IL CIRCOLO PICKWICK
Charles Dickens
INTRODUZIONE
[...] Il Circolo Pickwick è una saga costruita intorno al personaggio di Samuel Pickwick, uomo anziano e benestante, fondatore e presidente del circolo omonimo, che parte per un viaggio nell'Inghilterra rurale inseguendo il suo ideale filantropico di 'ricerca'. Accompagnato da tre fedeli giovani affiliati al circolo, Snodgrass, Winkle e Tupman, Pickwick si immerge nella campagna, ben presto trascinato in un'infinità di guai e imprevisti. La descrizione del variopinto patchwork di personaggi è l'aspetto a prima vista più raffinato di questo affollato romanzo, tanto zeppo da convincere Dickens a stilare un vero e proprio elenco di nomi a inizio libro, chissà, forse anche per rendere subito visibile la mole della sua fatica. Al di là del sottile umorismo trascinante e paradossale che caratterizza ogni pagina, il sostrato d'ironia pungente emerge soprattutto quando i pickwickiani si trovano coinvolti in un processo giudiziario e vengono sballottati dalle grinfie di astuti azzeccagarbugli nelle desolate celle della prigione di Fleet Street. I trascorsi famigliari di Dickens hanno di certo preso il sopravvento in questa narrazione dal sapore persecutorio. [...]
https://www.criticaletteraria.org/2008/11/il-circolo-pickwick-charles-dickens.html?m=1
IL CIRCOLO DI PICKWICK
I
Pickwickiani
Il primo raggio di luce che viene a rompere ed a fugare le tenebre nelle quali pareva involta l'apparizione dell'immortale Pickwick sull'orizzonte del mondo scientifico, la prima menzione officiale di quest'uomo prodigioso trovasi negli statuti inseriti fra i processi verbali del Circolo. L'editore dell'opera presente è lieto di poterli mettere sotto gli occhi dei suoi lettori, come una prova della scrupolosa attenzione, dello studio diuturno, dell'acume, che hanno sempre accompagnato le sue ricerche nella farraggine dei documenti affidati alle sue cure.
“Seduta del 12 maggio 1827. Presieduta da Giuseppe Smiggers, V.P.P.M.C.P. [Vice Presidente Perpetuo Membro del Circolo Pickwick], è stato deliberato quanto segue all'unanimità. “L'associazione ha udito leggere con un sentimento di schietta soddisfazione e con approvazione assoluta le carte comunicate da Samuele Pickwick, P.P.M.C.P. [Presidente Perpetuo
Membro del Circolo Pickwick] e intitolate “Ricerche sulle sorgenti degli stagni di Hampstead, seguite da alcune osservazioni sulla teorica dei pesciolini d'acqua dolce.”
“L'associazione esprime le sue più calde grazie al prelodato Samuele Pickwick, P.P.M.C.P. “L'associazione, non disconoscendo menonamente i vantaggi che possono derivare alla scienza dalle ricerche infaticabili di Samuele Pickwick nei villaggi di Hornsey, Highgate, Brixton e Camberwell, non può fare a meno di considerare i risultamenti inapprezzabili che sarebbe ragionevole augurarsi in pro della diffusione delle cognizioni utili e del progresso dell'istruzione, se i lavori di quest'uomo insigne avessero un campo più largo, se cioè i suoi viaggi fossero più estesi e del pari fosse più estesa la cerchia delle sue osservazioni.
“A questo scopo, l'Associazione ha preso in seria considerazione una proposta del prefato Samuele Pickwick, P.P.M.C.P. e di altri tre Pickwickiani qui appresso citati, tendente a costituire una nuova diramazione del Circolo, sotto il titolo di Società corrispondente del Circolo Pickwick.
“La detta proposta essendo stata approvata e ratificata dall'Associazione,
“La Società corrispondente del Circolo Pickwick rimane col presente atto costituita:
Samuele Pickwick, P.P.M.C.P. Augusto Snodgrass, M.C.P. Tracy Tupman, M.C.P., e Nataniele Winkle, M.C.P., sono egualmente col presente atto scelti e nominati membri della detta Società corrispondente, e incaricati di indirizzare di tratto in tratto all'Associazione del Circolo Pickwick, a Londra, dei particolari autentici sui loro viaggi e le loro investigazioni; le loro osservazioni sui caratteri e sui costumi; tutte le loro avventure in somma, non che le narrazioni e altri opuscoli cui per avventura dessero motivo le scene locali o i ricordi che vi hanno relazione.
“L'Associazione riconosce ben volentieri il principio che i membri della Società corrispondente debbano sostenere del proprio le spese dei loro viaggi; e non vede nessun inconveniente a che i membri della detta Società proseguano le loro ricerche per tutto il tempo che piacerà loro, sempre però alle medesime condizioni.
“I membri della prefata Società corrispondente siano, e sono con l'atto presente informati, che la loro proposta di pagare la francatura delle loro lettere, e il prezzo di trasporto dei loro pacchi, è stata da questa Associazione presa in seria disamina. Questa Associazione considera tale proposta degna degli animi elevati dai quali emanò, e non vi fa di conseguenza opposizione di sorta.”
Un casuale osservatore — aggiunge qui il segretario, alle cui note noi dobbiamo la relazione che segue — un casuale osservatore non avrebbe forse nulla rilevato di straordinario in quel cranio lucido, e in quelle due lenti di occhiali puntate intentamente verso di lui (del segretario), durante la lettura delle soprascritte deliberazioni. Per quelli invece i quali sapevano che il gigantesco cervello di Pickwick lavorava dietro quella fronte, e che gli occhi vivi di Pickwick brillavano dietro quelle lenti, lo spettacolo era davvero interessante. Ecco appunto l'uomo che avea spinto le sue indagini fino alle sorgenti degli stagni di Hampstead, ed agitato il mondo scientifico con la sua teorica dei pesciolini, calmo e impassibile come le profonde acque di quelli in un giorno di nebbia, o come un solitario individuo di questi ultimi nel più profondo di una brocca di terra. E quanto più interessante divenne lo spettacolo, quando, improvvisamente animatosi, al grido unanime di Pickwick emesso dai suoi seguaci quell'uomo illustre lentamente montò sulla seggiola dove prima era seduto e volse la parola al Circolo da lui stesso fondato. Che studio per un artista presentava quella scena così mossa! L'eloquente Pickwick con una mano nascosta sotto le falde del soprabito, moveva l'altra in aria per accompagnare e colorire la sua declamazione; il posto elevato ch'egli occupava metteva in bella mostra quei calzoni e quelle uose, che se avessero coperto le membra di un altro uomo qualunque, sarebbero forse passate senza osservazione, ma che, quando Pickwick le informava — se così è lecito dire — inspiravano un involontario sentimento di rispetto e di venerazione; lo circondavano gli uomini che si erano spontaneamente offerti a dividere i pericoli dei suoi viaggi, e che erano destinati ad aver parte nella gloria delle sue scoperte. Alla sua destra sedeva il sig. Tracy Tupman; il troppo sensibile Tupman, il quale al giudizio ed all'esperienza dell'età matura aggiungeva l'entusiasmo e l'ardore di un fanciullo, nella più interessante e perdonabile delle debolezze umane, — l'amore. Il tempo e la naturale nutrizione aveano un po' allargato quelle forme altra volta romantiche; il panciotto di seta nera si era via via andato sviluppando; pollice a pollice la catena d'oro sospesavi sotto s'era sottratta al raggio visuale di Tupman; e gradatamente il mento rotondeggiante era andato sporgendo sulla bianca cravatta — ma l'anima di Tupman non era per nulla mutata, e l'ammirazione pel bel sesso ne costituiva sempre la qualità dominante. A sinistra del suo illustre condottiero sedeva il poetico Snodgrass, e più appresso l'ameno Winkle, il cacciatore; quegli poeticamente avvolto in un misterioso soprabito azzurro con un bavero di pelle canina, e questi con un vestito nuovo da caccia, fazzoletto scozzese al collo, e calzoni stretti alle coscie.
Il discorso del sig. Pickwick e la discussione che ne seguì sono registrati nei processi verbali del Circolo. L'uno e l'altra presentano una notevole affinità alle discussioni di altre celebri assemblee; e poichè non è senza interesse di confrontare gli atti e le parole dei grandi uomini, vogliamo trascrivere qui il processo verbale della seduta. “Il signor Pickwick osservò (scrive il segretario), che al cuore di ogni uomo è cara la fama. La fama poetica era cara al suo amico Snodgrass; del pari la fama di conquistatore era cara all'amico Tupman; e il desiderio di venire in fama negli esercizii del campo, dell'aria e dell'acqua, vinceva ogni altro affetto nel seno dell'amico Winkle. Egli (il signor Pickwick) non volea mica negare di essere come ogni altro governato da passioni umane e da umani sentimenti (Applausi) — forse anche da umane debolezze (No, no!): ma questo egli poteva affermare che se mai il fuoco dell'amor proprio e dell'orgoglio personale gli si accendeva dentro, subito lo domava la brama di spender se stesso e l'opera sua in pro del genere umano. La lode dell'umanità era la sua idea fissa; la filantropia era il suo ufficio di Assicurazione (Scoppio d'applausi). Egli era stato orgoglioso — sì, era stato orgoglioso, lo riconosceva francamente, e se ne giovassero pure di questa confessione i suoi nemici — egli era stato orgoglioso quando avea presentato al mondo la sua gran Teorica dei pesciolini: poteva esser famosa o poteva non esserlo (Una voce: Lo è. Vivi applausi). Ebbene, egli consentiva ad accogliere l'affermazione dell'onorevole membro la cui voce era appunto pervenuta al suo orecchio; ma se la celebrità di quel trattato si dovesse anche estendere ai più remoti confini del mondo conosciuto, l'orgoglio col quale egli avrebbe sentito la sua qualità di autore, sarebbe stato men che nulla a confronto dell'orgoglio da cui si sentiva compreso quando si guardava intorno in questo momento, il più bel momento della sua vita. (Applausi). Egli non era che una modesta personalità (No, no!) Non poteva però disconoscere di essere stato designato dall'onorevole assemblea a compiere un mandato molto onorevole ma non meno pericoloso. Le condizioni presenti del viaggiare non erano affatto rassicuranti, e un certo disordine si manifestava qua e là nelle facoltà mentali dei vetturini. Volgessero intorno uno sguardo, contemplassero le scene che tutti i giorni si ripetevano. Diligenze ribaltate, cavalli sfrenati, battelli colati a fondo, scoppio di caldaie. (Applausi — Una voce: No) No? (Applausi) Che l'onorevole membro che ha detto No così ad alta voce si faccia avanti, ed osi ripetere la sua smentita. (Applausi) chi è che ha gridato di no? (Applausi entusiastici) Era forse qualche piccola vanità disillusa — ei non diceva già qualche fabbricante di berretti (Fragorosi applausi), il quale, geloso delle lodi di cui s'era largheggiato — forse immeritamente — verso di lui Pickwick, e delle sue ricerche, e rodendosi nella impotenza di una audace rivalità si appigliava ora a questo modo basso e calunnioso di....
“Il signor “Blotton” (di Aldgate) domanda la parola per un richiamo all'ordine. Avea inteso forse l'onorevole preopinante fare allusione a lui? (Grida di all'ordine, sì, no, basta, continui, applausi).
“Il signor “Pickwick” non si sarebbe mica fatto imporre dai clamori. Appunto egli aveva voluto alludere all'onorevole preopinante (Grande agitazione).
“Il signor “Blotton” aggiungeva adunque ch'egli respingeva sdegnosamente le false ed abbiette accuse dell'onorevole avversario (Grandi applausi). L'onorevole preopinante non era che un ciarlatano. (Grande confusione, e grida di all'ordine).
“Il signor “Snodgrass” per un appello all'ordine. Egli voleva soltanto sapere se questa disgraziata contesa tra due membri della onorevole assemblea dovesse o no continuare (Udite, udite!).
“Il “Presidente” era sicuro che l'onorevole Pickwikiano avrebbe ritirata l'espressione della quale appunto s'era servito.
“Il signor “Blotton”, con tutto il rispetto possibile per la presidenza, era sicurissimo del contrario.
“Il “Presidente” sentiva esser suo dovere imprescindibile di domandare all'onorevole preopinante se egli aveva adoperato l'espressione sfuggitagli in un senso comune o altrimenti.
“Il signor “Blotton” non esitava punto a rispondere di no — egli avea adoperato la parola nel suo senso Pickwickiano (Udite, udite). Egli sentiva il debito di riconoscere che, personalmente, nutriva i sentimenti della più alta stima per l'onorevole Presidente perpetuo; egli non lo avea considerato ciarlatano che da un punto di vista tutto Pickwickiano (Udite, udite).
“Il signor “Pickwick” si dichiarava pienamente soddisfatto per la franca e nobile dichiarazione del suo onorevole amico. Per conto suo egli pregava fosse bene inteso che le sue proprie espressioni non dovessero essere interpretate che in un senso Pickwickiano (Applausi).”
Qui il verbale si chiude, come naturalmente si dovette chiudere anche la discussione, dopo essere arrivata ad un punto così altamente soddisfacente ed intelligibile. Dei fatti che il lettore troverà ricordati nel capitolo seguente noi non abbiamo nessun documento ufficiale, ma essi sono stati con ogni studio raccolti e collezionati da lettere ed altri manoscritti, così indubbiamente genuini, da giustificare la loro narrazione in una forma seguita e connessa.
Il.
Il primo giorno di viaggio e le avventure della prima sera con le relative conseguenze.
Quel servo fedele di ogni lavoro, che è il sole, s'era appunto levato ed avea incominciato a spandere la sua luce sul tredicesimo giorno di maggio milleottocentoventisette, quando il signor Samuele Pickwick sorse come un altro sole dai suoi riposi; e spalancata che ebbe la finestra di camera sua, gettò uno sguardo collettivo sul mondo sottoposto. La via Goswell gli stava ai piedi, la via Goswell si stendeva alla sua destra, la via Goswell si sviluppava verso sinistra per quanto l'occhio portava, e di faccia a lui si apriva appunto e si dilungava la via Goswell. “Tali sono” pensò il signor Pickwick “gli angusti criteri di quei filosofi i quali tenendosi paghi all'esame delle cose direttamente tangibili, non guardano alle verità che vi si nascondono. Allo stesso modo, io potrei esser soddisfatto di contemplare per sempre questa via, senza fare alcuno sforzo per penetrare nelle misteriose regioni che da ogni lato la circondano.” E così, dato sfogo a questa bella riflessione, il signor Pickwick procedette alla duplice operazione di metter la propria persona nei suoi vestiti e i suoi vestiti nella valigia. Ben di rado i grandi uomini sono molto scrupolosi nella cura della persona; sicchè il radersi, il vestirsi e il sorbire del caffè fu fatto in men che non si dica; e di lì ad un'ora, il signor Pickwick, con la valigia in una mano, il cannocchiale nella tasca del soprabito, il libro degli appunti nel taschino della sottoveste a ricevere tutte quelle scoperte che fossero degne di particolare menzione, era arrivato alla piazza delle vetture di San Martino il Grande.
— Ehi, cocchiere! — chiamò il signor Pickwick.
— Eccoci qua, signore, — rispose uno strano esemplare della razza umana, in giacca e grembiule di tela, e con al collo una piastra di rame numerata, che lo facea parere classificato in una collezione di rarità. Era il fattorino di piazza. — Eccoci qua, signore. Ehi, a te, prima carrozzella!
Il primo cocchiere della riga fu subito scovato dalla bettola dove se ne stava fumando la sua prima pipa, e il signor Pickwick e la relativa valigia furono caricati nel veicolo.
— Golden Cross, — disse il signor Pickwick.
— Corsa d'uno scellino, Tommy, — gridò il cocchiere di malumore per informazione speciale dell'amico fattorino, mentre la vettura partiva.
— Che età può avere cotesto cavallo? — domandò il signor Pickwick, strofinandosi il naso con lo scellino che teneva pronto per pagar la corsa.
— Quarantadue anni, — rispose il fiaccheraio, sbirciando di traverso il suo passeggiero.
— Come! — esclamò il signor Pickwick correndo subito con la mano al suo libro degli appunti. Il cocchiere ripetette la sua affermazione. Il signor Pickwick lo guardò fiso, ma la faccia di quell'uomo rimase impassibile, sicchè la singolare informazione fu subito registrata.
— E quanto tempo alla volta lo tenete attaccato? — domandò il signor Pickwick, cercando sempre di accrescere il tesoro delle sue cognizioni.
— Tre o quattro settimane, — rispose il cocchiere,
— Settimane! — esclamò stupefatto il signor Pickwick; e da capo tirò fuori il libro degli appunti.
— Quando sta a casa sua a Pentonville, alla stalla, — disse il cocchiere con la massima calma, — ma a casa lo si porta di rado, a motivo della debolezza.
— Della debolezza! — ripetette il signor Pickwick sempre più perplesso.
— Non c'è caso! quando lo si stacca, cade di sicuro. Ma quando è sotto, lo tengo su stretto e con la briglia corta, di cadere non se ne parla; poi di ruote come queste non se ne trovano, che vanno sole, appena le si toccano; sicchè, capite, quando il cavallo si muove gli corrono dietro, e la bestia ha da andare avanti per forza.
Il signor Pickwick registrò parola per parola questa comunicazione, con l'idea di darne parte al Circolo come un singolare esempio della vitalità dei cavalli in circostanze tutt'altro che favorevoli. Aveva appena terminato di scrivere quando arrivò a Golden Cross. Il cocchiere balzò dalla cassetta, mentre il signor Pickwick scendeva dalla vettura. I signori Tupman, Snodgrass e Winkle, i quali erano lì ad aspettare l'arrivo del loro illustre condottiero, gli si strinsero intorno per fargli festa.
— Ecco per voi, — disse il signor Pickwick porgendo lo scellino al cocchiere.
Ma quale fu lo stupore dell'insigne uomo, quando quell'essere indefinibile, gettando a terra la moneta, dichiarò in termini figurati ch'egli voleva soltanto avere il piacere di vedersela un po' con lui, e di scontare a pugni il suo scellino.
— Siete matto, — disse il signor Snodgrass — O ubbriaco, — disse il signor Winkle.
— O l'uno e l'altro, — disse il signor Tupman.
— Andiamo via, fatevi avanti, — gridava il cocchiere allargando le gambe e tirando in aria vari pugni preparatori, — fatevi avanti tutti e quattro.
— Bravo, bravo! — gridarono una mezza dozzina di fiaccherai. — Piglia, Sam, piglia! — e fecero cerchio intorno alla brigata.
— Che c'è, Sam? — domandò un signore vestito di nero.
— Che c'è, che c'è! e perchè ha voluto il mio numero, eh?
— Io non v'ho domandato il vostro numero, — disse l'attonito signor Pickwick.
— E perchè ve lo siete pigliato allora?
— Ma io non l'ho pigliato niente affatto!
— Potreste mai credere, — proseguì il fiaccheraio, appellandosi alla folla, — potreste mai credere che uno di cotesti spioni se ne vada attorno nella vettura di un galantuomo, e non solo se ne pigli e se ne scriva il numero, ma scriva poi per giunta tutte le parole che gli escono di bocca? — (Un lampo rischiarò la mente del signor Pickwick; si trattava del libro degli appunti).
— Come! questo ha fatto? — domandò un altro cocchiere.
— Altro se l'ha fatto! e poi dopo avermi provocato perchè gli dessi addosso, fa trovare quei tre testimoni per provarlo. Ma gliela faccio vedere io, avesse anche a costarmi sei mesi di gattabuia. Orsù, a noi! — e il vetturino, fuori di sè, con uno sprezzo eroico pei suoi effetti privati, scaraventò il cappello a terra, fece saltare in aria gli occhiali del signor Pickwick, e seguitò l'attacco con un colpo sul naso del signor Pickwick, e poi con un altro colpo in petto al signor Pickwick, e con un terzo nell'occhio del signor Snodgrass, e con un quarto, per amor di varietà, nel panciotto del signor Tupman, e poi saltò in mezzo alla strada, e poi di nuovo con un balzo tornò sul marciapiedi, e finalmente s'afferrò al signor Winkle in maniera da fargli uscir lo spirito dai polmoni — e tutto questo in una mezza dozzina di minuti secondi.
— Non c'è nemmeno una guardia? — disse il signor Snodgrass.
— Sotto la pompa, sotto la pompa, — suggerì un pasticciere, — metteteli sotto la pompa. — Me la pagherete cara, — gridò quasi soffocato il signor Pickwick.
— Spie, spie! — gridò la folla.
— Avanti, fatevi avanti! — sbraitava il cocchiere, che non avea smesso intanto di tirar pugni in aria.
La folla aveva fino a questo punto assistito passivamente alla scena; ma non appena fu sparsa la voce che i Pickwickiani erano delle spie, s'incominciò a ventilare con molto calore l'opportunità di tradurre in atto la proposta del violento pasticciere; e non si può dire a quali atti di personale aggressione si sarebbe trasceso, se alla disputa non avesse inaspettatamente messo termine l'intromissione di un nuovo venuto.
— Che diamine succede qui? — domandò un giovane lungo e secco, vestito di verde, sbucando all'improvviso dall'ufficio delle vetture.
— Spie, spie! — urlò di nuovo la folla.
— Non è vero! — gridò il signor Pickwick in un tono che avrebbe subito convinto qualunque spassionato ascoltatore.
— Non è vero, eh? proprio non è vero? — domandò il giovane, parlando al signor Pickwick ed aprendosi una via fra la folla col processo infallibile degli spintoni e delle gomitate. Quell'uomo insigne in brevi ed affrettate parole espose lo stato reale delle cose.
— Venite via, dunque, — disse quegli dal vestito verde, traendosi dietro a forza il signor Pickwick, e senza smettere di parlare. — Qui, a voi, numero 924, questa è la corsa, prendete, levatevi dai piedi. Persona rispettabile. Lo conosco io. Non facciamo sciocchezze. Di qua, signore, di qua. Dove sono i vostri amici? Vedo, vedo, non è che un equivoco — poco male — cose che accadono a tutti — nelle famiglie più regolate — a tutto c'è rimedio meno che alla morte — bisogna farsi animo. Citatelo, per bacco. Pigli questa e se la fumi, se gli va. Canaglia.
E spifferando una coroncina interminabile di simili sentenze a singhiozzi, il giovane introdusse il signor Pickwick e i compagni suoi nel salotto dei viaggiatori.
— Cameriere! — gridò poi, dando una fiera strappata al cordone del campanello, — dei bicchieri per tutti; ponce caldo, forte, bene inzuccherato, e in abbondanza. Avete male all'occhio, signore? Cameriere! una bistecca cruda per l'occhio del signore. Eccellenti le bistecche per le contusioni. Anche il freddo del fanale è ottimo, ma un po' incomodo. Strana posizione quella di stare nella pubblica via per mezz'ora con un occhio attaccato alla colonna di un lampione. Ah, ah! davvero non ci si può pensare senza ridere. Ah, ah!
E il giovane, senza ripigliar fiato, ingollò d'un tratto un mezzo litro di ponce scottante, e si sdraiò in una seggiola con tanto abbandono e tanta disinvoltura come se niente di strano fosse accaduto.
Mentre i suoi compagni andavano esprimendo la loro gratitudine alla nuova conoscenza, il signor Pickwick ebbe agio di esaminarne il costume e l'aspetto.
Non era che di mezzana statura, ma la magrezza della persona e la lunghezza delle gambe lo facevano parere molto più alto di quel che in effetto non era. L'abito verde era stato già una giubba elegante al tempo dei vestiti a coda di rondine, ma disgraziatamente aveva dovuto servire ad un uomo molto più piccolo del nostro sconosciuto, visto che le maniche maculate e sbiadite gli giungevano appena ai polsi. Era gelosamente abbottonato fin sotto al mento, a rischio di creparsi da un momento all'altro nella schiena. Un vecchio fazzoletto, senza alcun indizio di solino, gli circondava il collo. Un par di calzoni tra il nero e il rossastro mostravano qua e là di quelle magagne che rivelano il lungo e fedele servizio, ed erano per via delle staffe bene stirati sopra un paio di scarpe rattoppate, come per nascondere le calze non affatto pulite, le quali nondimeno erano visibilissime. I capelli lunghi e neri sfuggivano in ciocche ribelli di sotto ad un cappellaccio posto di sghembo. Tra l'orlo dei guanti e le rivolte delle maniche si aveva di tratto in tratto una rapida visione di polsi nudi. Aveva il viso magro e sparuto; ma un'aria ineffabile di allegra impudenza e di perfetta sicurezza emanava da tutto lui.
Tale era l'uomo, al quale guardava il signor Pickwick di dietro gli occhiali (che per buona sorte avea potuto ricuperare), e al quale volle rendere in termini scelti, quando già gli amici suoi s'erano profusi in espressioni di gratitudine, le sue più calde grazie pel soccorso recente che aveva loro prestato.
— Niente, niente, — disse il giovane tagliando corto. — Basta così. Canaglia quel cocchiere. Che pugni, perbacco! Fossi stato nei panni del vostro amico verde! l'avrei stritolato; altro se l'avrei! ed anche il pasticciere. Una sola schiacciata, un boccone.
Questo discorso molto coerente fu interrotto dalla comparsa del vetturino di Rochester, il quale veniva ad annunziare che Il Commodoro era pronto a partire.
— Commodoro! — esclamò il giovane sconosciuto balzando in piedi. — La carrozza mia. Posto già preso. Imperiale. Pensino lor signori a pagare il ponce. Dovrei barattare un pezzo da cinque. Non c'è prudenza che basti. Tanto d'occhi. Monete false a staia. Non mi ci pigliano, non è affare che va, eh?
E crollò la testa con aria di persona accorta.
Ora il caso volle che il signor Pickwick e i tre suoi compagni avessero appunto pensato a Rochester come prima fermata; sicchè avendo accennata questa avventurata coincidenza al loro novello amico, si accordarono di occupare il posto dietro la diligenza, dove si poteva star tutti insieme.
— A noi, su! — disse il giovane sconosciuto, aiutando il signor Pickwick a montar sull'imperiale con tanta fretta e violenza, da danneggiare materialmente la gravità di quell'uomo insigne.
C'è bagaglio? — domandò il vetturino.
— Chi, io? Nient'altro che un fagotto. Tutto l'altro bagaglio spedito per mare. Cassoni legati e inchiodati, alti come case. Pesano un buscherio, — rispose il giovane, cercando di cacciarsi in tasca un suo fagotto che presentava molti indizi sospetti di non contenere che una camicia e un fazzoletto.
— La testa, la testa, badate alla testa! — gridò il loquace viaggiatore, mentre la diligenza passava sotto l'arco del cortile. — Un orrore; non si celia mica. L'altro giorno per la più corta. Cinque bambini e una madre. Un pezzo di donna, capite. Mangiando biscottini, non badò all'arco. Crak! Che è, che non è? I bambini si guardano intorno. Spiccato il netto il capo della mamma. Col biscottino in mano e senza più bocca per mangiarlo. Un capo di famiglia a terra. Orribile, spaventevole. Guardate a Whitchall, signore? Bel palazzo, piccola finestra. Anche lì un altro capo spiccato dal busto, eh? E nemmeno lui era stato attento. Eh, non vi pare?
— Pensavo, — disse il signor Pickwick, — alla strana mutabilità delle cose umane.
— Ah, vedo, vedo! Oggi sul portone, domani alla finestra. Filosofo?
— Un semplice osservatore della natura umana, mio caro signore.
— Io pure; come lo sono molti quando hanno poco da fare e meno da guadagnare. Poeta, signore?
— Il mio amico Snodgrass ha una pronunciata disposizione alla poesia, — rispose il signor Pickwick.
— Come me, come me. Poema epico; diecimila versi; rivoluzione di luglio; composto sopra luogo. Marte di giorno, Apollo di notte. Il fucile e la lira, uno sparo e un accordo.
— Vi trovaste a quella scena gloriosa? — domandò il signor Snodgrass.
— Se mi ci trovai! altro che! Un colpo di moschetto e un'idea. Corro nella cantina, la scrivo, di nuovo al fuoco, pin pan! un'altra idea, da capo la cantina, calamaio e penna, fuori, fendenti e stragi, bell'epoca, caro signore, bell'epoca quella lì. Cacciatore? — volgendosi di botto al signor Winkle.
— Un poco, — rispose questi.
— Bell'esercizio, signore, bell'esercizio. Cani, eh?
— Proprio in questo momento, no.
— Ah! dovreste tener dei cani. Bell'animale, intelligente, sagace. Ne avevo uno io. Un cane di punta. Un istinto da sbalordire. Un giorno vado a caccia. Entro in una difesa. Fischio. Il cane non si muove. Rifischio: Ponto! Niente. Ponto ha messo radici. Lo chiamo ancora: Ponto, Ponto! Tutto
inutile. Cane pietrificato, fisso davanti una scritta. Alzo gli occhi, leggo: “Il guardacaccia ha ordine di tirare a qualunque cane si troverà in questa difesa.” Ponto non voleva passare. Bestia sorprendente. Inapprezzabile, unica.
— Davvero che il caso è straordinario, — disse il signor Pickwick. — Permettete che ne pigli appunto?
— Fate, fate, servitevi. Cento altri aneddoti dello stesso animale. Bella ragazza, signore! — proseguì il forestiero volgendosi al signor Tupman, il quale andava lanciando certe sue occhiate tutt'altro che pickwickiane ad una giovanetta che passava da un lato della via.
— Bellissima, — rispose il signor Tupman.
— Le Inglesi non valgono le Spagnuole: nobili creature, capelli d'ebano, pupille di fuoco, forme scultorie; creature dolci, irresistibili!
— Siete stato in Ispagna, signore? domandò il signor Tracy Tupman.
— Dei secoli, dei secoli.
— Molte conquiste, signore? — domandò il signor Tupman.
— Conquiste? a migliaia. Don Bolaro Fizzgig. Grande di Spagna. Figlia unica, donna Cristina, creatura splendida. Innamorata cotta di me, padre geloso, ragazza ostinata, bell'Inglese. Come si fa? Disperazione di donna Cristina. Acido prussico. Piglio una pompa aspirante, che ho nel mio bagaglio. Detto fatto, l'operazione riesce. Il vecchio don Bolaro, in estasi. Consente alle nozze, congiunge le mani, torrenti di lagrime. Una storia romanticissima.
— E la signora trovasi ora in Inghilterra? — domandò il signor Tupman, sul quale la descrizione di quelle grazie aveva prodotto una profonda impressione.
— Morta, signore, morta! — esclamò in un gemito il giovane viaggiatore, applicandosi all'occhio diritto l'avanzo di un vecchio fazzoletto di battista. — Non si riebbe più dalla operazione.
Costituzione minata. Vittima.
— E suo padre? — domandò il poetico Snodgrass.
— Rimorso e miseria, — rispose il giovane. — Sparizione improvvisa. Che è, che non è, tutti ne parlano, si cerca dappertutto, niente. Di botto la fontana pubblica nella piazza non dà più acqua. Passano delle settimane. Altra fermata. Si mandano degli operai a pulir la vasca, si vuota.
Trovano mio suocero nel condotto maestro, col capo in giù, e una piena confessione nello stivale destro. Lo tirano fuori, e dalla fontana zampilla meglio che mai.
— Permettete che pigli nota di questo piccolo romanzo? disse il signor Snodgrass, vivamente commosso.
— Servitevi, signore, servitevi. Altri cinquanta, se vi piace. Una strana vita la mia, curiosa anzi che no, niente di straordinario, ma singolare, molto singolare.
Su questo tono seguitò a discorrere il loquace viaggiatore, interrompendosi solo per ingurgitare un bicchiere di birra, a guisa di parentesi, alle varie poste di cavalli; sicchè quando furono giunti al ponte di Rochester, i libri di appunti così del signor Pickwick come del signor Snodgrass erano completamente riempiti di una scelta delle sue avventure.
— Magnifiche rovine! — esclamò il signor Augusto Snodgrass con quella foga poetica ch'era tutta sua, quando ebbero davanti il vecchio castello.
— Che studio per un antiquario! — furono le precise parole che il signor Pickwick, adattandosi all'occhio il suo telescopio, si fece sfuggire dalle labbra.
— Ah! un bel posto, — soggiunse lo sconosciuto. — Splendido edifizio, mura accigliate, archi cadenti, biechi nascondigli, scale crollanti. Vecchia cattedrale anche, odore terrigno, i gradini consumati dai piedi dei pellegrini, porticine sassoni, confessionali, come il botteghino di un teatro. Curiosi cotesti frati, papi e tesorieri, e altro vecchio ciarpame, facce rosse e nasi smozzicati; ne dissotterrano tutti i giorni. Dei giachi di pelle anche, degli archibugi, sarcofaghi, bel posto, antiche leggende, storie curiosissime, magnifico!
E lo sconosciuto continuò il suo monologo fino a che la diligenza non si fermò, sulla via maestra, davanti all'Albergo del Toro.
— Rimanete qui, signore? — domandò il signor Nataniele Winkle.
— Qui? no davvero. Voi sì, farete bene. Buona casa, letti eccellenti. Troppo caro l'albergo accanto. Mezza lira di più sul conto, soltanto per aver guardato in viso il cameriere. Conto più salato se vi permettete di desinare da un amico che se non uscite dall'albergo. Bei tipi, davvero.
Il signor Winkle si accostò al signor Pickwick e gli bisbigliò qualche parola all'orecchio. Un mormorio passò dal signor Pickwick al signor Snodgrass, dal signor Snodgrass al signor Tupman, e dei segni di assenso furono scambiati. Allora il signor Pickwick, volgendosi al forestiero:
— Voi ci avete reso stamane un grande servigio, caro signore, — disse; — vorreste permetterci di offrirvi un lieve attestato della nostra gratitudine domandandovi il favore della vostra compagnia a pranzo?
— Volentierissimo. Non pretendo mica imporre i miei gusti, ma polli arrosto, funghi, squisito! A che ora?
— Vediamo, — disse il signor Pickwick, tirando fuori l'orologio. — Adesso son le tre. Vi accomoda per le cinque?
— Egregiamente. Cinque in punto. Fino allora, vi lascio in libertà; — e sollevatosi di qualche pollice il cappello dalla testa in segno di saluto e aggiustatolo sulle ventiquattro, lo sconosciuto traversò svelto svelto il cortile e voltò nella via, avendo sempre fuori della tasca metà del suo fagotto di carta grigia.
— Un gran viaggiatore, senza dubbio, ed un arguto osservatore degli uomini e delle cose. — disse il signor Pickwick.
— Mi piacerebbe dare un'occhiata al suo poema, — disse il signor Snodgrass.
— Quanto avrei voluto vedere quel suo cane! — disse il signor Winkle.
Il signor Tupman non disse niente; ma pensava a donna Cristina, alla pompa, alla fontana, e gli si empivano gli occhi di lagrime.
Dopo aver fissato una camera da pranzo privata, esaminati i letti, e ordinato il desinare, i nostri viaggiatori uscirono per visitare la città e le sue vicinanze.
Noi non troviamo, da un'attenta lettura delle note del signor Pickwick sulle quattro città,
Stroud, Rochester, Chatham e Brompton, che le sue impressioni in proposito differiscano gran fatto da quelle di altri viaggiatori che abbiano percorso le medesime regioni. Si può riassumere in poche parole la sua descrizione.
“I prodotti principali di queste città” scrive il signor Pickwick “pare che siano soldati, marinai, Ebrei, calce, gamberi, ufficiali e impiegati della marina. Le merci poste in vendita sulla pubblica via sono specialmente roba marinaresca, biscotto, mele, baccalà ed ostriche. Le vie presentano un aspetto animatissimo, in grazia soprattutto del buon umore dei militari. È veramente uno spettacolo delizioso per un animo filantropico il vedere quei bravi soldati, presi da un accesso combinato di spiriti animali ed artifiziali, andar qua e là ciondoloni come battagli; tanto più quando si pensi che divertimento innocente e poco dispendioso essi offrano alla popolazione dei ragazzi che corre loro dietro e scherza con essi. Non c'è nulla (aggiunge il signor Pickwick) che possa agguagliare la loro allegria. Appunto il giorno prima del mio arrivo, uno di essi era stato villanamente insultato in una bettola. La ragazza che faceva da tavoleggiante gli avea negato chiaro e tondo dell'altro vino. Al che, per semplice scherzo, egli avea tratto la sua baionetta; ed avea ferito la ragazza alla spalla. E nondimeno, questo bravo ragazzo si presentò la mattina appresso alla bettola, e fu il primo a dichiarare di esser pronto a non pensarci più e a dimenticare quanto era accaduto!
“Il consumo del tabacco in queste città (continua il signor Pickwick) dev'essere straordinario; e l'odore che invade le strade non può riuscire che deliziosissimo agli amatori del fumo. Un viaggiatore superficiale potrebbe trovare a ridire sulla mota costante che è la speciale caratteristica di quelle; ma per coloro che la guardano come un indizio del traffico e della prosperità commerciale, la cosa è assolutamente consolante.”
Alle cinque in punto si presentò il giovane invitato, e poco dopo fu servito in tavola. Il fagotto di carta grigia non c'era più, ma nessun mutamento era avvenuto nei vestiti del viaggiatore, e tanto meno nella sua loquacità che era anzi divenuta più notevole che mai.
— Che roba è questa? — domandò mentre il cameriere sollevava uno dei coperchi.
— Sogliole, signore.
— Sogliole? ah! Stupende. Tutte le sogliole vengono da Londra. I proprietari di diligenze mettono su a posta dei banchetti politici; pel trasporto, capite. Carichi di sogliole, canestri a dozzine. Gente che sa il fatto suo. Un bicchier di vino, signore?
— Grazie, volentieri, — rispose il signor Pickwick; — e il forestiero prese del vino; prima con lui, e poi col signor Snodgrass, e poi col signor Tupman, e poi col signor Winkle, e poi con tutta la brigata, con quella medesima rapidità con la quale parlava.
— C'è un vero diavoleto per le scale, cameriere, — disse lo sconosciuto. — Seggiole, panche vanno su e giù, falegnami, lumi, bicchieri, strumenti, un'arpa. Che diamine succede? — Un ballo, signore, — rispose il cameriere.
— Per sottoscrizione?
— Signor no, signore. Un ballo di beneficenza, signore.
— Sapete che vi siano molte belle donne in questa città? — domandò con vivo interesse il signor Tupman.
— Splendide, magnifiche. Kent, caro signore. Tutti conoscono Kent: mele, ciliege, luppoli e donne. Un bicchiere di vino?
— Volentieri, — rispose il signor Tupman Lo sconosciuto empì e vuotò in meno di niente.
— Ci andrei con molto piacere, — disse il signor Tupman, ripigliando a parlare del ballo, — con moltissimo piacere.
— I biglietti si vendono su, alla porta, signore, — disse il cameriere; — mezza ghinea, signore.
Il signor Tupman manifestò nuovamente un gran desiderio di assistere alla festa; ma non incontrando alcuna risposta nell'occhio velato dell'amico Snodgrass o nello sguardo astratto del signor Pickwick, si diè con molta forza al vino di porto e alle frutta che appunto erano state portate in tavola. Il cameriere si ritirò, e la brigata fu lasciata a godersi quel paio d'ore di dolce abbandono che sogliono succedere al desinare.
— Domando scusa, signore, — disse lo sconosciuto. — La bottiglia sta in ozio, fatela girare, come il sole, una corsa, Giosuè a rovescio, — e vuotò il bicchiere che due minuti prima aveva riempito; e se ne versò subito un altro col fare di chi è abituato a questa specie di lavoro.
Il vino passò e disparve, e se n'ordinò dell'altro. Lo sconosciuto discorreva, i Pickwickiani ascoltavano. Il signor Tupman si sentiva sempre più disposto pel ballo. Sulla fisionomia del signor Pickwick brillava una certa luce di filantropia universale; e i signori Winkle e Snodgrass dormivano saporitamente.
— Incominciano lassù, — disse lo sconosciuto. — Sentite il calpestio; accordano i violini; questa è l'arpa; eccoli che si slanciano.
I suoni svariati che venivano dalle scale annunziavano in fatti che la prima contradanza era incominciata.
— Come ci vorrei andare! — ripetette il signor Tupman.
— Ed anch'io, — disse lo sconosciuto. — Maledetto bagaglio; ritardo del postale; nulla da mettere; curiosa, eh?
Ora, la benevolenza universale era uno dei tratti principali della teoria pickwickiana, e nessuno più del signor Tupman era dotato di una così nobile qualità. Scorrendo i processi verbali del Circolo, si è vivamente sorpresi in vedere quante volte questo dabben'uomo mandò dai suoi colleghi quegli sventurati che si rivolgevano a lui per averne dei vestiti usati o dei soccorsi pecuniari.
— Sarei lietissimo di prestarvi un abito per quest'occasione, — disse al suo interlocutore, — voi siete piuttosto magro, ed io...
— Piuttosto grasso. Bacco al riposo, senza pampini, lasciata la botte e infilati i calzoni. Bellina, eh? non mi dispiace. Ah, ah! Passate il vino.
