giovedì 13 febbraio 2020


IL GRANDE CONTAGIO
Charles Eric Maine
(The Darkest Of Nights, 1962)

1

Appena fu chiaro che al paziente restava ancora poco da vivere, il dottor Sutaki telefonò alla sede di Tokyo dell'Organizzazione Internazionale Ricerche Virus, e chiese del dottor Ward, direttore del laboratorio scientifico.
«Il dottor Ward è andato a Los Angeles, e resterà assente tre giorni» rispose una voce femminile. «Se vi può essere utile il suo assistente, il dottor Woolner...»
«Grazie. Qui parla il dottor Sutaki dell'ospedale Tanhai. Temo che il nostro degente sia affetto dal morbo di Hueste.»
«Informerò subito il dottor Woolner» disse la donna. «Sapete come dovete comportarvi in un caso come questo, dottor Sutaki?»
«Sì. Abbiamo già prelevato campioni di sangue e di midollo cerebrospinale, e siamo pronti a effettuare l'autopsia appena si verifica il decesso.»
«Benissimo. Il dottor Woolner verrà probabilmente con un collega, per assistere all'autopsia.»
«Grazie.»
Il dottor Sutaki depose il ricevitore e guardò l'ora. Il laboratorio di ricerche distava circa quattordici chilometri dall'ospedale, quindi il medico inglese e il suo assistente sarebbero arrivati entro mezz'ora circa. Il dottor Sutaki si asciugò le mani sudate passandole sul camice bianco, e tornò in sala isolamento.
Un altro medica giapponese, in piedi accanto al letto, si voltò a guardare il collega. Aveva la testa e buona parte della faccia coperte dalla maschera sterilizzata. Sutaki abbassò la sua e si accostò al letto.
«Qualche cambiamento?» chiese.
«La temperatura sfiora i quarantadue. Il respiro è più rapido ma appena percettibile. La pelle ha acquistato la caratteristica lucentezza.»
Sutaki si chinò per sfiorare la faccia del paziente attorno alla maschera di ossigeno. Sotto la lieve pressione, la pelle, di un brutto colore verdastro, cedette, poi tornò a gonfiarsi lentamente quando il medico sollevò le dita.
«Edema epiteliale» disse Sutaki, raddrizzandosi. «L'Organizzazione Internazionale manderà il dottor Woolner, ma temo che arriverà troppo tardi.»
«Siete certi che si tratti del virus di Hueste?»
«Sì.»
Il malato, un giapponese di mezza età, giaceva completamente immobile, come se fosse già morto. Di lui si vedeva solo la parte del viso lasciata libera dalla maschera, un viso curiosamente pallido nonostante la febbre altissima.
Un depuratore d'aria ronzava piano in alto, sulla parete, dietro il letto. Fuori, il sole del pomeriggio bruciava l'erba delle aiuole e disegnava ombre sul muro di mattoni rossi che circondava la zona ospedaliera.
Nella stanza arrivava attutito il rumore del traffico.
«Questo è l'ottavo caso verificatosi in Tokyo in due giorni, e il quarantacinquesimo in Giappone» disse Sutaki.
«Decisamente una forma epidemica. Nei due prossimi giorni diventeranno cento. E mille, forse, entro la settimana.»
«Speravo di riuscire a evitare qui quello che è successo in Cina. Loro erano stati colti di sorpresa, ma noi abbiamo avuto a disposizione quasi un mese per le nostre ricerche.»
«Hueste però ha fatto qualche progresso.»
«Sì, certo. Ha dimostrato che si tratta di un virus, e ha perfezionato la sua teoria sulla mutazione. Ma questo non ci è di nessun aiuto pratico. Per combattere l'epidemia abbiamo bisogno di un vaccino o di un siero antivirus.»
«Lo scopriranno, prima o poi. Ho sentito dire che al laboratorio di ricerche hanno un microscopio elettronico per l'analisi del virus.»
«Ci vorranno almeno sei mesi per ottenere qualche risultato» commentò Sutaki, demoralizzato. «E in sei mesi l'epidemia può diffondersi in tutto il mondo.»
Tacquero per qualche minuto, fissando, senza vederlo, il corpo immobile del paziente. La strana lucentezza della pelle era aumentata ancora.
«Ho letto da qualche parte che il morbo è dovuto a un esperimento sbagliato di guerra batteriologica.»
«Secondo Hueste non è così» disse Sutaki. «Lui attribuisce questa forma alla mutazione accidentale di un virus normale e finora innocuo.»
«Potrebbe invece trattarsi di una mutazione voluta.»
«Può darsi, ma agli effetti pratici una teoria vale l'altra. Si potrebbe anche dare la colpa agli esperimenti nucleari del Pacifico. Menshekm ha pubblicato uno studio sugli effetti della radioattività ambientale su campioni di vita marina. Mi sembra logico ritenere che...»
Di colpo i due medici si resero conto che il malato non respirava più, anche se il sibilo dell'ossigeno nella maschera continuava. La pelle dell'uomo sembrava diventata di ceramica, lucida e durissima, ma loro sapevano che presto si sarebbe allentata e sciolta.
Si guardarono. Sutaki controllò la temperatura del corpo. Quaranta gradi. Subito dopo, trentanove.
Constatata la morte, Sutaki, dispose immediatamente che il corpo venisse trasportato in sala operatoria, per l'autopsia.

Il dottor Woolner arrivò all'ospedale pochi secondi dopo l'inizio dell'autopsia. L'inglese, piccolo, capelli grigi, vestito di flanella nonostante il caldo, era accompagnato da una donna bruna che il medico presentò come la dottoressa Pauline Brant, specialista in batteriologia.
Fu Sutaki a portare a termine l'autopsia. I due europei furono semplici spettatori, e solo un paio di volte Woolner diede qualche consiglio.
Si trattava di una autopsia normale, con la sola differenza che il cadavere era ancora caldo e che il sangue era stato aspirato tutto da un apposito apparecchio termostatico per poi essere trasportato al laboratorio. Gli organi interni vennero completamente asportati per gli esami patologici. Così il cervello, e parte della spina dorsale.
Fu tutto. Adesso toccava ai vari specialisti, e ai loro strumenti, reagenti, e microscopi.
Il corpo venne portato via, e le parti sezionate furono chiuse in appositi recipienti allineati su un carrello metallico. Il dottor Sutaki si lavò e disinfettò le mani e salutò per la seconda volta, con maggior cordialità, i visitatori.
«Accettate una tazza di caffè, o qualcosa di meno banale, forse?» chiese.
«Preferirei un caffè» disse Pauline Brant.
Uscirono dalla sala operatoria, percorsero i bianchi corridoi, e raggiunsero una piccola costruzione annessa al corpo centrale dell'edificio: una vasta sala di colore locale, con le pareti in bambù.
Il dottor Woolner si scusò per essere arrivato tardi, ma Sutaki precisò che la colpa in fondo era stata del paziente, che era morto troppo presto.
«Vi sarò grato se mi farete avere campioni di sangue, di cervello e di midollo spinale, nel solito modo» disse Woolner.
«Certamente» promise il giapponese.
«Dobbiamo mandarne una parte negli Stati Uniti e siccome la dottoressa Brant partirà in aereo per l'Inghilterra dopodomani, ne approfitteremo per unire ai suoi bagagli tutta una serie di questi campioni.»
«Potete prendere tutto quello che volete, dottoressa» disse Sutaki, sorridendo a Pauline. «Io personalmente sono un forte sostenitore dell'Organizzazione Internazionale Ricerche Virus, e un grande amico del dottor Ward.»
«Il dottor Ward è oberato dalle preoccupazioni» disse Woolner. «In questo momento sta discutendo sulla minaccia di questo virus con Hueste in persona e una decina di specialisti di tutto il mondo.»
«Siamo tutti uomini... e donne, molto preoccupati, dottor Woolner» disse Sutaki. «Io comunque ho più fiducia nel dottor Ward che nel dottor Hueste. Ward rappresenta la pratica. Hueste è un teorico.» Sutaki guardò il dottor Woolner con espressione pensosa, poi aggiunse: «Ci sono stati nuovi sviluppi nelle ricerche?»
«Nuovi sviluppi, non direi. Al laboratorio OIRV di Brierley, nei pressi di Londra, si ritiene che il virus di Hueste si presenti in due forme isometriche, due forme cioè di cui l'una chiamata A, sarebbe solo una proiezione della seconda, chiamata B.»
«Ed è una scoperta importante?»
«Non è ancora possibile stabilirlo. Comunque il virus non viene più definito virus di Hueste ma virus AB. A Brierley stanno portando a termine alcuni esperimenti per scoprire se le due forme hanno effetti uguali. Il guaio è che le cavie non reagiscono nella stessa maniera degli esseri umani. Infatti, tranne che per alcuni tipi di scimmie, il morbo non è letale per gli animali.»
«Anche noi abbiamo fatto alcuni esperimenti sulle scimmie» disse Sutaki, «e teoricamente siamo riusciti a produrre un siero anticorpo. Purtroppo, all'atto pratico, si è rivelato inefficace.»
Woolner finì di bere il caffè e si asciugò la bocca con il dorso della mano. «Al Centro di Ricerche abbiamo una piccola scorta di vaccino ricevuto dall'America, come già sapete. Ma pur essendosi rivelato efficace in qualche caso, per lo più provoca un'infezione nei soggetti trattati. Per questo motivo ritengo opportuno usarlo esclusivamente quando per il malato non c'è più speranza. Oggi, purtroppo, siamo arrivati troppo tardi anche per questo tentativo.»
Sutaki allargò le braccia in un gesto di scusa. «Non è facile fare una diagnosi esatta. E quando i sintomi sono tali da non avere più dubbi, diventa questione di ore.»
«Nei prossimi giorni il numero dei colpiti aumenterà, dottor Sutaki» disse l'inglese. «La diagnosi diventerà quindi più facile. Se ci informerete in tempo, può darsi che, insieme, si riesca a contenere l'epidemia.» Poi il dottor Woolner si alzò. «Vi ringrazio per la vostra collaborazione, e per l'ottimo caffè!»
«Voi e i vostri colleghi troverete sempre l'una e l'altro, da noi» disse Sutaki. Quindi si rivolse a Pauline, con un inchino. «Domani vi saranno recapitati i campioni del Reparto Patologia, dottoressa Brant.»
Salutati gli ospiti, Woolner e la donna tornarono al Laboratorio di Ricerche. Faceva molto caldo, e anche l'aria che entrava dai finestrini abbassati della macchina era soffocante.
«Mi spiace dover andare a Londra proprio adesso che inizia il periodo critico» disse Pauline.
«Starete meglio in Inghilterra» rispose Woolner. «Da quanto tempo non andate a casa?»
«Quasi tre anni.»
«Io devo stare qui ancora un anno. I miei figli non mi riconosceranno più, quando tornerò. E forse nemmeno mia moglie! Non mi dispiacerebbe affatto passare un'estate in Inghilterra, al fresco e con un po' di pioggia. Vi destineranno al Centro di Brierley, penso.»
«Preferirei tornare a Tokyo subito dopo le vacanze» disse la ragazza.
«All'amministrazione piace fare spostamenti di personale, e soprattutto passare al Centro di Brierley chi ha già fatto pratica in questo campo. Dicono che l'avvicendamento contribuisca notevolmente all'apporto di idee nuove.» Una pausa. «E poi, in Inghilterra, c'è vostro marito.»
Pauline guardava ostinatamente fuori del finestrino. Mancava ormai poco alla sede del Laboratorio.
«Mio marito e io siamo tipi indipendenti, e ognuno di noi ha il suo lavoro» disse.
«È un giornalista, vero? Corrispondente estero, mi pare.»
«Lo era. Ci siamo conosciuti nel Vietnam, infatti.»
«Avete detto, era?»
«Adesso lavora in sede, come caposervizio esteri.»
«Vive a Londra?»
«Sì.»
Woolner entrò nel piccolo spiazzo davanti all'edificio dell'OIRV, parcheggiò e spense il motore. «Allora sarà una felice riunione per voi due» commentò, smontando dalla macchina.
Lei non disse niente.

Il personale scientifico dell'Organizzazione Internazionale Ricerche Virus era composto da otto specialisti, diretti dal dottor Alec Ward. Gli otto medici provenivano da diversi Paesi, e quello di Tokyo era uno degli ottantadue gruppi sparsi in tutto il mondo e amministrati dalla direzione generale di New York, dove l'Organizzazione conosciuta sotto la sigla OIRV aveva la sede centrale.
Il principale Centro di Ricerche era quello di Brierley, ma esperimenti importanti venivano condotti anche a Los Angeles e a Parigi, e nel grande laboratorio di Virologia che sorgeva vicino a Mosca. Anche i Centri più piccoli, però, avevano una loro importantissima funzione, e collaborando con le locali autorità ospedaliere raccoglievano dati e campioni, e applicavano nuove tecniche terapeutiche.
La dottoressa Pauline Brant lavorava con l'OIRV da cinque anni, e per due volte era stata mandata in Estremo Oriente. Per lei, il Giappone era un notevole passo avanti rispetto al periodo trascorso nel Vietnam. Però, metà del tempo passato nel Vietnam lei l'aveva vissuto con Clive, prima e dopo il matrimonio. Poi c'era stata una vacanza a Londra, dove avevano affittato un appartamento per tre mesi. E poi Clive era tornato nel Vietnam, mentre lei era stata mandata prima a Singapore e infine a Tokyo. Meno di un anno dopo, stabilizzatasi la situazione politica del Vietnam con la fine della guerra indocinese, Clive era stato richiamato a Londra per assumere l'incarico di capo servizio esteri al Daily Monitor. A poco a poco la distanza che li separava era sembrata incolmabile, le lettere di Clive erano diventate sempre meno frequenti, e a Pauline sembrava ogni volta di leggere tra le righe quello che lui non aveva il coraggio di dire.
Io ho la mia carriera a cui tengo molto, e Clive ha la sua, pensava. E il lavoro che abbiamo scelto ci tiene lontani per anni l'uno dall'altro. Il nostro non è un vero matrimonio, e lo sappiamo entrambi.

Amareggiata Pauline Brant finì di preparare i bagagli e mangiò qualcosa in fretta. Aveva ancora un'ora di tempo prima di andare all'aeroporto. Al Centro erano rimasti solo tre degli otto medici, gli altri, compreso Woolner erano andati all'ospedale dove, nelle ultime dodici ore, il dottor Sutaki aveva ordinato il ricovero di quarantadue persone affette da virus. Pauline telefonò all'ospedale per salutare il dottor Woolner.
La centralinista le rispose che non poteva metterla in comunicazione con il medico inglese, e le passò il dottor Sutaki.
«Non ho potuto salutare prima il dottor Woolner» spiegò la ragazza a Sutaki, «ma non volevo partire senza farmi viva con lui. Volete essere tanto gentile da dirgli che ho telefonato?»
«Sì... Sì, certo, dottoressa Brant. Glielo dirò» rispose Sutaki dopo una breve esitazione.
«È successo qualcosa?» chiese Pauline, messa in allarme dal tono di Sutaki. «Il dottor Woolner è forse...»
«Ha lavorato troppo in questi ultimi tempi» disse Sutaki. «Adesso la reazione...»
«Vi prego, dottor Sutaki, ditemi la verità» interruppe Pauline. «Si tratta del virus di Hueste?»
Ancora Sutaki esitò un attimo. «Ha la febbre molto alta, ma non si può dire...»
«Grazie» disse Pauline, e riattaccò.
Per un minuto restò a guardare il telefono, indecisa, poi chiamò Los Angeles. Ci vollero dieci minuti prima che riuscisse a parlare con il dottor Ward.
«Sono Pauline Brant» disse, appena Ward rispose all'apparecchio. «Voglio rimandare le mie ferie, il dottor Woolner ha preso il contagio, e ritengo che qui ci sia bisogno di me.»
«Ho già saputo di Woolner» disse Ward. «Sutaki mi ha telefonato un'ora fa. Stavo appunto interessandomi per mandare un sostituto.»
«Io sono disposta a restare» insistette lei.
«Avete bisogno di un periodo di vacanza» ribatté Ward. «Serve più un po' di riposo a voi che un medico all'Organizzazione. Apprezzo moltissimo la vostra offerta, ma badate di non perdere l'aereo, perché andrei su tutte le furie. Voi ritenete che la vostra opera serva al Giappone perché lì è già cominciata l'epidemia, ma a questo proposito vi dirò che quel maledetto virus non si limiterà a fare vittime in Oriente. Questa mattina abbiamo avuto anche qui il primo caso da virus di Hueste. A San Francisco.»
«Non vedo perché dovrei andare a Londra quando posso invece combattere l'epidemia nel suo luogo d'origine» disse Pauline.
«Ma l'epidemia si estenderà in tutta l'Asia, l'Africa, e anche l'Europa» disse Ward, in tono che non ammetteva replica. «E quando succederà, che voi siate in un posto piuttosto che in un altro non avrà nessuna importanza, con la vostra esperienza diretta, sarete molto utile a Brierley. Perciò, guardatevi bene dal perdere quell'aereo!»
«Ma, dottor Ward...»
«Prendete l'aereo» interruppe Ward. «È un ordine. La malattia di Woolner dispiace a me quanto a voi, ma questo non toglie che l'Organizzazione debba continuare a funzionare.»
«Va bene» disse Pauline, a malincuore.
«D'accordo, allora. Buone vacanze, e salutatemi Londra.»

Visto dall'aereo, il mondo sembrava lontanissimo. Pauline Brant guardava dal finestrino la distesa verde e azzurra, e pensava che da lì gli uomini perdevano tutta la loro importanza, come il grande fiume che settemilacinquecento metri di quota facevano diventare un sottile nastro d'argento, e la città sull'estuario, ridotta a un irregolare quadrato bitorzoluto. Poi pensò a Woolner, immobilizzato dal virus mentre la temperatura saliva gradatamente e la pelle diventava secca e lucida. Il virus stabiliva il suo dominio nei tessuti, nelle cellule, nei globuli, nella corteccia cerebrale, nei centri del sistema nervoso, corrodendoli e distruggendoli. Tra l'inizio della febbre e la morte passavano di solito quarantotto ore, durante le quali il malato restava in stato di coma.
L'uomo e la scienza si erano evoluti, col tempo, ma anche virus e batteri avevano seguito la loro evoluzione, e adesso gli ultimi ritrovati nel campo degli antibiotici si rivelavano inefficaci contro generazioni di virus che, sopravvissuti, avevano sviluppato una immunità all'attacco delle medicine. I medici avevano riconosciuto da tempo che un virus modificato da radioattività ambientale, o dal naturale bombardamento di raggi cosmici, poteva compiere passi da gigante nella scala dell'evoluzione, e raggiungere uno stadio che rendeva inutili tutti i tentativi della scienza umana. Il virus di Hueste apparteneva probabilmente a questo tipo.
L'epidemia era cominciata in Cina pochi mesi prima. Nessuno sarebbe mai riuscito a scoprire come si era formato il virus, al quale il dottor Ludwing Hueste aveva dato il nome ma non una spiegazione. In Cina le vittime della nuova malattia erano state milioni.
Il resto del mondo, dapprima scettico sulle notizie provenienti dall'Oriente, aveva poi accettato il fatto di quella nuova epidemia di origine orientale considerandola con preoccupazione, ma non con terrore, una specie di colera, o di asiatica. L'OIRV del resto aveva fatto di tutto per evitare che si spargesse il panico, e sulla malattia al pubblico arrivavano soltanto notizie precedentemente censurate, addomesticate ed edulcorate.
Certo Pauline Brant sapeva che l'epidemia Hueste era diversa da un'asiatica o dal colera, ma era altrettanto convinta che per ogni virus, e quindi anche per quello di Hueste, esisteva un antivirus. Solo che era mancato finora il tempo necessario alle ricerche. Però il problema era affidato ai migliori studiosi di tutto il mondo, e tra una settimana, o un mese, l'avrebbero risolto. Pauline ne era sicura.
L'aereo filava verso Singapore, prima tappa del viaggio che l'avrebbe portata a Londra passando da Karachi, Lydda e Roma.

2

Clive l'aspettava all'aeroporto di Londra. Il solito Clive, alto, bruno, con gli occhi grigi e l'espressione ironica. Non era più così abbronzato come quando si erano conosciuti, ed era un po' ingrassato.
«Non sei cambiata affatto, Pauline» le disse, studiandola, «però mi sembri... non so, diversa... I capelli, forse.»
«Sono più corti.»
«E sei più alta!»
«Sono solo più magra, Clive.»
Lui prese le valigie. «Ho fuori la macchina. Andiamo?»
«Un momento.» Pauline gli tolse di mano una scatola di metallo nero. «Campioni patologici» spiegò. «Nella sala d'aspetto deve esserci qualcuno mandato a ritirarli.»
«Va bene. Ti aspetto qui.»
Pauline si allontanò con la scatola, e la hostess alla quale si rivolse le indicò un giovane che indossava un impermeabile di tipo militare. Dopo alcune frasi di prammatica, il giovane prese in consegna la scatola.
«Spero che i campioni siano in buone condizioni» disse.
«Questa è una specie di frigorifero» rispose Pauline, indicando la valigetta metallica. «L'OIRV ne ha ordinate cinquemila a una ditta di Okawa. Funziona a batteria.»
«Capito.»
«Ora vi chiedo scusa, ma c'è mio marito che mi aspetta e...»
«Certamente, dottoressa» rispose lui. Poi aggiunse: «Il dottor Youde, direttore del nostro Centro, spera che nei prossimi giorni troviate il tempo per una visita a Brierley. Sa che siete qui in vacanza, ma avrebbe piacere di parlarvi.»
«Forse verrò domani stesso» disse Pauline. «Comunque dite al dottor Youde che mi farò viva senz'altro entro venerdì.»
Alcuni minuti più tardi, caricati i bagagli sulla macchina, lei e Clive filavano verso Londra.
Adesso che erano lì, l'uno accanto all'altra, pensava Pauline, la barriera che si era levata tra loro in quei tre anni di separazione sembrava ancora più evidente.
«Come vanno le cose al Daily Monitor?» chiese a un certo punto.
«A gonfie vele. La tiratura ha raggiunto i due milioni di copie» rispose Clive.
«Bene! E il tuo lavoro?»
«Non mi lamento. Ma a volte rimpiango i vecchi tempi, quando non ero legato a una scrivania.» Una pausa, poi: «Mi hanno offerto un posto di direttore in una Compagnia televisiva americana.»
«Ma Clive! Hai già un buon posto. Dopo tutti questi anni passati al Monitor...»
Lui si strinse nelle spalle.
«Troppi anni, forse» disse. «Tu mi conosci, Pauline, sai che miro sempre a un gradino più su.»
«Sì, lo so» mormorò Pauline. «Spero solo che ne valga la pena.»
«Mi hanno promesso diecimila dollari all'anno. Per me ne vale la pena. Inoltre dovrò viaggiare molto, e con un aereo a disposizione.»
«Un genere di vita che ti attrae» commentò Pauline. «Hai già accettato?»
«Non ho ancora firmato il contratto. Prima bisogna definire alcuni particolari.»
«Quali, per esempio?»
«È una storia un po' lunga. Ne parleremo questa sera, dopo cena.»
«Come vuoi.»
Lo guardò e lui ricambiò l'occhiata, accompagnandola con il suo solito sorriso affascinante, ma qualcosa nella sua espressione le disse che il loro matrimonio era arrivato a un punto morto.

Quella sera Clive la portò a cena in un ristorante cinese, nel quartiere di Knightsbridge. Le luci attenuate, il buon cibo, la vivacità di Clive, le diedero per qualche momento l'illusione di essere tornata indietro di tre anni. Ma l'illusione non durò a lungo.
«Sono fortunato ad avere la moglie che fa parte dell'OIRV» disse Clive, appena il cameriere li ebbe serviti. «Sento che questa storia dell'epidemia asiatica sarà molto importante.»
«Per il Monitor o per la televisione?» chiese Pauline.
«Per me, e per quello che ne caverò. Non immagini certo quanto sia difficile avere notizie di prima mano su questa faccenda del virus.»
«Io non ne so molto di più di te, caro» disse Pauline.
«Figuriamoci! Hai avuto l'occasione di seguire da vicino gli sviluppi dell'epidemia in Cina, non mi dirai di no.»
«Ho assistito ad alcuni casi.»
«E qual è il verdetto dell'OIRV?»
«Non credo che sia già stato emesso un verdetto, come dici tu» rispose Pauline, fissandolo attentamente. «Per fare ricerche scientifiche, ci vuole tempo, lo sai.»
«Non mi interessano i risultati delle ricerche, io sono a caccia di fatti. Ad esempio, si dice che i morti in Cina siano stati diversi milioni.»
«Sono esagerazioni, Clive» disse lei. «In casi del genere devi sempre fare la tara sulle chiacchiere della gente. Però credo che il Ministero della Salute Pubblica, o la stessa OIRV ti possano fornire dati precisi.»
Clive si protese verso di lei, osservandola. «È molto strano, Pauline... Non riesco a farmi dire niente di preciso da nessuno. Nemmeno da te. Abbiamo un corrispondente in Cina, ma i suoi cablogrammi ci arrivano ridotti ai minimi termini dalla censura. Non si possono avere particolari, non esistono statistiche ufficiali. E adesso, mia moglie cerca di farmi credere che non sa a che cosa ha lavorato fino a ieri.»
«Adesso sei tu che esageri! So a che cosa lavoravo, ma temo che per il momento le mie informazioni non ti sarebbero di nessuna utilità. Quando sono partita, il centro di Tokyo stava ancora interessandosi dell'epidemia, la più violenta di questi ultimi tempi. Si cerca un vaccino o un anticorpo efficace contro il virus, e con tutta probabilità fra qualche settimana lo troveranno. Non ti posso dire altro, e non c'è altro da aggiungere.»
«Non sono di questo parere» disse Clive. «Con la mia proverbiale fortuna ho scovato un dipendente del Ministero Lavori in un momento in cui era imbottito d'alcool, e sono riuscito a strappargli un'indiscrezione. Senti, il Ministero ha ordinato in gran segreto la costruzione di duemila rifugi sotterranei, e un numero uguale di enormi inceneritori. I lavori devono essere eseguiti con priorità assoluta, durante le prossime settimane.»
«Hai detto inceneritori?» chiese Pauline.
«Se vuoi che sia più preciso, dirò forni crematori. Ufficialmente sono stati definiti come centri di decontaminazione nucleare.»
Si guardarono in silenzio, poi ripresero a mangiare, e per un po' nessuno dei due parlò. Alla fine Pauline riprese: «Perché non mi racconti di quel tuo lavoro alla televisione? Quando conti di cominciare?»
«Potrei cominciare anche questa sera, se volessi. Mi basta firmare il contratto. Purtroppo devo dare tre mesi di preavviso al Monitor.»
«Be', almeno le mie vacanze non corrono pericoli» commentò Pauline. «Poi tornerò a Tokyo e tu partirai per New York.»
«Dobbiamo parlare di noi, Pauline» disse Clive. «Ho ottenuto quel posto grazie a un'importante raccomandazione. Posso...» La guardò. «Posso essere sincero?»
«Te ne prego.»
«Ecco, l'incarico mi è stato offerto dal presidente della International Telerama TV grazie a sua figlia, che conosco molto bene.»
«Capisco» mormorò Pauline, sentendosi gelare. «E quanti anni ha, questa figlia?»
«È molto giovane. E suo padre è miliardario. Non vorrei sembrarti cinico, ma questa volta non devo lasciarmi scappare la possibilità di sistemarmi come ho sempre sognato.»
Lei posò la forchetta e lo guardò intensamente. «Clive, mi stai chiedendo di divorziare?»
«Be'... sì.» Le rivolse un sorriso di scusa. «Ti assicuro che non c'è niente di personale contro di te... E poi ci guadagneremo entrambi, finanziariamente, voglio dire. Ti passerò degli alimenti più che generosi, puoi contarci. Del resto il nostro non era un vero matrimonio, e un divorzio in fondo non cambierà gran che...»
«Clive, cosa vuoi dire, esattamente? Che intendi sposare quella ragazza per assicurarti un lavoro pagato bene e perché suo padre è miliardario?»
«C'è anche qualcos'altro.»
«Ne sei innamorato?»
«Se sapessi esattamente che cos'è l'amore, potrei risponderti» rispose Clive, impacciato. «So che mi piace. Mi affascina.»
«Sei mai stato innamorato di me?» chiese lei.
«Sì... Forse sì» ammise Clive, sospirando. «Ma il fatto è, Pauline, che non si può continuare a vivere ai due capi del mondo, incontrandosi una volta ogni tre anni. È immorale.»
Pauline sorrise tristemente. «Molto immorale» disse. «Immagino che con questa ragazza tu abbia una relazione» aggiunse.
«Tre anni sono lunghi» disse Clive, a disagio. «Quello che ti propongo è un affare vantaggioso per entrambi, perché non sarebbe leale per nessuno dei due continuare un matrimonio che per anni e anni si regge soltanto su lettere platoniche. Non lo capisci anche tu che non è una questione d'infedeltà, quanto di saper sfruttare l'occasione?»
«Arte nella quale sei sempre stato bravissimo» commentò Pauline.
«Capisco la tua amarezza, ma siamo abbastanza cresciuti per fare buon uso della ragione, Pauline.»
«Non hai pensato che io potrei non essere disposta ad arrendermi incondizionatamente?»
Lui allungò un braccio e le sfiorò una mano. «Non è questo che voglio da te, si capisce!» esclamò. «Ma non ritengo che si possa continuare ad amare una persona che non si vede per tre anni. Non è umano.»
«Allora io non sono umana.»
«Pauline, ti prego, non rendere tutto più difficile.»
«Perché non me ne hai parlato prima, Clive? Non mi sarei nemmeno disturbata a venire a Londra!» scattò Pauline.
«Non potevo dirtelo per lettera» rispose lui. «Ho pensato che fosse meglio parlarne di persona. Meglio per te.»
«Molto delicato, da parte tua!»
«Può darsi che sia un mascalzone, ma qualche buona qualità ce l'ho anch'io» ribatté Clive. «Non è mai simpatico parlare di divorzio, e il meno che si possa fare è di trattare l'argomento con un minimo di delicatezza.»
Il cameriere portò il caffè.
«Chi è la donna che intendi sposare?» chiese Pauline appena il cameriere si fu allontanato.
«Non la conosci. Si chiama Noelle Langstrom.»
«Quanti anni ha?»
«È importante?»
«Mi piace conoscere la forza del nemico.»
«Non esistono nemici, Pauline. Si tratta solo di ridimensionare la vita di tre persone.»
Pauline rise. Una risata nervosa. «Detto da te sembra tutto molto semplice. Comunque, ora non posso certo restare nel tuo appartamento, dovrò...»
«Ti ho già fissato una camera in un albergo di Kensington» interruppe Clive.
«Il tuo spirito pratico non viene mai meno, vero? Ma se io decidessi di non voler essere ridimensionata e preferissi restare tua moglie permettendoti di essere infedele?»
«In questo caso, col tempo saresti tu a voler divorziare, per altri motivi. Posso aspettare.»
«Ho bisogno di un po' di tempo, Clive, per pensare.»
«Non ho fretta» rispose Clive sorridendo.

