dei brividi freddi.»
Qwilleran sì voltò verso Robbie. «E tu che lavoro fai all'allevamento?»
«Aiuto Steve» rispose il giovanotto dando un'occhiata alla madre.
«È molto bravo con i cavalli» disse lei con orgoglio materno. «Quando sarà un po' più grande monterà i migliori, vero, Steve?» L'allenatore starnutì di nuovo.
«Dovrebbe farsi fare delle iniezioni, per quell'allergia» gli suggerì Qwilleran.
«È quello che gli ho consigliato anch'io» disse Fiona.
In quel momento sulla balaustrata in alto vi fu un certo tramestio: dei gorgogli e degli uggiolii, dopo di che entrambi i gatti schizzarono via come fossero stati sparati da un cannone. Su per le scale, giù per i passaggi, di corsa verso il tetto, poi di nuovo giù, a velocità supersonica, fino a che raggiunsero il primo piano. Di lì si tuffarono verso il basso come bombardieri in picchiata. Koko atterrò dietro a Steve sullo schienale del divano e Yum Yum gli si abbatté praticamente in grembo. L'uomo sussultò e a Fiona sfuggì uno strillo sommesso.
«Gesù, che cosa sta succedendo, qui?» chiese l'allenatore.
«Le chiedo scusa, ma avete appena assistito alla diciassettesima corsa a ostacoli settimanale di Pickax» disse Qwilleran.
Koko era immobile sullo schienale del divano, nella identica posizione in cui era atterrato: zampe rigide, groppa arcuata, coda a ferro di cavallo. Poi starnutì. Più che uno starnuto era un bisbiglio, ma nella luce solare che filtrava attraverso le finestre triangolari si vide chiaramente un finissimo spruzzo di vapore.
Steve si asciugò il collo con un fazzolettino di carta. «Sarà meglio che torniamo a casa.»
«Grazie per avermi portato le informazioni» disse Qwilleran agitando il foglio che teneva in mano. «Se lei ci manderà il suo curriculum lo esamineremo e spero che il consiglio di amministrazione sia interessato.»
«Andiamo Robbie» disse Fiona. «Ringrazia per il sidro.»
I tre ospiti si alzarono e mentre si metteva il giubbetto, Steve vide qualcosa per terra e lo raccolse. «Che cos'è?» chiese.
Era una piccola lamina raffigurante la testa di un cavallo, montata su un blocchetto di legno.
«È un vecchio carattere tipografico» gli spiegò Qwilleran. «I gatti ci giocano.»
«Potrei usarlo per la prima pagina del mio giornaletto.»
«Lo prenda pure, glielo do volentieri.»
«Oh, grazie, lei è molto gentile» disse Fiona.
«Non dimentichi la scatola dei fazzolettini.»
«Ecco l'ultimo numero del Quattro Chiacchiere» disse Steve lanciando il giornalino su un tavolinetto. «Ci sono tutti i risultati delle corse.»
Qwilleran accompagnò i membri della delegazione fino all'automobile, fece le dovute osservazioni sul tempo e sulla probabilità di pioggia. Quando rientrò Yum Yum stava uscendo a ventre piatto da sotto il divano e Koko era indaffarato a strappare l'ultimo numero di Quattro chiacchiere in Scuderia che teneva tra le zampe anteriori. Alla vista del giornalista ne afferrò un angolo con i denti e scosse il capo. Qwilleran rimase immobile a osservare quella sistematica distruzione, ammirando l'efficienza del siamese. C'era forse qualcosa nell'odore dell'inchiostro o nella qualità della carta che lo eccitava? Era la seconda volta che stracciava una copia di quel giornale.
Poi bruscamente Koko interruppe quell'attività e tese il collo, poi prese a ruotare la testa a mo' di periscopio guardando la porta d'ingresso. Quella scena durò solo pochi secondi, perché subito dopo si avventò verso la finestra vicino alla porta.
Al contempo Qwilleran udì uno sparo, seguito da una risata trionfale. Corse alla porta: il furgone di Steve stava scendendo lungo il Sentiero Trevelyan e sul terreno vicino ai cespugli punteggiati di bacche era disteso un corpicino rosso.
«Mio Dio!» ansimò. «Quello scemo di ragazzo ha sparato al cardinale!»

12

Qwilleran scavò una buca vicino ai cespugli e seppellì l'uccellino dopo averlo messo in una scatola vuota di caffè per impedire ad animali predatori di divorarlo. Procioni e cani randagi ogni tanto facevano la loro comparsa, nei dintorni.
Da una finestra Koko osservava quella sepoltura con le orecchie appiattite. E quando Qwilleran tornò in casa vide che stava andando avanti e indietro per la stanza.
«D'accordo, adesso andiamo fuori a rendere omaggio al defunto» disse il giornalista con voce pacata, stringendo i denti per la furia che provava.
Mise l'imbracatura ai due felini. Yum Yum subito prese a rotolarsi trasformandosi in una palla pelosa di piombo assolutamente recalcitrante. Koko, invece, si dimostrò ansioso di uscire e, non appena si trovò fuori della portata, si diresse subito verso il punto dove era caduto il cardinale, poi prese ad annusare il posto dove Qwilleran lo aveva seppellito. Alla fine si decise a esplorare tutto il perimetro della casa. Di lì a dieci minuti, quando il telefono li costrinse a rientrare, aveva concluso il suo giro esplorativo. Si distese su un fianco e rimase sdraiato a leccarsi le zampe.
La telefonata era di Mildred Hanstable, una componente della giuria per il premio Tipsy. «Mi sembri arrabbiato» disse quando udì Qwilleran ringhiare nel ricevitore.
«Qualcuno ha sparato a un cardinale nel mio giardino. Non sono arrabbiato, sono furibondo!»
«Sai chi è stato?»
«Sì. E si prenderà una di quelle lavate di capo che non potrà più dimenticare. Tu che cosa mi racconti? Il concorso è stato annullato?»
«No. E so che ti dispiace sentirmelo dire. Dobbiamo essere da Tipsy per cena verso le sei. Ho appuntamento dal parrucchiere questo pomeriggio, e poi avrò un po' di tempo libero, nel caso tu voglia invitarmi. Prima di cenare con il mio capo berrei volentieri qualcosa di forte. Lyle è un tale musone!»
«È tutta una finta» la rassicurò Qwilleran. «Lyle Compton è un gattino che si atteggia a leopardo.»
«Comunque muoio dalla voglia di vedere la tua casa senza essere presa a gomitate da cento visitatori paganti. Lo sai che io ho fatto la guida per un gruppo?»
«Sei invitata» le rispose, parlando in tono secco, anche se compito. Koko si stava ancora leccando le zampe e Yum Yum continuava a fingere di essere sempre in coma, dal quale però si riprese subito non appena le fu tolta l'imbracatura. Qwilleran guardò l'orologio. La delegazione che era appena andata via doveva essere già tornata a Lockmaster, a meno che Steve non si fosse fermato, strada facendo, a bere qualcosa.
Telefonò ai Bushland: «Parla Qwill. Dove trovo Fiona?»
«Mi sembri sconvolto. È successo qualcosa?» chiese Vicki allarmata. «Sarebbe dovuto essere a casa tua con Steve e Robbie un paio d'ore fa.»
«Sono venuti e se ne sono andati. E quel ragazzaccio ha ucciso un uccellino nel mio giardino. Un cardinale rosso! Prima di fargli una bella lavata di testa, voglio dire due paroline a sua madre.»
«Mi dispiace molto, Qwill. Ti farò chiamare» gli rispose Vicki. «Deve venire qui per dare una mano a preparare una prima colazione per la partita di caccia di domani.»
«Sì, ti prego. Di' che mi chiami non oltre le cinque.»
La presenza di Mildred Hanstable fu un toccasana per la sensibilità ferita di Qwilleran. Era una donna sana, felice, estroversa dal seno prosperoso, e aveva la sua stessa età. Da lei emanava un'aura di generosità che attraeva uomini e ammali. I siamesi la accolsero con esuberanza perché avevano intuito che nella sua voluminosa borsa ci doveva essere un pacchetto di croccanti biscottini fatti in casa.
Quando si fu accomodata su un divano, Mildred sistemò le pieghe dell'ampio abito che celava le sue abbondanti curve. Aveva rinunciato alla battaglia per dimagrire e ora si concentrava sul camuffamento del suo sovrappeso.
«Sono più felice» confessò a Qwilleran «adesso che ho deciso che la natura mi voleva rotondetta. Sono il prototipo della Madre Terra. Perché lottare? E per rispondere alla domanda che tu non mi hai posto: Sì... gradirei uno scotch. Dimmi, Qwill, che effetto fa sguazzare nello spazio?» E con una mano svolazzante indicò la vastità della casa.
«I grandi spazi aperti sono una gran bella cosa» le rispose «ma io sono abituato a quattro pareti e a una porta. Invece di avere stanze io ho zone: una zona per il salone, una zona per la biblioteca, una zona per la sala da pranzo. Tu ora sei seduta nella zona soggiorno grande e io farò gli onori di casa nella zona bar che è adiacente alla zona spuntini. È tutto un po' troppo vago.»
Portò i drink e una ciotola di noci su un piccolo vassoio di peltro, dono della sua arredatrice che glielo aveva dato quando avevano fatto l'inaugurazione della casa.
«La tua zona cucina è eccezionale!» dichiarò Mildred. «Imparerai a cucinare o pensi di sposarti?» gli chiese con una certa malizia. Mildred insegnava economia domestica nelle scuole di Pickax e si era offerta di dargli lezioni sulla bollitura delle uova.
«Non c'è nulla che potrebbe essere più lontano di questo dalla mia niente» ribatté lui, raccogliendo dal pallido tappeto marocchino alcuni blocchetti scuri.
«Che cosa sono, Qwill?»
«Ho cominciato a fare la raccolta di antichi caratteri tipografici e i gatti continuano a rubarli dalla cassetta che è appesa nella zona biblioteca.»
«Perché non la sposti in un punto che loro non possono raggiungere?»
«Non esistono punti che un siamese non sia in grado di raggiungere. Se necessario, si appendono anche a un lampadario pur di riuscire nel loro intento.» Le mostrò un quadratino metallico montato su legno. «Questo è il loro preferito e significa che ogni tanto desidererebbero mangiare un piatto di coniglio al pepe. Sai cucinare il coniglio?»
«Ma certo! Si fa proprio come il pollo. Nei primi tempi del matrimonio Stan andava spesso a caccia e ogni fine settimana io preparavo stufato di coniglio alla belga.»
«Saresti così gentile da cucinarmi una teglia di coniglio per i gatti? Ne ho comperato uno surgelato da Toodle.»
«Sai che sarei ben felice di farlo. E posso chiederti un favore? Adesso che ti sei trasferito dal tuo garage, accetteresti che le volontarie ospedaliere lo usassero come negozio per vendere oggetti regalo? Ci serve un indirizzo in centro.»
«Ti metterò sull'elenco. Ma il Comitato delle arti lo vorrebbe come galleria d'arte e l'Associazione storica lo vuole come negozio di antiquariato. Di fatto io esito a darlo via prima di aver trascorso almeno un inverno qui dentro. Il costo per il riscaldamento e la rimozione della neve potrebbe risultare proibitivo.»
«Se puoi permetterti di dare da mangiare ai siamesi aragosta puoi anche permetterti di pagare una fattura salata per il riscaldamento» gli rispose. Quasi avessero capito cosa significava "aragosta", Koko e Yum Yum si presentarono immediatamente mentre Mildred proseguiva: «Il padre di uno dei miei alunni gestisce il rifugio per animali, e mi ha detto che una coppia di gatti può procreare dodici gatti in un anno e sessantatré in due. Tra dieci anni ci saranno ottanta milioni di discendenti diretti!»