Non è ancora un fatto bene assodato se il signor Tupman fosse alquanto indignato al tono perentorio col quale lo sconosciuto lo pregava di passare il vino, che poi in effetto facea passare così rapidamente, o se giustamente si sentisse scandalizzato in vedere applicato ad un membro influente del Circolo Pickwick quell'ignominioso paragone di un Bacco smontato dalla botte. Passò il vino, tossì due volte, e guardò fiso allo sconosciuto con un certo contegno severo; ma visto che lo sconosciuto non si commoveva punto sotto quello sguardo scrutatore, s'andò calmando a grado a grado, e tornò all'argomento del ballo.
— Volevo appunto farvi notare, signore, — gli disse, — che se i miei vestiti vi starebbero troppo larghi, quelli del mio amico Winkle vi calzerebbero forse a pennello.
Lo sconosciuto prese con una semplice occhiata la misura del signor Winkle, ed esclamò tutto soddisfatto: — Proprio il fatto mio!
Il signor Tupman si guardò intorno. Il vino, che aveva esercitato la sua influenza soporifera su Snodgrass e Winkle, aveva anche ottenebrati i sensi del signor Pickwick. Questo egregio uomo era gradatamente passato pei vari stadi che precedono il letargo prodotto da un buon desinare. Avea subito le solite transizioni dall'eccesso dell'allegria alla più profonda tristezza, e dalla più profonda tristezza all'eccesso dell'allegria. Come un fanale a gas, nella via, quando un po' d'aria s'è intromessa nel becco, egli avea spiegato a momenti uno splendore straordinario; poi era caduto così basso che appena lo si vedeva; dopo un breve intervallo, era tornato a splendere, a vacillare, a scoppiettare, e finalmente s'era spento a dirittura. Aveva il capo piegato sul petto, e un russare non interrotto, con qualche sordo grugnito di tanto in tanto, erano i soli indizi della presenza del grand'uomo.
La tentazione di assistere al ballo e di formarsi una prima idea delle bellezze di Kent, poteva molto sull'animo sensibile del signor Tupman. Non meno forte era l'altra tentazione di tirarsi dietro lo sconosciuto. Era nuovo del paese, non vi conosceva nessuno; e l'altro invece mostrava di essere perfettamente informato di tutto, come se ci avesse vissuto fin dall'infanzia. Il signor Winkle dormiva, e il signor Tupman avea tanta esperienza di queste cose da sapere che, secondo l'ordinario corso della natura, l'amico suo appena destato sarebbe cascato a letto come un ceppo. Era indeciso.
— Empitevi il bicchiere, e passate il vino, — disse l'infaticabile commensale.
Il signor Tupman obbedì; e bastò a determinarlo lo stimolo addizionale dell'ultimo bicchiere.
— La camera di Winkle, — disse, — dà nella mia; — io non potrei fargli capire quel che voglio da lui, se lo destassi ora. So però che ha un vestito nuovo completo nella sacca da notte. Supposto che ve lo metteste voi per il ballo e ve lo toglieste al ritorno, lo potrei rimettere a posto senza disturbarlo punto punto.
— Stupenda! — esclamò lo sconosciuto. — Piano famoso. Maledetta posizione, ridicola.
Quattordici vestiti nel bagaglio, obbligato a indossare quello d'un altro. Curiosa davvero.
— Dobbiamo prendere i biglietti, — disse il signor Tupman.
— Non val la pena barattare un pezzo da cinque. Giuochiamo a chi li pagherà tutti e due. Capo o croce. A voi; così. Donna, donna, incantevole donna! — e la moneta, lanciata in aria dal signor Tupman, cadde e mostrò capo, cioè il Dragone, che per cortesia era chiamato donna.
Il signor Tupman suonò il campanello, comprò i biglietti, ed ordinò due candele. Di là ad un quarto d'ora, lo sconosciuto era completamente coperto delle spoglie del signor Nataniele Winkle.
— È un abito nuovo, — disse il signor Tupman, mentre il suo compagno si contemplava con una certa soddisfazione in uno specchio a bilico. — Il primo abito fatto col bottone del Circolo, — e richiamò l'attenzione di quello ai grossi bottoni dorati che avevano in mezzo il busto del signor Pickwick e le iniziali P. C. dai due lati.
— P. C. — disse lo sconosciuto. — Curiosa. Il ritratto del vecchiotto e P. C. Che è P. C.?
Uniforme? Molto curioso.
Il signor Tupman, con indignazione crescente e non poco sussiego, spiegò la mistica divisa.
— Un po' corto di vita, eh? — domandò l'altro torcendosi e cercando di guardarsi dietro per vedere nello specchio i bottoni che gli salivano a mezza schiena — Press'a poco, un'uniforme di postiglione; strani vestiti quelli lì; si fanno per appalto, senza misura, misteriosa distribuzione della Provvidenza; a tutti i piccoli toccano i soprabiti lunghi, e a tutti i lunghi i soprabiti corti.
Seguitando a discorrere su questo tono, il compagno del signor Tupman si aggiustò alla meglio il suo vestito, o piuttosto il vestito del signor Winkle; e, in compagnia del signor Tupman, montò le scale che menavano alla sala da ballo.
— I nomi, signore? — disse il cameriere alla porta. E il signor Tracy Tupman si faceva avanti per annunziare i propri titoli, quando il suo compagno lo prevenne.
— Niente nomi. — Poi gli sussurrò all'orecchio: — Che serve? poco conosciuti; nomi distintissimi nel loro genere, ma non illustri. Eccellenti per una piccola riunione, nessuna impressione in una gran società. Incogniti fa al fatto nostro. Signori di Londra, forestieri di conto, quel che vi piace.
La porta fu aperta a due battenti, e il signor Tracy Tupman col suo compagno entrarono nella sala da ballo.
Era un salone lungo, fornito di panchettini cremisi e di candele di cera in lumiere di cristallo. I musicanti stavano relegati al sicuro sopra un palco; e da tre a quattro quadriglie venivano regolarmente intrecciate da un certo numero di danzatori. Due tavolini da giuoco erano messi su nella stanza contigua, intorno ai quali due paia di vecchie signore con un numero corrispondente di ben pasciuti cavalieri eseguivano il whist.
Terminato il finale, i ballerini si sparsero passeggiando per la sala, e il signor Tupman col suo compagno si situarono in un angolo per fare le loro osservazioni.
— Belle donne, — disse il signor Tupman.
— Aspettate. Or ora viene il bello. Non sono ancora arrivati i sopracciò del luogo. Curioso paese questo qui. Gli impiegati superiori della marina non se la fanno con gli impiegati inferiori; gli impiegati inferiori non se la fanno con la piccola borghesia; la piccola borghesia non se la fa col commercio; e il Commissario del governo non se la fa con nessuno.
— Chi è quel ragazzetto coi capelli biondi e gli occhi rossi, e con un vestito di fantasia? — domandò il signor Tupman.
— Zitto, fate il piacere. Occhi rossi, vestito di fantasia, ragazzetto, via, via! È un sottotenente del 97° L'on. Wilmot Snipe. Gran famiglia gli Snipe. Sicuro.
— Sir Tommaso Clubber, lady Clubber, e le signorine Clubber! — annunziò con voce stentorea l'uomo alla porta. Una viva impressione produsse in tutta la sala l'entrata di un signore lungo in soprabito turchino e bottoni lucidi, accompagnato da una grossa signora vestita di seta turchina, e da due signorine delle medesime proporzioni in abiti molto vistosi dello stesso colore.
— Commissario, capo della marina, grand'uomo, molto grande, — bisbigliò nell'orecchio di Tupman l'amico suo, mentre il Comitato di beneficenza accompagnava sir Tommaso Clubber e la famiglia fino in capo alla sala. L'onorevole Wilmot Snipe ed altri distinti gentiluomini fecero ressa intorno alle signorine Clubber; e sir Tommaso Clubber se ne stava ritto impalato, guardando maestosamente alla società di sopra alla sua cravatta nera.
— Il signor Smithie, la signora Smithie, e le signorine Smithie, — gridò di nuovo l'annunziatore.
— Chi è questo Smithie? — domandò il signor Tracy Tupman.
— Qualche cosa nella marina, — rispose l'amico.
Il signor Smithie s'inchinò con deferenza a sir Tommaso Clubber, e sir Tommaso Clubber consentì amabilmente ad accorgersi del saluto. Lady Clubber sbirciò dall'alto in basso con le lenti la signora Smithie e relativa famiglia, mentre la signora Smithie alla sua volta guardava con aria di protezione ad un'altra qualunque signora, il marito della quale non apparteneva niente affatto alla marina.
— Il colonnello Bulder, la signora colonnella Bulder, e la signorina Bulder — annunziò la voce.
— Capo della guarnigione, — disse lo sconosciuto rispondendo allo sguardo interrogatore del signor Tupman.
La signorina Bulder fu con molta affettuosità accolta dalle signorine Clubber: i saluti fra la colonnella Bulder e lady Clubber furono dei più cordiali; il colonnello Bulder e sir Tommaso Clubber si offrirono a vicenda una presa di tabacco, conservando sempre quel loro contegno alto e stecchito che li faceva rassomigliare ad un paio di Alessandri Selkirk, “Re di quanto avevano sott'occhio”.
Mentre l'aristocrazia del luogo — i Bulder, i Clubber ed i Snipe — badavano così a tenere alta la loro dignità ad uno dei capi della sala, le altre classi della Società ne imitavano fedelmente l'esempio nelle altre parti di essa. Gli ufficiali meno aristocratici del 97° si dedicavano alle famiglie dei funzionari subalterni della marina. Le mogli degli avvocati o la moglie del negoziante di vino capitanavano un'altra casta (la moglie del vinaio era in visita con le Bulder); e la signora Tomlison dell'ufficio postale sembrava per tacito consenso essere stata scelta a capo del partito commerciale.
Uno dei personaggi più popolari nel proprio circolo era un ometto pingue, con una corona di capelli neri ritti come stecchi intorno ad un piano lucido di estesa calvizie. Il dottore Slammer, chirurgo del 97°. Il dottore prendeva tabacco con tutti, discorreva con tutti, rideva; ballava, scherzava, giocava al whist, faceva ogni sorta di cose, e si trovava dappertutto. A queste capacità, per svariate che fossero e molteplici, il piccolo dottore ne aggiungeva un'altra più importante di tutte; egli era cioè infaticabile nel dimostrare la più viva ed assidua sollecitudine ad una vedovetta di mezza età la quale dall'abito sfarzoso e dalla profusione degli ornamenti si presentava come una desiderabile aggiunzione ad una rendita limitata.
Sul dottore e sulla vedova gli occhi del signor Tupman e del suo compagno erano stati fissati per qualche tempo, quando questi ruppe il silenzio.
— Fiumi di danaro, vecchia zitella, tipo d'un dottore, bell'idea, amena, — furono le frasi smozzicate che gli uscirono dalle labbra. Il signor Tupman lo guardava intanto con aria interrogativa.
— Ballo con la vedova, — disse quegli.
Chi è? — domandò il signor Tupman.
— Ignoro, mai vista, taglio fuori il dottore, avanti!
E, detto fatto, il giovane magro traversò la sala, s'appoggiò alla mensola d'un caminetto, e incominciò a contemplare con una sua ammirazione piena di rispetto e di malinconia il viso rotondo della vecchietta. Il signor Tupman guardava da lontano pieno di stupore. Il suo amico faceva rapidi progressi; il piccolo dottore ballava con un'altra dama; la vedova si lasciò cadere il ventaglio; quegli lo raccolse, glielo porse; un sorriso, un inchino, un grazie, poche parole di conversazione. Lo sconosciuto andò arditamente dal maestro di cerimonie, e ritornò con lui verso la vedova; breve pantomima di presentazione; e lo sconosciuto e la signora Budger presero posto in una quadriglia.
La sorpresa del signor Tupman a questo processo sommario, per grande che fosse, fu di molto sorpassata dalla maraviglia del dottore. Lo sconosciuto era giovane, e la vedova era lusingata. Le attenzioni del dottore rimanevano inosservate, e l'indignazione del dottore non faceva nessunissimo effetto sull'imperturbabile rivale. Il dottor Slammer pareva colto da paralisi. Lui, il dottor Slammer del 97°, essere schiacciato in un momento da un uomo che nessuno aveva mai visto, che nessuno conosceva nemmeno adesso! Il dottor Slammer! respinto lui, soppiantato lui, il dottor Slammer del 97°! Impossibile! non poteva essere, no! Eppure, sì, il fatto era evidente; eccoli là tutti e due. Come! anche presentargli l'amico? Poteva il dottore prestar fede ai propri occhi? Guardò di nuovo, e fu dolorosamente costretto ad ammettere la veracità dei suoi nervi ottici; la signora Budger ballava appunto col signor Tracy Tupman. Non c'era mica da sbagliare. Ecco la vedova, proprio lei, balzando qua e là gravemente e con insolito vigore; ecco il signor Tupman saltando di su e di giù, con un viso pieno di solennità e ballando (come a tanti si vede fare) come se una quadriglia non fosse una cosa da ridere, ma invece una dura prova dei propri sentimenti da non potersi affrontare senza un proposito fermo ed inflessibile.
Silenziosamente e pazientemente il piccolo dottore sopportò tutto questo; e sopportò anche, sempre tacendo, le galanterie assidue dello sconosciuto, le offerte di ponce, il portar via dei bicchieri, il precipitarsi sui biscotti, e tutte le smancerie che ne seguivano. Ma, pochi minuti dopo che lo sconosciuto fu scomparso per accompagnare la signora Budger fino alla sua carrozza, egli si slanciò fuori della sala ed ogni particella della sua effervescente indignazione, troppo a lungo tappata, sembrò sfuggirgli da tutti i pori della faccia in un terribile sudore di sdegno.
Lo sconosciuto tornava in compagnia del signor Tupman. Parlava basso e rideva. Il piccolo dottore era assetato del suo sangue. Lo vedeva gonfio di gioia, trionfante.
— Signore! — disse il dottore con voce terribile, porgendo un biglietto di visita e ritirandosi in un angolo del passaggio; — il mio nome è Slammer, dottor Slammer, signore, 97° reggimento, quartiere di Chaltham. Il mio biglietto, signore, il mio biglietto.
Avrebbe voluto aggiungere dell'altro, ma lo strozzava lo sdegno.
— Ah! — rispose freddamente lo sconosciuto. — Slammer, dottore; obbligatissimo; molto cortese; grazie, sto bene; quando no, picchierò all'uscio vostro.
— Voi.... voi siete un intrigante, signore! — esclamò sbuffando il furibondo dottore; — un poltrone, un vigliacco, un bugiardo, un.... un.... Insomma, mi darete il vostro biglietto, signore?
— Ah, vedo, vedo! — disse a mezza voce lo sconosciuto. — Troppo forte il ponce; distribuzione larga. Imprudenza. Molto meglio la limonata. Calore della sala, persone d'una certa età, ne risentono gli effetti, anche il giorno appresso. Dispiacevole, dispiacevole! — e fece uno o due passi per allontanarsi.
— Voi alloggiate qui, signore, — riprese l'indignato dottore. — Adesso, si vede, siete ubbriaco, signore; domani ce la vedremo, signore, domani. Vi troverò io, vi troverò.
— Niente difficile, — rispose con la medesima calma lo sconosciuto. — A casa o fuori mi si trova sempre. Più fuori che a casa.
Il dottor Slammer schizzava ferocia e distruzione, calcandosi il cappello in capo con un colpo pieno di sdegno; e lo sconosciuto e il signor Tupman rientrarono nella camera da letto del secondo, per rimettere al posto le penne prese a prestito dall'inconscio signor Winkle.
Il signor Winkle dormiva profondamente; l'operazione fu presto compiuta. Lo sconosciuto si trovava nella più amena disposizione di questo mondo; e il signor Tracy Tupman, eccitato più che mai dal vino, dal ponce, dai lumi, e dalle signore, non poteva pensar senza ridere al fatto di poco fa, che gli pareva un graziosissimo scherzo. Il suo nuovo amico tolse commiato, e dopo avere incontrato una certa difficoltà nel trovare l'orifizio del suo berretto da notte, destinato in origine a contenere la sua testa, e rovesciando finalmente la candela nei suoi sforzi per mantenerla ritta, il signor Tracy Tupman si studiò di cacciarsi fra le lenzuola con una serie di complicate evoluzioni, e subito dopo chiuse gli occhi al sonno.
Le sette del giorno appresso erano appena scoccate, quando la vasta intelligenza del signor Pickwick fu destata dal torpore, nel quale il sonno l'aveva sprofondata, da un forte bussare all'uscio della sua camera
— Chi è? — domandò il signor Pickwick, balzando in mezzo al letto.
— Cameriere, signore.
— Che volete?
— Scusate, signore, mi fareste la finezza di dirmi chi dei vostri porta un vestito turchino coi bottoni d'oro e le lettere P. C.?
— L'avrà dato a spazzolare, — pensò il signor Pickwick, — l'uomo ha dimenticato a chi appartiene. — Il signor Winkle, — disse poi alzando la voce, — due camere appresso, a destra.
— Grazie, signore, — disse la voce di fuori, e si allontanò.
— Che c'è? — gridò il signor Tupman destato di botto da un fiero colpo dato alla porta di camera sua.
— Posso parlare al signor Winkle? — domandò di fuori il cameriere.
— Winkle, Winkle! — chiamò il signor Tupman verso la camera contigua.
— Chi mi vuole? — rispose una voce debolissima di sotto alle lenzuola.
— Vi cercano, — qualcuno alla porta, — e compiuto lo sforzo di articolar tutto questo il signor Tracy Tupman si voltò dall'altra parte e si addormentò di nuovo.
— Mi cercano! — disse il signor Winkle, saltando giù dal letto e vestendosi in fretta. — Mi cercano! a questa distanza dalla città! chi diamine può cercar di me?
— Un signore nel caffè da basso, — rispose il cameriere, mentre il signor Winkle apriva la porta per veder chi era; — dice che non vi tratterrà più di un minuto, ma che v'aspetta senz'altro.
— Curiosa davvero! — disse il signor Winkle. — Vengo subito.
Si avvolse frettolosamente nella sua veste da camera e in uno scialle da viaggio, e discese. Una vecchia e due camerieri pulivano e rassettavano la bottega del caffè, e un ufficiale in piccola tenuta guardava fuori della finestra. Si voltò all'entrata del signor Winkle e salutò con un cenno del capo. Quindi, mandata via la gente di servizio e chiusa la porta con molta cura, disse:
— Il signor Winkle?
— Precisamente, signore.
— Non sarete sorpreso, signore, quando vi avrò detto ch'io sono qui da parte del mio amico, il dottor Slammer del 97°.
— Il dottor Slammer! — esclamò il signor Winkle.
— Il dottor Slammer, per l'appunto Egli mi incarica significarvi la sua opinione che la vostra condotta di ieri sera è stata indegna di un gentiluomo, e che un gentiluomo non può sopportarla in pace.
Era così vivo, così evidente lo stupore del signor Winkle da non poter sfuggire all'amico del dottor Slammer; epperò egli proseguì:
— Il mio amico, dottor Slammer, mi ha pregato di aggiungere esser lui fermamente convinto che durante una parte della serata voi eravate un po' brillo, e probabilmente inconscio della gravità dell'insulto del quale vi rendeste colpevole. Mi ha incaricato di dirvi che se questo particolare potesse in certo modo servir di scusa alla vostra condotta, egli consentirebbe ad accettare delle scuse per iscritto, delle quali io stesso vi detterei il tenore.
Delle scuse per iscritto! — ripetette il signor Winkle col tono della più profonda
maraviglia.
— Naturalmente, — replicò con molta calma l'ufficiale, — conoscete l'alternativa.
— Siete stato incaricato di questo messaggio per me, nominativamente? — domandò il signor Winkle le cui facoltà mentali erano scosse stranamente da questo straordinario colloquio.
— Io non ero presente alla scena, — riprese l'ufficiale, — e in conseguenza del vostro reciso diniego di dare il vostro biglietto di visita al dottore Slammer, fui pregato da lui di identificare il proprietario di un vestito molto notevole; soprabito turchino e bottoni dorati con un busto e le iniziali P. C.
Il signor Winkle si sentì quasi venir meno dallo stupore, udendo una così minuta descrizione del proprio costume. L'amico del dottor Slammer proseguì:
— Dalle indagini fatte qui nella casa, son venuto a sapere che il proprietario del vestito in questione era arrivato ieri con tre signori. Ho mandato subito da quel signore che mi veniva indicato come il capo della brigata; ed è lui che m'ha diretto a voi.
Se la gran torre del castello di Rochester sollevatasi di botto dalle fondamenta si fosse venuta a situare di faccia alla finestra del caffè, la sorpresa del signor Winkle sarebbe stata meno che niente, paragonata a quella che lo colpiva udendo un discorso così fatto. La sua prima impressione fu che gli avessero rubato il vestito.
— Vorreste aver la cortesia di attendermi un momento? — disse.
— Certamente, — rispose il malaugurato ufficiale.
Il signor Winkle in due salti fu in camera sua, e con mano tremante aprì la sacca da viaggio. L'abito turchino stava al suo solito posto; ma, esaminato bene da vicino, mostrava più segni di essere stato adoperato la notte avanti.
— Dev'essere così, — disse il signor Winkle, lasciandosi cadere l'abito dalle mani. — Ho bevuto troppo dopo desinare e mi pare, così come in sogno, di essere andato attorno per le vie e di avere anche fumato un sigaro. Il fatto è che una buona cotta l'avevo presa; debbo aver mutato di vestito; sarò andato chi sa dove; ed avrò insultato qualcuno. Non può essere altrimenti, ed eccone ora la terribile conseguenza in questa sfida
Così dicendo da sè a sè il signor Winkle tornò al caffè col bieco e triste proposito di accettare la sfida del dottor Slammer e di affrontarne tutte le più funeste conseguenze.
A questa determinazione era spinto il signor Winkle da molti riflessi; primo dei quali era la sua riputazione presso il Circolo. Egli era stato sempre considerato come un'autorità di conto in tutti gli esercizi del corpo, offensivi difensivi ed inoffensivi; e se ora, proprio alla prima occasione, egli avesse dato indietro sotto gli occhi del suo condottiero, la sua posizione nel Circolo, era bell'e spacciata. D'altra parte si ricordava di avere inteso susurrare dalla gente poca pratica di queste faccende, che per un segreto accordo fra i secondi le pistole non si caricano sempre a palla; e pensò inoltre che se si rivolgeva al signor Snodgrass perchè gli facesse da secondo, e gli dipingeva il pericolo con termini molto vivaci, questo bravo amico avrebbe probabilmente comunicata la cosa al signor Pickwick, il quale senza dubbio non avrebbe messo tempo in mezzo per darne avviso alle autorità del luogo, ed impedire che il suo seguace fosse ucciso o storpiato.
Tali erano i suoi pensieri tornando al caffè, e per queste ragioni espresse il suo proposito di accettar la sfida del dottor Slammer.
— Vorreste indirizzarmi ad un vostro amico per accordarci sull'ora e il luogo dello scontro? — chiese l'ufficiale.
— Perfettamente inutile, — rispose il signor Winkle; — fissate da voi stesso, ed io condurrò meco il mio testimone.
— Ebbene, stasera? verso il tramonto, — disse l'ufficiale in tuono indifferente.
— Va benissimo, — rispose il signor Winkle, pensando dentro di sè che andava malissimo. — Conoscete il fortino Pitt?
— Sì; l'ho veduto ieri.
Se volete prendervi il disturbo di voltare nel campo che costeggia la trincea, prendere il
sentiero a sinistra, quando siete all'angolo della fortificazione, e camminar diritto fino a che non mi vediate; io stesso vi guiderò ad un certo posto appartato, dove l'affare si potrà sbrigare senza timore d'interruzione.
— Timore d'interruzione! — pensò il signor Winkle.
— Non c'è altro da aggiustare, mi pare, — disse l'ufficiale.
— Nient'altro, credo, — rispose il signor Winkle.
— Buon giorno. — Buon giorno, — e l'ufficiale girò sui talloni zufolando un'arietta allegra.
La colazione di quella mattina passò senza notevoli incidenti e senza allegria. Il signor Tupman non era in grado di lasciare il letto, dopo l'orgia della sera innanzi, il signor Snodgrass pareva travagliato da una poetica depressione di spiriti; e perfino il signor Pickwick dimostrava un attaccamento insolito al silenzio ed all'acqua di soda. Il signor Winkle aspettò con ansia il momento opportuno, e non dovette aspettar molto. Il signor Snodgrass propose una visita al castello, e poichè il signor Winkle era il solo membro della brigata disposto a far quattro passi, così uscirono insieme.
— Snodgrass, — disse il signor Winkle, quando furono fuori della città, — Snodgrass, amico mio, posso contare sulla vostra discrezione?
E nel dir questo egli nutriva la più calda speranza, di non poterci contare niente affatto.
— Certamente, — rispose il signor Snodgrass. Io giuro...
— No, no! — interruppe Winkle, spaventato alla sola idea che il suo compagno ingenuamente si impegnasse a non parlare; — non giurate, non giurate; è assolutamente inutile.
Il signor Snodgrass abbassò la mano che, in uno slancio di poesia, aveva alzato verso le nuvole, e si raccolse in atto di ascoltare.
Ho bisogno del vostro aiuto, amico mio, in un affare di onore, — riprese a dire il signor Winkle.
— Lo avrete, — rispose il signor Snodgrass, stringendo forte la mano dell'amico.
— Con un dottore; il dottor Slammer del 97°, — disse il signor Winkle cercando di dare alla cosa la maggiore solennità possibile; — un affare con un ufficiale assistito da un altro ufficiale questa sera sul tramonto, in un campo solitario dietro al fortino Pitt.
— Vi accompagnerò, — disse il signor Snodgrass.
Era un po' sorpreso, ma niente affatto commosso. È incredibile con quanta freddezza possa entrare in tali faccende qualunque persona che non sia la parte principale. Il signor Winkle avea dimenticato questo. Egli avea giudicato dai propri sentimenti dei sentimenti del suo amico.
— Le conseguenze possono essere terribili, — disse.
— Spero di no, — rispose il signor Snodgrass.
— Credo che il dottore sia un eccellente tiratore.
— Come la maggior parte di questi militari, — osservò con calma il signor Snodgrass; — ma anche voi tirate bene, non è vero?
Il signor Winkle rispose affermativamente; e accorgendosi di non aver abbastanza allarmato il suo compagno, mutò subito di terreno.
— Snodgrass, — riprese a dire con voce tremante dall'emozione, — se mai soccombo, voi troverete in un pacchetto che vi consegnerò una lettera per... per mio padre.
Anche questo degli attacchi andò a vuoto. Il signor Snodgrass si mostrò compunto, ma s'incaricò volentieri della consegna della lettera, come se a dirittura fosse stato un fattorino postale.
— Se soccombo io, — disse il signor Winkle, — o se soccombe il dottore, voi, caro amico, sarete chiamato come testimone e vi troverete compromesso. Dovrò io esser causa che il mio amico sia esiliato.... probabilmente a vita?
Il signor Snodgrass tentennò un poco a questa idea, ma il suo eroismo la vinse.
— Nella causa dell'amicizia, — esclamò con calore, — io sfiderei tutti i pericoli.
Come maledisse il signor Winkle la devota amicizia del suo compagno, mentre per alcuni minuti seguitarono a camminare l'uno a fianco dell'altro, immerso ciascuno nelle proprie meditazioni. Il giorno volgeva al suo termine; egli si vedeva sempre più disperato.
Snodgrass, — esclamò, arrestandosi di botto, — non mi venite meno in questa faccenda,
non ne informate le autorità locali, non provocate l'intervento degli ufficiali di pace, per fare arrestare me o il dottor Slammer, del 97° reggimento, quartiere di Chatham, ed impedire così questo duello; vi ripeto, Snodgrass, non lo fate.
Il signor Snodgrass afferrò con calore la mano dell'amico, e rispose con entusiasmo:
— Non lo farò, per tutto l'oro del mondo!
Un fremito percorse le membra del signor Winkle, quando lo assalse il terribile pensiero che non aveva nulla da sperare dai timori del suo amico, e che era pur troppo destinato a divenire un bersaglio vivente.
Spiegato formalmente al signor Snodgrass lo stato delle cose, e presa a nolo da una fabbrica di Rochester una scatola di pistole da duello, con soddisfacente corredo di polvere, palle e capsule, i due amici tornarono all'albergo. Il signor Winkle si ritrasse a ruminare sullo scontro imminente; e il signor Snodgrass se n'andò a mettere in ordine gli strumenti di guerra perchè potessero servire immediatamente.
Era una sera uggiosa e malinconica, quando uscirono di nuovo per la loro bieca escursione. Il signor Winkle era tutto avvolto in un gran mantello per sfuggire ad ogni osservazione; e il signor Snodgrass portava sotto il suo gli strumenti di distruzione.
— Avete tutto? — domandò il signor Winkle con voce malferma.
— Tutto, — rispose il signor Snodgrass. — Munizioni in abbondanza, chi sa mai ce ne fosse bisogno. Nella scatola c'è tre once di polvere e mi son messo due giornali in tasca per le cariche.
Queste senza dubbio erano prove di amicizia per le quali non ci poteva essere gratitudine bastevole. È però da credere che la gratitudine del signor Winkle fosse tanto profonda da non poter trovare una via di uscita. Non disse verbo e seguitò a camminare con una certa lentezza.
— Ci troviamo proprio in tempo, — disse il signor Snodgrass, passando il muro del primo campo; — il sole tramonta.
Il signor Winkle alzò gli occhi a guardare l'astro cadente, e pensò dolorosamente alla non lontana probabilità di un altro tramonto tutto personale.
— Ecco l'ufficiale; — esclamò, dopo che ebbero fatti pochi altri passi.
— Dove? — domandò il signor Snodgrass.
— Laggiù; quel signore col mantello turchino.
Il signor Snodgrass guardò nella direzione indicata dal dito dell'amico, e notò appunto una figura avvolta in un gran mantello. L'ufficiale mostrò di essersi accorto della loro presenza facendo con la mano un lieve saluto; e i due amici, a breve distanza, gli tennero dietro.
La sera si faceva sempre più scura e triste, e il vento s'andava lamentando attraverso i campi deserti, come un gigante lontano che chiamasse col fischio il suo cane. La tristezza della scena incombeva fieramente sui sentimenti del signor Winkle. Varcando l'angolo della trincea trasalì; il fortino aveva l'aspetto di una tomba immane.
L'ufficiale lasciò di botto il sentiero; e dopo avere scavalcato una bassa palizzata e poi una siepe, entrò in un campo appartato. Due gentiluomini stavano lì ad aspettare: un ometto grasso dai capelli neri, ed una specie di colosso chiuso in un cappotto di munizione e seduto tranquillamente sopra uno sgabello di campagna.
— Il primo avversario ed un chirurgo, mi figuro, — disse il signor Snodgrass. — Prendete un sorso di acquavite.
Il signor Winkle diè di piglio alla bottiglia che l'amico gli porgeva e bevve tutto d'un fiato.
— Il mio amico Snodgrass, signore, — disse il signor Winkle all'ufficiale. L'amico del dottor Slammer s'inchinò, e tirò fuori una scatola simile a quella portata dal signor Snodgrass.
— Non abbiamo altro da aggiungere, mi pare, — disse freddamente aprendo la scatola; — delle scuse sono state recisamente negate.
— Nient'altro, signore, — disse il signor Snodgrass, il quale per verità incominciava a non sentirsi troppo bene.
— Vogliamo misurare il terreno? — domandò l'ufficiale.
Certamente, — rispose il signor Snodgrass.
Il terreno fu misurato e i preliminari aggiustati.
— Troverete queste migliori delle vostre, — disse il secondo avversario offrendo le sue pistole. — Me le avete viste caricare. Avete nulla in contrario?
— No, di certo, — rispose il signor Snodgrass. L'offerta lo toglieva da un grave imbarazzo; poichè le sue nozioni sul modo di caricare una pistola erano piuttosto vaghe e confuse.
— Possiamo dunque situare i nostri uomini, credo, — osservò l'ufficiale, con una completa indifferenza, come se i due primi fossero stati due pezzi di scacchi, e i secondi i giocatori.
— Credo che lo possiamo, — rispose il signor Snodgrass, il quale avrebbe detto di sì a qualunque proposta, perchè non ne capiva un'acca di questa sorta di faccende. L'ufficiale andò verso il dottor Slammer, e il signor Snodgrass si avvicinò al signor Winkle.
— Tutto è pronto, — disse, porgendogli la pistola. Datemi il vostro mantello.
— Vi ho dato il pacchetto, mio caro amico, — disse il povero Winkle.
— Non pensate, — disse il signor Snodgrass. — State saldo e mirate bene.
Pensò il signor Winkle che questo consiglio somigliava molto a quello che gli astanti non mancano mai di dare al più piccolo dei monelli in una baruffa: “Avanti, e vinci!” bellissima raccomandazione, se si sapesse soltanto come metterla in pratica. Si levò nondimeno il mantello senza far motto; pigliava sempre molto tempo questa operazione, ed accettò la pistola. I secondi si ritirarono in disparte, il gentiluomo dallo sgabelletto fece lo stesso, e i belligeranti si avanzarono l'uno contro l'altro.
Una delle qualità più notevoli del signor Winkle era sempre stata una singolare gentilezza di animo. È però da credere che questo suo ritegno a far male di proposito deliberato ad un prossimo suo, fosse cagione ch'ei chiudesse gli occhi quando fu arrivato al punto fatale; e che questo fatto speciale gl'impedisse di osservare la condotta veramente straordinaria ed inesplicabile del dottor Slammer. Il dottore trasalì, diè un passo indietro, si stropicciò gli occhi, gli sbarrò smisuratamente; e finalmente gridò: — Ferma, ferma!
— Che vuol dir ciò? — disse il dottor Slammer; mentre il suo amico e il dottor Snodgrass correvano verso di lui; non è questa la persona, non è lui.
— Non è lui! — disse il secondo del dottore.
— Non è lui! — balbettò il signor Snodgrass.
— Non è lui! — esclamò il gentiluomo col suo sgabello in mano.
— No di certo, — riprese il piccolo dottore. — Non è questa la persona che m'ha insultato ieri sera.
— È stranissimo! — esclamò l'ufficiale.
— Stranissimo, — ripetette il signore dallo sgabello. — La sola questione sta in questo, se il signore, trovandosi sul terreno, non debba essere considerato, sotto il rispetto delle. formalità, come la persona che ha insultata ieri sera il nostro amico dottor Slammer, sia o non sia egli quella persona.
E dopo aver dato questo suggerimento con un'aria molto saviente e misteriosa, il signore dallo sgabello annusò una abbondante presa di tabacco, e girò intorno uno sguardo profondo con l'aria di un'autorità inappellabile in tali materie.
Il signor Winkle aveva intanto aperto gli occhi e gli orecchi, all'udire che il suo avversario domandava una cessazione delle ostilità; ed accorgendosi dal seguito della conversazione che qualche grosso equivoco ci doveva essere, capì di botto quanto lustro maggiore ne sarebbe venuto alla sua fama, celando il vero motivo dall'accettazione della, sfida da parte sua. Si avanzò dunque arditamente, e disse:
— Io non sono la persona, lo so.
Questo dunque, — disse il signore dallo sgabello, — è un affronto al dottor Slammer ed un motivo sufficiente per procedere senza altri indugi..
— State cheto, Payne, — disse il secondo dottore. — Perchè non me l'avete detto stamane, signore?
Sicuro, sicuro, — disse il signore dallo sgabello con viva indignazione.
— Vi prego, Payne, di star cheto voi, — disse l'altro. — Posso ripetere la mia domanda, signore?
— Perchè, signore, — rispose il signor Winkle, che ci aveva intanto pensato sopra, — perchè, signore, voi parlaste di una persona ubbriaca e sconveniente vestita di un'uniforme, che io ho l'onore non solo di portare ma anche di avere inventato, — l'uniforme, signore, del Circolo Pickwick di Londra. Io mi sento in dovere di mantenere l'onore di quell'uniforme, epperò, senza chiedere altro, accettai la sfida che mi portavate.
— Mio caro signore, — disse il piccolo dottore porgendogli la mano, — io stimo grandemente il vostro valore. Permettetemi, signore, di esprimervi tutta la mia ammirazione per la vostra condotta, e sono dolentissimo di avervi procurato il disturbo di questo incontro senza scopo di sorta.
— Vi prego, signore, di non parlarne neppure, — disse il signor Winkle.
— Sarò superbo della vostra amicizia, signore, — disse il piccolo dottore.
— Sarò lietissimo di fare la vostra conoscenza, signore, — disse il signor Winkle.
Dopo di che il dottore e il signor Winkle si strinsero la mano, e poi il signor Winkle e il luogotenente Tappleton (secondo del dottore), e poi il signor Winkle e il signore dallo sgabello, e finalmente e sempre il signor Winkle e il signor Snodgrass; quest'ultimo in un eccesso di ammirazione per la nobile condotta del suo eroico amico.
— Si potrebbe andar via, mi pare, — disse il luogotenente Tappleton.
— Certamente, — rispose il dottore.
— A meno che, — venne su il signore dallo sgabello, — a meno che il signor Winkle non si senta offeso dalla sfida; nel qual caso mi permetto di fare osservare che egli ha diritto ad una riparazione.
Il signor Winkle, con grande abnegazione, si dichiarò pienamente soddisfatto.
— O anche, — riprese il signore dallo sgabello, — il secondo del signore potrebbe chiamarsi offeso di alcune osservazioni che sono sfuggite a me sul principio di questo scontro; se la cosa sta così, io sarò lieto di dare a lui soddisfazione immediatamente.
Il signor Snodgrass si affrettò a professarsi obbligatissimo alla graziosa offerta del signore, offerta che la piena soddisfazione di tutto l'affare gl'impediva di accettare. I due secondi aggiustarono e chiusero le scatole, e tutta la brigata lasciò il terreno molto più allegramente che non vi fosse venuta.
— Vi trattenete qui a lungo? — domandò il dottor Slammer al signor Winkle, mentre se n'andavano amichevolmente insieme.
— Credo che partiremo domani l'altro.
— Spero che avrò il piacere di veder voi e il vostro amico a casa mia, e di passar con voi una piacevole serata, dopo questo malaugurato equivoco, — disse il piccolo dottore, — siete impegnati per questa sera?
— Abbiamo qui alcuni amici, — rispose il signor Winkle — e non vorrei veramente lasciarli soli stasera. Se non vi dispiace, voi e gli amici vostri potrete venir da noi, all'Albergo del Toro.
— Volentierissimo, — disse il piccolo dottore — sarebbe troppo tardi alle dieci, per una mezz'oretta?
— Oh no, vi pare! — disse il signor Winkle. — Sarò lietissimo di presentarvi ai miei amici Pickwick e Tupman.
— Ne avrò gran piacere, — rispose il dottor Slammer, poco sospettando chi fosse il signor
Tupman
— Venite di sicuro? — domandò il signor Snodgrass..
— Oh, senza dubbio.
Erano intanto arrivati sulla via maestra. Si accomiatarono con molta cordialità, e la brigata si sciolse. Il dottor Slammer e i suoi amici presero la volta del quartiere, e il signor Winkle con l'amico Snodgrass tornarono al loro albergo.
III.
Una nuova conoscenza — Storia del commediante. — Una ingrata interruzione ed uno spiacevole incontro.
Il signor Pickwick era stato in una certa apprensione per l'insolita assenza dei suoi due amici, nè aveva punto contribuito a rassicurarlo la loro misteriosa condotta di tutta la mattina. Si levò dunque con grandissimo piacere per salutarli, quando li vide entrare; e con vivo interesse s'informò della cagione che li avea tenuti lontani. In risposta alle sue domande su questo punto, il signor Snodgrass si disponeva a dare una storica relazione delle cose or ora narrate, quando s'ebbe ad arrestare di botto osservando che non solo erano presenti il signor Tupman e il compagno di viaggio del giorno innanzi, ma un altro forestiero di aspetto non meno notevole. Era un uomo che i pensieri ed i guai parevano avere invecchiato; dei lunghi capelli neri gli cadevano in disordine fino a metà del viso e faceano spiccare singolarmente degli occhi cupi ed infossati ed una faccia sparuta. Lo splendore e l'acutezza di quegli occhi erano quasi fuori del naturale; gli zigomi sporgevano; e le mascelle erano così larghe e pronunciate da far sospettare ch'egli, per una contrazione muscolare, assorbisse la carne dalle guance, se la bocca semiaperta e l'espressione impassibile non avessero dimostrato esser quello il suo aspetto ordinario. Portava attorno al collo una gran cravatta verde, le cui larghe estremità gli pendevano sul petto, e che si mostrava ad intervalli di sotto agli occhielli logori della sottoveste. Un lungo soprabito nero lo copriva; e di sotto un par di calzoni larghi di fustagno e delle grosse scarpe decrepite.