3

Un basso muro di cinta separava l'area del Centro di Brierley dalla strada statale per Hartfield. L'edificio basso, in mattoni rossi e grandi vetrate, era una via di mezzo fra una piccola fattoria e una grande serra.
Pagato l'autista del tassì, Pauline entrò dall'ingresso principale, e due minuti più tardi era nell'ufficio del direttore del Centro, il dottor Charles Youde.
«Felicissimo di conoscervi, dottoressa Brant!» mormorò Youde. Parlava con voce molto bassa, e i suoi gesti affettati erano in netto contrasto con la vivacità degli occhi, azzurrissimi dietro le lenti spesse.
Pauline sedette in una scomoda poltrona e si guardò attorno. Lì dentro sembrava tutto scomodo e austero, dai mobili rettangolari ai vecchi libri allineati nei rigidi scaffali sullo sfondo delle pareti verde scuro e grigio.
«Speravo ardentemente che aveste un po' di tempo per noi» aggiunse Youde.
Pauline aveva molto più tempo di quanto lui potesse sperare o immaginare. Ma non glielo disse. Si limitò a chiedere: «I campioni erano in buone condizioni?»
«Eccellenti. Ci stiamo lavorando ora. Non per scoprire qualcosa di nuovo, ma per avere una conferma.» Si sfregò il naso con il dorso di una mano. «Diabolico questo virus Hueste» aggiunse. «Per ora possiamo solo fare prove di reazione sui vari gruppi sanguigni.»
«C'è qualche speranza di trovare un anticorpo?» chiese Pauline.
«Ce ne sono moltissime» rispose Youde, ridendo apparentemente senza motivo. «Entro sei mesi... o forse un anno, saremo in grado di presentare al mondo un vaccino capace di immunizzare totalmente. Poi ci vorranno altri sei mesi per organizzarne la produzione su vasta scala. Diciamo dunque diciotto mesi in tutto prima di essere pronti.»
Lei avvertì una sfumatura di ironia nella sua voce. «Tutto lascia prevedere che l'epidemia si spargerà in tutto il mondo entro poche settimane» disse, e le parve di aver fatto una dichiarazione inutile.
«Sarà certamente così» disse Youde. «Ma noi non possiamo fare miracoli su commissione.»
«Se il virus si diffonde nel nostro Paese, come sembra probabile, e se noi non riusciremo a produrre un vaccino in tempo utile, cosa succederà?»
«Volete dire quante saranno le vittime?»
«Be'... sì.»
«Circa trenta milioni» rispose Youde senza esitazioni.
Pauline sospirò, incapace di dare un senso pratico a quella cifra. «Trenta milioni in poche settimane?» chiese.
«Sì.»
«Come si potrà provvedere a un numero tanto grande di morti?»
«Questo riguarda le autorità governative. Cos'hanno fatto in Cina?»
«Non si sa ancora con certezza. Si parla di enormi inceneritori e della distruzione dei cadaveri con acidi, ma non è facile distinguere tra la verità e le chiacchiere.»
Youde si accese una vecchia pipa, e Pauline ripensò alle parole del medico, pronunciate col tono di chi parla di cose normali.
«Quella cifra... trenta milioni... Come ci siete arrivato?» chiese alla fine.
«Pare che sia il risultato degli studi sulla struttura del virus» disse Youde. «Il dottor Vincent potrebbe spiegarvelo molto meglio di me. Anzi, credo che farò bene a presentarvelo. È il nostro esperto in batteriologia e in biochimica, e ne sa più di ogni altro sulle particolarità del virus di Hueste.» Depose la pipa nel portacenere e si alzò. «Se volete venire con me, dottoressa Brant...» aggiunse avviandosi alla porta.
Le fece strada lungo un corridoio, poi attraverso un laboratorio lucido di cromature, giù per un altro corridoio fino a un piccolo ufficio dalle pareti di vetro. Qui Pauline si trovò di fronte a un giovane in camice bianco, non molto alto, e bruno. Il camice era macchiato di reagenti e altre sostanze chimiche.
Youde la presentò, brontolò qualcosa a proposito della struttura molecolare del virus di Hueste, poi si scusò dicendo che aveva da fare. Il dottor Vincent le offri una sigaretta senza parlare, e ne accese una anche per sé. Si sentiva il ronzio di una centrifuga situata in qualche punto del laboratorio.
«Spero di non interferire col vostro lavoro» disse Pauline, in tono di scusa. «Sono qui in vacanza dopo un periodo di servizio a Tokyo, e ho pensato che forse posso esservi utile.»
«Lo sarete senz'altro» disse lui, ma con l'aria di non crederci molto. «Com'è Tokyo?»
«Una specie di parente povera di New York.»
«E l'epidemia?»
«In rapido aumento, purtroppo.»
Il dottor Vincent si strinse nella spalle. «Le isole del Giappone sono sempre state sovrappopolate. La natura ha i suoi metodi per ristabilire l'equilibrio.»
«Questa massima va bene anche per il resto del mondo?»
«Perché no? Siamo un po' troppo presuntuosi tutti, e ogni tanto la natura interviene per ridimensionarci.»
«E con tutta la nostra scienza e la nostra tecnologia, non possiamo fare niente?» disse Pauline.
Lui tardò un attimo a rispondere, come se stesse soppesando le parole. Poi disse: «Sì, dottoressa Brant, c'è una cosa che possiamo fare subito e con ottimi risultati» e guardando l'orologio aggiunse: «Sono le dodici e mezzo. Possiamo andare a pranzo assieme in un buon locale a tre chilometri da qui, dove servono bistecche gigantesche a un prezzo da proletari. Non avete fame?»
Pauline lo guardò sorridendo. «È molto che non vado a un pranzo con un proletario» disse, «e pensandoci mi pare proprio di essere affamata.»
«Allora sbrighiamoci» esclamò il dottor Vincent, sfilandosi il camice e buttandolo sulla spalliera della sedia.
«Grazie, dottor Vincent.»
«Vi permetto di chiamarmi Vince» disse lui, tenendole aperta la porta. «Lo fanno tutti!»
«Va bene, Vince. Allora vi confesserò che il mio nome è Pauline.»
«Uno dei nomi che preferisco.»
Uscirono sul retro dell'edificio, e lui l'accompagnò a una macchina enorme e antiquata.
«Questa è Ermintrude» disse, dando una manata affettuosa sulla carrozzeria. «Un altro dei miei nomi preferiti. È vecchia, ma funziona. Qualche volta in discesa riesce a fare i sessanta all'ora.»
In realtà Ermintrude si rivelò un'ottima auto, comoda, e con un motore silenzioso e brillante. Pochi minuti dopo Pauline e Vincent erano seduti in uno spazioso locale, a un tavolo rotondo, e bevevano gli aperitivi che Vincent aveva ordinato insieme con il pranzo.
«Secondo il dottor Youde» disse Pauline posando il bicchiere, «voi dovreste parlarmi della struttura molecolare del virus Hueste.»
Lui sorrise e scosse la testa. «A quest'ora, e in questo posto, il virus Hueste è un disgustoso anacronismo.»
«Ma purtroppo, anacronismo o no, esiste. Io però non sono molto addentro ai segreti delle ricerche sperimentali. Più che altro ho avuto contatti con gli aspetti clinici e patologici del morbo.»
«Siete fortunata» esclamò Vincent. «Vorrei aver avuto anch'io la possibilità di vedere il virus in azione anziché limitarmi a esaminare campioni di sangue, di cervello, di pelle...» Vincent scosse la testa poi continuò: «Come fareste, voi, la diagnosi di un caso tipico di virus Hueste?»
«È possibile capirlo solo dai sintomi che precedono di poco la morte: stato di incoscienza, temperatura altissima, pelle completamente disidratata e verdastra. Poi sopravviene l'edema epiteliale e la pelle si gonfia prendendo un aspetto vetroso. A questo punto è solo questione di un paio d'ore.»
«Sappiamo che il virus agisce sulle cellule dei tessuti» disse Vincent. «Questo spiega l'edema. Ma il vero guaio avviene molto prima, quando il virus attacca e distrugge la corteccia cerebrale e i tessuti delle meningi. È in questo momento che il paziente cade in coma per non riaversi mai più. Anche riuscendo a distruggere il virus in quel momento, il malato morirebbe, o passerebbe il resto della vita in coma.»
Pauline lo guardò pensosa. «All'ospedale Tanhai, poco prima che io partissi da Tokyo hanno conservato il corpo di una vittima del virus. Io non ho potuto vedere il cadavere, ma il dottor Woolner mi ha detto che dopo cinque giorni i tessuti erano quasi completamente liquefatti. Tutto quello che restava del corpo era uno scheletro affondato in una pozza grigia.»
«Affascinante!» commentò Vincent. «Ci vuole subito un altro whisky!» Riempì i bicchieri e aggiunse: «Stanno arrivando le nostre bistecche, Pauline. Rimandiamo a più tardi i discorsi d'affari.»
Lei sorrise e approvò con un cenno.
Parlarono d'altro e gustarono i piatti semplici ma appetitosi. Poi tornarono al Centro, e per un'ora il dottor Vincent fece da guida a Pauline attraverso i vari laboratori perfettamente attrezzati dove lavoravano parecchi specialisti. Pauline ebbe l'impressione che il lavoro non si svolgesse in clima d'urgenza. Del resto la minaccia del virus Hueste era ancora lontana migliaia di chilometri...
Alla fine entrarono nella piccola sala cinematografica con uno schermo di un metro e mezzo per uno e dieci, e un minuscolo proiettore. Vincent diede istruzioni per la proiezione di alcune fotografie e cortometraggi che illustravano i vari aspetti del programma di ricerche del Centro, comprese alcune diapositive riprese con l'aiuto di un microscopio elettronico. Seduto accanto a lei, nella minuscola sala, il medico commentò il passaggio delle varie immagini.
«Il dottor Woolner mi ha parlato di una vostra scoperta secondo cui il virus di Hueste esiste in due forme isometriche. C'è una spiegazione per questo fenomeno?» chiese Pauline.
«Forse sì» rispose Vincent. «Qui al Centro abbiamo stabilito che due tipi di cellule del virus sono ugualmente diffusi in una coltura di Hueste. Basilarmente la cellula ha una struttura A-Bi. Ma quando si riproduce, si divide in due cellule isometriche, una di tipo A-Bi e l'altra di tipo Bi-A.»
«È una scoperta importante?» disse Pauline chiedendosi di che utilità fossero ricerche tanto astratte sulla composizione basilare del virus, di fronte alla minaccia di un'epidemia.
«Di importanza vitale. Perché, vedete, il virus A-Bi ha effetti letali, mentre quello di tipo Bi-A è quasi completamente innocuo. Ma c'è di più. Una infezione provocata dal tipo Bi-A può immunizzare contro gli effetti del tipo A-Bi.»
Pauline lo guardò, sorpresa.
«Ma allora perché non inoculare a tutti il virus Bi-A in modo da immunizzare la popolazione contro l'epidemia?»
«Non è tanto semplice. Prima di tutto non è possibile ottenere il virus in una coltura inanimata. L'Hueste si riproduce solo in una sostanza viva.»
«Questo lo so.»
«Noi stiamo cercando di ottenere risultati con colture di uova vive, ma questo virus sviluppa un'azione altamente citopatogena, distrugge cioè la membrana che riveste ogni cellula viva, e così, ogni volta che siamo sul punto di ottenere una coltura di virus, l'uovo muore.»
«Però non succederebbe usando il tipo Bi-A se ho ben capito.»
«Non è possibile separare nettamente i due tipi. Anche cominciando una coltura con una cellula Bi-A, nel momento in cui questa si riproduce, avremo due cellule isometriche di cui una Bi-A e l'altra A-Bi, e ci si ritrova al punto di partenza.»
«Ma se il tipo Bi-A conferisce immunità dal...»
«Questa è la parte più complicata della faccenda» interruppe Vincent. «Per quello che abbiamo capito, il meccanismo è questo: il virus dell'infezione, sia esso A-Bi o Bi-A, viene assorbito dai tessuti del corpo, ma appena inizia la riproduzione, il corpo dell'individuo infetto diventa portatore della forma isometrica opposta a quella da cui l'infezione è partita.»
«Volete dire che un paziente infetto da virus AB diventa portatore della forma Bi-A, e viceversa?»
«Esatto.»
«In questo caso, dal momento che le vittime del virus A-Bi muoiono in brevissimo tempo, e i malati di virus Bi-A sopravvivono, allora il tipo A-Bi guadagna terreno più rapidamente.»
«È quanto viene logico pensare. Ma in effetti la fase infettiva del virus dura solo dieci giorni, dopodiché il portatore cessa di essere tale. Comunque, secondo le nostre statistiche, gli effetti finali sarebbero questi: il cinquanta per cento degli individui colpiti saranno infettati dal tipo A-Bi e l'altro cinquanta per cento dal tipo Bi-A. Il che significa che metà morirà, e l'altra metà sopravviverà, per diventare portatrice a sua volta di A-Bi per un periodo di due settimane. È un circolo vizioso.»
«Quindi, se l'epidemia si diffonde su tutta la Terra, metà della popolazione mondiale morirà?»
«Temo di sì.»
«Ma perché non isolare i malati portatori di A-Bi? Forse sarebbe sufficiente una quarantena di due o tre settimane.»
«Perché un'infezione di Bi-A presenta sintomi così lievi da non poter essere diagnosticata» spiegò il dottor Vincent. «Il malato lamenterà al massimo qualche linea di febbre e un po' di mal di testa. Tutto qui. Bisognerebbe poter fare complicate analisi di laboratorio su campioni di sangue per stabilire la diagnosi.»
«Allora, non c'è niente da fare.»
«Facciamo quello che possiamo, Pauline, purtroppo è molto poco. Gli americani stanno lavorando alla teoria della mutazione e sperano di poter creare un tipo stabile di virus Bi-A bombardando con particelle radioattive dei campioni di virus di Hueste, ma siamo sempre nel campo teorico, senza contare che un vaccino immunizzante pup a volte avere altri effetti tutt'altro che desiderabili sui soggetti trattati. In una parola stiamo annaspando nel buio.»
Terminata la proiezione delle pellicole documentarie, Pauline salutò Vincent, e andò dal dottor Youde a chiedergli di lasciarla lavorare al Centro. Lui si passò una mano tra i folti capelli grigi e la osservò attentamente attraverso le lenti.
«Non è regolare servirci di voi durante il vostro periodo di vacanza, dottoressa Brant» le disse. «E temo che l'Organizzazione non accetterà di versarvi un compenso extra per un lavoro che non siete tenuta a fare.»
«Non chiedo nessun compenso extra, dottor Youde» rispose lei. «Non mi interessa fare le vacanze, adesso, e penso che un'offerta di collaborazione volontaria non crei problemi per il Centro.»
«Su questa base possiamo senz'altro accordarci. Quello che vi offro però è un lavoro di ordinaria amministrazione: classificazione di gruppi sanguigni e di altri campioni clinici, ad esempio, e forse qualche esperimento citologico.»
«Va benissimo, dottor Youde.»
«In seguito, quando le cose precipiteranno, bisognerà organizzare tutto il lavoro di collegamento con i centri di evacuazione, e allora la vostra esperienza ci sarà molto utile.»
«Centri di evacuazione?» ripeté Pauline.
Il dottor Youde esitò un attimo, poi sorrise con aria impacciata. «Temo di aver toccato un argomento proibito» disse. «Conto sulla vostra discrezione perché non ne facciate parola con nessuno, né qui al Centro né fuori. C'è tutta una parte di lavoro che viene eseguita nel più assoluto segreto. D'altra parte è logico che il governo si prepari in tempo a fronteggiare una situazione di emergenza.»
«Alludete a problemi come quello che sorgerà per l'eliminazione dei... cadaveri?»
«Questo sarà certamente uno dei maggiori, se tenete conto che la media dei decessi normali nel Regno Unito è di trecentomila all'anno, mentre l'epidemia provocherà circa tre milioni di decessi in poco più di un mese. Capite quindi che le autorità sanitarie si preoccupano di come disporre convenientemente di duecentomila tonnellate di corpi morti. Poi c'è il problema finanziario che riguarda le Assicurazioni. Durante la punta massima della crisi la responsabilità delle compagnie assicuratrici saliranno a parecchie migliaia di milioni. Immagino comunque che il governo dovrà varare leggi particolari.»
Pauline lo fissò pensosa. «La statistica dei decessi» disse poi, «parlo della faccenda dei due tipi di virus, fino a che punto è precisa? In teoria, i morti dovrebbero essere il cinquanta per cento della popolazione, ma questo non significa che in un nucleo di quattro persone, per esempio, due muoiano e due si salvino.»
Il dottor Youde si appoggiò allo schienale della poltrona. Da tutto il suo atteggiamento era chiaro che per lui la gravità dell'epidemia di Hueste si concentrava in un problema astratto di cifre e di mezzi, e che la tragedia che avrebbe colpito l'umanità si riduceva ai suoi occhi in statistiche da studiare. Quello in fondo era l'atteggiamento dell'OIRV necessariamente obiettivo e disinteressato. Il lavoro dei laboratori di ricerca non poteva venire turbato da considerazioni di carattere emotivo sul dramma della sopravvivenza umana.
«Le statistiche sono state elaborate su un numero di massa» disse Youde. «Diciamo che in un gruppo formato da un milione di individui, i morti saranno mezzo milione, dieci più, dieci meno. Scendendo a unità più piccole, naturalmente la proporzione non può essere stabilita con altrettanta precisione. Su cento individui la percentuale di morti può variare da quaranta a sessanta. Fra i dieci, i limiti possono oscillare da tre a sette. Su cinque persone può darsi che muoiano tutti, o nessuno.»
Pauline sospirò. «Stando così le cose, possiamo solo augurarci di contrarre un'infezione di virus Bi-A» commentò.
«Possiamo fare anche qualcos'altro» ribatté Youde con un sorriso enigmatico. «L'epidemia arriverà e scomparirà in un periodo che si può calcolare da sei a dieci settimane, dopo di che non ci sarà più pericolo. Non è affatto impossibile isolarsi dal mondo, e di conseguenza dall'infezione, per alcune settimane. Naturalmente occorreranno viveri, acqua sterilizzata, filtri per la depurazione, impianti di riciclaggio dell'aria.»
«Mi sembra possibilissimo.»
«Più che probabile, direi. Comunque ne riparleremo al momento opportuno.» Il dottor Youde si alzò, pulì gli occhiali, e girò attorno alla scrivania. «Ma a che scopo continuare a tessere teorie?» riprese. «Siamo tutti molto ignoranti sull'argomento, e del resto chiunque potrebbe fare previsioni. In questo momento mi interessa avere la certezza che lavorerete volentieri con noi durante le vostre vacanze. Da parte nostra sarete la benvenuta.»
«Vi assicuro, dottor Youde, che preferisco occupare qui le mie giornate.»
«In questo caso vi considero al mio servizio» concluse lui, sorridendo della sua battuta. «Se mi concedete un paio di giorni per studiare il modo migliore di occuparvi...»
«Benissimo, dottor Youde. Tornerò fra un paio di giorni.»

4

Nel giro di una settimana, a Londra, negli immediati dintorni della capitale, e un po' dappertutto nel Paese, iniziò un'attività che esulava dalla norma. I parchi vennero chiusi al pubblico per ospitare macchine gigantesche e squadre di uomini che iniziarono a installare generatori di corrente e fari, e a costruire accampamenti provvisori per assicurare l'alloggio agli operai dei vari turni e far sì che i lavori non subissero interruzioni. Lo stesso avvenne in alcune zone rurali. Entro pochissimo tempo un esercito di scavatrici e bulldozer cominciò a praticare enormi buchi nel sottosuolo inglese.
Mentre le macchine scavavano, altri operai provvedevano alla installazione di parti prefabbricate di edifici. Edifici con spesse pareti di mattoni e alte ciminiere. Parecchi camion adibiti al trasporto del materiale arrivavano a destinazione carichi di grossi serbatoi rettangolari, ma i teli che ricoprivano i camion impedivano agli eventuali osservatori di fare ipotesi sulla natura del carico.
A Clive Brant quei fatti privi di qualunque spiegazione ufficiale diedero l'impressione di una grande operazione militare condotta nella massima segretezza. Per quanto le autorità non avessero fatto nessuna dichiarazione in merito, la gente aveva dato una sua interpretazione all'enorme impiego di materiali e di mano d'opera: il governo si era deciso a costruire rifugi antiatomici e centri di decontaminazione per prevenire i pericoli di una guerra nucleare. Per la verità nessuno credeva che una guerra fosse imminente o anche solo possibile, ma tutti pensavano che il governo avesse deciso saggiamente di prendere misure difensive per non essere colto alla sprovvista.
Intanto le varie agenzie di stampa europee continuavano a parlare di attività missilistica all'Est, mentre la stampa sovietica riferiva le stesse cose imputandole all'Ovest. Del morbo di Hueste i giornali facevano solo vaghi accenni. In Giappone era stato dichiarato lo stato di emergenza e la censura era entrata in atto. Si diceva che il virus si fosse largamente diffuso in alcune zone della Siberia, ma le notizie non provenivano da fonti attendibili.
Clive era alquanto seccato dall'inconsistenza delle informazioni che gli arrivavano dai corrispondenti esteri, e dalle continue domande che gli rivolgeva il capo redattore, signor McAllan, che non mancava di ricordargli, in ogni occasione, che lui aveva quarant'anni di esperienza giornalistica sulle spalle. Che McAllan conoscesse il suo lavoro non lo si poteva negare, ma come uomo aveva ben poco da dire, inoltre lo diceva male, e parlando aveva solo il potere di dar fastidio a chi lo ascoltava.
Clive, dunque era seccatissimo di quella situazione. Poi arrivò un rapporto da Singapore. Per sfuggire alla censura Thomson aveva telefonato il suo rapporto a Macey, il collega di Calcutta, che a sua volta aveva passato le informazioni a Wyatt, al Cairo, e finalmente la storia di Thomson aveva raggiunto Londra senza subire tagli.
Dopo aver letto il cablogramma di Wyatt, Clive l'aveva passato a McAllan per l'autorizzazione a pubblicare la notizia.
Dieci minuti più tardi il citofono sulla scrivania di Clive cominciò a ronzare. Il giornalista abbassò la levetta che comandava l'ascolto.
«Sono Mac» disse la voce stridente di McAllen. «Ho visto quel cablogramma. Non mi piace.»
«Thomson sa il fatto suo» fece notare Clive.
«Anche Macey e Wyatt» ribatté McAllen. «Ma quello che ho qui è il rapporto del rapporto di un rapporto. Inoltre le notizie sono in aperto contrasto con quelle di altri cablogrammi arrivati per via ufficiale. Sarà meglio parlarne, Clive.»
«Vengo subito.»
In fondo, la responsabilità del servizio ricadeva su McAllan, quindi era lui che doveva decidere se una storia andava pubblicata oppure no, se bisognava darle rilievo o smorzarne l'interesse, se era il caso di metterla in prima, in seconda, o in qualche altra pagina. I suoi superiori, il direttore del quotidiano, l'amministratore, e il vice-direttore generale si interessavano quasi esclusivamente della parte politica.
La qualità migliore di McAllan era forse la sua passione per l'attendibilità: era addirittura fanatico per i fatti assodati. Un fatto non provato per lui era solo una panzana, e non mancava di ripeterlo ai cronisti che avevano trascurato di controllare anche un solo particolare insignificante degli articoli che scrivevano.
Come al solito il redattore capo stava fumando una sigaretta al mentolo. Il grosso posacenere di vetro conteneva già una trentina di mozziconi, che alla fine della giornata sarebbero diventati almeno sessanta. Ma lo stipendio di McAllan poteva permettergli la spesa, inoltre il costo delle sigarette gli veniva in parte compensato da una minore spesa per mangiare, dato che tutte quelle sigarette gli toglievano l'appetito.
McAllan era in maniche di camicia e bretelle, e quando Clive entrò il caporedattore si appoggiò allo schienale della poltrona, cercò tra i vari fogli sparsi sulla scrivania, prese quello che portava incollata la striscia uscita dalla telescrivente e lesse: «Duemila ospedali da campo. Malati ammucchiati su assi di legno sostenute da supporti metallici. Pozzi di fango seppellire i morti, e non soltanto i morti...»
«So che può sembrare esagerato» ammise Clive, «ma non dimentichiamo che quelle notizie ci arrivano da un testimone oculare. Inoltre Thomson è degno della massima fiducia.»
«Questo non l'ha scritto Thomson» disse McAllan. «Il cablogramma è il risultato dell'interpretazione che Wyatt ha dato a un rapporto che Macey gli ha fatto da Calcutta dopo aver interpretato una telefonata di Thomson da Singapore.»
«Ciononostante ritengo che sia la verità» insistette Clive. «In Europa probabilmente fatti simili non avverrebbero nemmeno durante la più grave delle epidemie, ma non dimenticate che in Oriente ragionano e si comportano diversamente. Prima di tutto sono fatalisti. A me sembra abbastanza logico che un orientale possa considerare già morto un malato in coma perché è scontato che non si riprenderà. Dunque è anche logico che i malati in quelle condizioni vengano buttati nei pozzi di fango.»
«Avete controllato all'OIRV e al Ministero?»
«Sì. In entrambi i posti mi hanno detto di non essere al corrente. Però non hanno negato il fatto.»
«Non mi piace» ripeté McAllan. «Thomson parla di centomila morti. Cosa dice il Ministero?»
«Tremila decessi.»
McAllan fece una smorfia.
«Quella cifra viene da un testimone oculare» ribatté Clive.
«Non mi importa di chi viene la notizia. A me interessa che sia autentica. Vedo solo un modo di pubblicare una storia del genere, cioè presentandola negativamente! Il Ministero nega che a Singapore vengano seppelliti malati ancora vivi, eccetera. Ma le notizie negative non mi piacciono, sono espressioni di cattivo giornalismo. Il lavoro di un giornalista consiste nel presentare al pubblico i fatti, non nel pubblicare smentite di voci.»
«Posso telefonare direttamente a Thomson per avere una conferma» propose Clive.
«Una conferma del rapporto che ci ha inviato Wyatt dal Cairo» brontolò McAllan. «E va bene, telefonategli subito. Se questa storia è vera diventa importantissima.»
Un'ora dopo Clive poté parlare con Singapore. Gli dissero che il signor Thomson si era improvvisamente ammalato e che si trovava all'ospedale. Aggiunsero che erano molto spiacenti di non potergli dire in quale ospedale fosse stato ricoverato. Il signor Brant voleva sapere se si trattava del virus? No, loro non erano in grado di dirgli nemmeno questo. Sapevano che il signor Thomson era malato, ma non potevano dare altre informazioni.
Clive, di umore nerissimo, tornò da McAllan. «Temo che il giornale abbia perso il suo corrispondente di Singapore» annunciò. «Thomson è all'ospedale e con tutta probabilità si tratta dell'epidemia.»
«Maledizione!» imprecò McAllan, premendo forte le mani aperte sul ripiano della scrivania. «Meglio lasciar perdere tutto, allora. Un articolo di questo genere è troppo pericoloso.»
«Eppure l'argomento è della massima importanza» insistette Clive, al quale era venuta un'idea da cui avrebbe potuto trarre anche il massimo beneficio personale, se le cose andavano per il verso giusto. «La censura è talmente rigida su questa faccenda del virus che non è possibile ottenere informazioni precise da nessuno, e i nostri corrispondenti in Oriente devono ricorrere a sotterfugi per comunicarci le novità, col risultato di non convincerci. A questo punto credo che ci sia una sola soluzione: mandare qualcuno a Singapore perché dia un'occhiata e torni a riferire.»
«Vi offrite volontario?» chiese McAllan, accigliato.
Clive si strinse nelle spalle. «Conosco bene il posto, e so a chi rivolgermi» rispose. «Inoltre mia moglie ha lavorato con l'OIRV di laggiù per alcuni anni.»
«Vi rendete conto di correre un grave rischio?»
«Un rischio che prima o poi dovremo correre comunque tutti. E poi, sono stato corrispondente di guerra e ho perso l'abitudine di preoccuparmi del rischio personale.»
«Contento voi... In fondo mi sembra una buona idea» commentò McAllan. «Una decisione di questo genere però spetta a Wardale. Parlategliene voi. Io vi appoggerò, se sarà necessario.»
Wardale, direttore del Daily Monitor, non si dimostrò molto entusiasta del progetto.
«Prima di tutto» disse, sistemandosi sul naso gli occhiali senza montatura, «sappiamo benissimo che nella zona infetta c'è la censura più severa. Censura approvata e appoggiata dal nostro governo. Poi il Ministero ci ha chiesto di collaborare... non solo a noi, ma a tutta la stampa. Infine, in quei territori i mezzi di trasporto sono diventati estremamente precari. Rischiate di non potervi muovere dall'aeroporto.»
«Ho un paio di assi nella manica, e posso giocarli» disse Clive. «Mia moglie lavora all'OIRV e io ho avuto modo di conoscere gente dell'Organizzazione. E in ogni caso mi interessa sapere cos'è successo al nostro corrispondente, e vederlo, se è ancora vivo.»
«Non metto in dubbio i vostri assi e tutto quello che potete ricavarne, sebbene forse non sarà facile come credete. Ma anche ammesso che ritorniate con un sensazionale servizio da prima pagina, può darsi che non ci sia possibile pubblicarlo. Il Ministero vuole leggere tutto quello che intendiamo stampare a proposito dell'epidemia, e questo significa passare attraverso il setaccio della censura ufficiale.»
«Volete dire che anche in Inghilterra è già in vigore la censura?» domandò Clive.
«Ho paura che sia proprio così, per quanto la cosa non sia ufficiale. Ma non si tratta di Singapore. Dietro le quinte si indovinano motivi di sicurezza nazionale. Avete mai visto una sola riga sui giornali a proposito dei rifugi anti-atomici e dei centri di decontaminazione? Thomson probabilmente ha ragione sulla situazione di Singapore, ma il suo resoconto è in aperto conflitto con le informazioni diramate dagli enti governativi e da autorevoli fonti ufficiali come l'OIRV.»
«Quindi pensate che non sia il caso di andare a Singapore?»
Wardale lo guardò attentamente. «Penso invece che dovreste andare, non per avere un servizio che forse non potremmo pubblicare, ma perché temo che questa sia la nostra ultima possibilità di mandare un giornalista in Oriente prima che i mezzi di comunicazione entrino in crisi. Sì, Brant, andate pure.»
«Grazie, signor Wardale» rispose Clive. Poi giocò la sua ultima carta. «Mentre sono laggiù potrei dare anche un'occhiata a Tokyo e alla costa americana, dove si dice che si siano verificati i primi casi di infezione da virus.»
«Perché no? Ricordatevi che il nostro è un giornale, non un'agenzia di viaggi.»
«D'accordo. Pensavo a brevi tappe nei punti chiave. Quattro o cinque giorni in tutto. Forse sarebbe meglio tornare a New York, così potrei sentire il parere degli americani, su questa faccenda del virus.»
«Va bene, Brant» concluse Wardale. «Fate pure come preferite, e buona fortuna.»
Quella sera stessa Clive telefonò a New York.
«È tanto che non ci vediamo, caro» disse Noelle Langstrom.
«Troppo» disse Clive. «Ma ho buone notizie. Fra pochi giorni sarò lì.»
«È meraviglioso! Come mai questo viaggio?»
«Domani parto per Singapore. Sai, è per la storia dell'epidemia. Poi passo a Tokyo, e ritorno a Londra via San Francisco-New York. Secondo i miei calcoli potremo stare insieme un giorno.»
«Puoi avere dei guai a Tokyo, tesoro! A quanto pare tutti i mezzi di comunicazione sono riservati alla posta e ai servizi sanitari.»
«Credo che faranno eccezione per un giornalista» ribatté Clive.
«In un periodo di censura rigorosa? Ho i miei dubbi.»
«Be', vale comunque la pena di tentare.»
«Hai già firmato il contratto che ti ha offerto papà?»
«No, ma lo firmerò molto presto. Devo però sistemare alcune faccende... come quella del divorzio.»
«Lei si oppone?»
«No, ma vuole tempo. Se dovessi forzarle la mano sarebbe peggio.»
La ragazza sospirò. «Per favore non farci aspettare troppo. Papà è già pronto a dare il via alla Compagnia Telerama.»
«Non ti preoccupare» la rassicurò Clive.
Si salutarono, e Clive posò il ricevitore sentendosi pienamente soddisfatto. A quanto pareva il suo angelo custode personale era molto ben disposto verso di lui. Decise di approfittarne, e telefonò a Pauline per invitarla a cena. Non la vedeva da una settimana, e gli sembrava opportuno ristabilire i contatti.
La voce di Pauline al telefono era fredda ma non ostile. Comunque accettò il suo invito, pur con una certa riluttanza, quando lui le disse che stava per partire e voleva discutere alcune cose prima di imbarcarsi per Singapore.
Durante la cena in un ristorante di Soho, Clive parlò del suo viaggio, senza però accennare a New York, e Pauline gli disse che stava lavorando per il Centro di Brierley.
Fu soltanto al caffè che Clive osò affrontare l'argomento divorzio, e si meravigliò di trovarla stranamente arrendevole.
«Va bene, Clive» disse Pauline, «se è tanto importante per te, ti accontenterò. Il mio unico timore è che, una volta ottenuto quello che vuoi, tu possa pentirtene.»
«Perché avere preoccupazioni supplementari?» commentò Clive. «Scusa se ti sono sembrato particolarmente insistente, ma tornando dal mio viaggio passerò da New York» adesso pensò, poteva dirglielo, «e vedrò il mio futuro principale. Posso davvero informarlo che le pratiche per il divorzio cominceranno al più presto?»
«Sì, Clive, puoi dirlo a lui e anche a Noelle. La farai felice, credo.»
Poi Clive la riaccompagnò all'albergo e notò, davanti all'ingresso, una vecchia macchina nera. Notò anche l'uomo seduto al volante, un giovane bruno, dall'aria sparuta, che stava fumando una sigaretta. Dopo aver augurato la buona notte a Pauline, mentre rimetteva in moto la macchina, vide l'uomo scendere in fretta dalla vettura antiquata e raggiungerla sulla porta dell'albergo. Pauline lo salutò con entusiasmo, come se fosse molto contenta di vederlo.
Ne fu seccato, per un attimo, poi si disse che l'interesse di Pauline per un altro uomo in fondo tornava a suo vantaggio.

5

Clive Brant arrivò a Singapore tre giorni più tardi e incontrò subito alcune difficoltà. Dato la stato di emergenza, il transito aereo era riservato a categorie speciali di passeggeri. Un ufficiale di servizio all'aeroporto gli spiegò il nuovo regolamento con cortese fermezza.
«A meno che non abbiate in corso particolari trattative di affari autorizzate dal governo, o che abitiate qui, o che abbiate parenti nella zona o che siate un medico dell'Organizzazione Internazionale Ricerche Virus, o...»
«Mia moglie fa parte dell'OIRV» si affrettò a dire Clive.
L'ufficiale sorrise e scosse la testa. «Vostra moglie otterrebbe senz'altro il permesso di entrata, ma voi siete un giornalista, e come tale non potete essere ammesso.»
«Lo scopo principale del mio viaggio è quello di incontrarmi con il nostro corrispondente locale, il signor Thomson, che alcuni giorni fa si è ammalato.»
«Un caso di virus?»
«Non lo so.»
«Temo che non potrete vederlo, a meno che non siate suo parente. Se si è ammalato di virus, ormai è morto. Se la malattia è di altro genere sarà ricoverato in qualche padiglione di isolamento, per evitargli di venire in contatto con i portatori di virus.»
Clive rielaborò il suo piano. «Credete che sia possibile parlare con qualche autorità in grado di dare informazioni attendibili sull'attuale situazione di Singapore?»
L'ufficiale si strinse nelle spalle. «Capirete anche voi che le autorità sanitarie hanno molto da fare. Lavorano giorno e notte. E in ogni caso vi darebbero le stesse informazioni che sono già state diramate dalle normali agenzie di stampa.»
«Vedete, io non credo che le agenzie di stampa abbiano dato un quadro esatto della situazione» disse Clive. «Ed è per questo che sono venuto qui. Il mio giornale ritiene che siano state soppresse informazioni vitali sul diffondersi dell'epidemia.»
«Un'impressione vera solo in parte» ribatté l'ufficiale asciugandosi con un grande fazzoletto bianco la faccia sudata. «Ai governi di tutto il mondo e alle autorità sanitarie, sono state trasmesse tutte le notizie di interesse generale. Per il resto, credetemi, non sarebbe di nessuna utilità rendere pubblici tutti i particolari orribili... veramente orribili... vi assicuro, di questa epidemia. Provocherebbero un allarme inutile e forse spargerebbero il panico nel mondo.»
«Ciononostante insisto per avere notizie da fonti autorevoli» disse Clive. «Vorrei chiedere formalmente il permesso al governo di Singapore di intervistare alcune autorità per conto del mio giornale.»
L'ufficiale lo guardò, incerto sul da farsi. «Non voglio sembrarvi irragionevole, signor Brant» disse alla fine, «e considerata la vostra veste di giornalista straniero vi permetto di usare il telefono del mio ufficio. Naturalmente non potrete lasciare l'edificio dell'aeroporto.»
«Vi ringrazio» disse Clive.
Passò tre ore intere a telefonare a testardi ufficiali dei servizi amministrativi, e sanitari, ma non migliorò la sua posizione. Tutti si dichiararono spiacentissimi di non poter ammettere osservatori estranei dato lo stato di emergenza, e ammettere un visitatore non autorizzato avrebbe creato un precedente che rischiava di rendere impossibile vietare poi l'ammissione di altri osservatori.
A un certo punto Clive si trovò a parlare con un medico, il dottor Lennox, che il giornalista aveva conosciuto nel Vietnam alcuni anni prima. Lennox faceva parte della OIRV ed era amico di Pauline più che suo, ma il fatto che non fosse uno sconosciuto bastò per abbattere alcune delle barriere ufficiali.
Lennox chiese notizie di Pauline, e per qualche minuto i due uomini parlarono dei vecchi tempi. Poi Clive spiegò al medico il vero motivo della telefonata.
«Non pretendo un rapporto sulla situazione» disse, «ma vorrei almeno avere la conferma o la smentita, su certe voci che circolano insistenti.»
«Per esempio?» chiese Lennox.
«Quattro o cinque giorni fa si parlava di centomila morti. Adesso il numero dei decessi dovrebbe essere aumentato notevolmente.»
«Non conosco le cifre esatte» rispose il medico, dopo una breve esitazione. «I morti sono stati moltissimi, questo sì, ma non potrei dirvi quanti.»
«Si parla anche di ospedali da campo, attendamenti nei quali ci si limita a convogliare i moribondi...»
«Abbiamo infatti dovuto ricorrere a ospedali provvisori, dato il numero eccezionale di malati. Comunque, gli individui affetti da virus vengono concentrati in questi accampamenti solo perché non c'è posto altrove.»
«Cosa potete dirmi dei pozzi di fango nei quali pare che vengano messi tanto i morti quanto i moribondi?» insistette Clive.
«Per quanto riguarda i morti, d'accordo. Ma non ho capito il vostro accenno ai moribondi.»
«Pare che i malati affetti da virus, ancora vivi, vengano considerati morti a tutti gli effetti.»
«Mi sembra un'accusa sleale verso l'amministrazione sanitaria» ribatté Lennox. «A me personalmente la soluzione dei pozzi di fango sembra la più logica, considerando il clima locale, il forte numero dei decessi, e l'impossibilità pratica di funerali e cremazioni in massa.»
«Non intendevo criticare il sistema» precisò Clive. «Volevo solamente la dichiarazione di un testimone oculare.»
«Vi prego di non fare il mio nome, allora. La censura è molto rigorosa. Noi facciamo tutto quello che è umanamente possibile, operando in condizioni proibitive, ma un osservatore estraneo potrebbe presentare i fatti in modo da dare un'impressione errata.»
«Non vi preoccupate» lo rassicurò Clive. «Anche noi abbiamo i nostri guai con la censura, che tra l'altro non ci permetterebbe di stampare una sola parola sull'argomento. Stiamo solo cercando di tracciare un quadro generale della situazione mondiale. Da qui andrò a Tokyo e poi negli Stati Uniti.»
«Non caverete niente, a Tokyo. Potrete solo atterrare e ripartire.»
«Be', io tento lo stesso» rispose Clive, e salutato cordialmente il medico riappese.
Dunque il rapporto di Thomson diceva la verità. Le deboli proteste di Lennox lo confermavano.
«Avete avuto fortuna, signor Brant?» chiese l'ufficiale, quando lo vide ricomparire.
«No, purtroppo. Singapore ha eretto una barriera invalicabile fra sé e il mondo.»
«Sarà così in tutti i posti in cui scoppierà l'epidemia» disse l'ufficiale. «Non è una prospettiva piacevole, ma forse non c'è altro da fare.»
«Forse no» ammise Clive. «Ora resta il problema di come raggiungere Tokyo, e da là arrivare a Los Angeles e San Francisco.»
«Non sarà facile. Gli aerei di linea per Tokyo sono pochi. La cosa migliore da fare è di chiedere subito se c'è un posto domani sulla linea Singapore-Okinawa.»
«Grazie. Me ne occupo immediatamente» disse Clive.
Ma prima passò dal bar dell'aeroporto a bere una birra ghiacciata.

Il mattino seguente Clive arrivò a Tokyo, e un'ora più tardi ripartiva con un jet per Los Angeles. All'aeroporto il suo tentativo di avere notizie del Centro OIRV servendosi del nome di Pauline come di un lasciapassare, era miseramente naufragato. Gli aveva risposto un'impersonale voce maschile. «Sono contento che vostra moglie non sia più in questo inferno» aveva detto. «Non posso fare altri commenti sulla situazione, signor Brant. Abbiamo molto da fare, e il virus non aspetta. Pensiamo che tra un paio di settimane un po' di cose andranno a posto, in Giappone. E vorrei poter dire lo stesso per il resto del mondo.»
«Qual è la percentuale dei morti?» aveva chiesto Clive.
«Per questo dovrete rivolgervi alle fonti ufficiali» era stata la risposta. «Forse potrebbe dirvelo Pauline, se è ancora in contatto con la sezione statistica. Però dubito molto che le sia permesso rivelare informazioni di questo genere.»
«Non potete dirmi le vostre impressioni personali?»
«L'unica impressione che sono autorizzato a comunicarvi, è la mia soddisfazione di aver contratta la malattia da virus BA, che è innocuo, e quindi di essere sopravvissuto» aveva risposto la voce.
«Be', grazie lo stesso.» E Clive aveva riappeso.
A Los Angeles tutti i passeggeri vennero sottoposti alla prova del sangue, con conseguente perdita di ore di tempo. I sanitari però non comunicarono i risultati degli esami, e Brant non poté sapere se qualcuno dei suoi compagni di viaggio fosse risultato infetto. Ad ogni modo pareva che gli americani prendessero sul serio il problema del virus.
Visto che ormai si era fatto tardi, il giornalista decise di passare la notte a Los Angeles. La città viveva a un ritmo normale, affaccendata e rumorosa come al solito, con le strade congestionate dal traffico. Clive comprò un giornale e si sedette in un bar, dove si fece servire un doppio whisky. In prima pagina spiccava il titolo: L'Unione Sovietica presenta un nuovo tipo di missile. L'articolo di un corrispondente da Leipzig parlava di nuove basi missilistiche in costruzione nell'Europa Orientale, e il tono era tale da preoccupare il lettore all'oscuro del fatto che le notizie politiche e le storie allarmistiche erano solo un espediente, forse studiato di comune accordo tra Est e Ovest, per distrarre l'attenzione del pubblico dal più grave pericolo del virus di Hueste.
In una pagina interna si accennava ai lavori sotterranei in corso nelle aree periferiche della città, definendoli come una parte del piano a lunga scadenza studiato dal governo per la difesa civile. Per il resto le solite notizie: cronaca nera, resoconto di divorzi, notizie generiche su uomini in vista, spettacoli, eccetera. In quella edizione il quotidiano non parlava affatto del virus di Hueste.
Clive guardò la testata. Era il Los Angeles Sentinel. Spinto da un impulso improvviso, pagò la consumazione e chiamò un tassì. Alcuni minuti più tardi entrava nell'edificio che ospitava la sede del Sentinel.
Al cinquantesimo piano del grattacielo venne ricevuto da una ragazza bruna che portava un paio di occhiali a forma di ali di farfalla. La ragazza gli disse che, secondo lei, il direttore, K. A. Schuster, sarebbe stato felicissimo di ricevere un collega che arrivava d'oltre Atlantico, chiese come si stava a Londra, gli confidò che l'anno prima lei aveva passato tre settimane in quella città, poi lo pregò di attendere.
Clive si sistemò in una morbida poltrona e aspettò. L'attesa fu ragionevolmente breve.
«Felice di conoscervi, Brant» esordì cordialmente K. A. Schuster, alzandosi per stringere la mano all'ospite. Piccolo e robusto, il direttore del Sentinel aveva una gran testa di capelli neri che sembravano un casco. Un paio di occhiali senza montatura, a pince-nez, erano legati all'orecchio destro da una sottile catena d'oro. Indossava un abito grigio, in tinta con le pareti dell'ufficio. «Non capita spesso di incontrare un membro importante della stampa inglese!»
«Sto compiendo un rapido giro del mondo» spiegò Clive. «Scopo del mio viaggio è controllare il controllabile sulla storia del virus Hueste, ma finora non ho ottenuto un gran che. Mi è venuto però in mente che l'unico modo per avere un quadro generale della situazione attuale in California era forse quello di parlare con il direttore di un quotidiano dell'importanza del Sentinel. Almeno sarete in grado di darmi un'idea dell'opinione pubblica.»
«Otterrete poco anche qui in America» rispose Schuster, serio. «Esiste una specie di veto invisibile su ogni notizia, per non parlare delle direttive impartite dal Dipartimento di Stato di Washington, direttive che hanno tutta l'aria di una censura in atto. Naturalmente le notizie ci arrivano lo stesso, ma non possiamo pubblicarle.»
«È così anche in Inghilterra: proibite tutte le notizie sul virus.»
«Da voi non ci sono ancora casi di Hueste» commentò Schuster.
«Si tratta soltanto di tempo. I preparativi per quando scoppierà l'epidemia sono già a buon punto.»
«Preparativi di che genere?» chiese Schuster.
«Non so dirvelo con precisione, ma si tratta di scavi sotterranei e di grossi edifici che secondo le spiegazioni ufficiali fanno parte del piano per la difesa antiatomica.»
«È lo stesso anche qui da noi» disse l'americano. «Volete sapere cosa sono? Inceneritori di superficie, e nascondigli sotterranei.»
«L'avevo immaginato. Non riesco però a capire in base a quale criterio destineranno i posti nei rifugi.»
«Finora il problema non si è posto. Il virus ha appena cominciato a mietere vittime sulla costa occidentale. Mi hanno parlato di cinquemila morti, ma in rapido aumento. Naturalmente ci hanno tassativamente proibito di pubblicare la notizia.»
«Succederà qui quello che è già successo in Cina e in Giappone» commentò Clive, pensoso. «Appena l'epidemia inizierà la curva ascendente, l'America si rinchiuderà in se stessa escludendo il resto del mondo, e facendo del virus un suo problema interno.»
«Non sarà lo stesso» ribatté Schuster. «In Cina e in Giappone abbiamo a che fare con una popolazione enorme e un basso livello di civiltà. Noi possediamo grandi risorse scientifiche che ci permetteranno di trovare presto un rimedio. Non dimentichiamo che sul virus stanno lavorando i nostri uomini migliori.»
«Sì, anche in Inghilterra.»
«Quindi, non c'è motivo di preoccuparsi, no? Io sono convinto che parecchi di quei rifugi sotterranei verranno trasformati in laboratori dove gli specialisti potranno lavorare in tranquillità senza la paura che il virus li raggiunga.»
«Spero che abbiate ragione» disse Clive. «Personalmente non sono tanto ottimista. Sapete niente della Russia?»
«Abbiamo un corrispondente vicino a Mosca. Per mandarci le informazioni si serve di una trasmittente segreta. Secondo quanto ci ha comunicato, l'epidemia è dilagata nelle zone siberiane che confinano con la Cina e la Corea, e ha fatto venti milioni di vittime.»
«Una cifra molto più alta di quella comunicata dalla Tass e dalla Pravda.»
«Certo. Che cosa vi aspettavate?»
«Mi chiedo quale sarà, veramente, il risultato finale» disse Clive. Si sentiva demoralizzato. «L'umanità sta comportandosi come uno struzzo, e pensa che basti nascondere la verità per evitare il peggio. Vorrei proprio sapere come andrà a finire!»
«Voi ve la prendete troppo» commentò Schuster, dandogli un'amichevole manata su una spalla. «Andiamo a bere qualcosa, parleremo più tranquillamente fuori dall'atmosfera di lavoro.»
L'americano si calcò in testa un vecchio cappello, e insieme i due giornalisti si mescolarono al traffico cittadino.