«Tipsy è vissuta cinquant'anni fa» dichiarò Qwilleran. «Non c'è da stupirsi che ci siano tanti gatti bianchi e neri in giro.»
«Il rifugio per animali è sommerso da gatti e gattini abbandonati. Inoltre, centinaia di gatti randagi si aggirano per la campagna... fanno gattini, muoiono di fame, gelano per il freddo e vengono travolti dalle automobili.»
«Che cosa stai cercando di dirmi, Mildred?» Qwilleran sapeva che era sempre pronta a fare appassionate crociate in difesa delle cause più disparate.
«Secondo me la Fondazione Klingenschoen dovrebbe sottoscrivere una campagna per la sterilizzazione e la castrazione gratuite. Sarò ben felice di presentare una proposta al consiglio di amministrazione. Hixie Rice potrebbe organizzare l'incontro. Avremo bisogno di pubblicità, di programmi nelle scuole, di squadre di recupero dei felini...» Fu interrotta dallo squillo del telefono.
«Scusami» disse Qwilleran. Andò a rispondere nella zona biblioteca. «Oh, signor Qwilleran!» esclamò una voce stravolta all'altro capo del filo. «Sono addoloratissima per quell'uccellino. Non è stato Robbie. Lui voleva usare il fucile di Steve, ma io non gliel'ho permesso. A Steve piace sparare a casaccio...»
«La ringrazio di avermi chiamato» rispose lui in tono secco. Mi scuso per avere accusato suo figlio. Dirò quello che penso a Steve di questa azione scriteriata.
Quando tornò nella zona salotto, Mildred stava cercando faticosamente di emergere dalle profondità dei cuscini del divano. «Credo che sia ora di avviarci.»
«Prima che tu vada via, Mildred, vorrei la tua opinione su un problema di ordine casalingo nella zona lavanderia.» La condusse in una nicchia che era chiusa da una tramezza e dove c'erano degli attaccapanni ai quali erano appesi asciugamani gialli, camicie gialle e mutande gialle.
«Il mio colore preferito!» esclamò Mildred.
«Ma non il mio.»
«Hai lasciato qualcosa in qualche tasca quando hai messo la roba in lavatrice? Che cosa? Lo sai?»
«Un rametto di foglie verdi con un fiore rosso.»
«Dove lo hai preso? E perché lo avevi in tasca? O sono troppo curiosa?»
«Una lunga storia» le rispose evasivamente..
Lei affondò il naso in un asciugamano. «Potrebbe trattarsi di zafferano. Io ero solita metterlo nel riso bollito che diventava di un delizioso colore. Sai quanto costa lo zafferano oggi? Dodici dollari per un misero pizzico! Qui i negozi non ne vendono nemmeno più.»
«Perché è tanto costoso?»
«Be', viene dall'interno di un minuscolo fiore. Hai provato con lo sbiancante?»

Salirono sulla macchina di Qwilleran e si diressero verso Kennebeck.
Mentre Mildred parlava dei rifiuti che si vedevano sul ciglio stradale e dell'alto costo degli oggetti d'arte, lui pensava a ciò che aveva visto nella serra di Van-Brook. Se quell'uomo aveva coltivato piantine di zafferano significava che aveva un raccolto di un valore di ventimila dollari in un piccolo locale. Naturalmente, avrebbe dovuto esportarlo nei vari centri gastronomici sparsi per il Paese. Usando poi la luce artificiale sarebbe potuto addirittura arrivare a cinque raccolti l'anno. Un hobby molto redditizio per un preside di campagna... E poi si chiese se Van Brook conoscesse un'altra possibilità di impiego dello zafferano. Forse in Oriente aveva imparato qualche cosa al riguardo. Forse si poteva fumare... In tal caso, il raccolto avrebbe avuto un valore di milioni. Poi si chiese, stupendosi come già gli era successo prima, che cosa ci fosse in quelle centinaia di scatoloni, oltre ai libri.
Prima che riuscisse a formulare un'ipotesi soddisfacente arrivarono al ristorante di Tipsy. Hixie Rice li accolse sulla porta e li condusse a un tavolo, quello che stava sotto il ritratto di Tipsy dalle ingannevoli zampette nere. Lyle Compton era già arrivato e stava bevendo un Martini.
Hixie disse: «Vi darò tutti i ragguagli necessari e poi vi lascerò perché devo scortare i concorrenti nella sala riunioni qui di fronte.» Mostrò loro due pile di fotografie. «Queste sono le finaliste delle due categorie, ammontano a cinquanta. Date un'occhiata mentre bevete qualcosa e scegliete le candidate più somiglianti all'originale, basandovi sul colore del loro mantello. In seguito, quando dovrete giudicarle dal vivo, la vostra selezione conclusiva dovrà basarsi sugli esemplari più dolci e più buffi. Ci vediamo tra poco. C'è già una coda sul marciapiede e apriranno le porte solo tra un'ora.» Schizzò via dalla sala da pranzo con quella totale sicurezza che era la sua caratteristica principale.
«Io prendo un altro drink» annunciò Compton, concedendo agli altri due giudici la smorfia arcigna che per lui era un sorriso.
Mildred disse: «Non sono sicura di essere d'accordo sulla concessione di un doppio premio basato su una contraffazione. Quali valori presentiamo ai nostri giovani?»
«Nessuno mi ha mai detto quale sarà il premio» dichiarò Qwillieran.
«Non leggi il giornale sul quale scrivi?» lo rimproverò lei. «Una cassa di alimenti per gatti, venticinque chili di ghiaia e un fine settimana per due persone a Minneapolis.»
«Prima diamo un'occhiata a queste fotografie fasulle di Tipsy» disse Compton, prendendo il mucchio di foto raffiguranti le concorrenti con le zampette nere. Era abituato a prendere le redini del comando durante le riunioni. «Il giudizio definitivo sul colore del mantello deve basarsi sul cosiddetto "cappellino", sulla macchia nera su un orecchio e su un occhio. E con questo la maggior parte dei concorrenti sarà eliminato.»
«Vedo dei collarini neri» disse Qwilleran. «Vedo paraorecchi neri, baffi neri, occhiali neri, spalline nere, fasce nere ma niente cappellini.»
Mildred trovò la foto di qualcosa che sembrava una cuffietta con il sottogola.
«Questa tienila da parte, potrebbe essere la vincitrice» commentò Compton.
«Le finaliste saranno presenti?» domandò Qwilleran.
«Così dovrebbe essere. Con cinquanta gatti radunati in un unico locale non vedremo molte espressioni dolci.»
I concorrenti con le zampette bianche erano in minoranza. E con il cappellino ce n'erano soltanto tre, mentre nell'altra categoria ce n'erano sette.
«Trovato qualcosa?» chiese Hixie quando ritornò.
«Queste sono le migliori che abbiamo trovato» dichiarò Mildred, sparpagliando le dieci fotografie sul tavolo.
«Bene, girale e vedrai il numero di codice che vi è segnato: W2, B6, B12, eccetera. D'accordo? Quando i gatti vi sfileranno davanti, ognuno di loro sarà condotto da un accompagnatore, il quale porterà il numero di codice assegnato a ciascuno. Quando vedrete i dieci numeri selezionati in prima battuta fateli condurre sulla pedana dei secondi selezionati. Poi consultatevi e prendete la decisione finale. Fate con calma. Gli indugi non faranno che aumentare l'atmosfera di suspense. Adesso è tutto chiaro? Tornerò a prende V tra un'ora. Godetevi la vostra cena. Prenotatevi per non perdervi il budino di pane per il dessert: è favoloso! E aspettate fino a quando non vedrete la folla entusiasta. Questo è l'evento più grandioso che abbiamo avuto finora a Kennebeck! Tra l'altro, abbiamo anche delle T-shirt deliziose e divertenti, se vi va di indossarle.»
«Stai scherzando, spero» disse Mildred.
I giudici guardarono Hixie che si allontanava a grandi passi dalla sala da pranzo. Ogni volta che la porta del ristorante veniva aperta si udiva un gran chiasso dalla strada. Compton disse: «A me sembra più una sommossa che altro!» Dopo aver ordinato si girò verso Qwilleran: «Mia moglie mi ha detto che la visita al granaio è stata un grande successo.»
«L'ho sentito anch'io. Per fortuna non ero in città.»
«È vero» si intromise Mildred. «Ai visitatori è piaciuto molto. E quello che li ha stesi tutti è stato l'arazzo con i meli. Però hanno trovato da ridire sulle stampe di soggetti zoologici. Perché la gente ha tanta antipatia per i pipistrelli? Sono creaturine così graziose! E mangiano una quantità di moscerini.»
«Io li trovo disgustosi» dichiarò Compton.
«Non è vero.» Mildred era sempre pronta a difendere i derelitti. «Quando ero in seconda elementare a Black Creek, il nostro insegnante teneva un pipistrello in gabbia. Noi lo nutrivamo con qualche boccone del nostro pranzo che gli allungavamo sulla punta di una matita.»
«Sono mostriciattoli luridi!»
Lei lanciò un'occhiata di furibonda indignazione al suo capo. «Lo avevamo battezzato Boppo. Era pulitissimo, si lavava sempre come un gatto. Mi ricordo i suoi occhi luminosi e le orecchie appuntite. E poi aveva una boccuccia rosa con dentini aguzzi.»
«Che possono causare un'epidemia di rabbia.»
Mildred ignorò quelle parole. «Stava a testa in giù tenendosi appeso con i piccoli artigli. E poi camminava sui gomiti. Era un vero e proprio pagliaccio. Sono sicura che due signori istruiti come voi sanno che la struttura delle ali dei pipistrelli è la perfezione in fatto di aerodinamica.»
«L'unica cosa che so» ribatté Compton con una smorfia «è che ci sono una gran quantità di altri argomenti dei quali preferirei parlare, mentre mangio una bistecca.»
Parlarono della corsa, dei discutibili vantaggi del turismo, del successo dell'Enrico VIII e del caso Van Brook. Dopo il caffè, allorché Mildred si assentò brevemente, Compton scrollò le spalle e si chinò verso Qwilleran.
«Adesso che Mildred non ci può sentire» disse «ho qualcosa di confidenziale da comunicarti. Tu mi hai chiesto informazioni su Hilary. Ho fatto qualche controllo presso le università che dovrebbero avergli conferito quelle lauree. Una di queste non esiste e non è mai esistita. Nelle altre due non c'è traccia di alcuna sua frequentazione e il suo nome non risulta da nessuna parte nell'archivio.»
Qwilleran mormorò: «Ci sono prove che lui ha mentito su questioni di scarso rilievo. Quindi la cosa non mi meraviglia affatto.»
«Naturalmente ti dico questo in veste non ufficiale. Non vedo la necessità di rendere la cosa pubblica, adesso che è morto. Per noi ha fatto molte cose positive, pur essendo un orribile tiranno.»
«La cosa straordinaria è che era una persona di grande cultura, o almeno così sembrava. Hai controllato al Sindacato attori?»
«Sì; e anche lì non si è trovato nulla. Non risulta che abbia mai fatto l'attore di professione... Ma non era poi tutto negativo in lui.» Compton si guardò attorno. «Sta arrivando. Non ho finito, ma ti racconterò il resto più tardi.»
Mildred annunciò: «La folla sta premendo per entrare nel salone del concorso. Mi auguro che riescano a tenerla sotto controllo durante la sfilata.»