Su questa persona dallo strano aspetto l'occhio del signor Winkle si fermò, e il signor Pickwick fu pronto a presentarla, dicendo:
— Un amico del nostro amico qui. Abbiamo scoperto stamane che il nostro amico avea relazioni col teatro di qua, benchè non gli piaccia di farlo sapere a molti, e questo signore appartiene appunto all'arte drammatica. Egli si apparecchiava a favorirci un aneddoto di palcoscenico, quando voi siete entrato.
— Quanti ne volete degli aneddoti, — disse lo sconosciuto del giorno innanzi, avvicinandosi al signor Winkle, e parlando in tono basso e confidenziale. — Un bel tipo, fa le fatiche più grosse, non è attore, uomo strano, ogni sorta di disgrazie, Jemmy faccia da cataletto, così lo chiamano nell'arte.
Il signor Winkle e ll signor Snodgrass s'inchinarono cortesemente a questo signor Jemmy, e ordinato del ponce, ad imitazione del resto della compagnia, presero i loro posti intorno alla tavola.
— Ed ora, signore, — disse il signor Pickwick, — volete favorirmi il racconto ch'eravate sul punto di incominciare?
Il lugubre personaggio tirò fuori dalla tasca un rotolo molto sudicio di carta, e volgendosi al signor Snodgrass, che avea già posto mano al suo libro degli appunti, domandò con voce cupa, perfettamente consona all'aspetto:
— Siete voi il poeta?
— Ma.... così, scrivo qualche cosuccia, — rispose il signor Snodgrass, piuttosto imbarazzato da quella domanda direttagli a bruciapelo.
— Ah! la poesia è per la vita quel che sono i lumi o la musica per la scena. Strappate a questa i suoi falsi ornamenti ed all'altra le sue illusioni, e fatemi la finezza di dirmi quel che ci resta di reale e che ci possa premere.
— Verissimo, signore, — rispose il signor Snodgrass.
— Stare di qua dalla ribalta, — riprese a dire l'uomo lugubre, — è come lo stare a sedere ad una solennità di corte, ammirando le vesti di seta e la folla gaudente e sfarzosa; stare al di là, sulle scene, significa essere la gente che fabbrica quella vistosa ricchezza, gente sconosciuta e non curata, e lasciata a se stessa perchè nuoti od affoghi, viva o muoia di fame, al beneplacito della fortuna.
— Certamente, — disse il signor Snodgrass, il quale sentiva la necessità di dir qualche cosa, visto che l'occhio infossato di quel singolare individuo si fissava specialmente sopra di lui.
— Avanti, Jemmy, — disse il viaggiatore spagnuolo, niente brontolii, parla forte, svelto, silenzio.
— Volete prendere un altro bicchiere, prima d'incominciare? — chiese il signor Pickwick.
L'uomo-cataletto non si mostrò sordo all'invito, e dopo aver lentamente vuotato metà del suo bicchiere, svolse il rotolo di carta sudicia e un po' leggendo, un po' narrando, prese ad esporre il seguente incidente, che noi troviamo registrato negli Atti del Circolo sotto il titolo di Storia del commediante.
Storia del commediante.
“Non c'è nulla di meraviglioso nel racconto che vi farò — disse l'uomo lugubre; — e nemmeno di straordinario. La miseria e le malattie son cose tanto comuni, in molte classi sociali, che non possono meritare maggior attenzione che non si soglia dare a' casi quotidiani della vita umana. Ho buttato giù queste noterelle, poichè per molti anni ne ho conosciuto il protagonista. L'ho seguito passo passo nella sua discesa nell'abisso sino al punto in cui cadde nel primo stadio della miseria, dalla quale non si sollevò più mai.
“Quest'uomo adunque era un mimo, e, come tutte le genti di tal razza, un ubbriacone inveterato. Ne' bei giorni della sua vita, prima che il vizio e i malanni lo avessero indebolito, riscuoteva un buon salario; e se fosse vissuto con ordine e prudenza, avrebbe potuto serbarlo ancora per qualche anno; per qualche anno soltanto, poichè questa sorta di gente muoiono per tempo, o perdono almeno di buon'ora la forza fisica di cui abusano e che è l'unico merito loro. Egli si lasciò abbrutire così presto che fu impossibile di servirsene nelle parti in cui era veramente utile nel teatro. La taverna aveva per lui un'attrattiva alla quale non sapeva resistere. Le malattie e la povertà lo attendevano certamente con la morte, se avesse continuato in cotesta vita; e tuttavia egli andò avanti sempre allo stesso modo, e si può capire quel che ne seguì. Non trovò scritture e mancò di pane.
“Chiunque è un po' addentro nelle faccende teatrali sa qual nuvolo di cenciosi, di miserabili s'aggiri intorno ad un palcoscenico. Non sono attori regolarmente scritturati, ma comparse, giocolieri, pagliacci, e via dicendo, che si pigliano come a nolo in una pantomima o per una scena orientale, e poi son mandati via, fino a che qualche altro dramma spettacoloso non renda utili di nuovo i loro servigi. “A questa vitaccia s'avea dovuto dare il nostro uomo, e così, pigliando il suo posto tutte le sere in una di coteste baracche, si buscò un po' di spiccioli da potere alimentare le sue antiche inclinazioni. Ma anche questa risorsa gli venne subito meno. Le sue sregolatezze erano troppo frequenti, sicchè gli tolsero quel magro boccone ch'ei riusciva a strappare seralmente, e lo ridussero alla estrema miseria. Solo di tanto in tanto qualche suo compagno s'induceva a fargli un prestito da nulla, o qualche infimo teatro trovava d'occuparlo alla meno peggio. Tanto per mutare, anche questi guadagni erano spesi come una volta.
“Verso questo tempo, quando già egli avea vissuto per più d'un anno senza che si sapesse di che cosa, lo incontrai sulle scene di uno dei teatrini di là dal Tamigi, pel quale io aveva una piccola scrittura. Da parecchio tempo lo avevo perduto di vista, perchè io aveva fatto un giro per le provincie, ed egli era andato bighellonando pei trivi di Londra. Mi ero già vestito per andar via e traversavo appunto la scena, quando mi sentii picchiar sulla spalla. Non dimenticherò mai il senso di ripulsione che mi produsse la sua presenza. Era vestito da pagliaccio per la pantomima. Gli spettri della Danza dei Morti, le più spaventose figure che un abile pennello abbia mai tracciate sulla tela, erano nulla a petto a lui. Il corpo scheletrito e le gambe malferme, che la vistosità del costume facea spiccare singolarmente, gli occhi vitrei che orrendamente contrastavano con lo strato di bianco di cui la faccia era spalmata; la testa adornata di fronzoli, tremante per paralisi; le lunghe mani ossute tinte di calce; — tutto gli dava un aspetto ributtante, eccezionale, di cui nessuna descrizione potrebbe dare una giusta idea, o che anche adesso mi mette i brividi al solo pensarci. Avea la voce cupa e tremula. Mi tirò in disparte, e con parole tronche mi contò una serie interminabile di malanni e di privazioni, chiusa, come al solito, dalla urgente domanda che gli prestassi qualche cosa. Gli posi pochi spiccioli in mano, e nell'uscire che fece dal teatro, udii lo scoppio di risa che accoglieva il suo primo capitombolo sulla scena.
“Poche sere appresso, un ragazzo mi pose in mano un sudicio pezzetto di carta, sul quale erano scribacchiate poche parole con la matita, le quali dicevano che il mio uomo stava assai male, e mi pregava che dopo la recita andassi da lui, non mi ricordo più in che via, non molto distante dal teatro. Dissi che sarei andato, non appena sbrigato; e, calato che fu il sipario, mi avviai.
“Era tardi, perchè avevo recitato nell'ultima commedia e siccome era stata una serata a beneficio, lo spettacolo s'era protratto più del solito. Era una notte scura e fredda, con un vento umido e sottile che spingeva la pioggia contro i vetri delle finestre. In quei vicoli angusti e poco frequentati s'erano formate molte pozzanghere; e siccome molti di quei meschini lampioni ad olio erano stati spenti dalla violenza del vento, la passeggiata era non solo poco piacevole, ma anche pericolosa. Per buona sorte, avevo imbroccato la via, e dopo poca difficoltà riuscii a trovar la casa che mi era stata indicata — un deposito di carbon fossile, con sopra un sol piano, dove in una cameretta giaceva l'oggetto delle mie ricerche.
“Una donna dall'aspetto miserabile, la moglie del commediante, mi ricevette sulle scale, mi disse ch'egli s'era appena assopito, ed avendomi introdotto pian pianino, mi fece sedere su una sedia presso al suo letto. Egli aveva la testa volta contro il muro, e siccome non s'accorse lì per lì della mia presenza, ebbi tempo di osservare il luogo ove mi trovava.
“L'infermo giaceva sopra due poveri scanni. Dei lembi laceri di una vecchia tenda erano sospesi a capo del letto, come un riparo dal vento, il quale nondimeno entrava d'ogni parte in quella camera desolata, e ad ogni istante agitava la pesante cortina. Sur una graticola arrugginita e sconnessa bruciava lentamente della polvere di carbon fossile. Accanto, sur una vecchia tavola a tre piedi, v'erano parecchie boccette; uno specchio rotto e qualche altro utensile. Un fanciullo dormiva sopra un materasso steso per terra, e la madre gli sedeva accanto. Alcuni piatti, qualche tazza e certe scodelle ingombravano una coppia di scansie; di sopra erano appiccati de' fioretti con un paio di scarpe da teatro, e questi oggetti componevano il solo mobilio della stanza, senza contare tre fagottini di cenci gettati a casaccio in un canto.
“Mentre ch'io considerava questa scena di desolazione, e notava la respirazione stentata e i febbrili soprassalti del miserabile commediante, egli si voltava e rivoltava senza posa per trovare una positura men dolorosa. Una delle sue mani uscì dal letto e mi toccò; egli trasalì e mi guardò con occhi truci.
“— John, — gli disse la moglie, — è il signor Hutley che avete fatto chiamare stasera, vi ricordate?
“— Ah! — diss'egli passandosi la mano sulla fronte: è Hutley! Hutley! vediamo.
“Per qualche secondo parve sforzarsi di riunir le idee; poi, afferrandomi per le mani, esclamò:
“— Oh, non mi lasciate, amico mio! Ella mi assassinerà! Ne son certo.
“— È da molto tempo in questo stato? — domandai a quella donna, che piangeva. “— Da ieri sera, signore. John, John, non mi riconoscete più?
“Dicendo queste parole, si chinava sul letto, ma egli gridò con un impeto di paura: “— Non la lasciate avvicinare! Respingetela! Non posso vedermela accanto!
“Così parlando, la guardava con occhi smarriti e colmi di mortale avversione, poi mi disse all'orecchio:
“— Io l'ho battuta, Jem. Io l'ho battuta ieri ed altre volte ancora! Ora che son debole e senz'aiuto, ella m'ucciderà; così farà, questo è certo. Se come me e tanto spesso l'aveste intesa gemere e gridare, voi non ne dubitereste. Allontanatela!
Abbandonò la mia mano, e ricadde sul cuscino.
“Io comprendeva bene di che si trattava. Se avessi potuto dubitare un solo minuto, mi sarebbe bastato, per comprenderlo, un colpo d'occhio gettato sul pallido viso, sulle forme stecchite della povera moglie.
“— Fareste meglio a celarvi in disparte, — dissi all'infelice. — Voi non potete fargli del bene; forse sarà più calmo, se non vi vede.
“Ella si pose in un punto da non esser vista.
“In capo a qualche secondo, egli aperse gli occhi e si guardò intorno ansiosamente, domandando:
“— Se n'è andata?
“— Sì, sì, — gli dissi, — non vi farà male.
“— Vi dirò di che si tratta, — riprese egli con voce rauca. — Ella mi fa male! V'è qualche cosa negli occhi di lei che mi empie il cuore di paura e mi rende pazzo. Tutta la notte passata i suoi occhioni fissi e il suo pallido viso mi sono stati d'innanzi. Io mi volgeva e lei pure. Quando mi svegliavo d'un tratto, ella era là, vicina al mio letto e mi guardava.
“Poi si avvicinò ancora di più ed aggiunse con voce bassa, e tremante:
“— Jem, ella è il mio spirito maligno; un demonio. Zitto! Io ne son certo. S'ella fosse una donna, da quanto tempo sarebbe morta! Nessuna donna avrebbe potuto sopportar quello che ha sopportato lei!
“Io fremetti pensando alla lunga serie di disprezzi e di crudeltà di cui un tal uomo doveva essere colpevole per conservarne tale idea. Non potetti rispondere. Quale speranza, quale consolazione dare ad un essere così abietto?
“Restai là più di due ore, durante le quali egli si volse cento volte da una parte e dall'altra, abbandonando le braccia a dritta e a manca, e mormorando esclamazioni di pena e d'impazienza. Alla fine cadde in quello stato d'abbandono imperfetto quando l'anima erra penosamente di posto in posto, da scena a scena, senz'aiuto della ragione ma senza poter liberarsi d'un vago sentimento delle sofferenze presenti. Giudicando allora che il suo male non si aggraverebbe lì per lì, lo lasciai, promettendo a sua moglie di tornare la sera seguente e di passar la notte presso di lui, se fosse stato necessario. “Tenni la promessa. Le ventiquattr'ore trascorse avevano prodotto in lui uno spaventevole cambiamento. Gli occhi, profondamente incavati, brillavano d'un lampo orribile; le labbra erano secche e screpolate; la pelle luccicava, arida e scottante; in fine si vedeva su quel viso un'espressione d'ansietà feroce, che indicava ancor meglio il danno della malattia e che pareva non appartener più alla terra. La febbre lo divorava.
“Presi la seggiola su cui m'ero seduto la sera innanzi. Io sapeva ch'egli era moribondo:
l'avevo inteso dal medico. Restai là delle lunghe ore di notte, tendendo l'orecchio a suoni capaci di commovere le anime più dure. Erano le fantasie misteriose dell'agonia.
“Vidi le sue scarne membra, che poche ore prima si contorcevano per divertire la gaia folla, contorcersi fra le torture d'una febbre ardente. Intesi il riso acuto del pagliaccio mischiarsi al rantolo del moribondo.
“Gli è ben commovente seguire il pensiero d'un infermo che si finge tra le scene ordinarie della vita, tra le sue occupazioni d'un giorno, mentre il suo corpo ora è steso senza forza e senza moto innanzi a' vostri occhi. Ma questa impressione è cento volte più forte quando quelle occupazioni sono interamente opposte ad ogni idea grave e religiosa. Il teatro e la taverna erano i principali mezzi da svagare quell'infelice. Nel delirio egli credeva di dover recitare una parte quella notte stessa, ch'era tardi e che doveva uscir di casa lì per lì.
“ — Perchè lo rattenevano? Perchè gl'impedirebbero di partire? Avrebbe perduto il salario! Bisognava uscire! No, no! lo rattenevano!
“Nascondeva il viso fra le mani ardenti e gemeva sulla sua debolezza e sulla crudeltà de' suoi persecutori, Dopo un momento, intonava un ritornello da baccanti.
“D'un tratto si levò sul letto, stese le membra di scheletro, e si atteggiò in una posa grottesca. Era sulla scena: recitava. — Un po' di silenzio ancora, e mormorò un altro ritornello.
“Era giunto alla fine! Quanto era soffocante la sala! Egli era stato ammalato, molto ammalato; ma adesso si sentiva bene, era contento!
“— Riempite il bicchiere!... Chi me lo strappa dai denti?
“Era lo stesso persecutore che l'inseguiva.
“Ricadde sul cuscino e gettò de' sordi gemiti.
“Dopo un breve intervallo, si trovò errante in un labirinto inestricabile di camere oscure, le cui volte erano così basse che gli bisognava talora trascinarsi carponi per avanzare. Tutto era buio minaccioso; e da qualunque parte si voltasse, trovava pel cammino ostacoli spaventosi. Rettili immondi strisciavano intorno a lui; gli occhi luccicanti dardeggiavano fiamme in mezzo a tenebre palpabili che lo circondavano; le mura, a vôlte, l'aria stessa era avvelenata da insetti schifosi. D'improvviso le vôlte si espandono e diventano d'una grandezza maravigliosa; spettri orribili riddano da ogni parte, in mezzo ai quali egli vedeva apparire visi conosciuti, resi deformi da smorfie e contorsioni terribili. Que' fantasmi s'impadronirono di lui: gli bruciarono le carni con ferri roventi; gli strinsero delle funi intorno alle tempie, sino a farne spicciar sangue, e lo costrinsero a dibattersi violentemente per isfuggire alla morte che l'invadeva.
“Alla fine d'uno di questi parossismi, durante i quali avevo avuto un gran da fare per ritenerlo in letto, egli si abbandonò sfinito e cadde in una specie di assopimento. Stanco per le veglie e lo sforzo, avevo chiuso gli occhi da qualche minuto, quando intesi battermi violentemente sulla spalla; mi svegliai. Egli si era levato e seduto sul letto. Il viso era cambiato in guisa spaventosa; tuttavia il delirio era cessato, poichè certamente egli mi riconosceva. Il bambino, intimorito per sì gran tratta dalle fantasticherie del babbo, corse a lui gridando con terrore; ma la madre lo afferrò per le braccia d'un lampo, temendo che John non lo ferisse nella violenza de' suoi delirii; poi, notando il cambiamento de' suoi lineamenti, restò spaventata e immobile a piè del letto. Tuttavia egli stringeva convulsivamente la mia spalla; e battendosi con l'altra mano il petto, faceva orribili sforzi per parlare; ma invano. Stese le braccia verso sua moglie e il bambino; le labbra bianche gli si agitarono, ma non produssero che un rantolo affannoso, un gemito soffocato; gli occhi brillarono ancora un istante, poi ricadde all'indietro... Morto.”
Sarebbe motivo per noi di grande soddisfazione il poter riferire qui l'opinione del signor Pickwick intorno all'aneddoto precedente. E l'avremmo senz'altro presentata ai lettori, se non fosse stato per una disgraziatissima congiuntura
Il signor Pickwick avea posato sulla tavola il bicchiere che, durante le ultime sentenze del racconto, avea tenuto in mano; e proprio in quel punto s'era determinato a parlare — abbiamo anzi l'autorità del libro di appunti del signor Snodgrass per attestare ch'egli aveva aperta la bocca — quando il cameriere si mostrò sulla soglia, annunziando:
— Dei signori, signore.
È da congetturare che il signor Pickwick fosse in procinto di dar vita ad alcune osservazioni che avrebbero illuminato il mondo se non il Tamigi, quando così bruscamente fu interrotto; poichè egli si volse con una severa occhiata al cameriere, e poi guardò intorno a tutti come per prender conto dei nuovi venuti.
— Oh! — disse il signor Winkle alzandosi, — degli amici miei; fateli passare. Persone amabilissime, — aggiunse poi quando il cameriere fu andato via, — ufficiali del 97°, di cui ho fatto stamane la conoscenza in un modo piuttosto strano. Vi piaceranno molto.
L'equanimità del signor Pickwick rivenne subito a galla. Il cameriere tornò, e tre gentiluomini entrarono dopo di lui.
— Il luogotenente Tappleton, — disse il signor Winkle facendo le debite presentazioni — il luogotenente Tappleton, il signor Pickwick; il dottor Payne, il signor Pickwick; il signor Snodgrass lo conoscete già da stamane; il mio amico Tupman, il dottor Payne; il dottor Slammer, il signor Pickwick, il signor Tupman, il dottor Slam...
Qui il signor Winkle si fermò di botto; perchè una forte emozione era visibile sul volto così del signor Tupman, come del dottore.
— Ho già altra volta incontrato questo signore, — disse il dottore con enfasi.
— Davvero? — esclamò il signor Winkle.
— Ed anche... anche quell'individuo lì, se non m'inganno, — riprese il dottore, abbassando un'occhiata indagatrice sullo sconosciuto dall'abito verde. — Mi pare di aver fatto ieri sera a cotesto individuo un invito molto pressante, che egli trovò opportuno di declinare. — Così dicendo il dottore guardò sdegnosamente allo sconosciuto, e disse alcune parole all'orecchio del suo amico luogotenente Tappleton.
— Davvero! — disse questi quando il dottore ebbe parlato.
— Proprio, sul serio, — rispose il dottor Slammer.
— Dovete senz'altro prenderlo a calci adesso adesso, — borbottò il proprietario dello sgabello con grande importanza.
— Chetatevi, Payne, — venne su il luogotenente. — Permettete che io vi domandi, signore, — disse poi volgendosi al signor Pickwick, il quale non si raccapezzava a questa scena sconvenientissima, — permettete che io vi domandi, signore, se quell'individuo appartiene alla vostra brigata?
— No, signore, — rispose il signor Pickwick, — non è che un nostro commensale.
— È socio anch'egli del vostro Circolo? — domandò ancora il luogotenente.
— Certamente no, — rispose il signor Pickwick.
— E non porta mai l'uniforme del Circolo?
— No, mai! — rispose lo stupito signor Pickwick.
Il luogotenente Tappleton si voltò di nuovo al dottor Slammer, con una leggiera scrollatina di spalle, come per significare un suo dubbio sull'accuratezza della memoria dell'amico suo. Il piccolo dottore pareva esasperato ma confuso; e il signor Payne fissava con uno sguardo pieno di ferocia la serena fisionomia dell'inconscio signor Pickwick.
— Signore, — esclamò il dottore, volgendosi di botto al signor Tupman in un certo tono che fece trasalire questo degno uomo così visibilmente come se una mano maligna gli avesse ficcato uno spillo nel polpaccio della gamba, — siete stato al ballo quassù, ieri sera?
Il signor Tupman balbettò un debolissimo sì, senza togliere un sol momento gli occhi dal signor Pickwick.
— Quella persona lì vi accompagnava, — disse il dottore additando lo sconosciuto sempre impassibile.
Il signor Tupman ammise il fatto.
— Ora, signore, — disse il dottore allo sconosciuto, — vi domando ancora una volta, in presenza di questi signori, se vi piace darmi il vostro biglietto ed esser trattato da gentiluomo, o se volete mettermi nella necessità di castigarvi qui con le mie proprie mani?
— Un momento, signore, — disse il signor Pickwick; — davvero io non posso permettere che questa faccenda vada più oltre senza qualche spiegazione. A voi, Tupman, esponete i particolari del fatto.
Il signor Tupman, con tanta solennità apostrofato, espose il fatto in brevi parole; toccò appena dell'abito preso a prestito; si fermò non poco a far notare come la cosa fosse avvenuta dopo desinare; conchiuse con alcune parole di pentimento per conto proprio; e lasciò lo sconosciuto a sbrigarsene il meglio che potesse.
Egli era, a quanto pareva, sul punto di farlo, quando il luogotenente Tappleton, che in questo mentre l'aveva osservato con attenta curiosità, domandò con tono di grande disprezzo:
— Non vi ho già veduto a teatro, signore?
— Certamente, — rispose tranquillamente lo sconosciuto.
— È un commediante, — disse il luogotenente con disprezzo, volgendosi al dottor Slammer.
— Recita nella commedia che gli ufficiali del 52° mettono su domani sera al teatro di Rochester.
Non potete andare oltre in questo affare, Slammer, impossibile!
— Assolutamente! — disse il dignitoso signor Payne.
— Son dolente di avervi messo in questa disgraziata situazione, — disse il luogotenente Tappleton indirizzandosi al signor Pickwick; — permettetemi però di aggiungere che il miglior modo di evitare che si rinnovino di queste scene, è di essere più guardingo nella scelta dei vostri compagni. Buona sera, signore! — e il luogotenente voltò le spalle ed uscì dalla camera.
— E permettetemi di dirvi, signore, — disse l'irascibile dottor Payne, — che se io fossi stato nei panni di Tappleton, o in quelli di Slammer, vi avrei rotto il naso, signore, nonchè il naso di tutti quanti voi, uno per uno. Sicuro, proprio così. Mi chiamo Payne, signore; dottor Payne del 43°. Buona sera, signore.
E conchiuso così il suo discorso e pronunciate in una chiave molto alta le ultime tre parole, il dottor Payne seguì con passo maestoso le pedate del suo amico, e si tirò dietro il dottor Slammer, il quale non disse verbo, ma si contentò di annichilire la brigata con una semplice occhiata
Durante tutte queste provocazioni, uno stordimento maraviglioso ed una rabbia crescente aveano gonfiato il nobile seno del signor Pickwick sino al punto di fargli quasi scoppiare la sottoveste. Restò come inchiodato al suolo, guardando nel vuoto, e non fu richiamato a se stesso che dal rumore che fece la porta chiudendosi. Si slanciò con le furie nel viso e le fiamme negli occhi. Avea già posto la mano sulla serratura; un altro minuto, e quella stessa mano avrebbe afferrato alla gola il dottor Payne del 43°, se il signor Snodgrass trattenendo per la falda del soprabito il suo riverito condottiero non lo avesse a forza tirato indietro.
— Trattenetelo, per carità! — gridò il signor Snodgrass, — Winkle, Tupman, trattenetelo!
Egli non deve mettere a repentaglio la sua nobile esistenza per una causa come questa.
— Lasciatemi! — disse il signor Pickwick.
— Tenetelo fermo! — gridò il signor Snodgrass; e mediante gli sforzi combinati di tutta la brigata, il signor Pickwick fu sprofondato in una poltrona
— Lasciatelo stare, — disse lo sconosciuto dall'abito verde. — Un sorso di ponce. Stomaco leonino, vecchio arzillo, bravo. Giù! bevanda impareggiabile.
Avendo prima assaggiato la bontà della bevanda preparata dall'uomo-cataletto, lo sconosciuto accostò il bicchiere alle labbra del signor Pickwick, e vuotò da sè in un batter d'occhio il resto del contenuto.
Vi fu una breve pausa. L'acquavite nell'acqua avea fatto il suo effetto; l'amabile fisionomia del signor Pickwick tornava a splendere dell'usata sua luce.
— Non sono degni della vostra attenzione, — disse l'uomo-cataletto.
— Avete ragione, signore, — rispose il signor Pickwick, — non ne sono degni; mi vergogno anzi di essermi lasciato trasportare dal calore dei miei sentimenti. Accostatevi alla tavola, signore.
L'uomo lugubre obbedì: di nuovo si fece circolo intorno alla tavola, e il buon accordo fu ristabilito. Un residuo d'irritazione faceva capolino di tratto in tratto negli occhi del signor Winkle, dovuto probabilmente al prestito temporaneo dell'uniforme, benchè non si possa ragionevolmente supporre che una circostanza di così poco conto avesse acceso un sentimento di sdegno, anche passeggiero, in un seno pickwickiano. Meno questa nuvoletta, il buon umore tornò a regnare, e la serata fu chiusa con la medesima cordialità con la quale era stata aperta.
IV.
Rivista e bivacco. Nuovi amici, ed un invito in campagna.
Non pochi autori hanno una certa ripugnanza, non so se più ridicola o disonesta, a riconoscere le fonti alle quali attingono le loro migliori informazioni. Noi non facciamo che studiarci di compiere onorevolmente i doveri che ci sono imposti dalla nostra qualità di editori; e qualunque ambizione avremmo potuto sentire in altre congiunture nel far valere un titolo alla diretta paternità di queste avventure, l'amore che portiamo alla verità c'impedisce di far valere ogni altro merito che non sia quello della loro giudiziosa disposizione ed esposizione fedele. Le carte del Circolo Pickwick sono le nostre sorgenti, e noi possiamo essere paragonati ad una compagnia di esplorazione. I lavori altrui ci hanno preparato un grandioso serbatoio di fatti importanti. Noi non facciamo che distenderli, e comunicarli via via per un canale limpido e piano, al mondo assetato di notizie pickwickiane.
Animati da questo spirito e fermi nel nostro proposito di riconoscerci debitori delle autorità che abbiamo consultato, diciamo francamente che al libro di appunti del signor Snodgrass dobbiamo i particolari riferiti in questo capitolo e nel seguente; particolari che — sgravata così la nostra coscienza — verremo ora esponendo senza commenti ulteriori.
L'intiera popolazione di Rochester e delle città circonvicine si levò di buon'ora dai suoi letti il giorno appresso, in uno stato d'insolita confusione e di eccitamento. Una grande rivista militare doveva aver luogo. Una mezza dozzina di reggimenti avrebbero manovrato sotto gli occhi aquilini del comandante in capo. S'erano costruite delle fortificazioni temporanee, la cittadella doveva essere attaccata e presa, ed in ultimo si sarebbe messo fuoco ad una mina.
Il signor Pickwick, come il lettore avrà potuto argomentare dal breve estratto recato più su della sua descrizione di Chatham, era un ammiratore entusiasta dell'esercito. Nessun altro spettacolo gli sarebbe giunto più gradito di questo; e nient'altro avrebbe potuto così bene accordarsi coi sentimenti dei suoi compagni. In conseguenza furono subito in piedi, e si avviarono al teatro dell'azione verso il quale si versava già da tutte le parti un nugolo di gente.
L'aspetto generale del campo mostrava chiaramente che la cerimonia imminente era delle più grandiose ed importanti. C'erano qua e là delle sentinelle per guardare il terreno riservato alle truppe, e sulle batterie parecchi domestici stavano di guardia ai posti per le signore. Dei sergenti correvano su e giù, con sotto il braccio registri rilegati in cartapecora, e il colonnello Bulder, a cavallo, in grande uniforme, galoppava ora da una parte ed ora dall'altra, e faceva rinculare il cavallo fra la calca dei curiosi, e lo facea volteggiare e corvettare, e gridava in modo allarmatissimo, con una voce terribile e strozzata, rosso come un tacchino, senza nessuna ragione plausibile. Degli ufficiali correvano avanti e indietro, prima comunicando col colonnello Bulder, poi dando ordini ai sergenti, e poi scappando in fretta; e perfino i semplici soldati guardavano di sotto al loro lucido cuoiame con un'aria di misteriosa solennità, che dimostrava abbastanza la specialità dell'occasione.
Il signor Pickwick e i suoi tre compagni presero posto nella prima fila della folla, e pazientemente stettero ad aspettare che le manovre incominciassero. La folla cresceva a tutti i momenti; e gli sforzi ch'essi dovevano fare, per non perdere la posizione guadagnata, li tennero sufficientemente occupati nelle due ore che seguirono. Una volta, per una subita spinta dalla parte di dietro, il signor Pickwick si trovava lanciato parecchi metri in avanti con una fretta ed una elasticità tutt'altro che conformi alla gravità del suo contegno; un'altra volta, gli spettatori erano pregati a dare indietro, ed allora, per avvalorare la preghiera, il calcio di un fucile cadeva sui piedi del signor Pickwick o gli veniva puntato in petto. Poi un gruppo di capi ameni a sinistra, dopo essersi spinti in massa da una parte come se qualcuno spingesse loro, ed avere spremuto il signor Snodgrass fino al grado estremo della tortura, gli domandavano in cortesia “che cos'è che lo faceva spingere”, e quando il signor Winkle avea sfogato la sua indignazione per questo assalto non provocato, una persona da dietro gli calcava il cappello sugli occhi pregandolo che gli facesse la finezza di mettersi la testa in saccoccia. Questi, ed altri tratti di spirito in azione, aggiunti all'assenza inesplicabile del signor Tupman (che era scomparso di botto e non era più reperibile), rendevano in complesso la loro situazione piuttosto incomoda che piacevole o desiderabile.
Alla fine corse fra la folla quel sordo mormorio che suole annunziare l'arrivo di una qualunque cosa aspettata. Tutti gli occhi si volsero dalla parte del forte. Pochi momenti di ansiosa aspettazione, e subito si videro sventolare delle bandiere, e luccicare delle armi ai raggi del sole: colonna su colonna si versarono sul campo. Le truppe fecero alto e si ordinarono; il grido del comando corse lungo le file; si udì un fragore generale di moschetti, quando si presentarono le armi, e il comandante in capo, accompagnato dal colonnello Bulder e da molti ufficiali, galoppò lungo la fronte. Le bande militari dettero dentro; i cavalli si alzarono su due piedi, rincularono, dimenarono le code in tutte le direzioni; i cani latrarono, la folla levò le alte grida, le truppe stettero ferme, e dall'una e dell'altra parte fin dove l'occhio poteva giungere non si vide che una estesa prospettiva di tuniche rosse e di calzoni bianchi, fissi ed immobili.
Il signor Pickwick era stato occupato a tenersi ritto e a strigarsi, quasi miracolosamente, dalle gambe dei cavalli, da non aver agio per osservare la scena che gli stava davanti fino a che non ebbe preso l'aspetto che abbiamo appunto descritto. Quando gli riuscì finalmente di star fermo sulle gambe, il piacere e la soddisfazione che lo invasero non ebbero limiti.
— Ci può essere niente di più bello? — domandò egli al signor Winkle.
— Niente, — rispose questi, il quale per un quarto d'ora avea tenuto un omicciattolo sui piedi.
— È uno spettacolo veramente nobile e brillante, — disse il signor Snodgrass, nel cui seno erompeva una subita fiamma di poesia, — il vedere i bravi difensori della patria schierati in bell'uniforme davanti ai pacifici cittadini; coi volti raggianti, non già di bellicosa ferocia, ma di gentilezza civile; cogli occhi fiammeggianti, non già del fuoco distruttore della rapina e della vendetta, ma della dolce luce dell'umanità e dell'intelligenza.
Il signor Pickwick entrò pienamente nello spirito di questo elogio, ma non potette farvi eco; perchè la dolce luce dell'intelligenza splendeva piuttosto debolmente negli occhi dei guerrieri, essendo proprio in quel punto dato il comanda di fisil: sicchè non poteva veder altro lo spettatore che parecchie migliaia di occhi spalancati e vacui, affatto spogliati di ogni qualunque espressione.
— Siamo in una magnifica posizione, — disse il signor Pickwick, guardandosi intorno. La folla s'era a poco a poco diradata ed essi erano rimasti quasi soli. — Magnifica! — esclamarono ad una voce Snodgrass e Winkle.
— O che fanno adesso? — domandò il signor Pickwick, aggiustandosi gli occhiali.
— Credo.... mi pare, — disse il signor Winkle mutando di colore, — mi pare che stiano per far fuoco.
— Eh via, che dite! — esclamò in fretta il signor Pickwick.
— Ma.... davvero lo credo anch'io, — aggiunse il signor Snodgrass, preso da una certa agitazione.
— Impossibile, — replicò il signor Pickwick. Ma aveva appena pronunciata questa parola, quando tutti i sei reggimenti abbassarono i fucili come se non avessero che una sola mira, e fecero la più terribile e spaventosa scarica, che mai abbia scosso la terra fin nel suo centro o un gentiluomo attempato fuori del suo.
Fu appunto in questa critica posizione, esposto ad un fuoco di fila di cartuccie e stretto dalle varie evoluzioni delle truppe di cui un novello corpo era già sceso in campo dalla parte opposta, che il signor Pickwick spiegò quella perfetta calma e padronanza di sé, che sono le qualità insite di un animo grande. Egli afferrò il signor Winkle pel braccio, e ponendosi tra lui e il signor Snodgrass, li pregò vivamente di ricordarsi che, oltre alla eventualità di essere assordati dal fracasso, non c'era in effetto altro pericolo da temere in seguito di quella scarica.
— Ma.... ma supposto che qualche soldato abbia, per una svista, caricato a palla, — notò il signor Winkle, pallido alla sua stessa supposizione — Ho udito una specie di sibilo per l'aria, proprio adesso, vicino all'orecchio.
— Non sarebbe bene che ci gettassimo faccia a terra — disse il signor Snodgrass.
— No, no, oramai è passata, — rispose il signor Pickwick. Poteva tremare il suo labbro, poteva impallidire la sua guancia, ma non una sola espressione di paura o di sospetto sfuggiva dalla bocca di quest'uomo immortale.
Il signor Pickwick aveva ragione. Il fuoco cessò; ma non ancora aveva egli finito di congratularsi dell'accuratezza del suo modo di vedere, che un rapido movimento fu visibile nella linea: la voce roca del comando la percorse tutta, e prima che alcuno della brigata potesse formarsi una qualunque idea della novella manovra, l'intiera massa dei sei reggimenti, baionette in canna, caricò a passo accelerato proprio verso il punto preciso che il signor Pickwick e i suoi compagni occupavano.
L'uomo è mortale, questo si sa; e vi è un punto oltre il quale non può andare il coraggio. Il signor Pickwick guardò per qualche istante attraverso gli occhiali alla massa compatta che s'avanzava; e poi, senza più, volse le spalle e.... non diremo fuggì — in primo luogo perchè la parola è ignobile, e in secondo, perchè la figura del signor Pickwick non si adattava per nessun verso a questa maniera di ritirata — e si allontanò al trotto, con quel tanto di rapidità che gli consentivano le gambe; la quale nondimeno fu bastevole a non farlo accorto pienamente della sua critica posizione, se non quando era già troppo tardi.
Le truppe venute testè in campo dal lato opposto, che aveano gettato il signor Pickwick in una certa perplessità erano appunto destinate a respingere il simulacro di attacco dei finti assalitori della cittadella; e la conseguenza fu questa che il signor Pickwick e i suoi compagni si trovarono subitamente rinchiusi fra due linee di sterminata lunghezza; l'una che s'avanzava a passo accelerato, l'altra che aspettava a piè fermo ed in atto ostile l'urto nemico.
— Ohi! — gridarono gli ufficiali della linea che s'avanzava.
— Levatevi di mezzo! — gridarono gli ufficiali dell'altra linea.
— Dove dobbiamo andare? — esclamarono gli agitati Pickwickiani.
— Ohi, ohi, ohi! — fu la sola risposta. Vi fu un momento di gran confusione, di vertigine, un rumore pesante di passi, una confusione violenta, delle risa soffocate — e i sei reggimenti erano già lontani un cinquecento metri, e le suole degli stivali del signor Pickwick erano levate in aria.
I signori Snodgrass e Winkle avevano ciascuno eseguito uno svelto capitombolo, quando il primo oggetto che colpì gli occhi del secondo, stando ancora seduto per terra e cessando di frenare con un suo fazzoletto di seta gialla tutta la rubiconda vitalità che gli usciva dal naso, fu appunto il suo venerato condottiero ad una certa distanza che correva dietro il proprio cappello, il quale se n'andava allegramente saltellando nella lontana prospettiva.
Pochi momenti vi sono nella vita di un uomo, nei quali sia così ridevole il suo imbarazzo e così scarsa in altri la commiserazione, come quando egli si trova ad inseguire il suo cappello. È indispensabile, in questa operazione del ricuperare un cappello volato via, una forte dose di freddezza e un grado speciale di giudizio. Non bisogna essere frettoloso, nè precipitarvisi sopra; nè d'altra parte si deve cadere nell'estremo contrario e rischiare di perderlo a dirittura. Il miglior mezzo è questo: di tener dietro dolcemente all'oggetto che si ha in mira, di essere vigile e cauto, di attendere il destro, avanzarlo di qualche passo, far poi una subita diversione, afferrarlo, e cacciarselo in capo solidamente: e tutto questo, sorridendo sempre con una certa grazia, come se la cosa vi paresse il giuoco più piacevole di questo mondo.
Spirava un bel venticello, ed il cappello del signor Pickwick se n'andava rotolando e balzando allegramente. Soffiava il vento e soffiava il signor Pickwick, e il cappello seguitava a balzare e a rotolare come un pesce vivace nella corrente; ed avrebbe seguitato chi sa fin dove la sua corsa se non fosse stato provvidenzialmente arrestato, proprio nel punto che il signor Pickwick lo abbandonava al suo fato.
Il signor Pickwick, dicevamo, era completamente stremo di forze e stava per rinunciare alla sua caccia, quando il cappello fu sbattuto con alquanta violenza contro la ruota di una carrozza, che stava in riga con un'altra mezza dozzina di veicoli sul punto verso il quale i passi di lui erano diretti. Il signor Pickwick, scorgendo il suo vantaggio, si slanciò di botto, assicurò la sua proprietà, se la piantò in capo e sostò per riprender fiato. Non era stato così mezzo minuto, quando udì il suo nome pronunciato alto da una voce, che subito riconobbe per quella del signor Tupman, e alzando gli occhi fu colpito da una vista che lo colmò di sorpresa e di soddisfazione.
In una carrozza scoperta, dalla quale, a motivo della folla erano stati staccati i cavalli, stavano in piedi un vecchio e grosso signore in soprabito turchino e bottoni di metallo, calzoni di velluto e stivali a tromba, due signorine in piume e sciarpe, un giovanotto innamorato, a quanto pareva, di una delle due signorine in piume e sciarpe, una signora d'incerta età, probabilmente zia delle medesime, e il signor Tupman, così tranquillo e disinvolto come se avesse fatto parte della famiglia dai primi momenti della sua infanzia. Dietro la carrozza era strettamente legata una canestra di vaste dimensioni — una di quelle canestre che per una vaga associazione di idee non mancano mai di destare in una mente contemplativa visioni di polli rifreddi, lingue e bottiglie di vino — e a cassetta sedeva, in uno stato di profonda sonnolenza, un ragazzo grasso e rubicondo, che un arguto osservatore avrebbe subito riconosciuto pel dispensiere ufficiale del contenuto della canestra suddetta quando il tempo opportuno per la distribuzione di quello fosse arrivato.