Alle undici e trentacinque della notte seguente l'aereo atterrò a New York. Pochi minuti più tardi un tassì portava Clive verso i quartieri ovest della città dove abitavano i Langstrom.
La casa, una quindicina di chilometri da Manhattan, bassa e con enormi vetrate, assomigliava più a una clinica di lusso che a un'abitazione.
Lo stavano aspettando: il signor Langstrom, grasso, bruno, con i baffi, ed esuberante, la signora Langstrom, magra, pallida, bionda e sorridente, Noelle, bionda come sua madre ma assai più vivace, non bella forse, ma affascinante, di tipo nordico.
Il signor Langstrom voleva parlare di lavoro, Noelle d'amore. Vinsero entrambi sotto lo sguardo sereno e indulgente della signora Langstrom. Poi Clive venne accompagnato nella stanza degli ospiti.
Il giorno seguente, Clive lo passò quasi tutto nella sede dell'organizzazione Langstrom, vicino a Times Square. Li c'erano gli uffici. Gli studi televisivi erano invece situati in un altro quartiere. Per lo più il Telerama produceva film pubblicitari, riviste, programmi di giochi a premio, e spettacoli a puntate. Il servizio giornalistico suggerito la sera prima da Clive sarebbe stato il primo tentativo di documentario televisivo realizzato dalla Telerama. Dato però che la situazione mondiale, causa la minaccia del virus, si stava facendo critica, soprattutto per quanto riguardava i mezzi di comunicazione e i viaggi, era stato abbandonato il progetto di formare un gruppo fisso di operatori, giornalisti e altro personale, per ripiegare sui gruppi autonomi già esistenti, che avrebbero dovuto inviare il materiale da varie parti del mondo, così com'era. A New York poi avrebbero pensato al montaggio, al commento e alla suddivisione dei vari servizi, in modo da dare uniformità ai documentari, in attesa che cessasse il pericolo dell'epidemia.
Il servizio che Clive aveva in mente riguardava l'attuale periodo di crisi, e doveva basarsi sulle testimonianze oculari di tutte le parti del mondo. Giornalisticamente era un servizio importante, e poteva non presentarsi più l'occasione di osservare il comportamento della società umana e dei governi di fronte a una minaccia universale. Non bisognava perderla.
L'impresa sarebbe risultata costosa, ma le vendite all'estero avrebbero ripagato le spese in pochi mesi, con un buon margine di guadagno, anche.
Nel palazzo di Times Square i tecnici erano già al lavoro per installare i telefoni negli uffici riservati al Programma Testimonianze oculari.
«Quando volete che cominci?» domandò Clive a Edgard Langstrom.
«Immediatamente» rispose Langstrom, col tono di chi ha tutto ben stampato in mente. «Vi metto in paga da oggi, se siete libero.»
«Mi ci vorranno almeno tre mesi per essere veramente libero» rispose Clive. «Devo ancora risolvere il mio contratto con il Monitor.»
«Date le dimissioni. Se promuovono azione legale per rottura di contratto, pagherò io la penale. Non possiamo rimandare, e una volta cominciato con questo programma dobbiamo continuare. Se rimanete legato a un altro lavoro la realizzazione del nostro programma verrà compromessa. Nei prossimi giorni dovrete prendere contatti con due cineoperatori indipendenti. Poi bisognerà accordarsi con le autorità competenti per avere il permesso di girare le scene che ci interessano.»
«Incontreremo delle difficoltà» osservò Clive. «È in vigore una specie di censura, e vengono diramate parecchie notizie false, come la storia della tensione fra Est e Ovest per i nuovi missili, allo scopo di coprire la verità sul virus.»
«Voi non credete al missile della guerra fredda, come lo chiamano?»
«Non credo a niente di quello che dicono le fonti ufficiali. La faccenda dei missili e i disordini in Africa sono comunque poca cosa al confronto del virus di Hueste. Inoltre non dimenticate che anche i Russi sono già stati colpiti duramente dall'epidemia.»
«Duramente, che cosa significa?»
«Venti milioni di morti. Così mi hanno detto.»
«Se ho capito bene, dunque, voi non credete alle fonti ufficiali, ma credete a tutto il resto.»
«Direi piuttosto che credo a quello che mi sembra più ragionevole, più in carattere con certi fatti innegabili. Credo che, oggi come oggi, la minaccia più grave per il mondo venga dal virus di Hueste e non da una guerra atomica.»
Langstrom lo guardò attentamente, poi disse: «So che vostra moglie fa parte dell'OIRV, quindi sarete bene informato sul lavoro dell'Organizzazione.»
«Molto poco, invece» rispose Clive. «L'OIRV è un'emanazione del governo, e come tale opera su basi di assoluta segretezza. La gente può pensare, dati i compiti dell'Organizzazione, che essa curi gli interessi della popolazione. Ma anche se è così sotto certi aspetti, resta il fatto che si tratta di un vero e proprio dipartimento del governo, e dei vari governi mondiali.»
«Interessante» commentò Langstrom. «Ecco il genere di informazioni che voglio per il nostro programma. Può fornirci le basi per una crociata contro il mondo della burocrazia e gli abusi di potere. Quello che avete detto significa in effetti che l'OIRV è un'organizzazione contro l'umanità!»
«Non ho detto questo» protestò Clive. «Ho solo precisato la posizione dell'OIRV che mantiene necessariamente un atteggiamento favorevole al governo.»
«Allora il governo è contro l'umanità.»
«Il governo è sempre e soltanto a favore di se stesso. I governi che professano l'umanitarismo sono quelli che poi lo usano come scusa per giustificare le atrocità contro i popoli.»
«Siete cinico, Clive!»
«Scettico, più che cinico.»
La domanda seguente era scontata. «Cos'è l'autorità?» chiese Langstrom.
«È fatta di gente comune, come voi e me, ma capace di reggere le redini del potere civile e militare» rispose Clive. «Gente capace di prendere decisioni che coinvolgono la vita dei popoli. Esseri umani spinti da quegli stessi motivi che spingono tutti a desiderare di emergere.»
«Siete favorevole all'anarchia?»
Devo dare la risposta giusta, pensò Clive. Finora è andato tutto bene. Langstrom è un iconoclasta, un anticonformista pronto a distruggere tutte le tradizioni. Non se ne rende conto, ma in fondo è un agitatore, e probabilmente ha ambizioni politiche. La televisione potrebbe anche essere sfruttata per fini politici data l'enorme presa che ha sulle masse... «Sono semplicemente per l'onestà» rispose, «sia individuale sia di governo.» Ma non significa che sono sempre per la verità, aggiunse fra sé, con ironia. Esiste una cosa che si chiama diplomazia, e in diplomazia la verità non è sempre una virtù.
«In definitiva» disse Langstrom, «siete del parere che le autorità di tutti i Paesi si sono accordate fra loro per una specie di cospirazione contro i popoli.»
«Forse questo è eccessivo» disse Clive. «Secondo me si tratta più che altro del proverbiale rimedio della benda sugli occhi per prevenire ondate di panico.»
«E non approvate? Non vi sembra un motivo valido?»
«Mi sembra disonesto.»
«Benissimo, Clive» esclamò Langstrom, soddisfatto. «Sono convinto che non si debba mai dare niente per scontato, mai avere paura di fare domande, mai ritenere che l'autorità sia automaticamente nel giusto. Questo sarà l'atteggiamento del Programma Testimonianze Oculari, un programma teso a scovare sempre la verità, a qualunque costo. Può darsi che questo atteggiamento ci attirerà qualche volta le furie di qualcuno, ma a lungo andare vinceremo noi, se ci manterremo onesti!»
Teoricamente perfetto, pensò Clive, ma molto poco pratico. Un governo che preferisce nascondere la verità è lo stesso che può emettere leggi, ragion per cui il Programma Testimonianze Oculari può morire ancora prima di nascere. Senza contare che le masse, per credere a un pericolo, hanno bisogno di una dichiarazione ufficiale. E anche allora saltano fuori i super ottimisti e gli scettici.
Quello stesso giorno, sul giornale, un minuscolo titolo in una pagina interna diceva: Il virus arriva in Europa? Il testo del breve articolo era il seguente: Una notizia non confermata, da Bonn e da Parigi, informa che il virus di Hueste ha raggiunto l'Europa. Il quotidiano francese Le Figaro pubblicava ieri che sono stati accertati almeno sei casi di virus AB, ma l'edizione successiva dava la smentita. Durante una conferenza tenutasi a Bonn, un noto specialista in virologia, il dottor Hoerter-Weiss, ha dichiarato che l'esame di campioni sanguigni prelevati a quattro pazienti morti in ospedale dopo un brevissimo ricovero ha rivelato infezione AB. I campioni sono stati inviati all'Organizzazione Internazionale Ricerche Virus per ulteriori esami. A Londra trentasei passeggeri, arrivati in aereo dal Cairo, sono stati messi in quarantena e sottoposti ad attenti esami in seguito alla morte improvvisa di un uomo di affari israelita deceduto durante il volo dopo essere caduto in coma. La causa della morte non è ancora stata accertata, ma si sospetta trattarsi del virus di Hueste.
Clive fece una smorfia. Così, era cominciato. Entro poche settimane saremo in piena epidemia, pensò. Per moltissimi di noi non ci sarà scampo... Assurdo mettersi a fare progetti per il futuro proprio adesso. Meglio aspettare e vedere. Poi, i sopravvissuti potranno rimettere ordine nel caos, ma con più intelligenza, e con maggior umanità di prima.

L'aereo per Londra parti con un'ora di ritardo. Tutti i passeggeri subirono un rigoroso controllo medico dopo aver risposto alle domande di un ufficiale incaricato di controllare i documenti e i motivi del viaggio. Poterono partire solo coloro che rientravano in patria o che viaggiavano con incarichi ufficiali. Noelle, che aveva accompagnato Clive all'aeroporto, avrebbe addirittura preferito che non partisse. Clive si era separato da lei quasi con un senso di liberazione. Essere libero da doveri, non essere sottoposto a pressioni e a imposizioni, era piacevole persino in un mondo dal futuro tanto incerto. Durante il viaggio Clive dormì.

La stessa mattina in cui Clive Brant sbarcò a Londra, Pauline venne convocata dal dottor Youde nel suo ufficio a Brierley. Youde sembrava nervoso.
«Avete visto i giornali, questa mattina, dottoressa Brant?» chiese il direttore del Centro.
Pauline fece segno di sì con la testa, «Allora» proseguì Youde «vi sarete accorta che il governo ha dato il via al suo programma antivirus. Si tratta più o meno delle stesse misure adottate dagli altri Paesi.»
«Lo so» disse Pauline.
«Per prima cosa sono vietati i viaggi tranne nei casi particolari. Questa purtroppo è una misura che vi riguarda da vicino.»
«Non potrò tornare a Tokyo, quindi.»
«Già ne ho avuto conferma dalla direzione dell'OIRV, la quale ha inoltre disposto che al termine delle vacanze passiate direttamente in servizio effettivo presso questo Centro.»
«È logico che non mandino personale a Tokyo, dove il punto critico è stato ormai superato, togliendolo a Londra dove tra poco comincerà la crisi» commentò Pauline.
«È già cominciata» precisò Youde. «Non ne troverete conferma sui giornali, ma negli ultimi giorni si sono avuti più di cento casi accertati di infezione da virus A-Bi. I morti sono stati ottanta, finora.»
«Qual è il mio compito, dottor Youde?»
«Ritengo che la vostra presenza sarà utile in uno dei nostri principali centri di evacuazione. D'altro canto non è da escludere la possibilità di trovarvi una sistemazione in quello che noi chiamiamo il... sotterraneo.»
«Temo di non capire» disse Pauline.
«Sto parlando di centri di isolamento» spiegò Youde. «Forse ne avete sentito parlare con altre definizioni. Comunque sapete senz'altro che si stanno costruendo...»
«Parlate degli scavi sotterranei?»
«Precisamente. Si tratta di alloggi sterilizzati, adeguatamente riforniti di acqua e viveri, e muniti di speciali filtri a pressione per impedire l'infiltrazione del virus. Questi centri sono destinati a garantire la sopravvivenza degli esseri umani durante l'epidemia.»
«Ho già sentito dire qualcosa di simile» mormorò Pauline, «ma allora era difficile distinguere tra verità e invenzione.»
«In mancanza di un vaccino efficace, questa è l'unica misura che il governo ha potuto adottare per assicurare la salvezza dei cittadini ritenuti importanti per la società.»
Pauline aggrottò la fronte. «Non capisco una cosa» disse. «Come viene stabilito il diritto di priorità? Voglio dire, chi decide quali persone dovranno sopravvivere rinchiudendosi in questi rifugi sotterranei?»
«Mi sembra ovvio. Il governo, le autorità locali...»
«Su quali basi faranno la loro scelta?»
Youde non rispose subito. Pensava alla risposta migliore.
«Il fattore che determina il diritto alla sopravvivenza» disse alla fine «viene valutato in base all'utilità sociale di un individuo. E questa scelta può essere tranquillamente lasciata a coloro che sono stati gravati dalle responsabilità di questa difficile e dolorosa selezione. Per noi il problema è più semplice. Il centro di ricerche sotterraneo è già stato approntato a cinque chilometri da Brierley. Ci trasferiremo laggiù tra qualche giorno. Così, qualsiasi cosa succeda non dovremo preoccuparci per noi stessi.»
«E il resto vada pure in rovina» commentò Pauline con sarcasmo.
«So quello che provate, dottoressa Brant» ribatté Youde, «ma bisogna anche essere pratici. Se metà della popolazione inglese è destinata a morire, mi sembra logico che le autorità si preoccupino di proteggere coloro che sono socialmente importanti.»
«Dipende da cosa si intende per importanza sociale.»
«Dottoressa Brant, il mio compito è molto semplice. Devo solo offrirvi la possibilità di venire destinata quale specialista in virologia a uno dei nostri centri di isolamento. Se accettate dovrete vivere per alcuni mesi nel rifugio sotterraneo, ma sarete al sicuro dal virus. Al Centro il vostro incarico sarà di effettuare costanti esami del sangue a tutto il personale per il caso che, nonostante tutte le precauzioni il virus riesca ugualmente a contagiare qualcuno.»
«E l'altra possibilità qual è?»
«Lavorare in un ospedale o in un centro di evacuazione e rischiare il contagio.»
«Sempre con un cinquanta per cento di probabilità di salvezza, comunque» precisò Pauline.
«Certo.»
«Vorrei pensarci, prima di decidere.»
«D'accordo, ma dovrete fare in fretta. La situazione può precipitare da un momento all'altro.»
«Vi darò una risposta domani mattina.»
«Molto bene, dottoressa Brant.» Youde si alzò e le andò vicino. Le posò una mano sulle spalle. «Non lasciatevi influenzare da problemi di etica» consigliò. «In queste condizioni l'etica non è di nessuna utilità pratica. La morale non serve a un cadavere.»
«E tanto meno a trenta milioni di cadaveri» mormorò Pauline, sforzandosi di sorridere.

6

Clive doveva risolvere il problema delle sue dimissioni dal Daily Monitor. Gli serviva una scusa più che valida, se non altro per salvare la faccia. Non voleva dare l'impressione di essere spinto esclusivamente dall'interesse personale. Purtroppo non aveva pretesti di natura professionale, perché la direzione del quotidiano era sempre stata molto comprensiva nei suoi riguardi.
Avesse almeno potuto fare le cose in regola, con i normali tre mesi di preavviso! Piantarli in asso così, invece, era sleale, e non gli piaceva dover andare da Wardale e dirgli che intendeva lasciare il lavoro quel giorno stesso, o il giorno dopo, o quello seguente.
Decise di non accennare a Langstrom e alla faccenda della televisione, e di trovare piuttosto qualche motivo serio di tipo politico. Forse la storia della censura andava bene. Un giornalista di provata integrità professionale poteva benissimo rifiutarsi di lavorare impastoiato da un censore, anche se le restrizioni erano estese a tutto il mondo della stampa. E poi, che cosa poteva fare un giornalista serio dopo aver dato le dimissioni? Vivere col sussidio?
In ultima analisi tutti i suoi dubbi di coscienza si rivelarono inutili, perché il problema si risolse da solo in modo inaspettato.
Il giorno dopo il suo ritorno a Londra, Clive fece il resoconto del viaggio a McAllan. Appena entrato nell'ufficio del redattore capo, Clive ebbe la sensazione che McAllan fosse di umore strano. Stava seduto alla scrivania, in maniche di camicia e bretelle come al solito, e con l'immancabile sigaretta al mentolo fra le labbra, ma la sua faccia era più scura che mai, e lui, che solitamente fissava la gente in faccia fino a diventare indiscreto, teneva la testa china sui fogli sparsi sulla scrivania, e non l'alzò nemmeno per salutare Clive.
«Felice di vedervi di ritorno sano e salvo» disse, continuando a guardare i suoi fogli. «Com'è andato il viaggio?»
«Monotono, deprimente, e poco redditizio.»
«Saputo qualche novità?»
«Sì e no. Ho avuto la conferma di quanto ci aveva fatto sapere Thomson, per quanto non sia riuscito a ottenere nessun dato preciso. Inoltre, adesso posso dimostrare che il governo... tutti i governi affrontano la crisi con un sangue freddo che rasenta l'irresponsabilità.»
McAllan prese un foglio e lo buttò nel cestino della carta.
«Potete dimostrarlo, eh?» disse con una smorfia.
«Cos'è che non va?» chiese Clive.
McAllan lo guardò per la prima volta e sospirò. «Per quanto mi riguarda niente di particolare, ma credo che Wardale abbia invece qualcosa che va storto. Vuole vedervi.»
«Bene» disse Clive, «ma... di che si tratta?»
McAllan sporse le labbra in una smorfia triste. «Ah, questo non lo so. Io sono soltanto il redattore capo.» Esitò, fissando Clive negli occhi. «Ufficiosamente ritengo che si tratti del vostro ritorno da New York.»
«Wardale però era d'accordo!»
«Può darsi. Ma evidentemente non avete letto il New York Times di questa mattina.»
Clive cominciò a sentirsi a disagio. Edgar Langstrom!, pensò. Il suo ufficio pubblicità ha tagliato la testa al toro per impedirmi di ripensarci.
«Cosa c'è sul New York Times?» chiese.
«Chiedetelo a Wardale. Non è una faccenda che mi riguardi.»
«Glielo chiederò.»
Clive tornò nel suo ufficio e chiamò il direttore.
«Oh, Brant!» esclamò Wardale, in tono cordiale. «Potete venire un momento da me?»
«Subito.»
Wardale stava pulendo gli occhiali con un fazzoletto immacolato, quando Clive entrò.
«Com'è andato il viaggio, Brant?» chiese con un mezzo sorriso che pareva congelato sulle labbra sottili.
«È stato più informativo della stampa inglese» rispose Clive in tono volutamente ironico. Aveva deciso di adottare un atteggiamento combattivo, per facilitare il compito dell'altro.
«Veramente? E in che senso?»
«Ho saputo abbastanza per confermare i miei sospetti sulla vastità della tragedia in Oriente. Dobbiamo convincerci, signor Wardale, che la nostra stampa, come quella del resto del mondo, ha fatto di tutto per minimizzare un evento di importanza enorme.»
«Avremmo forse dovuto ingigantirlo?» chiese Wardale.
Clive scelse accuratamente le parole. «In tutta onestà» rispose, «non posso approvare una politica tesa a presentare un quadro assolutamente inesatto degli avvenimenti mondiali. Se gli uomini dovranno morire a milioni credo che sia loro diritto saperlo.»
Wardale unì le mani, palmo contro palmo, come se stesse pregando. «Non credete che sia invece meglio per loro andare incontro alla morte pacificamente? O preferite vedere il mondo scatenarsi in disordini e rivoluzioni?»
«Non ritengo che si arriverebbe a questo» ribatté Clive.
«Spero che abbiate ragione, Brant. Ma gli esperti sono di parere contrario.» Wardale appoggiò il mento sulle mani. «Avete saputo, durante il vostro viaggio in Oriente, quante persone sono state fucilate per ribellione?»
«No.»
«Vi interesserebbe saperlo?»
«Sì, ma vorrei anche sapere da dove viene l'informazione.»
«Non siamo così poco informati come forse credete, Brant» rispose Wardale. «Dirigere un quotidiano è un lavoro di responsabilità, e molto spesso non si tratta tanto di quello che bisogna pubblicare quanto di quello che non si deve pubblicare. Vi dirò un'altra cosa: la direzione del Monitor è stata pregata di collaborare con il governo durante il periodo di crisi, e questo non riguarda soltanto il direttore ma tutto il corpo redazionale.»
«Quindi, siamo decisamente sotto censura?»
«Sì. È inevitabile.»
Ecco l'occasione che Clive aspettava! L'accenno di McAllan al New York Times non era ancora stato chiarito, comunque un giornalista poteva dignitosamente dare le dimissioni per non sottostare alla censura.
«Non ritengo di poter lavorare in queste condizioni, signor Wardale» disse. «Non si può pretendere da un giornalista che taccia volutamente la verità!»
«Atteggiamento assolutamente incompatibile con le direttive che il giornale ha ricevuto, signor Brant» commentò Wardale. «Da ieri tutti i quotidiani e i periodici sono passati a un dipartimento di nuova formazione, chiamato eufemisticamente Servizi Stampa. Significa che tutte le notizie riguardanti il virus, la situazione politica interna, e gli affari internazionali, ci verranno passate dal governo e non saranno ammessi commenti.»
«Affari internazionali...» ripeté Clive. «Niente più corrispondenti all'estero allora, e quindi niente responsabile del servizio.»
«Proprio così» disse Wardale. «Naturalmente, in casi normali il giornale avrebbe impiegato diversamente il suo personale. Ma nel vostro caso particolare...» Wardale gli tese una copia del New York Times. Il giornale era aperto alla quarta pagina. Il titolo dell'articolo segnato in rosso diceva: Direttore inglese per il Programma Testimonianze Oculari. Sotto c'era scritto: Clive Brant, direttore del servizio esteri del quotidiano londinese Daily Monitor assumerà quanto prima la direzione del nuovo programma Testimonianze Oculari progettato dalla Compagnia televisiva Telerama di proprietà del signor Edgar Langstrom. Il primo incarico di Brant riguarda la situazione dell'epidemia Hueste nel Regno Unito.
Clive lesse tre volte il trafiletto prima di sentirsi pronto a sostenere lo sguardo gelido di Wardale. Infine posò il giornale sulla scrivania e disse: «Date le circostanze, signor Wardale...»
«Circostanze favorevoli a entrambi, Brant» interruppe Wardale in tono ironico. «È una fortuna che il nostro direttore degli esteri abbia trovato un nuovo posto nell'esatto momento in cui noi siamo costretti a privarci della sua collaborazione. Quando contate di lasciarci?»
Clive si strinse nelle spalle. «Non c'è urgenza» rispose. «Quando ritenete di potermi sciogliere dal mio contratto con il Monitor?»
«Date le circostanze... quando volete voi.»
«Alla fine della settimana andrebbe bene?»
«Benissimo.»
Clive ringraziò, e stava già uscendo quando la voce di Wardale lo fermò. «Naturalmente, dal momento che vi permettiamo di andarvene senza aspettare il normale periodo di tre mesi, non è il caso di continuare a corrispondervi il compenso per il periodo di preavviso che vi concediamo di non fare.»
«Non lo pretendo» assicurò Clive. «Un favore va sempre ricompensato.»

Quella sera Clive fece una prenotazione telefonica per New York. La centralinista si dimostrò molto scettica. Tutte le linee transatlantiche, disse, erano cariche di chiamate con priorità assoluta, e potevano passare molte ore prima che lei potesse passargli la telefonata personale. Poi c'era il rischio che la comunicazione venisse interrotta. Clive comunque, non rinunciò e si dispose ad aspettare sistemandosi comodamente in poltrona.
Si versò da bere e accese la televisione. Ma non guardò lo schermo. La sua mente vagava altrove. L'angelo custode continuava a essergli favorevole e gli risolveva i problemi nel più soddisfacente dei modi. Persino l'epidemia giocava a suo favore! Gli aveva facilitato lo scioglimento del contratto con il Monitor, e gli aveva portato un lavoro comodo da svolgere in patria evitandogli il disagio di emigrare a New York. Eppure Clive si sentiva stranamente demoralizzato. Il futuro era avvolto nel buio più fitto e la sua mente si perdeva fra ombre senza contorni.
Si versò un altro whisky. Poi il telefono suonò improvvisamente cogliendolo di sorpresa. Clive abbassò il volume della televisione e sollevò il ricevitore. Non era New York.
«Scusami se ti disturbo» disse la voce di Pauline. «Ma volevo comunicarti le mie decisioni. Ho già iniziato le pratiche per il divorzio.»
«Ti ringrazio, Pauline.»
«C'è ancora una cosa. L'OIRV mi ha affidato un incarico che probabilmente mi legherà per due o tre mesi. Se credi che ci sia qualcosa che dobbiamo discutere...»
«Certo, quattro chiacchiere sarebbero utili. Possiamo cenare insieme domani sera, se per te va bene.»
«D'accordo, Clive.»
«Verrò a prenderti all'albergo verso le sette e mezzo.»
«Va bene, ti aspetto.»
Clive riappese il ricevitore. Ancora una volta la fortuna era dalla sua. Nello stesso giorno era riuscito a conquistare la libertà professionale e quella matrimoniale. Eppure non era soddisfatto. Gli sembrava di essere completamente estraneo al resto del mondo pur avendo la coscienza di farne parte, e questa sensazione lo disturbava. Normale reazione a un conflitto mentale ed emotivo, si disse. Tra un paio di giorni mi sarà passato e risponderò agli eventi in maniera più ottimistica.
Sullo schermo, terminati i comunicati commerciali, comparve l'annunciatore del telegiornale.
Vestito in maniera inappuntabile, di bell'aspetto, sbirciò i suoi appunti, poi fissò lo sguardo al di sopra della telecamera.
«Questa sera alla Camera dei Comuni» disse «il Primo Ministro ha dichiarato lo stato di emergenza. Il Gabinetto verrà immediatamente ricostituito in coalizione con tutti i partiti per la durata della crisi. La misura, che segue l'embargo sui viaggi internazionali decretata ieri sera, è il primo passo logico del governo nella difesa del Paese contro l'epidemia da virus di Hueste che sta guadagnando terreno in Europa. Per quanto il virus non sia ancora in pieno sviluppo nel Regno Unito, il Primo Ministro ritiene indispensabile prendere misure precauzionali per scoprire eventuali focolai d'infezione. Alcuni decreti di emergenza entreranno immediatamente in vigore. Da mezzanotte sarà proibito spostarsi da una zona all'altra del Regno Unito, con qualunque mezzo di trasporto, a meno di non essere muniti di regolare permesso che verrà rilasciato per motivi personali e solo in casi particolari. Le richieste di permesso dovranno essere rivolte alle autorità locali incaricate del traffico stradale, ferroviario o aereo.»
Clive si accese una sigaretta, e guardò lo schermo con disinteresse.
L'annunciatore continuò: «È stato formato uno speciale dipartimento in seno al Ministero della Salute Pubblica per tutto quanto riguarda i casi di virus. Data l'estrema violenza dell'epidemia è indispensabile denunciare subito a un medico o al più vicino ospedale, ogni malessere. I sintomi iniziali del morbo sono febbre alta e mal di testa. Il Ministro consiglia di rivolgersi a un medico in tutti quei casi in cui la febbre superi i trentotto gradi. Un altro decreto prevede la chiusura di tutti i locali pubblici, cinema, teatri, sale da ballo, stadi, per evitare o comunque arginare il diffondersi dell'epidemia. Il governo informa che queste sono soltanto misure precauzionali. Non è possibile per il Paese sfuggire all'epidemia, ma questa può venire notevolmente arginata se la popolazione osserverà le seguenti regole: uscire di casa il meno possibile, evitare i contatti con altre persone e soprattutto con la folla, consultare un medico al primo indizio di febbre.»
Una pausa poi l'annunciatore continuò: «Oggi il presidente degli Stati Uniti ha compiuto un viaggio sulla costa occidentale dell'America, nei luoghi dove si sono avuti alcuni casi di infezione da virus. In seguito, durante una conferenza stampa, il presidente ha dichiarato che la situazione sanitaria è sotto controllo, ciononostante sono stati limitati i viaggi in tutto il Paese per prevenire il diffondersi del virus. Teatri, cinema, e...»
Clive spense l'apparecchio con un gesto nervoso. Decisamente si era arrivati in piena crisi, ed era seccante trovarsi dalla parte di quelli che venivano manovrati dal governo. Pauline era in una posizione di privilegio. In un certo senso lei faceva parte degli organizzatori che dirigevano le masse rimanendo dietro le quinte, era una di quelle persone che sapevano esattamente cosa stava succedendo dietro le pesanti porte della sicurezza nazionale.
Si versò ancora da bere, aspettando che il telefono suonasse.
La comunicazione da New York arrivò solo alle dieci e trenta, e la centralinista lo avvertì che la conversazione non poteva durare più di due minuti perché le linee erano sovraccariche di telefonate ufficiali.
La voce di Noelle gli arrivò chiara e distinta come se la ragazza gli telefonasse dall'appartamento accanto.
«Pronto, Clive! Sei stato un tesoro a telefonarmi così presto.» Una breve pausa. «Spero che non ci siano brutte notizie...»
«No, cara» rispose lui. «Mi sono sganciato dal Monitor senza fatica, e mia moglie ha iniziato le pratiche per il divorzio.»
«Clive, è meraviglioso!»
«A parte la faccenda del virus, le cose non potrebbero andare meglio. Sono preoccupato invece per l'embargo dei viaggi.»
«Papà sistemerà tutto. La televisione rientra nei servizi con diritto alla priorità, data la chiusura di cinema e teatri.»
«Questo va benissimo per tuo padre, ma non serve né a me né a te.»
La risata di Noelle gli arrivò attraverso l'Atlantico. «Sei un salame, Clive! Io ho un importante posto direttivo nella Telerama! Sono già sul libro paga. Appena saranno pronti i documenti necessari verrò a Londra con due operatori.»
«Quando arriverai?»
«Non lo so con certezza. Può essere fra due giorni o fra due settimane.»
«Sei un tesoro» disse Clive, felice. «Però non sono convinto che in questo periodo Londra sia un posto molto sicuro. Il governo ha dichiarato lo stato di emergenza.»
«Anche qui, Clive, e il rischio dell'epidemia è lo stesso a Londra e a New York. La cosa più importante è riuscire ad arrivare in Inghilterra prima che tirino ancora di più le redini.»
«Benissimo, cara. Sono impaziente di vederti e di cominciare il mio nuovo lavoro...» S'interruppe di colpo rendendosi conto che la comunicazione era stata interrotta. «Maledizione!» Imprecò. «Pronto... Pronto, Noelle!» Tempestò sul supporto. «Pronto centralino!»
Finalmente sentì la voce gentile della centralinista! «Mi dispiace, signore. Abbiamo dovuto interrompere per alcune chiamate ufficiali dopo un minuto e quaranta secondi. Naturalmente pagherete soltanto il tempo che avete impiegato.»
La voce tacque. Esasperato, Clive riattaccò. «Al diavolo!» esclamò. «Sembra di essere in guerra!»

7

Il mattino seguente, Pauline Brant comunicò al dottor Youde la sua decisione: accettava di essere assegnata a uno dei centri di isolamento. L'esperienza fatta in Giappone, spiegò, la rendeva più idonea a controllare lo stato di coloro che vivevano nei rifugi che a curare gli incurabili.
Youde approvò con un cenno della testa.
«Comodo e pratico» commentò poi, riferendosi al piccolo registratore posato sulla sua scrivania. Il Regno Unito era stato suddiviso in circa duemila zone indipendenti, comprendenti uno o più rifugi sotterranei a seconda della popolazione, e ognuna controllata da un comitato. Tutti i comitati dovranno render conto del loro operato alle autorità centrali che avranno sede a Londra.
«Anche loro in un sotterraneo, penso» disse Pauline.
Le labbra sottili di Youde accennarono un sorriso. «Naturalmente» rispose. «Lo scopo è di creare una rete di amministrazioni che siano in grado di funzionare ininterrottamente durante il periodo della crisi.» Prese una matita e con quella tamburellò diverse volte sul dorso del registratore. «C'è ancora una cosa da decidere» aggiunse. «Dove mandarvi.»
«Il più vicino possibile a Londra» suggerì Pauline.
«Uhm... purtroppo tutti i centri della zona di Londra sono già completi di personale.» Smise di tamburellare con la matita e sfogliò i documenti del registratore. «Ritengo che preferiate un centro urbano... Ad esempio, ci sarebbe Manchester, o Liverpool...»
«Niente di più vicino?»
«Alcuni centri rurali e qualche piccola città.» Continuò a sfogliare le pagine. «Che cosa ne direste di Colchester?»
Pauline scosse la testa. «Se non è possibile restare a Londra, allora scelgo Liverpool.»
«Benissimo!» esclamò Youde, e scrisse qualcosa nel suo registratore. «Zona Emme quarantacinque. Newsham Park. Uno dei centri più importanti della zona, equipaggiato per accogliere circa duecento persone.»
«Quando dovrò partire?»
«Forse domani, se saranno pronti tutti i documenti.»
«Benissimo.»
«Vi aspetto domani, verso mezzogiorno, dottoressa Brant» concluse Youde, chiudendo il registratore con espressione soddisfatta. «A quell'ora le vostre carte dovrebbero essere pronte.»
Lasciato l'ufficio di Youde, Pauline cercò Vincent. Lo trovò nel suo laboratorio, intento a riporre gli strumenti e il resto dell'attrezzatura in casse di legno.
«Posso darti una mano?» chiese Pauline come saluto.
Vincent guardò in su, e le sorrise. «Salve! Il momento del trasloco si avvicina» disse. «Domani cominciamo a trasportare l'attrezzatura nei nuovi laboratori sotterranei, e per la fine della settimana il trasferimento diventerà effettivo.»
«Sono stata assegnata a Liverpool» disse Pauline.
Vincent aggrottò la fronte. «Il vecchio Youde non poteva trovarti un posto più vicino? Se vai laggiù diventerà difficile vederci in questi mesi.»
«Sarebbe stato lo stesso anche se fossi rimasta a Londra.»
«Poteva esserci sempre la possibilità di contatti ufficiali tra un centro e l'altro, e anche di contatti ufficiosi, con qualche appoggio...»
«Insieme con la possibilità di non venire riammessi nel proprio centro se mentre ti trovi all'esterno prendi il contagio.»
«Per questo, non la possibilità, Pauline, ma la certezza.» Si strinse nelle spalle. «Staremo a vedere come si mettono le cose. Può anche darsi che siano migliori di quello che immaginiamo.»
Pauline lo guardò con espressione triste. «Temo invece che sarà peggio.»
«Quando devi partire?»
«Domani, se saranno pronti i documenti.»
«Più presto di quanto pensavo! Ceniamo insieme questa sera?»
«Non posso, Vince. Sono già d'accordo per cenare con Clive.»
«Non puoi disimpegnarti?»
La delusione, evidente sulla faccia di Vincent, fece provare a Pauline un senso di colpa, e la donna pensò che in fondo l'incontro con Clive non era molto importante. Per un attimo ebbe la tentazione di disdire l'appuntamento, poi si decise per un compromesso.
«È meglio che lo veda, Vince» disse. «Dobbiamo accordarci su alcune cose, ma mi libererò presto in modo da poterti vedere... diciamo verso le. dieci.»
«Sei un tesoro!» esclamò Vincent, contento. «Ti aspetterò.»