In quel momento comparve Hixie, rossa in volto e senza fiato. «Abbiamo molta più gente di quanta ci aspettassimo. È arrivato un gruppo di piccoli boy-scout e le prime tre file sono occupate tutte dagli anziani delle case di riposo. Ogni gatto ha dai cinque ai dodici sostenitori, e di questa gente non avevamo tenuto conto. I pompieri forse vieteranno a quelli che continuano ad arrivare di entrare nell'edificio. Tutti i posti sono occupati e molte delle persone che sono rimaste fuori partecipano al concorso. Non possiamo iniziare fino a che non saranno entrati tutti e non possiamo buttare fuori la gente che è arrivata prima.»
«Mettete in azione gli estintori» bofonchiò Compton.
«Noi possiamo far qualcosa?» chiese Mildred.
«Mettetevi sul petto il distintivo di giudice e prendete posto sulla pedana. Vi farò passare dall'ingresso di servizio.»
«Devo mettermi il distintivo?» si informò Qwilleran. «Preferirei conservare l'anonimato quando cominceranno a fotografare.»
Hixie li fece passare nella grande sala e la loro comparsa sulla pedana fu accolta con applausi e fischi. Si accomodarono a un lungo tavolo coperto da un panno nero sul quale troneggiava una cesta di giocattoli fatti con l'erba gatta, previdentemente offerti dagli organizzatori del concorso. Un regalino per ogni partecipante, che avesse vinto o no.
Le file di sedie pieghevoli erano tutte occupate e i corridoi erano gremiti di gente in piedi. In fondo membri della Camera di commercio, che indossavano le dolci buffe T-shirt, cercavano di far ragionare l'orda vociante che chiedeva di entrare. I più rumorosamente indignati erano coloro che portavano i gatti finalisti. A un dato momento ebbero la meglio sui funzionari e irruppero nel salone, cosicché di lì a poco il locale fu gremito di famiglie rissose e di gatti miagolanti, alcuni dei quali erano tenuti in braccio mentre altri stavano nelle loro gabbie. Tutti, comunque, erano bianchi e neri e tutti molto infelici.
«Qualcosa mi dice» fu il secco commento di Compton «che questa faccenda non funzionerà.»
Nel tentativo di ripristinare l'ordine e di spiegare quella situazione inaspettata, il presidente della Camera di commercio comparve sulla pedana, accolto da una raffica di urla e di fischi di disapprovazione. Alzando una mano e urlando nel microfono cercò di ottenere l'attenzione del rumoroso pubblico, ma l'apparecchiatura era inutilizzabile. In mezzo a quel frastuono non si sentiva nulla e l'altoparlante aggiungeva laceranti sibili elettronici al pandemonio generale. Molte madri urlavano perché i loro bambini venivano calpestati; due gatti bianchi e neri, tenuti in braccio, si avventarono l'uno contro l'altro, ingaggiando una furiosa battaglia. All'apice della confusione, un gigantesco gatto bianco e nero si liberò dal suo accompagnatore e balzò sulla pedana e quindi nella cesta dei giocattoli regalo. Subito dopo tutti i gatti che riuscirono a liberarsi seguirono il leader saltando sulle teste canute di anziani urlanti seduti nelle prime file. Di lì a pochissimo il tavolo della giuria si riempì di felini in lotta, mentre nell'aria volavano peli a tutto spiano. I giudici si infilarono sotto il tavolo, ma in quel momento sulla pedana comparve la polizia con i megafoni e, misteriosamente, entrò in funzione l'impianto antincendio ad acqua polverizzata.
Sotto il tavolo Compton urlò: «Per l'amor di Dio, usciamo di qui!» Tutti e tre strisciarono carponi verso la porta di servizio e fuggirono fuori. Per un attimo rimasero immobili a guardarsi, col fiato mozzo.
La prima a parlare fu Mildred. «Propongo di tornare da Tipsy a bere qualcosa.»
«Approvo la proposta» disse il suo capo.
«Un vero peccato che nella contea di Moose non ci sia copertura televisiva» osservò Qwilleran. «Le troupe avrebbero avuto una giornata campale... C'era di tutto: bambini, gatti, vecchi, persino sangue!»
Main Street era soffocata dalle autopattuglie e dai carri attrezzi con le luci rosse e azzurre che lampeggiavano, mentre i vicesceriffi e gli agenti della polizia di stato cercavano di controllare la ressa. C'erano anche ambulanze e mezzi dei pompieri pronti a passare all'azione. L'unica prudente possibilità di raggiungere il ristorante era quella di aggirare l'intero blocco e di entrare dalla porta della cucina.
Nella relativa tranquillità del locale i tre crollarono sulle sedie. Per quella sera non videro più Hixie e, appena parve che le acque si furono calmate, furono ben lieti di andarsene.
Qwilleran prese da parte Lyle Compton. «Che altro voleva comunicarmi su Van Brook? Mi ha detto che non era finita.»
«Non è stato ancora annunciato ufficialmente» gli rispose l'altro in tono confidenziale «e io non ho nemmeno informato la commissione scolastica. Ma oggi il suo legale mi ha comunicato che Van Brook ha lasciato tutto il suo patrimonio alle scuole di Pickax. Se devo essere sincero, penso che ce lo siamo guadagnato.»
Qwilleran accolse la notizia con scetticismo. «Qual è l'inghippo? Dovete ribattezzare le scuole con il nome di Van Brook?»
«Niente di tutto ciò, anche se potremmo dare il suo nome alla biblioteca. Si ritiene che la sua raccolta di libri ammonti a novantamila volumi.»
Più tardi nel corso della serata il giornalista telefonò a Susan Exbridge. «A che ora ci vediamo domani per sballare i libri?»
«Ti andrebbe bene per le nove? Si tratta di un grosso lavoro e temo che ci si sporcherà dalla testa ai piedi. Mettiti un vestito vecchio» lo consigliò.
«Che ne diresti se portassi anche Koko? Lui ha il fiuto di un segugio, quando si tratta di scoprire libri vecchi.»
«Tesoro, fai quello che più ti garba.»
Qwilleran era al settimo cielo per l'eccitazione, perché quanto aveva saputo su Van Brook gli aveva fatto totalmente dimenticare il fiasco colossale del concorso felino. Rivolto ai siamesi disse: «Vi andrebbe di fare un po' di sport? Qualcosa di nuovo?» Estrasse una delle pipe per fare bolle di sapone e preparò una scodella di acqua e sapone in cucina. I due gatti lo guardavano incuriositi e sconcertati da quella scodella piena di qualcosa che non era commestibile né bevibile.
«Voi restate qui» disse loro, salendo al primo piano con tutto l'armamentario. I due invece lo seguirono per la scala.
Lui immerse la pipa nell'acqua saponata, poi se la avvicinò alle labbra commettendo un errore. Ai tempi in cui fumava la pipa era abituato ad aspirare. Ma far bolle di sapone era tutt'altra cosa. Sputò ciò che aveva aspirato e ci riprovò. Questa volta riuscì a formare una bella bolla, iridescente nelle luci alte e basse del granaio. Ma subito dopo gli scoppiò sul viso. Provò per la terza volta riuscendo gradatamente a padroneggiare quella tecnica nuova.
«Bene. Adesso scendete!» ordinò ai gatti, dando a entrambi una manata sulla groppa. «Giù! Giù!» Koko e Yum Yum invece, volevano salire. Era passata per loro l'ora di andare a letto. Rimasero dov'erano.
Per tentarli soffiò una serie di bolle, bolle a mucchio e bolle dentro altre bolle, facendole salire nello spazio, osservandole fluttuare pigramente negli spifferi d'aria fino a che scomparivano. I siamesi rimasero assolutamente indifferenti. Osservarono, immobili, quell'assurdo esemplare di homo sapiens che soffiava in una pipa, agitava un braccio e scrutava al di sopra della balaustrata. Annoiati, salirono per la scala e raggiunsero il loro loft.
«Gatti!» sibilò Qwilleran.

13

Giovedì 22 settembre sarebbe stato uno dei giorni più memorabili dei quattro anni in cui Qwilleran era venuto a vivere a Pickax. Iniziò con il solito tran tran. Diede da mangiare ai gatti, scongelò una brioche per la sua prima colazione e mise l'imbracatura a Koko per il viaggetto verso Goodwinter Boulevard. Tanto per non farle perdere l'abitudine, la mise anche a Yum Yum, nella speranza che alla fine accettasse l'idea. Questa volta, invece di buttarsi a terra, la gatta rimase immobile nella posizione goffa delle zampe a squadra che era la conseguenza del tentativo di allacciarle le cinghie. Koko, invece, cominciò ad avanzare sulle snelle zampette scure, tirando il guinzaglio, ansioso di muoversi. Per due minuti e sette secondi, secondo l'orologio di Qwilleran, Yum Yum rimase in quella posa sgraziata come se fosse stata scolpita nella pietra, con un'espressione da martire, fino a che lui non la liberò. Dopo di che si allontanò con l'esasperante e aggraziata andatura della gatta siamese che è riuscita a ottenere quello che vuole.
Qualche minuti dopo arrivò Susan Exbridge, al volante della sua station-wagon, e Qwilleran sistemò la gabbia con Koko sul sedile posteriore. Mentre si avviavano verso la residenza di Van Brook, chiese: «Hai avuto la possibilità di passare un po' di tempo nella casa di Hilary?»
«Un paio di mattine» gli rispose. «Sai, nel pomeriggio devo tenere il negozio aperto. Ma sto dando un'occhiata alla sua collezione e la sera controllo sui muri i libri d'arte. È proprio affascinante.»
«Hai trovato qualcosa di valore?»
«Certo. C'è un paravento giapponese che raffigura cavalli colorati e dorati, e sono sicura che quelli di Lockmaster sverranno quando lo vedranno. E c'è uno stupendo vaso cloisonné, alto più di mezzo metro, che mi piacerebbe prendermi. Poi, nascosti in mobiletti laccati, ho visto oggettini tipo inro, netsuke e ventagli. Una cosa molto eccitante! Hilary aveva una collezione sbalorditiva di ventagli.»
«Ventagli?» ripeté Qwilleran, dubitando d'aver capito bene.
«Ventagli pieghevoli, sai? Con stecche d'avorio e foglie dipinte a mano, e quasi tutti sono firmati! Per fare ricerche su questi forse dovrò fare un volo a Chicago. Vuoi venire con me?» Aggiunse scherzosamente.
«Dimmi della roba che c'è al primo piano.»
«Quella porcheria! Ho buttato via una montagna di piante morte, comunque ci sono moltissime luci da serra che si potranno vendere.»
A Qwilleran venne in mente che forse Susan aveva buttato via un valore di ventimila dollari di quel misterioso raccolto che Van Brook coltivava in quella specie di serra.
«Non ho toccato i libri» continuò lei «la maggior parte degli scatoloni sono sigillati. Ho portato un coltello per te e un blocco di quelli che si usano negli studi legali, nel caso tu dovessi prendere appunti o fare elenchi o quello che vuoi. Non so dirti come dovrai fare per selezionarli. Questo lo potrai decidere quando vedrai che cosa c'è dentro.»
«Mi chiedo se Hilary catalogasse i suoi volumi. Ci dovrebbe essere un catalogo.»
«Se c'è probabilmente lo troverai nel suo studio, di sopra. Sei molto gentile, Qwill, a fare questo per me.»
«Felice di aiutarti» mormorò lui.
Dal sedile posteriore si udì un commento: «Yow!»