Il signor Pickwick avea gettato un rapido sguardo su questi oggetti interessanti, quando fu di nuovo chiamato dal fedele discepolo.
— Pickwick, Pickwick! — gridò il signor Tupman, — salite qui, salite.
— Venite, signore, montate, vi prego, — disse il signore grosso. — Joe! maledetto ragazzaccio, s'è rimesso a dormire. Joe, abbassa il predellino.
Il ragazzo grasso discese lentamente dalla sua serpe, abbassò il predellino, e si fece da lato tenendo aperto lo sportello. I signori Snodgrass e Winkle arrivavano in questo momento.
— C'è posto per tutti, signori miei, — disse il signore dagli stivaloni. Due dentro e uno in serpe. Joe, tirati da parte per uno di questi signori. Andiamo, su! — e il grosso signore stese il braccio e tirò su a forza prima il signor Pickwick e poi il signor Snodgrass. Il signor Winkle montò in serpe, il ragazzo grasso gli si inerpicò a fianco ed immediatamente si riaddormentò.
— Or bene, signori, — riprese il vecchio signore, contentissimo di vedervi. Forse non vi ricordate di me, ma io vi conosco benissimo. Ho passato parecchie sere al vostro Circolo l'inverno scorso. Ho colto qui stamani il signor Tupman e m'ha fatto tanto piacere di vederlo. E così, come state? Avete la faccia della buona salute, perbacco!
Il signor Pickwick espresse le sue grazie e ricambiò al vecchio signore la sua stretta di mano.
— Bravissimo! e voi, signore, come state? (volgendosi al signor Snodgrass con paterna sollecitudine) Egregiamente, eh? bravo, bravo. E voi, signore? (al signor Winkle). Benissimo, tanto piacere di sentire che state bene. Tanto tanto piacere. Le mie figlie, signori, le mie ragazze; ed ecco qua mia sorella, la signorina Rachele Wardle. È signorina e non è signorina; eh, che vi pare?
E il grosso signore, ridendo di tutto cuore, ficcò scherzosamente il gomito fra le costole del signor Pickwick.
— Via, via, fratello! — disse la signorina Wardle con un sorriso supplichevole.
— È la verità, — riprese il grosso signore, — e nessuno può negarla. Scusate, signori; vi presento il mio amico signor Trundle. Ed ora che vi conoscete tutti, stiamo allegri e senza complimenti, e vediamo che si fa adesso; ecco quel che dico io.
E il vecchio signore si mise gli occhiali, e il signor Pickwick sfoderò il suo cannocchiale, e tutti stettero in piedi nella carrozza, guardando l'uno di sopra le spalle dell'altro alle evoluzioni militari.
Mirabili evoluzioni erano queste. Una fila tirava di sopra alle teste di un'altra fila e scappava via; e poi l'altra fila tirava di sopra alle teste di un'altra fila, e scappava via alla sua volta; e poi si formavano quadrati con gli ufficiali nel centro; e poi si scendeva nelle trincee da una parte con apposite scale, e si ascendeva dall'altra parte col medesimo mezzo, e si abbattevano barricate di canestre, e la condotta generale delle truppe era delle più coraggiose che si possano immaginare. Sulle batterie i cannonieri ficcavano in enormi cannoni strofinacci immani e pestelli giganteschi, e vi era tale preparazione per caricarli e tanto fracasso quando sparavano, che l'aria intorno risuonava delle alte grida delle signore. Le signorine Wardle erano così spaventate, poverine, che il signor Trundle fu assolutamente obbligato a sostenerne una, mentre il signor Snodgrass sosteneva l'altra; e la sorella del signor Wardle fu presa da un tale attacco di nervi, che il signor Tupman riconobbe l'urgente necessità di cingerle con un braccio la vita per non farsela cadere addosso. Tutti erano eccitati, meno il ragazzo grasso, il quale se la dormiva saporitamente come se il tuonar del cannone fosse stata la sua ninnanna.
— Joe, Joe! — gridò il vecchio signore, quando la cittadella fu presa, e assedianti e assediati sedettero insieme a desinare. — Maledetto ragazzo, s'è addormentato di nuovo. Fatemi la finezza di pizzicarlo, signore; alla gamba, sapete; non c'è altro per destarlo; così, grazie. Apri la canestra, Joe.
Il ragazzo grasso, che in effetto era stato scosso dalla compressione di una parte della sua gamba fra l'indice e il pollice del signor Winkle, discese di nuovo dalla cassetta, e si mise a sciogliere la canestra con maggiore sveltezza che dalla sua prima indolenza non si potesse aspettare.
— Ora, ci dobbiamo un po' stringere, — disse il signore grasso. E dopo molti scherzi sullo spremere delle braccia delle signore, e molti rossori alla giocosa proposta che le signore si mettessero a sedere sulle ginocchia degli uomini, tutta la brigata fu insaccata nella carrozza; e il signore grasso procedette a distribuire il contenuto della canestra, pigliandolo dalle mani del ragazzo grasso ch'era montato apposta di dietro.
— Adesso, Joe, coltelli e forchette.
I coltelli e le forchette furono distribuiti e le signore e i signori di dentro, e il signor Wardle a cassetta, furono tutti favoriti di questi utili strumenti.
— I piatti, Joe, i piatti.
E il medesimo processo fu seguito nella distribuzione delle maioliche.
— Adesso, Joe, i polli. Maledetto ragazzo, s'è addormentato da capo. Joe, Joe! — (Vari colpi sulla testa con un bastone, e il ragazzo grasso, con qualche difficoltà, si scosse dalla sua letargia). — Via, date qua i commestibili.
C'era qualche cosa nel suono di quest'ultima parola, che valse a destare completamente il ragazzo dormiglione. Balzò in piedi; e i suoi occhi imbambolati, mezzo affondati nelle guance paffute, si accesero di orrida luce fissandosi sul cibo, via via che lo tirava fuori dalla canestra.
— Su, svelto, — disse il signor Wardle, vedendo il ragazzaccio che se ne stava in muta contemplazione sopra un cappone dal quale sembrava assolutamente inabile a separarsi. Il ragazzo sospirò profondamente e, dando un'occhiata tenera a quella simpatica grassezza, lo consegnò di mala voglia al suo padrone.
— Bravo, così, e svelto. Adesso la lingua; il pasticcio. Bada al vitello e al prosciutto; occhio ai gamberi, togli l'insalata dal tovagliolo, dà qua il condimento.
Tali furono gli ordini che uscirono uno sull'altro dalla bocca del signor Wardle, mentre egli passava nella carrozza le varie vivande descritte, e metteva piatti nelle mani di tutti e sulle ginocchia di tutti, in numero infinito.
— Delizioso, eh? domandò poi quando si dette mano all'opera di distruzione.
— Deliziosissimo! — esclamò il signor Winkle, che scalcava un pollo a cassetta.
— Un bicchiere di vino?
— Obbligatissimo, con piacere.
— Non è meglio che vi pigliate una bottiglia per voi?
— Troppo buono, grazie.
— Joe!
— Sissignore. (Non dormiva questa volta, essendo riuscito in quel punto a sottrarre un pasticcetto di vitello).
— Una bottiglia di vino al signore in serpe. Al piacere del nostro incontro, signore.
— Grazie.
Il signor Winkle vuotò il bicchiere e si posò la bottiglia accanto.
— Vorreste farmi il piacere?... — disse il signor Trundle al signor Winkle.
— Volentierissimo, — rispose il signor Winkle al signor Trundle. E trincarono insieme, e poi bevvero tutti, non escluse le signore.
— Come fa la vezzosa quella cara Emilia col signore forestiero! — bisbigliò all'orecchio del fratello Wardle la zia ragazza con vera invidia di zia ragazza.
— Oh, so di molto io! — disse il vecchio signore. — Cosa naturalissima, mi pare. Signor Pickwick, un po' di vino?
Il signor Pickwick, immerso in una accurata investigazione delle viscere del pasticcio, non se lo fece dire la seconda volta.
— Emilia mia, — disse la zia zitella con un'aria di protezione, — non parlate così forte, cara.
— Dio buono, zia!
— La zia e il vecchietto la vorrebbero tutta per sè, — bisbigliò la signorina Isabella Wardle all'orecchio della sorella Emilia. Le due signorine risero di cuore, e la zia si sforzò di fare il viso amabile, ma non vi riuscì.
— Hanno tanta vivacità coteste ragazze! — disse la signorina Wardle al signor Tupman con tuono gentilmente pietoso, come se la vivacità fosse merce da contrabbando e il possederla senza una licenza in tutta regola fosse criminoso.
— Oh, sicuro che ne hanno! — rispose il signor Tupman, non dando quella precisa risposta che era aspettata — È un vero piacere.
— Eh, eh! — fece la signorina Wardle con una sua tosserella di dubbio.
— Permettete? — disse il signor Tupman, con la sua voce più insinuante, toccando con una mano il polso dell'incantevole Rachele, e con l'altra alzando la bottiglia. — Permettete?
— Oh, vi pare!
Il signor Tupman aveva una cert'aria molto efficace; e la signorina Rachele manifestò il suo timore che ci avessero ad essere altre scariche, nel qual caso, naturalmente, avrebbe di nuovo avuto bisogno di essere sorretta.
— Vi paiono graziose le mie care nipoti? domandò basso al signor Tupman la zia affettuosa.
— Mi parrebbero, se non fosse presente la zia, — rispose prontamente il Pickwickiano con un tenero sguardo
— Oh, cattivo! Ma davvero, se avessero la carnagione un tantino più chiara, non vi pare che sarebbero carine... al lume di candela?
— Sì, credo, — rispose il signor Tupman con aria indifferente.
— Ah, briccone! capisco quel che stavate per dire.
— Che cosa? — domandò il signor Tupman, il quale non stava veramente per dir niente.
— Stavate per dire che Isabella si curva un poco, non lo negate, via! Ebbene, sì, avete ragione; e certamente se c'è cosa che renda brutta una ragazza è questo difetto del curvarsi. Glielo dico sempre io, che quando si farà più grande, sarà orribile. Il fatto è che siete un birbone!
Il signor Tupman non aveva obbiezioni a buscarsi una riputazione a così buon mercato; sicchè fece un viso pieno d'intelligenza e sbozzò un sorriso misterioso.
— Che sorriso ironico! — esclamò la signorina Rachele; — davvero che voi mi fate una gran paura. — Io!
— Oh, non potete nascondermi niente, sapete. Io capisco benissimo che cosa vuol dire quel sorriso.
— Che cosa? — domandò il signor Tupman, che non lo sapeva lui stesso nemmen per ombra.
— Vuol dire, — disse l'amabile zia abbassando più la voce, — vuol dire che il curvarsi d'Isabella non vi pare così brutto come la prontezza di Emilia. Così è, non c'è che dire! Non vi potete figurare che pena mi fa qualche volta; arrivo a piangerne per ore ed ore. Quel caro uomo di mio fratello è così buono, così ingenuo, non vede mai nulla; se per poco se n'accorgesse, son certa che gli farebbe tanto male. Vorrei poter pensare che si tratti della sola apparenza, lo spero proprio! — (E qui l'amorosa zia emise un profondo sospiro e crollò la testa in aria desolata).
— Scommetto che la zia parla di noi, — bisbigliò la signorina Emilia alla sorella — Ne sono sicurissima; ha l'aria così maligna!
— Credi? — disse Isabella. — Zia, zia, cara!
— Sì, amore.
— Ho tanta paura che vi pigliate un'infreddatura: mettetevi un fazzoletto di seta sulla testa; abbiatevi cura, vi prego; considerate la vostra età!
Per meritata che fosse questa rappresaglia, era certamente la più fiera vendetta che si potesse escogitare. Nè c'è da indovinare in che forma di risposta si sarebbe sfogata l'indignazione della zia, se il signor Wardle non avesse involontariamente mutato il discorso, chiamando Joe con tutta la forza dei suoi polmoni.
— Maledetto ragazzo, s'è addormentato di nuovo!
— Davvero, un ragazzo straordinario, — disse il signor Pickwick; — dorme sempre a questo modo?
— Se dorme! — esclamò il vecchio signore. — Va per una commissione e dorme, serve a tavola e dorme.
— Strano davvero!
— Altro che strano! Io sono superbo di questo ragazzo; non lo darei per tutto l'oro del mondo. Perbacco, è una curiosità, capite! Joe, via questa roba, e dà qua un'altra bottiglia Joe!
Il ragazzo grasso si scosse, aprì gli occhi, ingoiò il pezzo di pasticcio che teneva in bocca nel punto che s'era addormito, e lentamente eseguì gli ordini del padrone, contemplando con aria cupida e molle i rimasugli del banchetto nel levare i piatti e rimetterli nella canestra. La novella bottiglia fu stappata e vuotata; la canestra fu legata al posto di prima; il ragazzo rimontò in serpe, gli occhiali e il cannocchiale furono aggiustati di nuovo, e le evoluzioni militari ricominciarono. Vi fu un gran buscherio di botte col relativo spavento delle signore, e poi, con soddisfazione generale, una mina scoppiò; e scoppiata che fu la mina, i militari si ritirarono e la brigata dei nostri amici seguì l'esempio dei militari.
— Sicchè, — disse il vecchio signore, conchiudendo con una buona stretta di mano una conversazione a sbalzi fatta col signor Pickwick durante l'ultima parte delle manovre, — sicchè, badiamo, vi farete veder tutti domani.
— Senza meno, — rispose il signor Pickwick.
— Avete l'indirizzo?
— Fattoria di Dingley Dell, — lesse il signor Pickwick nel suo libro d'appunti.
— Precisamente. E non vi lascio per una settimana, sapete; e fatevi il conto che dovete vedere tutto quanto c'è da vedere. Se siete venuti qui per un po' di vita campagnuola, ve ne darò finchè volete. Joe, maledetto ragazzo, s'è addormentato! Joe, dà una mano a Tom per attaccare i cavalli.
I cavalli furono attaccati, il cocchiere montò in serpe, il ragazzo grasso gli si appollaiò accanto, molti saluti si scambiarono, e la carrozza partì al trotto. Mentre i Pickwickiani si voltavano per darle un'ultima occhiata, i raggi del sole morente spandevano una luce rosata sui bei visi che la occupavano e cadevano in pieno sulle forme opulenti del ragazzo. Il quale aveva il mento sprofondato nel petto, e, tanto per mutare, dormiva
V.
Il quale, fra le altre cose, mostra nella sua brevità come il signor Pickwick prese a guidare e il signor Winkle a cavalcare, e come se la cavarono.
Il cielo era limpido e calmo, l'aria balsamica, ed ogni cosa intorno raggiava di bellezza mentre il signor Pickwick, appoggiato al parapetto del ponte di Rochester, contemplava la natura ed aspettava la colazione. E la scena era tale veramente, che un animo anche meno disposto alla contemplazione ne sarebbe stato commosso.
A sinistra dello spettatore ergevasi l'antica muraglia, rotta qua e là, e chinata con un suo fiero cipiglio sulla stretta baia sottostante. Dei ciuffi di alga pendenti dalle pietre smussate ondeggiavano al menomo soffio del vento, e i merli oscuri tristamente s'incoronavano di edera. Dietro questo muro sorgeva l'antico castello, colle torri sfondate, le mura crollanti, ma ancora bello della sua forza, del suo potere di un giorno, quando, settecento anni fa, risuonava biecamente di armi o si allegrava al rumore delle feste e dei canti. Dall'una o dall'altra parte, le rive della Medway, ricche di biade e di pascoli, variate qua e là da un mulino o da una chiesa; vasto e splendido paesaggio, colorato dalle ombre cangianti che rapidamente lo attraversavano a seconda delle prime nuvolette che brillavano e si dissolvevano ai raggi del sole mattutino. Il fiume, riflettendo l'azzurro limpido del cielo, scintillava di mille fuochi; e i remi dei pescatori rompevano in cadenza l'onda tranquilla che si portava lungo la corrente le loro barche pesanti ma pittoresche.
Un profondo sospiro e un lieve tocco sulla spalla destarono il signor Pickwick dalla dolce meditazione. Si voltò e si trovò faccia a faccia con l'uomo-cataletto.
— Contemplate questa scena? gli domandò l'uomo-cataletto.
— Sì, — rispose il signor Pickwick.
— E vi compiacete di esservi levato di così buon mattino?
Il signor Pickwick accennò di sì col capo.
— Ah! bisogna levarsi presto per vedere il sole in tutto il suo splendore, il quale non dura sempre per tutta la giornata. L'alba del giorno e l'alba della vita pur troppo si rassomigliano.
— Avete ragione, signore, — disse il signor Pickwick.
— Com'è comune l'adagio, — riprese a dire l'uomo-cataletto; — “è troppo bella la giornata perchè duri” e come si adatterebbe alla nostra esistenza di tutti i giorni! Che cosa non darei io per tornare ai giorni della mia fanciullezza o per dimenticarli in eterno!
— Avete menato una vita molto travagliata, — disse il signor Pickwick in tono di compassione.
— Molto, oh molto! Più di quanto si possa figurare chi mi vede adesso.
Tacque un momento, poi di botto domandò:
— V'è mai venuta l'idea, in una mattina come questa, che l'annegarsi potrebbe essere la felicità e la pace?
— Dio buono, no! — rispose il signor Pickwick, scostandosi un po' dal parapetto per un'istintiva apprensione che il suo interlocutore non l'avesse buttato di sotto in via di esperimento.
— Io ci ho pensato più di una volta, — disse l'altro senza badare a quell'atto — Mi pare che quell'acqua calma, fresca, vada mormorando un invito al riposo. Un tonfo, uno sprazzo, una breve lotta; nel primo momento si forma un vortice, poi l'onda s'increspa e gorgoglia; le acque si son chiuse sul vostro capo, e il mondo s'è chiuso per sempre sulle vostre miserie.
L'occhio infossato dell'uomo-cataletto brillava di fosca luce. Ma l'eccitazione fu momentanea. Egli fece per allontanarsi con molta calma, dicendo:
— Andiamo, basta così. Io volevo dirvi tutt'altra cosa. Ieri l'altro sera voi m'invitaste a leggere quel mio scartafaccio e mi ascoltaste attentamente.
— Sì, — rispose il signor Pickwick, — e certamente ho pensato...
— Non vi domando un parere, — lo interruppe quegli, — non ne ho bisogno. Voi fate un viaggio di svago e d'istruzione. Supponete ch'io vi dia un curioso manoscritto, non già curioso, badate bene, perchè strano od inverisimile, ma curioso come una pagina strappata al romanzo della vita. Lo comunichereste al Circolo di cui tante volte mi avete parlato?
— Certamente, — rispose il signor Pickwick, — se così vi piacesse; e sarebbe subito inserito negli Atti.
— Sta bene, lo avrete. Il vostro indirizzo?
Il signor Pickwick gli comunicò il loro probabile itinerario, e l'uomo-cataletto presane nota in un suo untuoso portafogli e rifiutato recisamente il cortese invito a colazione che gli faceva il signor Pickwick, voltò le spalle e si allontanò.
Il signor Pickwick trovò bell'e levati i suoi tre compagni che aspettavano lui per la colazione, la quale era già bandita ed aveva un aspetto molto tentatore. Si posero a tavola; e il prosciutto cotto, le uova, il tè, il caffè, eccetera, incominciarono a scomparire con una rapidità che dimostrava nel tempo stesso la squisitezza del cibo e il buon appetito dei consumatori.
— Ed ora, alla Fattoria, — disse il signor Pickwick — Come ci andremo?
— Sarebbe forse bene consultare il cameriere, — disse il signor Tupman.
Il cameriere fu chiamato.
— Dingley Dell, signori? quindici miglia, signori, per la scorciatoia. Carrozza di posta?
— Nella carrozza di posta non si va che in due, — notò il signor Pickwick.
— È vero, signore, domando scusa, signore. Una bella carrozza a quattro ruote, signore. Sedile per due persone, dietro, uno davanti pel signore che guida — oh! domando scusa, non si va che in tre.
— Che fare? — esclamò il signor Snodgrass.
— Forse ad uno dei signori piacerà andare a cavallo, — suggerì il cameriere, dando un'occhiata al signor Winkle; — ottimi cavalli da sella, signore; qualunque degli uomini del signor Wardle che viene a Rochester lo riporta indietro, signore.
— Egregiamente, — disse il signor Pickwick. — Winkle volete andare a cavallo?
Ora il signor Winkle, nelle più intime latebre del cuore, nutriva certi suoi gravi dubbi relativi alla sua abilità equestre; ma siccome per nulla al mondo avrebbe voluto che altri ne avesse sospetto, rispose subito con grande ardimento:
— Certamente, col massimo piacere.
Il dado era tratto; non c'era risorsa.
— Fateli venire alle undici, — disse il signor Pickwick.
— Benissimo, signore, — rispose il cameriere.
Il cameriere si ritirò, la colazione finì, e i viaggiatori salirono alle loro camere rispettive per preparare un po' di biancheria da portarsi per l'escursione imminente.
Il signor Pickwick avea già fatto i suoi preparativi e se ne stava a guardare dalla finestra del caffè la gente che passava, quando il cameriere venne ad annunziare che la carrozza era pronta; annunzio che fu subito confermato dall'apparizione della carrozza medesima dietro la finestra sullodata.
Era una curiosa scatola verde piantata su quattro ruote, con dietro un sedile basso per due, che pareva una tinozza per l'uva, e davanti un seggiolino aereo per uno. Era tirata da un immenso cavallo scuro, notevole per una stupenda simmetria di ossa. Un mozzo di stalla gli stava vicino tenendo per la briglia un altro cavallo immenso, — parente stretto, a quanto pareva, di quello della carrozza, — perfettamente sellato pel signor Winkle.
— Signore Iddio! — esclamò il signor Pickwick, mentre stavano ancora in terra e si mettevano i pastrani in carrozza, — Signore Iddio, chi è che deve guidare? A questo non ci avevo pensato.
— Oh, voi naturalmente! — disse il signor Tupman.
— Naturalmente, — ripetette il signor Snodgrass.
— Io! — esclamò il signor Pickwick.
— Niente paura, signore, — disse il mozzo. — Una pecora, signore; un bambino in fasce lo potrebbe guidare.
— Non è ombroso eh? — domandò il signor Pickwick.
— Ombroso? Non s'adombrerebbe se pure avesse ad incontrare un carico di scimmie con le code in fiamme.
A quest'ultima assicurazione non c'era da ribattere. I signori Tupman e Snodgrass montarono; il signor Pickwick s'inerpicò a cassetta, e pose i piedi sopra un apposito predellino coperto da un tappeto sdrucito.
— A te, bel Guglielmo, — disse il mozzo ad un suo sottoposto, — dà le guide al signore.
Il bel Guglielmo, così chiamato probabilmente pei suoi capelli grassi e la faccia untuosa, pose le guide nella mano sinistra del signor Pickwick e il mozzo in capo gli consegnò una frusta nella dritta.
— Ehi, ehi! — gridò il signor Pickwick, vedendo che l'immane quadrupede dimostrava una decisa inclinazione a rinculare nella finestra del caffè.
— Ehi! — echeggiarono Tupman e Snodgrass dal loro sedile.
— Niente, niente! uno scherzo, signori, — disse il mozzo in capo con tono incoraggiante, — tienilo un po', Guglielmo.
Il mozzo in seconda frenò l'impeto della bestia, mentre il suo superiore andava ad aiutare il signor Winkle a montare a cavallo.
— Dall'altra parte, signore, se non vi dispiace.
— Accidenti se il signore non voleva montare a rovescio, — bisbigliò un postiglione al cameriere che se la divertiva mezzo mondo.
Il signor Winkle, ricevute le debite istruzioni, s'arrampicò sulla sella, con la medesima difficoltà che avrebbe incontrato nel montare in groppa di una, fregata di prima classe.
— Tutto va bene? — domandò il signor Pickwick, con un intimo presentimento che tutto andava male.
— Tutto bene, — rispose debolmente il signor Winkle.
— Lascia andare! — gridò il mozzo — Tenetelo stretto, signore! — e via di conserva la carrozza e il cavallo da sella, col signor Pickwick davanti alla prima, e il signor Winkle in groppa al secondo, con soddisfazione e diletto ineffabile di tutta la gente della corte.
— Che cos'è che lo fa andar di fianco? — domandò il signor Snodgrass dalla scatola al signor Winkle sulla sella.
— Non capisco, — rispose questi. Il suo cavallo camminava in effetto in un modo assai misterioso, cioè tutto di traverso, con la testa da una parte della via e la coda dalla parte opposta.
Il signor Pickwick non era in grado di osservare questo od altri particolari, poichè tutte le sue facoltà erano assorbite dall'animale attaccato alla carrozza, il quale spiegava varie singolarità, molto interessanti per uno spettatore, ma niente affatto piacevoli per chi gli stava seduto dietro. Oltre allo scuotere continuamente la testa con gran fastidio di chi lo guidava e al tirar tanto le redini che a gran stento il signor Pickwick riusciva a tenerle in mano, aveva una strana propensione a gettarsi improvvisamente da un lato della strada, per poi fermarsi di botto e quindi slanciarsi avanti per qualche minuto con una furia che era assolutamente impossibile trattenere.
— Che vuol dir ciò? disse il signor Snodgrass, quando la bestia ebbe eseguito per la ventesima volta questa manovra.
— Non capisco, — rispose il signor Tupman; — mi pare che sia ombroso, o press'a poco.
Il signor Snodgrass stava per rispondere, quando un grido del signor Pickwick lo interruppe. — Oh, perbacco! M'è caduta la frusta.
— Winkle, — gridò il signor Snodgrass, mentre il cavaliere se ne veniva trottando sul suo immenso bucefalo, col cappello sulle orecchie, e scotendosi tutto come se la violenza di quell'esercizio stesse per ridurlo in frantumi. — Winkle, fate il piacere, raccattate la frusta.
Il signor Winkle tirò la briglia del cavallo gigante fino a diventar paonazzo; ed essendo finalmente riuscito a fermarlo, smontò, consegnò la frusta al signor Pickwick, e riafferrate le redini, fece per rimontare in sella.
Ora, o che il cavallo, per sua naturale disposizione umoristica volesse pigliarsi un po' di spasso innocente col signor Winkle, o che avesse pensato di poter fare il viaggio egualmente bene con o senza cavaliere, sono punti sui quali, come s'intende, non ci è dato venire ad una conclusione netta e precisa. Quali che fossero i suoi motivi, il fatto è che non sì tosto il signor Winkle avea toccato le redini, che l'animale vi passò di sotto la testa, e indietreggiò per quanto quelle eran lunghe.
— Povera bestia, — disse il signor Winkle con voce carezzevole, — povera bestia, buon vecchio animale! — Ma la povera bestia non era accessibile alle lusinghe; più tentava il signor Winkle di accostarsi, e più quella si cansava; e ad onta di tutti gli artifizi e le carezze, il signor Winkle e il cavallo non fecero che girare l'uno intorno all'altro per dieci minuti di fila, in capo ai quali ciascuno dei due si trovava precisamente al posto di prima. In somma, una disgraziata situazione in qualunque circostanza, ma specialmente sopra una strada solitaria dove non c'è da avere nessuna sorta di aiuti.
— Che debbo fare? — gridò il signor Winkle, quando questo giuoco fu durato un bel pezzo. — Che debbo fare? non mi riesce di pigliarlo.
— È meglio che lo meniate a mano fino a che non saremo arrivati ad una barriera — rispose dalla carrozza il signor Pickwick.
— Ma non vuol venire, capite, — tuonò il signor Winkle. — Venite voi e pigliatelo.
Il signor Pickwick era la vera personificazione della gentilezza e dell'umanità; gettò le guide sulle groppe del cavallo, e disceso che fu dal suo elevato seggiolino, accostò la carrozza alla siepe, per chi sa qualche altro veicolo avesse a sopravvenire, e tornò indietro per assistere il desolato compagno, lasciando soli nella loro tinozza i signori Tupman e Snodgrass.
Non appena il cavallo ebbe scorto il signor Pickwick avanzarsi alla sua volta con la frusta in mano, che subito mutò il movimento rotatorio, del quale fino a quel punto s'era compiaciuto, in un movimento retrogrado così determinato, che il signor Winkle attaccato ai capi delle guide fu trascinato con una certa rapidità verso il punto dal quale erano partiti. Il signor Pickwick corse in suo aiuto; ma più il signor Pickwick correva avanti e più la bestia correva indietro. Vi fu un grande scalpitio, un gran tirar di calci, ed un gran polverio; fino a che il signor Winkle, avendo le braccia quasi slogate, ebbe a lasciar presa. Il cavallo si chetò, sbarrò gli occhi, scosse la testa, voltò la schiena, e si avviò al piccolo trotto verso Rochester, lasciando il signor Winkle e il signor Pickwick a guardarsi in faccia l'un l'altro con la più profonda desolazione. Un rumore a breve distanza attrasse la loro attenzione. Alzarono gli occhi.
Potenzinterra! — esclamò fuori di sè il signor Pickwick, — ecco l'altro cavallo che se la batte!
Pur troppo era vero. L'animale s'era spaventato al rumore e si sentiva le guide sulla groppa. Si capisce subito quel che doveva avvenire. Pigliò a scappare tirandosi dietro la scatola, e i signori Tupman e Snodgrass nella medesima. La corsa fu breve. Il signor Tupman si slanciò nella siepe, il signor Snodgrass ne seguì l'esempio, il cavallo portò a sbattere la carrozza contro un ponte di legno, separò le ruote dalla cassa, e la tinozza dal seggiolino, — e finalmente si fermò sulle quattro zampe a contemplare la rovina che aveva fatto.
La prima cura dei due amici che stavano ancora ritti fu di strigare gli sventurati compagni dal loro ginepraio; operazione complicata che dette loro l'ineffabile soddisfazione di scoprire che non s'erano fatto alcun male, eccetto qualche strappo nei vestiti e varie lacerazioni nella pelle. La seconda cosa da fare era di staccare il cavallo e togliergli i guarnimenti. Compiuto tutto questo, la brigata si avviò a lenti passi, menando con sè il cavallo ed abbandonando la carrozza al suo fato.
Dopo un'ora di cammino arrivarono ad una miserabile osteria con davanti due olmi, una tina ed una insegna; di dietro, una o due mole rotte; di fianco un orto, e tutt'intorno, ammassate in una strana confusione, persiane rotte e imposte e impannate sfasciate. Un uomo dai capelli rossi lavorava nell'orto; e a lui appunto gridò il signor Pickwick:
— Ehi di casa!
L'uomo rosso si rizzò, e facendosi solecchio di una mano, guardò tranquillamente ed a lungo il signor Pickwick e i suoi compagni.
— Ehi di casa! — ripetette il signor Pickwick.
— Ohi! — rispose l'uomo dai capelli rossi.
— Quanto c'è di qui a Dingley Dell?
— Sette miglia avvantaggiate.
— È buona la strada?
— No, punto.
E data questa succosa risposta con un'altra sua occhiata indagatrice, l'uomo rosso si rimise al suo lavoro.
— Vorremmo lasciar qui questo cavallo, — disse il signor Pickwick; — possiamo, eh?
— Volete lasciar qui l'animale, volete? — domandò l'uomo rosso appoggiandosi al manico della vanga.
— Precisamente, — rispose il signor Pickwick, che s'era intanto avvicinato, menando il cavallo per la briglia, al cancello del giardino.
— Ohi, padrona! — gridò l'uomo rosso, uscendo dal giardino, e guardando fiso al cavallo, — padrona!
Una femmina alta ed ossuta, diritta come una colonna, con indosso una rozza mantelletta turchina, e con la vita che le scendeva appena un par di pollici di sotto le ascelle, rispose a quella chiamata.
— Potremmo lasciar qui questo cavallo, buona donna? — disse il signor Tupman avanzandosi e parlando nel tono più insinuante che sapesse. La donna squadrò con un'occhiata sospettosa i quattro viaggiatori, e l'uomo rosso le susurrò qualche cosa all'orecchio.
— No, — rispose dopo un momento, — ho paura io.
— Paura! — esclamò il signor Pickwick, — di che cosa ha ella paura costei?
— Ci dette troppo da fare l'ultima volta, — disse la donna tornando dentro. — e di questi impicci non ne voglio più sapere.
— Ecco la cosa più straordinaria che mi sia mai accaduta, — esclamò stupefatto il signor Pickwick.
— Credo.... credo veramente — bisbigliò il signor Winkle mentre gli amici gli si stringevano intorno, — credo che questa gente ci pigli per ladri.
— Come! — esclamò il Signor Pickwick con uno scoppio d'indignazione.
Il signor Winkle modestamente ripetette la sua supposizione.
— Ehi, quell'uomo! — gridò furioso il signor Pickwick, — vi credete forse che l'abbiamo rubato questo cavallo?
— Altro se lo credo, eh! — rispose l'uomo rosso con una sua smorfia che gli allargò la bocca da un'orecchia all'altra. E così dicendo, voltò le spalle e sbatacchiò loro la porta sul muso.
— Mi pare un sogno, — esclamò il signor Pickwick, — uno spaventevole sogno. Pensare soltanto di dover andar attorno una giornata intiera con un cavallaccio di cui non ci si può sbarazzare!
Gli abbattuti Pickwickiani ripresero tristamente la loro via, seguiti dalle pesanti pedate dell'immenso quadrupede, pel quale tutti oramai provavano il più profondo disgusto.
Era già verso sera quando i quattro amici e il loro compagno a quattro piedi imboccarono il viale che menava alla Fattoria; e benchè così prossimi alla meta, il piacere del viaggio fornito era di molto intiepidito dalla singolarità della loro apparenza e dall'assurda posizione nella quale si trovavano. Abiti laceri, visi graffiati, stivali impolverati, estenuazione generale, e, sopra ogni cosa, il cavallo. Oh, con che cuore il signor Pickwick mandava quel cavallo a tutti i diavoli! Di tanto in tanto avea gettato sul nobile animale qualche sua occhiata spirante odio e vendetta; più di una volta avea calcolato dentro di sè la spesa approssimativa che avrebbe potuto sopportare, segandogli a dirittura la gola; ed ora la tentazione di distruggerlo o di abbandonarlo al suo destino sulla faccia della terra, lo assalì dieci volte più forte. Fu destato da queste bieche meditazioni dal subito apparire di due figure umane ad un gomito del viale. Era il signor Wardle col ragazzo grasso, suo fido seguace.
— Dove diamine siete stati? — domandò il vecchio signore. — Tutt'oggi vi ho aspettati. Mi sembrate stracchi, eh? Come! anche delle graffiature? Niente di male, spero. Bravo, mi fa piacere, tanto piacere. Sicchè, la carrozza è ribaltata? Non importa. Casi frequenti da queste parti. Joe!
maledetto ragazzo, s'è addormentato. — Joe, piglia il cavallo da quel signore e portalo nella stalla.
Il ragazzo grasso, tenendo il cavallo per la briglia, si pose a seguirli molle e slombato; e il vecchio signore, cercando con buone parole di consolare i suoi ospiti di quella parte di disgrazie che a loro parve conveniente di rivelare, li menò tutti verso la cucina.
— Ci aggiusteremo un po' qui, — disse, — e poi vi presento su in salotto. Emma, tira fuori lo spirito di ciliege; a te, Giannina, un ago e un po' di filo; l'acqua e gli asciugamani, Mariuccia. Su, ragazze, svelte!
Tre o quattro ragazzotte ben pasciute si dispersero subito in cerca dei vari articoli richiesti, mentre due testoni e due faccioni di domestici dell'altro sesso sbucarono dal loro cantuccio presso il camino (perchè, quantunque in maggio, il loro attaccamento al fuoco di legna pareva così cordiale come se si fosse a Natale), e frugarono in certi oscuri ripostigli, dai quali trassero alla luce una bottiglia di grasso lucido e una mezza dozzina di spazzole.
— Su svelti! — disse da capo il vecchio signore. Ma l'esortazione era affatto superflua, perchè in meno di niente una delle ragazze versò lo spirito di ciliege, un'altra portò gli asciugamani, ed uno degli uomini, afferrando per una gamba il signor Pickwick a rischio di fargli perdere l'equilibrio, si diè a strofinargli lo stivale con tanta furia da fargli scottare i calli mentre il compagno, armato di una enorme spazzola, strigliava il signor Winkle con tutta la forza delle braccia, e faceva con la bocca quella specie di zufolio che è proprio dei mozzi di stalla quando sono intenti a questo ufficio dello strigliare una bestia.
Il signor Snodgrass, compiute le sue abluzioni, si mise con le spalle al fuoco, e centellinando sibariticamente il suo spirito di ciliege, diè un'occhiata complessiva alla stanza. Egli ce la descrive di vaste dimensioni, con mattoni rossi e gran cappa di camino; il soffitto ornato di prosciutti, code di cipolle e lardo. Le pareti erano decorate di varie fruste, due o tre briglie, una sella, e un vecchio schizzettone arrugginito, con sotto una scritta che diceva: Carico, — e doveva esserlo, a vederlo, almeno da un mezzo secolo. Un antico orologio, dall'aspetto tranquillo e solenne, palpitava sordamente in un angolo; ed un altro orologio d'argento, non meno antico, pendeva ad uno dei tanti uncini che erano attaccati al muro.
— Siamo pronti? — domandò il vecchio signore, quando i suoi ospiti furono ben lavati, rammendati, spazzolati e ristorati.
— Prontissimi, — rispose il signor Pickwick.
— Andiamo dunque! — E la brigata, dopo aver traversato varii corridoi ed essere stata raggiunta dal signor Tupman, che s'era indugiato alquanto per rubare un bacio a Emma, dalla quale era stato debitamente rimunerato con varii pugni e graffi, arrivò alla porta del salotto.
— Benvenuti! — disse il vecchio signore spalancandola e passando avanti per annunziarli, — benvenuti, o signori, a Dingley Dell.
VI.
Una partita a carte antiquata — i versi del prete — la storia del ritorno del forzato.
Molte persone raccolte nel vecchio salotto si levarono per far festa al signor Pickwick e agli amici suoi: e durante la formalità delle presentazioni, il signor Pickwick ebbe modo di osservare l'aspetto delle varie persone che gli stavano intorno, di studiarne i caratteri, d'indovinarne le inclinazioni, — abitudine, alla quale, come molti altri grandi uomini, egli si lasciava andare molto volentieri.
Una signora decrepita con una gran cuffia in capo e una veste di seta scolorita — nientemeno che la madre del signor Wardle — occupava il posto d'onore a dritta del caminetto; e vari certificati della sua buona educazione da giovanetta e della condotta eccellente che n'era stata la conseguenza, adornavano le pareti intorno, come a dire saggi calligrafici di vecchia data, paesaggi non meno antichi ricamati in lana e sottolumi di seta rossa alquanto più recenti. La zia, le due nipotine e il signor Wardle, gareggiando di zelo nelle cure affettuose per la vecchia signora, si stringevano intorno al seggiolone di lei, chi col corno acustico, chi con un'arancia, chi con una boccetta d'odori, mentre due altre mani si affaccendavano a sbattere e gonfiare i guanciali che le servivano di sostegno. Dal lato opposto sedeva un vecchio signore calvo, dalla fisonomia piena di serenità e di benevolenza, il parroco di Dingley Dell; ed accanto a lui sedeva sua moglie, una bella vecchia robusta e florida, la quale dava a vedere non solo di essere assai brava nella manipolazione dei cordiali domestici per soddisfazione altrui, ma di essere anche più brava nell'assaggiarli per soddisfazione propria. Un ometto stecchito e dal viso bucherellato conversava in un angolo con un vecchio corpulento; e due o tre altri vecchi con due o tre altre vecchie stavano ritti ed immobili sulle loro seggiole, fisando con molta curiosità il signor Pickwick e i suoi compagni di viaggio.
— Mamma, il signor Pickwick, — gridò il signor Wardle con quanto fiato aveva in corpo.
— Ah! — fece la vecchia crollando il capo, — non sento, eh!
— Il signor Pickwick, nonna! — strillarono a coro le due signorine nipoti.
— Ah! — fece di nuovo la vecchia signora. — Ebbene, non fa nulla. Non gli preme certo di una vecchia della mia fatta.
— Vi assicuro, signora — disse il signor Pickwick afferrando la mano della vecchia signora e parlando così forte che la sua dolce fisonomia ebbe a pigliare una tinta violacea, — vi assicuro, signora, che nessuna cosa al mondo mi piace più che il vedere una signora della vostra età a capo di una famiglia così bella, e con una cera così giovane e piena di salute.
— Ah! — esclamò la vecchia signora dopo una breve pausa; — tutte cose bellissime senza dubbio, ma io non sento niente.
— La nonna è un po' nervosa adesso, — disse a bassa voce la signorina Isabella Wardle; — ma da qui a poco vi rivolgerà la parola.