Il ristorante vicino a Leicester Square era quasi deserto, come le strade. Le scritte luminose di Piccadilly Circus splendevano inutilmente sui marciapiedi vuoti. Alcuni tassi e poche macchine private correvano veloci per le strade sgombre, stupiti, forse sconcertati, di non trovare traffico caotico. Ogni tanto qualche passante sfiorava gli ingressi bui dei cinema e dei teatri.
Attraverso le tendine trasparenti del ristorante, Pauline guardò arrivare un autobus che trasportava solo due passeggeri. Poco dopo passò veloce un'autoambulanza che corse via senza dover azionare la sirena.
Pareva che la popolazione avesse preso molto sul serio lo Stato di emergenza, a meno che non fosse solo effetto della prima reazione all'annuncio dell'epidemia. In giornata il governo aveva diramato altri decreti e anche le scuole erano state chiuse.
«Per quanto ne so» disse Clive, «il contagio si trasmette nell'aria e nell'acqua, non per contatto diretto. Non vedo quindi l'utilità di chiudere i locali pubblici ed evitare gli affollamenti.»
«Sono in corso altre misure precauzionali, che non sono ancora state annunciate» rispose Pauline. «Si stanno fabbricando milioni di maschere filtranti per la popolazione e pastiglie per sterilizzare l'acqua.»
«E sono efficaci, queste maschere?» domandò Clive.
«Alcuni tipi sì. Le migliori hanno il sistema filtrante munito di una pompa a pressione. Temo però che quelli in fabbricazione siano di tipo molto più semplice, forse avranno soltanto uno spesso strato di garza nel filtro, ma serviranno pur sempre a qualcosa, e poi daranno un certo senso di sicurezza alla gente.»
«Proprio quello che pensavo» commentò Clive, con una smorfia. «E le pastiglie?»
«L'unico sistema veramente valido è quello di far bollire l'acqua in recipienti sterilizzati.»
«Ma le pastiglie daranno un senso di sicurezza alla gente» ripeté Clive in tono ironico. «I rifugi sotterranei in compenso saranno equipaggiati con filtri efficacissimi e con impianti per la distillazione dell'acqua immagino.»
«Così penso.»
«Avremo dei guai per questa storia. Chi ci andrà nei rifugi?»
«Non sono nella posizione di saperlo, Clive» rispose Pauline con impazienza. «Per il momento i rifugi sono centri amministrativi, posti di comando, se preferisci. E del resto, durante l'ultima guerra i Quartieri Generali avevano sede in rifugi sotterranei a prova di bomba, e non sono affatto successi guai per questo, a quanto mi ricordo.»
«Forse non tutti sono del tuo parere. Oggi il personale di una grande industria è entrato in agitazione perché ha saputo che il presidente della Società e alcuni dirigenti si sono assicurati un posto in un rifugio per tutta la durata dell'epidemia. Pare che le amicizie personali abbiano grande importanza per l'assegnazione dei posti, e i sindacati vogliono sapere perché la selezione non viene operata in tutti gli strati sociali.»
«Ma Clive, non ci sono rifugi sufficienti!»
«Di questo si rendono conto benissimo. Chiedono solo una selezione leale e giusta.»
«Clive, non ci siamo incontrati per discutere lo stato di emergenza» disse. «Inoltre né tu né io possiamo decidere cosa bisogna fare. Parliamo piuttosto di cose sulle quali abbiamo facoltà di decisione.»
«Il divorzio, per esempio.»
«Sì, il divorzio. Oggi pomeriggio ho visto il mio avvocato. Ritiene che finché durerà lo stato di emergenza si potrà fare ben poco.»
«Capisco.»
«Sto per citare Noelle Langstrom come corresponsabile. Non mi è possibile evitarlo. Mi dispiace.»
«Non ti devi scusare, Pauline» rispose Clive, e allungando il braccio sul tavolo le strinse una mano. «Non avrei voluto arrivare a questo, ma dato che ci siamo è meglio dimostrarci ragionevoli. Vedi di sollecitare il tuo avvocato, anche se una procura d'urgenza farà aumentare le spese.»
Pauline lo guardò a lungo, e improvvisamente sentì per Clive una grande pietà. In lui c'era qualcosa di guasto, di sbagliato, che l'avrebbe sempre spinto a cambiare, senza mai sentirsi soddisfatto. Dietro la facciata della passione, c'era il vuoto, e quello che adesso stava succedendo con lei sarebbe successo in seguito con Noelle, non appena Clive avesse visto dischiudersi un nuovo orizzonte, non migliore, ma semplicemente diverso.
«Farò del mio meglio» mormorò. «Adesso devo andare; ho un appuntamento alle dieci.»
«Teniamoci in contatto, Pauline.»
«Non sarà facile. Domani mi trasferisco a Liverpool. Per comunicare con me dovrai passare ufficialmente attraverso l'OIRV.»
«Fai parte dei privilegiati, dunque. Be', nel tuo caso ne sono felice. La selezione non poteva scegliere meglio. Ci vedremo dopo la crisi, allora.»
«Se saremo così fortunati da superarla» disse Pauline. Poi raggiunse Vincent.
Bevvero e ascoltarono un po' di musica. Era mezzanotte quando lei lo lasciò per affrontare il suo nuovo futuro a Liverpool.

8

Gli esami che Pauline doveva fare sui duecento abitanti del rifugio sotterraneo di Newsham Park, a Liverpool, erano molto semplici come procedura. Si trattava di prelevare un campione di sangue da un braccio oda una gamba, poi il sangue prelevato veniva sottoposto al lavoro di una centrifuga per separare i globuli bianchi e i globuli rossi dal siero colorato. I corpuscoli così separati venivano poi distribuiti sui vetrini di cinque microscopi, e a ogni campione veniva aggiunta una goccia di siero dei cinque principali gruppi sanguigni prelevati a individui morti per infezione da virus AB. Naturalmente i campioni da esperimento erano stati sterilizzati e contenevano solo virus morti.
Si usavano i cinque campioni di sangue solo per risparmiare tempo, dato che spesso si ignorava il gruppo sanguigno degli individui da esaminare. Poi bisognava aspettare. Dopo circa due ore, si passava all'osservazione microscopica. Se dopo quattro ore il siero d'esame aveva dissolto le cellule dei globuli bianchi e dei globuli rossi e i campioni da esaminare avevano acquistato l'apparenza di una morbida pasta rossa, significava che l'individuo sotto esame non era affetto da virus né lo era mai stato. Se i corpuscoli mantenevano la loro struttura, significava che la persona aveva contratto in passato infezione da virus BA e che poteva quindi essere ancora portatrice di virus AB. Per scoprire se l'individuo era portatore d'infezione, si ricorreva al microscopio elettronico, comunque il sistema meno costoso e più pratico per risolvere il problema era di segregare il paziente in un ospedale di emergenza per un periodo di osservazione.
La diagnosi più difficile era quella per individuare la presenza del virus mortale durante il primo stadio dell'infezione. Le prove del sangue non servivano gran che per il breve periodo di incubazione, perché i corpuscoli si dissolvevano alla stessa maniera di quelli prelevati da individui sani. C'era però una differenza nel caso in cui l'infezione risalisse a dodici ore prima. Nel campione sanguigno di un individuo in queste condizioni, i corpuscoli e specialmente i globuli bianchi che avevano ingaggiato la lotta contro il virus, erano già a uno stato avanzato di dissoluzione. Di conseguenza il periodo necessario al completo scioglimento dei globuli dopo il contatto con il siero d'esame, era notevolmente più breve pur variando da individuo a individuo, e da un gruppo sanguigno all'altro.
Generalizzando, un campione sanguigno che formava emoglobina in meno di due ore era considerato sospetto. Secondo le statistiche, nel novanta per cento dei casi gli individui il cui esame del sangue dava questi risultati erano senz'altro malati da virus AB e di conseguenza destinati a morire. Per il rimanente dieci per cento si trattava di pazienti infetti da BA con un particolare gruppo sanguigno che dava risultati anomali.
Forte di queste regole, dunque, Pauline cominciò l'esame di uomini, donne, bambini, che formavano la popolazione della Zona M 45 di Liverpool. Le sue istruzioni erano molto precise: tutti i casi di infezione BA dovevano essere messi in quarantena, ma non all'interno dei rifugi, e tutti i casi sospetti di infezione AB dovevano venire trasportati immediatamente in un ospedale.
Anche seguendo tutte le regole poteva sempre darsi che gli esami non rivelassero la presenza del virus mortale in individui che ne erano invece affetti. Comunque, costoro avrebbero dato i chiari sintomi dell'infezione entro ventiquattro ore e la loro evacuazione dal Centro sarebbe avvenuta in pochi minuti.
Forse, però, il pericolo maggiore stava nell'accettare potenziali casi BA i cui sintomi fossero tanto lievi da passare inosservati, con il pericolo di ammettere nel rifugio portatori del letale AB. L'OIRV aveva previsto questa possibilità, di conseguenza tutti coloro che entravano nella Zona M 45 (e in tutti gli altri Centri di isolamento) dovevano sottoporsi a un controllo orario della temperatura per quaranta ore. L'aumento più insignificante, qualunque ne fosse stata la causa, portava come conseguenza l'immediato ricovero dei soggetti febbricitanti in un ospedale. Il rifugio di Newsham Park aveva le caratteristiche di un nido d'ape, e si stendeva su due piani di cui il primo era scavato a circa cinque metri sotto il livello del suolo, al centro del parco. Le pareti delle piccole stanze e dei corridoi stretti erano tutte fabbricate in legno, cemento e amianto. C'erano luce elettrica, radio, televisione, e un impianto di riscaldamento. I locali adibiti ad appartamenti occupavano tutto il secondo livello e una parte del primo. Nello spazio rimanente erano stati sistemati gli uffici, i laboratori, i magazzini, una sala comune attrezzata con un proiettore cinematografico e altoparlanti, un locale con telescriventi, macchine per la trasmissione di messaggi in codice, il reparto cifre, e una clinica ben attrezzata.
Pauline fu alquanto sorpresa di scoprire che il Centro era diretto da militari. Il responsabile era il capitano Villier, che comandava venti uomini, compreso un tenente e alcuni sottotenenti. Dipendevano dal capitano anche diversi civili incaricati del buon andamento dei vari servizi, del condizionamento d'aria, ad esempio è della sterilizzazione dell'acqua, degli impianti sanitari, eccetera.
Per il resto, i civili ospitati nel Centro erano dirigenti industriali, esponenti del mondo del commercio, o membri del governo locale, con le loro famiglie. Di questi, prima che il Centro venisse dichiarato chiuso, venticinque adulti e sette bambini furono fatti evacuare dopo l'esame del sangue. Dopo la chiusura, dopo cioè che il Centro fu isolato dal mondo e che gli impianti di sterilizzazione e di condizionamento entrarono in funzione, Pauline accertò tre casi da virus AB e uno da virus BA. Meno di un'ora dopo la diagnosi, tutti e quattro vennero trasferiti in un ospedale, e il giorno seguente furono ammessi al Centro quattro nuovi candidati che rimasero nella sala d'isolamento annessa alla clinica finché non fu accertato che non avevano contratto infezione.
Poi non ci furono altri guai, e per quanto riguardava Pauline la vita si trasformò in una sequenza monotona di prove del sangue e di controllo della temperatura.

«Francamente non credo che avrei scelto di salvare tutti quelli che abbiamo qui» disse il capitano Villier. «Non parlo dei bambini, per semplici motivi sentimentali... Ma io devo obbedire agli ordini, e non hanno chiesto il mio parere.»
«Io non posso dare un giudizio. Non li conosco affatto come individui» rispose Pauline.
Lei e il capitano erano seduti a un tavolo della mensa dove avevano consumato un pasto banale ma cucinato discretamente, e dove servivano del caffè non peggiore di quello che si beveva in certi locali in tempo normale.
«Non sono individui» ribatté il capitano, un tipo ossuto, col viso angoloso e l'espressione autoritaria ma non arrogante. «In teoria sono tutti personaggi importanti di cui l'umanità non può fare a meno... Qualcuno però sostiene che molti di loro sono qui perché conoscevano la persona giusta nel posto giusto. Facciamo un esempio. Il signor A è stato scelto con ragione dal momento che è il capace direttore di un importante impianto nucleare o elettronico, cosa di importanza vitale. A questo punto cosa succede? Il signor A nomina suo fratello, il signor B, vice direttore generale dello stesso complesso, in modo da assicurargli la salvezza, a lui e a tutta la sua famiglia. Il signor B non sa assolutamente niente di energia nucleare o di elettronica. Forse è semplicemente uno spazzino. Ma ha un parente che per alcuni mesi può farlo passare per un dirigente d'azienda. Passata la crisi tornerà a fare lo spazzino.»
«Mi avete portato come esempio un caso ipotetico» osservò Pauline.
«Potrei citarvene di autentici, con nomi e cognomi.»
«La colpa non è del sistema, ma della natura umana. Abusi ce ne sono sempre, ma non credo che pochi abusivi possano fare gravi danni.»
«Forse. Ma pensate un po' quanto sono sfortunati tutti i Tom e i Dick e gli Harry che non occupano un posto direttivo nel mondo e che non conoscono nessuno che renda possibile l'abuso!»
«Non moriranno tutti, capitano Villier» ribatté Pauline. «Le probabilità di sopravvivere sono il cinquanta per cento.»
«Sì lo so» disse il capitano, «ma non mi sembra una bella prospettiva. Chissà come se la cavano fuori di qui.»
L'epidemia era cominciata solo da quattro giorni, e già il mondo era diviso in due parti, pensò Pauline, quelli fuori e quelli dentro. Sopra, il mondo che lottava contro la morte e la paralisi industriale, e poi, se anche in Inghilterra fosse successo come negli altri Paesi, contro la fame, la legge marziale, la guerra civile. Meglio essere lì sotto, non solo per il virus, ma per non trovarsi coinvolti nel caos di un mondo in sfacelo.
«Se fossi un ministro» riprese il capitano Villier, «mi sarei certamente comportato nella stessa maniera. Ma io penso ache a dopo. Cosa succederà quando il governo deciderà di ritornare alla superficie?»
«Credete che ci saranno guai?» chiese Pauline.
«Guai?» ripeté Villier con un sorriso stentato. «Non avreste potuto minimizzare più di così.»

Il dottor Youde si sistemò gli occhiali, sul naso e accese la lampada da tavolo per leggere le fitte righe dattilografate del lungo promemoria scritto sulla carta intestata MINISTERO DEGLI INTERNI. Di traverso in un angolo del foglio era stampigliato Strettamente riservato.
La comunicazione cominciava con queste parole: All'attenzione dei dirigenti di Primo Grado dell'Organizzazione Internazionale Ricerche Virus, Sezione Regno Unito. Importante: Questo memorandum deve essere bruciato subito dopo la lettura.
Continuava così:

Il Governo di Sua Maestà, responsabile della sicurezza interna e del mantenimento dell'ordine, ha recentemente completato un'analisi della situazione attuale del Regno Unito, dopo le prime tre settimane di epidemia Hueste.
Questo esame ha lo scopo di fornire al Governo e in particolare al Ministero degli Interni, le necessarie informazioni per un'eventuale riforma nell'organizzazione della popolazione civile non ammessa ai centri di isolamento e di decidere l'atteggiamento e le misure da prendere per preservare la sicurezza interna.
Era stato previsto che le misure adottate per proteggere dall'epidemia importanti personalità politiche, industriali, del mondo scientifico, avrebbero causato reazioni ostili, specialmente nella classe operaia guidata dai sindacati.
La situazione attuale è la seguente: oltre il quaranta per cento delle industrie del Regno Unito sono paralizzate, ed è chiaro che si sta progettando un'azione sovversiva contro lo Stato. Se la minaccia dovesse concretizzarsi, si avrebbero altre ripercussioni e un aumento dei disordini.
Col diffondersi dell'epidemia crescerà il numero degli individui affetti da virus AB e conseguentemente dei morti. Ma aumenterà altresì il numero degli individui che avranno contratto virus BA, e che dopo il periodo di quarantena saranno immuni dal contagio. Si presume che questi ultimi saranno favorevolmente disposti al mantenimento dell'ordine e della legge. In considerazione di ciò il Ministero degli Interni ha deciso la formazione di un servizio speciale, che agirà in coordinamento con le forze di polizia e con l'Esercito.
Il nuovo corpo sarà esclusivamente costituito da coloro che, colpiti da virus BA, e superato il periodo di quarantena, non saranno più portatori di virus AB. I candidati verranno scelti dopo severo controllo politico, psicologico e medico. Riceveranno un alto compenso per i loro servizi e godranno di altri privilegi.
Nel contempo verranno prese altre misure intese a scoraggiare i tentativi di disordini e il sabotaggio delle iniziative industriali e commerciali che minacciano seriamente di privare la nazione degli indispensabili rifornimenti di viveri e materiali.
Al più presto verrà varato un programma di razionamento dei viveri, dei carburanti e di tutti i generi di consumo. Le carte annonarie verranno distribuite a tutti i cittadini inglesi residenti nel Regno Unito, eccezione fatta per gli aderenti agli scioperi.
Coloro che prestano servizio nella polizia, nelle Forze Armate, e i nuovi militi del servizio speciale, riceveranno comunque razioni supplementari e un aumento di paga, in considerazione delle loro aumentate responsabilità.
In tal modo si spera di convincere i dipendenti dell'industria a far cessare gli scioperi.
I dirigenti di Primo Grado dell'Organizzazione OIRV sono pertanto pregati di disporre immediatamente speciali centri ai posti di reclutamento, per i controlli medici e gli esami del sangue di tutto il personale delle Forze Armate, e in particolare per i candidati del nuovo corpo. Costoro, come già detto, devono essere ex casi BA che abbiamo superato il periodo di quarantena. Il controllo politico e psicologico seguirà gli esami medici per tutti coloro che risulteranno fisicamente idonei.
Allegato al presente memorandum inviamo l'elenco dei centri di reclutamento che verranno istituiti in tutto il Regno Unito durante i prossimi giorni. Due specialisti dell'OIRV preferibilmente un medico e uno specialista in virologia, dovranno essere messi a disposizione di ogni centro per un periodo variante dalle quattro alle sei settimane. Si preferiscono elementi ex BA, ma qualora non sia possibile, sarebbe gradito personale volontario.
Il governo desidera far sapere che queste misure sono state adottate con somma riluttanza, e devono essere considerate temporanee e tese unicamente a fronteggiare la situazione contingente. Devono comunque entrare in vigore immediatamente, poiché sono essenziali alla difesa delle tradizionali istituzioni democratiche del Regno Unito. Si sottolinea inoltre che trovano riscontro in misure analoghe già adottate in Europa, e di prossima adozione negli Stati Uniti.

L'elenco dei centri di reclutamento occupava parecchie pagine ed era completato da indicazioni particolareggiate sull'organizzazione del nuovo corpo dei Servizi Speciali e da tabelle statistiche sui decessi per virus, necessità di ricorrere alla cremazione, ore di mano d'opera andate perse a causa degli scioperi, cifre riguardanti l'aumento della criminalità (circa il trenta per cento), eccetera.
Letto il memorandum, il dottor Youde elencò i posti di reclutamento che interessavano la zona di Brierley, poi appollottolò i fogli azzurri e li bruciò, secondo le istruzioni. Poi mandò a chiamare il dottor Vincent.
Vincent aveva l'aria più spaurita che mai. Diverse settimane passate in laboratorio sotterraneo a cercare una risposta che forse non esisteva avevano avuto un effetto deprimente.
«Accomodatevi, dottor Vincent» invitò Youde.
Vincent sedette, mise in bocca la pipa ma non l'accese.
«Come procedono i lavori in laboratorio?» chiese il direttore del Centro.
«Alla menopeggio.»
«Capisco. Vi piacerebbe cambiare lavoro?»
«E cosa dovrei fare?»
«Esami per stabilire una superata infezione BA sui civili. È una disposizione governativa.»
«E qual è lo scopo?» chiese Vincent.
Youde lo mise al corrente dell'ordinanza emanata dal Ministero degli Interni a proposito del nuovo corpo. «Vogliono reclutare esclusivamente ex casi Bi-A, che non hanno più niente da temere dall'epidemia, e chiedono all'OIRV i medici per i centri di reclutamento. L'epidemia durerà qualche settimana.»
«Mi pare che non preluda a niente di buono» commentò Vincent, accigliandosi, «possibile che si sia già arrivati a un tale stato di disgregazione?»
«È solo una misura precauzionale. Si prevede un'ondata di scioperi generali e pare che stiano sorgendo organizzazioni clandestine con scopi sovversivi. È naturale che il governo voglia mantenere efficienti i servizi essenziali e prevenire eventuali sabotaggi. Così ha pensato di rinforzare i ranghi delle forze di polizia e dell'esercito attingendo ai civili immuni dall'infezione A-Bi. Cosa ne dite?»
«A dire la verità mi sentirei più tranquillo se anch'io fossi un ex Bi-A» rispose Vincent, dopo un attimo di riflessione.
«Ammetto che c'è da correre un rischio» disse Youde, togliendosi gli occhiali per pulirli. «Potete rifiutare, se volete. Il governo chiede solo volontari.»
«Qual è esattamente la situazione?» chiese Vincent dopo una breve pausa.
«Non è facile stabilirlo. Le statistiche dell'OIRV comunicano che il numero dei morti in Gran Bretagna supera i tre milioni. Si dice che il quaranta per cento delle imprese industriali siano paralizzate dalle agitazioni degli operai, e sono stati fatti alcuni tentativi organizzati per invadere i centri di isolamento. Un Centro vicino a Northampton è stato attaccato da una banda armata che è riuscita a forzare il portello stagno, poi ha versato trecento litri di petrolio nell'apertura e ha dato fuoco. Settanta persone sono morte e trentadue hanno riportato gravi ferite, compreso il medico locale dell'OIRV. Quelli che hanno tentato di salvarsi dal fuoco fuggendo all'esterno sono stati malmenati dalla banda, e due sono morti in seguito alle ferite riportate. La polizia e i militari sono arrivati quando ormai il peggio era fatto.»
«Ho capito quello che volete dire.»
«Questi atti di violenza si moltiplicheranno in tutto il Paese, quindi il governo si trova di fronte all'alternativa di mantenere il controllo e l'autorità o arrendersi alla folla inferocita.»
Vincent tentò di sorridere. «Personalmente preferisco l'ordine tradizionale» disse. «Vorrei che dopo, le cose tornassero esattamente com'erano, ma so che non potrà essere così. Comunque, se la mia opera può servire, lavorerò in pieno accordo con il Ministero degli Interni.»
«Volete dire che accettate l'incarico?»
«Sì, del resto non ho molta scelta.»
«Mi fa piacere che abbiate deciso in questo senso» commentò Youde, soddisfatto. «Il Ministero degli Interni chiede insieme con il medico anche uno specialista in virologia. Potete suggerire qualcuno?»
Vincent pensò seriamente per un minuto buono prima di rispondere. «Carroll» disse alla fine. «Sa veramente il fatto suo e credo che sia un ex Bi-A.»
«Benissimo. Gli parlerò oggi pomeriggio. Domani dovrei essere in grado di darvi tutte le istruzioni necessarie.»
«Aspetterò» rispose Vincent.

9

Non avere niente da fare era un dramma per Clive Brant. Durante due settimane il giornalista ciondolò per il suo appartamento, leggendo i giornali con cinismo più che con interesse, guardando la televisione con aria annoiata, e scendendo di tanto in tanto a prendere una birra in qualche locale pubblico. Ogni giorno prenotava una telefonata per New York, ma ogni volta gli veniva annullata all'ultimo momento per cedere il posto a qualche comunicazione con diritto di priorità. Non aveva più saputo niente da Langstrom né da Noelle, e il suo nuovo lavoro era diventato una specie di allucinazione.
Tanto per far qualcosa si mise a raccogliere materiale per i futuri servizi alla televisione, prendendo appunti e ritagliando giornali. Fece anche una visita alla redazione del Daily Monitor, dove gli ex colleghi lo accolsero bene ma furono assai poco utili quando cominciò a fare domande sul virus, forse perché loro stessi erano tenuti all'oscuro.
Un pomeriggio, i coniugi che occupavano l'appartamento sotto quello di Clive vennero portati via in autoambulanza. Guardando dal balcone il giornalista notò che la donna era già in stato di coma mentre l'uomo giaceva sulla barella con espressione assente. Meno di un'ora più tardi il campanello della sua porta suonò. Clive andò ad aprire e si trovò di fronte un uomo piccolo, con gli occhiali, accompagnato da un'infermiera in divisa blu. Gli dissero che erano venuti per prelevare un campione del suo sangue.
«Ci sono stati casi di virus nell'edificio» spiegò il medico. «Per il vostro bene dobbiamo accertarci che non abbiate contratto il contagio.»
«E se mi fossi contagiato che cosa potreste farci, voi?» chiese Clive.
«Prenderemmo le precauzioni necessarie» rispose il medico.
«Per esempio, mi prenotereste un posto nel più vicino inceneritore?»
Il medico lo guardò, sconcertato. «Sapete bene che esistono due tipi di virus» disse. «Se per caso vi capitasse di infettarvi con il tipo innocuo, passerete solo una decina di giorni in quarantena, e poi sarete immune a entrambi i tipi di infezione.»
«Allora perché non immunizzare tutti, praticando iniezioni in massa del virus innocuo?»
«Eccellente idea!» commentò il medico sorridendo. Poi spiegò in breve perché non fosse possibile adottare quel sistema. Quindi aggiunse: «Esistono alcuni vaccini in via sperimentale, se vi offrite volontario.»
«Da come lo dite, volontario significa morto sicuro.»
«Non è affatto vero. Comunque, finora i vaccini si sono dimostrati pochissimo efficaci.»
«Quante sono per adesso le vittime dell'epidemia, dottore?» domandò Clive.
«Non abbiamo dati» rispose il medico, meno cordialmente di quanto avesse fatto fino a quel momento. «Ma temo che le cifre siano molto alte. La cosa migliore è starsene tappati in casa, signor Brant.»
Poi lui e l'infermiera se ne andarono. Dalla finestra Clive li vide salire in una macchina nera. Rimase lì per un po' a osservare le strade deserte. Poi vide due ambulanze, una dopo l'altra a pochi secondi di distanza. Pochi minuti più tardi ne passò una terza.
Quella sera il campanello suonò di nuovo. Andò ad aprire a malincuore aspettandosi di vedere di ritorno il medico e l'infermiera con qualche cattiva notizia, e si trovò invece di fronte a Noelle. La sorpresa gli impedì di parlare.
«Santo cielo, amore, non sei contento di vedermi?» chiese Noelle.
«Scusami» disse Clive, riprendendosi. «Ma non mi aspettavo che fossi tu. Entra.»
La ragazza indossava un soprabito grigio sopra un vestito verde, i capelli biondi erano tagliati più corti e la facevano sembrare più giovane. Forse il colore era troppo scuro, ma gli occhi avevano la solita espressione vivace e limpida. La baciò quasi con diffidenza, incapace di accettare l'indiscutibile fatto della sua presenza lì. Poi Noelle si tolse il soprabito e andò a sprofondarsi in una poltrona.
«Dio mio, che viaggio!» sbuffò. «Tutte quelle prove del sangue, e quegli interrogatori da terzo grado! Per completare l'opera, dieci ore di attesa a Shannon per un guasto ai motori dell'aereo. Sarei arrivata prima con la nave.»
Clive versò da bere per sé e per lei. «Mi fa piacere vederti» disse. «Come hai fatto a ottenere il permesso di viaggiare?»
«Te l'ho già detto al telefono, no? Papà mi ha nominata direttore della Telerama e ha messo in moto tutte le sue amicizie. C'è voluto un po' di tempo, ma alla fine il Dipartimento di Stato mi ha rilasciato un regolare permesso di viaggio unitamente a un'autorizzazione per Joe Beigal e Dave Ross, i due operatori, per non parlare di tutto l'equipaggiamento.»
«Evidentemente tuo padre ha più influenza di quanto pensassi.»
«Puoi dirlo! Ho anche una lettera di presentazione del signor Cleary della Commissione Federale per le Comunicazioni con l'Europa per un certo signor Danninger del vostro Ufficio Centrale di Informazioni, qui a Londra.»
«E a cosa serve?» chiese Clive.
«Per il progetto-archivio» rispose la ragazza sorridendo.
Lui la guardò senza capire.
«È stato l'unico sistema perché papà potesse ottenere quello che voleva. Ha accettato di girare dei cortometraggi per gli archivi ufficiali. Il governo sostiene persino una parte delle spese, figurati. Una parte del materiale poi può venire usata per la televisione, dopo l'approvazione delle autorità competenti. Ma chissà quanto taglieranno! Era così anche durante l'ultima guerra, dice papà.»
«Benissimo» commentò Clive. «Però non mi sembra che commercialmente sia un buon affare.»
«È solo per il momento, Clive, finché non sarà passata l'epidemia.»

L'Ufficio Centrale di Informazioni si dimostrò poco malleabile nel concedere permessi per riprese cinematografiche o fotografiche. Alla fine la decisione venne demandata ad autorità superiori, e dopo una settimana il permesso arrivò; ma a condizione che tutto il materiale fosse controllato dall'Ufficio Centrale di Informazione prima di venire usato. Per di più, ogni giorno bisognava sottoporre il piano di lavorazione al signor Danninger, o al suo assistente, in modo che l'UCI l'approvasse o portasse l'eventuali modifiche.
Clive, Noelle, Beigal e Ross passarono molto tempo all'Hotel Astoria a elaborare un programma. L'epidemia aveva ormai assunto proporzioni spaventose, e gli scioperi, in seguito alle ultime disposizioni governative, erano aumentati in maniera impressionante.
«Bisogna decidere subito se le nostre documentazioni devono trattare l'argomento epidemia da un punto di vista clinico» disse Clive, durante una delle riunioni, «raccogliendo materiale sulle ricerche dei laboratori e sulle cure studiate, o se dobbiamo tentare di farne un resoconto sociale, mostrando polizia e governo in azione.»
«Dovremo trattare entrambi gli aspetti del problema, per fare un buon lavoro» disse Joe Beigal. «Langstrom non ama le mezze misure.»
«Il guaio è che incorreremo nella censura» obiettò Clive. «Se suggeriamo che l'atteggiamento del governo è arbitrario e irresponsabile.»
«Questo non dovremo dirlo.»
«Ma se i nostri servizi saranno obiettivi...»
«Come stabiliamo che un particolare punto di vista è o non è obiettivo?» interruppe ancora Beigal. «È obiettivo il vostro punto di vista? O lo è il mio? Oppure quello degli individui che hanno trovato scampo nei rifugi? O degli operai che possono mangiare solo quello che le carte annonarie permettono?»
«Non dovremo avere nessun punto di vista» intervenne Noelle, che durante tutta la discussione aveva rivelato un acume che sorprese Clive. «Il nostro compito si limita a riferire quello che i nostri occhi vedono. Dobbiamo comportarci come se noi stessi fossimo macchine da presa, senza sentimenti, senza tendenze. Le conclusioni e i commenti spettano al pubblico.»
«Quello che dici è giusto» osservò Clive, «ma noi possiamo lavorare solo se ci danno il permesso, e se non presentiamo un programma accurato e studiato secondo i loro canoni, lo bocceranno.»
«Clive ha ragione» commentò Ross, un tipo magro e nervoso. «Abbiamo a che fare con l'UCI, quindi siamo tenuti a partire dal presupposto che il governo locale sa il fatto suo e che il suo atteggiamento è giusto.»
«Che lo si creda o no» aggiunse Clive.
«Temo che papà non sarebbe soddisfatto» disse Noelle. «Lui vuole che i documentari dicano la verità. Il Programma Testimonianze Oculari, deve presentare l'assoluta verità, me l'ha ripetuto sino alla nausea.»
«Anche un testimonio oculare può avere le sue opinioni» ribatté Ross con un sorriso acido.
«La verità è quello che Danninger, l'UCI e il governo permettono di dire» osservò Clive. «Comunque ho tracciato un programma di massima che comprende due filoni paralleli. Uno riguarda la storia dell'impegno scientifico nella lotta contro il virus. L'altro contempla il comportamento del governo verso la popolazione. I due soggetti possono essere suddivisi in diverse parti, e forse l'UCI non le approverà tutte, specialmente le scene che andrebbero girate nei rifugi sotterranei dell'OIRV.»
«Danninger ha già posto il veto per le sequenze di questo genere» ricordò Noelle. «L'ufficio Centrale però ha già girato per conto suo alcuni documentari sull'argomento, e ci hanno detto che possiamo attingere ai loro archivi.»
«Allora dovremo lavorare in segreto, per il momento, e riprendere le scene negli ospedali, nelle zone di evacuazione, nei crematori, filmare le code alle mense, le scene nelle fabbriche vuote, eccetera.»
«Benissimo» approvò Beigal. «L'importante è di avere più permessi possibili in modo da poter operare contemporaneamente, o quasi, in più posti con la certezza di non essere disturbati. Dovremo sottostare alla censura, ma non è il caso di preoccuparsi.» Infilò una mano nella tasca interna della giacca e ne tolse una microscopica cinepresa. «È una macchina giapponese» spiegò. «Contiene una pellicola speciale per microfilm e ha un obiettivo con lente anamorfica che permette di riprendere contemporaneamente quattro scene della durata di dieci minuti.»
«Molto ingegnoso» esclamò Clive prendendo la cinepresa non più grande di un accendisigari. Era uno strumento di alta precisione munito di esposimetro automatico, con gli obiettivi nascosti all'interno della macchina.
«Ne abbiamo due» disse Noelle, «e abbiamo anche una buona scorta di pellicole. Fortunatamente occupano così poco posto che si possono nascondere facilmente. Se le avessero trovate le avrebbero senz'altro requisite.»
«In che modo ce ne serviremo?» chiese Clive, restituendo la macchina a Beigal.
«Apertamente useremo le normali cineprese da sedici millimetri riprendendo tutto quello che ci viene concesso ufficialmente ma nello stesso tempo le macchine giapponesi ci permetteranno di girare scene supplementari, che non passeranno al controllo dell'UCI. Senza contare che possiamo ricorrere ai microfilm anche nel caso in cui succeda qualcosa così all'improvviso da non avere il tempo di piazzare una macchina regolare. Le loro dimensioni permettono di tenerle nel palmo della mano azionando lo scatto con una leggera pressione delle dita.»
«Potrebbe essere pericoloso, però» disse Clive.
«Solo se veniamo scoperti» ribatté Noelle. «Ross e Beigal ne terranno una. Tu e io ci serviremo dell'altra.» La ragazza aprì la borsetta e tese la seconda cinepresa a Clive. «È meglio che la tenga in tasca tu. Le borsette si possono dimenticare da qualche parte.»
«Va bene» disse Clive, e fece scivolare la scatoletta nella tasca interna del soprabito.

Il giorno seguente, mentre Noelle prendeva accordi con Danninger, Clive fece un giro in macchina per Londra regolandosi su una carta della città dove aveva segnato in precedenza i posti che secondo lui valevano la pena di una ripresa. Anche di giorno Londra sembrava deserta. Lungo tutta Oxford Street, Clive incontrò soltanto cinque macchine e un autobus. Anche i pedoni erano pochissimi, e per lo più portavano un filtro sulla bocca e sul naso. La maggior parte dei negozi aveva le saracinesche abbassate, forse in ottemperanza ai regolamenti per prevenire il saccheggio.
Hyde Park, sede di un rifugio sotterraneo, aveva acquistato l'aspetto di una zona militare.
Clive costeggiò il parco e notò reticolati e pattuglie. Dietro i reticolati si intravedevano camionette, carri armati e casematte. Sul lato verso il quartiere di Knightsbridge due mezzi cingolati sorvegliavano la strada.
Clive si diresse verso Piccadilly. Green Park presentava lo stesso aspetto militare. Due ambulanze bianche lo superarono velocemente. Arrivato a Holburn svoltò verso la periferia di Londra, e quasi subito notò un'atmosfera diversa. Si vedeva più gente in giro, in massima parte uomini, e non si trattava più di passanti frettolosi come nel centro della città. La gente camminava lentamente, in gruppi, o sostava agli angoli delle strade. Lì vide per la prima volta alcuni agenti del corpo Servizi Speciali di nuova formazione. Indossavano una divisa nera completata da un berretto con visiera. Erano armati con rivoltelle infilate in foderi neri, di cuoio. Clive notò il loro atteggiamento arrogante, e il risentimento con cui i civili li guardavano.
Lungo la strada che portava a una fabbrica erano stati innalzati pali che sostenevano cartelli con le scritte Sciopero per il diritto di vivere, Chiediamo un eguale diritto alla vita, Protezione per tutti o per nessuno, e via di questo tono. Due macchine nere della polizia pattugliavano la zona. Edifici con vetri rotti. Una fabbrica semidistrutta dal fuoco. E altri agenti speciali in divisa nera intenti a erigere un reticolato attorno a un magazzino davanti al quale sostava un carro armato. Un mercato, deserto, e ancora cartelli di protesta. Poi un tafferuglio tra dimostranti e polizia davanti a un negozio di viveri. Più avanti una piccola fabbrica che bruciava, e macchine di pompieri che tentavano di domare le fiamme con potenti getti d'acqua.
I primi sintomi di insurrezione, pensò Clive. Sarebbe cominciato dappertutto così, con scioperi, disordini, atti di sabotaggio, per arrivare a una resistenza organizzata all'autorità. Poi, l'inevitabile esplosione di violenza. Infine, dagli insorti sarebbe emerso un capo, e con il capo un governo rivoluzionario.
Impossibile che si arrivasse a tanto in Inghilterra, pensò ancora. Le forze dell'ordine erano troppo potenti. Inoltre non c'era motivo di pensare che dietro quei primi atti di ribellione ci fosse un serio motivo politico. Era solo il risultato della disperazione che si esprimeva con un tentativo di rivolta all'autorità, e che si sarebbe spenta insieme all'epidemia.
Fermò la macchina per controllare il percorso sulla carta, poi rimise in moto in direzione di Enfield, un sobborgo di Londra, e di colpo si trovò di fronte a un posto di blocco custodito da due agenti speciali. Dietro la barriera si stendeva una vasta zona sconvolta dai bulldozer, e più dietro ancora c'era una specie di accampamento di baracche prefabbricate. Al centro sorgeva un basso edificio in mattoni con un'alta ciminiera da cui usciva un denso fumo nero. Davanti alla costruzione erano parcheggiate una decina, o forse più, di ambulanze. Gli inservienti stavano trasportando verso una grossa baracca grigia barelle sigillate con teli di plastica.
Uno degli agenti si avvicinò alla macchina di Clive. «Scusate, ma non potete restare qui se non avete un permesso scritto.»
Clive esibì una carta firmata da Danninger, dove era semplicemente scritto che Clive Brant era il direttore di una troupe cinematografica e come tale veniva autorizzato a visitare certe installazioni per girare cortometraggi documentari. La dichiarazione specificava inoltre che per le riprese vere e proprie il signor Brant doveva avere una speciale autorizzazione ufficiale recante il timbro dell'UCI. In quel momento Clive non era ancora in possesso di questa seconda dichiarazione, del cui rilascio si stava interessando Noelle presso Danninger, comunque la guardia restò alquanto impressionata dal documento.
«Sono venuto solo per farmi un'idea del posto» spiegò Clive. «Tornerò probabilmente fra un paio di giorni con gli operatori e la necessaria autorizzazione.»
L'agente approvò con un cenno. «Benissimo, signore» disse. «Adesso però non vi posso lasciar passare.»
«Capisco.»
Un clacson suonò alle spalle del giornalista e nello specchio retrovisore Clive vide un'ambulanza ferma. Mise in moto e si spostò al margine della strada per permettere all'ambulanza di passare, mentre la guardia si affrettava ad alzare la barriera. Subito dopo arrivarono altre due ambulanze con il loro carico di casi infetti.
«C'è molto da fare, qui» commentò Clive quando l'agente tornò accanto a lui.
«Potete dirlo! E diventerà anche peggio.»
«Ci rivedremo presto» salutò Clive, e compì l'inversione di marcia. L'agente ricambiò il saluto con un cenno della mano e tornò dietro la barriera.
Mentre percorreva Palmers Green, sulla via del ritorno, Clive vide improvvisamente il cielo tingersi di rosso. Un attimo più tardi arrivò l'onda d'urto di una tremenda esplosione. La macchina sbandò, ma Clive riuscì a mantenerla sotto controllo. Il cielo, da rosso, diventò nero di fumo. Un altro sabotaggio, pensò Clive, ma non si fermò a indagare. Forse avevano fatto saltare una fabbrica, oppure un rifugio sotterraneo. Tutte cose che non sarebbero servite a niente. Ma perché non adottavano il sistema di vivere e lasciar vivere? O meglio di morire e lasciar morire...
Premette sull'acceleratore, e si affrettò a raggiungere il suo appartamento in Queens Gate, e Noelle.