Koko entrò nella spaziosa casa dagli alti soffitti in grande stile, seduto regalmente nella sua gabbia, come se si fosse trovato in un palanchino. Fu condotto a fare un giro al pianoterra al guinzaglio, al fine di evitare uno scontro incidentale con il vaso cloisonné. Ma di lì a poco prese a tirare Qwilleran in direzione della scala, una cosa che il giornalista considerò molto significativa. Non c'erano dubbi sul fatto che al gatto i libri piacessero. Amava annusare il dorso delle belle rilegature perché, probabilmente, individuava la colla fatta con pelli di animali, e di tanto in tanto trovava un buon motivo per buttare giù da qualche scaffale un titolo pertinente. Per scoraggiare questa pratica incivile, il giornalista aveva fatto mettere nell'appartamento dei gatti un ripiano pieno di libri economici, che Koko poteva scaraventare giù quanto voleva. Anche se con la caratteristica perversità felina lui li ignorava.
«Da dove cominciamo?» chiese Qwilleran mentre il gatto lo tirava su per la scala.
Per tutta risposta Koko si diresse verso lo studio di Van Brook, che aveva tutte e quattro le pareti ricoperte da scaffali. Lì cominciò ad aggirarsi qua e là, ad annusare e a balzare abilmente sui ripiani che distavano due metri e mezzo dal pavimento, mentre Qwilleran iniziava la superficiale ricerca di un catalogo dei novantamila volumi. Novantamila? Gli riusciva difficile crederci. Purtroppo i cassetti della scrivania erano chiusi a chiave e la scatola orientale era stata portata via dal ripiano, sicuramente dall'avvocato. Quelli erano i due posti più logici per trovarvi un catalogo.
«Siamo sfortunati» disse Qwilleran poco dopo. «Andiamo nella stanza vicina e cominciamo a sballare i libri.» Al primo piano c'erano locali grandi che, all'origine, dovevano essere stati camere da letto, ma che adesso erano adibiti a depositi per gli scatoloni. Decise di cominciare dalla stanza più vicina alla scala. Come nelle altre, conteneva soltanto pile disordinate di scatoloni di cartone ondulato, di quelle che venivano di solito usate per spedire minestre in scatola, salsa al chili, whisky e prodotti simili. Ora, secondo le etichette adesive, contenevano Toynbee, Emerson, Goethe, Gide e affini, nonché volumi classificati come il Dramma russo, commedie del periodo della Restaurazione e la Storia di Cipro. Ogni etichetta, oltre all'elenco del contenuto, aveva un numero.
«Ci deve essere un catalogo» bofonchiò Qwilleran, a beneficio di qualsiasi orecchio fosse in ascolto.
Da Koko non ebbe risposta. D gatto stava osservando le pile irregolari di scatoloni, come una capra di montagna potrebbe contemplare il monte Rushmore, e, di lì a poco saltò di ripiano in ripiano, fino a che raggiunse l'ultimo, dove con aria sprezzante si posò su uno scatolone contenente il Pensiero Occidentale. Qwilleran chiuse la porta e si mise all'opera, con il suo coltellino, aprendo uno scatolone pieno di Dickens, che recava l'etichetta A-74.
Non fu una scelta a caso, dato che Dickens era uno scrittore che lui ammirava moltissimo. Non trovò nulla di prezioso: i volumi erano edizioni a buon mercato. Tuttavia, si prese il tempo di dare un'occhiata ai suoi brani preferiti: il paragrafo iniziale di Le due città; la descrizione della giubba del cocchiere in Il Circolo Pickwick e una scena da Canto di Natale, che conosceva praticamente a memoria. Ricordò che ogni vigilia di Natale sua madre era solita leggere ad alta voce il resoconto della modesta cena di Natale di Cratchit, che iniziava con quella frase che riempiva la bocca: "Poi si alzò la signora Cratchit, moglie di Cratchit, vestita poveramente ma in ghingheri, con un abito rivoltato due volte, ornato di nastri che costano poco e che per sei cents fanno una bella figura". Un'ondata di nostalgia gli serpeggiò lungo la spina dorsale. La stanza era silenziosa, a parte qualche mormorio di Koko che stava esplorando la propria montagna personale.
Qwilleran cominciò a leggere avidamente qualche pagina da Il Circolo Pickwick fino al momento in cui fu messo in allarme dall'inconfondibile grattare di unghie su cartone ondulato. Il gatto stava diligentemente raspando uno scatolone sul quinto ripiano che portava l'etichetta "Macaulay A-106". Qwilleran tirò subito giù la scatola, tagliò il nastro adesivo e vi trovò dentro la famosa Storia d'Inghilterra in tre volumi, oltre a saggi, biografie e la raccolta di poesie dal titolo discutibile: Lamenti dell'Antica Roma. Sbuffò nei baffi nel rendersi conto che lo scatolone Macaulay un tempo aveva contenuto una partita di salmone in scatola. Koko non era stupido.
Tuttavia, aveva sempre desiderato appurare un'affermazione fatta da un tipografo della vecchia scuola, e cioè che Macaulay fosse solito usare più consonanti nei suoi scritti, mentre Dickens usava più vocali. Sedette a gambe incrociate per terra, con un blocco di appunti, e cominciò a contare consonanti e vocali, scegliendo a caso brani dai due autori. Era un'impresa che ottundeva il cervello e torturava gli occhi, e i risultati lo delusero. Nelle parole selezionate, a fronte di 390 sillabe, giunse alla conclusione che Dickens aveva usato 250 vocali e Macaulay addirittura di più, per un totale di 258. Quel tipografo o era mal informato oppure era uno spirito burlone. Comunque lui non poteva farci nulla, il poveretto era morto due anni prima.
Udì bussare alla porta e Susan lo chiamò: «C'è il caffè pronto da basso.»
Qwilleran confinò Koko nella stanza con i Dickens e i Macaulay e scese a raggiungerla in cucina.
«Stai facendo progressi?» gli chiese lei.
«Finora non ho trovato nulla di valore» le rispose, ed era la verità.
«Ho trovato un piatto verde con un dragone, la cui documentazione fa risalire al quattordicesimo secolo!»
Il giornalista pensò: "Sì, ma non può essere che i documenti siano falsi?" Però non disse nulla.
«Ho la sensazione» proseguì Susan «che molti di questi oggetti dovrebbero andare all'asta a New York. Sulla costa orientale potrebbero rendere un patrimonio.»
"Se sono autentici" pensò Qwilleran.
Dopo aver bevuto il caffè, tornò di sopra e quando riaprì la porta Koko schizzò fuori dalla stanza e fece una scivolata a U, avventandosi nello studio dove i libri, invece che in scatoloni erano sugli scaffali. Qwilleran lo seguì, ma il gatto era già su uno degli scaffali più alti e guardava verso il suo inseguitore con espressione imprudente.
«Scendi di lì!» ordinò Qwilleran nel suo tono più severo.
Koko si sfregò la guancia contro un grosso volume. Una presa in giro, perché sapeva di non essere raggiungibile.
Il giornalista salì su una sedia e tentò di afferrarlo.
Con un'impertinenza oltremodo irritante, Koko si infilò dietro una fila di libri e solo la punta della sua coda marrone indicava dove si trovasse.
«Ti prenderò, giovanotto, anche se per riuscirci dovessi buttare giù tutti questi libri.» Spostata un poco la sedia, cominciò a togliere dei volumi dallo scaffale in alto, mettendoseli sotto il braccio sinistro fino a che non scorse il felino, che se ne stava accovacciato con aria maliziosa nel suo nascondiglio.
«Diavolo d'un gatto!» Qwilleran lo afferrò con la mano libera, scese dalla sedia, lasciò cadere sulla scrivania il mucchio di libri e andò a depositare il siamese nell'altra stanza, sbattendo la porta a mo' di rimprovero. Poi tornò nello studio per rimettere a posto i volumi tirati giù. Si trattava di una raccolta di libri erotici del XVIII secolo. Soffocando la curiosità, li allineò sullo scaffale in alto. Fu in quel momento che scorse un volume che non aveva notato prima perché nascosto dagli altri. O appositamente o per puro caso. Ricordi di un'Allegra Mungitrice. Questo era il titolo in caratteri dorati che si leggeva sulla bella rilegatura di pelle. Se lo infilò sotto il braccio e scese dalla sedia. Nel movimento il libro fece un rumore smorzato. Lo scrollò e udì di nuovo quel rumore. Provando un senso di eccitazione per quella scoperta tornò nella stanza Dickens-Macaulay, si chiuse la porta alle spalle e aprì il libro, che era costituito solo dalla copertina ma non conteneva pagine.
Dentro, c'era un minuscolo archivio segreto, una piccola agenda con i nomi in ordine alfabetico. Girò le pagine sino alla lettera D e trovò: Dickens A-74. Alla lettera M lesse invece Macaulay A-106, nonché Menken, Melodramma, Milton, Opere Morali e altro. Ecco il catalogo, sulla cui esistenza non aveva avuto dubbi. Per quanto non potesse servire a trovare i titoli, evidentemente era servito a ciò che si prefiggeva Van Brook, di qualunque cosa si trattasse. Se il preside aveva avuto qualcosa da nascondere, quello non era un cattivo sistema.
Nel finto libro c'erano documenti, dei foglietti di carta, ma per il momento la sola cosa che contasse per il giornalista era il catalogo. Le voci erano raggruppate dall'A alla F. Evidentemente si trattava di un riferimento alle sei stanze nelle quali erano ammucchiati gli scatoloni. Fu mentre sfogliava l'agenda che notò un puntino rosso vicino a certe voci. Per esempio, Latino A-92.
Koko se ne stava seduto immobile sull'A-106, nel suo tipico atteggiamento da sfinge, a guardia dello scatolone che un tempo aveva contenuto salmone.
«Dobbiamo trovare l'A-92» dichiarò Qwilleran in tono impaziente, cominciando a spostare scatoloni. Questi erano impilati senza ordine e il rumore causato dagli spostamenti di lì a poco fece sì che si udissero dei colpetti sulla porta.
«Avanti!» urlò il giornalista senza interrompere la sua frenetica ricerca.
«Hai trovato qualcosa?» gli domandò Susan.
«Penso di sì. Ho trovato il catalogo... degli scatoloni, non dei titoli» disse, ansimando pesantemente. «Accanto ad alcuni c'è un segno particolare, un puntino rosso. Sto cercando l'A-92.»
Lo trovò sotto un gruppo di scatoloni, dietro ad altri due. Un tempo aveva contenuto vodka e ora era pieno di libri di testo, di grammatiche, un dizionario latino-inglese e le opere di Cicerone e di Virgilio.
«Sono libri in latino, certo» dichiarò con disappunto. «Nient'altro che libri.»
«Be', lavoriamo ancora per una mezz'oretta, poi andiamo a mangiare» propose Susan.
«Se non ti dispiace, tieni in serbo l'invito per un'altra volta, visto che ho Koko con me e non sono vestito in modo confacente per venire al Mulino. Ma se vorrai tornare a prenderci un'altra volta, sarò felice di accettare il tuo invito qualsiasi altro giorno.»
Chiuse lo scatolone A-92, scostando Koko che tentava di infilarvisi dentro. Poi si rimise a lavorare sodo per la successiva mezz'ora, aprendo altri scatoloni contrassegnati dal puntino rosso. Trovò soltanto libri che trattavano degli argomenti più eclettici: mitologia nordica, scrittori indiani, Chawcer, architettura giapponese. Uno conteneva volumi che trattavano di impostori famosi, storie di imbroglioni, truffatori e altri lestofanti. Dalla sistemazione dei contenitori risultò un vago schema programmato: i puntini rossi indicavano quelli sistemati sulla sinistra della porta quando si entrava nella stanza, ed erano nascosti dietro altri scatoloni. Qwilleran fece il conto dei puntini rossi segnati sul catalogo: ce n'erano cinquantadue, distribuiti equamente tra le stanze che andavano dall'A alla F.