Il signor Pickwick con un semplice cenno del capo si mostrò inchinevolissimo a secondare le debolezze dell'età, ed entrò in una conversazione generale con le altre persone presenti.
— Bellissimo posto questo qui, — disse il signor Pickwick.
— Bellissimo! — fecero eco ad una voce i signori Snodgrass, Tupman e Winkle.
— Lo credo anch'io, eh! — disse il signor Wardle.
— Non c'è un posto migliore in tutta Kent, signore, — disse l'ometto dal viso bucherellato; — non ci è davvero; sono sicuro che non c'è, signore.
E l'ometto girò attorno un'occhiata di trionfo, come se qualcuno lo avesse vivamente contraddetto ed egli fosse riuscito in fin dei conti a farlo tacere.
— Non c'è un posto migliore in tutta Kent, signore, — ripetette l'ometto, dopo qualche minuto di silenzio.
— Meno i prati di Mullins, — osservò solennemente il signore corpulento.
— I prati di Mullins! — esclamò l'altro con profondo disprezzo.
Sicuro, i prati di Mullins! — ripetette il signore corpulento.
— Ottimi terreni quelli lì, — venne su un altro signore corpulento.
— O sì, non c'è che dire, — aggiunse un terzo signore corpulento.
— Sfido io! lo sanno tutti — disse il padrone di casa.
L'ometto butterato girò attorno uno sguardo dubbioso, ma trovandosi in minoranza, prese un'aria di compatimento e non aprì più bocca.
— Di che discorrono? — domandò la vecchia signora ad una delle nipotine con voce molto squillante; perchè, come sono molti sordi, essa non pareva mai tener conto della possibilità che altri l'udisse.
— Discorrono dei terreni, nonna.
— Che terreni? c'è qualcosa di nuovo?
— No, no. Il signor Miller diceva che le terre nostre qui sono migliori dei prati di Mullins.
— E che ne capisce lui? — esclamò indispettita la vecchia. — Miller è una zucca, ecco quel che è, e glielo potete dire che l'ho detto io.
Così dicendo, la vecchia signora, affatto ignara di avere assai più che bisbigliato, si raddrizzò sul suo seggiolone e guardò all'ometto delinquente con occhi che schizzavano rasoi affilati.
— Via, via, — disse il padrone di casa con una naturale ansietà di mutar discorso, — che direste, signor Pickwick, di una partita di whist?
— Col massimo piacere, — rispose il signor Pickwick, — ma non vorrei mica che metteste su un tavolino a posta per me.
— Oh, vi assicuro che la mamma ne va pazza; non è vero mamma?
La vecchia signora, che era molto meno sorda su questo soggetto che su qualunque altro, rispose subito di sì.
— Joe, Joe, — gridò il vecchio signor Wardle, — Joe! Maledetto... oh, eccolo; tira fuori i tavolini da giuoco.
Il letargico ragazzo si sforzò, senza aspettare altri stimoli, a situare i tavolini da giuoco; uno per la Papessa Giovanna e l'altro pel whist. I giocatori di whist erano il signor Pickwick e la vecchia signora, il signor Miller e il signore corpulento. Il giuoco in giro comprendeva il resto della compagnia.
Il whist procedette con tutta quella gravità e quella posatezza che giustificano il suo titolo (silenzio) e che fanno pensare quanto sia irreverente ed ignominioso l'averlo annoverato fra i giuochi. Il giuoco in giro dall'altra parte era così tumultuoso ed allegro da interrompere più di una volta le meditazioni del signor Miller, il quale non essendo assorbito fino al punto che avrebbe dovuto, ebbe a commettere diversi e non lievi crimini, che accesero terribilmente la rabbia del signore corpulento e destarono in proporzione il buon umore della vecchia signora.
— Ecco qua! — disse trionfalmente il colpevole Miller, raccogliendo le carte alla fine di una mano, — non si poteva giocar meglio, mi pare: impossibile di fare una base di più.
— Miller avrebbe dovuto tagliar quadri, non è vero, signore? — domandò la vecchia signora.
Il signor Pickwick assentì col capo.
— Proprio dovevo tagliare? — disse lo sciagurato, facendo un dubbioso appello al suo compagno.
— Sicuro che dovevate, — rispose il signore corpulento con voce terribile.
— Mi dispiace assai, — disse l'abbattuto Miller.
— Bella consolazione, — grugnì il signore corpulento.
— Due d'onori e ne abbiamo otto, — disse il signor Pickwick.
Un'altra mano.
— Potete farne una? — domandò la vecchia signora.
— Certamente, — rispose il signor Pickwick, — Doppio, semplice e il rub.
— Che detta! — esclamò il signor Miller.
Che carte! — borbottò il signore corpulento.
Seguì un solenne silenzio. Il signor Pickwick di buon umore, la vecchia signora seria, il signore corpulento arrabbiato e il signor Miller mortificatissimo.
— Un altro doppio, — esclamò la vecchia signora con aria trionfale, mettendo, in memoria del gran fatto, un sei pence e un mezzo penny senza impronta sotto il candeliere.
— È doppia, signore, — disse il signor Pickwick.
— Grazie, me n'ero accorto, — rispose il signore corpulento con rabbia concentrata.
Un'altra mano sortì effetti identici, con un rifiuto incidentale del disgraziato Miller, sul quale il signore corpulento versò un diluvio d'impertinenze che durarono fino alla fine del gioco, ritirandosi poi in un angolo e rimanendo muto come un pesce per un'ora e ventisette minuti. Dopo di che, emerse dall'ombra ed offrì al signor Pickwick una presa di tabacco col fare di un uomo che si fosse determinato ad un cristiano perdono delle offese. L'udito della vecchia signora migliorava sempre più, e l'infelice Miller si sentiva tanto fuori del suo elemento quanto un delfino in un casotto da sentinella.
Il giuoco in giro procedeva intanto con la medesima allegria. Isabella Wardle e il signor
Trundle facevano società, Emilia Wardle col signor Snodgrass facevano lo stesso, e perfino il signor
Tupman e la zia ragazza aveano stabilito una società di gettoni e di galanteria. Il vecchio signor Wardle non capiva nei panni dall'allegrezza; ed era così ameno nel tenere il banco, e le signore vecchie erano così avide di guadagnare, che tutta la tavola era un continuo frastuono di motti e di risa. C'era una vecchia signora che avea sempre da pagare una mezza dozzina di carte, destando così le risate di tutti; e quando la vecchia signora s'imbizziva per dover pagare, le risate si facevano più forti; al che la faccia della vecchia signora a poco a poco si rischiarava, e finiva anche lei per ridere più forte di tutti gli altri. Poi, quando alla zia ragazza toccava un matrimonio, le signorine tornavano a ridere, e la zia s'imbronciava; fino a che sentendosi stringere la mano di sotto alla tavola dal signor Tupman, si rischiarava anche lei, e faceva un certo viso come per dire che il matrimonio non era poi tanto lontano come qualche persona poteva credere; al che ciascuno rideva da capo, e specialmente il vecchio signor Wardle, il quale se la divertiva nè più nè meno che i più giovani della brigata. In quanto al Signor Snodgrass, non faceva altro che bisbigliare poetici sentimenti nell'orecchio della sua compagna, la qual cosa rendeva molto arguto e faceto un vecchio signore a proposito delle associazioni al giuoco e delle associazioni per la vita, e gli faceva fare varie riflessioni accompagnate da strizzatine d'occhio e colpi di tosse, che mettevano di ottimo umore tutta la brigata e specialmente la moglie del vecchio signore. E il signor Winkle veniva su ogni tanto con certi suoi motti spiritosi conosciutissirni in città e niente affatto conosciuti in campagna; e siccome tutti ne facevano le più grasse risate e dicevano che non c'era niente di simile, il signor Winkle raggiava di onore e di gloria. E il parroco benevolmente guardava attorno con occhio sereno; perchè i visi allegri che circondavano la tavola rendevano anche lui allegro; e benchè l'allegria fosse piuttosto rumorosa, pure veniva dal cuore e non dalle labbra; e questa è, in fin dei conti, la vera e buona allegria.
Fra questi passatempi, la serata passò assai presto; e dopo una cenetta sostanziosa e frugale, la brigata formò un circolo davanti al fuoco, e il signor Pickwick pensò di non essersi mai sentito così felice in vita sua, e giammai così disposto a godersi il presente.
— Ecco quel che mi piace, — disse il vecchio Wardle, seduto accanto al seggiolone della mamma e con una mano di lei stretta nella sua, — ecco quel che mi piace; i momenti più felici della mia vita gli ho passati accanto a questo antico focolare; ed io vi sono così affezionato, che tutte le sere vi fo una bella fiammata fino a che scotti da non reggervi più. Vedete, questa povera vecchierella soleva mettersi a sedere qui, sopra quello sgabelletto, quando era bambina, non è vero, mamma?
La lagrima che scorre inconscia quando la memoria di altri tempi e di una lontana felicità viene ad un tratto evocata, bagnò la guancia rugosa della vecchia signora mentre ella crollava il capo e sorrideva malinconicamente.
Dovete scusarmi, signor Pickwick, — riprese a dire il signor Wardle dopo un breve
silenzio, — se vi parlo tanto di questo antico nido; perchè gli voglio tutto il mio bene, e non ne conosco altro; le case vecchie ed i campi mi hanno l'aria di vecchi amici e così pure la nostra chiesetta tutta ornata di edera, sulla quale, a proposito, il nostro ottimo amico qui presente fece una sua canzone quando la prima volta venne fra noi. Signor Snodgrass, mi pare che il vostro bicchiere sia vuoto?
— Grazie, no, è pienissimo, — rispose il signor Snodgrass, la cui poetica curiosità era stata vivamente eccitata. — Parlavate, mi pare, di una canzone sull'edera.
— Dovete domandare all'amico di faccia a voi, — rispose il signor Wardle accennando con un cenno del capo al parroco.
— Potrei esprimere il desiderio di udirvela ripetere? — disse il signor Snodgrass.
— Davvero, — rispose il prete, — è una cosuccia da nulla; e la sola mia scusa per averla perpetrata, è che allora ero molto giovane. Comunque sia, ve la dirò, se così volete.
Un mormorio di curiosità fu naturalmente la risposta; e il vecchio prete prese a recitare, con l'aiuto della sua signora che gli suggeriva qua e là, i versi in discorso.
— Io l'ho intitolata, — disse,
L'edera verde.
Oh, è pur quest'edera la cara pianta
Che le macerie cerca ed agguanta
Vuol mura dirute, pietre smussate,
Archi decrepiti, torri smozzate,
E della polvere soltanto è ghiotta Dai mille secoli insiem ridotta. Dovunque l'anima manca e la vita Verdeggia l'edera, fresca, nutrita. Pianta fantastica, pianta curiosa È pur quest'edera, verde ed annosa.
S'alza, s'inerpica, dà la scalata, Va fino al vertice, nè certo è alata. Che amplessi teneri la quercia antica Prende dall'edera, fedele amica! Umile striscia, nessun la vede,
Perfin dei tumuli s'attacca al piede, E là s'abbarbica, s'alza più forte, E par che giubili sopra la morte. Pianta fantastica, pianta curiosa È pur quest'edera, verde ed annosa.
Batte dei secoli l'ala funesta, I regni cadono, l'edera resta.
È sempre vegeta, è sempre verde, E il suo rigoglio non scema o perde. Nulla ne stuzzica l'acre appetito Come la polvere, cibo squisito. Ingorda pascesi a due palmenti Sopra il più solido dei monumenti. Pianta fantastica, pianta curiosa
È pur quest'edera, giovane e annosa.
Mentre il vecchio ecclesiastico ripeteva per la seconda volta questi versi per dar agio al signor Snodgrass di trascriverli nel suo libro di appunti, il signor Pickwick osservava i lineamenti di lui con grande interesse. Quando il vecchio ebbe finito di dettare e il signor Snodgrass s'ebbe rimesso in tasca il suo libro, il signor Pickwick disse:
— Scusatemi, signore, se mi permetto di fare una osservazione dopo una così breve conoscenza; ma una persona come voi deve avere assistito a molte scene ed incidenti degni di nota esercitando il nobile ufficio di ministro del Vangelo.
— Qualche volta, sì, — rispose il vecchio ecclesiastico; — ma così gli uomini come le cose non hanno mai avuto un carattere più che domestico e comune, essendo chiusa in così brevi limiti la mia sfera d'azione.
— Se non sbaglio, — venne su il signor Wardle, che pareva molto desideroso di far discorrere il suo amico per figurare davanti ai suoi nuovi visitatori, — se non sbaglio, avete preso degli appunti intorno a John Edmunds?
Il vecchio ecclesiastico crollò leggermente il capo in segno affermativo, e si disponeva a mutar discorso, quando il signor Pickwick disse:
— Perdonate, signore; potrei farmi lecito di domandare chi fosse cotesto Edmunds?
— Proprio quel che voleva domandare io, — disse con calore il signor Snodgrass.
— Oramai ci siete, — esclamò l'allegro signor Wardle, — e non c'è più verso di svignarvela. Dovete presto o tardi soddisfare la curiosità di questi signori; sicchè meglio è che cogliate l'opportunità e non ci pensiate altrimenti.
Il vecchio ecclesiastico sorrise dolcemente e si fece avanti con la seggiola; il resto della brigata fece lo stesso, specialmente il signor Tupman e la zia ragazza, i quali molto probabilmente erano duri d'orecchio. Fu aggiustato il corno acustico della vecchia signora, il signor Miller — che durante la recita dei versi avea preso sonno — fu destato da un opportuno pizzicotto, somministratogli di sotto alla tavola dal signore corpulento suo compagno di whist, e il vecchio ecclesiastico, senza altri preamboli, incominciò il seguente racconto, al quale ci siamo presi la libertà di apporre per titolo:
Il ritorno del forzato.
“Quando venni qui la prima volta ad assumere il mio ufficio, — disse il vecchio ecclesiastico, — or fanno appunto venticinque anni, la persona più nota fra i miei parrocchiani era un certo Edmunds che teneva in fitto una piccola fattoria in questi dintorni. Era un cert'uomo cupo, malvagio; di pessimo cuore; infingardo e dissoluto per abitudine; crudele e feroce per indole. Oltre a quei pochi tristi e vagabondi coi quali sprecava il suo tempo girellando pei campi o ubbriacandosi alla bettola, non aveva nè un amico nè una conoscenza; lo evitavano tutti; a nessuno veniva voglia di barattar due parole con un uomo che molti temevano ed ognuno detestava.
“Quest'uomo aveva una moglie ed un figlio, il quale, quand'io capitai qui, poteva avere i suoi dodici anni. Nessuno si potrà mai formare un'idea delle sofferenze acerbe di questa donna, della sua gentile sopportazione, dell'affetto sollecito con cui tirava su la sua povera creatura. Il cielo mi perdoni il sospetto poco caritatevole, ma io credo in coscienza che il marito avesse per molti anni tentato di farla morire di crepacuore. Ella sopportava tutto per amore del figliuolo e, per strana che la cosa possa parere, anche per amor del padre; perchè, con tutte le sue crudeli brutalità, ella un giorno lo aveva amato; e il ricordo di quel che egli era stato per lei le destava dentro, in mezzo alle sue torture, dei sentimenti di dolcezza e di perdono, dei quali soltanto le donne, fra tutte le creature di Dio, sono capaci. “Erano poverissimi; nè poteva essere altrimenti, stante le male abitudini del marito; ma il lavoro assiduo, infaticabile della povera donna, a tutte le ore, di giorno, di sera, di notte li teneva un po' al di sopra del bisogno. Questo lavoro però era tutt'altro che ben pagato. La gente che si trovava a passar di sera verso casa loro riferiva di avere udito dei gemiti, dei singhiozzi e delle busse; e più di una volta, quando era scorsa la mezzanotte, il ragazzo andava a picchiare alla porta di un vicino, dove era stato mandato per sottrarlo alla furia avvinazzata dello snaturatissimo padre.
“Durante tutto questo tempo, la povera donna frequentava assiduamente la nostra chiesetta. Le si vedevano spesso sulla persona i segni della violenza e dei maltrattamenti. Tutte le Domeniche mattina e sera, ella veniva ad occupare il medesimo posto col fanciullo accanto; e benchè miseramente vestiti, — molto più di tanti loro vicini che si trovavano in maggiori strettezze, — erano sempre lindi e puliti. Tutti avevano un saluto amichevole ed una buona parola per la povera signora Edmunds; e quando qualche volta, all'uscir della chiesa, ella si fermava a barattar due parole con una vicina nel piccolo viale di olmi che mena al portico, o s'indugiava un poco per guardare con orgoglio ed affetto di madre al suo ragazzo sano e florido, che correva avanti facendo il chiasso coi compagni, — il suo viso emaciato s'illuminava di un'espressione di profonda gratitudine, ed ella pareva, se non lieta e felice almeno contenta e tranquilla.
“Passarono cinque o sei anni; il ragazzo era diventato un giovanotto sano e robusto. Ma il tempo che avea rinforzato la complessione delicata del fanciullo e dato alle sue tenere membra il succo della virilità, avea reso la mamma curva e infermiccia. E il braccio sul quale ella avrebbe dovuto appoggiarsi non era più stretto al suo; la faccia che avrebbe dovuto rallegrarla non era più presente. Ella sedeva al solito suo posto, sulla vecchia seggiola, ma accanto a lei un altro posto era vuoto. La Bibbia era conservata con la stessa cura di una volta, coi suoi segni, con le sue pagine piegate; ma non c'era alcuno che gliela leggesse; e le lagrime cadevano grosse e frequenti sul libro e le facevano balenare gli occhi. I vicini non ismettevano dalla usata cortesia, ma la povera donna cercava evitarli voltando il capo in altra parte. Non c'era più da fermarsi oramai nel vecchio viale degli olmi, non c'era da rallegrarsi nell'aspettazione di altra felicità. La disgraziata donna studiava più che poteva come nascondersi la faccia e camminava a passo frettoloso.
“Ho io bisogno di dirvi che il giovane, il quale guardando ai primi giorni della sua fanciullezza e a tutti quelli venuti appresso, non poteva ricordare altro che una lunga serie di volontarie privazioni per amor suo sofferte dalla madre, e di maltrattamenti, e d'insulti, e di violenze, — ho io bisogno di dirvi che egli con nessun riguardo all'esulcerato cuore di lei e con una colpevole ed assoluta dimenticanza di quant'ella avea fatto e sopportato per lui, s'era imbrancato con uomini depravati e vagabondi, gettandosi follemente in un cammino rovinoso, in capo al quale non poteva incontrare che la morte per sè e la vergogna per lei? Ahimè, pover natura umana! Voi già tutto questo l'avete indovinato da un pezzo.
“I dolori e la sventura di questa donna infelice erano presso a toccare il colmo. Varie grassazioni erano state commesse nelle vicinanze; non si giungeva a scoprire i malfattori, onde questi imbaldanzivano. Un furto più ardito e più grave dei precedenti fu causa di una vigilanza più attiva e di una assiduità d'indagini sulla quale essi non avevano calcolato. Caddero i sospetti sul giovane Edmunds e sui tre suoi compagni. Fu arrestato, giudicato, condannato a morte. Mi suona ancora all'orecchio quel grido selvaggio di donna, che echeggiò sotto le volte del cortile quando la solenne sentenza fu pronunciata. Quel grido colpì di terrore l'anima del reo, che il giudizio, la condanna, lo stesso fantasma della morte, non aveano potuto scuotere. Le labbra, strette fino allora in atto sdegnoso, tremarono ed involontariamente si aprirono; la faccia gli si fece livida e un sudore freddo la coprì tutta; le membra erculee del colpevole si piegarono, ed egli cadde spossato sul suo banco. “Nei primi trasporti dell'angoscia, la desolata madre s'inginocchiò ai miei piedi e con tutta l'anima sua pregò l'Onnipotente, che l'aveva fino allora sostenuta in ogni più fiera avversità, di toglierla da questo mondo di miserie e di pena e di risparmiare invece la vita dell'amato figliuolo. Uno scoppio di pianto, una convulsione terribile come spero di non vederne mai più seguirono a questo primo sfogo. Mi accorsi che da quel momento le si era spezzato il cuore; ma non un lamento, non un mormorio le sfuggì più mai dalle labbra.
“Era un pietoso spettacolo veder quella donna tutti i santi giorni nel cortile della prigione, studiandosi con tutta l'ansia di una madre, con tutto l'affetto, con tutte le preghiere, di ammollire il cuore di sasso dello snaturato figliuolo. Invano. Egli rimaneva cupo, ostinato, sordo ad ogni buon sentimento. Nemmeno l'inaspettata commutazione della pena in quattordici anni di deportazione giunse ad abbattere per un sol momento l'audacia della sua condotta.
“Ma lo spirito di rassegnazione e di sopportazione, che aveva per tanto tempo sostenuta la povera donna, non potette combattere la debolezza fisica e l'infermità. Ella ammalò. Si trascinò ancora una volta dal letto alla prigione, ma le fallì la forza a mezza via, e cadde al suolo priva di sensi. “E allora sì, furono messe alla prova la freddezza ostentata e l'indifferenza del giovane; il colpo inaspettato lo trasse poco meno che fuori di senno. Passò un giorno e la madre non venne; ne passò un altro ed un altro, e la madre non si faceva vedere; e fra sole ventiquattr'ore egli sarebbe stato separato da lei — forse per sempre. Oh! come lo assalsero, mentre andava su e giù nell'angusta prigione, i ricordi dei primi giorni, quei ricordi da tanto tempo cancellati! che amaro sentimento lo prese della propria solitudine, della desolazione sovrastante, quando la verità gli fu nota! Sua madre, la sola parente ch'egli avesse mai conosciuta, era ammalata — forse morente — ad un miglio dal posto dov'egli stava; se fosse stato sciolto e libero, pochi minuti gli sarebbero bastati per correre al fianco di lei. Si precipitò contro il cancello, e afferrando le sbarre di ferro con l'energia della disperazione, lo scosse terribilmente; si slanciò furiosamente contro la spessa muraglia come per forzare un passaggio attraverso la pietra; ma il solido fabbricato si rideva dei suoi deboli sforzi, ed egli strinse insieme le mani e pianse come un fanciullo.
“Io stesso portai il perdono e la benedizione della madre al figliuolo prigioniero; e riportai al letto di lei la solenne promessa del pentimento e la fervente preghiera del perdono. Udii con profonda pietà i mille piccoli disegni che l'uomo pentito escogitava per conforto e sostegno di lei, quando un giorno sarebbe tornato; ma io sapevo bene che molto tempo prima ch'egli potesse raggiungere il suo luogo di destinazione, sua madre non sarebbe stata più di questo mondo.
“Egli partì di notte. Poche settimane dopo, l'anima della povera donna prese il volo, come ardentemente spero e solennemente credo, ad un luogo di felicità eterna e di riposo. Compii il servizio funebre sulla spoglia mortale di lei. Ella riposa nel nostro piccolo cimitero. Nessuna pietra ne indica la sepoltura. I suoi dolori furono noti agli uomini, le sue virtù a Dio.
“S'era concertato prima della partenza del condannato ch'egli avrebbe scritto alla madre subito che ne avesse ottenuto il permesso, e che la lettera l'avrebbe indirizzata a me. Il padre s'era recisamente negato a vedere il figlio fin dal primo momento dell'arresto; ed era per lui affatto indifferente se quegli fosse vivo o morto. Molti anni passarono senza che di lui si avessero notizie; e quando fu trascorso più che a mezzo il tempo della pena ed io non aveva ricevuto lettere, ne conchiusi ch'egli era morto, come in effetto ne nutrivo quasi la speranza.
“Il fatto è che Edmunds, arrivato a destinazione, era stato mandato assai verso l'interno del paese; alla quale circostanza è forse da attribuire il fatto che delle molte lettere spedite non una sola mi fosse recapitata. Rimase nello stesso posto per tutti i quattordici anni. Spirato che fu il termine, memore della sua prima risoluzione e del giuramento fatto alla madre, egli riprese fra innumerevoli difficoltà la via dell'Inghilterra, e se ne tornò a piedi al luogo natio.
“In una bella sera di Domenica del mese di agosto, John Edmunds pose il piede nel villaggio che diciassette anni fa avea lasciato con vergogna e disgrazia. Per giungere più presto dovea traversare il cimitero. Gli si gonfiò il cuore quando oltrepassò il cancello. Gli olmi giganteschi, attraverso i cui rami il sole cadente mandava qua e là sul sentiero ombroso un raggio di viva luce, gli destarono dentro le memorie dei suoi primi giorni. Si rivide com'era allora, sospeso alla mano della mamma, tranquillamente incamminandosi verso la chiesa. Ricordavasi com'egli alzava il capo per guardare nella pallida faccia di lei; e come spesso gli occhi della povera donna si empivano di lagrime guardando lui — lagrime che gli bruciavano la piccola fronte mentr'ella si chinava a baciarlo, e facevan piangere anche lui, benchè poco allora egli sapesse quanto amare fossero quelle lagrime. Pensava quante volte avea corso lungo quel viale facendo il chiasso coi suoi compagni, volgendo il capo di tanto in tanto, per avere un sorriso della mamma o per udire la gentile voce di lei. E parve allora che un velo gli fosse strappato dalla mente, e dolci parole inascoltate, e ammonizioni spregiate, e promesse rotte, gli si affollarono nell'anima fino a che gli venne meno il cuore ed egli non potette più sopportare tanta angoscia.
“Entrò nella chiesa. Il servizio di vespro era terminato e gli assistenti erano andati via, ma la chiesa era sempre aperta. I suoi passi destarono cupamente gli echi delle volte, ed egli ebbe quasi paura di trovarsi solo, tanta quiete lo circondava. Si guardò intorno. Nulla era mutato. La chiesa pareva divenuta più piccola; ma erano sempre al loro posto i vecchi monumenti ai quali tante volte egli aveva guardato con terrore infantile: c'era il piccolo pulpito col suo cuscino sbiadito; c'era la tavola della comunione davanti alla quale così spesso avea ripetuto quei comandamenti che il fanciullo venerava, e l'uomo avea poi dimenticati. Si accostò al posto che soleva occupare una volta; gli parve freddo e desolato. Il cuscino era stato rimosso e la Bibbia non c'era più. Forse sua madre occupava ora un posto più umile, o anche essendo inferma non poteva più venir da sola alla chiesa. Non osava formulare in un pensiero il timore che gli stava nell'anima. Un senso di freddo lo prese, nel momento di tornar fuori e lo fece tremare a verga a verga.
“Un vecchio varcava appunto la soglia mentre egli usciva. Edmunds trasalì e diè indietro, perchè molto bene lo riconosceva; molte volte era stato a vedergli scavar le fosse nel cimitero. Che gli avrebbe detto quell'uomo, a lui tornato di così lontano? Il vecchio alzò gli occhi in viso al forestiero, gli diè la buonasera e passò oltre. Lo avea dimenticato.
“Prese a discendere la collina ed entrò nel villaggio. L'aria era calda, e la gente se ne stava a sedere sugli usci o a passeggiar nei giardini, godendosi la serenità della sera e il riposo dopo il lavoro. Molti sguardi si volgevano dalla sua parte, e molte occhiate dubbiose ei dette qua e là per vedere se mai qualcuno lo riconoscesse e lo evitasse. C'erano dei visi nuovi in quasi tutte le case; in alcune gli parve riconoscere la fisonomia di qualche suo vecchio compagno di scuola, — fanciullo quando lo avea lasciato, — circondato da uno sciame di allegri bambini; vide altrove, seduto in un comodo seggiolone alla porta della casetta, un vecchio debole ed infermiccio, ch'ei già ricordava robusto ed infaticabile lavoratore. Ma tutti aveano dimenticato lui, ed egli passò oltre sconosciuto. “L'ultima luce del sole morente cadeva sulla terra colorando in rosso le gialle spighe ed allungando le ombre degli alberi, quando egli si fermò davanti all'antica casa, — alla casa dei suoi giorni infantili, verso la quale il suo cuore aveva aspirato con ineffabile intensità di desiderio durante anni lunghissimi di dolori e di prigionia. La palizzata era bassa, — benchè ei si ricordasse assai bene del tempo in cui gli era sembrata un muro altissimo. Di sopra a quella diè un'occhiata nel vecchio giardino. C'erano assai più fiori di una volta e più allegri ma gli alberi erano sempre gli stessi; ed anzi c'era proprio l'albero sotto il quale tante volte ei s'era disteso, stanco di fare il chiasso al sole, lasciandosi prendere a poco a poco dal sonno gentile e felice della fanciullezza. Si udivano squillar delle voci dentro la casa. Prestò ascolto, ma gli suonarono nuove all'orecchio; non le conosceva. Erano anche voci allegre; ed ei sapeva molto bene che quella povera vecchierella di mamma non poteva essere allegra, quando egli era via. La porta si aprì, ed una frotta di ragazzi ne sbucò, sgambettando e gridando. Il padre, con un bambino in collo, comparve sulla soglia, e tutti gli si attaccarono ai panni, e batterono palma, a palma, e presero a tirarlo perchè si unisse ai loro passi. Il condannato pensò alle tante volte che, in quel medesimo posto, egli era fuggito alla vista del padre suo. Si ricordò delle tante volte che avea nascosto sotto le lenzuola il capo tremante; e udito le dure parole, e gli aspri colpi e i singhiozzi della mamma; e benchè, nell'allontanarsi da quel luogo, egli singhiozzasse forte e si sentisse schiantare il cuore, pure aveva il pugno stretto e i denti serrati da una rabbia feroce e mortale.
“E questo era il ritorno, al quale per tanti anni di fila aveva sospirato, e pel quale tanti travagli avea sopportato! Non un viso che gli desse il benvenuto, non uno sguardo di perdono, non un tetto che lo ricoverasse, non una mano che si stendesse verso la sua, — e tutto questo nel suo vecchio villaggio. E che era più, paragonata a questa, la sua solitudine nei boschi selvaggi, dove non s'incontrava mai anima vivente?
“Sentì allora che nella terra lontana dell'infamia e della schiavitù, egli aveva pensato al suo luogo natio come lo aveva lasciato, non già come un giorno l'avrebbe ritrovato. La triste realtà gli diè una stretta al cuore e l'anima gli cadde. Non osava muovere domande e tanto meno presentarsi alla sola persona che probabilmente lo avrebbe accolto con pietà ed affetto. Andò avanti a lenti passi; e cansando, come un reo, la via maestra, si gettò in un prato che ben ricordava. Cadde a sedere sull'erba e si nascose la faccia fra le mani.
“Non s'era accorto che un uomo era disteso sul terreno poco discosto, e che s'era volto per dare un'occhiata al nuovo venuto. Il lieve rumore gli fece alzare il capo.
“L'uomo si rizzò a sedere. Era curvo della persona, ed avea la faccia gialla e rugosa Si vedeva dal vestito che apparteneva all'ospizio; pareva molto vecchio, ma assai meno per numero di anni che per dissipazione ed infermità. Sbarrava gli occhi in viso al forestiero, e benchè sulle prime gli avesse grevi e senza luce, ad un tratto s'accesero stranamente con una espressione di maraviglia o di paura, fino a che parvero volessero schizzar fuori dall'orbite. Edmunds a poco a poco si sollevò sulle ginocchia e fissò sempre più intensamente la faccia del vecchio. Si guardarono l'un l'altro in silenzio.
“Il vecchio era pallido come uno spettro. Tremava tutto e cadde ginocchioni davanti a lui. Edmunds balzò ritto in piedi. Il vecchio diè uno o due passi indietro. Edmunds si avanzò.
“— Parlate, — disse con voce cupa e rotta, — parlate, fatemi udire la vostra voce. “— Non ti accostare! — gridò con una bestemmia terribile il vecchio.
“Edmunds si avanzò ancora.
“Non ti accostare!— ripetette il vecchio.
“Furente dal terrore, alzò la mazza e ne diè un colpo alla cieca sulla faccia di Edmunds.
“— Padre... demonio!... — masticò questi a denti stretti. E selvaggiamente gli fu addosso, e lo agguantò per la strozza. Ma quel vecchio era suo padre; e il braccio gli ricadde senza forza lungo la persona. “Il vecchio mise uno strido acuto che suonò pei campi deserti come il lamento di uno spirito maligno. Si fece livido; un'onda di sangue gli sboccò dal naso e dalla bocca, e tinse cupamente di rosso l'erba del prato, ed egli stesso barcollò e cadde. Gli s'era rotto un vaso sanguigno; ed era già cadavere prima che il figliuolo potesse sollevarlo da quella pozza funesta.
“In quell'angolo del cimitero” — riprese a dire dopo qualche momento di silenzio il vecchio ecclesiastico — “in quell'angolo del cimitero, del quale ho testè parlato, è sepolto un uomo che fu al mio servizio per tre anni dopo questo evento; e che sinceramente era contrito, penitente, umile quanto mai uomo sia stato. Nessuno fuori di me sapeva chi egli fosse e donde venisse. Ed egli era
John Edmunds.”
IL CIRCOLO DI PICKWICK
I
Pickwickiani
Il primo raggio di luce che viene a rompere ed a fugare le tenebre nelle quali pareva involta l'apparizione dell'immortale Pickwick sull'orizzonte del mondo scientifico, la prima menzione officiale di quest'uomo prodigioso trovasi negli statuti inseriti fra i processi verbali del Circolo. L'editore dell'opera presente è lieto di poterli mettere sotto gli occhi dei suoi lettori, come una prova della scrupolosa attenzione, dello studio diuturno, dell'acume, che hanno sempre accompagnato le sue ricerche nella farraggine dei documenti affidati alle sue cure.
“Seduta del 12 maggio 1827. Presieduta da Giuseppe Smiggers, V.P.P.M.C.P. [Vice Presidente Perpetuo Membro del Circolo Pickwick], è stato deliberato quanto segue all'unanimità. “L'associazione ha udito leggere con un sentimento di schietta soddisfazione e con approvazione assoluta le carte comunicate da Samuele Pickwick, P.P.M.C.P. [Presidente Perpetuo
Membro del Circolo Pickwick] e intitolate “Ricerche sulle sorgenti degli stagni di Hampstead, seguite da alcune osservazioni sulla teorica dei pesciolini d'acqua dolce.”
“L'associazione esprime le sue più calde grazie al prelodato Samuele Pickwick, P.P.M.C.P. “L'associazione, non disconoscendo menonamente i vantaggi che possono derivare alla scienza dalle ricerche infaticabili di Samuele Pickwick nei villaggi di Hornsey, Highgate, Brixton e Camberwell, non può fare a meno di considerare i risultamenti inapprezzabili che sarebbe ragionevole augurarsi in pro della diffusione delle cognizioni utili e del progresso dell'istruzione, se i lavori di quest'uomo insigne avessero un campo più largo, se cioè i suoi viaggi fossero più estesi e del pari fosse più estesa la cerchia delle sue osservazioni.
“A questo scopo, l'Associazione ha preso in seria considerazione una proposta del prefato Samuele Pickwick, P.P.M.C.P. e di altri tre Pickwickiani qui appresso citati, tendente a costituire una nuova diramazione del Circolo, sotto il titolo di Società corrispondente del Circolo Pickwick.
“La detta proposta essendo stata approvata e ratificata dall'Associazione,
“La Società corrispondente del Circolo Pickwick rimane col presente atto costituita:
Samuele Pickwick, P.P.M.C.P. Augusto Snodgrass, M.C.P. Tracy Tupman, M.C.P., e Nataniele Winkle, M.C.P., sono egualmente col presente atto scelti e nominati membri della detta Società corrispondente, e incaricati di indirizzare di tratto in tratto all'Associazione del Circolo Pickwick, a Londra, dei particolari autentici sui loro viaggi e le loro investigazioni; le loro osservazioni sui caratteri e sui costumi; tutte le loro avventure in somma, non che le narrazioni e altri opuscoli cui per avventura dessero motivo le scene locali o i ricordi che vi hanno relazione.
“L'Associazione riconosce ben volentieri il principio che i membri della Società corrispondente debbano sostenere del proprio le spese dei loro viaggi; e non vede nessun inconveniente a che i membri della detta Società proseguano le loro ricerche per tutto il tempo che piacerà loro, sempre però alle medesime condizioni.
“I membri della prefata Società corrispondente siano, e sono con l'atto presente informati, che la loro proposta di pagare la francatura delle loro lettere, e il prezzo di trasporto dei loro pacchi, è stata da questa Associazione presa in seria disamina. Questa Associazione considera tale proposta degna degli animi elevati dai quali emanò, e non vi fa di conseguenza opposizione di sorta.”
Un casuale osservatore — aggiunge qui il segretario, alle cui note noi dobbiamo la relazione che segue — un casuale osservatore non avrebbe forse nulla rilevato di straordinario in quel cranio lucido, e in quelle due lenti di occhiali puntate intentamente verso di lui (del segretario), durante la lettura delle soprascritte deliberazioni. Per quelli invece i quali sapevano che il gigantesco cervello di Pickwick lavorava dietro quella fronte, e che gli occhi vivi di Pickwick brillavano dietro quelle lenti, lo spettacolo era davvero interessante. Ecco appunto l'uomo che avea spinto le sue indagini fino alle sorgenti degli stagni di Hampstead, ed agitato il mondo scientifico con la sua teorica dei pesciolini, calmo e impassibile come le profonde acque di quelli in un giorno di nebbia, o come un solitario individuo di questi ultimi nel più profondo di una brocca di terra. E quanto più interessante divenne lo spettacolo, quando, improvvisamente animatosi, al grido unanime di Pickwick emesso dai suoi seguaci quell'uomo illustre lentamente montò sulla seggiola dove prima era seduto e volse la parola al Circolo da lui stesso fondato. Che studio per un artista presentava quella scena così mossa! L'eloquente Pickwick con una mano nascosta sotto le falde del soprabito, moveva l'altra in aria per accompagnare e colorire la sua declamazione; il posto elevato ch'egli occupava metteva in bella mostra quei calzoni e quelle uose, che se avessero coperto le membra di un altro uomo qualunque, sarebbero forse passate senza osservazione, ma che, quando Pickwick le informava — se così è lecito dire — inspiravano un involontario sentimento di rispetto e di venerazione; lo circondavano gli uomini che si erano spontaneamente offerti a dividere i pericoli dei suoi viaggi, e che erano destinati ad aver parte nella gloria delle sue scoperte. Alla sua destra sedeva il sig. Tracy Tupman; il troppo sensibile Tupman, il quale al giudizio ed all'esperienza dell'età matura aggiungeva l'entusiasmo e l'ardore di un fanciullo, nella più interessante e perdonabile delle debolezze umane, — l'amore. Il tempo e la naturale nutrizione aveano un po' allargato quelle forme altra volta romantiche; il panciotto di seta nera si era via via andato sviluppando; pollice a pollice la catena d'oro sospesavi sotto s'era sottratta al raggio visuale di Tupman; e gradatamente il mento rotondeggiante era andato sporgendo sulla bianca cravatta — ma l'anima di Tupman non era per nulla mutata, e l'ammirazione pel bel sesso ne costituiva sempre la qualità dominante. A sinistra del suo illustre condottiero sedeva il poetico Snodgrass, e più appresso l'ameno Winkle, il cacciatore; quegli poeticamente avvolto in un misterioso soprabito azzurro con un bavero di pelle canina, e questi con un vestito nuovo da caccia, fazzoletto scozzese al collo, e calzoni stretti alle coscie.
Il discorso del sig. Pickwick e la discussione che ne seguì sono registrati nei processi verbali del Circolo. L'uno e l'altra presentano una notevole affinità alle discussioni di altre celebri assemblee; e poichè non è senza interesse di confrontare gli atti e le parole dei grandi uomini, vogliamo trascrivere qui il processo verbale della seduta. “Il signor Pickwick osservò (scrive il segretario), che al cuore di ogni uomo è cara la fama. La fama poetica era cara al suo amico Snodgrass; del pari la fama di conquistatore era cara all'amico Tupman; e il desiderio di venire in fama negli esercizii del campo, dell'aria e dell'acqua, vinceva ogni altro affetto nel seno dell'amico Winkle. Egli (il signor Pickwick) non volea mica negare di essere come ogni altro governato da passioni umane e da umani sentimenti (Applausi) — forse anche da umane debolezze (No, no!): ma questo egli poteva affermare che se mai il fuoco dell'amor proprio e dell'orgoglio personale gli si accendeva dentro, subito lo domava la brama di spender se stesso e l'opera sua in pro del genere umano. La lode dell'umanità era la sua idea fissa; la filantropia era il suo ufficio di Assicurazione (Scoppio d'applausi). Egli era stato orgoglioso — sì, era stato orgoglioso, lo riconosceva francamente, e se ne giovassero pure di questa confessione i suoi nemici — egli era stato orgoglioso quando avea presentato al mondo la sua gran Teorica dei pesciolini: poteva esser famosa o poteva non esserlo (Una voce: Lo è. Vivi applausi). Ebbene, egli consentiva ad accogliere l'affermazione dell'onorevole membro la cui voce era appunto pervenuta al suo orecchio; ma se la celebrità di quel trattato si dovesse anche estendere ai più remoti confini del mondo conosciuto, l'orgoglio col quale egli avrebbe sentito la sua qualità di autore, sarebbe stato men che nulla a confronto dell'orgoglio da cui si sentiva compreso quando si guardava intorno in questo momento, il più bel momento della sua vita. (Applausi). Egli non era che una modesta personalità (No, no!) Non poteva però disconoscere di essere stato designato dall'onorevole assemblea a compiere un mandato molto onorevole ma non meno pericoloso. Le condizioni presenti del viaggiare non erano affatto rassicuranti, e un certo disordine si manifestava qua e là nelle facoltà mentali dei vetturini. Volgessero intorno uno sguardo, contemplassero le scene che tutti i giorni si ripetevano. Diligenze ribaltate, cavalli sfrenati, battelli colati a fondo, scoppio di caldaie. (Applausi — Una voce: No) No? (Applausi) Che l'onorevole membro che ha detto No così ad alta voce si faccia avanti, ed osi ripetere la sua smentita. (Applausi) chi è che ha gridato di no? (Applausi entusiastici) Era forse qualche piccola vanità disillusa — ei non diceva già qualche fabbricante di berretti (Fragorosi applausi), il quale, geloso delle lodi di cui s'era largheggiato — forse immeritamente — verso di lui Pickwick, e delle sue ricerche, e rodendosi nella impotenza di una audace rivalità si appigliava ora a questo modo basso e calunnioso di....