10

Durante le prime due settimane di attività, la troupe della Telerama girò chilometri di pellicola, parte in bianco e nero e parte a colori. Beigal e Ross si rivelarono ottimi operatori, e abilissimi nello studiare le inquadrature. All'inizio venne ripreso materiale di sottofondo, poi, a poco a poco si passò alle scene più specifiche arrivando perfino al macabro. Clive e i due operatori, passarono, ad esempio, un intero pomeriggio in un crematorio alla periferia sud di Londra, dove era stato costruito un refrigerante che copriva un'area di circa mille metri quadrati. Qui i corpi delle vittime del virus aspettavano di essere cremati. Ventimila cadaveri allineati su appositi scaffali venivano a mano a mano convogliati alle fornaci su appositi nastri trasportatori azionati elettricamente. Ma anche lavorando giorno e notte, i forni crematori non riuscivano a eliminare tutti i corpi che si accumulavano nel refrigeratore, e la direzione aveva disposto la costruzione di un nuovo magazzino.
Là venne raccolto tanto materiale da soddisfare le esigenze di due film normali. Parecchie scene tuttavia sarebbero state certamente tagliate dalla censura dell'UCI. Però esistevano i doppioni girati con le macchine giapponesi.
La Telerama fu anche tanto fortunata da riuscire a filmare uno scontro armato tra una banda composta da una cinquantina di uomini e le forze dell'ordine. La piccola battaglia si svolse attorno a un magazzino dell'East End. Il saccheggio era cominciato nelle ore notturne. La pattuglia di polizia che aveva scoperto l'attività dei saccheggiatori aveva subito chiesto rinforzi, ma gli altri avevano fatto lo stesso, e in due ore lo scontro aveva assunto le proporzioni di una vera battaglia. Clive a Beigal si servirono delle microscopiche cineprese, disponendosi nei due campi opposti.
La banda dei saccheggiatori aveva occupato i tre piani dell'edificio in cui aveva sede il magazzino, e si difendeva con armi automatiche. Le forze dell'ordine si erano barricate dietro pesanti autocarri allineati di fronte al magazzino. Alle undici del mattino, quando ormai la lotta durava da sei ore, circa un migliaio di persone si erano assiepate nei dintorni per assistere allo scontro. La polizia aveva già usato i gas lacrimogeni, ma senza risultato poiché i saccheggiatori erano riforniti di maschere antivirus e occhiali da motociclista. Due bombe al plastico buttate da una finestra avevano causato invece cinque feriti tra i poliziotti. Poi, dopo un periodo di tregua, intervennero i carri armati da una parte e alcuni autocarri pesanti, trasformati in autoblindo da spesse lamiere metalliche, dall'altra. Le raffiche dei mitragliatori si mescolarono allo scoppio delle bombe a mano, e non fu più possibile restare sul posto. Gli spettatori, spaventati, scapparono lontano mentre un carro armato abbatteva un muro dell'edificio e dalle autoblindo improvvisate partivano le fiammate arancioni dei bazooka.
Clive raggiunse Noelle che si era riparata nell'androne di una casa, e sostituì la pellicola ormai finita con una bobina nuova.
«Ti sembra prudente restare ancora qui?» chiese la ragazza, pallida.
«No, ma è importante. Questo è un saccheggio organizzato, l'inizio di una guerra civile. Voglio riprendere ancora qualche particolare.»
Un'esplosione accompagnata da grida: dal muro abbattuto un fitto gruppo di uomini si era lanciato all'assalto del carro armato arrampicandosi fino alla torretta. Improvvisamente il cannoncino smise di sparare e un attimo dopo una fiammata scaturì dal finestrino del carro armato. La nebbia scura provocata dagli spari si fece più densa e all'odore aspro del fumo si mescolò quello disgustoso della carne bruciata.
La battaglia continuava dilagando per le strade. Clive girò ancora qualche ripresa, poi, messa in tasca la cinepresa, trascinò Noelle verso una laterale dove era parcheggiata la macchina, e subito si allontanò da quel campo di battaglia.
«Clive... è la rivoluzione?» chiese Noelle, tremando.
«Qualcosa di molto simile» rispose lui. «Quando una rapina si trasforma in un'operazione militare...»
«Ma i saccheggiatori... dove hanno preso tutte quelle armi e i carri blindati...»
«Rubate nei campi militari, consegnate dai disertori... procurate come se le procurano sempre i movimenti clandestini. Quei ragazzi hanno uno scopo ben preciso, non bisogna sbagliare a giudicarli. Quella di oggi è stata solo una prima dimostrazione di forza.»
«Cosà succederà in seguito?» chiese Noelle, preoccupata.
«Guai! Grossi guai, temo. Adesso però mi farebbe bene un bicchiere di whisky!»
«Due bicchieri di whisky. Bisogna fare andar via il sapore della polvere da sparo!»

«Vorrei che quella maledetta faccenda del virus fosse già finita!» disse Noelle qualche minuto più tardi, quando erano già rientrati nell'appartamento di Clive.
«E io vorrei che tutti e due fossimo ex Bi-A» disse lui. «Mi sentirei molto più tranquillo.»
«Forse lo siamo senza neanche saperlo.»
«Il mio ultimo esame del sangue diceva di no.»
«È inevitabile, vero, Clive?» chiese la ragazza.
«Che cosa?»
«Il virus. Prima o poi prenderà anche te e me.»
«Inevitabile come può esserlo la morte, Noelle» ribatté Clive. «E la gente normale non si preoccupa dell'ineluttabilità della morte. Il virus è meno drastico. Potremmo contrarre l'infezione Bi-A.»
«O A-Bi.»
«O tutte e due, una per uno.»
Noelle fece una smorfia. «Sarebbe la cosa più crudele! Mi serve un'altro whisky, Clive.»
Lui riempì di nuovo i bicchieri.

Una notte, nel rifugio della zona M 45 arrivò un rifornimento di armi: mitra, pistole automatiche, fucili con mirino telescopico, bombe lacrimogene, bombe al plastico, granate. Pauline quella notte fu svegliata verso le tre da un rumore di passi nel corridoio, e suono di voci. Prima allarmata e poi incuriosita, si alzò, infilò una vestaglia e usci a vedere cosa stava succedendo.
Un gruppo di soldati trasportava pesanti cassette, con la stampigliatura Ministero della Guerra, in un piccolo locale adibito a magazzino, subito dopo la clinica.
«Mi spiace che gli uomini vi abbiano disturbata, dottoressa Brant» disse il capitano Villier, che sembrava più pallido e affaticato del solito.
«Cosa sta succedendo?» chiese lei.
«Stiamo organizzando l'armeria. Sembra che ci sia il pericolo di essere attaccati, e abbiamo avuto l'ordine di difendere il centro a ogni costo.»
«Attaccati? Dagli scioperanti?» chiese Pauline.
«Non solo scioperanti» rispose il capitano. «La banda che opera a Liverpool è comandata da un certo Riley che fa parte dell'esercito irlandese ed è esperto di guerriglia.»
«Ma cosa pensano di ottenere?»
«Per prima cosa, viveri. Sanno che i rifugi sotterranei hanno rifornimento di viveri per diversi mesi, e alla superficie c'è veramente scarsità di cibo. E poi, odiano i privilegiati, che saremmo noi, e danno a quest'odio un significato politico. Adesso siamo armati, per poterci difendere in caso di guai.»
Pauline lo guardò pensosa, stringendo la vestaglia. «Ho sentito di alcuni attacchi ai rifugi, ma sotto forma di violenza popolare e non di attacchi organizzati.»
«Be', adesso cominciano a sorgere i capi del movimento, e gli atti di violenza acquistano un tono di lotta vera. Si sono riforniti di armi, e costituiscono un vero pericolo.»
«Non vedo come la ribellione e i disordini siano utili alla lotta contro l'epidemia!» esclamò Pauline.
«Non lo sono infatti. Il movimento mira soltanto a colpire il governo e le autorità. È opinione diffusa che le autorità si siano comportate in maniera sleale e arbitraria.»
«Forse, in un certo senso, è vero.»
«Guardiamo in faccia alla realtà! Non c'era altro da fare, e quelli che si sono autodefiniti rivoluzionari se fossero stati al potere avrebbero fatto esattamente lo stesso. Ogni governo, di qualunque fede o colore, ha il dovere di salvare le proprie istituzioni salvando il suo personale Scientifico, amministrativo e dirigente. Si sono comportati allo stesso modo in tutto il mondo.»
«Non in Giappone» ribatté Pauline. «Per lo meno, finché ci sono stata là io.»
«Probabilmente perché sono stati colti di sorpresa, ma sono pronto a scommettere che poche settimane dopo l'inizio dell'epidemia anche in Giappone sono stati costruiti in fretta e furia profondi rifugi per i capi.»
«Forse avete ragione voi» disse Pauline. «Ma noi non possiamo sapere esattamente cosa succede negli altri continenti.»
«Il Ministro degli Esteri lo sa» disse Villier, «e alcune voci sono trapelate. In molti Paesi europei è già in atto la guerra civile. In Francia e nella Germania Ovest è in vigore la legge marziale. Dappertutto è stato dichiarato lo stato di emergenza. Tutte condizioni ideali perché si sviluppi l'anarchia.»
«E non si può fare niente, vero?»
«Una sola cosa potrebbe risolvere vantaggiosamente la situazione: un antivirus. Allora potremmo chiudere i centri di isolamento ed eliminare le carte annonarie. Così la rivoluzione verrebbe stroncata sul nascere.»
«E in mancanza dell'antivirus?»
«Resistere finché sarà cessato il pericolo dell'epidemia, e mantenere saldamente le nostre posizioni.»
«Parlate come se fossimo in guerra» commentò Pauline con un debole sorriso.
«Siamo in guerra, dottoressa Brant» disse Villier sfiorando con una mano una cassa di granate trasportata da un soldato. «Una guerra particolarmente penosa, basata sui privilegi di classe, e che sarà combattuta senza pietà.»
Pauline accettò il parere del capitano con un po' di riserva, e tornò nella sua stanza, ma per il resto della notte dormì poco e male.

Dopo quindici giorni di servizio al centro di reclutamento di Barnet, il dottor Vincent contrasse infezione da virus. Ai primi sintomi di febbre si prelevò un campione di sangue e si fecero le solite analisi. Tre ore più tardi, con suo immenso sollievo poté avere la conferma che il suo sangue conteneva l'innocuo virus BA. Telefonò immediatamente al dottor Youde su un circuito speciale. Poi cercò di mettersi in comunicazione con la Zona M 45 di Liverpool, ma tutte le linee erano occupate per le comunicazioni ufficiali. Dopo molti tentativi riuscì finalmente a mettersi in contatto con il Centro di Newsham Park, ma non poté parlare con Pauline. Ebbe però sue notizie da un certo capitano Villier, il quale gli riferì che la dottoressa Brant stava bene.
Poi il dottor Vincent fece tutte le pratiche per essere ricoverato in ospedale. Infine si mise ad aspettare l'arrivo dell'ambulanza. E mentre aspettava pensò al lavoro svolto in quei quindici giorni al Centro di reclutamento. All'inizio i candidati erano stati pochi, e per lo più adulti, dotati di senso di responsabilità. Qualcuno di loro veniva dalle fabbriche chiuse per gli scioperi e aveva accettato di arruolarsi considerandolo un lavoro come un altro. Poi si era diffusa la voce che la paga era buona, che si godeva di razioni extra, si indossava una bella divisa e si girava armati di rivoltella. Allora i candidati erano sostanzialmente cambiati. Adesso si presentavano quasi esclusivamente giovanissimi dalla faccia dura, con i capelli lunghi sulla nuca, e vestiti in maniera sgargiante e volutamente trasandata. Erano stati accettati tutti coloro che non soffrivano di infermità o che non erano tanto idioti da non superare un periodo di istruzione. Così, adesso, nel Corpo Servizi Speciali c'era di tutto, e purtroppo, ben poco di buono.
Chissà se quando uscirò dall'ospedale ritroverò lo stesso mondo, pensò Vincent.
Poi chiuse la valigetta che conteneva i suoi effetti personali e uscì dal Centro di reclutamento incontro all'ambulanza.

11

I giornali accennarono solo vagamente alla battaglia svoltasi nell'East End. La radio e la televisione ignorarono completamente l'accaduto.
Quel primo grave episodio fu come una molla, e infiniti altri scontri simili si moltiplicarono in tutto il Paese. Negozi e magazzini vennero assaliti e svuotati da bande che agivano con la tattica dei commandos, con il risultato di disorganizzare il sistema di razionamento e di rafforzare il mercato nero dove già i prezzi erano saliti alle stelle.
Gli assalti ai rifugi sotterranei raddoppiavano di numero e di violenza raggiungendo l'apice dell'orrore. Pareva che i ribelli avessero decretato che tutti gli occupanti dei centri di isolamento dovessero morire. Forzare le chiusure di un rifugio sotterraneo era come demolire un nido di formiche. In breve si sviluppò una vera e propria tecnica, che venne usata in tutti gli attacchi. Prima di tutto veniva sfondato l'ingresso principale a tenuta stagna per mezzo di esplosivi improvvisati, poi nell'apertura venivano buttate bombe lacrimogene e bombe fumogene con l'intento di paralizzare gli occupanti e neutralizzare i difensori, infine nei rifugi era versata una enorme quantità di petrolio e paraffine, e si appiccava il fuoco.
Quelli che riuscivano a sfuggire alle fiamme venivano uccisi appena uscivano all'aperto perché appartenevano a una classe privilegiata.
La polizia e il resto delle Forze Armate però non restarono inattive e parecchie battaglie furibonde furono ingaggiate tra i ribelli e i tutori dell'ordine.
Ma nonostante che l'insurrezione fosse scoppiata contemporaneamente in tutto il Paese, fu abbastanza chiaro fin dagli inizi che gli insorti appartenevano a gruppi diversi, per quanto si tenessero evidentemente in contatto e dipendessero da un unico comando centrale.
Stazioni radio ribelli cominciarono presto a interferire con i programmi della BBC, usando lunghezze d'onda vicine a quelle delle stazioni ufficiali. Una sera, accesa la radio, Clive sentì una voce suggestiva annunciare con calore: «Il Governo del Regno Unito si è rifugiato sottoterra per sfuggire al virus. Come potremo, noi che abbiamo superato una delle peggiori epidemie della storia umana, accettare e riconoscere ancora l'autorità di coloro che hanno deciso la propria salvezza così vigliaccamente? Quando la minaccia del virus si sarà estinta, subiremo forse passivamente il loro ritorno alla superficie, permettendo che riprendano i loro posti? Nel nome sacro dei morti e dei moribondi, di quei milioni di vittime che hanno concluso la loro vita negli inceneritori perché a loro è stato negato il privilegio di salvarsi, noi dobbiamo misconoscere ogni autorità a questi opportunisti. Con questa scelta loro si sono ritirati dalla vita, rinunciando così al diritto di tornarvi una volta passato il pericolo. La loro scelta equivale adesso a un suicidio.»
Clive passò sulle onde corte e riuscì a captare tutta una serie di emittenti che inviavano messaggi alla polizia, all'esercito, ai Servizi Speciali, ai ribelli e ai gruppi di insorti. Ne registrò alcuni, per quanto arrivassero incompleti e confusi.
«...mandate cinquanta uomini armati di mitra e di granate entro mezz'ora...»
«Unità cinque a Capo Nero. Abbiamo temporaneamente preso possesso dell'Hotel Onyx, facendone il nostro Quartier Generale. Vi preghiamo inviare immediatamente quattro autoblindo per bloccare gli accessi alle strade. Ci aspettiamo uno scontro con gli agenti dei Servizi Speciali.»
«...riunirsi a Roxburgh, in prossimità dell'incrocio con la provinciale...»
«Controllo di Bishopsgates a tutte le pattuglie. Convergere sulla zona Cinque Gi. Disordini, inviamo quattro carri armati e due autoblindo.»
Clive spense l'apparecchio con una smorfia di disgusto nel momento in cui Noelle, uscita dalla stanza da bagno avvolta in un accappatoio, andava allo specchio appeso sopra il caminetto per sistemarsi i capelli.
«Che pasticcio!» esclamò la ragazza.
«Che cosa? Le condizioni della nostra società o i tuoi capelli?» domandò Clive.
«Entrambi.»
«I tuoi capelli sono una meraviglia» ribatté Clive. «Lo stato del Paese un po' meno.»
«Gente che si agita per conquistare il potere ce n'è sempre» commentò lei aggiustandosi un ricciolo.
«Ma cosa intendono fare al potere, una volta che l'hanno conquistato?»
«Forse non lo sanno nemmeno loro.» Una pausa, poi: «Chi vincerà?»
«Non è facile fare previsioni» rispose Clive. «Il governo è forte, ma i ribelli hanno iniziativa.»
Noelle approvò con un cenno della testa poi scomparve in camera per vestirsi. Clive si versò da bere e s'accostò alla finestra, a guardare il viale deserto nell'ultima luce del tramonto. Era come se il tempo si fosse fermato; Beigal e Ross erano fuori a riprendere panoramiche delle strade vuote di traffico e si erano spinti fino alle autostrade attorno alla città per documentare l'esistenza di alcuni servizi pubblici che ancora funzionavano.
A un tratto l'aria urlò e tremò come sotto il passaggio di un jet. dive sollevò la testa e vide tre aerei supersonici filare in direzione di West End. Il frastuono diminuì, poi, dopo mezzo minuto di quiete, le detonazioni. Una serie di esplosioni lontane fece vibrare i vetri delle finestre. Clive guardò il cielo sopra i tetti delle case, ma non vide niente.
Noelle uscì dalla camera allacciandosi la cintura del vestito blu.
«Cos'è stato tutto questo rumore, Clive?»
«Sono esplose delle bombe, credo in direzione di Hyde Park. Deve essere successo qualcosa di grosso.»
«Che forse Danninger non vorrebbe vedere su uno schermo.»
«Ma Danninger non avrà dispiaceri. Prenderemo le cineprese giapponesi.»
«Sarò pronta in due minuti.»
«Bene. Comincio a scaldare il motore della macchina.»

L'incidente di Hyde Park era già concluso quando Clive e Noelle arrivarono sul posto. I dintorni pullulavano di uniformi nere dei Servizi Speciali; e gli agenti non permettevano a nessuno di fermarsi. Otto autoambulanze erano ferme in Park Lane, e una pattuglia di soldati percorreva la strada avanti e indietro. Nell'aria stagnava odore di polvere e di bruciato, ma non si vedevano i danni delle bombe.
Clive puntò su Piccadilly, e parcheggiò la macchina nel posteggio sotterraneo. Mentre lui e Noelle si dirigevano verso l'Hotel Astoria, in lontananza risuonarono alcuni colpi di fucile.
Il portiere disse che il signor Beigal e il signor Ross non erano ancora rientrati; ma se loro volevano aspettare...
L'atrio dell'albergo era stato diviso in scomparti da basse pareti color crema e azzurro chiaro, probabilmente per creare una specie di protezione, più che altro psicologica, contro il virus e ottemperare alle disposizioni che proibivano gli assembramenti. In quel modo nell'atrio dell'Astoria poteva anche esserci molta gente, ma suddivisa in piccoli gruppi, il che era permesso.
Clive ordinò un te. Il cameriere che li servì portava una maschera protettiva e aveva l'aria preoccupata.
«C'è stato movimento di truppe qui attorno?» domandò Clive.
La voce del cameriere arrivò velata dalla maschera. «Ho sentito dire che un migliaio di ribelli hanno attaccato il campo militare di Hyde Park e sono entrati nell'armeria per saccheggiarla.»
«Hanno anche aperto il rifugio sotterraneo?»
«Non lo so, signore. Credo che stessero tentando qualcosa del genere, ma sono arrivati gli aerei e hanno sganciato alcune piccole bombe. Pare che i morti siano parecchi.»
«Abbiamo sentito sparare mentre stavamo arrivando qui.»
«C'è in corso un'azione dalle parti di Grosvenor Square. Spero che i ribelli non vengano da questa parte, signore, se no il vostro tè verrà disturbato.»
«Speriamo bene» commentò Clive.
Non vennero disturbati. Dal grande atrio dell'Astoria il mondo esterno era escluso, e anche se a Mayfair sparavano, le detonazioni non penetravano le solide pareti dell'Hotel.
Clive e Noelle avevano già finito di bere il tè quando Beigal e Ross arrivarono. Il giornalista li vide entrare e dirigersi alle cabine degli ascensori, e si affrettò a raggiungerli. I due uomini avevano l'aria stanca. La giacca di Ross era sporca di sangue.
«Salve, Clive» salutò Beigal, «in tono apatico.» Dave è ferito «aggiunse, indicando con la testa il compagno.» Si è preso una pallottola mentre stavamo riprendendo delle scene in Grosvenor Square.
«Vi pensavo sull'autostrada» disse Clive.
«Ci siamo stati prima. Traffico quasi inesistente, a parte il passaggio di carri armati e colonne di autoblindo. Ci sono posti di blocco a tutti gli sbocchi. Abbiamo dovuto farci rilasciare una specie di passaporto per andare da Hertfordshire a Middlesex. Quando siamo tornati abbiamo visto che c'era agitazione attorno a Hyde Park e ci siamo fermati per filmare i disordini con le macchine giapponesi; poi c'è stato il bombardamento e i soldati hanno respinto i ribelli fino a Mayfair. E poi Dave si è guadagnato un po' di piombo.»
«Niente di grave» disse Ross, con un sorriso stentato. «Mi hanno preso a una spalla ma avrei bisogno di un medico perché la pallottola è rimasta dentro.»
«Ci penso io» rispose Clive. «Voi salite in camera e non muovetevi.»
«È una parola! Dobbiamo fare i bagagli» ribatté Beigal. «Questo posto diventa sempre meno salutare a ogni momento che passa.»
«Perché?»
«Ecco, Dave e io abbiamo calcolato che ci sono circa duemila ribelli concentrati in Grosvenor Square. Sono armati di tutto punto e continuano a ricevere rinforzi.»
«Hanno persino le autoradio e diverse autoblindo. Forse anche qualche carro armato. Premono verso sud, e i soldati ritengono che abbiano intenzione di asserragliarsi su una linea di difesa di Piccadilly, dietro Green Park. Niente di più facile quindi che requisiscano l'albergo per farci il loro Quartier Generale.»
«Non sottovalutateli» disse Beigal. «Sono decisi e organizzati.»
«Come si fa per Dave?» disse Clive, e rivolgendosi al ferito chiese: «Ce la fate a resistere ancora per un po'?»
«Credo di sì. La ferita non sanguina più molto.»
«Va bene. Allora preparate i bagagli. Vi trasferirete nel mio appartamento. Per lo meno a Kensington non c'è la guerra civile.»
«Non c'è ancora» disse Beigal, scettico.
I due operatori salirono in ascensore e Clive tornò al tavolino per spiegare la nuova situazione a Noelle.
«Non avrei mai immaginato che Mayfair si trasformasse in un campo di battaglia» commentò la ragazza. «Da che parte stiamo noi, Clive?»
«Da nessuna parte, per ora. In seguito vedremo.»
«Vuoi dire che scegliamo di stare dalla parte di chi vincerà?»
«È sempre la scelta migliore, cara» rispose il giornalista. «Non esistono più prese di posizione oneste. Tutti i giusti risentimenti umani sono stati sfruttati per fini politici. Parteggiare per una delle due fazioni non ha senso perché in definitiva l'una si dimostrerà corrotta quanto l'altra.»
«Allora ci manterremo neutrali» disse Noelle con aria rassegnata.
«Finché potremo» ribatté Clive, con un sorriso stentato. «L'unico atteggiamento ragionevole è di non scegliere dietro costrizione per non dover agire secondo il volere dei capi, e mantenere il nostro ruolo di osservatori obiettivi. Ma non sarà facile.»
«Mi spaventi» mormorò Noelle, rabbrividendo. «Senti... non sarebbe meglio andarcene di qua?»
Clive si alzò, fingendo una calma che non provava.
«Dovremmo aspettare Beigal e Ross» disse. «Stanno facendo i bagagli e ci metteranno un po' di tempo. Ross, ferito com'è, non può fare tanto in fretta.»
«Andiamocene lo stesso, Clive. Loro ci seguiranno» pregò Noelle.
«D'accordo. Lascerò un biglietto.»
Si avviarono verso il banco del portiere, ma non vi arrivarono. Di colpo la porta si spalancò, e una trentina di uomini, sporchi, laceri, armati fino ai denti, irruppero nell'atrio dell'Astoria, mentre davanti all'ingresso se ne assiepavano altri. Un tipo barbuto, con indosso una specie di divisa mimetizzata, una fascia rossa al braccio, e un berretto nero, agitò il mitra in direzione di Clive e Noelle e un'altra decina di persone presenti nell'atrio.
«State calmi e non vi verrà fatto alcun male» disse.
Un altro ribelle, piccolo, tozzo, con gli occhi iniettati di sangue, si avvicinò a Clive agitando una rivoltella. «Vuotate le tasche» ordinò.
«Non sono armato» rispose il giornalista. «Faccio parte del personale di una Compagnia televisiva americana.»
«Chiudi il becco, e fa' come ti ho detto» gridò l'altro.
«Fatemi parlare con il vostro capo» disse Clive.
L'Uomo alzò la rivoltella e l'abbatté sulla faccia di Clive. Il mirino gli aprì un taglio profondo in una guancia, e il colpo violento gli causò un fortissimo dolore ai denti. In lontananza gli parve di sentire Noelle gridare. In quel preciso istante Clive non si sentì più né neutrale né disposto ad aspettare per prendere una posizione. Istintivamente, con tutta forza, vibrò un pugno che prese l'uomo in piena faccia, e provò una soddisfazione intensa nel sentire le nocche affondare nella carne e urtare contro le ossa. L'altro girò scompostamente su se stesso e cadde. Una frazione di secondo, e il suo posto venne preso da cinque o sei ribelli.
Sono come un'idra, pensò Clive prima di soccombere. Tagli una testa e ne rispuntano subito infinite altre.

Emerse dall'incoscienza con un atroce mal di testa e tutta la parte sinistra della faccia indolenzita. Aprì gli occhi e vide sopra di sé un soffitto bianco dal quale pendeva una lampadina elettrica senza schermo. Era sdraiato sul pavimento gelido e duro.
Il locale nel quale si trovava era grande e spoglio. A una estremità si apriva la bocca di un forno, e all'altra era ammucchiato del carbone. Si drizzò pensosamente a sedere e allora si accorse di non essere solo. Almeno dieci o dodici uomini stavano sdraiati al suolo o seduti contro le pareti. Sulla destra vide una porta verniciata di verde. Contro il battente stava appoggiato un giovane con la barba lunga, un berretto nero calcato sui capelli scuri, l'inevitabile fascia rossa attorno a una manica della camicia bianca strappata. Fumava con aria annoiata, e reggeva sotto il braccio destro un mitra.
A poco a poco Clive ricordò quello che era successo. Si mosse, e il movimento attirò l'attenzione del giovane di guardia. La smorfia delle labbra strette attorno alla sigaretta e lo sguardo freddo degli occhi non erano di buon auspicio. Clive si guardò attorno cercando di riordinare i ricordi in una sequenza logica. Gli altri stavano immobili come statue. Vedendo la guardia fumare, Clive si mise una mano in tasca e si accorse che l'avevano completamente ripulito. Sigarette, accendisigari, chiavi, documenti, portafoglio, tutto sparito. E quel che era peggio, sparita anche la minuscola cinepresa giapponese.
Cercò di non prendersela troppo. In guerra succedeva sempre così, e indubbiamente quella era una guerra. Pensò a Noelle, preoccupandosene, come gli altri stavano certo preoccupandosi delle rispettive mogli o fidanzate. Forse le donne erano tenute prigioniere in qualche altro posto, ma non era possibile non pensare a qualcosa di peggio.
Si guardò attorno con più attenzione di prima, e notò che la maggior parte degli altri erano conciati peggio di lui. Parecchi avevano la camicia macchiata di sangue, e tutti avevano lividi e ferite in faccia. Si toccò il viso con la punta delle dita, e sentì sotto i polpastrelli il sangue coagulato attorno al taglio di tre centimetri circa che gli solcava una guancia. Poi osservò bene la guardia. Era giovane, meno di trent'anni certamente, ed era ben conscio che il mitra stretto sotto il braccio faceva di lui l'uomo più importante lì dentro.
Non esiterebbe a sparare, pensò Clive. È uno di quegli scarafaggi che escono dai loro buchi appena si profila la possibilità di vivere contro la legge. Tutta la sua forza sta in quel mitra... Gli dà l'autorità di uccidere. Ma anche noi vivendo nella stessa giungla, possiamo arrogarci l'autorità di uccidere a nostra volta...
Continuò a studiare la guardia per qualche minuto cercando di analizzare obiettivamente l'uomo. Notò gli zigomi alti; l'ombra scura della barba non rasata da parecchi giorni, gli occhi neri, i capelli in disordine, le labbra secche che stringevano la sigaretta ormai alla fine, i pantaloni grigi stazzonati, la camicia sporca e strappata, con le maniche arrotolate ai gomiti, e il mitra nero, di vecchio tipo ma oliato alla perfezione e ben lucido, l'emblema del potere.
Restare passivi non serve a niente, pensò. Permette soltanto al nemico di diventare più forte. Un gruppo di uomini decisi può avere ragione anche di un mitra... Ma ci vuole qualcuno che prenda l'iniziativa, e mi pare che gli altri non dimostrino molta disposizione ad assumersi responsabilità...
Deciso che bisognava fare qualcosa, Clive cominciò a spostarsi lentamente verso il prigioniero più vicino, un tale quasi calvo, che se ne stava appoggiato al muro con aria di estrema pazienza.
La detonazione esplose improvvisa e riecheggiò fortissima nel locale, mentre pezzi di intonaco cadevano sulla testa di Clive. Un ricciolo di fumo saliva dalla canna del mitra, attorcigliandosi nell'aria. La guardia rideva.
«La prossima volta che vi muovete, la pallottola vi arriverà giusto fra gli occhi, amico!» disse. «E non scherzo. Questo non è un convalescenziario, quindi non si chiacchiera e non si passeggia. Chiaro?»
Nessuno parlò, e parecchi lanciarono occhiate risentite a Clive che aveva giocato così con le loro vite solo per il gusto di muoversi!
Lentamente Clive si lasciò andare all'indietro finché le sue spalle toccarono la parete.
Adesso sapeva di non doversi aspettare nessuna collaborazione dagli altri prigionieri, almeno finché il mitra restava nelle mani della guardia. Il resto dipendeva completamente dall'uomo armato e dai suoi limiti nella parte di duro. Prima aveva sparato nel muro, ma non era facile stabilire se all'occasione avrebbe esitato, e quanto, a sparare contro un uomo. Se possedeva senso di umanità, anche lieve, allora questo era un punto debole che poteva venire sfruttato.
Forse io saprei essere più spietato di lui, pensò Clive. Così verrebbe a cessare il vantaggio datogli dall'arma.
Aspettò mezz'ora senza più pensare a niente, per recuperare il più possibile le sue energie, In quella mezz'ora la porta verde si aprì una volta e qualcuno che rimase nascosto dal battente diede alla guardia una gavetta piena di liquido ambrato. Senza lasciare il mitra l'uomo soddisfò la sua sete con whisky probabilmente prelevato dal bar dell'albergo.
Aspettò ancora una ventina di minuti. La guardia aveva vuotato mezza gavetta e non aveva più l'aria annoiata, ma probabilmente le si erano rallentati i riflessi. Senza lasciare il mitra, si accese una sigaretta.
«Fumerei volentieri anch'io, amico» disse Clive. La guardia lo fissò senza parlare.
«In questo albergo ci devono essere centinaia di pacchetti di sigarette» continuò Clive. «Tante da farci fumare tutti per un paio di settimane. Cosa ne dite?»
«Alzati!» disse bruscamente l'altro.
Con uno sforzo Clive si drizzò in piedi appoggiandosi alla parete per avere un sostegno. Come previsto, la canna del mitra seguì il suo movimento.
«State attento con quell'aggeggio» raccomandò Clive. «Io non sono il nemico.»
Il mitra non si spostò. «Voi siete tutti nemici» disse l'uomo.
«Non ricavereste gran che a spararmi» riprese Clive. «In fondo io voglio soltanto una sigaretta. Qualcuno si è preso le mie.»
«Sei un tipo furbo, vero?» disse la guardia. Però tolse di tasca il pacchetto di sigarette e lo tese verso Clive.
«Vieni a prenderne una, se la vuoi.»
Conscio che tutti lo stavano guardando con curiosità e sospetto, Clive avanzò lentamente verso l'uomo armato. Non lo dimostrava, ma non aveva molta fiducia nella guardia. Era a meno di un metro adesso, e tese la mano verso il pacchetto di sigarette. E come previsto, l'altro si mosse. Il pacchetto di sigarette cadde sul pavimento. Clive guardò giù e stava già per chinarsi a raccoglierle quando notò che la guardia spostava il piede destro per prepararsi al calcio. Si raddrizzò di colpo, e per un attimo i due uomini si fissarono in silenzio, immobili.
«Raccoglile!» ordinò poi la guardia.
Clive sorrise acido. «Raccoglietele voi, figliolo. Anch'io sono bravo con i piedi, quando mi capita l'occasione.»
Per tutta risposta l'uomo afferrò il mitra con entrambe le mani, e gli fece compiere un semicerchio nell'aria. Clive si scansò appena in tempo e la canna passò a un paio di centimetri dalla sua faccia. Una cosa era dimostrata, almeno: l'uomo non era tipo da uccidere a sangue freddo, perlomeno finché non si trattava di difendere la propria vita. Il mitra era ancora in movimento, e in quella frazione di secondo in cui l'uomo si trovava ancora sbilanciato dal peso dell'arma, Clive attaccò. L'altro non era certamente uno sprovveduto, ma con tutta probabilità mancava di esperienza pratica. Era troppo giovane per aver fatto la guerra e avere imparato l'arte primitiva ma utilissima di un combattimento a mani nude. Una volta privo dell'arma sarebbe stato semplicemente un uomo forte, ma niente di più. Clive aveva seguito un duro addestramento, anni prima, e certe cose non si dimenticano.
Pochi secondi più tardi la guardia piombava sul pavimento come se ce l'avesse spinta una catapulta. Immediatamente Clive si chinò a tappargli la bocca con un ginocchio per impedirgli di urlare, e con la destra raccolse il mitra. Adesso la situazione si era capovolta.
Negli altri la trasformazione fu rapidissima. Di colpo furono tutti in piedi, presi da un'improvvisa energia e altrettanto improvviso entusiasmo a gridargli la loro approvazione incitandolo a uccidere quel bastardo.
«Fermi!» gridò Clive, impugnando il mitra.
Si fermarono esitanti. Clive si alzò senza più preoccuparsi della guardia. «Sia ben chiara una cosa» riprese guardandoli a uno a uno. «Non si ucciderà nessuno se non sarà necessario per difendere le nostre vite! Non siamo ancora fuori dai guai. Finora abbiamo conquistato soltanto la libertà di muoverci in questo locale. Prendere possesso dell'albergo e liberare le donne, sarà meno facile.»
«Abbiamo il mitra» disse uno dei prigionieri. «Possiamo aprirci la strada!»
«Io ho il mitra» corresse Clive. «Ma gli altri ne hanno più di uno.»
La guardia prese ad agitarsi, e Clive, raccolti in giro un po' di fazzoletti, legò l'uomo e lo imbavagliò. Prima di immobilizzargli le braccia gli tolse la fascia rossa. Poteva servire. Gli insorti erano troppi perché si conoscessero tutti fra loro, e ogni uomo con gli abiti in disordine, una fascia rossa al braccio e un mitra in mano, poteva benissimo venire accettato come uno dei duemila ribelli intrappolati in Mayfair. Valeva la pena di tentare.
Clive si tolse la giacca e infilò la fascia sulla manica destra della camicia macchiata di sangue. «Andrò a fare un giro di ricognizione» disse, «e se mi sarà possibile porterò armi, munizioni e altre cose.»
«Come faremo ad avere la certezza che tornerete?» chiese un tale con la faccia rossa, in abito da sera.
«Non l'avrete affatto» rispose Clive con un sorriso ironico. «Dovrete per forza fidarvi di me. Sono io ad avere il mitra no? E me lo sono conquistato mentre voi tutti ve ne stavate seduti a fare i bravi ragazzi davanti alla guardia armata. Ritengo che questo mi ponga in una posizione di privilegio.» Indicò con un piede l'uomo legato. «Tenetelo d'occhio. Credo però che non vi darà guai. La batosta che ha preso lo costringerà per un po' a mantenersi in posizione orizzontale. Io vedrò di scoprire per prima cosa dove hanno richiuso le donne.» Guardò il rivoluzionario e notò che portava al polso un orologio. Il suo gliel'avevano portato via con tutto il resto. Si chinò e prese quello che la guardia aveva probabilmente rubato a qualcun altro. «Così potrò avere un'idea del tempo» aggiunse. «Se tra un quarto d'ora non sarò tornato, vorrà dire che mi hanno scoperto, e allora dovrete fare altri piani. Potrete usare il ribelle come ostaggio, per quanto non credo che valga molto.»
«Va bene» disse l'uomo in abito da sera. «Ci fidiamo di voi. Avete detto un quarto d'ora?»
«Esatto.»
«Vi auguro buona fortuna.»
«Grazie, se tutto va bene ci rivedremo.»
Clive aprì cautamente la porta verde, e uscì nel corridoio della cantina.