Quando lasciarono la casa e salirono sull'auto di Susan, Qwilleran aveva tre libri sotto il braccio.
«Spero che nessuno avrà obiezioni se mi sono portato via qualcosa da leggere. Ho trovato un paio di buoni titoli.»
«Tienili pure» gli rispose lei. «Nessuno lo saprà mai e a nessuno importerà.»
Infilato tra i racconti di sir Walter Scott, tolto da una scatola contrassegnata da un puntino rosso, c'era il volume Ricordi di un'Allegra Mungitrice.
Allorché Susan ebbe fatto scendere dalla vettura i suoi due passeggeri davanti al Granaio, Koko fu accolto dalla sua compagna come se fosse tornato da un altro pianeta e fosse stato contaminato da gas radioattivi. Il ventre rasoterra, Yum Yum strisciò verso di lui con grande circospezione, captò un odore che doveva essere negativo e si allontanò a testa bassa e la coda ritta. Senza preoccuparsene, Koko si diresse verso la zona cucina dove rimase immobile a fissare con espressione allusiva un piatto vuoto sul pavimento, fino a quando non vi comparve sopra, come per miracolo, un pezzetto di tacchino.
Qwilleran aveva lasciato cadere i tre libri su un tavolino nella zona salone. Dopo gli sforzi compiuti in casa Van Brook aveva una fame terribile.
Scongelò una scatola di chili, una piccola pizza e due frittelle di mais, e mentre si apprestava a pranzare seduto al tavolo nella zona spuntini, udì un forte plop, subito seguito da un altro rumoroso plop. Riconobbe il caratteristico rumore di un libro che cadeva su un pavimento privo di tappeto. Interrompendo il pasto andò a guardare tutt'attorno al pianterreno e trovò due volumi di sir Walter Scott sul pavimento di mattonelle del salone. Koko stava spingendo Ivanhoe per tutta la stanza, ma non stava annusandone il dorso, stava fiutando gli angoli superiori della copertina.
Qwilleran raccolse il volume: era rilegato in pelle morbida e aveva le scritte e i bordi in oro. Era stato pubblicato nel 1909, aveva i fogli di guardia e il frontespizio in stile Art Nouveau. Era un'edizione migliore dell'opera di Dickens, rovinata però dal clima troppo secco. Sfogliò qualche pagina e sussultò: tra una pagina e l'altra c'era del denaro in banconote da dieci dollari. Scoprì di lì a poco che anche nell'altro libro c'erano soldi. I "segnalibri" contenuti nella Sposa di Lammermoor erano banconote da venti. Entrambi i volumi provenivano da uno scatolone indicato con il puntino rosso nell'agenda. Qwilleran fece un rapido calcolo: cinquantadue scatoloni con il puntino rosso... all'incirca venti libri per ognuno, venti o trenta banconote per ogni scatolone... Eppure, anche a voler considerare l'aumento dell'inflazione e le opportunità di investimenti, chi avrebbe mai nascosto quella cifra in casa? A meno che...
Si affrettò a sollevare il ricevitore del telefono e chiamò il negozio Exbridge & Cobb. «Susan» disse. «Ho scoperto qualcosa di interessante sui puntini rossi. Penso che dovresti venire qui alla svelta con il legale prima che noi apriamo altri scatoloni... No, non posso parlartene per telefono... Sì, sono pronto a incontrarlo quando vuole.»
Qwilleran si era scordato del chili. Sapeva che avrebbe mangiato la pizza fredda, ma avrebbe potuto scaldare il tutto una seconda volta. Comunque trovò ben poco da riscaldare. Formaggio e peperoni erano spariti, il chili era diventato un piatto di nudi fagioli e i due gatti si stavano lavando alacremente. Pazienza, Qwilleran non aveva più in mente il cibo, adesso. Si portò nello studio i due volumi di Scott e i Ricordi di un'Allegra Mungitrice, seguito dai siamesi sazi.
Oltre al catalogo nel finto libro c'erano altri documenti personali: numeri di telefono senza nomi o indirizzi, scarabocchiati su foglietti, documenti legali in buste dello studio Summers, Bent & Frickle, colonne di numeri di cinque o più cifre, misteriose annotazioni che il defunto preside aveva scritto per uso personale. Fogli di carta velina, copie di vecchi contratti d'affari firmati William Brooks, di cui Qwilleran capì ben poco. Ma Koko, che stava seduto sulla scrivania e osservava ogni suo movimento, di tanto in tanto allungava una zampetta esitante. Yum Yum era seduta sulle zampe posteriori e cercava fogli accartocciati nel cestino della carta straccia, che esercitavano su di lei un'attrazione irresistibile. Ma si trattava di una ricerca vana. Qwilleran aveva imparato a non accartocciare mai i fogli che voleva buttare via, se voleva che restassero per più di tre minuti là dentro.
Tra le cose che tentavano la zampetta di Koko c'era una busta con l'etichetta che recava la scritta "Copie". Gli originali, secondo l'annotazione si trovavano nell'archivio dello studio Sommers, Bent & Frickle. Una copia con la dicitura "Testamento di William Smurple" recava una data recente: 8 settembre. Specificava che tutto il patrimonio del defunto preside veniva lasciato in eredità agli istituti scolastici di Pickax, proprio come aveva confidato a Qwilleran Lyle Compton.
L'altro documento causò un fremito nel labbro superiore del giornalista inducendolo a metter la mano sul telefono. Chiese al centralino un numero di Lockmaster e quando lo ebbe composto all'altro capo del filo udì una voce femminile dal timbro musicale «Allevamento Amberton.»
«Parla Jim Qwilleran. Chiamo da Pickax» disse. Quella voce gradevole lo aveva calmato un po', così parlò in tono meno brusco di quanto avesse voluto. «È lì che posso trovare Steve O'Hare?»
«No signor Qwilleran, qui è la casa. Lui ha un ufficio nelle scuderie, con il suo telefono.»
«Chiedo scusa.»
«Non si preoccupi. Io sono Lisa Amberton. E ho saputo che lei è interessato al nostro allevamento. Se vorrà venire a trovarci le farò fare un giro.»
«Senz'altro, ma non ora. Ho bisogno di parlare subito al signor O'Hare.»
La donna gli diede il numero e lui chiamò l'allenatore. «Bene, Steve, sono pronto a fare due chiacchiere con lei» gli disse. «Quando può venire a Pickax?»
«Santo cielo, mi ha chiamato prima di quanto mi aspettassi. Comunque posso venire in qualsiasi momento. Le spiace se porto la signora Amberton? Mi ha detto che vuole conoscerla.»
«Questa volta no. Voglio che venga lei qui da solo. Devo parlarle di una faccenda privata... Una cosa solo tra me e lei.»
«Certo, capisco» disse Steve in tono gioviale. «Va bene per le cinque? Qui finisco alle tre e mi dovrò dare una ripulita. Però non ho ancora raccolto le informazioni che lei voleva.» Fece un rumoroso starnuto.
«Per il curriculum? Lo lasci stare, per il momento. Ci vediamo alle cinque.»
Si accarezzò i baffi, soddisfatto, e scese con passo agile la scala a chiocciola che portava alla cucina dove premette il pulsante della caffettiera.
Mentre aspettava che il caffè fosse pronto, squillò il telefono. Rispose alla chiamata nella zona biblioteca. Udì la voce preoccupata di Vicki Bushland.
«Qwill, c'è stato un incidente, quaggiù» disse. «Il figlio di Fiona è all'ospedale. Siamo sconvolti. Pensavo che volessi esserne informato.»
«Che genere di incidente?»
«Stava saltando degli ostacoli e il cavallo è caduto. Robbie è seriamente ferito. Non aveva in testa il berretto rigido da fantino. Fiona è quasi impazzita.»
«Quando è successo?»
«Circa due ore fa. Non è una tragedia? E aveva appena vinto la sua prima corsa! Fiona ha paura che il ragazzo non potrà più camminare. Non parliamo poi di cavalcare. Credo che ci sia una lesione alla spina dorsale.»
«Una notizia terribile!» mormorò Qwilleran. Poi aggiunse: «Ho parlato con Steve, un momento fa. E anche con la signora Amberton. Non mi hanno detto una parola dell'incidente.»
«Tutti gli Amberton... sono gente molto fredda» rispose Vicki un po' amareggiata. «Secondo loro di ragazzi di scuderia se ne trovano a dozzine. Ce ne saranno già altri venti che implorano di prendere il posto di Robbie. La cosa sarebbe andata diversamente se il cavallo fosse stato Figlio di Cardinale. Hanno dovuto abbattere quella povera bestia.»
Qwilleran rimase in silenzio.
«Fiona dice che tu saresti interessato ad acquistare l'allevamento, Qwill.»
«Mettiamola così: sono loro a essere interessati a venderlo. Che numero ha Fiona? La chiamerò.»
«Cerca di darle un po' di speranza. È terribilmente a terra. Se non la trovi a casa, prova all'ospedale» e gli diede due numeri telefonici.
Quando lui chiamò l'ospedale gli fu detto soltanto che il paziente era in sala operatoria e non era stato emesso nessun comunicato sulle sue condizioni.
«Potrebbe trovarmi la madre, la signora Fiona Stucker?»
«Le passo l'accettazione» rispose la centralinista.
L'infermiera dell'accettazione gli disse che la signora Stucker era appena uscita. «Vuole lasciarle un messaggio?»
«No, grazie, richiamerò.»
Mentre riagganciava, udì Yum Yum che bofonchiava nella vicina zona soggiorno, probabilmente assorta in qualche suo progetto personale. Quello era un genere di situazione che lui andava sempre a controllare; la gatta aveva l'hobby di rubare orologi da polso e penne d'oro e di nasconderli sotto qualche mobile. Come lui aveva sospettato, ora era distesa su un fianco vicino a uno dei divani, con la zampetta protesa alla ricerca di un tesoro nascosto. Lo tirò fuori e Qwilleran vide che era un foglietto accartocciato. Glielo confiscò, provocando la sua costernazione. Se glielo avesse lasciato, lei ne avrebbe inghiottito dei frammenti: il suo istinto di gatto predatore.
«NAOOOO!» protestò.
«No!» insistette Qwilleran.
Si trattava di un foglietto di carta gialla che lui non aveva mai visto. Quando lo lisciò, vide che era una ricevuta del Tacky Tack Shop di Lockmaster per l'acquisto di due magliette. La data era il 9 settembre. Non c'era il nome del cliente, ma probabilmente era stata Fiona a lasciarlo cadere quando era venuta a trovarlo il giorno precedente. Sul retro della ricevuta c'era una scritta a matita che decifrò come l'indicazione per arrivare al granaio. Yum Yum l'aveva trovata e l'aveva nascosta sotto il divano, a futura memoria.
Fu messo in allarme da un improvviso sussulto dei due gatti e gli parve di scorgere un movimento nel boschetto. Qualcuno si stava avvicinando a piedi dalla strada principale. E già questo era insolito. Per quanto il cancello durante il giorno non venisse chiuso, la maggior parte dei visitatori arrivava in auto. Erano pochi quelli che decidevano di usare le gambe. Chi stava venendo avanti aveva un'andatura esitante e teneva un libro in mano.
Dopo essersi messo in tasca la ricevuta, Qwilleran uscì di casa per andare incontro a Eddington Smith.
«Ho trovato qualcosa per lei» disse l'anziano libraio.
«Perché non mi ha telefonato? Sarei venuto io.»
«Il dottor Hal mi ha raccomandato di fare moto e la distanza non è poi tanta; solo qualche isolato.» Respirava affannosamente. «È una bella giornata. Secondo me questo sarà l'ultimo fine settimana di tempo sereno.»