“Il signor “Blotton” (di Aldgate) domanda la parola per un richiamo all'ordine. Avea inteso forse l'onorevole preopinante fare allusione a lui? (Grida di all'ordine, sì, no, basta, continui, applausi).
“Il signor “Pickwick” non si sarebbe mica fatto imporre dai clamori. Appunto egli aveva voluto alludere all'onorevole preopinante (Grande agitazione).
“Il signor “Blotton” aggiungeva adunque ch'egli respingeva sdegnosamente le false ed abbiette accuse dell'onorevole avversario (Grandi applausi). L'onorevole preopinante non era che un ciarlatano. (Grande confusione, e grida di all'ordine).
“Il signor “Snodgrass” per un appello all'ordine. Egli voleva soltanto sapere se questa disgraziata contesa tra due membri della onorevole assemblea dovesse o no continuare (Udite, udite!).
“Il “Presidente” era sicuro che l'onorevole Pickwikiano avrebbe ritirata l'espressione della quale appunto s'era servito.
“Il signor “Blotton”, con tutto il rispetto possibile per la presidenza, era sicurissimo del contrario.
“Il “Presidente” sentiva esser suo dovere imprescindibile di domandare all'onorevole preopinante se egli aveva adoperato l'espressione sfuggitagli in un senso comune o altrimenti.
“Il signor “Blotton” non esitava punto a rispondere di no — egli avea adoperato la parola nel suo senso Pickwickiano (Udite, udite). Egli sentiva il debito di riconoscere che, personalmente, nutriva i sentimenti della più alta stima per l'onorevole Presidente perpetuo; egli non lo avea considerato ciarlatano che da un punto di vista tutto Pickwickiano (Udite, udite).
“Il signor “Pickwick” si dichiarava pienamente soddisfatto per la franca e nobile dichiarazione del suo onorevole amico. Per conto suo egli pregava fosse bene inteso che le sue proprie espressioni non dovessero essere interpretate che in un senso Pickwickiano (Applausi).”
Qui il verbale si chiude, come naturalmente si dovette chiudere anche la discussione, dopo essere arrivata ad un punto così altamente soddisfacente ed intelligibile. Dei fatti che il lettore troverà ricordati nel capitolo seguente noi non abbiamo nessun documento ufficiale, ma essi sono stati con ogni studio raccolti e collezionati da lettere ed altri manoscritti, così indubbiamente genuini, da giustificare la loro narrazione in una forma seguita e connessa.
Il.
Il primo giorno di viaggio e le avventure della prima sera con le relative conseguenze.
Quel servo fedele di ogni lavoro, che è il sole, s'era appunto levato ed avea incominciato a spandere la sua luce sul tredicesimo giorno di maggio milleottocentoventisette, quando il signor Samuele Pickwick sorse come un altro sole dai suoi riposi; e spalancata che ebbe la finestra di camera sua, gettò uno sguardo collettivo sul mondo sottoposto. La via Goswell gli stava ai piedi, la via Goswell si stendeva alla sua destra, la via Goswell si sviluppava verso sinistra per quanto l'occhio portava, e di faccia a lui si apriva appunto e si dilungava la via Goswell. “Tali sono” pensò il signor Pickwick “gli angusti criteri di quei filosofi i quali tenendosi paghi all'esame delle cose direttamente tangibili, non guardano alle verità che vi si nascondono. Allo stesso modo, io potrei esser soddisfatto di contemplare per sempre questa via, senza fare alcuno sforzo per penetrare nelle misteriose regioni che da ogni lato la circondano.” E così, dato sfogo a questa bella riflessione, il signor Pickwick procedette alla duplice operazione di metter la propria persona nei suoi vestiti e i suoi vestiti nella valigia. Ben di rado i grandi uomini sono molto scrupolosi nella cura della persona; sicchè il radersi, il vestirsi e il sorbire del caffè fu fatto in men che non si dica; e di lì ad un'ora, il signor Pickwick, con la valigia in una mano, il cannocchiale nella tasca del soprabito, il libro degli appunti nel taschino della sottoveste a ricevere tutte quelle scoperte che fossero degne di particolare menzione, era arrivato alla piazza delle vetture di San Martino il Grande.
— Ehi, cocchiere! — chiamò il signor Pickwick.
— Eccoci qua, signore, — rispose uno strano esemplare della razza umana, in giacca e grembiule di tela, e con al collo una piastra di rame numerata, che lo facea parere classificato in una collezione di rarità. Era il fattorino di piazza. — Eccoci qua, signore. Ehi, a te, prima carrozzella!
Il primo cocchiere della riga fu subito scovato dalla bettola dove se ne stava fumando la sua prima pipa, e il signor Pickwick e la relativa valigia furono caricati nel veicolo.
— Golden Cross, — disse il signor Pickwick.
— Corsa d'uno scellino, Tommy, — gridò il cocchiere di malumore per informazione speciale dell'amico fattorino, mentre la vettura partiva.
— Che età può avere cotesto cavallo? — domandò il signor Pickwick, strofinandosi il naso con lo scellino che teneva pronto per pagar la corsa.
— Quarantadue anni, — rispose il fiaccheraio, sbirciando di traverso il suo passeggiero.
— Come! — esclamò il signor Pickwick correndo subito con la mano al suo libro degli appunti. Il cocchiere ripetette la sua affermazione. Il signor Pickwick lo guardò fiso, ma la faccia di quell'uomo rimase impassibile, sicchè la singolare informazione fu subito registrata.
— E quanto tempo alla volta lo tenete attaccato? — domandò il signor Pickwick, cercando sempre di accrescere il tesoro delle sue cognizioni.
— Tre o quattro settimane, — rispose il cocchiere,
— Settimane! — esclamò stupefatto il signor Pickwick; e da capo tirò fuori il libro degli appunti.
— Quando sta a casa sua a Pentonville, alla stalla, — disse il cocchiere con la massima calma, — ma a casa lo si porta di rado, a motivo della debolezza.
— Della debolezza! — ripetette il signor Pickwick sempre più perplesso.
— Non c'è caso! quando lo si stacca, cade di sicuro. Ma quando è sotto, lo tengo su stretto e con la briglia corta, di cadere non se ne parla; poi di ruote come queste non se ne trovano, che vanno sole, appena le si toccano; sicchè, capite, quando il cavallo si muove gli corrono dietro, e la bestia ha da andare avanti per forza.
Il signor Pickwick registrò parola per parola questa comunicazione, con l'idea di darne parte al Circolo come un singolare esempio della vitalità dei cavalli in circostanze tutt'altro che favorevoli. Aveva appena terminato di scrivere quando arrivò a Golden Cross. Il cocchiere balzò dalla cassetta, mentre il signor Pickwick scendeva dalla vettura. I signori Tupman, Snodgrass e Winkle, i quali erano lì ad aspettare l'arrivo del loro illustre condottiero, gli si strinsero intorno per fargli festa.
— Ecco per voi, — disse il signor Pickwick porgendo lo scellino al cocchiere.
Ma quale fu lo stupore dell'insigne uomo, quando quell'essere indefinibile, gettando a terra la moneta, dichiarò in termini figurati ch'egli voleva soltanto avere il piacere di vedersela un po' con lui, e di scontare a pugni il suo scellino.
— Siete matto, — disse il signor Snodgrass — O ubbriaco, — disse il signor Winkle.
— O l'uno e l'altro, — disse il signor Tupman.
— Andiamo via, fatevi avanti, — gridava il cocchiere allargando le gambe e tirando in aria vari pugni preparatori, — fatevi avanti tutti e quattro.
— Bravo, bravo! — gridarono una mezza dozzina di fiaccherai. — Piglia, Sam, piglia! — e fecero cerchio intorno alla brigata.
— Che c'è, Sam? — domandò un signore vestito di nero.
— Che c'è, che c'è! e perchè ha voluto il mio numero, eh?
— Io non v'ho domandato il vostro numero, — disse l'attonito signor Pickwick.
— E perchè ve lo siete pigliato allora?
— Ma io non l'ho pigliato niente affatto!
— Potreste mai credere, — proseguì il fiaccheraio, appellandosi alla folla, — potreste mai credere che uno di cotesti spioni se ne vada attorno nella vettura di un galantuomo, e non solo se ne pigli e se ne scriva il numero, ma scriva poi per giunta tutte le parole che gli escono di bocca? — (Un lampo rischiarò la mente del signor Pickwick; si trattava del libro degli appunti).
— Come! questo ha fatto? — domandò un altro cocchiere.
— Altro se l'ha fatto! e poi dopo avermi provocato perchè gli dessi addosso, fa trovare quei tre testimoni per provarlo. Ma gliela faccio vedere io, avesse anche a costarmi sei mesi di gattabuia. Orsù, a noi! — e il vetturino, fuori di sè, con uno sprezzo eroico pei suoi effetti privati, scaraventò il cappello a terra, fece saltare in aria gli occhiali del signor Pickwick, e seguitò l'attacco con un colpo sul naso del signor Pickwick, e poi con un altro colpo in petto al signor Pickwick, e con un terzo nell'occhio del signor Snodgrass, e con un quarto, per amor di varietà, nel panciotto del signor Tupman, e poi saltò in mezzo alla strada, e poi di nuovo con un balzo tornò sul marciapiedi, e finalmente s'afferrò al signor Winkle in maniera da fargli uscir lo spirito dai polmoni — e tutto questo in una mezza dozzina di minuti secondi.
— Non c'è nemmeno una guardia? — disse il signor Snodgrass.
— Sotto la pompa, sotto la pompa, — suggerì un pasticciere, — metteteli sotto la pompa. — Me la pagherete cara, — gridò quasi soffocato il signor Pickwick.
— Spie, spie! — gridò la folla.
— Avanti, fatevi avanti! — sbraitava il cocchiere, che non avea smesso intanto di tirar pugni in aria.
La folla aveva fino a questo punto assistito passivamente alla scena; ma non appena fu sparsa la voce che i Pickwickiani erano delle spie, s'incominciò a ventilare con molto calore l'opportunità di tradurre in atto la proposta del violento pasticciere; e non si può dire a quali atti di personale aggressione si sarebbe trasceso, se alla disputa non avesse inaspettatamente messo termine l'intromissione di un nuovo venuto.
— Che diamine succede qui? — domandò un giovane lungo e secco, vestito di verde, sbucando all'improvviso dall'ufficio delle vetture.
— Spie, spie! — urlò di nuovo la folla.
— Non è vero! — gridò il signor Pickwick in un tono che avrebbe subito convinto qualunque spassionato ascoltatore.
— Non è vero, eh? proprio non è vero? — domandò il giovane, parlando al signor Pickwick ed aprendosi una via fra la folla col processo infallibile degli spintoni e delle gomitate. Quell'uomo insigne in brevi ed affrettate parole espose lo stato reale delle cose.
— Venite via, dunque, — disse quegli dal vestito verde, traendosi dietro a forza il signor Pickwick, e senza smettere di parlare. — Qui, a voi, numero 924, questa è la corsa, prendete, levatevi dai piedi. Persona rispettabile. Lo conosco io. Non facciamo sciocchezze. Di qua, signore, di qua. Dove sono i vostri amici? Vedo, vedo, non è che un equivoco — poco male — cose che accadono a tutti — nelle famiglie più regolate — a tutto c'è rimedio meno che alla morte — bisogna farsi animo. Citatelo, per bacco. Pigli questa e se la fumi, se gli va. Canaglia.
E spifferando una coroncina interminabile di simili sentenze a singhiozzi, il giovane introdusse il signor Pickwick e i compagni suoi nel salotto dei viaggiatori.
— Cameriere! — gridò poi, dando una fiera strappata al cordone del campanello, — dei bicchieri per tutti; ponce caldo, forte, bene inzuccherato, e in abbondanza. Avete male all'occhio, signore? Cameriere! una bistecca cruda per l'occhio del signore. Eccellenti le bistecche per le contusioni. Anche il freddo del fanale è ottimo, ma un po' incomodo. Strana posizione quella di stare nella pubblica via per mezz'ora con un occhio attaccato alla colonna di un lampione. Ah, ah! davvero non ci si può pensare senza ridere. Ah, ah!
E il giovane, senza ripigliar fiato, ingollò d'un tratto un mezzo litro di ponce scottante, e si sdraiò in una seggiola con tanto abbandono e tanta disinvoltura come se niente di strano fosse accaduto.
Mentre i suoi compagni andavano esprimendo la loro gratitudine alla nuova conoscenza, il signor Pickwick ebbe agio di esaminarne il costume e l'aspetto.
Non era che di mezzana statura, ma la magrezza della persona e la lunghezza delle gambe lo facevano parere molto più alto di quel che in effetto non era. L'abito verde era stato già una giubba elegante al tempo dei vestiti a coda di rondine, ma disgraziatamente aveva dovuto servire ad un uomo molto più piccolo del nostro sconosciuto, visto che le maniche maculate e sbiadite gli giungevano appena ai polsi. Era gelosamente abbottonato fin sotto al mento, a rischio di creparsi da un momento all'altro nella schiena. Un vecchio fazzoletto, senza alcun indizio di solino, gli circondava il collo. Un par di calzoni tra il nero e il rossastro mostravano qua e là di quelle magagne che rivelano il lungo e fedele servizio, ed erano per via delle staffe bene stirati sopra un paio di scarpe rattoppate, come per nascondere le calze non affatto pulite, le quali nondimeno erano visibilissime. I capelli lunghi e neri sfuggivano in ciocche ribelli di sotto ad un cappellaccio posto di sghembo. Tra l'orlo dei guanti e le rivolte delle maniche si aveva di tratto in tratto una rapida visione di polsi nudi. Aveva il viso magro e sparuto; ma un'aria ineffabile di allegra impudenza e di perfetta sicurezza emanava da tutto lui.
Tale era l'uomo, al quale guardava il signor Pickwick di dietro gli occhiali (che per buona sorte avea potuto ricuperare), e al quale volle rendere in termini scelti, quando già gli amici suoi s'erano profusi in espressioni di gratitudine, le sue più calde grazie pel soccorso recente che aveva loro prestato.
— Niente, niente, — disse il giovane tagliando corto. — Basta così. Canaglia quel cocchiere. Che pugni, perbacco! Fossi stato nei panni del vostro amico verde! l'avrei stritolato; altro se l'avrei! ed anche il pasticciere. Una sola schiacciata, un boccone.
Questo discorso molto coerente fu interrotto dalla comparsa del vetturino di Rochester, il quale veniva ad annunziare che Il Commodoro era pronto a partire.
— Commodoro! — esclamò il giovane sconosciuto balzando in piedi. — La carrozza mia. Posto già preso. Imperiale. Pensino lor signori a pagare il ponce. Dovrei barattare un pezzo da cinque. Non c'è prudenza che basti. Tanto d'occhi. Monete false a staia. Non mi ci pigliano, non è affare che va, eh?
E crollò la testa con aria di persona accorta.
Ora il caso volle che il signor Pickwick e i tre suoi compagni avessero appunto pensato a Rochester come prima fermata; sicchè avendo accennata questa avventurata coincidenza al loro novello amico, si accordarono di occupare il posto dietro la diligenza, dove si poteva star tutti insieme.
— A noi, su! — disse il giovane sconosciuto, aiutando il signor Pickwick a montar sull'imperiale con tanta fretta e violenza, da danneggiare materialmente la gravità di quell'uomo insigne.
C'è bagaglio? — domandò il vetturino.
— Chi, io? Nient'altro che un fagotto. Tutto l'altro bagaglio spedito per mare. Cassoni legati e inchiodati, alti come case. Pesano un buscherio, — rispose il giovane, cercando di cacciarsi in tasca un suo fagotto che presentava molti indizi sospetti di non contenere che una camicia e un fazzoletto.
— La testa, la testa, badate alla testa! — gridò il loquace viaggiatore, mentre la diligenza passava sotto l'arco del cortile. — Un orrore; non si celia mica. L'altro giorno per la più corta. Cinque bambini e una madre. Un pezzo di donna, capite. Mangiando biscottini, non badò all'arco. Crak! Che è, che non è? I bambini si guardano intorno. Spiccato il netto il capo della mamma. Col biscottino in mano e senza più bocca per mangiarlo. Un capo di famiglia a terra. Orribile, spaventevole. Guardate a Whitchall, signore? Bel palazzo, piccola finestra. Anche lì un altro capo spiccato dal busto, eh? E nemmeno lui era stato attento. Eh, non vi pare?
— Pensavo, — disse il signor Pickwick, — alla strana mutabilità delle cose umane.
— Ah, vedo, vedo! Oggi sul portone, domani alla finestra. Filosofo?
— Un semplice osservatore della natura umana, mio caro signore.
— Io pure; come lo sono molti quando hanno poco da fare e meno da guadagnare. Poeta, signore?
— Il mio amico Snodgrass ha una pronunciata disposizione alla poesia, — rispose il signor Pickwick.
— Come me, come me. Poema epico; diecimila versi; rivoluzione di luglio; composto sopra luogo. Marte di giorno, Apollo di notte. Il fucile e la lira, uno sparo e un accordo.
— Vi trovaste a quella scena gloriosa? — domandò il signor Snodgrass.
— Se mi ci trovai! altro che! Un colpo di moschetto e un'idea. Corro nella cantina, la scrivo, di nuovo al fuoco, pin pan! un'altra idea, da capo la cantina, calamaio e penna, fuori, fendenti e stragi, bell'epoca, caro signore, bell'epoca quella lì. Cacciatore? — volgendosi di botto al signor Winkle.
— Un poco, — rispose questi.
— Bell'esercizio, signore, bell'esercizio. Cani, eh?
— Proprio in questo momento, no.
— Ah! dovreste tener dei cani. Bell'animale, intelligente, sagace. Ne avevo uno io. Un cane di punta. Un istinto da sbalordire. Un giorno vado a caccia. Entro in una difesa. Fischio. Il cane non si muove. Rifischio: Ponto! Niente. Ponto ha messo radici. Lo chiamo ancora: Ponto, Ponto! Tutto
inutile. Cane pietrificato, fisso davanti una scritta. Alzo gli occhi, leggo: “Il guardacaccia ha ordine di tirare a qualunque cane si troverà in questa difesa.” Ponto non voleva passare. Bestia sorprendente. Inapprezzabile, unica.
— Davvero che il caso è straordinario, — disse il signor Pickwick. — Permettete che ne pigli appunto?
— Fate, fate, servitevi. Cento altri aneddoti dello stesso animale. Bella ragazza, signore! — proseguì il forestiero volgendosi al signor Tupman, il quale andava lanciando certe sue occhiate tutt'altro che pickwickiane ad una giovanetta che passava da un lato della via.
— Bellissima, — rispose il signor Tupman.
— Le Inglesi non valgono le Spagnuole: nobili creature, capelli d'ebano, pupille di fuoco, forme scultorie; creature dolci, irresistibili!
— Siete stato in Ispagna, signore? domandò il signor Tracy Tupman.
— Dei secoli, dei secoli.
— Molte conquiste, signore? — domandò il signor Tupman.
— Conquiste? a migliaia. Don Bolaro Fizzgig. Grande di Spagna. Figlia unica, donna Cristina, creatura splendida. Innamorata cotta di me, padre geloso, ragazza ostinata, bell'Inglese. Come si fa? Disperazione di donna Cristina. Acido prussico. Piglio una pompa aspirante, che ho nel mio bagaglio. Detto fatto, l'operazione riesce. Il vecchio don Bolaro, in estasi. Consente alle nozze, congiunge le mani, torrenti di lagrime. Una storia romanticissima.
— E la signora trovasi ora in Inghilterra? — domandò il signor Tupman, sul quale la descrizione di quelle grazie aveva prodotto una profonda impressione.
— Morta, signore, morta! — esclamò in un gemito il giovane viaggiatore, applicandosi all'occhio diritto l'avanzo di un vecchio fazzoletto di battista. — Non si riebbe più dalla operazione.
Costituzione minata. Vittima.
— E suo padre? — domandò il poetico Snodgrass.
— Rimorso e miseria, — rispose il giovane. — Sparizione improvvisa. Che è, che non è, tutti ne parlano, si cerca dappertutto, niente. Di botto la fontana pubblica nella piazza non dà più acqua. Passano delle settimane. Altra fermata. Si mandano degli operai a pulir la vasca, si vuota.
Trovano mio suocero nel condotto maestro, col capo in giù, e una piena confessione nello stivale destro. Lo tirano fuori, e dalla fontana zampilla meglio che mai.
— Permettete che pigli nota di questo piccolo romanzo? disse il signor Snodgrass, vivamente commosso.
— Servitevi, signore, servitevi. Altri cinquanta, se vi piace. Una strana vita la mia, curiosa anzi che no, niente di straordinario, ma singolare, molto singolare.
Su questo tono seguitò a discorrere il loquace viaggiatore, interrompendosi solo per ingurgitare un bicchiere di birra, a guisa di parentesi, alle varie poste di cavalli; sicchè quando furono giunti al ponte di Rochester, i libri di appunti così del signor Pickwick come del signor Snodgrass erano completamente riempiti di una scelta delle sue avventure.
— Magnifiche rovine! — esclamò il signor Augusto Snodgrass con quella foga poetica ch'era tutta sua, quando ebbero davanti il vecchio castello.
— Che studio per un antiquario! — furono le precise parole che il signor Pickwick, adattandosi all'occhio il suo telescopio, si fece sfuggire dalle labbra.
— Ah! un bel posto, — soggiunse lo sconosciuto. — Splendido edifizio, mura accigliate, archi cadenti, biechi nascondigli, scale crollanti. Vecchia cattedrale anche, odore terrigno, i gradini consumati dai piedi dei pellegrini, porticine sassoni, confessionali, come il botteghino di un teatro. Curiosi cotesti frati, papi e tesorieri, e altro vecchio ciarpame, facce rosse e nasi smozzicati; ne dissotterrano tutti i giorni. Dei giachi di pelle anche, degli archibugi, sarcofaghi, bel posto, antiche leggende, storie curiosissime, magnifico!
E lo sconosciuto continuò il suo monologo fino a che la diligenza non si fermò, sulla via maestra, davanti all'Albergo del Toro.
— Rimanete qui, signore? — domandò il signor Nataniele Winkle.
— Qui? no davvero. Voi sì, farete bene. Buona casa, letti eccellenti. Troppo caro l'albergo accanto. Mezza lira di più sul conto, soltanto per aver guardato in viso il cameriere. Conto più salato se vi permettete di desinare da un amico che se non uscite dall'albergo. Bei tipi, davvero.
Il signor Winkle si accostò al signor Pickwick e gli bisbigliò qualche parola all'orecchio. Un mormorio passò dal signor Pickwick al signor Snodgrass, dal signor Snodgrass al signor Tupman, e dei segni di assenso furono scambiati. Allora il signor Pickwick, volgendosi al forestiero:
— Voi ci avete reso stamane un grande servigio, caro signore, — disse; — vorreste permetterci di offrirvi un lieve attestato della nostra gratitudine domandandovi il favore della vostra compagnia a pranzo?
— Volentierissimo. Non pretendo mica imporre i miei gusti, ma polli arrosto, funghi, squisito! A che ora?
— Vediamo, — disse il signor Pickwick, tirando fuori l'orologio. — Adesso son le tre. Vi accomoda per le cinque?
— Egregiamente. Cinque in punto. Fino allora, vi lascio in libertà; — e sollevatosi di qualche pollice il cappello dalla testa in segno di saluto e aggiustatolo sulle ventiquattro, lo sconosciuto traversò svelto svelto il cortile e voltò nella via, avendo sempre fuori della tasca metà del suo fagotto di carta grigia.
— Un gran viaggiatore, senza dubbio, ed un arguto osservatore degli uomini e delle cose. — disse il signor Pickwick.
— Mi piacerebbe dare un'occhiata al suo poema, — disse il signor Snodgrass.
— Quanto avrei voluto vedere quel suo cane! — disse il signor Winkle.
Il signor Tupman non disse niente; ma pensava a donna Cristina, alla pompa, alla fontana, e gli si empivano gli occhi di lagrime.
Dopo aver fissato una camera da pranzo privata, esaminati i letti, e ordinato il desinare, i nostri viaggiatori uscirono per visitare la città e le sue vicinanze.
Noi non troviamo, da un'attenta lettura delle note del signor Pickwick sulle quattro città,
Stroud, Rochester, Chatham e Brompton, che le sue impressioni in proposito differiscano gran fatto da quelle di altri viaggiatori che abbiano percorso le medesime regioni. Si può riassumere in poche parole la sua descrizione.
“I prodotti principali di queste città” scrive il signor Pickwick “pare che siano soldati, marinai, Ebrei, calce, gamberi, ufficiali e impiegati della marina. Le merci poste in vendita sulla pubblica via sono specialmente roba marinaresca, biscotto, mele, baccalà ed ostriche. Le vie presentano un aspetto animatissimo, in grazia soprattutto del buon umore dei militari. È veramente uno spettacolo delizioso per un animo filantropico il vedere quei bravi soldati, presi da un accesso combinato di spiriti animali ed artifiziali, andar qua e là ciondoloni come battagli; tanto più quando si pensi che divertimento innocente e poco dispendioso essi offrano alla popolazione dei ragazzi che corre loro dietro e scherza con essi. Non c'è nulla (aggiunge il signor Pickwick) che possa agguagliare la loro allegria. Appunto il giorno prima del mio arrivo, uno di essi era stato villanamente insultato in una bettola. La ragazza che faceva da tavoleggiante gli avea negato chiaro e tondo dell'altro vino. Al che, per semplice scherzo, egli avea tratto la sua baionetta; ed avea ferito la ragazza alla spalla. E nondimeno, questo bravo ragazzo si presentò la mattina appresso alla bettola, e fu il primo a dichiarare di esser pronto a non pensarci più e a dimenticare quanto era accaduto!
“Il consumo del tabacco in queste città (continua il signor Pickwick) dev'essere straordinario; e l'odore che invade le strade non può riuscire che deliziosissimo agli amatori del fumo. Un viaggiatore superficiale potrebbe trovare a ridire sulla mota costante che è la speciale caratteristica di quelle; ma per coloro che la guardano come un indizio del traffico e della prosperità commerciale, la cosa è assolutamente consolante.”
Alle cinque in punto si presentò il giovane invitato, e poco dopo fu servito in tavola. Il fagotto di carta grigia non c'era più, ma nessun mutamento era avvenuto nei vestiti del viaggiatore, e tanto meno nella sua loquacità che era anzi divenuta più notevole che mai.
— Che roba è questa? — domandò mentre il cameriere sollevava uno dei coperchi.
— Sogliole, signore.
— Sogliole? ah! Stupende. Tutte le sogliole vengono da Londra. I proprietari di diligenze mettono su a posta dei banchetti politici; pel trasporto, capite. Carichi di sogliole, canestri a dozzine. Gente che sa il fatto suo. Un bicchier di vino, signore?
— Grazie, volentieri, — rispose il signor Pickwick; — e il forestiero prese del vino; prima con lui, e poi col signor Snodgrass, e poi col signor Tupman, e poi col signor Winkle, e poi con tutta la brigata, con quella medesima rapidità con la quale parlava.
— C'è un vero diavoleto per le scale, cameriere, — disse lo sconosciuto. — Seggiole, panche vanno su e giù, falegnami, lumi, bicchieri, strumenti, un'arpa. Che diamine succede? — Un ballo, signore, — rispose il cameriere.
— Per sottoscrizione?
— Signor no, signore. Un ballo di beneficenza, signore.
— Sapete che vi siano molte belle donne in questa città? — domandò con vivo interesse il signor Tupman.
— Splendide, magnifiche. Kent, caro signore. Tutti conoscono Kent: mele, ciliege, luppoli e donne. Un bicchiere di vino?
— Volentieri, — rispose il signor Tupman Lo sconosciuto empì e vuotò in meno di niente.
— Ci andrei con molto piacere, — disse il signor Tupman, ripigliando a parlare del ballo, — con moltissimo piacere.
— I biglietti si vendono su, alla porta, signore, — disse il cameriere; — mezza ghinea, signore.
Il signor Tupman manifestò nuovamente un gran desiderio di assistere alla festa; ma non incontrando alcuna risposta nell'occhio velato dell'amico Snodgrass o nello sguardo astratto del signor Pickwick, si diè con molta forza al vino di porto e alle frutta che appunto erano state portate in tavola. Il cameriere si ritirò, e la brigata fu lasciata a godersi quel paio d'ore di dolce abbandono che sogliono succedere al desinare.
— Domando scusa, signore, — disse lo sconosciuto. — La bottiglia sta in ozio, fatela girare, come il sole, una corsa, Giosuè a rovescio, — e vuotò il bicchiere che due minuti prima aveva riempito; e se ne versò subito un altro col fare di chi è abituato a questa specie di lavoro.
Il vino passò e disparve, e se n'ordinò dell'altro. Lo sconosciuto discorreva, i Pickwickiani ascoltavano. Il signor Tupman si sentiva sempre più disposto pel ballo. Sulla fisionomia del signor Pickwick brillava una certa luce di filantropia universale; e i signori Winkle e Snodgrass dormivano saporitamente.
— Incominciano lassù, — disse lo sconosciuto. — Sentite il calpestio; accordano i violini; questa è l'arpa; eccoli che si slanciano.
I suoni svariati che venivano dalle scale annunziavano in fatti che la prima contradanza era incominciata.
— Come ci vorrei andare! — ripetette il signor Tupman.
— Ed anch'io, — disse lo sconosciuto. — Maledetto bagaglio; ritardo del postale; nulla da mettere; curiosa, eh?
Ora, la benevolenza universale era uno dei tratti principali della teoria pickwickiana, e nessuno più del signor Tupman era dotato di una così nobile qualità. Scorrendo i processi verbali del Circolo, si è vivamente sorpresi in vedere quante volte questo dabben'uomo mandò dai suoi colleghi quegli sventurati che si rivolgevano a lui per averne dei vestiti usati o dei soccorsi pecuniari.
— Sarei lietissimo di prestarvi un abito per quest'occasione, — disse al suo interlocutore, — voi siete piuttosto magro, ed io...
— Piuttosto grasso. Bacco al riposo, senza pampini, lasciata la botte e infilati i calzoni. Bellina, eh? non mi dispiace. Ah, ah! Passate il vino.
Non è ancora un fatto bene assodato se il signor Tupman fosse alquanto indignato al tono perentorio col quale lo sconosciuto lo pregava di passare il vino, che poi in effetto facea passare così rapidamente, o se giustamente si sentisse scandalizzato in vedere applicato ad un membro influente del Circolo Pickwick quell'ignominioso paragone di un Bacco smontato dalla botte. Passò il vino, tossì due volte, e guardò fiso allo sconosciuto con un certo contegno severo; ma visto che lo sconosciuto non si commoveva punto sotto quello sguardo scrutatore, s'andò calmando a grado a grado, e tornò all'argomento del ballo.
— Volevo appunto farvi notare, signore, — gli disse, — che se i miei vestiti vi starebbero troppo larghi, quelli del mio amico Winkle vi calzerebbero forse a pennello.
Lo sconosciuto prese con una semplice occhiata la misura del signor Winkle, ed esclamò tutto soddisfatto: — Proprio il fatto mio!
Il signor Tupman si guardò intorno. Il vino, che aveva esercitato la sua influenza soporifera su Snodgrass e Winkle, aveva anche ottenebrati i sensi del signor Pickwick. Questo egregio uomo era gradatamente passato pei vari stadi che precedono il letargo prodotto da un buon desinare. Avea subito le solite transizioni dall'eccesso dell'allegria alla più profonda tristezza, e dalla più profonda tristezza all'eccesso dell'allegria. Come un fanale a gas, nella via, quando un po' d'aria s'è intromessa nel becco, egli avea spiegato a momenti uno splendore straordinario; poi era caduto così basso che appena lo si vedeva; dopo un breve intervallo, era tornato a splendere, a vacillare, a scoppiettare, e finalmente s'era spento a dirittura. Aveva il capo piegato sul petto, e un russare non interrotto, con qualche sordo grugnito di tanto in tanto, erano i soli indizi della presenza del grand'uomo.
La tentazione di assistere al ballo e di formarsi una prima idea delle bellezze di Kent, poteva molto sull'animo sensibile del signor Tupman. Non meno forte era l'altra tentazione di tirarsi dietro lo sconosciuto. Era nuovo del paese, non vi conosceva nessuno; e l'altro invece mostrava di essere perfettamente informato di tutto, come se ci avesse vissuto fin dall'infanzia. Il signor Winkle dormiva, e il signor Tupman avea tanta esperienza di queste cose da sapere che, secondo l'ordinario corso della natura, l'amico suo appena destato sarebbe cascato a letto come un ceppo. Era indeciso.
— Empitevi il bicchiere, e passate il vino, — disse l'infaticabile commensale.
Il signor Tupman obbedì; e bastò a determinarlo lo stimolo addizionale dell'ultimo bicchiere.
— La camera di Winkle, — disse, — dà nella mia; — io non potrei fargli capire quel che voglio da lui, se lo destassi ora. So però che ha un vestito nuovo completo nella sacca da notte. Supposto che ve lo metteste voi per il ballo e ve lo toglieste al ritorno, lo potrei rimettere a posto senza disturbarlo punto punto.
— Stupenda! — esclamò lo sconosciuto. — Piano famoso. Maledetta posizione, ridicola.
Quattordici vestiti nel bagaglio, obbligato a indossare quello d'un altro. Curiosa davvero.
— Dobbiamo prendere i biglietti, — disse il signor Tupman.
— Non val la pena barattare un pezzo da cinque. Giuochiamo a chi li pagherà tutti e due. Capo o croce. A voi; così. Donna, donna, incantevole donna! — e la moneta, lanciata in aria dal signor Tupman, cadde e mostrò capo, cioè il Dragone, che per cortesia era chiamato donna.
Il signor Tupman suonò il campanello, comprò i biglietti, ed ordinò due candele. Di là ad un quarto d'ora, lo sconosciuto era completamente coperto delle spoglie del signor Nataniele Winkle.
— È un abito nuovo, — disse il signor Tupman, mentre il suo compagno si contemplava con una certa soddisfazione in uno specchio a bilico. — Il primo abito fatto col bottone del Circolo, — e richiamò l'attenzione di quello ai grossi bottoni dorati che avevano in mezzo il busto del signor Pickwick e le iniziali P. C. dai due lati.
— P. C. — disse lo sconosciuto. — Curiosa. Il ritratto del vecchiotto e P. C. Che è P. C.?
Uniforme? Molto curioso.
Il signor Tupman, con indignazione crescente e non poco sussiego, spiegò la mistica divisa.
— Un po' corto di vita, eh? — domandò l'altro torcendosi e cercando di guardarsi dietro per vedere nello specchio i bottoni che gli salivano a mezza schiena — Press'a poco, un'uniforme di postiglione; strani vestiti quelli lì; si fanno per appalto, senza misura, misteriosa distribuzione della Provvidenza; a tutti i piccoli toccano i soprabiti lunghi, e a tutti i lunghi i soprabiti corti.
Seguitando a discorrere su questo tono, il compagno del signor Tupman si aggiustò alla meglio il suo vestito, o piuttosto il vestito del signor Winkle; e, in compagnia del signor Tupman, montò le scale che menavano alla sala da ballo.
— I nomi, signore? — disse il cameriere alla porta. E il signor Tracy Tupman si faceva avanti per annunziare i propri titoli, quando il suo compagno lo prevenne.
— Niente nomi. — Poi gli sussurrò all'orecchio: — Che serve? poco conosciuti; nomi distintissimi nel loro genere, ma non illustri. Eccellenti per una piccola riunione, nessuna impressione in una gran società. Incogniti fa al fatto nostro. Signori di Londra, forestieri di conto, quel che vi piace.
La porta fu aperta a due battenti, e il signor Tracy Tupman col suo compagno entrarono nella sala da ballo.
Era un salone lungo, fornito di panchettini cremisi e di candele di cera in lumiere di cristallo. I musicanti stavano relegati al sicuro sopra un palco; e da tre a quattro quadriglie venivano regolarmente intrecciate da un certo numero di danzatori. Due tavolini da giuoco erano messi su nella stanza contigua, intorno ai quali due paia di vecchie signore con un numero corrispondente di ben pasciuti cavalieri eseguivano il whist.
Terminato il finale, i ballerini si sparsero passeggiando per la sala, e il signor Tupman col suo compagno si situarono in un angolo per fare le loro osservazioni.
— Belle donne, — disse il signor Tupman.
— Aspettate. Or ora viene il bello. Non sono ancora arrivati i sopracciò del luogo. Curioso paese questo qui. Gli impiegati superiori della marina non se la fanno con gli impiegati inferiori; gli impiegati inferiori non se la fanno con la piccola borghesia; la piccola borghesia non se la fa col commercio; e il Commissario del governo non se la fa con nessuno.
— Chi è quel ragazzetto coi capelli biondi e gli occhi rossi, e con un vestito di fantasia? — domandò il signor Tupman.
— Zitto, fate il piacere. Occhi rossi, vestito di fantasia, ragazzetto, via, via! È un sottotenente del 97° L'on. Wilmot Snipe. Gran famiglia gli Snipe. Sicuro.
— Sir Tommaso Clubber, lady Clubber, e le signorine Clubber! — annunziò con voce stentorea l'uomo alla porta. Una viva impressione produsse in tutta la sala l'entrata di un signore lungo in soprabito turchino e bottoni lucidi, accompagnato da una grossa signora vestita di seta turchina, e da due signorine delle medesime proporzioni in abiti molto vistosi dello stesso colore.
— Commissario, capo della marina, grand'uomo, molto grande, — bisbigliò nell'orecchio di Tupman l'amico suo, mentre il Comitato di beneficenza accompagnava sir Tommaso Clubber e la famiglia fino in capo alla sala. L'onorevole Wilmot Snipe ed altri distinti gentiluomini fecero ressa intorno alle signorine Clubber; e sir Tommaso Clubber se ne stava ritto impalato, guardando maestosamente alla società di sopra alla sua cravatta nera.
— Il signor Smithie, la signora Smithie, e le signorine Smithie, — gridò di nuovo l'annunziatore.
— Chi è questo Smithie? — domandò il signor Tracy Tupman.
— Qualche cosa nella marina, — rispose l'amico.
Il signor Smithie s'inchinò con deferenza a sir Tommaso Clubber, e sir Tommaso Clubber consentì amabilmente ad accorgersi del saluto. Lady Clubber sbirciò dall'alto in basso con le lenti la signora Smithie e relativa famiglia, mentre la signora Smithie alla sua volta guardava con aria di protezione ad un'altra qualunque signora, il marito della quale non apparteneva niente affatto alla marina.
— Il colonnello Bulder, la signora colonnella Bulder, e la signorina Bulder — annunziò la voce.
— Capo della guarnigione, — disse lo sconosciuto rispondendo allo sguardo interrogatore del signor Tupman.
La signorina Bulder fu con molta affettuosità accolta dalle signorine Clubber: i saluti fra la colonnella Bulder e lady Clubber furono dei più cordiali; il colonnello Bulder e sir Tommaso Clubber si offrirono a vicenda una presa di tabacco, conservando sempre quel loro contegno alto e stecchito che li faceva rassomigliare ad un paio di Alessandri Selkirk, “Re di quanto avevano sott'occhio”.