12

In fondo al corridoio c'era una breve rampa di scale. Da lì si sentivano forti le detonazioni delle armi da fuoco. Forti e insistenti. Salì i gradini, lentamente, reggendo il mitra in modo disinvolto, ma pronto a sparare, se era il caso. In cima alle scale si apriva una specie di vestibolo sul quale si affacciavano tre porte. L'aria era greve di odore di cucina misto al puzzo acre della cordite e all'aroma di caffè. Sul pavimento del vestibolo c'era un tappeto, e le scale, che continuavano, avevano una fitta passatoia. Evidentemente portavano al pianterreno dell'albergo.
Clive riprese a salire. Arrivò infine nell'atrio dell'Astoria da una porta interna, alla sinistra del banco del portiere. La doppia porta a vetri che dava sulla strada barricata con pesanti mobili dietro i quali montavano la guardia quattro uomini armati di mitra. All'altro capo dell'atrio, lontano dalle finestre, i ribelli si erano organizzati una specie di bar, unendo diversi tavolini. Due camerieri dell'Astoria, con le giacche della divisa sporche e stazzonate, versavano da bere, preparavano il caffè, facevano panini imbottiti. Una quindicina di ribelli, raggruppati attorno al bar improvvisato, bevevano e mangiavano tutto quello che capitava.
Clive decise di salire ai piani superiori, e si mosse verso le scale. Aveva fatto pochi passi quando vide sul pavimento, in un angolo dell'atrio, una massa bianca, confusa. Erano lenzuola spiegazzate, e sotto c'erano probabilmente dei cadaveri.
Per un attimo pensò di fermarsi qualche minuto nell'atrio per cercare di sapere qualcosa su quei morti, ma rinunciò subito. Probabilmente si trattava di ribelli rimasti uccisi nello scontro, e in ogni caso non valeva la pena di perdere tempo per dei morti. Erano i vivi che contavano, e soprattutto Noelle.
Salì fino al primo piano. Nel corridoio, con le spalle alla parete, una guardia armata di rivoltella fumava una sigaretta. Aveva i capelli rossi e appena un accenno di peluria sul mento. Vent'anni sì e no. Il giovane guardò Clive senza sospetto.
«Hai visto Henderson?» chiese il giornalista. Era la prima domanda abbastanza normale che gli fosse venuta in mente.
«Chi è Henderson?»
«Quel tipo alto con gli occhiali... Parla con l'accento dello Yorkshire...»
«Non lo conosco» rispose la guardia buttando sul pavimento il mozzicone di sigaretta e spegnendolo sotto il tallone. Poi guardò ancora Clive. «Tu non sei del mio gruppo.»
«No. Mi sono aggregato a Mayfair... C'era una gran confusione e io e Henderson ci siamo persi di vista.»
«Qual è il tuo gruppo?»
Bisognava rispondere subito e in maniera credibile. «Siamo con Smith, Quartiere Ovest.»
«Vuoi dire il gruppo di Bayswater, undicesima unità.»
«Esatto.»
Il giovane estrasse rapidamente la rivoltella dal fodero e la puntò contro Clive. «Sei un maledetto bugiardo, amico! Il gruppo di Bayswater corrisponde all'ottava unità e il suo capo si chiama Delancey, non Smith. A ogni modo so chi sei. Ti ho già visto... Eri uno dei luridi civili che abbiamo messo sotto chiave quando ci siamo impadroniti dell'albergo.» Gli occhi della guardia si posarono sulla fascia rossa che cingeva un braccio di Clive. «Sei una maledetta spia! Gregg sarà felice di vederti e di...»
Non riuscì a dire altro. Clive lo colpì di scatto allo stomaco, poi, mentre il giovane si piegava su se stesso, abbatté la mano di taglio sulla nuca. Adesso doveva fare in fretta. Raccolse la rivoltella, se la fece scivolare in tasca, e tentò la maniglia della prima porta. Chiusa. Chiusa anche la seconda, ma la chiave era nella toppa. Aprì cautamente e sbirciò nell'interno.
Le tre donne lo guardarono spaventate. Clive ebbe l'impressione di averle viste nell'atrio dell'Astoria.
«State calme» disse. «Sono dalla vostra parte... Soprattutto non fate rumore.»
Tornò in corridoio a prendere il corpo della guardia e lo trascinò nella stanza. Poi chiuse la porta a chiave.
«Dove sono le altre donne?» chiese.
«Non lo sappiamo» rispose una di loro con gli occhi rossi di lacrime. «Ci hanno divise in gruppi. Alcune delle più giovani sono state portate a un altro piano.»
Clive le osservò attentamente. Erano tutt'e tre di mezza età. Aveva la sensazione che una punta incandescente gli trapanasse il cervello.
«C'è il bagno?» chiese.
Gli indicarono una porta.
«Se sentite dei rumori non vi preoccupate» raccomandò trascinando il corpo della guardia nella stanza da bagno. «Devo cavare alcune informazioni da questo tipo. Se qualcuno cerca di entrare nella stanza, avvertitemi immediatamente. Possiamo tenerli a bada per un po'» aggiunse battendo una mano sul mitra.
Le donne fecero cenno di aver capito, e Clive raggiunse il prigioniero, chiudendo dall'interno. A fatica riuscì a mettere la guardia nella vasca da bagno. Poi aprì il rubinetto dell'acqua fredda.
«Amico» disse, appena il giovane accennò a muoversi, «avevo deciso di picchiarti a sangue come voi avete fatto con me, ma annegarti è un mezzo più pulito. Ti lascio persino la scelta: o parlare o respirare acqua, come preferisci.»
Fece un passo indietro, osservando il livello dell'acqua che saliva a poco a poco. Infine il prigioniero aprì gli occhi. Allora Clive cominciò il suo lavoro.
Un quarto d'ora più tardi uscì dalla stanza da bagno. Era pallidissimo.
«Ve lo lascio» disse alle donne. «È un po' giù di corda e non ci terrà a dimostrarsi combattivo. Tenetelo nella vasca da bagno, e se tenta di uscirne cacciategli la testa sott'acqua. Si calmerà subito.»
«Che cosa ne sarà di noi?» chiese una delle donne.
«Verremo a prendervi» rispose Clive. «Ci vorrà un po' di tempo, ma se state qui dentro e non aprite a nessuno non vi succederà niente. Aspettate con pazienza.»
«Dov'è mio marito?» chiese un'altra.
«Tutti gli uomini sono chiusi giù in cantina,» spiegò lui. «Sono sani e salvi.»
Uscì, e prima di allontanarsi aspettò di sentire il rumore della chiave girata nella toppa.
Si avviò per il corridoio, verso le scale che portavano al piano superiore. Aveva il gelo nel cervello e un sapore di veleno in gola. La giovane guardia aveva parlato, quando si era resa conto di quanto fosse precaria la sua posizione. Aveva detto che si trattava di una vera rivoluzione organizzata, e che parecchi attacchi ugualmente importanti si erano scatenati nello stesso tempo in tutta l'Inghilterra. I ribelli erano bene armati, e tra loro c'erano parecchi disertori delle Forze Armate, compresa l'Aviazione. Fra poco i rivoluzionari avrebbero avuto a disposizione anche qualche aereo. Non c'era un capo, aveva detto fra l'altro il prigioniero, ma una specie di comitato rivoluzionario i cui membri erano conosciuti con soprannomi come Plutone, Apollo, Mefisto. Dietro quel comitato però c'era qualcuno di più importante, un membro dello stesso governo, che si teneva pronto a emergere come vero capo della nuova repubblica non appena i rivoluzionari avessero riportato la vittoria. I cittadini che non erano rivoluzionari erano considerati nemici potenziali, per quanto gli ordini fossero di non usare violenza inutile e di limitarsi a far mantenere la neutralità ai borghesi che non facevano parte dei gruppi ribelli.
Ma quando Clive aveva chiesto delle donne il giovane era diventato evasivo. Non sapeva niente, lui era stato messo a sorvegliare gli uomini rinchiusi in cantina e non si era mai mosso di là. Ricordava la ragazza americana per averla vista nell'atrio dell'albergo, ma non sapeva dove fosse.
Clive salì lentamente al piano superiore mentre all'esterno rimbombavano, fortissimi, i primi colpi di cannone. Lì al secondo piano c'era la stanza di Beigal e di Ross. Se n'era dimenticato! Aprì la porta della stanza.
Beigal era disteso sul pavimento a faccia in giù. Il sangue colato dalla ferita alla testa aveva formato una pozza sul tappeto. Il corpo era rigido. Non vide Ross, ma una finestra era stata sfondata come se... Si affacciò. Due piani più in basso, una massa scura, immobile, spiccava sulle sbarre appuntite del muretto di cinta. Clive uscì dalla stanza e richiuse piano la porta. Il rumore degli spari nella strada era aumentato di intensità, e i colpi di cannone si susseguivano con maggiore frequenza.
Proseguì lungo il corridoio. E trovò Noelle. Gli occhi sbarrati della ragazza fissavano la finestra. Le avevano legato le mani dietro la testa, assicurandole alla sponda del letto con una delle sue calze di naylon passata prima attorno al collo. Forse si era strangolata da sola. Forse. La ricoprì con il lenzuolo, le diede un silenzioso addio sfiorandole le guance con le dita e uscì.
Adesso non pensava più, seguiva soltanto il suo istinto.
I suoi passi lungo il corridoio erano ritmati dagli spari. Non camminava in fretta. Non aveva premura, perché il futuro non esisteva, il tempo si era fermato, e gli uomini dovevano orientarsi in un mondo diverso, estraneo, sconvolgente. Perché il presente, appariva come visto attraverso uno spesso vetro, e anche Noelle sembrava lontana e sfocata come un sogno dimenticato.
Fu superato da quattro rivoluzionari armati di mitra, che entrarono in una stanza all'altro capo del corridoio. I suoi passi lo portarono fino all'uscio di quella stanza. Aprì la porta e fece scivolare dalla spalla la cinghia che sosteneva il mitra. Entrò. Si guardò attorno senza interesse. I quattro uomini, inginocchiati davanti alla finestra, sparavano nella strada. Uno si voltò. «Vieni avanti!» gridò. «Vieni qui. Quei bastardi stanno guadagnando terreno!» Era giovane, poco più di vent'anni.
Il cervello di Clive pulsava dolorosamente. Forse sei stato tu, pensò. Forse è stato uno qualunque di voi. O forse tutti! Siete tutti colpevoli. Io sono il vostro giudice e la vostra giuria, e vi dichiaro colpevoli. Tutti!
Premette il dito sul grilletto dello Sten, e lo tenne così finché il caricatore fu vuoto. Poi si accostò alla finestra scavalcando i corpi, e guardò giù. Un lungo convoglio di carri armati arrancava sulla piazza, e Green Park pullulava di divise nere dei Servizi Speciali e di tute mimetizzate dell'Esercito. Mentre guardava, alcune bombe, esplosero davanti all'ingresso dell'Astoria, poi dal parco avanzarono di corsa lunghe file di soldati muniti di maschere.
Clive scosse le spalle. Non aveva reazioni né sentimenti. Con gesti metodici raccolse i mitra dei quattro morti. Sapeva vagamente che le armi servivano, che lui aveva promesso ad altri uomini di procurarle, e che questi uomini aspettavano il suo ritorno giù in cantina.
Ho fatto tardi, pensò devo sbrigarmi.
Non riuscì a mantenere la sua promessa. Sull'ultima rampa di scale capitò in mezzo a un furioso corpo a corpo. I gas lacrimogeni lo presero alla gola e agli occhi, facendolo piangere e tossire. In mezzo al fumo vide confusamente un gruppo di militari attaccare la barricata davanti alla porta. Vennero abbattuti, ma subito altri presero il loro posto e riuscirono a passare.
Clive sedette su un gradino a pensare, tenendo i cinque mitra sulle ginocchia. Inutile ormai tentare di raggiungere la cantina. Fra pochi minuti le truppe avrebbero avuto ragione dei ribelli e i prigionieri sarebbero stati liberati. Tanto valeva aspettare lì, al riparo della parete.

Il viaggio in camion fu breve. Il campo dei prigionieri occupava una vasta distesa verde di Regent Park, cintata con filo spinato fin a un'altezza di tre metri circa. I camion scaricarono il loro carico umano, e i prigionieri vennero spinti a calci verso una stretta apertura del reticolato: l'ingresso del campo. Sei tende circolari servivano da uffici al personale. Dietro le tende quattro mitragliatrici protette da sacchetti di sabbia tenevano sotto tiro il campo.
Clive venne messo in fila con gli altri, davanti a una tenda dove un ufficiale dei Servizi Speciali interrogava i prigionieri. La fila avanzava lentamente, e passarono tre quarti d'ora prima che il giornalista arrivasse di fronte all'ufficiale in divisa nera seduto dietro un tavolo. Due militari lo perquisirono e gli rivoltarono le tasche. Trovarono soltanto un fazzoletto macchiato di sangue. Una delle guardie gli strappò dal braccio la fascia rossa con violenza tale che per poco non gli slogò una spalla.
L'ufficiale prese un cartoncino bianco da una scatola e si preparò a scrivere. «Nome?» chiese.
«Clive Brant.»
«Indirizzo?»
Le domande si susseguirono monotone. Clive declinò indirizzo, età, religione, professione (direttore di un programma televisivo). Infine gli venne chiesto nome e indirizzo di una parente prossimo. «Per il caso in cui doveste morire» aggiunse l'ufficiale senza cambiare tono.
Clive rivide Noelle come l'aveva vista l'ultima volta, ma l'immagine scomparve subito. Con strana riluttanza disse: «Il mio parente più prossimo è mia moglie, la dottoressa Pauline Brant, che fa parte del personale scientifico dell'Organizzazione Internazionale Ricerche Virus. Credo che adesso sia a Liverpool. Comunque potete sempre rintracciarla tramite l'OIRV.»
L'ufficiale depose la penna e lo guardò. «La dottoressa Brant sa di essere sposata a un criminale?» chiese.
«Non faccio parte dei ribelli» dichiarò Clive cercando di dominare la collera. «Sono stato fatto prigioniero da loro all'Hotel Astoria, ma sono riuscito ad aver ragione di una guardia. Non vi siete chiesto come mai non abbia addosso niente tranne un fazzoletto sporco di sangue?»
«Me lo sono chiesto. Sentiamo il perché.»
«Perché mi hanno rubato tutto, dopo avermi picchiato. Passaporto, portafogli, cinepresa, sigarette... tutto.»
«Che sfortuna!» esclamò l'ufficiale in tono annoiato. «Ce ne sono parecchi come voi, qui. Gente che cerca di salvare la pelle cambiando colore. Io penso invece che siate un ribelle, e credo che vostra moglie verrà cacciata dall'OIRV entro ventiquattr'ore, ammesso che ne faccia parte. L'Organizzazione ha corso un bel rischio ad avere una dipendente sposata a un tipo come voi.»
Le parole dell'ufficiale riuscirono infine ad abbattere la barriera di apatia che Clive aveva eretto a propria difesa e lui scoprì di essere furibondo e di non preoccuparsi affatto di quello che gli poteva capitare. Agendo d'impulso, sferrò un pugno sulla faccia ironica dell'altro, ed ebbe la soddisfazione di vedere l'ufficiale finire a terra con la sua sedia.
Fu un trionfo breve. Qualcosa di duro lo colpì alla testa con forza. Il mondo gli esplose nel cervello. Vide il cielo blu percorso da una grande nuvola bianca, poi al posto della nube comparvero tre facce, e la canna di un fucile sibilò nell'aria.

Cominciava a piovere. La nube bianca si era allargata e abbassata verso terra, e non era più bianca ma di un grigio scuro. Le gocce di pioggia erano grosse e tiepide, ma parvero fresche sulla pelle bruciante della sua faccia. Un tuono incessante percorreva l'aria. Poi Clive capì che non si trattava di un tuono ma di spari. Le gocce caddero più fitte ma non servirono a lenire l'intollerabile dolore che gli tormentava la testa. Un uomo di mezza età lo stava guardando. Aveva gli occhi gonfi, ma la sua faccia devastata manteneva un'espressione gentile.
«Come vi sentite?» chiese l'uomo.
Clive si guardò attorno. Era ancora nel campo, in mezzo a un'infinità di altri prigionieri. Oltre i corpi seduti o sdraiati sull'erba, vide il filo spinato, poi chiuse gli occhi nel tentativo di far diminuire il dolore.
«Siete fortunato a essere ancora vivo» continuò l'uomo. «Vi hanno conciato a regola d'arte. Come vi sentite?»
Clive tentò di sorridere e fece per mettersi seduto, ma non ci sarebbe riuscito se l'altro non gli si fosse inginocchiato accanto, aiutandolo.
«Mi chiamo Franklin» disse l'uomo. Guardò il cielo. «Ci mancava solo la pioggia per peggiorare le cose!»
A Clive però la pioggia piaceva. Agiva come un lieve antidoto al dolore. Non riusciva a trovare la forza necessaria per parlare, ma stare seduto lì, appoggiato a Franklin, gli faceva bene. Lontano, gli spari continuavano.
«Devono esserci circa duemila uomini in questo campo» disse Franklin. «Per lo più provengono dal West End. Sentite questi spari? Sono i nostri della cerchia esterna che avanzano da Hampstead. Saranno a un chilometro e mezzo da qui. Saremo di nuovo liberi prima di notte. Qualcuno però sta già parlando di scappare. Loro hanno le mitragliatrici, ma noi siamo molti di più.»
Clive cercò di alzarsi, e con l'aiuto di Franklin riuscì a mettersi in piedi e a mantenere l'equilibrio. Ritto poteva farsi un'idea più precisa del posto. Franklin aveva parlato di duemila prigionieri. Sì... forse aveva calcolato giusto. Due terzi del campo erano affollati di prigionieri. Il resto dello spazio era occupato dalle tende e dalle mitragliatrici. Altre guardie facevano servizio di pattuglia all'esterno del reticolato. Su una piattaforma, due camion muniti di fari mobili stavano facendo manovra: le guardie del campo si preparavano per la sorveglianza notturna. Era facile parlare di fuga, ma anche protetti dal buio sarebbe stato un suicidio di massa.
«Che ore sono?» domandò Clive.
«Di preciso non lo so» rispose Franklin. «Deve essere passato da poco mezzogiorno, direi. Vorrei che smettesse di piovere!»
Nuovi prigionieri facevano la fila davanti alla solita tenda dopo essere scesi da due camion appena arrivati. Degli altri, molti si erano alzati dall'erba ormai fradicia d'acqua. Accompagnato da Franklin, Clive fece il giro del campo, ascoltando i discorsi e fermandosi di tanto in tanto a scambiare poche parole. Si diceva che gli insorti si erano impadroniti della stazione televisiva di Crystal Palace. Erano anche penetrati nelle stazioni della metropolitana che offrivano un ottimo rifugio contro le bombe sganciate sopra i quartieri generali dei vari gruppi rivoluzionari. I ribelli inoltre avevano sistematicamente distrutto tutti i centri d'isolamento incontrati sulla loro strada.
In generale Clive ebbe l'impressione che i prigionieri fossero ottimisti, e che tutti aspettassero ansiosamente qualcosa.
Lui si identificava con loro solo nell'attesa. Non pensava più a Noelle, e quando la sua immagine gli tornava alla mente, la ricacciava con forza. Non poteva cambiare il passato, e il presente richiedeva sangue freddo e niente sentimentalismi.
Circa due ore più tardi, dopo un breve intervallo nella sparatoria le detonazioni ripresero più vicine. Molto più vicine. I ribelli dovevano già essere nel parco e ormai era questione di minuti. Poi avrebbero abbattuto il filo spinato che cintava il campo e...
All'improvviso un razzo esplose sopra le tende. Istintivamente Clive si buttò a terra trascinando con sé Franklin.
Le mitragliatrici aprirono il fuoco prima ancora che lui avesse toccato terra, e nello stesso tempo presero a sparare anche le pattuglie esterne. Per un attimo il fragore degli spari fu coperto dalle urla dei prigionieri chiusi lì dentro in trappola. Poi le raffiche delle mitragliatrici e i colpi più lenti dei fucili coprirono l'agonia degli uomini. Clive giaceva immobile, rigido, appiattito contro il suolo, e aspettava i proiettili che avrebbero concluso tutto.
Durò un'eternità. Ci vuole molto tempo per uccidere duemila uomini, pensò Clive. Le dita che il giornalista stringeva attorno al braccio di Franklin erano bagnate, ma non di pioggia. Il liquido che gli scorreva sulla mano era caldo e appiccicoso. Frenò l'impulso di girare la testa per guardare il compagno: il più piccolo movimento avrebbe attirato una scarica di proiettili. Trattenne il respiro cercando di non tremare. Poi gli spari cessarono e un attimo dopo si sentì il rumore delle motociclette e dei camion messi in moto.
Passarono ancora una decina di minuti prima che Clive osasse muoversi. Infine si puntellò su un gomito, e guardò in giro, Franklin era morto. Attorno, duemila uomini sembravano dormire, sdraiati nelle posizioni più diverse, soli o ammassati sugli altri, e sopra di loro una nuvola rossa li aveva inzuppati di pioggia color cremisi.
Lentamente Clive si alzò in piedi. Dovevano esserci altri sopravvissuti, pensò. Su duemila uomini qualcuno doveva essersi salvato. Cominciò a muoversi per il campo, in mezzo ai corpi, alla ricerca di qualche segno di vita. Stava ancora cercando quando arrivarono i primi camion degli insorti.

13

Finito il periodo di quarantena, il dottor Vincent tornò al centro sotterraneo dell'OIRV vicino a Brierley, Lo accolse il dottor Youde, stranamente abbronzato nonostante le settimane vissute al rifugio. «Lampada a raggi ultravioletti» spiegò il direttore del centro, in tono quasi di scusa. «Vivendo in un'atmosfera artificiale mi è sembrato che fosse un bene...» Si sistemò gli occhiali con gesto nervoso.
«Certo» disse Vincent. In fondo Youde aveva il diritto di conservarsi l'abbronzatura se ci teneva. «Si sono fatti progressi per gli antibiotici?»
«Gli americani continuano gli esperimenti con virus mutati da bombardamento di particelle radioattive, nella speranza di produrre un virus che abbia le stesse caratteristiche immunizzanti del Bi-A senza rendere il vaccinato portatore di A-Bi. In altre parole una specie di virus Bi-A stabile che non si scinda nelle due forme.»
«Hanno ottenuto qualche successo?»
«Ci hanno inviato campioni vivi di un virus che sembra rispondere alle caratteristiche richieste. Ha una struttura Bi-A non isomerica ed è estremamente virulento. Viene definito Bi-A-Esse, cioè Bi-A stabile.»
«Molto bene!»
«Sì, ma è meglio non essere troppo ottimisti» disse Youde. «Siamo ancora in via sperimentale e alcuni particolari devono essere studiati a fondo. Ad esempio, la struttura molecolare del nuovo Bi-A-Esse differisce lievemente da quella del Bi-A, e lo rende incompatibile con gli anticorpi dei soggetti infettati da virus innocuo. Cioè, il vaccino produce una reazione che distrugge i globuli rossi e provoca una forte anemia.»
«Forte fino a che punto?» chiese Vincent accendendo la pipa.
«Non lo sappiamo. Gli effetti variano da un individuo all'altro e dipendono dal gruppo sanguigno e da altri fattori. In molti casi potrebbero essere fatali. I colleghi americani raccomandano di effettuare un cambio completo del sangue qualora il vaccino debba venire inoculato a personaggi importanti che abbiano contratto virus Bi-A. Così si presenta il problema del rifornimento di sangue assolutamente libero da virus in modo che il Bi-A-Esse possa produrre il giusto tipo di anticorpi.»
«Mi sembra una cosa complicata.»
«È un trattamento che può essere applicato a un numero molto limitato di soggetti.»
«Capisco» mormorò Vincent. «Ragionando ottimisticamente, significa che la classe dirigente potrà uscire dai rifugi e che la guerra civile cesserà perché non avrà più ragione di essere.»
Youde sorrise. «Teoricamente è così. Gli insorti perderanno certo il loro più grande vantaggio: la vulnerabilità del governo costretto a stare tappato nei rifugi sotterranei. Ma non è detto che la guerra civile finisca.»
«E qual è il nostro programma, professor Youde?»
Youde si sistemò più comodamente nella sua poltrona. Disse che l'OIRV e tutti i laboratori dell'Organizzazione dovevano concentrare le loro energie nella produzione di vaccino BA-S, servendosi dei campioni inviati dall'America come colture. Appena una certa quantità di vaccino era pronta, doveva immediatamente venire distribuita ai centri di isolamento, dove i medici dell'OIRV avrebbero provveduto a vaccinare gli ospiti dei rifugi. Entro quarantott'ore dalla vaccinazione, l'immunità poteva considerarsi acquisita. Due giorni dopo quindi i rifugi sarebbero stati aperti, ed evacuati sotto la protezione delle Forze Armate. Una volta tornato in superficie il governo, tutta l'organizzazione militare poteva essere concentrata contro i rivoluzionari e in pochi giorni l'insurrezione sarebbe stata domata.
«Quali disposizioni sono state prese per ovviare ai casi di anemia da Bi-A-Esse, dato che, trattandosi di un virus, l'infezione si spargerà anche tra i ribelli?»
«Ci rivolgeremo alle banche del sangue» rispose Youde. «Verrà lanciato un appello su scala nazionale per i donatori di sangue, per quanto sarà molto difficile trovarne di liberi da virus. Inoltre, molti ospedali specializzati nei casi da virus dovranno occuparsi esclusivamente dell'anemia dei soggetti Bi-A.»
«Io sono un Bi-A. Cosa farò?»
Youde prese una cartellina da un cassetto e ne sfogliò il contenuto. «Se vi assegno alle ricerche sul Bi-A-Esse correte il rischio di mettervi nei guai con la storia dell'anemia prima che ci sia organizzati per difenderci. Preferirei segregarvi per un paio di settimane. Sto convogliando tutto il personale ex Bi-A a Bedford, e spero di ottenere un rifornimento di sangue sufficiente per tutti nei prossimi giorni, poi si procederà per la vaccinazione di Bi-A-Esse.»
«Cosa fanno a Bedford?» chiese Vincent.
«Si occupano di statistiche.»
«Quando volete che parta?»
«Al più presto possibile. Domani, se riesco a organizzare la scorta militare. Bedford è controllata dai ribelli, ma le truppe assediano la città. Forse un paio di carri armati possono arrivare al nostro Centro indisturbati.»
«Be', meglio che vada a preparare la mia roba, allora.»
«Vi avvertirò appena saprò qualcosa di preciso.»
Vincent uscì dall'ufficio del direttore cercando di fare mentalmente il punto della situazione. In futuro gli storici avrebbero avuto un bel rompicapo da risolvere per stabilire perché mai la razza umana non aveva avuto il coraggio di affrontare quella catastrofe con dignità. Vincent si strinse nelle spalle. Non era possibile giudicare obiettivamente quando si viveva così alla giornata.
Nel suo laboratorio, sollevò il ricevitore del telefono e disse al centralino di metterlo in comunicazione con la dottoressa Brant, alla Zona M 45 di Liverpool. La centralinista lo richiamò dopo tre minuti. «Mi dispiace» disse, «ma tutte le linee per Liverpool sono state interrotte. Posso far passare la vostra telefonata da Manchester, ma c'è un ritardo di sei ore sulle prenotazioni, anche per chiamate con priorità.»
«Grazie. Lasciate perdere» rispose Vincent. Riattaccò e accese la pipa. Era demoralizzato.

Il capitano Villier stava riordinando i messaggi appena arrivati per telescrivente, Guardò Pauline, entrata in quel momento, e le sorrise. «Sedetevi» disse. «Sarò da voi tra un secondo.»
Lei si sedette; e il capitano continuò a sfogliare i telescritti. Poi Villier le tese uno dei messaggi già decifrati. Conteneva le istruzioni del Quartier Generale dell'OIRV di Brierley riguardo al nuovo vaccino BA-S sul quale Pauline aveva ricevuto un breve rapporto qualche giorno prima.
Un certo quantitativo di vaccino era pronto per essere distribuito ai centri di isolamento e doveva essere usato secondo le istruzioni non appena entrato in possesso dei medici. Un grave problema però era costituito dai mezzi per fare arrivare i rifornimenti di vaccino date le continue attività dei ribelli e l'impraticabilità delle grandi strade di comunicazione.
Si proponeva di distribuire il vaccino paracadutandolo da elicotteri o da altri aerei nelle zone-chiave. Pattuglie delle Forze Armate avrebbero poi provveduto a consegnare i rifornimenti ai centri ancora raggiungibili. Dove si riteneva di incontrare una forte opposizione di guerriglieri, sarebbe stata disposta una vera operazione militare su vasta scala per permettere l'arrivo a destinazione del vaccino.
Quarantott'ore dopo la consegna del medicinale ai centri, le locali truppe di protezione, appoggiate da aerei dove era necessario, avrebbero iniziato una poderosa offensiva contro i rivoluzionari. Grazie a un nutrito fuoco di copertura, i centri sarebbero stati evacuati, e i loro occupanti avrebbero subito raggiunto sotto scorta diversi punti segreti da dove sarebbero stati convogliati in seguito verso le rispettive destinazioni con mezzi di trasporto terrestri o aerei. Qui la classe dirigente inglese avrebbe aspettato il momento in cui l'attacco in massa contro i ribelli si sarebbe concluso con la vittoria.
Una nota finale specificava che i rifornimenti di viveri, armi, ed equipaggiamenti, dovevano venire sgomberati dai centri, e dove questo fosse stato impossibile, distrutti perché non cadessero in mano al nemico. Non appena evacuati i centri, squadre speciali li avrebbero fatti saltare con cariche di esplosivo.
Pauline restituì il messaggio a Villier. «Pare che abbiano organizzato tutto molto bene» commentò.
«Così sembra. Quel vaccino... sarà davvero efficace?»
«Non se ne sa molto. È stato scoperto in America ed è una mutazione stabile del virus Bi-A.»
«Speriamo bene» disse Villier. «L'idea di dover stare in queste tane per conigli altri tre o quattro mesi...»
«Noi siamo stati più fortunati di altri» osservò Pauline.
«Solo perché ci troviamo sotto una solida postazione militare al centro di Newsham Park, e le armate ribelli non sono riuscite a superarne gli sbarramenti.» Prese dal mucchio di telescritti un fascio di fogli. «Questi sono resoconti di rapporti segreti fatti dal servizio di spionaggio. I ribelli sono padroni di quasi tutta Londra e di una fascia lungo il Tamigi, che va da Hampstead a Waterloo. Lungo l'altro lato del fiume hanno occupato il tratto da Greenwich a Battersea. Hanno nominato un Governo Provvisorio Federale che risiede nella sotterranea, e precisamente nella stazione di Liverpool Street.»
«Pare incredibile!» esclamò Pauline.
«C'è dell'altro» continuò Villier. «In tutti i centri urbani in cui si sono stabiliti, Nottingham, per esempio, Doncaster, buona parte di Liverpool, Manchester, e Birmingham, e nelle zone rurali, hanno abolito il razionamento dei viveri, e hanno emesso una nuova moneta. Le vecchie banconote non hanno più valore, e quindi non vengono più accettate. Anche le monete d'argento e di rame sono state sostituite da cartamoneta.»
«E perché?» chiese Pauline stupita.
«Lo scopo è in parte propagandistico. Possono sostenere di aver messo fine a un razionamento applicato con sistemi discriminanti. E l'emissione di nuove banconote permette loro di tenere sotto controllo la popolazione locale che dovrà continuare il suo lavoro o unirsi ai ribelli, se vuole vestirsi e mangiare, perché non c'è altro mezzo per procurarsi denaro di nuovo conio.»
«Un provvedimento che non dovrebbe conquistarsi popolarità» commentò Pauline.
«Pare che il loro governo federale abbia intenzione di abolire del tutto il denaro, in seguito. Viveri e altro verrebbero elargiti dal nuovo Stato quale compenso per il lavoro svolto o i servizi prestati. Alla fine, se saranno i ribelli a vincere, si accorgeranno di non aver vinto affatto!»
«Quando comincerà la consegna del vaccino e l'evacuazione dai centri?»
«Non lo so» rispose il capitano. «Prevedo però che i medicinali arriveranno domani, e fra due giorni si inizierà l'evacuazione. Un elicottero può atterrare facilmente e Newsham Park, dove la zona è ben protetta dalle truppe. Ma anche se ci fosse ancora qualche giorno di tempo, è opportuno iniziare subito i preparativi. Ci sono da impacchettare le scorte di viveri e le attrezzature. E anche i civili dovranno preparare al più presto i loro effetti personali.»
«Solo per smontare il laboratorio ci vorranno almeno dodici ore» osservò Pauline.
«Non vi preoccupate. Vi assegnerò qualcuno dei miei uomini per i lavori più pesanti. Saranno contenti di avere qualcosa da fare, dopo settimane e settimane di inattività.»
«Grazie, Alan» mormorò Pauline. «Siete un caro ragazzo.»
«Anche voi siete una cara ragazza» ribatté Villier guardandola fisso. «Ma troppo torre inespugnabile per le mie possibilità.»
«È della vostra amicizia che ho bisogno, Alan» sospirò Pauline alzandosi.
Il capitano Villier le andò accanto e si chinò a sfiorarle una guancia con un bacio. «Mi accontento» disse. «Amici, ma non di più. Pazienza.»

Come aveva previsto il capitano Villier, il vaccino venne recapitato il giorno seguente.
Una piccola fiala verde che conteneva una quantità di pasta gialla appena sufficiente a coprire uno scellino. Ma era tutto virus vivo, e andava diluito in una sostanza salina. Pauline lavorò ininterrottamente per dodici ore a praticare vaccinazioni. Intanto una squadra di soldati smontava l'attrezzatura del laboratorio imballandone le varie parti in casse di legno. All'una dopo mezzanotte Pauline finalmente si autovaccinò e andò a letto.
Durante la notte fu svegliata da un'incursione aerea sopra la base militare di Newsham Park. Ma era troppo stanca per preoccuparsi.
Al mattino il capitano Villier entrò nel laboratorio quasi completamente vuoto. «L'ora zero è fissata per le dieci di questa sera» annunciò. «Dovevamo dare inizio all'evacuazione alle quattro del pomeriggio, ma gli avvenimenti di questa notte hanno consigliato un ritardo di sei ore.»
«Quali avvenimenti?»
«Non avete sentito il bombardamento?»
«Sì, ma...»
«Gli insorti hanno guadagnato terreno. Sono avanzati fino a Kensington e sulla Prescot Road. E a circa mezzo chilometro da qui, all'imbocco della Sheil Road, ci sono i loro carri armati.»
«Oh! L'avanzata continua?»
«In questo momento sono fermi. Sono stati bloccati dai mortai e da mine anticarro. Noi ci muoveremo approfittando del buio.»
«Se ce lo permetteranno» disse Pauline.
«Credo che potremo tenere le posizioni per la maggior parte della notte, nonostante le loro superiorità aerea.»
«Ma come è possibile?» chiese Pauline, sbalordita.
«Com'è possibile che abbiano una superiorità aerea?»
«Sì...»
«Ci sono molti disertori nell'Aviazione, e si dice che apparecchi ed equipaggi francesi si siano uniti a loro. Pare che anche l'Italia sia in mano ai rivoluzionari. Il governo tedesco e quello spagnolo invece resistono ancora.»
L'Europa intera nel caos! Pauline chiuse gli occhi.
«Ma i francesi non hanno il diritto di interferire!» esclamò. «Ogni nazione deve risolvere da sé i suoi conflitti interni.»
«In teoria» ribatté Villier. «Ma le rivoluzioni scoppiate praticamente in tutti i Paesi hanno assunto un carattere internazionale.»
«Una specie di Proletari di tutto il mondo unitevi!»
«Non esattamente. Anche nell'Unione Sovietica è scoppiata la rivoluzione. È un movimento di popoli contro i governi, comunque siano. Be'... ricordatevi che l'esodo è fissato per le dieci, salvo ulteriori ordini.»
«Non lo dimenticherò.»
Già sulla porta, Villier si voltò per chiedere: «Avete febbre?»
«Qualche linea, come tutti, dovuta alla reazione del vaccino. Ma sta calando.»
«Almeno la faccenda del virus è risolta. Adesso ci si può concentrare sulla lotta.»
La giusta osservazione di un militare, osservò Pauline.
L'evacuazione si svolse tranquillamente nonostante i colpi di mortaio e le incursioni aeree.
Valeva la pena di correre qualche rischio per trovarsi di nuovo all'aria aperta. Era una bella notte stellata, con un quarto di luna appeso all'orizzonte.
Non ci fu molto tempo per guardarsi attorno prima di salire sui camion militari. Su ogni mezzo presero posto una quarantina di persone tra uomini, donne e bambini, e appena completato il carico gli autocarri si mossero adagio sul terreno sconnesso e proseguirono ad andatura moderata fino alla strada. Il viaggio durò due ore, con qualche sosta dovuta a motivi tattici. Ogni tanto, qualche esplosione vicina, alla quale rispondeva subito il fuoco dei carri armati di scorta e delle automatiche delle pattuglie. E finalmente il convoglio raggiunse la sua destinazione.
Scesi dal camion, vennero divisi in gruppi secondo la loro professione, e Pauline fu avviata a una baracca destinata al personale dell'OIRV dove si trovò con una ventina di colleghi intenti a rifocillarsi con caffè e biscotti. Tra gli altri c'era un certo Rogerson, che Pauline conosceva bene per averlo incontrato spesso a Brierley. Rivolse a lui le sue domande.
Rogerson sorrise alla sua ansia di avere notizie. «Ne so tanto quanto voi, Pauline» rispose. «So soltanto che stanno raggruppando tutto il personale dell'OIRV, sparso nei vari centri d'isolamento appena questi vengono evacuati, e che intendono rimandarci a Brierley.»
«Ma le strade non sono bloccate?»
«Sì. Useremo gli aerei.»
«Ho capito. Dove siamo adesso?»
«A tre chilometri dall'aeroporto Speke. Un apparecchio si tiene pronto a decollare non appena ci saremo tutti.»
«E quando sarà?»
Rogerson si strinse nelle spalle. «Dipende da come procederà il programma di evacuazione. Per ora pare che vada tutto bene, per quanto un paio di convogli abbiano dovuto sostenere uno scontro con i ribelli. Ci sono stati tre morti tra il personale dell'Organizzazione, questa notte.»
«Sembra tutto così assurdo!» sospirò Pauline.
«Mai nella storia dell'umanità un movimento rivoluzionario ha avuto come adesso la possibilità di impadronirsi del potere approfittando del fatto che i governi si erano tappati sotto terra. Ma secondo me hanno aspettato troppo. Ormai non possono più vincere.»
«Spero che sia così, ma non ne sono convinta.»
Nelle due ore seguenti arrivarono altri quattro medici, e verso le tre del mattino tutti vennero convogliati all'aeroporto dove un aereo di tipo militare, trasformato per l'occasione in trasporto passeggeri, decollò mezz'ora dopo il loro arrivo, e puntò su Londra volando a una quota di cinquemila metri.

«Allacciare le cinture di sicurezza!»
L'aereo aveva sbandato di colpo, e per poco Pauline non era stata sbalzata dal sedile. Un'altra esplosione, e il pesante apparecchio scivolò d'ala.
Terrorizzata, Pauline annaspò alla ricerca della cintura e se l'assicurò alla vita. Dal suo finestrino non si vedeva il suolo. Il buio veniva a tratti illuminato dalle vampate della contraerea. Ancora uno scossone.
«Hanno colpito un motore» disse qualcuno.
Poi si aprì la porta che dava nella cabina di pilotaggio, e un ufficiale, forse il navigatore, s'affacciò, appena riconoscibile nella debole luce.
«Non c'è motivo di allarmarsi» disse. «Il motore di destra è stato colpito, ma possiamo farcela con l'altro. Siamo a sette chilometri dall'aeroporto di Northolt. Il peggio che ci può capitare è un atterraggio in aperta campagna. Tenete agganciate le cinture. Non c'è pericolo.»
Finito il suo discorso, l'ufficiale rientrò in cabina sbattendosi la porta alle spalle. Pauline sedeva rigida, con gli occhi fissi alle fiamme che si levavano dal motore e turbinavano nel vento. L'aereo diminuiva di quota, e adesso si vedeva il suolo, nero e uguale nella luce grigia dell'alba.
Al primo contatto col terreno l'aereo si piegò di lato, sbandando pericolosamente, poi scattò in avanti sotto la spinta del motore e si rialzò di poco. Tornò a toccare il terreno con violenza, e Pauline sentì la pressione della cintura di sicurezza contro il suo corpo. Infine l'aereo prese a procedere a scossoni sull'erba, e finì la sua corsa dopo aver girato lentamente su se stesso. La punta di un'ala si conficcò nel terreno morbido, e con un ultimo sussulto l'apparecchio si immobilizzò, il muso affondato nel campo di grano.
Qualcuno spalancò subito il portello di coda, e due o tre uomini saltarono da un'altezza di tre metri abbondanti, senza aspettare che venisse aperto il passaggio più agevole dalla cabina dei piloti. Pauline si mise in fila con gli altri, e quando venne il suo turno qualcuno, forse uno dei piloti, l'aiutò a uscire dal portello. Si trovò in piedi in mezzo al grano.
«Dobbiamo essere tra Rickmansworth e Ruislip» disse il pilota.
«Territorio in mano ai ribelli o ai nostri?» chiese uno dei passeggeri.
«Non lo so. Speriamo di trovarci fra i nostri. Tirate giù i bagagli.»
Il portello del bagagliaio venne aperto, e si stava procedendo allo scarico delle valigie quando un raggio di luce improvviso si accese nel campo, seguito da un fischio acuto. Qualche secondo più tardi la voce metallica di un altoparlante annunciò: «Mettetevi tutti in fila, tenete le mani alte sopra la testa!»
Un mitra sparò in aria una raffica di intimidazione.
«Non vi muovete, se ci tenete alla pelle» riprese la voce. «Siete prigionieri di guerra, ma non vi potete appellare alle convenzioni di Ginevra, questa volta. Perciò attenti a quello che fate!»
Dietro al raggio di luce alcune figure indistinte si avvicinarono all'apparecchio.