Qwilleran tese la mano a prendere il libro. Come quasi tutti i volumi che si trovavano nel negozio di Eddington, questo aveva perso la sovraccoperta. E a guardare la copertina veniva da pensare che il volume fosse stato tenuto per anni in qualche scantinato umido. Guardò il dorso: La Città del Crimine Fraterno. «Ma è il mio libro!» esclamò con voce stridula. «Lo ha trovato! Per me vale moltissimo, Ed.»
«Non mi deve niente, signor Q., desideravo trovarglielo Lei è un buon cliente.»
Qwilleran diede una manata sulla schiena del gracile libraio «Avanti entri, entri, le offro un bicchiere di sidro. Voglio mostrarle la casa. Potrà anche salutare i miei gatti.»
«Ero qui la sera in cui hanno ucciso il signor Van Brook, ma non ho visto molto del granaio. C'era troppa gente.»
Qwilleran servì il sidro con gesti teatrali e cominciò a spiegare la struttura della casa: il cubo del camino, le finestre triangolari, le scale, i corridoi e gli arazzi.
«Che bel melo!» commentò Eddington, guardando l'arazzo che pendeva sopra le loro teste. Quello che però lo colpì di più fu la quantità di libri sistemati dappertutto, persino nel loft dei gatti, che avevano la loro biblioteca personale: Principi di algebra, Manuale dì guida, l'Anabasi di Senofonte e altri titoli, tutti acquistati al banco dei volumi in sconto della sua libreria.
Dopo essere salito per le scale lentamente, per non stancare l'anziano signore, Qwilleran lo condusse sul corridoio più in alto da dove si poteva godere una panoramica spettacolare del pianoterra.
«Non sono mai salito tanto in alto per guardare giù» dichiarò il libraio, sbalordito.
Yum Yum che li aveva seguiti durante il giro della casa, balzò sulla balaustrata che il bordo superiore dell'arazzo aveva reso morbida e si sistemò nella posizione del violino, cioè con la groppa sollevata, il corpo allungato e le zampe anteriori rigide come l'impugnatura di un violino.
«Ai siamesi piace l'altezza» spiegò Qwilleran. «È un antico retaggio, perché negli antichi templi e palazzi erano usati come gatti da guardia.»
«Interessante!» esclamò Eddington. «Non lo sapevo.»
«Sì, in ogni caso così si dice. Ma Yum Yum ha preso una brutta abitudine: distrugge qualsiasi cosa con le zampe. No!» urlò al felino, fissando con fermezza la striscia adesiva un angolo dell'arazzo.
Lei fissò nel vuoto, colta da improvvisa sordità; un disturbo comune a tutti i felini.
«Sta arrivando qualcuno» disse il libraio. «Farò bene a tornare in negozio.»
Attraverso le alte finestre triangolari si poteva scorgere un furgone che si inerpicava per il sentiero Trevelyan.
«È la persona che aspettavo per le cinque» bofonchiò Qwilleran, lisciandosi i baffi. «Le sarò grato se si tratterrà ancora un po'.»
«Si sta facendo tardi.»
«La riaccompagnerò a casa io.»
«Non voglio darle disturbo, signor Qwilleran.»
«Nessun disturbo.»
«Non le sarò d'impiccio, qui?»
«No, mi farà un favore, Ed. Resti quassù e stia in ascolto.» Qwilleran cominciò a scendere la scala. «E non si faccia vedere» aggiunse, girandosi.
Il libraio aprì la bocca per dire qualcosa, ma dalle sue labbra non uscì nemmeno una parola. Che cosa avrebbe potuto dire? Quella richiesta gli sembrava strana, ma era fatta da un suo buon cliente!
Qwilleran uscì per accogliere Barba Rossa che stava scendendo dal furgone. «Bella giornata» disse.
«Sì, questo è l'ultimo fine settimana di bel tempo. Presto comincerà a piovere. Lo capisco sempre dal comportamento dei cavalli.»
«Invidio molto le persone come lei che hanno grande esperienza in fatto di cavalli» dichiarò il giornalista in tono adulatorio. Era un esperto di complimenti insinceri.
«Ho passato una vita con quelle bestiacce!» ribatté l'allenatore. «Ormai dovrei saperla lunga sul loro conto!»
«Entri, le offro da bere. Quanto ci ha impiegato per arrivare fin qui?» gli chiese mentre entravano.
«Cinquanta minuti o poco meno. Mi piace guidare ad alta velocità.»
«Una cosa di cui non ci si deve preoccupare qui sono i semafori rossi.»
«Sì, l'unico problema sono i vecchi che stanno al volante di camion e trattori tenendosi in mezzo alla strada, come se fossero i padroni.» Steve stava osservando con espressione titubante i due divani rivestiti in tweed chiaro.
«Accomodiamoci lì» propose Qwilleran, avanzando verso la zona biblioteca. «saremo più vicini al bar.»
«Per me va benissimo. È stata una giornata pesante. Ho proprio bisogno di mandar giù qualcosa di forte.» Lasciò cadere il giubbetto sul pavimento e sprofondò in una grande poltrona di pelle con un sospiro che era quasi un rantolo: «Una spruzzata di whisky con una birra, se ce l'ha.»
Koko si era messo sul cubo del camino, da dove poteva tenere sotto sorveglianza l'ospite, con le zampe anteriori ripiegate e la coda piatta a forma di ferro di cavallo.
Senza molte cerimonie, Qwilleran posò un bicchiere con del whisky e una lattina di birra su un tavolino che stava accanto al gomito di Steve. Si era versato un'acqua Squunk in un bicchiere da Martini, che aveva riempito fino all'orlo aggiungendovi una fetta di limone. «Ho sentito che c'è stato un incidente da voi» disse in tono casuale.
L'allenatore tracannò il wisky «Dove l'ha sentito?»
«Alla radio.» Non era vero, naturalmente.
«Sì, un vero peccato. Era un ottimo cavallo: una grande promessa, e abbiamo dovuto abbatterlo.»
«E il fantino? Si è alzato illeso?»
«Dannazione a quel Robbie! È tutta colpa sua. Lo ha spinto troppo correndo un grosso rischio. Sa come sono i ragazzi di oggi: non hanno disciplina. Gli starà bene, se dovrà smettere di cavalcare. Ci saranno sempre altri fantini e altri cavalli. Io lo sostengo da una vita. Non ci si può lasciar sconvolgere da cose del genere.»
«Lei è un gran filosofo.»
«In questo lavoro bisogna esserlo, ma abbiamo qualche buona notizia. Vuole sentirne una?»
«Certo.»
«La signora Amberton resterà all'allevamento anche dopo che sarà stato venduto. È un'istruttrice fantastica. Sarebbe un delitto perderla. Inoltre ha un progetto: un negozio di articoli per equitazione, da aprire sulla proprietà. Solo merce di alta qualità...»
"Di tutto, dagli stivali alle selle, ai cappelli e alle cravatte sportive. Sarà un grosso investimento, ma renderà. Qua attorno i ragazzi hanno montagne di soldi da spendere e Lisa... la signora Amberton, sostiene che se vanno a cavallo con i colori della sua scuderia devono apparire perfetti. Un negozio del genere sarà una miniera d'oro!"
«Chi sono questi ragazzi di cui sta parlando?»
«I giovani del posto che vanno pazzi per l'equitazione. Alcuni hanno talento, altri no, ma sono tutti rosi dall'ambizione di guadagnare medaglie e di arrivare sino al Madison Square Garden. Lisa... la signora Amberton... nelle sue classi ne ha addirittura una cinquantina. Se a lei piacciono le ragazzine, da noi ne troverà di tutte le taglie e di tutte i tipi.»
«Quante volte si presentano ai concorsi?»
«Un paio di volte al mese. Le lezioni si volgono tre volte alla settimana. Spendono un mucchio di soldi, ma ne hanno. A Lockmaster c'è gente ricca di ogni tipo.»
Qwilleran si alzò e si diresse verso il bar. «Ne vuole un altro?» Mi sembra una buona idea.
«Come prima?»
L'allenatore fece un cenno a significare che andava bene così.
Koko continuava a fissare l'ospite. E Qwilleran continuava a far parlare e bere O'Hare che, a un certo momento, cominciò ad agitarsi sulla sedia.
«Be', che cosa ne pensa allora dell'allevamento? Come le pare l'affare, prezzo e tutto il resto?»
«Mi pare allettante, ma prima volevo farle una domanda.»
«Spari pure.»
«Come mai ha finito per stabilirsi a Lockmaster?»
«Ho provato altrove, ma qui mi piace. Le condizioni di lavoro sono buone, il clima è salubre, è una cosa che sanno tutti.»
«È vero che si era messo nei guai Giù in Basso?» Qwilleran pose la domanda in tono noncurante.
«Che cosa vorrebbe dire?»
«Ho sentito delle chiacchiere su... smercio illegale di droga all'ippodromo.»
Steve si strinse nelle spalle. «Lo facevano tutti. Solo io mi sono fatto beccare.»
«Ho una rimostranza da farle» disse Qwilleran, sempre in tono noncurante.
«Sì? Di che cosa si tratta?»
«Quando è venuto qui ieri, ha sparato a un uccellino, dopo che era uscito.»
«E con questo? C'è qualcosa di male?»
«Da queste parti non spariamo agli uccellini.»
«Diavolo! Ne avete milioni qui; non si sentirà la mancanza di uno! Non so resistere quando vedo un cardinale.»
«Sembra piuttosto a suo agio con le pistole.»
«Sì, sono un buon tiratore. Sbronzo o sobrio.» Alzò gli occhi a guardare Koko che era sempre immobile sul cubo del camino. «Stando seduto qui potrei beccare quel gatto tra gli occhi.» Puntò un dito verso Koko, che balzò a terra con un sordo miagolio e corse su per la scala che portava al suo loft, con i peli arruffati. Continuò fino al corridoio più in alto, fermandosi su quello che si trovava a una dozzina di metri sopra la testa dell'ospite. «Ma che cos'ha?» chiese Barba Rossa.
Qwilleran ebbe la visione di un imminente attacco aereo, e a questo punto sferrò il proprio attacco personale.
Disse con calma: «Era sbronzo o sobrio quando ha ammazzato Van Brook?»
«Come? È impazzito?»
«Stavo scherzando» dichiarò Qwilleran. «La polizia non riesce a trovare nemmeno un sospetto e io ho pensato che lei quella sera fosse qui.»
«Che diavolo, no! Ero a un matrimonio a Lockmaster.»
«La festa è finita a mezzanotte. Si può arrivare qui in cinquanta minuti. Van Brook è stato ucciso alle tre.»
«Non so di che diavolo stia parlando.»
«Vuole un altro drink?» chiese amabilmente il giornalista, alzandosi e raggiungendo con calma la zona bar. Continuò a parlare facendo rumore con le bottiglie e i bicchieri. «Lei sapeva che Van Brook sarebbe stato qui, vero? È venuto a saperlo in qualche modo.»
«Io? Ma se non io conoscevo neppure!» Ora Steve si era alzato e stava di fronte al bar.
«Lei sapeva anche che avrebbe avuto un'ottima copertura perché c'era un mucchio di gente.» Estrasse dalla tasca un foglietto giallo. «Lo riconosce? Le è caduto dalla tasca e sopra ci sono le indicazioni per arrivare qui.»
«È un bugiardo! Non sono mai stato qui, prima di ieri. E non conoscevo il tipo di cui sta parlando.»
«Quando si ha un buon movente per uccidere, non è necessario essere presentati ufficialmente. E si dà il caso io sappia qual è il suo movente. Inoltre, in un barattolo vuoto di caffè, ho anche un uccellino morto che aspetta di essere portato al laboratorio della polizia.»