Mentre l'aristocrazia del luogo — i Bulder, i Clubber ed i Snipe — badavano così a tenere alta la loro dignità ad uno dei capi della sala, le altre classi della Società ne imitavano fedelmente l'esempio nelle altre parti di essa. Gli ufficiali meno aristocratici del 97° si dedicavano alle famiglie dei funzionari subalterni della marina. Le mogli degli avvocati o la moglie del negoziante di vino capitanavano un'altra casta (la moglie del vinaio era in visita con le Bulder); e la signora Tomlison dell'ufficio postale sembrava per tacito consenso essere stata scelta a capo del partito commerciale.
Uno dei personaggi più popolari nel proprio circolo era un ometto pingue, con una corona di capelli neri ritti come stecchi intorno ad un piano lucido di estesa calvizie. Il dottore Slammer, chirurgo del 97°. Il dottore prendeva tabacco con tutti, discorreva con tutti, rideva; ballava, scherzava, giocava al whist, faceva ogni sorta di cose, e si trovava dappertutto. A queste capacità, per svariate che fossero e molteplici, il piccolo dottore ne aggiungeva un'altra più importante di tutte; egli era cioè infaticabile nel dimostrare la più viva ed assidua sollecitudine ad una vedovetta di mezza età la quale dall'abito sfarzoso e dalla profusione degli ornamenti si presentava come una desiderabile aggiunzione ad una rendita limitata.
Sul dottore e sulla vedova gli occhi del signor Tupman e del suo compagno erano stati fissati per qualche tempo, quando questi ruppe il silenzio.
— Fiumi di danaro, vecchia zitella, tipo d'un dottore, bell'idea, amena, — furono le frasi smozzicate che gli uscirono dalle labbra. Il signor Tupman lo guardava intanto con aria interrogativa.
— Ballo con la vedova, — disse quegli.
Chi è? — domandò il signor Tupman.
— Ignoro, mai vista, taglio fuori il dottore, avanti!
E, detto fatto, il giovane magro traversò la sala, s'appoggiò alla mensola d'un caminetto, e incominciò a contemplare con una sua ammirazione piena di rispetto e di malinconia il viso rotondo della vecchietta. Il signor Tupman guardava da lontano pieno di stupore. Il suo amico faceva rapidi progressi; il piccolo dottore ballava con un'altra dama; la vedova si lasciò cadere il ventaglio; quegli lo raccolse, glielo porse; un sorriso, un inchino, un grazie, poche parole di conversazione. Lo sconosciuto andò arditamente dal maestro di cerimonie, e ritornò con lui verso la vedova; breve pantomima di presentazione; e lo sconosciuto e la signora Budger presero posto in una quadriglia.
La sorpresa del signor Tupman a questo processo sommario, per grande che fosse, fu di molto sorpassata dalla maraviglia del dottore. Lo sconosciuto era giovane, e la vedova era lusingata. Le attenzioni del dottore rimanevano inosservate, e l'indignazione del dottore non faceva nessunissimo effetto sull'imperturbabile rivale. Il dottor Slammer pareva colto da paralisi. Lui, il dottor Slammer del 97°, essere schiacciato in un momento da un uomo che nessuno aveva mai visto, che nessuno conosceva nemmeno adesso! Il dottor Slammer! respinto lui, soppiantato lui, il dottor Slammer del 97°! Impossibile! non poteva essere, no! Eppure, sì, il fatto era evidente; eccoli là tutti e due. Come! anche presentargli l'amico? Poteva il dottore prestar fede ai propri occhi? Guardò di nuovo, e fu dolorosamente costretto ad ammettere la veracità dei suoi nervi ottici; la signora Budger ballava appunto col signor Tracy Tupman. Non c'era mica da sbagliare. Ecco la vedova, proprio lei, balzando qua e là gravemente e con insolito vigore; ecco il signor Tupman saltando di su e di giù, con un viso pieno di solennità e ballando (come a tanti si vede fare) come se una quadriglia non fosse una cosa da ridere, ma invece una dura prova dei propri sentimenti da non potersi affrontare senza un proposito fermo ed inflessibile.
Silenziosamente e pazientemente il piccolo dottore sopportò tutto questo; e sopportò anche, sempre tacendo, le galanterie assidue dello sconosciuto, le offerte di ponce, il portar via dei bicchieri, il precipitarsi sui biscotti, e tutte le smancerie che ne seguivano. Ma, pochi minuti dopo che lo sconosciuto fu scomparso per accompagnare la signora Budger fino alla sua carrozza, egli si slanciò fuori della sala ed ogni particella della sua effervescente indignazione, troppo a lungo tappata, sembrò sfuggirgli da tutti i pori della faccia in un terribile sudore di sdegno.
Lo sconosciuto tornava in compagnia del signor Tupman. Parlava basso e rideva. Il piccolo dottore era assetato del suo sangue. Lo vedeva gonfio di gioia, trionfante.
— Signore! — disse il dottore con voce terribile, porgendo un biglietto di visita e ritirandosi in un angolo del passaggio; — il mio nome è Slammer, dottor Slammer, signore, 97° reggimento, quartiere di Chaltham. Il mio biglietto, signore, il mio biglietto.
Avrebbe voluto aggiungere dell'altro, ma lo strozzava lo sdegno.
— Ah! — rispose freddamente lo sconosciuto. — Slammer, dottore; obbligatissimo; molto cortese; grazie, sto bene; quando no, picchierò all'uscio vostro.
— Voi.... voi siete un intrigante, signore! — esclamò sbuffando il furibondo dottore; — un poltrone, un vigliacco, un bugiardo, un.... un.... Insomma, mi darete il vostro biglietto, signore?
— Ah, vedo, vedo! — disse a mezza voce lo sconosciuto. — Troppo forte il ponce; distribuzione larga. Imprudenza. Molto meglio la limonata. Calore della sala, persone d'una certa età, ne risentono gli effetti, anche il giorno appresso. Dispiacevole, dispiacevole! — e fece uno o due passi per allontanarsi.
— Voi alloggiate qui, signore, — riprese l'indignato dottore. — Adesso, si vede, siete ubbriaco, signore; domani ce la vedremo, signore, domani. Vi troverò io, vi troverò.
— Niente difficile, — rispose con la medesima calma lo sconosciuto. — A casa o fuori mi si trova sempre. Più fuori che a casa.
Il dottor Slammer schizzava ferocia e distruzione, calcandosi il cappello in capo con un colpo pieno di sdegno; e lo sconosciuto e il signor Tupman rientrarono nella camera da letto del secondo, per rimettere al posto le penne prese a prestito dall'inconscio signor Winkle.
Il signor Winkle dormiva profondamente; l'operazione fu presto compiuta. Lo sconosciuto si trovava nella più amena disposizione di questo mondo; e il signor Tracy Tupman, eccitato più che mai dal vino, dal ponce, dai lumi, e dalle signore, non poteva pensar senza ridere al fatto di poco fa, che gli pareva un graziosissimo scherzo. Il suo nuovo amico tolse commiato, e dopo avere incontrato una certa difficoltà nel trovare l'orifizio del suo berretto da notte, destinato in origine a contenere la sua testa, e rovesciando finalmente la candela nei suoi sforzi per mantenerla ritta, il signor Tracy Tupman si studiò di cacciarsi fra le lenzuola con una serie di complicate evoluzioni, e subito dopo chiuse gli occhi al sonno.
Le sette del giorno appresso erano appena scoccate, quando la vasta intelligenza del signor Pickwick fu destata dal torpore, nel quale il sonno l'aveva sprofondata, da un forte bussare all'uscio della sua camera
— Chi è? — domandò il signor Pickwick, balzando in mezzo al letto.
— Cameriere, signore.
— Che volete?
— Scusate, signore, mi fareste la finezza di dirmi chi dei vostri porta un vestito turchino coi bottoni d'oro e le lettere P. C.?
— L'avrà dato a spazzolare, — pensò il signor Pickwick, — l'uomo ha dimenticato a chi appartiene. — Il signor Winkle, — disse poi alzando la voce, — due camere appresso, a destra.
— Grazie, signore, — disse la voce di fuori, e si allontanò.
— Che c'è? — gridò il signor Tupman destato di botto da un fiero colpo dato alla porta di camera sua.
— Posso parlare al signor Winkle? — domandò di fuori il cameriere.
— Winkle, Winkle! — chiamò il signor Tupman verso la camera contigua.
— Chi mi vuole? — rispose una voce debolissima di sotto alle lenzuola.
— Vi cercano, — qualcuno alla porta, — e compiuto lo sforzo di articolar tutto questo il signor Tracy Tupman si voltò dall'altra parte e si addormentò di nuovo.
— Mi cercano! — disse il signor Winkle, saltando giù dal letto e vestendosi in fretta. — Mi cercano! a questa distanza dalla città! chi diamine può cercar di me?
— Un signore nel caffè da basso, — rispose il cameriere, mentre il signor Winkle apriva la porta per veder chi era; — dice che non vi tratterrà più di un minuto, ma che v'aspetta senz'altro.
— Curiosa davvero! — disse il signor Winkle. — Vengo subito.
Si avvolse frettolosamente nella sua veste da camera e in uno scialle da viaggio, e discese. Una vecchia e due camerieri pulivano e rassettavano la bottega del caffè, e un ufficiale in piccola tenuta guardava fuori della finestra. Si voltò all'entrata del signor Winkle e salutò con un cenno del capo. Quindi, mandata via la gente di servizio e chiusa la porta con molta cura, disse:
— Il signor Winkle?
— Precisamente, signore.
— Non sarete sorpreso, signore, quando vi avrò detto ch'io sono qui da parte del mio amico, il dottor Slammer del 97°.
— Il dottor Slammer! — esclamò il signor Winkle.
— Il dottor Slammer, per l'appunto Egli mi incarica significarvi la sua opinione che la vostra condotta di ieri sera è stata indegna di un gentiluomo, e che un gentiluomo non può sopportarla in pace.
Era così vivo, così evidente lo stupore del signor Winkle da non poter sfuggire all'amico del dottor Slammer; epperò egli proseguì:
— Il mio amico, dottor Slammer, mi ha pregato di aggiungere esser lui fermamente convinto che durante una parte della serata voi eravate un po' brillo, e probabilmente inconscio della gravità dell'insulto del quale vi rendeste colpevole. Mi ha incaricato di dirvi che se questo particolare potesse in certo modo servir di scusa alla vostra condotta, egli consentirebbe ad accettare delle scuse per iscritto, delle quali io stesso vi detterei il tenore.
Delle scuse per iscritto! — ripetette il signor Winkle col tono della più profonda
maraviglia.
— Naturalmente, — replicò con molta calma l'ufficiale, — conoscete l'alternativa.
— Siete stato incaricato di questo messaggio per me, nominativamente? — domandò il signor Winkle le cui facoltà mentali erano scosse stranamente da questo straordinario colloquio.
— Io non ero presente alla scena, — riprese l'ufficiale, — e in conseguenza del vostro reciso diniego di dare il vostro biglietto di visita al dottore Slammer, fui pregato da lui di identificare il proprietario di un vestito molto notevole; soprabito turchino e bottoni dorati con un busto e le iniziali P. C.
Il signor Winkle si sentì quasi venir meno dallo stupore, udendo una così minuta descrizione del proprio costume. L'amico del dottor Slammer proseguì:
— Dalle indagini fatte qui nella casa, son venuto a sapere che il proprietario del vestito in questione era arrivato ieri con tre signori. Ho mandato subito da quel signore che mi veniva indicato come il capo della brigata; ed è lui che m'ha diretto a voi.
Se la gran torre del castello di Rochester sollevatasi di botto dalle fondamenta si fosse venuta a situare di faccia alla finestra del caffè, la sorpresa del signor Winkle sarebbe stata meno che niente, paragonata a quella che lo colpiva udendo un discorso così fatto. La sua prima impressione fu che gli avessero rubato il vestito.
— Vorreste aver la cortesia di attendermi un momento? — disse.
— Certamente, — rispose il malaugurato ufficiale.
Il signor Winkle in due salti fu in camera sua, e con mano tremante aprì la sacca da viaggio. L'abito turchino stava al suo solito posto; ma, esaminato bene da vicino, mostrava più segni di essere stato adoperato la notte avanti.
— Dev'essere così, — disse il signor Winkle, lasciandosi cadere l'abito dalle mani. — Ho bevuto troppo dopo desinare e mi pare, così come in sogno, di essere andato attorno per le vie e di avere anche fumato un sigaro. Il fatto è che una buona cotta l'avevo presa; debbo aver mutato di vestito; sarò andato chi sa dove; ed avrò insultato qualcuno. Non può essere altrimenti, ed eccone ora la terribile conseguenza in questa sfida
Così dicendo da sè a sè il signor Winkle tornò al caffè col bieco e triste proposito di accettare la sfida del dottor Slammer e di affrontarne tutte le più funeste conseguenze.
A questa determinazione era spinto il signor Winkle da molti riflessi; primo dei quali era la sua riputazione presso il Circolo. Egli era stato sempre considerato come un'autorità di conto in tutti gli esercizi del corpo, offensivi difensivi ed inoffensivi; e se ora, proprio alla prima occasione, egli avesse dato indietro sotto gli occhi del suo condottiero, la sua posizione nel Circolo, era bell'e spacciata. D'altra parte si ricordava di avere inteso susurrare dalla gente poca pratica di queste faccende, che per un segreto accordo fra i secondi le pistole non si caricano sempre a palla; e pensò inoltre che se si rivolgeva al signor Snodgrass perchè gli facesse da secondo, e gli dipingeva il pericolo con termini molto vivaci, questo bravo amico avrebbe probabilmente comunicata la cosa al signor Pickwick, il quale senza dubbio non avrebbe messo tempo in mezzo per darne avviso alle autorità del luogo, ed impedire che il suo seguace fosse ucciso o storpiato.
Tali erano i suoi pensieri tornando al caffè, e per queste ragioni espresse il suo proposito di accettar la sfida del dottor Slammer.
— Vorreste indirizzarmi ad un vostro amico per accordarci sull'ora e il luogo dello scontro? — chiese l'ufficiale.
— Perfettamente inutile, — rispose il signor Winkle; — fissate da voi stesso, ed io condurrò meco il mio testimone.
— Ebbene, stasera? verso il tramonto, — disse l'ufficiale in tuono indifferente.
— Va benissimo, — rispose il signor Winkle, pensando dentro di sè che andava malissimo. — Conoscete il fortino Pitt?
— Sì; l'ho veduto ieri.
Se volete prendervi il disturbo di voltare nel campo che costeggia la trincea, prendere il
sentiero a sinistra, quando siete all'angolo della fortificazione, e camminar diritto fino a che non mi vediate; io stesso vi guiderò ad un certo posto appartato, dove l'affare si potrà sbrigare senza timore d'interruzione.
— Timore d'interruzione! — pensò il signor Winkle.
— Non c'è altro da aggiustare, mi pare, — disse l'ufficiale.
— Nient'altro, credo, — rispose il signor Winkle.
— Buon giorno. — Buon giorno, — e l'ufficiale girò sui talloni zufolando un'arietta allegra.
La colazione di quella mattina passò senza notevoli incidenti e senza allegria. Il signor Tupman non era in grado di lasciare il letto, dopo l'orgia della sera innanzi, il signor Snodgrass pareva travagliato da una poetica depressione di spiriti; e perfino il signor Pickwick dimostrava un attaccamento insolito al silenzio ed all'acqua di soda. Il signor Winkle aspettò con ansia il momento opportuno, e non dovette aspettar molto. Il signor Snodgrass propose una visita al castello, e poichè il signor Winkle era il solo membro della brigata disposto a far quattro passi, così uscirono insieme.
— Snodgrass, — disse il signor Winkle, quando furono fuori della città, — Snodgrass, amico mio, posso contare sulla vostra discrezione?
E nel dir questo egli nutriva la più calda speranza, di non poterci contare niente affatto.
— Certamente, — rispose il signor Snodgrass. Io giuro...
— No, no! — interruppe Winkle, spaventato alla sola idea che il suo compagno ingenuamente si impegnasse a non parlare; — non giurate, non giurate; è assolutamente inutile.
Il signor Snodgrass abbassò la mano che, in uno slancio di poesia, aveva alzato verso le nuvole, e si raccolse in atto di ascoltare.
Ho bisogno del vostro aiuto, amico mio, in un affare di onore, — riprese a dire il signor Winkle.
— Lo avrete, — rispose il signor Snodgrass, stringendo forte la mano dell'amico.
— Con un dottore; il dottor Slammer del 97°, — disse il signor Winkle cercando di dare alla cosa la maggiore solennità possibile; — un affare con un ufficiale assistito da un altro ufficiale questa sera sul tramonto, in un campo solitario dietro al fortino Pitt.
— Vi accompagnerò, — disse il signor Snodgrass.
Era un po' sorpreso, ma niente affatto commosso. È incredibile con quanta freddezza possa entrare in tali faccende qualunque persona che non sia la parte principale. Il signor Winkle avea dimenticato questo. Egli avea giudicato dai propri sentimenti dei sentimenti del suo amico.
— Le conseguenze possono essere terribili, — disse.
— Spero di no, — rispose il signor Snodgrass.
— Credo che il dottore sia un eccellente tiratore.
— Come la maggior parte di questi militari, — osservò con calma il signor Snodgrass; — ma anche voi tirate bene, non è vero?
Il signor Winkle rispose affermativamente; e accorgendosi di non aver abbastanza allarmato il suo compagno, mutò subito di terreno.
— Snodgrass, — riprese a dire con voce tremante dall'emozione, — se mai soccombo, voi troverete in un pacchetto che vi consegnerò una lettera per... per mio padre.
Anche questo degli attacchi andò a vuoto. Il signor Snodgrass si mostrò compunto, ma s'incaricò volentieri della consegna della lettera, come se a dirittura fosse stato un fattorino postale.
— Se soccombo io, — disse il signor Winkle, — o se soccombe il dottore, voi, caro amico, sarete chiamato come testimone e vi troverete compromesso. Dovrò io esser causa che il mio amico sia esiliato.... probabilmente a vita?
Il signor Snodgrass tentennò un poco a questa idea, ma il suo eroismo la vinse.
— Nella causa dell'amicizia, — esclamò con calore, — io sfiderei tutti i pericoli.
Come maledisse il signor Winkle la devota amicizia del suo compagno, mentre per alcuni minuti seguitarono a camminare l'uno a fianco dell'altro, immerso ciascuno nelle proprie meditazioni. Il giorno volgeva al suo termine; egli si vedeva sempre più disperato.
Snodgrass, — esclamò, arrestandosi di botto, — non mi venite meno in questa faccenda,
non ne informate le autorità locali, non provocate l'intervento degli ufficiali di pace, per fare arrestare me o il dottor Slammer, del 97° reggimento, quartiere di Chatham, ed impedire così questo duello; vi ripeto, Snodgrass, non lo fate.
Il signor Snodgrass afferrò con calore la mano dell'amico, e rispose con entusiasmo:
— Non lo farò, per tutto l'oro del mondo!
Un fremito percorse le membra del signor Winkle, quando lo assalse il terribile pensiero che non aveva nulla da sperare dai timori del suo amico, e che era pur troppo destinato a divenire un bersaglio vivente.
Spiegato formalmente al signor Snodgrass lo stato delle cose, e presa a nolo da una fabbrica di Rochester una scatola di pistole da duello, con soddisfacente corredo di polvere, palle e capsule, i due amici tornarono all'albergo. Il signor Winkle si ritrasse a ruminare sullo scontro imminente; e il signor Snodgrass se n'andò a mettere in ordine gli strumenti di guerra perchè potessero servire immediatamente.
Era una sera uggiosa e malinconica, quando uscirono di nuovo per la loro bieca escursione. Il signor Winkle era tutto avvolto in un gran mantello per sfuggire ad ogni osservazione; e il signor Snodgrass portava sotto il suo gli strumenti di distruzione.
— Avete tutto? — domandò il signor Winkle con voce malferma.
— Tutto, — rispose il signor Snodgrass. — Munizioni in abbondanza, chi sa mai ce ne fosse bisogno. Nella scatola c'è tre once di polvere e mi son messo due giornali in tasca per le cariche.
Queste senza dubbio erano prove di amicizia per le quali non ci poteva essere gratitudine bastevole. È però da credere che la gratitudine del signor Winkle fosse tanto profonda da non poter trovare una via di uscita. Non disse verbo e seguitò a camminare con una certa lentezza.
— Ci troviamo proprio in tempo, — disse il signor Snodgrass, passando il muro del primo campo; — il sole tramonta.
Il signor Winkle alzò gli occhi a guardare l'astro cadente, e pensò dolorosamente alla non lontana probabilità di un altro tramonto tutto personale.
— Ecco l'ufficiale; — esclamò, dopo che ebbero fatti pochi altri passi.
— Dove? — domandò il signor Snodgrass.
— Laggiù; quel signore col mantello turchino.
Il signor Snodgrass guardò nella direzione indicata dal dito dell'amico, e notò appunto una figura avvolta in un gran mantello. L'ufficiale mostrò di essersi accorto della loro presenza facendo con la mano un lieve saluto; e i due amici, a breve distanza, gli tennero dietro.
La sera si faceva sempre più scura e triste, e il vento s'andava lamentando attraverso i campi deserti, come un gigante lontano che chiamasse col fischio il suo cane. La tristezza della scena incombeva fieramente sui sentimenti del signor Winkle. Varcando l'angolo della trincea trasalì; il fortino aveva l'aspetto di una tomba immane.
L'ufficiale lasciò di botto il sentiero; e dopo avere scavalcato una bassa palizzata e poi una siepe, entrò in un campo appartato. Due gentiluomini stavano lì ad aspettare: un ometto grasso dai capelli neri, ed una specie di colosso chiuso in un cappotto di munizione e seduto tranquillamente sopra uno sgabello di campagna.
— Il primo avversario ed un chirurgo, mi figuro, — disse il signor Snodgrass. — Prendete un sorso di acquavite.
Il signor Winkle diè di piglio alla bottiglia che l'amico gli porgeva e bevve tutto d'un fiato.
— Il mio amico Snodgrass, signore, — disse il signor Winkle all'ufficiale. L'amico del dottor Slammer s'inchinò, e tirò fuori una scatola simile a quella portata dal signor Snodgrass.
— Non abbiamo altro da aggiungere, mi pare, — disse freddamente aprendo la scatola; — delle scuse sono state recisamente negate.
— Nient'altro, signore, — disse il signor Snodgrass, il quale per verità incominciava a non sentirsi troppo bene.
— Vogliamo misurare il terreno? — domandò l'ufficiale.
Certamente, — rispose il signor Snodgrass.
Il terreno fu misurato e i preliminari aggiustati.
— Troverete queste migliori delle vostre, — disse il secondo avversario offrendo le sue pistole. — Me le avete viste caricare. Avete nulla in contrario?
— No, di certo, — rispose il signor Snodgrass. L'offerta lo toglieva da un grave imbarazzo; poichè le sue nozioni sul modo di caricare una pistola erano piuttosto vaghe e confuse.
— Possiamo dunque situare i nostri uomini, credo, — osservò l'ufficiale, con una completa indifferenza, come se i due primi fossero stati due pezzi di scacchi, e i secondi i giocatori.
— Credo che lo possiamo, — rispose il signor Snodgrass, il quale avrebbe detto di sì a qualunque proposta, perchè non ne capiva un'acca di questa sorta di faccende. L'ufficiale andò verso il dottor Slammer, e il signor Snodgrass si avvicinò al signor Winkle.
— Tutto è pronto, — disse, porgendogli la pistola. Datemi il vostro mantello.
— Vi ho dato il pacchetto, mio caro amico, — disse il povero Winkle.
— Non pensate, — disse il signor Snodgrass. — State saldo e mirate bene.
Pensò il signor Winkle che questo consiglio somigliava molto a quello che gli astanti non mancano mai di dare al più piccolo dei monelli in una baruffa: “Avanti, e vinci!” bellissima raccomandazione, se si sapesse soltanto come metterla in pratica. Si levò nondimeno il mantello senza far motto; pigliava sempre molto tempo questa operazione, ed accettò la pistola. I secondi si ritirarono in disparte, il gentiluomo dallo sgabelletto fece lo stesso, e i belligeranti si avanzarono l'uno contro l'altro.
Una delle qualità più notevoli del signor Winkle era sempre stata una singolare gentilezza di animo. È però da credere che questo suo ritegno a far male di proposito deliberato ad un prossimo suo, fosse cagione ch'ei chiudesse gli occhi quando fu arrivato al punto fatale; e che questo fatto speciale gl'impedisse di osservare la condotta veramente straordinaria ed inesplicabile del dottor Slammer. Il dottore trasalì, diè un passo indietro, si stropicciò gli occhi, gli sbarrò smisuratamente; e finalmente gridò: — Ferma, ferma!
— Che vuol dir ciò? — disse il dottor Slammer; mentre il suo amico e il dottor Snodgrass correvano verso di lui; non è questa la persona, non è lui.
— Non è lui! — disse il secondo del dottore.
— Non è lui! — balbettò il signor Snodgrass.
— Non è lui! — esclamò il gentiluomo col suo sgabello in mano.
— No di certo, — riprese il piccolo dottore. — Non è questa la persona che m'ha insultato ieri sera.
— È stranissimo! — esclamò l'ufficiale.
— Stranissimo, — ripetette il signore dallo sgabello. — La sola questione sta in questo, se il signore, trovandosi sul terreno, non debba essere considerato, sotto il rispetto delle. formalità, come la persona che ha insultata ieri sera il nostro amico dottor Slammer, sia o non sia egli quella persona.
E dopo aver dato questo suggerimento con un'aria molto saviente e misteriosa, il signore dallo sgabello annusò una abbondante presa di tabacco, e girò intorno uno sguardo profondo con l'aria di un'autorità inappellabile in tali materie.
Il signor Winkle aveva intanto aperto gli occhi e gli orecchi, all'udire che il suo avversario domandava una cessazione delle ostilità; ed accorgendosi dal seguito della conversazione che qualche grosso equivoco ci doveva essere, capì di botto quanto lustro maggiore ne sarebbe venuto alla sua fama, celando il vero motivo dall'accettazione della, sfida da parte sua. Si avanzò dunque arditamente, e disse:
— Io non sono la persona, lo so.
Questo dunque, — disse il signore dallo sgabello, — è un affronto al dottor Slammer ed un motivo sufficiente per procedere senza altri indugi..
— State cheto, Payne, — disse il secondo dottore. — Perchè non me l'avete detto stamane, signore?
Sicuro, sicuro, — disse il signore dallo sgabello con viva indignazione.
— Vi prego, Payne, di star cheto voi, — disse l'altro. — Posso ripetere la mia domanda, signore?
— Perchè, signore, — rispose il signor Winkle, che ci aveva intanto pensato sopra, — perchè, signore, voi parlaste di una persona ubbriaca e sconveniente vestita di un'uniforme, che io ho l'onore non solo di portare ma anche di avere inventato, — l'uniforme, signore, del Circolo Pickwick di Londra. Io mi sento in dovere di mantenere l'onore di quell'uniforme, epperò, senza chiedere altro, accettai la sfida che mi portavate.
— Mio caro signore, — disse il piccolo dottore porgendogli la mano, — io stimo grandemente il vostro valore. Permettetemi, signore, di esprimervi tutta la mia ammirazione per la vostra condotta, e sono dolentissimo di avervi procurato il disturbo di questo incontro senza scopo di sorta.
— Vi prego, signore, di non parlarne neppure, — disse il signor Winkle.
— Sarò superbo della vostra amicizia, signore, — disse il piccolo dottore.
— Sarò lietissimo di fare la vostra conoscenza, signore, — disse il signor Winkle.
Dopo di che il dottore e il signor Winkle si strinsero la mano, e poi il signor Winkle e il luogotenente Tappleton (secondo del dottore), e poi il signor Winkle e il signore dallo sgabello, e finalmente e sempre il signor Winkle e il signor Snodgrass; quest'ultimo in un eccesso di ammirazione per la nobile condotta del suo eroico amico.
— Si potrebbe andar via, mi pare, — disse il luogotenente Tappleton.
— Certamente, — rispose il dottore.
— A meno che, — venne su il signore dallo sgabello, — a meno che il signor Winkle non si senta offeso dalla sfida; nel qual caso mi permetto di fare osservare che egli ha diritto ad una riparazione.
Il signor Winkle, con grande abnegazione, si dichiarò pienamente soddisfatto.
— O anche, — riprese il signore dallo sgabello, — il secondo del signore potrebbe chiamarsi offeso di alcune osservazioni che sono sfuggite a me sul principio di questo scontro; se la cosa sta così, io sarò lieto di dare a lui soddisfazione immediatamente.
Il signor Snodgrass si affrettò a professarsi obbligatissimo alla graziosa offerta del signore, offerta che la piena soddisfazione di tutto l'affare gl'impediva di accettare. I due secondi aggiustarono e chiusero le scatole, e tutta la brigata lasciò il terreno molto più allegramente che non vi fosse venuta.
— Vi trattenete qui a lungo? — domandò il dottor Slammer al signor Winkle, mentre se n'andavano amichevolmente insieme.
— Credo che partiremo domani l'altro.
— Spero che avrò il piacere di veder voi e il vostro amico a casa mia, e di passar con voi una piacevole serata, dopo questo malaugurato equivoco, — disse il piccolo dottore, — siete impegnati per questa sera?
— Abbiamo qui alcuni amici, — rispose il signor Winkle — e non vorrei veramente lasciarli soli stasera. Se non vi dispiace, voi e gli amici vostri potrete venir da noi, all'Albergo del Toro.
— Volentierissimo, — disse il piccolo dottore — sarebbe troppo tardi alle dieci, per una mezz'oretta?
— Oh no, vi pare! — disse il signor Winkle. — Sarò lietissimo di presentarvi ai miei amici Pickwick e Tupman.
— Ne avrò gran piacere, — rispose il dottor Slammer, poco sospettando chi fosse il signor
Tupman
— Venite di sicuro? — domandò il signor Snodgrass..
— Oh, senza dubbio.
Erano intanto arrivati sulla via maestra. Si accomiatarono con molta cordialità, e la brigata si sciolse. Il dottor Slammer e i suoi amici presero la volta del quartiere, e il signor Winkle con l'amico Snodgrass tornarono al loro albergo.
III.
Una nuova conoscenza — Storia del commediante. — Una ingrata interruzione ed uno spiacevole incontro.
Il signor Pickwick era stato in una certa apprensione per l'insolita assenza dei suoi due amici, nè aveva punto contribuito a rassicurarlo la loro misteriosa condotta di tutta la mattina. Si levò dunque con grandissimo piacere per salutarli, quando li vide entrare; e con vivo interesse s'informò della cagione che li avea tenuti lontani. In risposta alle sue domande su questo punto, il signor Snodgrass si disponeva a dare una storica relazione delle cose or ora narrate, quando s'ebbe ad arrestare di botto osservando che non solo erano presenti il signor Tupman e il compagno di viaggio del giorno innanzi, ma un altro forestiero di aspetto non meno notevole. Era un uomo che i pensieri ed i guai parevano avere invecchiato; dei lunghi capelli neri gli cadevano in disordine fino a metà del viso e faceano spiccare singolarmente degli occhi cupi ed infossati ed una faccia sparuta. Lo splendore e l'acutezza di quegli occhi erano quasi fuori del naturale; gli zigomi sporgevano; e le mascelle erano così larghe e pronunciate da far sospettare ch'egli, per una contrazione muscolare, assorbisse la carne dalle guance, se la bocca semiaperta e l'espressione impassibile non avessero dimostrato esser quello il suo aspetto ordinario. Portava attorno al collo una gran cravatta verde, le cui larghe estremità gli pendevano sul petto, e che si mostrava ad intervalli di sotto agli occhielli logori della sottoveste. Un lungo soprabito nero lo copriva; e di sotto un par di calzoni larghi di fustagno e delle grosse scarpe decrepite.
Su questa persona dallo strano aspetto l'occhio del signor Winkle si fermò, e il signor Pickwick fu pronto a presentarla, dicendo:
— Un amico del nostro amico qui. Abbiamo scoperto stamane che il nostro amico avea relazioni col teatro di qua, benchè non gli piaccia di farlo sapere a molti, e questo signore appartiene appunto all'arte drammatica. Egli si apparecchiava a favorirci un aneddoto di palcoscenico, quando voi siete entrato.
— Quanti ne volete degli aneddoti, — disse lo sconosciuto del giorno innanzi, avvicinandosi al signor Winkle, e parlando in tono basso e confidenziale. — Un bel tipo, fa le fatiche più grosse, non è attore, uomo strano, ogni sorta di disgrazie, Jemmy faccia da cataletto, così lo chiamano nell'arte.
Il signor Winkle e ll signor Snodgrass s'inchinarono cortesemente a questo signor Jemmy, e ordinato del ponce, ad imitazione del resto della compagnia, presero i loro posti intorno alla tavola.
— Ed ora, signore, — disse il signor Pickwick, — volete favorirmi il racconto ch'eravate sul punto di incominciare?
Il lugubre personaggio tirò fuori dalla tasca un rotolo molto sudicio di carta, e volgendosi al signor Snodgrass, che avea già posto mano al suo libro degli appunti, domandò con voce cupa, perfettamente consona all'aspetto:
— Siete voi il poeta?
— Ma.... così, scrivo qualche cosuccia, — rispose il signor Snodgrass, piuttosto imbarazzato da quella domanda direttagli a bruciapelo.
— Ah! la poesia è per la vita quel che sono i lumi o la musica per la scena. Strappate a questa i suoi falsi ornamenti ed all'altra le sue illusioni, e fatemi la finezza di dirmi quel che ci resta di reale e che ci possa premere.
— Verissimo, signore, — rispose il signor Snodgrass.
— Stare di qua dalla ribalta, — riprese a dire l'uomo lugubre, — è come lo stare a sedere ad una solennità di corte, ammirando le vesti di seta e la folla gaudente e sfarzosa; stare al di là, sulle scene, significa essere la gente che fabbrica quella vistosa ricchezza, gente sconosciuta e non curata, e lasciata a se stessa perchè nuoti od affoghi, viva o muoia di fame, al beneplacito della fortuna.
— Certamente, — disse il signor Snodgrass, il quale sentiva la necessità di dir qualche cosa, visto che l'occhio infossato di quel singolare individuo si fissava specialmente sopra di lui.
— Avanti, Jemmy, — disse il viaggiatore spagnuolo, niente brontolii, parla forte, svelto, silenzio.
— Volete prendere un altro bicchiere, prima d'incominciare? — chiese il signor Pickwick.
L'uomo-cataletto non si mostrò sordo all'invito, e dopo aver lentamente vuotato metà del suo bicchiere, svolse il rotolo di carta sudicia e un po' leggendo, un po' narrando, prese ad esporre il seguente incidente, che noi troviamo registrato negli Atti del Circolo sotto il titolo di Storia del commediante.
Storia del commediante.
“Non c'è nulla di meraviglioso nel racconto che vi farò — disse l'uomo lugubre; — e nemmeno di straordinario. La miseria e le malattie son cose tanto comuni, in molte classi sociali, che non possono meritare maggior attenzione che non si soglia dare a' casi quotidiani della vita umana. Ho buttato giù queste noterelle, poichè per molti anni ne ho conosciuto il protagonista. L'ho seguito passo passo nella sua discesa nell'abisso sino al punto in cui cadde nel primo stadio della miseria, dalla quale non si sollevò più mai.
“Quest'uomo adunque era un mimo, e, come tutte le genti di tal razza, un ubbriacone inveterato. Ne' bei giorni della sua vita, prima che il vizio e i malanni lo avessero indebolito, riscuoteva un buon salario; e se fosse vissuto con ordine e prudenza, avrebbe potuto serbarlo ancora per qualche anno; per qualche anno soltanto, poichè questa sorta di gente muoiono per tempo, o perdono almeno di buon'ora la forza fisica di cui abusano e che è l'unico merito loro. Egli si lasciò abbrutire così presto che fu impossibile di servirsene nelle parti in cui era veramente utile nel teatro. La taverna aveva per lui un'attrattiva alla quale non sapeva resistere. Le malattie e la povertà lo attendevano certamente con la morte, se avesse continuato in cotesta vita; e tuttavia egli andò avanti sempre allo stesso modo, e si può capire quel che ne seguì. Non trovò scritture e mancò di pane.
“Chiunque è un po' addentro nelle faccende teatrali sa qual nuvolo di cenciosi, di miserabili s'aggiri intorno ad un palcoscenico. Non sono attori regolarmente scritturati, ma comparse, giocolieri, pagliacci, e via dicendo, che si pigliano come a nolo in una pantomima o per una scena orientale, e poi son mandati via, fino a che qualche altro dramma spettacoloso non renda utili di nuovo i loro servigi. “A questa vitaccia s'avea dovuto dare il nostro uomo, e così, pigliando il suo posto tutte le sere in una di coteste baracche, si buscò un po' di spiccioli da potere alimentare le sue antiche inclinazioni. Ma anche questa risorsa gli venne subito meno. Le sue sregolatezze erano troppo frequenti, sicchè gli tolsero quel magro boccone ch'ei riusciva a strappare seralmente, e lo ridussero alla estrema miseria. Solo di tanto in tanto qualche suo compagno s'induceva a fargli un prestito da nulla, o qualche infimo teatro trovava d'occuparlo alla meno peggio. Tanto per mutare, anche questi guadagni erano spesi come una volta.
“Verso questo tempo, quando già egli avea vissuto per più d'un anno senza che si sapesse di che cosa, lo incontrai sulle scene di uno dei teatrini di là dal Tamigi, pel quale io aveva una piccola scrittura. Da parecchio tempo lo avevo perduto di vista, perchè io aveva fatto un giro per le provincie, ed egli era andato bighellonando pei trivi di Londra. Mi ero già vestito per andar via e traversavo appunto la scena, quando mi sentii picchiar sulla spalla. Non dimenticherò mai il senso di ripulsione che mi produsse la sua presenza. Era vestito da pagliaccio per la pantomima. Gli spettri della Danza dei Morti, le più spaventose figure che un abile pennello abbia mai tracciate sulla tela, erano nulla a petto a lui. Il corpo scheletrito e le gambe malferme, che la vistosità del costume facea spiccare singolarmente, gli occhi vitrei che orrendamente contrastavano con lo strato di bianco di cui la faccia era spalmata; la testa adornata di fronzoli, tremante per paralisi; le lunghe mani ossute tinte di calce; — tutto gli dava un aspetto ributtante, eccezionale, di cui nessuna descrizione potrebbe dare una giusta idea, o che anche adesso mi mette i brividi al solo pensarci. Avea la voce cupa e tremula. Mi tirò in disparte, e con parole tronche mi contò una serie interminabile di malanni e di privazioni, chiusa, come al solito, dalla urgente domanda che gli prestassi qualche cosa. Gli posi pochi spiccioli in mano, e nell'uscire che fece dal teatro, udii lo scoppio di risa che accoglieva il suo primo capitombolo sulla scena.
“Poche sere appresso, un ragazzo mi pose in mano un sudicio pezzetto di carta, sul quale erano scribacchiate poche parole con la matita, le quali dicevano che il mio uomo stava assai male, e mi pregava che dopo la recita andassi da lui, non mi ricordo più in che via, non molto distante dal teatro. Dissi che sarei andato, non appena sbrigato; e, calato che fu il sipario, mi avviai.
“Era tardi, perchè avevo recitato nell'ultima commedia e siccome era stata una serata a beneficio, lo spettacolo s'era protratto più del solito. Era una notte scura e fredda, con un vento umido e sottile che spingeva la pioggia contro i vetri delle finestre. In quei vicoli angusti e poco frequentati s'erano formate molte pozzanghere; e siccome molti di quei meschini lampioni ad olio erano stati spenti dalla violenza del vento, la passeggiata era non solo poco piacevole, ma anche pericolosa. Per buona sorte, avevo imbroccato la via, e dopo poca difficoltà riuscii a trovar la casa che mi era stata indicata — un deposito di carbon fossile, con sopra un sol piano, dove in una cameretta giaceva l'oggetto delle mie ricerche.
“Una donna dall'aspetto miserabile, la moglie del commediante, mi ricevette sulle scale, mi disse ch'egli s'era appena assopito, ed avendomi introdotto pian pianino, mi fece sedere su una sedia presso al suo letto. Egli aveva la testa volta contro il muro, e siccome non s'accorse lì per lì della mia presenza, ebbi tempo di osservare il luogo ove mi trovava.
“L'infermo giaceva sopra due poveri scanni. Dei lembi laceri di una vecchia tenda erano sospesi a capo del letto, come un riparo dal vento, il quale nondimeno entrava d'ogni parte in quella camera desolata, e ad ogni istante agitava la pesante cortina. Sur una graticola arrugginita e sconnessa bruciava lentamente della polvere di carbon fossile. Accanto, sur una vecchia tavola a tre piedi, v'erano parecchie boccette; uno specchio rotto e qualche altro utensile. Un fanciullo dormiva sopra un materasso steso per terra, e la madre gli sedeva accanto. Alcuni piatti, qualche tazza e certe scodelle ingombravano una coppia di scansie; di sopra erano appiccati de' fioretti con un paio di scarpe da teatro, e questi oggetti componevano il solo mobilio della stanza, senza contare tre fagottini di cenci gettati a casaccio in un canto.