14

Roger Snell aveva l'aspetto di un normale impiegato, con quelle spesse lenti dalla grossa montatura di corno. Ma non era un impiegato: Roger Snell indossava una vecchia divisa kaki, e attorno a un braccio portava una fascia rossa sulla quale era disegnata la lettera C. Quella lettera, pensò Clive, probabilmente significava Comandante di Zona, dato che Snell comandava gli insorti di Londra e dei dintorni.
La stanza in cui si trovavano era un ampio locale ammobiliato con un certo lusso, e faceva parte di un appartamento al primo piano di un albergo vicino a Russel Square. Clive aveva passato due giorni in una stanza di quello stesso albergo per riprendersi dalla violenta scossa fisica e mentale. Due ragazze, con tutta probabilità due infermiere, per quanto non indossassero la divisa, e un medico anziano, si erano presi cura di lui, e delle sue ferite, non gravi ma dolorose: l'ecchimosi alla faccia, un profondo taglio di baionetta a una coscia, e una scheggia di proiettile in una spalla.
Lì al quartier generale, gli insorti si comportavano come esseri umani, senza violenza, né brutalità. Era stato interrogato da alcuni ufficiali, ma tutto si era svolto in maniera regolare. Adesso era lì, di fronte a Roger Snell, uno dei promotori del movimento rivoluzionario. Un uomo molto istruito, gli avevano detto, che si comportava sempre lealmente con chi era leale con lui.
«Signor Brant» disse Snell, dopo aver letto il rapporto che gli avevano fatto i suoi ufficiali «da quanto vedo non siete uno dei nostri.» Clive fece cenno di no con la testa. «Ciononostante» riprese Snell, «eravate prigioniero in un campo dei Servizi Speciali, e siete uno dei cinque superstiti del massacro di Regent's Park. L'esperienza che avete vissuto non deve aver rafforzato la vostra fede nei cosiddetti difensori della libertà.»
«No, infatti. Però nemmeno i rivoluzionari ubriachi che hanno ucciso la mia fidanzata dopo aver abusato di lei mi hanno spinto ad aver fede nella rivoluzione.»
«Sono dolentissimo per quello che avete dovuto subire» rispose Snell. «Quando la legge e l'ordine vengono infranti, si trovano sempre, in qualunque campo, dei miserabili ubriachi pronti ad approfittare di ogni situazione. Voi mi sembrate una persona intelligente, signor Brant, e capirete che c'è differenza tra l'abusare di una donna in un momento d'esaltazione, e lo sterminio a sangue freddo di duemila prigionieri.»
«Qualunque società civile li deve considerare entrambi come i peggiori crimini» disse Clive.
«È difficile considerare civilizzata una società sconvolta da una guerra civile» commentò Snell.
«È la solita vecchia storia» sospirò Clive. «Una parte giustifica e autorizza le proprie atrocità, condannando quelle commesse dalla parte avversa. Io non riesco a giustificarle, né da una parte né dall'altra, e sono convinto che nessuno può sperare di guadagnarsi le simpatie delle masse commettendo atti di violenza.»
Snell sorrise. «Al punto in cui siamo» disse, «non abbiamo bisogno di simpatia, ma di mantenere neutrali coloro che non sono ancora rivoluzionari.»
«Ammesso che vinciate» disse Clive, accettando la sigaretta che Snell gli offriva, «che cosa succederà?»
«Non ammesso, signor Brant, perché noi dobbiamo vincere» rispose l'altro. «Nell'ultima guerra io ero ufficiale, e come tale ho seguito un duro addestramento nel quale mi hanno insegnato che prima di ogni assalto un buon ufficiale deve ripetersi: Dobbiamo avanzare e distruggere il nemico. È esattamente quello che intendiamo fare. Dobbiamo annientare la vecchia classe dirigente che si è rintanata nei rifugi a prova di virus, e creare un nuovo Stato, fondato su nuovi principi e nuovi concetti della responsabilità sociale. Noi riteniamo che tutto quello che un uomo riesce a conquistarsi, tra il momento della nascita e quello della morte, deve venirgli esclusivamente dal suo contributo alla società. Queste devono essere le basi per un nuovo sistema di vita.»
Clive trattenne un sospiro di scetticismo. Tutto molto bello, in teoria, ma gli pareva già di vedere i numerosi problemi che avrebbero accompagnato l'applicazione pratica di quei principi.
«Chi deciderà quanto sia utile un individuo e quanto valgano i suoi sforzi verso la società?» chiese. «Sono parecchi i modi in cui un uomo può produrre. Un musicista che compone una sinfonia lavorandoci un anno, alla sua maniera può essere più produttivo di un operaio che in un giorno stringe ventimila bulloni.»
«Date le condizioni in cui è ridotto il mondo» disse Snell, «con la popolazione diminuita del cinquanta per cento, per i prossimi vent'anni saranno più utili i bulloni delle sinfonie. Abbiamo in mente un vasto programma di sviluppo industriale, e temo che resterà poco posto per la cultura in senso stretto. La cultura è un lusso, signor Brant, e temo che per parecchio tempo non ce lo potremo permettere.»
«Credo che sarebbe così comunque finisca la rivoluzione» disse Clive. «Nessun governo potrebbe evitare di concentrare le forze della nazione sull'industria e sul commercio. Ma, francamente, non vedo come io personalmente possa entrare a far parte del vostro nuovo mondo.»
«Nessuno vi ha offerto di farne parte» osservò Snell. «Ma siamo sempre disposti ad accettare nuove reclute che abbiano la giusta disposizione mentale.»
«Per il momento la mia disposizione mentale è l'odio contro tutti» disse Clive. «Oppure no, meglio dire un'assoluta apatia verso tutto e tutti.»
«È un buon inizio» ribatté Snell. «La creazione dell'universo cominciò dal vuoto assoluto e guardate un po' i risultati!» Scelse un foglio tra le carte che ingombravano la scrivania. «Vedo che avete esperienza giornalistica, e di alto livello.»
«Già» disse Clive.
«Dovremo formare un Ministero delle Informazioni, e tenere sotto controllo dello Stato giornali, radio e televisione. Abbiamo quindi bisogno di gente che sappia il fatto suo.»
«E che cosa dovrei fare, nel caso in cui mi unissi a voi?» domandò Clive.
«Questo verrà deciso al momento opportuno. All'inizio potrete assistere agli interrogatori dei prigionieri, e aiutare il nostro personale a interpretare le informazioni che ci arrivano da diverse fonti, compresa l'intercettazione di trasmissioni radio e di messaggi inviati per telescrivente. In seguito potreste assumere la direzione di un giornale o essere incaricato di dirigere la televisione. Credo che abbiate qualche esperienza anche in questo genere di lavoro...»
«Sì» rispose Clive, con amarezza. «Ho fatto qualche esperienza.»
«Bene. Adesso dipende da voi.»
In un mondo in disgregazione era pericoloso prendere posizione. Ma lo era anche il non prenderla. In quel mondo Clive si sentiva un'ombra senza passato, in bilico su una rampa surrealista in eterno movimento. Però anche per un'ombra era importante riuscire a sopravvivere schierandosi dalla parte del vincitore. Ammesso che si potesse decidere senza errore chi avrebbe vinto.
Lì, nel mondo del signor Snell, lui avrebbe dovuto obbedire agli ordini. E in un altro mondo?
«Allora, cos'avete deciso?» chiese Roger Snell.
«Io sono un tipo pratico» rispose Clive. «Nella vecchia società occupavo un posto direttivo, e non vedo perché non debba essere lo stesso in una società nuova, se questo è possibile. D'altra parte non sono pienamente convinto che la rivoluzione avrà successo. Parlo in termini internazionali più che nazionali. Una volta risolto il problema dell'epidemia, può darsi che i governi di tutto il mondo uniscano le loro forze per organizzare e promuovere una controrivoluzione su basi mondiali.»
«È possibile infatti» ammise Snell. «Abbiamo intercettato messaggi che non lasciano presagire niente di buono, e suggeriscono appunto l'idea di una controrivoluzione su scala mondiale, appena passata la minaccia del virus. Inoltre abbiamo motivo di pensare che una specie di vaccino sia già stato distribuito tra il nemico, perché i centri di isolamento sono stati evacuati con una massiccia operazione militare.»
«Capisco» mormorò Clive, ripreso da dubbi e ripensamenti. Ma doveva decidersi in fretta. In quel momento era lì, chi comandava era Snell. Era dunque Snell l'uomo da assecondare e da rassicurare sulla conquista della causa del signor Brant, nell'interesse, naturalmente dello stesso Brant.
«Entro tre settimane dovremo avere il controllo di tutto il Paese» riprese Snell. «Ma possiamo contare sugli alleati.»
«Quali alleati?» domandò Clive.
«Abbiamo già ricevuto aiuti da altri Paesi nei quali la rivoluzione ha vinto. Diversi aerei dell'aviazione francese stanno già operando al nostro fianco, e ci sono stati promessi appoggi da altre nazioni europee.»
Clive lo guardò perplesso. «La faccenda ha proporzioni più vaste di quanto immaginassi» commentò.
«E diventerà ancora più grande di quanto potessi immaginare io» disse l'altro. «Dunque, signor Brant, o state con noi, o contro di noi. Cosa decidete?»
«La ponete come se fosse una questione di vita o di morte.»
«Non nel senso che date voi a questa frase. Noi non ammazziamo i nostri prigionieri, come fanno i Servizi Speciali.»
«Per lo meno fuori dalle camere d'albergo, volete dire» ribatté Clive. «Be', io non faccio la passione né per i rivoluzionari né per i Servizi Speciali, ma non ho mai approvato l'atteggiamento del governo verso la minaccia dell'epidemia. Non mi piace come hanno disposto il razionamento, e non mi piacciono quelli dei Servizi Speciali. In altre parole, sto con voi.»
«Molto bene» disse Snell, osservandolo attentamente. «Verrete assegnato al nostro personale d'informazione, sotto il comando di Vaughan. Prenderete gli ordini da lui. Il vostro incarico sarà quello di cavare più informazioni possibili ai prigionieri, soprattutto quando si tratta di gente in posizione tale da conoscere piani del nemico. Vaughan vi dirà quali metodi usiamo. Non sono inumani, ma non sono nemmeno troppo teneri. Dopo tutto questa è una guerra, e per noi si tratta veramente di vita o di morte.»
«Capisco» mormorò Clive, senza entusiasmo.

«Interrogare i prigionieri non significa semplicemente rivolgere loro delle domande» disse Vaughan. Era piccolo, sui cinquant'anni, e il suo elegante vestito grigio gli conferiva l'aspetto di un professionista. Fumava sigarette con un piccolo bocchino d'argento, e aveva l'irritante abitudine di passare incessantemente il pollice sulla punta delle dita come se volesse saggiare la resistenza delle unghie.
L'ufficio di Vaughan era piccolo ma comodo, fornito di morbide poltrone e di qualche bottiglia di liquore. Evidentemente Vaughan aveva le sue piccole manie, alle quali non rinunciava anche se, forse, era costretto a limitarsi.
«Interrogare un prigioniero è una scienza» riprese in tono cattedratico. «Durante l'ultima guerra sono stato fatto prigioniero dalla Gestapo e ho imparato quest'arte nella maniera più rude. Il corso è durato tre anni.» Si strinse nelle spalle. «Ormai è passato parecchio tempo, e parecchie cose le ho dimenticate.»
Clive non fece commenti. Vaughan si alzò e prese a camminare su e giù. Parlava come se stesse leggendo. Clive notò che zoppicava.
«Bisogna tenere conto di parecchi fattori psicologici, per questo la persona che conduce gli interrogatori deve essere istruita, educata e calma. Deve anche riuscire simpatica, per mettere a suo agio il prigioniero che prima dell'interrogatorio sarà stato certo trattato duramente dalle guardie. Se il prigioniero non si sente in pericolo, si troverà spinto a collaborare.»
«E se nonostante questo, il prigioniero si rifiuta di parlare?» domandò Clive.
«Di questo l'interrogatore non si deve preoccupare. Si limiterà a fare il suo rapporto, poi spetterà ad altri convincere il prigioniero che è meglio per lui dimostrarsi ragionevole. Non ricordo di aver mai dovuto interrogare la stessa persona per più di quattro volte.»
«Capisco» disse Clive. E non riuscì ad aggiungere altro. Forse i rivoluzionari prigionieri dei Servizi Speciali venivano trattati anche peggio. Non si può combattere una guerra con i guanti, Clive lo sapeva, ma provava ugualmente ripugnanza per quel mestiere.
Vaughan smise di passeggiare su e giù e si fermò davanti a lui, a guardarlo. «Forse la cosa migliore è di farvi assistere a un interrogatorio» disse. «Potrete fare voi stesso qualche domanda.»
Clive fece segno di sì senza parlare, e gli parve di scorgere un'espressione divertita negli occhi di Vaughan.
«Ci sono arrivati parecchi prigionieri nuovi, personale dell'OIRV» riprese Vaughan. «Si tratta di quindici uomini e cinque donne. Sono stati catturati tre giorni fa, e può darsi che abbiano qualche informazione importante per noi. Per esempio, mostrano tutti una lieve infezione da virus, ma non del tipo A-Bi o Bi-A. Secondo noi questo è un particolare importante, e convalida le voci su un nuovo vaccino antivirus che sarebbe stato distribuito a tutti i centri d'isolamento prima dell'evacuazione. Spetta a noi scoprire se l'informazione corrisponde a verità, signor Brant.»
«D'accordo» disse Clive.

15

Il telescritto diceva: Volo B-34 per trasporto personale OIRV da Liverpool a Londra. Compiuto atterraggio forzato in territorio ribelle. Passeggeri ed equipaggio fatti prigionieri. Segue elenco nominativi. E tra i nomi c'era quello della dottoressa Pauline Brant.
Per Vincent quella notizia fu un colpo inatteso che portò, nel pacifico tran-tran del centro OIRV di Bedford, la violenza e i pericoli del mondo esterno.
Il medico, prese il telescritto e andò dall'amministratore, l'anziano Derringer.
«Ho visto questo messaggio appena uscito dalla telescrivente» disse, deponendo il telescritto sulla scrivania. «Una delle persone fatte prigioniere dai ribelli è una mia amica, e vorrei sapere se non è possibile avere qualche altra informazione.»
«Se per voi è tanto importante, potrei provare tramite il centro di Brierley» rispose Darringer dopo aver letto il messaggio.
«Sì, è molto importante.»
«Lasciatemi il telescritto. Vi farò sapere qualcosa.»
Quattro ore più tardi Vincent venne convocato nell'ufficio di Darringer.
Il vecchio amministratore sedeva con aria apatica dietro la scrivania, e tamburellava con le dita sulla superficie lucida del mobile.
«Mi sono informato da Youde» disse a Vincent: «Non si sa molto di più. L'aereo è stato costretto ad atterrare in aperta campagna, nei pressi di Rickmansworth. Non ci sono state vittime, ma tutti coloro che viaggiavano a bordo dell'aereo militare sono stati fatti prigionieri da una pattuglia di ribelli. Si ritiene che fosse una pattuglia delle forze accampate in una scuola vicino a Wealdstone, ma da allora possono essersi spostati.»
«Vi chiedo il permesso di lasciare il centro» disse Vincent.
Darringer lo guardò, sbalordito.
«Sarebbe una pazzia, dottor Vincent! A quanto si dice, gli insorti controllano quasi tutta la zona di Londra, e certamente tutta la parte a nord del Tamigi. Cosa sperate di ottenere?»
«Sono stanco di starmene seduto davanti a un banco a controllare statistiche e riempire cartellini per l'archivio. La vera lotta per la sopravvivenza viene combattuta fuori di qui, all'esterno, e io preferisco parteciparvi invece di limitarmi ad aspettare che le cose si sistemino da sole.»
Dalla sua espressione era evidente che Darringer disapprovava l'atteggiamento bellicoso del medico. Un membro dell'OIRV non doveva affatto partecipare alle lotte di superficie per la conquista del potere. Suo compito era di occuparsi dei problemi scientifici e mantenersi neutrale.
«Non vedo di che utilità vi sarebbe, dottor Vincent» disse Derringer. «Capisco che la persona fatta prigioniera dai ribelli vi sia particolarmente cara, ma riuscirete solo a farvi fare prigioniero a vostra volta.»
«È un rischio che ho calcolato.»
«La mia risposta è no, dottor Vincent. Non rientra nei miei poteri permettere la defezione di un membro del personale dell'OIRV.»
«Nemmeno se do le dimissioni?»
Derringer si tolse gli occhiali, ne pulì le lenti con un fazzoletto, poi li rimise. «Dottor Vincent» disse, «vi consiglio di non prendere decisioni affrettate. Pensateci un paio di giorni. Sono sicuro che fra quarantott'ore vi renderete conto dell'assoluta inutilità del vostro progetto.»
«Ho già pensato abbastanza» ribatté Vincent. «Da mesi non faccio che pensare, e il risultato non è certo stato positivo. Inoltre ho il diritto di andarmene dal centro, se lo voglio. Dando le dimissioni, se non c'è altro mezzo.»
«Parlate almeno con il dottor Youde» insistette Derringer, indicandogli il telefono. «È un uomo di molto buon senso e potrà darvi ottimi consigli.»
«Non ne ho bisogno. Voglio solo l'autorizzazione a uscire dal centro.»
«Se siete proprio deciso, dottor Vincent...» mormorò Derringer, desolato.
«Decisissimo.»

Vincent lasciò il Centro verso mezzanotte, portando con sé solo qualche tavoletta di cioccolato. Quando il portello d'acciaio si fu richiuso alle sue spalle, Vincent si sentì improvvisamente troppo solo. Era una notte limpida e stellata, ma fredda. L'uscita del rifugio dava su un boschetto arrampicato sui fianchi di una collina, a circa quattrocento metri dalla strada statale che portava a Londra.
Vincent s'avviò giù per la discesa. Arrivò sulla strada una decina di minuti più tardi. Non c'era traffico, e l'unico suono era l'abbaiare lontano di un cane. Si fermò nell'ombra di un cespuglio. A sud il cielo si tinse improvvisamente di rosso e pochi secondi dopo gli arrivò l'eco di un'esplosione.
Dopo circa mezz'ora, Vincent vide finalmente sulla strada le luci di due fari. I fasci luminosi sparirono quando il veicolo affrontò il tratto discendente di una cunetta, poi ricomparvero, molto più vicini. Vincent uscì dal suo nascondiglio e andò a mettersi in mezzo alla strada, agitando le braccia. La macchina si fermò con uno stridore di freni. Era un camion scoperto, carico di casse. L'uomo al volante portava una fascia rossa al braccio.
«Siete diretto a Londra?» chiese Vincent.
Altri due uomini smontarono dal camion. Uno impugnava una rivoltella. Il secondo teneva in mano una torcia elettrica. Lo perquisirono e controllarono il contenuto del suo portafoglio.
«È un maledetto medico dell'OIRV» disse uno dei due.
«Lo ero» corresse Vincent. «Ho disertato. Ero stanco di stare sottoterra. Secondo me i medici servono in superficie. Prendetemi prigioniero se volete, ma datemi la possibilità di essere utile a qualcuno.»
«Troppo bello per essere vero» commentò l'uomo con la rivoltella.
«Avrei rischiato in questo modo l'osso del collo se non fosse come vi ho detto?» ribatté Vincent.
«Forse, e forse no. Be', salite. Andiamo al quartier generale da Watford. Là sapranno cosa fare di voi.»
Vincent salì sul camino, in mezzo ai due uomini, e il veicolo riprese la sua corsa lungo la strada deserta. Il camion si fermò sette volte ad altrettanti posti di blocco tenuti dai ribelli, poi fu costretto a una sosta di una decina di minuti perché era in corso un attacco aereo sopra una fabbrica di munizioni. Infine arrivarono a Watford, deserta e buia. La loro meta era una ex-tipografia, dove al posto della carta stampata si ammucchiavano adesso casse di munizioni. Vincent venne scortato da un insorto fino a una porta a vetri sulla quale c'era scritto Capo Tecnico. Nel piccolo locale tre uomini di mezza età stavano seduti attorno a una vecchia scrivania.
«L'abbiamo preso a sud di Bedford, Comandante» disse l'uomo che accompagnava Vincent. «È un medico della OIRV. Dice di essere scappato dal suo rifugio perché voleva fare qualcosa di utile alla superficie.»
I tre uomini guardarono Vincent a lungo, senza parlare, poi uno di loro fece un cenno e la guardia se ne andò.
«A che gioco giocate?» chiese l'uomo seduto nel mezzo, un tipo con la faccia rincagnata e gli occhi sospettosi.
«A nessuno» rispose Vincent. «Volevo unirmi ai miei colleghi.»
«Come sarebbe a dire?»
«Nei giorni scorsi un aereo è stato costretto ad atterrare in questa zona. A bordo c'erano una ventina di medici dell'OIRV che sono stati fatti prigionieri. Vorrei raggiungerli.»
«Ma senti! Credete di trovarvi a una festa di beneficenza?»
«Prigioniero lo sono già» disse Vincent calmo. «Tutto quello che chiedo è di raggiungere i miei compagni anche loro prigionieri.»
«Tutto qui? Non avevate detto di voler fare qualcosa di utile?»
«Dal mio puto di vista, unirmi agli altri medici è utile.»
«Vuotate le tasche» ordinò l'uomo di destra.
Vincent ubbidì, e i tre capi ribelli passarono in rassegna il contenuto del suo portafoglio. «Siete un caso strano, dottor Vincent» disse uno di loro. «Potreste essere una spia, o un sabotatore. Ma nessun agente segreto si sarebbe buttato da solo nelle mani del nemico come avete fatto voi. Qual è esattamente il vostro scopo?»
«Visto che siamo tutti esseri umani, e tutti della stessa razza, vi dirò la verità. Forse mi capirete. Uno dei vostri prigionieri è la donna che intendo sposare. Vorrei starle vicino il più possibile finché non sarà finita questa brutta storia della guerra civile.»
«Molto commovente!» disse uno dei ribelli. Gli altri sorrisero.
«Non dimenticate che il personale dell'OIRV è composto di medici» riprese Vincent, «e che come tali, a qualunque tendenza politica appartengano, considerano loro primo dovere quello di aiutare l'umanità. Credo quindi di meritare fiducia.»
«Volete dire che dovremmo fidarci di voi a occhi chiusi e che, in particolare, bisognerebbe riunirvi alla vostra dottoressa?»
«Non ritenete che anche ai ribelli farebbe comodo una squadra di buoni medici? In fondo chiediamo di essere trattati come esseri umani, adulti e responsabili!»
«Non potete parlare in nome di tutti e non siete in posizione da chiedere niente. In quanto ad avere bisogno di medici, ne abbiamo effettivamente bisogno. Ma fino a che punto ci possono servire quelli dell'OIRV? Ne conoscete qualcuno in grado di curare un'infezione da virus?»
«Si» rispose Vincent deciso.
«Benissimo. Allora vi dirò una cosa. Io personalmente son un ex Bi-A. Lo siamo anzi tutti e tre, perciò l'epidemia non ci preoccupa in maniera particolare. Comunque sarete accontentato. Domattina stessa vi manderò ad Harrow, e là vi metteranno con gli altri specialisti dell'OIRV, almeno così credo. Dipende molto da quello che deciderà Roger Snell. Se fossi al vostro posto, mi dichiarerei disposto a collaborare. Così forse riuscirete a rivedere la vostra ragazza. È tutto quello che posso fare.»
«Grazie» rispose Vincent.
Uno dei ribelli sollevò il ricevitore di un telefono interno, e mezzo minuto più tardi due guardie vennero a prelevare Vincent per accompagnarlo nella cella dove doveva passare la notte.

Il camion si fermò davanti a un edificio che prima di essere trasformato in carcere per prigionieri di guerra doveva essere stato una scuola, e due guardie armate di mitra, lo accompagnarono al primo piano, in un ufficio dove un uomo in maniche di camicia, con l'immancabile fascia rossa, sedeva a un tavolino ingombro di carte. L'uomo guardò il documento che le guardie avevano avuto in consegna dagli uomini di scorta al camion arrivato da Watford, poi disse: «Avete faticato per niente, dottor Vincent. È estremamente difficile che possiate vedere una delle prigioniere. Chi sarebbe questa dottoressa alla quale vi interessate tanto?»
«Si chiama Pauline Brant» rispose Vincent.
«Ah, sì» riprese l'altro. «Come vi dicevo, non sono possibili i contatti tra i prigionieri dei due sessi, a meno che uno di loro non si unisca alle forze rivoluzionarie mettendosi così in posizione di fiducia. È questa la vostra intenzione?»
«Francamente no» rispose Vincent dopo una breve esitazione.
«E qual è allora?»
«Non avevo altro scopo che quello di trovare la dottoressa Brant.»
«L'avete trovata. È qui infatti, in questa prigione.»
«Se potessi parlarle per qualche minuto...»
«Non è possibile» rispose l'altro in tono deciso. «In seguito, forse. Ma prima dovrete essere interrogato e imparare ad adattarvi alla nuova società nella quale dovrete vivere.» L'uomo si alzò e accese una sigaretta. «Però verrete messo con i vostri colleghi di sesso maschile. Sono quindici... no, scusate, quattordici. Uno è morto la notte scorsa. Ma vi dico subito che non potrete parlare nemmeno con loro.» Guardò Vincent con espressione triste. «Dovrete ficcarvelo bene, in mente, dottor Vincent» continuò «i prigionieri possono parlare esclusivamente a esponenti del movimento rivoluzionario. In nessun caso viene loro permesso di parlare fra loro. È una regola che viene fatta osservare severamente. Avete capito?»
«Ho capito, ma non comprendo gli scopi di questa disposizione.»
«Mancando la possibilità di comunicare, i prigionieri non possono organizzarsi, dottor Vincent, mi pare chiaro. Se potessimo isolarli ad uno ad uno, sarebbe l'ideale. Ma manca lo spazio, e così siamo ricorsi a un compromesso.»
«È necessario essere tanto severi con dei medici? Non siamo militari.»
L'altro sorrise. «Anche i medici sono esseri umani» ribatté, «e tutti gli uomini sono portati a combattere, in un senso o nell'altro. Per la verità il personale dell'OIRV è trattato con maggior riguardo degli altri prigionieri, ma alcune regole devono essere rigorosamente osservate. Qui non siamo all'Hotel Savoy, dottor Vincent.»
«Me ne rendo conto.»
«Bene. Allora...» Fece un cenno alle guardie che aspettavano accanto alla porta. «Accompagnatelo alla stanza undici, insieme con gli altri prigionieri della OIRV.»

Quattordici uomini erano seduti sul pavimento, contro le pareti della stanza, e tutti tenevano le mani dietro la schiena. Vincent non riuscì a capire perché stessero tutti nella stessa posizione fino al momento in cui la guardia prese da una cassa sotto il tavolo un paio di manette e gliele chiuse ai polsi, dopo avergli portato le mani dietro la schiena.
«Misura precauzionale» spiegò il ribelle, in tono annoiato, come se recitasse una lezione. «Ognuno di voi può venire liberato per mangiare, bere, eccetera. Ma non tutti insieme. Così non potranno succedere guai. Se avete bisogno di qualcosa, dovrete chiedere a me. Questo non significa però che la otterrete. Se desiderate camminare un po' attorno alla stanza, chiedete il permesso.» Il rivoluzionario aprì un cassetto, ne tolse un quaderno, e l'aprì a una pagina bianca. «Nome?» chiese.
Per la centesima volta Vincent rispose alle stesse domande.

Le guardie che si alternavano nella sorveglianza dei quindici prigionieri erano due. Qualche volta si stancavano di leggere, allora parlavano dei progressi della rivoluzione e dei progetti per il mondo futuro. Era uno dei pochi diversivi che venivano a interrompere le giornate, lunghe e monotone. L'altra distrazione era data dai pasti, due volte al giorno, durante i quali veniva distribuita una brodaglia arricchita da un pizzico di verdura, per lo più qualche pezzetto di patata. Adesso la guardia stava parlando delle forze rivoluzionarie alle quali si erano aggiunte diverse unità. dell'Esercito, e diceva che quasi tutti i ministri erano stati fatti prigionieri, mentre il primo Ministro era ancora nascosto da qualche parte, ammesso che non avesse lascato il Paese, ma presto...
Vincent ascoltava l'ottimistico monologo della guardia e ci mise qualche secondo per accorgersi che qualcuno alla sua destra stava bisbigliando.
«Non giratevi. Come vi chiamate?»
«Vincent» rispose, senza muovere le labbra.
«Io sono Carter. Qui siamo tutti dell'OIRV.»
«Lo sono anch'io.»
«Non c'è che da aspettare. Il virus Bi-A-Esse li eliminerà in fretta.»
«Non tutti.»
«Molti, però. Tutti gli ex Bi-A.»
«Alludete all'anemia...»
«Sì. Potranno curarne pochissimi. Moriranno come mosche.»
«Ne siete sicuro?»
«Sicurissimo. La cosa migliore è fare quello che dicono per il momento. Accettare di collaborare. Fra un paio di settimane le cose cambieranno...»
La guardia si interruppe, guardandosi attorno sospettosa. Fissò Vincent e il suo vicino di destra, poi quello di sinistra, incerto, se aveva sentito bene o no. Poi decise di rimettersi a leggere.
Carter non cercò più di parlare. Vincent chiuse gli occhi ripensando a quello che gli aveva detto l'altro. Se Carter aveva ragione sui pericoli del vaccino antivirus, voleva dire che la capacità di infezione del BA-S era assai più forte e rapida di quanto aveva detto il dottor Youde, il quale però aveva anche assicurato che il personale dell'OIRV che avesse rivelato sintomi di anemia perniciosa sarebbe subito stato trattato con una terapia adatta. Già, ma non nel caso che un medico dell'Organizzazione si fosse consegnato spontaneamente al nemico!

16

Sulle prime Clive non capì perché Snell e i suoi assistenti perdessero tanto tempo coi prigionieri, specialmente con quelli che non avevano nessuna informazione da dare. Poi si rese conto che gli interrogatori non avevano solo lo scopo di raccogliere notizie sul nemico ma anche quello di accertare le tendenze politiche del prigioniero e del suo atteggiamento verso la rivoluzione. Qualche volta il susseguirsi delle domande e delle risposte assumeva un ritmo diverso, e l'interrogatorio si trasformava in una discussione, più che altro unilaterale, durante la quale l'interrogante cercava di intervenire sulle convinzioni ideologiche del prigioniero tenendogli una specie di lezione sulla rivoluzione.
Snell era del parere che ogni prigioniero fosse un rivoluzionario potenziale. «Se considerassimo i prigionieri solo come fonte d'informazioni perderemmo tempo» spiegò a Clive. «La rivoluzione procede con un ritmo tale che le notizie sul nemico sono vecchie prima ancora che il prigioniero si decida a rivelarle. Molti dei prigionieri sono ostili, e non lo sarebbero meno se trattati bene. Bisogna togliere loro ogni speranza e ridurli all'apatia, costringerli a rivedere le loro idee e rinnegare quelle che non sono d'immediata utilità pratica. In questo modo il loro atteggiamento cambierà a poco a poco, e finiranno con l'accettare le nuove condizioni imposte, anche se questo significa accettare insieme una nuova fede.»
Apparentemente il sistema dava buoni risultati. Le statistiche dicevano che i due terzi dei prigionieri superavano tutti i pregiudizi verso la rivoluzione e accettavano il nuovo regime, anche se in molti casi, all'inizio, lo facevano soltanto per convenienza; a questi ultimi però Snell riservava un trattamento speciale, niente affatto tenero. Quelli disposti a collaborare venivano invece avviati in speciali campi di addestramento, dove si procedeva alla loro riabilitazione nei confronti della nuova società e dove erano trattati in modo molto più umano. Per lo più venivano poi destinati ai servizi sedentari civili in attesa di sapere quale sarebbe stata la richiesta di operai e tecnici per le industrie dello Stato.
Erano passati parecchi giorni ormai, ma la famosa controrivoluzione non era cominciata. Qualche attacco sporadico, qualche scontro qua e là, ma niente di più. Intanto continuava l'evacuazione dei Centri sotterranei seguita sempre da un indebolimento della resistenza nemica nelle zone evacuate. Secondo Snell, i privilegiati si stavano riunendo in qualche località segreta. I rapporti parlavano di un concentramento di forze reazionarie in Irlanda, ma, non potendo comunicare direttamente con quella regione, non si aveva conferma della notizia. Si diceva inoltre che gli Stati Uniti, usciti senza gravi danni dall'epidemia e dalle insurrezioni, stessero inviando truppe in Irlanda. Snell però era del parere che il momento opportuno per una controrivoluzione fosse ormai passato, e che un contrattacco su larga scala sarebbe stato destinato a fallire.
I rapporti medici parlavano di un rapido diffondersi dell'infezione dovuta al nuovo antivirus che immunizzava coloro che erano stati tanto fortunati da non contrarre ancora il contagio dall'epidemia Hueste. Anche Clive sospettava di aver avuto un attacco di virus BA-S ma lì non c'era modo di sottoporsi a una prova del sangue.
Il quadro generale aveva però un punto nero: il numero di coloro che si ammalavano di una nuova malattia, che non aveva niente a che fare con l'epidemia Hueste, era in rapido aumento, e parecchi casi si erano conclusi con la morte dei pazienti. I rivoluzionari non avevano un Centro medico al quale affluissero tempestivamente i rapporti dei diversi ospedali, passò quindi del tempo prima che al quartier generale degli insorti si capisse che stava succedendo qualcosa di anormale. Tutti i malati risultavano ex BA, e il nuovo morbo assumeva l'aspetto di un'anemia acuta. Le trasfusioni di sangue erano la cura più indicata, ma non era possibile praticarle a un numero così grande di malati.
Sulle prime si era pensato a un'arma batteriologica, agli effetti di radiazioni, a una ricaduta di pulviscolo radioattivo, a un gas tossico sparso nell'atmosfera. Poi si capì che la nuova malattia era collegata all'antivirus BA-S, e che avrebbe mietuto vittime fra tutti gli individui che a suo tempo avevano contratto infezione da BA.
Il mondo, il mondo nuovo, doveva fronteggiare una altra epidemia. Ci sarebbero stati di nuovo milioni di cadaveri da trasportare agli inceneritori. Si sarebbe dovuto provvedere a salvare il salvabile, destinando le scorte di plasma sanguigno a una esigua minoranza. Si sarebbe operata una selezione delle persone da salvare, e si sarebbero salvati i capi della rivoluzione, gli esponenti del nuovo governo, coloro che conoscevano la persona giusta alla quale rivolgersi, nel posto giusto.
Una delle prime vittime fu Snell, ed essendo un membro importante del nuovo governo, si provvide immediatamente al suo ricovero in ospedale per sottoporlo a trasfusioni.
Ad Harrow gli interrogatori continuarono senza un capo che li organizzasse, a parte Vaughan, e fu in questa circostanza che Clive si trovò a dover interrogare la dottoressa Pauline Brant e il dottor Vincent.

Ogni giorno venivano assegnati agli interrogatori quattro prigionieri. Un mattino a Clive vennero consegnate quattro schede personali di cui una portava il nome del dottor Vincent. Per Clive quel nome non aveva ancora un significato particolare. Uno dei suoi compagni però, un certo Howell, mentre uscivano insieme dagli uffici, gli disse: «Ehi, Clive, qui c'è uno che si chiama come te» e gli tese uno dei suoi cartoncini. Sopra c'era scritto: Dottoressa Pauline Brant.
Clive ebbe bisogno di qualche secondo per decidere cosa rispondere.
«È mia moglie» disse alla fine, pensando che presto o tardi la verità sarebbe comunque venuta a galla. «O meglio, la mia ex-moglie. È davvero piccolo il mondo!»
«Faceva parte dell'OIRV?»
«Sì. È per questo che il nostro matrimonio è andato all'aria. Il suo lavoro la teneva occupata in Giappone. Io lavoravo a Londra.»
«Vuoi vederla?»
«Nel ruolo di chi interroga? Non mi pare che sia il modo migliore per riunirci.»
«Forse tu riusciresti a sapere da lei più di quanto ne caverei io. Conoscere i prigionieri serve, in questo lavoro.»
«Va bene» disse Clive, non molto convinto. Prese la scheda di Pauline e passò a Howell una delle sue. Potrebbe essere una trappola, pensò. Potrebbe essere un trucco escogitato da Snell per saggiare la mia lealtà. Ma Snell è all'ospedale... Però può avere organizzato la cosa prima di ammalarsi...
Durante il viaggio per raggiungere la prigione, Clive esaminò le schede personali degli altri prigionieri. Quella del dottor Vincent diceva: Dottor H. Vincent, anni 37. Medico in forza al Quartier Generale dell'OIRV, Brierley. Ex BA. Trasferito al centro statistiche di Bedford. Si è consegnato volontariamente alle autorità federali spiegando il suo gesto con il desiderio di mettersi in contatto con la dottoressa Pauline Brant, altra prigioniera, con la quale sostiene di avere relazione. Comportamento del prigioniero, buono. Potenzialmente adatto a essere reclutato. La dottoressa Brant può servire per esercitare pressioni su di lui.
Un mio rivale, pensò Clive. Anzi il mio successore. L'altro lato del solito triangolo. Fino a poco tempo prima si era trattato di un rettangolo, di cui lui e Noelle occupavano due lati. Ma erano giorni lontani. Adesso lui era il vertice del triangolo, in posizione di vantaggio.
Decise di interrogare prima Vincent e poi Pauline.