Nel sentire quelle parole Steve estrasse una pistola e Qwilleran si abbassò dietro il banco del bar.
«Non spari. Di sopra ho tre testimoni.»
Seguì un momento di silenzio e di immobilità, mentre una mente confusa si dibatteva per prendere una decisione.
Poi, dall'alto giunse un rumore smorzato. L'allenatore alzò gli occhi, ma troppo tardi. L'albero di mele gli stava cadendo addosso. Steve premette il grilletto, ma il proiettile fu deviato perché su di lui si era abbattuto il pesantissimo arazzo.
Da sotto quell'enorme tela si udirono dei gemiti di dolore; Qwilleran vide un corpo accovacciato che cercava di liberarsi. Corse in cucina e prese dal freezer un oggetto lungo dall'aspetto di una clava. Poi lo fece roteare poderosamente sopra la testa e lo calò su quella massa che si agitava sotto il telo. Il corpo smise di muoversi.
«Chiami la polizia!» urlò a Eddington, ancora lassù. «Chiami la polizia! Usi il telefono del mio studio.»
Mentre teneva d'occhio il rigonfio silenzioso sotto l'arazzo, vide il libraio scendere con gambe tremanti le scale che portavano al piano sottostane e si sentì chiedere da una voce a stento percettibile: «Che cosa devo dire?»

A Pickax Qwilleran godeva di un'eccellente protezione della polizia. Se fosse successo qualcosa all'erede Klingenschoen, il patrimonio sarebbe finito ad altri eredi sulla costa orientale e la contea di Moose lo avrebbe perduto per sempre. Per questo, di lì a tre minuti due autopattuglie di Pickax e la polizia di stato comparvero sulla scena e Brodie fu il primo ad arrivare.
«È buffo!» disse al giornalista. «Proprio mezz'ora fa ci ha chiamati un informatore e ci ha dato il nome di questo tizio. Non ci aspettavamo che ci venisse addirittura consegnato, per lo meno non così in fretta.»
«Chi vi ha informato?»
«È stata una telefonata anonima. Avevamo dato un nome in codice in modo che chi ci avesse passato qualche notizia potesse incassare la ricompensa. Tra l'altro, che cosa ci faceva qui?»
«Voleva vendermi un allevamento di cavalli. Avrei potuto anche ucciderlo con la mia mazza se l'arazzo che gli è crollato addosso non avesse attutito il colpo.»
«Mazza? E dov'è?»
«L'ho rimessa nel surgelatore.»
Brodie fece una sorta di grugnito e fissò il giornalista con la stessa espressione incredula che riservava ai camini dalle canne fumarie verniciate di bianco.
«Scusate» disse Eddington Smith. «Posso andar via, adesso?»
Qwilleran gli rispose: «Si fermi ancora per un po', Ed, e se Andy non la riaccompagnerà a casa, lo farò io. Come le è venuto in mente di sganciare l'arazzo?»
«I gatti stavano cercando di staccare gli angoli delle strisce adesive e io ho dato loro una mano» dichiarò il libraio. «Ho fatto bene?»
«Direi che è riuscito a creare un diversivo utile.»
Koko era tornato a mettersi sul cubo del camino, accovacciato nella posizione che assumeva quando aveva fame. Fissava con espressione di disapprovazione gli estranei in divisa, probabilmente chiedendosi dove fosse finito il salmone rosso. Yum Yum non era presente, anche se, di solito, entrambi facevano un fronte unico quando giungeva l'ora dei pasti. In effetti era la femmina che, con un atteggiamento di imperiosa fermezza assunto negli ultimi tempi, si era trasformata in procacciatrice di cibo, e aveva preso l'abitudine di ordinare la cena con una sonora richiesta espressa in modo imperioso.
Mentre gli agenti esaminavano tutta la casa alla ricerca del proiettile finito chissà dove, Qwilleran sentì un brivido agghiacciante: dove si trovava Yum Yum?
«Ho perso l'altro gatto!» urlò. «Voi guardate giù, io vado a cercarla di sopra!»

14

Dopo aver cercato dappertutto, continuando a chiamare Yum Yum senza avere risposta, finalmente Qwilleran riuscì a scovarla su uno dei tubi del riscaldamento, proprio sotto il tetto. Lo sparo l'aveva spaventata e si era nascosta in uno degli angoli dove tutti gli otto tubi si incrociavano, le orecchie appiattite come le ah di un aereo. Non servì a nulla cercare di blandirla e di vezzeggiarla per riuscire a farla uscire di lì.
«Che cosa possiamo fare?» chiese Qwilleran a Koko, che continuava ad andare su e giù lungo uno dei tubi facendo la spola tra Yum Yum e il giornalista. Alla fine dovettero lasciarla lì, acquattata in quell'angolo isolato.
Di lì a un po' fu trovato il proiettile, che era finito nella cassetta dei caratteri tipografici. Stava in mezzo al quadratino raffigurante un topo e a quello che rappresentava un gufo. Solo quando Qwilleran fece lessare una chela d'aragosta surgelata la primadonna si degnò di fare la sua comparsa, scendendo per la scala con passo rilassato, quasi avesse trascorso una settimana alle terme.
«Gatti!» bofonchiò lui.
Li stava osservando divorare l'aragosta quando squillò il telefono. Andò a rispondere e all'altro capo del filo udì una voce trionfante. «Qwill, Robbie sta migliorando! Probabilmente con una terapia adatta riuscirà di nuovo a camminare.»
«È un'ottima notizia, Vicki. Fiona ne sarà felice. Non sono riuscito a rintracciarla, in ospedale.»
«Adesso è qui e vuole parlarti.»
«Bene, passamela.»
«Signor Qwilleran» disse una voce tremula. «Non sa che cosa ho passato... non riesco ancora a capacitarmi all'idea che i dottori siano riusciti a salvargli la vita!»
«Facevamo tutti il tifo per lui, Fiona.»
«Non mi importa se non potrà mai più montare a cavallo e fare concorsi, ma mi ha promesso di riprendere gli studi.»
«Questo è magnifico» commentò il giornalista, aggiungendo in tono scherzoso: «Vorrà dire che dovrà spostare i suoi interessi dai cavalli al giapponese.»
«Signor Qwilleran» proseguì lei in tono esitante, senza dar segno di aver rilevato la sua battuta umoristica «devo dirle qualcosa di terribile e non so da dove cominciare.»
«Cominci dall'inizio.»
«Be', c'è una cosa che Robbie mi ha detto prima di entrare in sala operatoria... Lui, povero tesoro, era convinto di essere moribondo...» Si interruppe per cercar di soffocare dei singhiozzi. «Mi ha detto che sapeva dell'omicidio di Van Brook.» La voce si spezzò.
«Continui, Fiona; penso di aver capito quello che sta per dirmi.»
«Non posso, non posso...»
«Allora lo dirò io per lei. Van Brook aveva lasciato un testamento nel quale dichiarava di lasciare tutto a Robbie. È vero?»
«Sì.»
«E quando Robbie ha piantato gli studi, Van Brook ha minacciato di diseredarlo.»
«Come fa a saperlo? Qwilleran ignorò la domanda.»
Quella era una parte della vicenda che aveva soltanto dedotto... ma non si era sbagliato. Proseguì: «Robin ha avuto la brillante idea di eliminare Van Brook prima che questi riuscisse a fare un altro testamento.»
«No, non è stata un'idea di Robin» esclamò Fiona in tono di vibrata protesta. «Ma lui ne aveva parlato con Steve. Avevano pensato di usare quel denaro per acquistare l'allevamento. Oh...» gemette. «Non mi hanno detto nulla... io li avrei fermati!»
«Quando lo ha scoperto?»
«Solo quando Robbie stava per entrare in sala operatoria. "Mamma, morirò?" continuava a chiedermi.»
«È stato Steve a sparare?»
«Sì.»
«Robin era con lui nel furgone?»
«Oh no, quella sera, quando sono tornata da teatro, lui era già a letto. Gli avevo detto che non sarei venuta alla festa. Io sono rientrata verso l'una.»
«È sicura che Robbie non sia sgattaiolato fuori di casa dopo che lei è tornata?»
Si udì un respiro affannoso, seguito da un silenzio totale.
«La polizia ha arrestato Steve, Fiona.»
Alla donna sfuggì una sorta di rantolo. «Sono stata io a denunciarlo. Mi ha chiesto Robbie di farlo. Ha detto che c'era una grossa taglia. Pensava di essere in punto di morte.» La voce si spense e seguì uno scroscio di violenti singhiozzi.
Poi Vicki tornò al telefono. «Adesso che cosa succederà?»
«Robin è complice, ma può diventare testimone d'accusa» le spiegò il giornalista.
Di lì a poco, telefonò Arch Riker, molto agitato. «Ha funzionato, ha funzionato!» esclamò. «La ricompensa che abbiamo promesso ha indotto qualcuno a dare informazioni alla polizia e hanno arrestato il sospetto. È accusato di omicidio. È Dennis è completamente scagionato. Di' a Koko che può smettere di occuparsi di questo caso.»
«Bene» fu la risposta pacata di Qwilleran.
«È stato qualcuno di Lockmaster, proprio come avevi previsto tu sin dall'inizio. Daremo la notizia sul giornale di domani. Una volta tanto, possiamo pubblicare qualcosa di grosso in anticipo sugli altri giornali... Ma tu non mi sembri tanto entusiasta. Che cos'hai?»
«Conosco il retroscena della storia, ma non è pubblicabile.»
«Disgraziato.»
Subito dopo lo chiamò Fran Brodie. «Dennis è stato scagionato! Non è fantastico? Ho sentito che è crollato l'arazzo con le mele. Shawn verrà a riappenderlo domani.»
Per quanto riguardava Qwilleran, il caso Van Brook era chiuso, ma l'uomo misterioso della contea di Moose sarebbe continuato a essere un mistero.
Trascorse il venerdì con Susan e con il legale nella casa in Goodwinter Boulevard, aprendo scatoloni contrassegnati da puntini rossi e scrollando le pagine di quasi mille libri.
Il sabato voleva portare Polly in aereo a Chicago per una partita di baseball, ma lei aveva voglia di fare un po' di bird-watching nelle paludi. Raggiunsero un compromesso decidendo per un picnic coi binocoli sulle rive dell'Ittibittee Wassee. Quando si presentò davanti a casa di lei poco prima di mezzogiorno non era di ottimo umore, dopo un ulteriore tentativo di interessare i suoi due indifferenti e ingrati siamesi a una seduta di bolle di sapone, seguito da un incidente raccapricciante che aveva coinvolto Yum Yum e l'imbracatura.
Non appena vide Polly, le consegnò quattro pipe di argilla e un'enorme scatola di scaglie di sapone. «Adesso puoi far divertire Zampotto con le bolle» disse con voce brusca. «Secondo Lori Bamba ai gatti piacciono da impazzire!»
«Bene, ti ringrazio» rispose lei in tono poco convinto. «Anche i tuoi danno la caccia alle bolle?»
«No. Loro non si ritengono dei gatti. Che cosa dobbiamo caricare in macchina?»
«Tu porta il tavolino e le sedie pieghevoli e io porterò la cesta del picnic. Ti sei ricordato di prendere il binocolo?» Seguì una scena svenevole, mentre Polly salutava Zampotto, che provocò una vibrazione nei baffi di Qwilleran. Poi si diressero verso Ittibitti Wassee. Oltre il punto in cui era caduto dalla bicicletta tre anni prima e oltre il posto dove la sua macchina si era ribaltata l'anno precedente.
Mentre aprivano il tavolo e le sedie su un tratto piatto ed erboso in un punto pittoresco in cui il fiume formava un'ansa, Polly esclamò: «Guarda, c'è un beccofrusone!»
«Dove?» chiese lui, prendendo il binocolo.
«Sull'altra sponda!»
«Non lo vedo, non vedo nulla.»
«Togli il coprilente, tesoro. È lì, in quel grosso cespuglio.»
«Ci sono centinaia di grossi cespugli.»
«Troppo tardi. È volato via.» Stava tirando fuori una tovaglia e dei tovaglioli di carta. «C'è più vento di quanto avessi previsto. Potremmo avere qualche difficoltà nel tenere ferma la tovaglia... Ti piacciono le uova alla diavola?»
«Con o senza gusci tritati?»
«Via, Qwilleran! Oggi sei piuttosto impossibile. Tra l'altro» aggiunse, inarcando le sopracciglia «ho saputo che ieri hai passato tutta la giornata a casa Van Brook con Susan Exbridge.»
«Osservato dal telescopio di Cuoricino Mio?»
«Svelto! Guarda! C'è un maschio di cardellino.»
«Dove?» Tese la mano di nuovo verso il binocolo.
«Su quel ramo di ciliegio selvatico. Ha un canto meraviglioso. Sembra quasi un canarino.»
«Non lo sento.»
«Adesso ha smesso di cantare.» Polly versò del succo di pomodoro nei bicchieri di carta. «Che cosa ci facevi in casa di Van Brook?» insistette. «O non dovrei chiedertelo?»
«Ho aiutato Susan e il legale di Lockmaster ad aprire gli scatoloni che sembrava contenessero libri. Lei ha avuto l'incarico di occuparsi della liquidazione delle proprietà.»
«E che cosa avete trovato negli scatoloni?»
«Libri... ma anche qualche prezioso oggetto orientale.»
«Siamo stati felici tutti di leggere sul giornale che quell'uomo ha lasciato tutto alle scuole di Pickax. Prendi i panini, Qwill.»
Riempì un piatto di carta con dei panini umidi al tonno e delle uova sode ripiene con qualcosa di umido, nessuno dei quali andava d'accordo con i suoi grandi baffi.
«Van Brook era un personaggio complesso» disse. «Mi piacerebbe frugare nel suo passato e scriverci un libro.»
«Ho sentito che il suo curriculum era falso.»
«Dove l'hai sentito?»
Polly si strinse nelle spalle. «È una voce che gira.»
«Ho l'impressione che fosse un genio autodidatta. Aveva un paio di nomi fasulli e probabilmente è per questo che non ha voluto che parlassi di lui nella mia rubrica. O si nascondeva o era nei guai... Ehi!» Un'improvvisa raffica di vento fece volare via il suo piatto di carta, che prese a volteggiare sul fiume come un tappeto volante, con un pezzetto di uovo ripieno a bordo. «Van Brook parlava il giapponese e aveva familiarità con i paesi asiatici. Può darsi che abbia truffato gli americani inducendoli a investire denaro in imprese inesistenti in Giappone.»
«Non ti sembra piuttosto bizzarro per un preside scolastico?»
«Non per Van Brook.» Qwilleran stava pensando a certi sballati affari che aveva trovato leggendo le Memorie di un'Allegra Mungitrice. Stava pensando al mistero del puntino rosso. Comunque non aveva intenzione di dire a Polly che i libri contenuti in cinquantadue scatoloni avevano, invece delle pagine, delle banconote... banconote false.
«Ascolta quella ghiandaia azzurra» disse lei.
«Oh, finalmente, ecco un uccello che si fa decentemente vedere e sentire! Io sono per le ghiandaie azzurre e per i cardinali rossi.»
"Affronta la realtà, Polly, io sono in grado di riconoscere un infinito scisso, o un participio non sintatticamente connesso, oppure un neologismo composto, ma non sono preparato e attrezzato per riconoscere una cinciallegra con il ciuffo o un picchio dal petto giallo."
«Sei pronto per il caffè?» gli chiese Polly, svitando il tappo del thermos. «E ho fatto dei biscotti al cioccolato.»
Dopo aver mangiato svariati biscotti al cioccolato, Qwilleran cominciò a sentirsi un po' più gioviale. Ora meno teso, mormorò: «Questo si suppone debba essere il nostro ultimo week-end con il bel tempo.»
«Questo nostro picnic mi è piaciuto molto» dissi lei. «Mi è piaciuto ogni momento.»
«Anche a me. Noi due ci apparteniamo, Polly.»
«Quando sto con te io sono al colmo della felicità, Qwill.»
«Recitami qualcosa di Shakespeare.»
«"La mia generosità è senza limiti come il mare, il mio amore altrettanto profondo. Più dono a te più io ho, perché entrambi siamo infiniti."»
Qwilleran tese il braccio sopra al tavolino e le afferrò la mano, quella con l'anello con la pietra zodiacale che le aveva regalato. Fissandola con occhi pensosi disse: «Voglio farti una domanda, Polly.»
Seguì una pausa intima, mentre lei sorrideva e aspettava che le ponesse la domanda.
«Di che cosa avete parlato tu e Steve al pranzo di nozze?»
Fino a quel momento non c'era stato il benché minimo accenno al fugace intermezzo vissuto da Polly con l'allenatore, e neppure si era mai parlato dell'arresto.
Dopo qualche attimo per riuscire a darsi un contegno e riassumere un'espressione tranquilla, Polly rispose: «Abbiamo parlato di cavalli, del mio interesse per i libri, della rivista Quattro Chiacchiere di Scuderia, della sua allergia... Ma soprattutto di cavalli. Shirley gli aveva detto di te e io gli ho raccontato tutte le belle cose che tu e la Fondazione K avete fatto per la contea di Moose. Quando ho saputo del suo arresto mi sono chiesta se per caso non mi avesse usata per procurarsi un alibi la sera dell'omicidio.»
«No, i tempi non coincidevano. È più probabile che stesse cercando di allacciare un rapporto di tipo economico. L'allevamento Amberton sta cercando qualcuno che sia disposto a finanziarli.»
«Quando hai cominciato a sospettare di lui, Qwill?»
«Quando è venuto a trovarmi mercoledì scorso. Mi ha chiesto che cosa fosse successo agli alberi del mio giardino. Se non fosse già venuto a casa mia in precedenza come avrebbe potuto sapere che era stata fatta piazza pulita dei meli? Inoltre sembrava che il lato destro del suo furgone fosse stato riparato in qualche modo, più o meno all'altezza della mia cassetta postale, anche se non potevo esserne sicuro... Ma niente combaciava fino al momento in cui Koko non ha trovato una cartelletta contenente i documenti personali di Van Brook. Si trattava di due testamenti, uno di data recente, in cui lui lasciava ogni suo avere alla città di Pickax, e un altro precedente, in cui nominava suo unico erede il ragazzo di scuderia di Steve.»
Polly rabbrividì. «Il ragazzo di scuderia?»
Qwilleran prese un altro biscotto e le raccontò dello strano rapporto che c'era stato tra il defunto preside e la sua governante e il figlio di quest'ultima. «È stata di Steve l'idea di eliminare Van Brook prima che potesse cambiare il testamento, ma ormai era troppo tardi. Quando ha visto i due documenti ho avuto il sospetto che l'arma usata per uccidere il cardinale di Koko fosse servita anche per uccidere il cardinale Wolsey.» Si picchiettò i baffi.
«Guarda!» esclamò Polly. «Credo che sia una femmina di pettirosso dalla gola nera!»
«Se lo dici tu ci credo. Ti andrebbe di venire da me a vedere gli arazzi?» le chiese mentre cominciavano a riporre gli oggetti da picnic.
Polly rispose che le avrebbe fatto piacere.
«Ti prego di non metterti a sedere sotto quello che raffigura l'albero di mele!»
Durante il tragitto di ritorno si scusò per il malumore che aveva dimostrato prima di pranzare. «Ho avuto un'esperienza tremenda con Yum Yum» spiegò. «Non vuole camminare al guinzaglio, come invece fa Koko. La prima volta che le ho messo l'imbracatura ha finto di essere morta. La seconda volta si è irrigidita tutta. Questa mattina si è avventata su per le scale ed è scomparsa. L'ho ritrovata su un tubo dei radiatori nel punto in cui si intersecano tutti al centro del soffitto. Si era già rifugiata lì un'altra volta, ma questa volta l'imbracatura si è incastrata in un bullone. Non riusciva a liberarsi e sono dovuto intervenire.»
«Santo cielo, Qwill! A dieci metri da terra!»
«Sì, Polly, ho pensato anch'io alla stessa cosa, e il tubo era grosso solo trenta centimetri! Sono stato costretto a strisciare lassù e portare via Yum Yum di lì, e poi rifare la stessa strada tenendomela stretta in una mano. Mi è sembrato un tragitto lungo quanto un intero isolato. E lei intanto come si divertiva! Faceva delle fusa impressionanti.»
«E intanto Koko che cosa faceva?»
«Cercava di darmi una mano montandomi sulla schiena. Pensava di partecipare a una corsa a ostacoli! Ma perché mi sono lasciato coinvolgere dai gatti?»

Avevano una prenotazione per le sette al Vecchio Mulino di Pietra e Qwilleran accompagnò a casa Polly perché potesse dar da mangiare a Zampotto, farsi un pisolino e vestirsi per la cena.
Quando fu rientrato al Granaio, Koko stava seduto sulla scrivania sopra La Collina dei Conigli.
«Bene, abbiamo tempo per leggere un capitolo» disse Qwilleran, sprofondando nella sua poltrona di pelle preferita. Yum Yum gli si accovacciò in grembo con mosse lente e delicate, come un pallone pieno di aria calda che si sgonfia, per diventare un ammasso appiattito di pelo praticamente senza peso. Koko adesso era saltato sul bracciolo della poltrona, dove se ne stava eretto con le orecchie rizzate, i baffi frementi di impaziente attesa e gli occhi dall'espressione di vivida intelligenza.
Qwilleran scosse la testa, stupito. «Non so mai che cosa passi in quel tuo cervello transistorizzato. Sapevi forse che avrebbero sparato alla nuca a Van Brook? Sapevi che Barba Rossa era l'assassino? Sapevi che dietro i libri di Van Brook che stavano nel suo ufficio era nascosto qualcosa di importanza vitale?»
Koko spostò spazientito le zampette aspettando che la lettura avesse finalmente inizio. Qwilleran dovette rispondere da solo alle domande che gli aveva posto. No, si disse, si tratta solo di coincidenze, unite alla mia immaginazione. Lui è solo un gatto. Ma allora perché continuava a incurvare la coda a ferro di cavallo? Perché per due volte aveva spostato Quattro Chiacchiere di Scuderia? Perché aveva affondato i denti in tutte le gelatine alla fragola?
«Non startene lì seduto. Di' qualcosa! Leggimi nel pensiero!»
«Yow!» rispose Koko, un miagolio che si concluse con un enorme sbadiglio.
Qwilleran aprì il volume a pagina otto. «Capitolo due: qui si narra del Capo Coniglio...» Chiuse di nuovo il libro. «Un'altra domanda. Il tuo improvviso interesse per i conigli avrebbe dovuto farmi capire che volevi puntare la zampa contro il signor O'Hare? »
Koko si irrigidì, girò la testa, agitò le orecchie e saltò bruscamente giù dal bracciolo della poltrona avventandosi verso la vetrata. In quello stesso momento, dai cespugli pieni di bacche si udì un fischio forte e chiaro. «Chi è? Chi è? Chi è?»

FINE