Si accorse che il dottor Vincent era malato appena la guardia lo fece entrare. Era pallidissimo e aveva gli occhi velati. Camminava a fatica. Clive fece allontanare la guardia e si alzò. Non c'erano altre sedie, per questo lui si alzò. Preferiva sentirsi alla pari con il prigioniero.
«Dottor Vincent» cominciò Clive appena la guardia fu uscita, «siete un prigioniero di tipo insolito. A quanto mi hanno detto, vi siete consegnato volontariamente.»
«Sì.»
«E avete dichiarato di voler vedere una nostra prigioniera, una certa Pauline Brant...»
«È così.»
«Non avete pensato che le autorità rivoluzionarie non avrebbero modificato i loro regolamenti solo per fare un favore a voi?»
«Non ho preso in considerazione tutti i particolari del mio piano. A essere sinceri non ho nemmeno fatto un piano.»
Clive si sedette su un angolo del tavolo e indicò a Vincent la sedia. «Potete accomodarvi» disse.
«Grazie, ma preferisco stare in piedi. Sono stato seduto tanti giorni.»
«Come volete. Di che natura è la relazione che vi lega alla dottoressa Brant?»
«Dovevamo sposarci.»
«Ma la dottoressa Brant è già sposata, a quanto mi risulta.»
«Se non fosse stato per l'epidemia, avrebbe divorziato.»
«Ma c'è stata l'epidemia, e le pratiche per il divorzio potrebbero durare anni!»
«Sono disposto ad aspettare.»
«Mi sbalordite» esclamò Clive. «Il mondo è in pieno caos, la sua popolazione è ridotta alla metà, e voi non tenete nemmeno conto del vostro attuale stato di prigioniero.»
«Spero di non restare prigioniero per troppo tempo» rispose Vincent.
«Volete dire che siete disposto a collaborare?»
«Sono disposto a compiere il mio dovere di medico verso l'umanità.»
«Non basta» ribatté Clive. «Essere neutrale significa essere nemico di entrambe le parti.»
«Non mi interessa chi comanderà il Paese» rispose Vincent. «Mi interessa solo mettere le mie capacità a disposizione dell'opera di ricostruzione di una società civile.»
«Vi sentite bene, dottor Vincent?» domandò Clive, guardandolo attentamente.
«Abbastanza.»
«Ma vi sentite stanco, no?»
«Sì, un po'.»
«Come medico dell'OIRV dovete conoscere l'esistenza del nuovo vaccino Bi-A-Esse.»
«Ne so qualcosa.»
«E non vi è venuto in mente che forse avete contratto l'infezione da antivirus?»
«Sì, l'ho contratta, infatti. E mi rendo conto che è impossibile ottenere le cure necessarie.»
«Personalmente non vi posso aiutare» disse Clive. «Posso solo accennare nel mio rapporto alla vostra buona volontà. Purtroppo non ho nessuna autorità in materia clinica, nemmeno per un caso di vita o di morte. Una cosa però è certa: se c'è il sospetto che abbiate contratto anemia da Bi-A-Esse, le vostre possibilità di salvezza sono inesistenti.»
Vincent lo guardò, demoralizzato, «Cosa mi suggerite di fare?»
«Niente, per ora. Propongo di aggiornare l'interrogatorio. Vi farò chiamare più tardi.»
«Ma non mi avete dato la possibilità di spiegare...»
«Mi spiegherete in seguito» rispose Clive, premendo il pulsante per chiamare la guardia. «Ora ho altre cose da fare.»
La guardia portò via Vincent. Clive aspettò qualche minuto, il tempo di fumare una sigaretta, poi mandò a prendere Pauline.

Nessuna sorpresa negli occhi di Pauline, quando lo vide, solo una grande amarezza.
«Salve, Pauline» disse Clive appena fu uscita la guardia.
«Il bravo Clive» esclamò lei. «Sempre dalla parte del vincitore!»
Lui le offrì la sedia, e Pauline si sedette stancamente.
«Non ho avuto tanto da scegliere» spiegò Clive. «Mi hanno preso prigioniero e, date le circostanze, ho preferito restare vivo.»
«Naturale.»
La guardò, a disagio. Aveva gli abiti sporchi, e in cattivo stato, e il viso, smagrito, infossato, era pieno di ombre nella luce pallida che entrava dalla finestra.
«Non ti trattano bene» osservò.
«No, infatti.»
«Mi dispiace» disse lui, muovendosi nervosamente. «Devo interrogarti e poi stendere il mio rapporto sulle tue idee politiche e il tuo atteggiamento. Probabilmente sanno che sei mia moglie... Dovrò stare molto attento. Non sono un personaggio importante, non ho nessuna influenza.»
«Povero Clive» mormorò Pauline. «Deve essere terribile, per te.»
«Ho parlato con il dottor Vincent» disse Clive.
La faccia di Pauline cambiò espressione. Per un attimo parve scossa, poi dimostrò incredulità. «Vuoi dire che...»
«Anche lui è prigioniero. Si è consegnato agli insorti nella speranza di vederti.»
Pauline portò una mano alla bocca, in un gesto incerto. «Come... come sta?»
Clive esitò. «È malato. Sono già molto evidenti in lui i sintomi della pericolosa anemia Bi-A-Esse.»
«Oh! Non è possibile farlo curare?»
«Come prigioniero, no.»
Pauline lo fissò in silenzio.
«Che cosa significa, Vincent, per te?» chiese Clive.
«Molto, se non proprio tutto» rispose Pauline. «Avevo pensato di sposarlo. Con lui il futuro sarebbe stato accettabile.»
«C'è ancora una cosa che devo dirti, Pauline.» Lei alzò la testa a guardarlo, senza molto interesse. «Noelle è morta» disse Clive. «È stata uccisa dagli insorti. Come vedi siamo tornati entrambi al punto di partenza. Io ho perso Noelle, tu hai perso Vincent...»
«Non ancora» disse Pauline.
«È come se fosse già morto. Per lui non c'è futuro.»
«A cosa miri, Clive? Hai problemi di coscienza? Anch'io devo dirti una cosa: sei tu l'uomo già morto, senza un futuro, non Vincent. Tu pensi di esserti sistemato nel bel mondo nuovo. Per ora forse è vero, ma non durerà a lungo. Le forze della reazione sono troppo potenti e troppo organizzate, e riprenderanno il sopravvento molto prima che tu riesca a mettere il piede sul prossimo gradino della tua nuova scala!»
«Sciocchezze!» disse Clive, senza convinzione.
«Perché credi che finora non si sia scatenato un contrattacco in forze? Per quale motivo, secondo te, c'è un movimento di truppe e rifornimenti verso l'Irlanda? Perché la classe dirigente evacuata dai rifugi non si è ancora fatta viva? Pensi forse che l'autorità, e alludo alla vera autorità, non a un gruppo di dittatori ribelli, sia disposta ad arrendersi e ad abdicare incondizionatamente?»
«Che cosa vuol fare questa autorità, sentiamo!»
«Mi pare che sia ovvio. Una controrivoluzione non poteva venire combattuta dai rifugi sotterranei. È stata organizzata su basi mondiali, e avrà quale bersaglio tutti i Paesi in cui ora sono al potere i ribelli. La maggior parte delle forze rivoluzionarie è costituita da individui che hanno contratto infezione da virus Bi-A. Ora il nuovo antivirus li spazzerà via tutti. Poi si scatenerà il contrattacco, e in brevissimo tempo tutto sarà finito, magari con l'aiuto di qualche bomba atomica.»
«No» ribatté Clive. «Non andrà come dici tu.»
«Quando il virus e l'antivirus avranno completato la loro opera, circa il novanta per cento della popolazione mondiale sarà scomparsa. Clive, e i sopravvissuti dovranno ricominciare tutto da capo. Immaginati l'Inghilterra con una popolazione di soli cinque milioni di individui. La grandi città non avranno più significato, e nemmeno le grandi industrie. Tutti gli sforzi saranno rivolti all'agricoltura. Ecco perché alcune bombe atomiche non comprometteranno niente di quello che resta.»
«Tu sbagli, Pauline» disse Clive. «Credo che la rivoluzione sia stata la risposta logica alle circostanze. Il governo ha tradito la gente comune, e la gente comune ha preso il sopravvento. Ammetto che siamo ancora nel caos, ma a poco a poco si faranno strada i nuovi concetti, le nuove idee, le nuove funzioni e i nuovi scopi dell'uomo in seno alla società. Le vecchie idee sono morte e non rinasceranno più. Nemmeno le bombe atomiche potranno farle risorgere.»
«Parli come un ribelle» commentò Pauline, «ma non lo sei.»
Lui la guardò e sorrise. «Pauline» le disse affettuosamente, «sei l'unica donna che mi abbia sempre capito veramente.»

Ancora vago e indefinito, nel suo cervello si stava formando un piano. I vari colloqui con Pauline e il dottor Vincent non avevano portato a nessuna conclusione. Pauline aveva dimostrato chiaramente di non avere nessuna intenzione di passare dalla parte dei ribelli, e Vincent era patetico nella sua ostinata e coscienziosa neutralità. Come ci si può mantenere neutrali di fronte alla morte?, pensava Clive. Ma più sconcertante di tutto era quello che lui stesso provava: la sensazione che nel suo comportamento ci fosse qualcosa di sbagliato, senza capire bene cosa.
Certo, quello che faceva non era affatto per un'idea.
Clive non si era mai lasciato conquistare da ideologie, eppure non era un vigliacco. All'occasione avrebbe saputo battersi. Ma non aveva avuto idoli. Secondo Clive, nessun principio, per quanto nobile, valeva il suicidio.
Ma si sentiva insoddisfatto. Gli sembrava che a lui mancasse qualcosa che Pauline e Vincent invece avevano. L'integrità morale, forse. Ma gli pareva che quella parola perdesse di significato quanto più lui cercava di dargliene. A modo mio, anch'io ho una mia integrità, si disse. Ne ho avuta parlando sinceramente a Pauline di Noelle. Ne ho avuta quando ho ucciso quei quattro assassini all'Hotel Astoria, e quando ho colpito l'ufficiale dei Servizi Speciali, e quando mi sono messo a cercare i superstiti in mezzo ai duemila cadaveri di Regent's Park. Ma è un'integrità diversa da quella di Pauline e di Vincent... La mia integrità si accorda con principi che nessun altro sembra capire o approvare.
Meglio lasciare perdere quei ragionamenti, e concentrarsi sul piano che aveva cominciato a prendere forma nella sua mente. Se si fosse davvero scatenato un contrattacco era meglio che Pauline non fosse prigioniera, in quel momento. E Vincent aveva bisogno di cure che solo un ospedale bene attrezzato poteva praticargli. E anche lui non doveva restare prigioniero. C'era da sperare in un'amnistia per coloro che avevano collaborato, come nel suo caso. Ma se fosse davvero scoppiata la controrivoluzione, di amnistia non se ne sarebbe nemmeno parlato. Restava un'unica soluzione: la fuga. Ma fuggire dove? Be', dove l'attività delle due parti era ridotta al minimo. Verso nord, per esempio. Gli ultimi rapporti sui movimenti del nemico però parlavano del progetto di una evacuazione in massa del personale dell'OIRV. Se era vero, non c'era da perdere tempo. Se Pauline e Vincent fossero riusciti ad attraversare le file degli insorti e raggiungere il posto in cui era radunato il personale dell'OIRV, avrebbero potuto prendere parte al programma di evacuazione.
Sembrava un'idea assurda, eppure Clive non riusciva a liberarsene. Decise di ripensarci durante la notte: o si sarebbe dissolta o sarebbe giunta a maturazione.
Nel tardo pomeriggio andò a fare il suo rapporto a Vaughan.
«Ho passato una giornata interessante, a interrogare la mia ex-moglie» disse. «E ho la sensazione che non sia stata una coincidenza.»
La bocca sottile di Vaughan si torse in un sorriso. «A Snell l'idea era sembrata divertente. Alla fine io ho passato l'interrogatorio di vostra moglie a Howell perché non condividevo l'idea di Snell. Ma, a quanto vedo, è rimbalzato di nuovo a voi.»
«Howell me ne ha parlato, e abbiamo fatto uno scambio. Ora, lei dice che c'è in progetto un contrattacco con l'aiuto degli Stati Uniti, e mi ha parlato di bombe atomiche.»
«Non è improbabile.»
«Inoltre la nuova epidemia da virus Bi-A-Esse dovrebbe avere una parte importante nel contrattacco. Mi è stato anche detto che la popolazione sarà ridotta al dieci per cento, alla fine dell'epidemia.»
«Non credo che sia il caso di prendere sul serio questa profezia.»
«Forse no. Non dimentichiamoci però che lei fa parte dell'OIRV, e anche se si tratta di sue illazioni può valere la pena di scavare più a fondo.»
«Che cosa proponete?»
«Direi di proseguire gli interrogatori domani. Anche con Vincent.»
«Se fossi in voi però non perderei troppo tempo con loro. Qui siamo abituati alle rivelazioni sensazionali dei prigionieri, e sappiamo per esperienza che esagerano quasi sempre. Comunque, fate voi. Può darsi che effettivamente riusciate a cavare qualcosa di utile da vostra moglie. Per quanto la riguarda, se si rivela disposta a collaborare non sarà difficile trovarle una sistemazione nella nostra organizzazione sanitaria.»
«E per Vincent?» domandò Clive.
«Questo dipende molto dai vostri sentimenti nei suoi confronti.»
Clive si strinse nelle spalle. «Non ho nessun risentimento verso di lui. Per il resto mi è sembrato disposto a collaborare. Vedrò cosa viene fuori dagli interrogatori di domani.»
«Benissimo» approvò Vaughan, soffocando uno sbadiglio.
Clive si ritirò nella sua stanza, dove passò la notte tentando di non pensare al progetto di fuga che gli si era radicato nella mente.

17

Alle cinque del mattino non ce la fece più a stare a letto. Si alzò e cominciò a passeggiare per la stanza. L'idea della fuga era semplicemente idiota! Pauline avrebbe fatto bene a collaborare. In quanto a Vincent, be', per lui non c'erano speranze.
Ma l'idea continuava a ossessionarlo. Lui era disarmato, ma alla sua prigione gli consegnavano una rivoltella quando doveva interrogare i prigionieri. Se con quella fosse riuscito ad abbattere le due guardie del corridoio, che erano armate di mitra, avrebbero avuto un'arma per uno. E tre persone armate e decise potevano fare parecchio. Dalle finestre si poteva saltare nel cortile dove gli insorti parcheggiavano le macchine, e...
Impossibile, come una nevicata all'equatore, pensò. E poi, perché dovrei rischiare la pelle per una donna che non è più mia moglie e per il suo futuro marito?
L'importante era fare presto. Poteva far portare Pauline e Vincent insieme nella stanza dell'interrogatorio, chiamare le due guardie con un pretesto qualsiasi, eliminarle, prendere le loro armi, saltare dalla finestra...
Alle sette e mezzo ogni particolare era stato accuratamente messo a punto. Le finestre, ad esempio. In fondo al corridoio c'erano gli spogliatoi per il personale, e lì le finestre non avevano inferriate. Proprio sotto c'era il deposito delle macchine. Bisognava fare un salto di circa quattro metri, sull'erba. Le macchine erano a pochi passi da lì, e sempre sistemate in modo da poter partire immediatamente senza incontrare intralci.
Alle quattro e mezzo del pomeriggio non riuscì più a seguire i soliti interrogatori. Mandò prima a chiamare Vincent, e rimasto solo con lui gli disse di essere il marito di Pauline. Vincent non ebbe nessuna reazione. Doveva stare molto male, pensò Clive, era più pallido del giorno prima, e un tremito continuo lo scuoteva visibilmente.
«Fra poco farò venire qui anche Pauline» continuò Clive. «Non siamo più niente l'uno per l'altro, ma non mi piace saperla prigioniera qui più del necessario. Lo stesso vale per voi, dato che... Insomma, vale anche per voi. E del resto avete bisogno urgente di cure mediche. Ho studiato un piano, ma ho bisogno della vostra collaborazione. Vi spiegherò di che cosa si tratta appena ci sarà anche Pauline. Per il momento procediamo con le solite domande dei normali interrogatori.»
Dieci minuti più tardi fece venire Pauline.
Lei e Vincent si guardarono in silenzio, dominando ogni emozione. Poi Pauline disse: «Ciao, Vince.» E lui rispose: «Ciao, Pauline... È tanto che non ci vediamo...» E fu tutto.
Allora Clive li mise al corrente del suo progetto. Ascoltarono in silenzio fino alla fine.
«Non mi sembra una buona idea» commentò Pauline. «Io non saprei servirmi di un'arma nemmeno per salvare la mia vita, e Vince è ammanettato.»
«Le manette si possono togliere.»
«Ammettiamolo pure» ribatté Pauline. «Ma perché farci scappare, Clive? Tu sei sistemato bene con gli insorti.»
«Per una volta tanto non penso a me stesso» rispose Clive. «Sappiamo che stanno per evacuare in massa tutto il personale dell'OIRV, e se voi vi ricongiungete con gli altri in tempo...»
«Non siamo i soli prigionieri» osservò Pauline. «Forse sono pazza, ma non me la sento di mettermi in salvo lasciando qui gli altri.»
«Nemmeno io» disse Vincent. «Tra uomini e donne siamo in venti. Se potete farne scappare due potete farne scappare anche venti.»
«Affermazione assurda» commentò Clive.
«Non vedo la differenza» ribatté Pauline. «Non sarebbe meglio organizzare una fuga su larga scala liberando tutti i prigionieri anziché solo una parte? Essendo più numerosi saremmo più forti.»
«Di che utilità sarebbero una quindicina di uomini ammanettati?» ribatté Clive.
Pauline sorrise. «Eppure pochi minuti fa hai minimizzato il particolare delle manette» fece notare.
«Se eliminiamo la guardia possiamo prendere la chiave delle manette, e impadronirci anche di una cassetta di bombe lacrimogene.»
Clive fece una smorfia. «Va bene» disse poi. «Dove sono i prigionieri della OIRV?»
«Gli uomini stanno al piano inferiore, le donne all'ultimo piano.»
«Sorvegliate anche loro da una guardia armata di carabina» aggiunse Pauline. «Ma non sono ammanettate.»
«Non avevo pensato a una fuga in massa» borbottò Clive. «Il guaio è che adesso non c'è tempo per studiare un piano con cura, e se chiedessi di interrogarvi anche domani susciterei dei sospetti. Quindi bisogna agire subito, improvvisando.»
«Io farò del mio meglio per aiutarvi» disse Vincent. «Il primo passo, e il più importante, è prendere la chiave delle manette e liberare il gruppo dei medici. Poi apriremo tutte le altre celle.»
«D'accordo» concluse Clive e premette il pulsante per chiamare la guardia.

Erano diciassette, adesso, armati con carabine, rivoltelle, mitra e bombe lacrimogene. Cinque o sei corsero al terzo piano, in cerca delle donne dell'OIRV, un altro gruppo si incaricò degli altri prigionieri. Clive, Vincent, Pauline e altri due cominciarono a scendere lentamente le scale. Dal basso partirono due colpi di rivoltella e una raffica di mitra. All'ultima rampa incapparono nella prima vera resistenza: una mitragliatrice cominciò a sgranare i suoi colpi costringendoli dietro l'angolo del pianerottolo. Poi dal basso una voce gridò: «È il Comandante della prigione che parla. Arrendetevi o morirete tutti!»
«Niente da fare» rispose Clive. «Richiamate i vostri uomini, se li volete vivi!»
La mitragliatrice riprese a sparare.
«State qui con gli altri e limitatevi a sparare qualche colpo» disse Clive a Vincent. «Prendo con me due uomini. Usciremo dalle finestre e li sorprenderemo alle spalle entrando dall'ingresso principale. Voi non muovetevi finché non ve lo dirò io.»
Scelse due prigionieri e risalì al piano superiore. Qui trovò un'altra quindicina di prigionieri, tutti armati. Erano più di trenta, adesso. Andarono tutti nello spogliatoio in fondo al corridoio, e Clive spiegò il suo piano. Lui sarebbe saltato per primo dalla finestra e si sarebbe tenuto pronto a coprire gli altri. Una volta all'esterno avrebbero aggirato l'edificio tenendosi contro il muro e avrebbero preso il nemico alle spalle.
Saltò, e appena toccò terra modificò il suo piano. A pochi metri si era fermata un autoblindo e dal posto di guida stava smontando un uomo. Non ci fu bisogno di uccidere. L'insorto alzò le mani alla vista della carabina puntata. Intanto anche gli altri prigionieri erano saltati dalla finestra. Due uomini salirono con Clive nella cabina di guida, mentre un terzo si incaricava di rendere innocuo il ribelle vibrandogli un colpo preciso alla testa con il calcio della rivoltella.
«Questo ci assicura velocità e protezione» commentò Clive mettendo in moto. «Credo che l'armatura sia resistente abbastanza da abbattere un pezzo di muro... se sarà necessario.»
L'autoblindo si mosse pesantemente, e pochi secondi dopo, aggirato l'angolo, videro l'ingresso della prigione. La porta era spalancata e nell'atrio si vedeva un movimento di uomini. L'autoblindo salì la breve rampa e fu nell'atrio, in mezzo al nemico sconcertato dall'improvvisa apparizione. Dalle scale venne lanciata una bomba, e i due uomini seduti accanto a Clive presero a sparare. La scaramuccia durò pochi secondi, e infine i quattro insorti superstiti vennero chiusi a chiave in una cella e i prigionieri liberati si impadronirono di quattro piccole autoblindo. E l'esodo cominciò.
Persero sette uomini in uno scontro a fuoco, ma riuscirono a superare un posto di blocco abbattendo la barriera di ferro spinato. Poco dopo dovettero abbandonare un autoblindo i cui pneumatici erano stati danneggiati dallo sbarramento. Vincent e altri tre avevano riportato ferite leggere, una donna si era presa una scheggia di granata. Però avevano ormai percorso una ventina di chilometri, e la zona dell'OIRV, a detta di uno dei medici, distava solo sette o otto chilometri. Si fermarono per decidere se non fosse il caso di abbandonare l'autostrada e procedere attraverso i campi. E mentre Clive stava parlando con tre o quattro medici che conoscevano bene la zona, in fondo alla strada comparve un carro armato, subito seguito da un secondo, e da un terzo. I pesante veicoli si disposero sulla strada fianco a fianco, formando una solida barriera d'acciaio, e si fermarono.
Clive diede un'occhiata al cielo. «C'è ancora troppa luce per sperare di farcela attraverso i campi» mormorò.
«Ormai ci avranno visti» disse un prigioniero. «Aspetteranno di vedere cosa facciamo.»
«Torniamo indietro di due o tre chilometri» propose Clive. «Alla prima occasione taglieremo per i campi, e se ci troviamo fra gli alberi, tanto meglio. Appena fa buio riprendiamo la strada aperta, cercando di evitare gli accampamenti degli insorti.»
«C'è il filo spinato attorno al campo dell'OIRV» disse uno dei medici. «Come facciamo a passare?»
«Passiamo sotto, strisciando sulla schiena e forzando il filo in alto con le mani» rispose Clive. «Ci vorrà un po' di tempo, ma non lasceremo tracce del passaggio, e del resto loro non possono prevedere in che punto passeremo, quindi non li avremo addosso subito.»
«Non c'è altro mezzo?»
«Non me ne viene in mente nessuno. Sbrighiamoci a girare le macchine. I carri armati si stanno muovendo.»
Era vero. A circa due chilometri da lì i carri armati si erano messi in marcia, sempre fianco a fianco. I fuggitivi si affrettarono a risalire sulle autoblindo, e a invertire la marcia.
Dopo un paio di chilometri girarono uno dietro l'altro in una stretta strada laterale, poco più di un sentiero dal fondo sconnesso, e avanzarono sobbalzando fino al punto in cui la strada finiva bruscamente davanti a un vecchio cancello di legno, dietro il quale c'era un campo aperto. Non molto lontano, alberi.
«Andiamo avanti» ordinò Clive.
La prima autoblinda si rimise in moto e fece volare in pezzi il debole ostacolo. E i veicoli procedettero adagio verso il riparo offerto dalle piante. Poi si fermarono definitivamente. Nel cielo ronzava ancora l'elicottero che da un'ora seguiva le loro mosse senza intervenire, ma che certamente teneva informata la base su tutti gli spostamenti dei fuggitivi. Abbandonati gli automezzi, gli uomini si raggrupparono dove gli alberi erano più fitti, in attesa del buio. Clive si accostò subito a Pauline.
«Coraggio» le disse, notando il suo aspetto affaticato. «Il peggio è fatto.»
«Il peggio non è ancora cominciato, Clive» rispose lei, cercando di sorridere.
«Perché così pessimista?» ribatté Clive. «Appena sarà buio ci potremo muovere senza essere visti.» Si guardò attorno. «In quanti siamo rimasti?»
«Ventitré» disse Pauline. «Ma ci sono due feriti gravi.»
«Sarà meglio muoverci subito, allora. I feriti rallenteranno la marcia. Vado a dirlo agli altri...»
Lentamente, trasportando i feriti con l'aiuto di coperte trovate nelle autoblindo, gli uomini si avviarono fra gli alberi, abbandonando la mitragliatrice conquistata al posto di blocco. Formavano un lungo serpente in movimento: al centro le donne e i feriti, davanti e in retroguardia gli uomini armati di mitra e bombe a mano.
Scese la notte. Il buio rallentò la marcia ma diede agli uomini maggior sicurezza, almeno fin quando non sentirono lontano, alle spalle, il frastuono attutito dei motori dei carri armati.
Finalmente, dopo circa tre ore di marcia, raggiunsero la cinta di filo spinato. Dietro c'era la terra di nessuno, e la libertà.
Il sistema più rapido per attraversare il reticolato era quello di tenere sollevato il primo filo spinato per formare una specie di passaggio attraverso il quale gli uomini potevano strisciare uno ad uno. Clive e altri cinque uomini si incaricarono di fare da sostegno al reticolato, tenendolo sollevato il più possibile con le braccia. Furono fatte passare prima le donne, poi i due feriti, facendoli scivolare sulle coperte. Gli altri seguirono, lentamente, impacciati dal fango.
Mancavano ancora quattro uomini quando si sentì abbaiare un cane. Subito dopo ci fu una detonazione, e un razzo illuminante esplose a duecento metri sopra la testa di Clive e cominciò a scendere lentamente verso il suolo. Un'altra detonazione, e un'altra luce bianca, accecante. In un attimo la notte diventò pieno giorno. I quattro fuggitivi rimasti fuori si buttarono a terra e presero a sparare verso gli uomini e i cani che avanzavano ai margini del cerchio di luce. Ma i sei rimasti in trappola sotto il reticolato non potevano far niente per difendersi.
«Muovetevi! Correte più svelti che potete!» urlò Clive a quelli già passati. «Correte, prima che riescano a raggiungervi!» Poi lasciò andare il filo spinato che gli si abbatté di colpo sulla faccia, e annaspò alla ricerca della carabina, posta lì accanto. Con uno strappo riuscì a liberare la cinghia impigliata nel reticolato, e cominciò a sparare alla cieca. Quando il caricatore fu vuoto, tentò di alzare ancora il filo metallico. La granata esplose vicinissima e un ferro rovente gli si conficcò in una spalla. Pochi secondi di spasimi, poi Clive perse i sensi.

18

«Siete un pazzo, Brant» disse Vaughan. Era seduto accanto alla brandina, e i piccoli occhi celesti senza espressione sembravano quelli di un pesce. Di fianco alla porta c'era una guardia armata di pistola. La piccola finestra sopra il letto era munita di solide sbarre. Clive cercò di alzarsi a sedere appoggiandosi sui gomiti. Poi si ricordò che gli avevano amputato il braccio sinistro, e rinunciò. Erano passate tre settimane ormai, eppure la sensazione di possedere ancora il braccio non lo abbandonava, e in certi momenti aveva la netta impressione di muovere delle dita-fantasma.
«Siete un pazzo, perché con noi avreste fatto una carriera brillante» continuò Vaughan, passandosi il pollice sulle unghie delle altre dita, nel suo gesto abituale. «Le forze della resistenza sono adesso impegnate a combattere contro il nemico peggiore: l'antivirus. Una battaglia che per molti è già persa. Tutti coloro che si ritenevano già immuni dall'epidemia, sono diventati di colpo vulnerabili. Ma né voi né io siamo fra questi. Chi non ha contratto infezione dal virus di Hueste nella sua forma benigna non ha niente da temere dall'antivirus. Avreste conquistato un posto importante nel nostro mondo, Brant, se non vi foste comportato come un pazzo. Un pazzo traditore!»
«Ho fatto quello che dovevo fare» disse Clive.
«È stata una perdita di tempo, e uno sforzo inutile. Vostra moglie e gli altri sono liberi, adesso, ma c'era già il progetto di liberare tutti i prigionieri disposti a collaborare con il nuovo regime, specialmente trattandosi di gente immune all'antivirus, come quasi tutti i medici dell'OIRV. È questa la gente che ci serve per consolidare la nostra forza.»
«Quale forza? Alla fine sarà l'antivirus a vincere.»
«Noi non siamo ancora alla fine. Ma voi sì, Brant.»
Clive lo guardò senza parlare.
«Avete molti morti sulla coscienza» continuò Vaughan. «Siete responsabile della fuga di parecchi prigionieri che avrebbero potuto contribuire alla formazione della nuova società. Credo che non ci siano dubbi sul verdetto del tribunale militare.»
«Se la vostra intenzione è quella di uccidermi, perché vi siete presi il disturbo di amputarmi il braccio e curarmi?»
«Non si condanna a morte un uomo senza un regolare processo!»
«Eppure in passato l'avete fatto, voi e i vostri amici rivoluzionari.»
«Questo avveniva durante i primi giorni della rivoluzione, quando non esisteva ancora una legge o non c'era tempo per applicarla. Oggi le cose sono diverse, e dobbiamo comportarci secondo le regole di un mondo civile. Non siamo esseri irragionevoli, Brant.»
«Voi avete tentato di farmi cadere in trappola mettendomi faccia a faccia con mia moglie» accusò Clive. «E io ho fatto quello che qualunque altro uomo al mio posto avrebbe fatto.»
«Non è stata una trappola, ma solo un mezzo per saggiare la vostra lealtà. Un uomo non può essere leale a due istituzioni in conflitto fra loro. Purtroppo non avete superato la prova.»
«Io non devo lealtà a niente e a nessuno» ribatté Clive. «Non ho giurato fede a nessuno, perciò sono un uomo libero.»
Le labbra di Vaughan si torsero in un sorriso ironico. «Libero? Siete libero, forse, adesso?»
«Parlo di libertà di pensiero. Io ho sempre agito secondo me stesso, senza mai assoggettarmi al volere degli altri.»
«Bene, Brant. Temo però che questa volta vi sia andata male. Mi dispiace. Personalmente, non ho rancore contro di voi.»
«Né io per voi» disse Clive.
Vaughan si alzò. «Può darsi che non ci si veda più» disse avviandosi alla porta. «Credo che il vostro processo avrà luogo fra quattro giorni. Addio, Brant.»
La guardia scattò sull'attenti per salutare Vaughan, poi uscì a sua volta e chiuse a chiave dall'esterno.
Un plotone di esecuzione, pensò Clive. O la forca.
Ma all'ultimo momento sarebbe certo intervenuto qualcosa a capovolgere la situazione. Impossibile che la sua fortuna lo abbandonasse tutt'a un tratto!
Poteva scatenarsi il contrattacco! In tre settimane l'antivirus doveva aver decimato i rivoluzionari. Anche Vaughan l'aveva lasciato capire. E in tre settimane le forze della controrivoluzione avevano avuto il tempo di consolidarsi, con gli aiuti americani. Forse erano già pronte per l'invasione. Forse tra due o tre giorni.
Si alzò. Strano come la perdita di un braccio compromettesse l'equilibrio. Mosse qualche passo, e gli parve di aver appena imparato a camminare. Per fortuna si trattava del braccio sinistro. Potrò ancora scrivere, si disse. Anche a macchina. Quando il mondo sarà tornato normale, in Fleet Street troverà posto anche un giornalista con un braccio solo.
Si sedette sul letto. Sono contento per Pauline. E anche per Vincent. Non che a lui fossi molto affezionato, comunque... Noelle è stata sfortunata. Si immerse nel ricordo del passato, e a poco a poco il mondo sconvolto che si agitava fuori dalle quattro pareti della cella perse di realtà.

Il processo fu brevissimo.
Non fu nemmeno un processo nel vero senso della parola ma semplicemente una lettura delle imputazioni. I tre ufficiali ribelli che fungevano da giudici, ascoltarono, gli fecero alcune domande, e infine lo condannarono a morte. Dieci minuti in tutto.
La mente di Clive si rifiutava di prendere sul serio la sentenza. Anche quando si trovò in una piccola cella buia, con la porta d'acciaio, il suo subconscio si rifugiò dietro una barriera difensiva rifiutando la sentenza del tribunale. Un plotone di esecuzione lo avrebbe aspettato alle otto e trenta del mattino seguente. Ma Clive se lo ripeteva come se stesse dicendo agli amici di aver visto un marziano. Poi, col passare delle ore, la sua mente cominciò ad assimilare il significato di quello che l'aspettava, e un tremito di paura vera si mescolò all'incredulità.
Alle prime ore della sera gli portarono un autentico pranzo, ma lui non aveva fame. Stava in piedi al centro della cella, a guardare il muro di mattoni che si intravvedeva dalla finestra alta nella parete.
Di tanto in tanto gli giungeva alle orecchie il suono di un clacson, e lui pensò di essere in qualche punto di Londra.
Dovrei lasciare un messaggio per Pauline, pensò. Ma a che scopo? E che cosa le avrebbe detto? Sarebbe stata una sciocca concessione al sentimentalismo in un'ora in cui ogni sentimento era inutile.
Mio Dio, pensò a un tratto, mi hanno sconfitto! Intendeva il mondo in generale, non i ribelli. Lui aveva sempre manovrato i fili del suo destino, tirandoli da una parte o dall'altra al momento giusto. Adesso era il mondo che lo manovrava. Per la prima volta nella vita, Clive conobbe il sapore della sconfitta. Clive Brant, irrimediabilmente battuto.
Col cadere della notte la sua angoscia crebbe. Non era più soltanto una sconfitta, ma un annientamento. Era la fine di tutto. Nel buio della cella, era come se fosse già morto. Morto e sepolto.
Non sapeva che ora fosse. Forse le due del mattino... Ancora sei ore. Le sei ore più importanti della vita di un uomo, le sole nelle quali un uomo non può fare più niente.
Un'esplosione! Lontana, simile al brontolare di un tuono. Trattenne il fiato, il cervello contratto, come una antenna radar, a captare i rumori della notte. L'urlo lamentoso e prolungato di una sirena. Poi un'altra. E in pochi attimi, tutto un coro di sirene d'allarme sparsero nell'aria il loro gemito d'avvertimento. Ancora esplosioni. Più forti, e più vicine.
Per qualche minuto fu incapace di connettere, di capire l'incredibile significato di quei suoni. Un attacco aereo! Poteva essere l'inizio dell'invasione, della controrivoluzione! Si abbandonò al suo incurabile ottimismo. L'aveva sempre saputo! La sua fortuna che tornava! Che stupido ero stato a perdere la fiducia, anche per poco. Il mondo non aveva sconfitto Clive Brant.
Il bombardamento fu musica per le sue orecchie. Attraverso le inferriate vide sul muro di mattoni il riflesso arancione delle bombe incendiarie: un'alba piena di sole, diversa da quella che l'aveva ossessionato poco prima. Un'alba piena di luce, calda, dopo una notte nerissima. La più nera delle notti sfocia nella più luminosa delle albe, si disse. E continuò a ripetere la frase fino a farle acquistare un significato mistico.
Una nuova ondata di bombe, e il pavimento della prigione sussultò.
La luce fuori divenne più intensa sotto l'effetto delle fiamme invisibili. Il rumore di un crollo, vicino. Poi il suono di voci concitate, e la sirena di un'autoambulanza.
Si sedette sulla branda, in stato di ipnosi, affascinato dagli eventi, cercando di immaginare il futuro di Clive Brant, di intesserlo sulle esplosioni. Poi l'incursione aerea cessò. La luce arancione perse di intensità, e fu di nuovo buio. E silenzio.
Torneranno, pensò. Devono tornare.
E tornarono, più numerosi, più forti, e l'alba tornò ad accendersi più splendente, e le bombe esplosero più numerose sulla città. Ma la sua cella rimase intatta. Lui sapeva che sarebbe stato così. Quelle bombe non erano per lui. Quelle bombe avevano lo scopo di assicurargli la vita.
Gli attacchi continuarono a ondate, tutta la notte. Finché spuntò la vera alba, grigia sul muro di mattoni.
Gli portarono il caffè e la colazione. Erano le sette. Vennero in due a portargli da mangiare. Due uomini di mezza età, rudi, ma non ostili.
«Nottataccia» disse uno. «Quei bastardi ci hanno dato filo da torcere.»
«Già» disse Clive.
«E questo è soltanto l'inizio» disse l'altra guardia.
Clive non parlò. Un sorriso gli fece palpitare le labbra.
«Mai visto niente di simile» riprese la prima guardia. «E sì che sono stato sotto i bombardamenti di Londra nell'altra guerra. Ma come questa notte... Saranno stati migliaia.»
Poi le guardie se ne andarono, e Clive mangiò di buon appetito. Bevve il caffè, poi tornò a sdraiarsi sul lettino, e a pensare. Calcolò giusto il tempo per la nuova ondata. Si sentiva già il rombo lontano dei motori.
Loro vennero alle otto meno cinque. Erano in quattro. Giovani, decisi, sbrigativi.
«Conoscete la procedura» disse il primo avvicinandosi a Clive.
Il rombo degli aerei si avvicinava. Clive guardò i quattro uomini, sbalordito. «Non penserete di procedere ugualmente con...»
«Non rendeteci le cose più difficili» disse il secondo. «Noi eseguiamo gli ordini.»
«Ma le incursioni...»
«E con questo? La vita continua.»
Due uomini davanti, e due uomini alle spalle. Lo spinsero verso la porta giù per il corridoio. Poi un'altra porta che dava su uno spiazzo con un muro alto. Clive camminava senza capire. No, erano loro che non capivano! Chiaro che non avevano capito niente!
Nello spiazzo c'erano quattro uomini armati di carabina. Il plotone di esecuzione. Accanto ai quattro uomini, un ufficiale in maniche di camicia fumava una sigaretta. Lo scortarono fino al muro e lo fecero girare con le spalle contro i mattoni. Uno degli uomini sollevò una fascia bianca e fece il gesto di bendargli gli occhi.
«No» disse Clive. «Niente benda.»
«Come volete» rispose l'uomo.
Clive guardò il cielo. Sembravano uno stormo d'uccelli. Centinaia. Migliaia. E stava succedendo una cosa incredibile. Dagli aerei cadevano gocce scure che si allungavano nell'aria. Bombe, pensò Clive. Altre bombe.
Ma non erano bombe. Il tessuto leggero e resistente si aprì con effetto da ectoplasma, gonfiandosi al vento. Erano paracadute. Migliaia di paracadute simili a una spettacolare nevicata nel cielo del mattino.
Clive guardò gli uomini armati. Avevano già imbracciato i fucili. L'ufficiale aveva buttato la sigaretta.
«Aspettate!» gridò Clive. «Aspettate! C'è l'invasione... Stanno arrivando...»
Guardò ancora il cielo. La nevicata era più fitta. Era incredibile!
«Aspettate!» urlò.
«Credete che abbiano organizzato tutto questo per venire a salvare voi?» disse l'ufficiale in tono calmo. Poi si voltò verso il plotone, e ordinò: «Fuoco!»
Clive cominciò a correre, ma l'urto dei proiettili lo ricacciò indietro. Barcollò, si ripiegò su se stesso, cadde. Gli occhi sbarrati continuavano a fissare i fiocchi di neve che scendevano lenti.

FINE