“Mentre ch'io considerava questa scena di desolazione, e notava la respirazione stentata e i febbrili soprassalti del miserabile commediante, egli si voltava e rivoltava senza posa per trovare una positura men dolorosa. Una delle sue mani uscì dal letto e mi toccò; egli trasalì e mi guardò con occhi truci.
“— John, — gli disse la moglie, — è il signor Hutley che avete fatto chiamare stasera, vi ricordate?
“— Ah! — diss'egli passandosi la mano sulla fronte: è Hutley! Hutley! vediamo.
“Per qualche secondo parve sforzarsi di riunir le idee; poi, afferrandomi per le mani, esclamò:
“— Oh, non mi lasciate, amico mio! Ella mi assassinerà! Ne son certo.
“— È da molto tempo in questo stato? — domandai a quella donna, che piangeva. “— Da ieri sera, signore. John, John, non mi riconoscete più?
“Dicendo queste parole, si chinava sul letto, ma egli gridò con un impeto di paura: “— Non la lasciate avvicinare! Respingetela! Non posso vedermela accanto!
“Così parlando, la guardava con occhi smarriti e colmi di mortale avversione, poi mi disse all'orecchio:
“— Io l'ho battuta, Jem. Io l'ho battuta ieri ed altre volte ancora! Ora che son debole e senz'aiuto, ella m'ucciderà; così farà, questo è certo. Se come me e tanto spesso l'aveste intesa gemere e gridare, voi non ne dubitereste. Allontanatela!
Abbandonò la mia mano, e ricadde sul cuscino.
“Io comprendeva bene di che si trattava. Se avessi potuto dubitare un solo minuto, mi sarebbe bastato, per comprenderlo, un colpo d'occhio gettato sul pallido viso, sulle forme stecchite della povera moglie.
“— Fareste meglio a celarvi in disparte, — dissi all'infelice. — Voi non potete fargli del bene; forse sarà più calmo, se non vi vede.
“Ella si pose in un punto da non esser vista.
“In capo a qualche secondo, egli aperse gli occhi e si guardò intorno ansiosamente, domandando:
“— Se n'è andata?
“— Sì, sì, — gli dissi, — non vi farà male.
“— Vi dirò di che si tratta, — riprese egli con voce rauca. — Ella mi fa male! V'è qualche cosa negli occhi di lei che mi empie il cuore di paura e mi rende pazzo. Tutta la notte passata i suoi occhioni fissi e il suo pallido viso mi sono stati d'innanzi. Io mi volgeva e lei pure. Quando mi svegliavo d'un tratto, ella era là, vicina al mio letto e mi guardava.
“Poi si avvicinò ancora di più ed aggiunse con voce bassa, e tremante:
“— Jem, ella è il mio spirito maligno; un demonio. Zitto! Io ne son certo. S'ella fosse una donna, da quanto tempo sarebbe morta! Nessuna donna avrebbe potuto sopportar quello che ha sopportato lei!
“Io fremetti pensando alla lunga serie di disprezzi e di crudeltà di cui un tal uomo doveva essere colpevole per conservarne tale idea. Non potetti rispondere. Quale speranza, quale consolazione dare ad un essere così abietto?
“Restai là più di due ore, durante le quali egli si volse cento volte da una parte e dall'altra, abbandonando le braccia a dritta e a manca, e mormorando esclamazioni di pena e d'impazienza. Alla fine cadde in quello stato d'abbandono imperfetto quando l'anima erra penosamente di posto in posto, da scena a scena, senz'aiuto della ragione ma senza poter liberarsi d'un vago sentimento delle sofferenze presenti. Giudicando allora che il suo male non si aggraverebbe lì per lì, lo lasciai, promettendo a sua moglie di tornare la sera seguente e di passar la notte presso di lui, se fosse stato necessario. “Tenni la promessa. Le ventiquattr'ore trascorse avevano prodotto in lui uno spaventevole cambiamento. Gli occhi, profondamente incavati, brillavano d'un lampo orribile; le labbra erano secche e screpolate; la pelle luccicava, arida e scottante; in fine si vedeva su quel viso un'espressione d'ansietà feroce, che indicava ancor meglio il danno della malattia e che pareva non appartener più alla terra. La febbre lo divorava.
“Presi la seggiola su cui m'ero seduto la sera innanzi. Io sapeva ch'egli era moribondo:
l'avevo inteso dal medico. Restai là delle lunghe ore di notte, tendendo l'orecchio a suoni capaci di commovere le anime più dure. Erano le fantasie misteriose dell'agonia.
“Vidi le sue scarne membra, che poche ore prima si contorcevano per divertire la gaia folla, contorcersi fra le torture d'una febbre ardente. Intesi il riso acuto del pagliaccio mischiarsi al rantolo del moribondo.
“Gli è ben commovente seguire il pensiero d'un infermo che si finge tra le scene ordinarie della vita, tra le sue occupazioni d'un giorno, mentre il suo corpo ora è steso senza forza e senza moto innanzi a' vostri occhi. Ma questa impressione è cento volte più forte quando quelle occupazioni sono interamente opposte ad ogni idea grave e religiosa. Il teatro e la taverna erano i principali mezzi da svagare quell'infelice. Nel delirio egli credeva di dover recitare una parte quella notte stessa, ch'era tardi e che doveva uscir di casa lì per lì.
“ — Perchè lo rattenevano? Perchè gl'impedirebbero di partire? Avrebbe perduto il salario! Bisognava uscire! No, no! lo rattenevano!
“Nascondeva il viso fra le mani ardenti e gemeva sulla sua debolezza e sulla crudeltà de' suoi persecutori, Dopo un momento, intonava un ritornello da baccanti.
“D'un tratto si levò sul letto, stese le membra di scheletro, e si atteggiò in una posa grottesca. Era sulla scena: recitava. — Un po' di silenzio ancora, e mormorò un altro ritornello.
“Era giunto alla fine! Quanto era soffocante la sala! Egli era stato ammalato, molto ammalato; ma adesso si sentiva bene, era contento!
“— Riempite il bicchiere!... Chi me lo strappa dai denti?
“Era lo stesso persecutore che l'inseguiva.
“Ricadde sul cuscino e gettò de' sordi gemiti.
“Dopo un breve intervallo, si trovò errante in un labirinto inestricabile di camere oscure, le cui volte erano così basse che gli bisognava talora trascinarsi carponi per avanzare. Tutto era buio minaccioso; e da qualunque parte si voltasse, trovava pel cammino ostacoli spaventosi. Rettili immondi strisciavano intorno a lui; gli occhi luccicanti dardeggiavano fiamme in mezzo a tenebre palpabili che lo circondavano; le mura, a vôlte, l'aria stessa era avvelenata da insetti schifosi. D'improvviso le vôlte si espandono e diventano d'una grandezza maravigliosa; spettri orribili riddano da ogni parte, in mezzo ai quali egli vedeva apparire visi conosciuti, resi deformi da smorfie e contorsioni terribili. Que' fantasmi s'impadronirono di lui: gli bruciarono le carni con ferri roventi; gli strinsero delle funi intorno alle tempie, sino a farne spicciar sangue, e lo costrinsero a dibattersi violentemente per isfuggire alla morte che l'invadeva.
“Alla fine d'uno di questi parossismi, durante i quali avevo avuto un gran da fare per ritenerlo in letto, egli si abbandonò sfinito e cadde in una specie di assopimento. Stanco per le veglie e lo sforzo, avevo chiuso gli occhi da qualche minuto, quando intesi battermi violentemente sulla spalla; mi svegliai. Egli si era levato e seduto sul letto. Il viso era cambiato in guisa spaventosa; tuttavia il delirio era cessato, poichè certamente egli mi riconosceva. Il bambino, intimorito per sì gran tratta dalle fantasticherie del babbo, corse a lui gridando con terrore; ma la madre lo afferrò per le braccia d'un lampo, temendo che John non lo ferisse nella violenza de' suoi delirii; poi, notando il cambiamento de' suoi lineamenti, restò spaventata e immobile a piè del letto. Tuttavia egli stringeva convulsivamente la mia spalla; e battendosi con l'altra mano il petto, faceva orribili sforzi per parlare; ma invano. Stese le braccia verso sua moglie e il bambino; le labbra bianche gli si agitarono, ma non produssero che un rantolo affannoso, un gemito soffocato; gli occhi brillarono ancora un istante, poi ricadde all'indietro... Morto.”
Sarebbe motivo per noi di grande soddisfazione il poter riferire qui l'opinione del signor Pickwick intorno all'aneddoto precedente. E l'avremmo senz'altro presentata ai lettori, se non fosse stato per una disgraziatissima congiuntura
Il signor Pickwick avea posato sulla tavola il bicchiere che, durante le ultime sentenze del racconto, avea tenuto in mano; e proprio in quel punto s'era determinato a parlare — abbiamo anzi l'autorità del libro di appunti del signor Snodgrass per attestare ch'egli aveva aperta la bocca — quando il cameriere si mostrò sulla soglia, annunziando:
— Dei signori, signore.
È da congetturare che il signor Pickwick fosse in procinto di dar vita ad alcune osservazioni che avrebbero illuminato il mondo se non il Tamigi, quando così bruscamente fu interrotto; poichè egli si volse con una severa occhiata al cameriere, e poi guardò intorno a tutti come per prender conto dei nuovi venuti.
— Oh! — disse il signor Winkle alzandosi, — degli amici miei; fateli passare. Persone amabilissime, — aggiunse poi quando il cameriere fu andato via, — ufficiali del 97°, di cui ho fatto stamane la conoscenza in un modo piuttosto strano. Vi piaceranno molto.
L'equanimità del signor Pickwick rivenne subito a galla. Il cameriere tornò, e tre gentiluomini entrarono dopo di lui.
— Il luogotenente Tappleton, — disse il signor Winkle facendo le debite presentazioni — il luogotenente Tappleton, il signor Pickwick; il dottor Payne, il signor Pickwick; il signor Snodgrass lo conoscete già da stamane; il mio amico Tupman, il dottor Payne; il dottor Slammer, il signor Pickwick, il signor Tupman, il dottor Slam...
Qui il signor Winkle si fermò di botto; perchè una forte emozione era visibile sul volto così del signor Tupman, come del dottore.
— Ho già altra volta incontrato questo signore, — disse il dottore con enfasi.
— Davvero? — esclamò il signor Winkle.
— Ed anche... anche quell'individuo lì, se non m'inganno, — riprese il dottore, abbassando un'occhiata indagatrice sullo sconosciuto dall'abito verde. — Mi pare di aver fatto ieri sera a cotesto individuo un invito molto pressante, che egli trovò opportuno di declinare. — Così dicendo il dottore guardò sdegnosamente allo sconosciuto, e disse alcune parole all'orecchio del suo amico luogotenente Tappleton.
— Davvero! — disse questi quando il dottore ebbe parlato.
— Proprio, sul serio, — rispose il dottor Slammer.
— Dovete senz'altro prenderlo a calci adesso adesso, — borbottò il proprietario dello sgabello con grande importanza.
— Chetatevi, Payne, — venne su il luogotenente. — Permettete che io vi domandi, signore, — disse poi volgendosi al signor Pickwick, il quale non si raccapezzava a questa scena sconvenientissima, — permettete che io vi domandi, signore, se quell'individuo appartiene alla vostra brigata?
— No, signore, — rispose il signor Pickwick, — non è che un nostro commensale.
— È socio anch'egli del vostro Circolo? — domandò ancora il luogotenente.
— Certamente no, — rispose il signor Pickwick.
— E non porta mai l'uniforme del Circolo?
— No, mai! — rispose lo stupito signor Pickwick.
Il luogotenente Tappleton si voltò di nuovo al dottor Slammer, con una leggiera scrollatina di spalle, come per significare un suo dubbio sull'accuratezza della memoria dell'amico suo. Il piccolo dottore pareva esasperato ma confuso; e il signor Payne fissava con uno sguardo pieno di ferocia la serena fisionomia dell'inconscio signor Pickwick.
— Signore, — esclamò il dottore, volgendosi di botto al signor Tupman in un certo tono che fece trasalire questo degno uomo così visibilmente come se una mano maligna gli avesse ficcato uno spillo nel polpaccio della gamba, — siete stato al ballo quassù, ieri sera?
Il signor Tupman balbettò un debolissimo sì, senza togliere un sol momento gli occhi dal signor Pickwick.
— Quella persona lì vi accompagnava, — disse il dottore additando lo sconosciuto sempre impassibile.
Il signor Tupman ammise il fatto.
— Ora, signore, — disse il dottore allo sconosciuto, — vi domando ancora una volta, in presenza di questi signori, se vi piace darmi il vostro biglietto ed esser trattato da gentiluomo, o se volete mettermi nella necessità di castigarvi qui con le mie proprie mani?
— Un momento, signore, — disse il signor Pickwick; — davvero io non posso permettere che questa faccenda vada più oltre senza qualche spiegazione. A voi, Tupman, esponete i particolari del fatto.
Il signor Tupman, con tanta solennità apostrofato, espose il fatto in brevi parole; toccò appena dell'abito preso a prestito; si fermò non poco a far notare come la cosa fosse avvenuta dopo desinare; conchiuse con alcune parole di pentimento per conto proprio; e lasciò lo sconosciuto a sbrigarsene il meglio che potesse.
Egli era, a quanto pareva, sul punto di farlo, quando il luogotenente Tappleton, che in questo mentre l'aveva osservato con attenta curiosità, domandò con tono di grande disprezzo:
— Non vi ho già veduto a teatro, signore?
— Certamente, — rispose tranquillamente lo sconosciuto.
— È un commediante, — disse il luogotenente con disprezzo, volgendosi al dottor Slammer.
— Recita nella commedia che gli ufficiali del 52° mettono su domani sera al teatro di Rochester.
Non potete andare oltre in questo affare, Slammer, impossibile!
— Assolutamente! — disse il dignitoso signor Payne.
— Son dolente di avervi messo in questa disgraziata situazione, — disse il luogotenente Tappleton indirizzandosi al signor Pickwick; — permettetemi però di aggiungere che il miglior modo di evitare che si rinnovino di queste scene, è di essere più guardingo nella scelta dei vostri compagni. Buona sera, signore! — e il luogotenente voltò le spalle ed uscì dalla camera.
— E permettetemi di dirvi, signore, — disse l'irascibile dottor Payne, — che se io fossi stato nei panni di Tappleton, o in quelli di Slammer, vi avrei rotto il naso, signore, nonchè il naso di tutti quanti voi, uno per uno. Sicuro, proprio così. Mi chiamo Payne, signore; dottor Payne del 43°. Buona sera, signore.
E conchiuso così il suo discorso e pronunciate in una chiave molto alta le ultime tre parole, il dottor Payne seguì con passo maestoso le pedate del suo amico, e si tirò dietro il dottor Slammer, il quale non disse verbo, ma si contentò di annichilire la brigata con una semplice occhiata
Durante tutte queste provocazioni, uno stordimento maraviglioso ed una rabbia crescente aveano gonfiato il nobile seno del signor Pickwick sino al punto di fargli quasi scoppiare la sottoveste. Restò come inchiodato al suolo, guardando nel vuoto, e non fu richiamato a se stesso che dal rumore che fece la porta chiudendosi. Si slanciò con le furie nel viso e le fiamme negli occhi. Avea già posto la mano sulla serratura; un altro minuto, e quella stessa mano avrebbe afferrato alla gola il dottor Payne del 43°, se il signor Snodgrass trattenendo per la falda del soprabito il suo riverito condottiero non lo avesse a forza tirato indietro.
— Trattenetelo, per carità! — gridò il signor Snodgrass, — Winkle, Tupman, trattenetelo!
Egli non deve mettere a repentaglio la sua nobile esistenza per una causa come questa.
— Lasciatemi! — disse il signor Pickwick.
— Tenetelo fermo! — gridò il signor Snodgrass; e mediante gli sforzi combinati di tutta la brigata, il signor Pickwick fu sprofondato in una poltrona
— Lasciatelo stare, — disse lo sconosciuto dall'abito verde. — Un sorso di ponce. Stomaco leonino, vecchio arzillo, bravo. Giù! bevanda impareggiabile.
Avendo prima assaggiato la bontà della bevanda preparata dall'uomo-cataletto, lo sconosciuto accostò il bicchiere alle labbra del signor Pickwick, e vuotò da sè in un batter d'occhio il resto del contenuto.
Vi fu una breve pausa. L'acquavite nell'acqua avea fatto il suo effetto; l'amabile fisionomia del signor Pickwick tornava a splendere dell'usata sua luce.
— Non sono degni della vostra attenzione, — disse l'uomo-cataletto.
— Avete ragione, signore, — rispose il signor Pickwick, — non ne sono degni; mi vergogno anzi di essermi lasciato trasportare dal calore dei miei sentimenti. Accostatevi alla tavola, signore.
L'uomo lugubre obbedì: di nuovo si fece circolo intorno alla tavola, e il buon accordo fu ristabilito. Un residuo d'irritazione faceva capolino di tratto in tratto negli occhi del signor Winkle, dovuto probabilmente al prestito temporaneo dell'uniforme, benchè non si possa ragionevolmente supporre che una circostanza di così poco conto avesse acceso un sentimento di sdegno, anche passeggiero, in un seno pickwickiano. Meno questa nuvoletta, il buon umore tornò a regnare, e la serata fu chiusa con la medesima cordialità con la quale era stata aperta.
IV.
Rivista e bivacco. Nuovi amici, ed un invito in campagna.
Non pochi autori hanno una certa ripugnanza, non so se più ridicola o disonesta, a riconoscere le fonti alle quali attingono le loro migliori informazioni. Noi non facciamo che studiarci di compiere onorevolmente i doveri che ci sono imposti dalla nostra qualità di editori; e qualunque ambizione avremmo potuto sentire in altre congiunture nel far valere un titolo alla diretta paternità di queste avventure, l'amore che portiamo alla verità c'impedisce di far valere ogni altro merito che non sia quello della loro giudiziosa disposizione ed esposizione fedele. Le carte del Circolo Pickwick sono le nostre sorgenti, e noi possiamo essere paragonati ad una compagnia di esplorazione. I lavori altrui ci hanno preparato un grandioso serbatoio di fatti importanti. Noi non facciamo che distenderli, e comunicarli via via per un canale limpido e piano, al mondo assetato di notizie pickwickiane.
Animati da questo spirito e fermi nel nostro proposito di riconoscerci debitori delle autorità che abbiamo consultato, diciamo francamente che al libro di appunti del signor Snodgrass dobbiamo i particolari riferiti in questo capitolo e nel seguente; particolari che — sgravata così la nostra coscienza — verremo ora esponendo senza commenti ulteriori.
L'intiera popolazione di Rochester e delle città circonvicine si levò di buon'ora dai suoi letti il giorno appresso, in uno stato d'insolita confusione e di eccitamento. Una grande rivista militare doveva aver luogo. Una mezza dozzina di reggimenti avrebbero manovrato sotto gli occhi aquilini del comandante in capo. S'erano costruite delle fortificazioni temporanee, la cittadella doveva essere attaccata e presa, ed in ultimo si sarebbe messo fuoco ad una mina.
Il signor Pickwick, come il lettore avrà potuto argomentare dal breve estratto recato più su della sua descrizione di Chatham, era un ammiratore entusiasta dell'esercito. Nessun altro spettacolo gli sarebbe giunto più gradito di questo; e nient'altro avrebbe potuto così bene accordarsi coi sentimenti dei suoi compagni. In conseguenza furono subito in piedi, e si avviarono al teatro dell'azione verso il quale si versava già da tutte le parti un nugolo di gente.
L'aspetto generale del campo mostrava chiaramente che la cerimonia imminente era delle più grandiose ed importanti. C'erano qua e là delle sentinelle per guardare il terreno riservato alle truppe, e sulle batterie parecchi domestici stavano di guardia ai posti per le signore. Dei sergenti correvano su e giù, con sotto il braccio registri rilegati in cartapecora, e il colonnello Bulder, a cavallo, in grande uniforme, galoppava ora da una parte ed ora dall'altra, e faceva rinculare il cavallo fra la calca dei curiosi, e lo facea volteggiare e corvettare, e gridava in modo allarmatissimo, con una voce terribile e strozzata, rosso come un tacchino, senza nessuna ragione plausibile. Degli ufficiali correvano avanti e indietro, prima comunicando col colonnello Bulder, poi dando ordini ai sergenti, e poi scappando in fretta; e perfino i semplici soldati guardavano di sotto al loro lucido cuoiame con un'aria di misteriosa solennità, che dimostrava abbastanza la specialità dell'occasione.
Il signor Pickwick e i suoi tre compagni presero posto nella prima fila della folla, e pazientemente stettero ad aspettare che le manovre incominciassero. La folla cresceva a tutti i momenti; e gli sforzi ch'essi dovevano fare, per non perdere la posizione guadagnata, li tennero sufficientemente occupati nelle due ore che seguirono. Una volta, per una subita spinta dalla parte di dietro, il signor Pickwick si trovava lanciato parecchi metri in avanti con una fretta ed una elasticità tutt'altro che conformi alla gravità del suo contegno; un'altra volta, gli spettatori erano pregati a dare indietro, ed allora, per avvalorare la preghiera, il calcio di un fucile cadeva sui piedi del signor Pickwick o gli veniva puntato in petto. Poi un gruppo di capi ameni a sinistra, dopo essersi spinti in massa da una parte come se qualcuno spingesse loro, ed avere spremuto il signor Snodgrass fino al grado estremo della tortura, gli domandavano in cortesia “che cos'è che lo faceva spingere”, e quando il signor Winkle avea sfogato la sua indignazione per questo assalto non provocato, una persona da dietro gli calcava il cappello sugli occhi pregandolo che gli facesse la finezza di mettersi la testa in saccoccia. Questi, ed altri tratti di spirito in azione, aggiunti all'assenza inesplicabile del signor Tupman (che era scomparso di botto e non era più reperibile), rendevano in complesso la loro situazione piuttosto incomoda che piacevole o desiderabile.
Alla fine corse fra la folla quel sordo mormorio che suole annunziare l'arrivo di una qualunque cosa aspettata. Tutti gli occhi si volsero dalla parte del forte. Pochi momenti di ansiosa aspettazione, e subito si videro sventolare delle bandiere, e luccicare delle armi ai raggi del sole: colonna su colonna si versarono sul campo. Le truppe fecero alto e si ordinarono; il grido del comando corse lungo le file; si udì un fragore generale di moschetti, quando si presentarono le armi, e il comandante in capo, accompagnato dal colonnello Bulder e da molti ufficiali, galoppò lungo la fronte. Le bande militari dettero dentro; i cavalli si alzarono su due piedi, rincularono, dimenarono le code in tutte le direzioni; i cani latrarono, la folla levò le alte grida, le truppe stettero ferme, e dall'una e dell'altra parte fin dove l'occhio poteva giungere non si vide che una estesa prospettiva di tuniche rosse e di calzoni bianchi, fissi ed immobili.
Il signor Pickwick era stato occupato a tenersi ritto e a strigarsi, quasi miracolosamente, dalle gambe dei cavalli, da non aver agio per osservare la scena che gli stava davanti fino a che non ebbe preso l'aspetto che abbiamo appunto descritto. Quando gli riuscì finalmente di star fermo sulle gambe, il piacere e la soddisfazione che lo invasero non ebbero limiti.
— Ci può essere niente di più bello? — domandò egli al signor Winkle.
— Niente, — rispose questi, il quale per un quarto d'ora avea tenuto un omicciattolo sui piedi.
— È uno spettacolo veramente nobile e brillante, — disse il signor Snodgrass, nel cui seno erompeva una subita fiamma di poesia, — il vedere i bravi difensori della patria schierati in bell'uniforme davanti ai pacifici cittadini; coi volti raggianti, non già di bellicosa ferocia, ma di gentilezza civile; cogli occhi fiammeggianti, non già del fuoco distruttore della rapina e della vendetta, ma della dolce luce dell'umanità e dell'intelligenza.
Il signor Pickwick entrò pienamente nello spirito di questo elogio, ma non potette farvi eco; perchè la dolce luce dell'intelligenza splendeva piuttosto debolmente negli occhi dei guerrieri, essendo proprio in quel punto dato il comanda di fisil: sicchè non poteva veder altro lo spettatore che parecchie migliaia di occhi spalancati e vacui, affatto spogliati di ogni qualunque espressione.
— Siamo in una magnifica posizione, — disse il signor Pickwick, guardandosi intorno. La folla s'era a poco a poco diradata ed essi erano rimasti quasi soli. — Magnifica! — esclamarono ad una voce Snodgrass e Winkle.
— O che fanno adesso? — domandò il signor Pickwick, aggiustandosi gli occhiali.
— Credo.... mi pare, — disse il signor Winkle mutando di colore, — mi pare che stiano per far fuoco.
— Eh via, che dite! — esclamò in fretta il signor Pickwick.
— Ma.... davvero lo credo anch'io, — aggiunse il signor Snodgrass, preso da una certa agitazione.
— Impossibile, — replicò il signor Pickwick. Ma aveva appena pronunciata questa parola, quando tutti i sei reggimenti abbassarono i fucili come se non avessero che una sola mira, e fecero la più terribile e spaventosa scarica, che mai abbia scosso la terra fin nel suo centro o un gentiluomo attempato fuori del suo.
Fu appunto in questa critica posizione, esposto ad un fuoco di fila di cartuccie e stretto dalle varie evoluzioni delle truppe di cui un novello corpo era già sceso in campo dalla parte opposta, che il signor Pickwick spiegò quella perfetta calma e padronanza di sé, che sono le qualità insite di un animo grande. Egli afferrò il signor Winkle pel braccio, e ponendosi tra lui e il signor Snodgrass, li pregò vivamente di ricordarsi che, oltre alla eventualità di essere assordati dal fracasso, non c'era in effetto altro pericolo da temere in seguito di quella scarica.
— Ma.... ma supposto che qualche soldato abbia, per una svista, caricato a palla, — notò il signor Winkle, pallido alla sua stessa supposizione — Ho udito una specie di sibilo per l'aria, proprio adesso, vicino all'orecchio.
— Non sarebbe bene che ci gettassimo faccia a terra — disse il signor Snodgrass.
— No, no, oramai è passata, — rispose il signor Pickwick. Poteva tremare il suo labbro, poteva impallidire la sua guancia, ma non una sola espressione di paura o di sospetto sfuggiva dalla bocca di quest'uomo immortale.
Il signor Pickwick aveva ragione. Il fuoco cessò; ma non ancora aveva egli finito di congratularsi dell'accuratezza del suo modo di vedere, che un rapido movimento fu visibile nella linea: la voce roca del comando la percorse tutta, e prima che alcuno della brigata potesse formarsi una qualunque idea della novella manovra, l'intiera massa dei sei reggimenti, baionette in canna, caricò a passo accelerato proprio verso il punto preciso che il signor Pickwick e i suoi compagni occupavano.
L'uomo è mortale, questo si sa; e vi è un punto oltre il quale non può andare il coraggio. Il signor Pickwick guardò per qualche istante attraverso gli occhiali alla massa compatta che s'avanzava; e poi, senza più, volse le spalle e.... non diremo fuggì — in primo luogo perchè la parola è ignobile, e in secondo, perchè la figura del signor Pickwick non si adattava per nessun verso a questa maniera di ritirata — e si allontanò al trotto, con quel tanto di rapidità che gli consentivano le gambe; la quale nondimeno fu bastevole a non farlo accorto pienamente della sua critica posizione, se non quando era già troppo tardi.
Le truppe venute testè in campo dal lato opposto, che aveano gettato il signor Pickwick in una certa perplessità erano appunto destinate a respingere il simulacro di attacco dei finti assalitori della cittadella; e la conseguenza fu questa che il signor Pickwick e i suoi compagni si trovarono subitamente rinchiusi fra due linee di sterminata lunghezza; l'una che s'avanzava a passo accelerato, l'altra che aspettava a piè fermo ed in atto ostile l'urto nemico.
— Ohi! — gridarono gli ufficiali della linea che s'avanzava.
— Levatevi di mezzo! — gridarono gli ufficiali dell'altra linea.
— Dove dobbiamo andare? — esclamarono gli agitati Pickwickiani.
— Ohi, ohi, ohi! — fu la sola risposta. Vi fu un momento di gran confusione, di vertigine, un rumore pesante di passi, una confusione violenta, delle risa soffocate — e i sei reggimenti erano già lontani un cinquecento metri, e le suole degli stivali del signor Pickwick erano levate in aria.
I signori Snodgrass e Winkle avevano ciascuno eseguito uno svelto capitombolo, quando il primo oggetto che colpì gli occhi del secondo, stando ancora seduto per terra e cessando di frenare con un suo fazzoletto di seta gialla tutta la rubiconda vitalità che gli usciva dal naso, fu appunto il suo venerato condottiero ad una certa distanza che correva dietro il proprio cappello, il quale se n'andava allegramente saltellando nella lontana prospettiva.
Pochi momenti vi sono nella vita di un uomo, nei quali sia così ridevole il suo imbarazzo e così scarsa in altri la commiserazione, come quando egli si trova ad inseguire il suo cappello. È indispensabile, in questa operazione del ricuperare un cappello volato via, una forte dose di freddezza e un grado speciale di giudizio. Non bisogna essere frettoloso, nè precipitarvisi sopra; nè d'altra parte si deve cadere nell'estremo contrario e rischiare di perderlo a dirittura. Il miglior mezzo è questo: di tener dietro dolcemente all'oggetto che si ha in mira, di essere vigile e cauto, di attendere il destro, avanzarlo di qualche passo, far poi una subita diversione, afferrarlo, e cacciarselo in capo solidamente: e tutto questo, sorridendo sempre con una certa grazia, come se la cosa vi paresse il giuoco più piacevole di questo mondo.
Spirava un bel venticello, ed il cappello del signor Pickwick se n'andava rotolando e balzando allegramente. Soffiava il vento e soffiava il signor Pickwick, e il cappello seguitava a balzare e a rotolare come un pesce vivace nella corrente; ed avrebbe seguitato chi sa fin dove la sua corsa se non fosse stato provvidenzialmente arrestato, proprio nel punto che il signor Pickwick lo abbandonava al suo fato.
Il signor Pickwick, dicevamo, era completamente stremo di forze e stava per rinunciare alla sua caccia, quando il cappello fu sbattuto con alquanta violenza contro la ruota di una carrozza, che stava in riga con un'altra mezza dozzina di veicoli sul punto verso il quale i passi di lui erano diretti. Il signor Pickwick, scorgendo il suo vantaggio, si slanciò di botto, assicurò la sua proprietà, se la piantò in capo e sostò per riprender fiato. Non era stato così mezzo minuto, quando udì il suo nome pronunciato alto da una voce, che subito riconobbe per quella del signor Tupman, e alzando gli occhi fu colpito da una vista che lo colmò di sorpresa e di soddisfazione.
In una carrozza scoperta, dalla quale, a motivo della folla erano stati staccati i cavalli, stavano in piedi un vecchio e grosso signore in soprabito turchino e bottoni di metallo, calzoni di velluto e stivali a tromba, due signorine in piume e sciarpe, un giovanotto innamorato, a quanto pareva, di una delle due signorine in piume e sciarpe, una signora d'incerta età, probabilmente zia delle medesime, e il signor Tupman, così tranquillo e disinvolto come se avesse fatto parte della famiglia dai primi momenti della sua infanzia. Dietro la carrozza era strettamente legata una canestra di vaste dimensioni — una di quelle canestre che per una vaga associazione di idee non mancano mai di destare in una mente contemplativa visioni di polli rifreddi, lingue e bottiglie di vino — e a cassetta sedeva, in uno stato di profonda sonnolenza, un ragazzo grasso e rubicondo, che un arguto osservatore avrebbe subito riconosciuto pel dispensiere ufficiale del contenuto della canestra suddetta quando il tempo opportuno per la distribuzione di quello fosse arrivato.
Il signor Pickwick avea gettato un rapido sguardo su questi oggetti interessanti, quando fu di nuovo chiamato dal fedele discepolo.
— Pickwick, Pickwick! — gridò il signor Tupman, — salite qui, salite.
— Venite, signore, montate, vi prego, — disse il signore grosso. — Joe! maledetto ragazzaccio, s'è rimesso a dormire. Joe, abbassa il predellino.
Il ragazzo grasso discese lentamente dalla sua serpe, abbassò il predellino, e si fece da lato tenendo aperto lo sportello. I signori Snodgrass e Winkle arrivavano in questo momento.
— C'è posto per tutti, signori miei, — disse il signore dagli stivaloni. Due dentro e uno in serpe. Joe, tirati da parte per uno di questi signori. Andiamo, su! — e il grosso signore stese il braccio e tirò su a forza prima il signor Pickwick e poi il signor Snodgrass. Il signor Winkle montò in serpe, il ragazzo grasso gli si inerpicò a fianco ed immediatamente si riaddormentò.
— Or bene, signori, — riprese il vecchio signore, contentissimo di vedervi. Forse non vi ricordate di me, ma io vi conosco benissimo. Ho passato parecchie sere al vostro Circolo l'inverno scorso. Ho colto qui stamani il signor Tupman e m'ha fatto tanto piacere di vederlo. E così, come state? Avete la faccia della buona salute, perbacco!
Il signor Pickwick espresse le sue grazie e ricambiò al vecchio signore la sua stretta di mano.
— Bravissimo! e voi, signore, come state? (volgendosi al signor Snodgrass con paterna sollecitudine) Egregiamente, eh? bravo, bravo. E voi, signore? (al signor Winkle). Benissimo, tanto piacere di sentire che state bene. Tanto tanto piacere. Le mie figlie, signori, le mie ragazze; ed ecco qua mia sorella, la signorina Rachele Wardle. È signorina e non è signorina; eh, che vi pare?
E il grosso signore, ridendo di tutto cuore, ficcò scherzosamente il gomito fra le costole del signor Pickwick.
— Via, via, fratello! — disse la signorina Wardle con un sorriso supplichevole.
— È la verità, — riprese il grosso signore, — e nessuno può negarla. Scusate, signori; vi presento il mio amico signor Trundle. Ed ora che vi conoscete tutti, stiamo allegri e senza complimenti, e vediamo che si fa adesso; ecco quel che dico io.
E il vecchio signore si mise gli occhiali, e il signor Pickwick sfoderò il suo cannocchiale, e tutti stettero in piedi nella carrozza, guardando l'uno di sopra le spalle dell'altro alle evoluzioni militari.
Mirabili evoluzioni erano queste. Una fila tirava di sopra alle teste di un'altra fila e scappava via; e poi l'altra fila tirava di sopra alle teste di un'altra fila, e scappava via alla sua volta; e poi si formavano quadrati con gli ufficiali nel centro; e poi si scendeva nelle trincee da una parte con apposite scale, e si ascendeva dall'altra parte col medesimo mezzo, e si abbattevano barricate di canestre, e la condotta generale delle truppe era delle più coraggiose che si possano immaginare. Sulle batterie i cannonieri ficcavano in enormi cannoni strofinacci immani e pestelli giganteschi, e vi era tale preparazione per caricarli e tanto fracasso quando sparavano, che l'aria intorno risuonava delle alte grida delle signore. Le signorine Wardle erano così spaventate, poverine, che il signor Trundle fu assolutamente obbligato a sostenerne una, mentre il signor Snodgrass sosteneva l'altra; e la sorella del signor Wardle fu presa da un tale attacco di nervi, che il signor Tupman riconobbe l'urgente necessità di cingerle con un braccio la vita per non farsela cadere addosso. Tutti erano eccitati, meno il ragazzo grasso, il quale se la dormiva saporitamente come se il tuonar del cannone fosse stata la sua ninnanna.
— Joe, Joe! — gridò il vecchio signore, quando la cittadella fu presa, e assedianti e assediati sedettero insieme a desinare. — Maledetto ragazzo, s'è addormentato di nuovo. Fatemi la finezza di pizzicarlo, signore; alla gamba, sapete; non c'è altro per destarlo; così, grazie. Apri la canestra, Joe.
Il ragazzo grasso, che in effetto era stato scosso dalla compressione di una parte della sua gamba fra l'indice e il pollice del signor Winkle, discese di nuovo dalla cassetta, e si mise a sciogliere la canestra con maggiore sveltezza che dalla sua prima indolenza non si potesse aspettare.
— Ora, ci dobbiamo un po' stringere, — disse il signore grasso. E dopo molti scherzi sullo spremere delle braccia delle signore, e molti rossori alla giocosa proposta che le signore si mettessero a sedere sulle ginocchia degli uomini, tutta la brigata fu insaccata nella carrozza; e il signore grasso procedette a distribuire il contenuto della canestra, pigliandolo dalle mani del ragazzo grasso ch'era montato apposta di dietro.
— Adesso, Joe, coltelli e forchette.
I coltelli e le forchette furono distribuiti e le signore e i signori di dentro, e il signor Wardle a cassetta, furono tutti favoriti di questi utili strumenti.
— I piatti, Joe, i piatti.
E il medesimo processo fu seguito nella distribuzione delle maioliche.
— Adesso, Joe, i polli. Maledetto ragazzo, s'è addormentato da capo. Joe, Joe! — (Vari colpi sulla testa con un bastone, e il ragazzo grasso, con qualche difficoltà, si scosse dalla sua letargia). — Via, date qua i commestibili.
C'era qualche cosa nel suono di quest'ultima parola, che valse a destare completamente il ragazzo dormiglione. Balzò in piedi; e i suoi occhi imbambolati, mezzo affondati nelle guance paffute, si accesero di orrida luce fissandosi sul cibo, via via che lo tirava fuori dalla canestra.
— Su, svelto, — disse il signor Wardle, vedendo il ragazzaccio che se ne stava in muta contemplazione sopra un cappone dal quale sembrava assolutamente inabile a separarsi. Il ragazzo sospirò profondamente e, dando un'occhiata tenera a quella simpatica grassezza, lo consegnò di mala voglia al suo padrone.
— Bravo, così, e svelto. Adesso la lingua; il pasticcio. Bada al vitello e al prosciutto; occhio ai gamberi, togli l'insalata dal tovagliolo, dà qua il condimento.
Tali furono gli ordini che uscirono uno sull'altro dalla bocca del signor Wardle, mentre egli passava nella carrozza le varie vivande descritte, e metteva piatti nelle mani di tutti e sulle ginocchia di tutti, in numero infinito.
— Delizioso, eh? domandò poi quando si dette mano all'opera di distruzione.
— Deliziosissimo! — esclamò il signor Winkle, che scalcava un pollo a cassetta.
— Un bicchiere di vino?
— Obbligatissimo, con piacere.
— Non è meglio che vi pigliate una bottiglia per voi?
— Troppo buono, grazie.
— Joe!
— Sissignore. (Non dormiva questa volta, essendo riuscito in quel punto a sottrarre un pasticcetto di vitello).
— Una bottiglia di vino al signore in serpe. Al piacere del nostro incontro, signore.
— Grazie.
Il signor Winkle vuotò il bicchiere e si posò la bottiglia accanto.
— Vorreste farmi il piacere?... — disse il signor Trundle al signor Winkle.
— Volentierissimo, — rispose il signor Winkle al signor Trundle. E trincarono insieme, e poi bevvero tutti, non escluse le signore.
— Come fa la vezzosa quella cara Emilia col signore forestiero! — bisbigliò all'orecchio del fratello Wardle la zia ragazza con vera invidia di zia ragazza.
— Oh, so di molto io! — disse il vecchio signore. — Cosa naturalissima, mi pare. Signor Pickwick, un po' di vino?
Il signor Pickwick, immerso in una accurata investigazione delle viscere del pasticcio, non se lo fece dire la seconda volta.
— Emilia mia, — disse la zia zitella con un'aria di protezione, — non parlate così forte, cara.
— Dio buono, zia!
— La zia e il vecchietto la vorrebbero tutta per sè, — bisbigliò la signorina Isabella Wardle all'orecchio della sorella Emilia. Le due signorine risero di cuore, e la zia si sforzò di fare il viso amabile, ma non vi riuscì.
— Hanno tanta vivacità coteste ragazze! — disse la signorina Wardle al signor Tupman con tuono gentilmente pietoso, come se la vivacità fosse merce da contrabbando e il possederla senza una licenza in tutta regola fosse criminoso.
— Oh, sicuro che ne hanno! — rispose il signor Tupman, non dando quella precisa risposta che era aspettata — È un vero piacere.
— Eh, eh! — fece la signorina Wardle con una sua tosserella di dubbio.
— Permettete? — disse il signor Tupman, con la sua voce più insinuante, toccando con una mano il polso dell'incantevole Rachele, e con l'altra alzando la bottiglia. — Permettete?
— Oh, vi pare!
Il signor Tupman aveva una cert'aria molto efficace; e la signorina Rachele manifestò il suo timore che ci avessero ad essere altre scariche, nel qual caso, naturalmente, avrebbe di nuovo avuto bisogno di essere sorretta.
— Vi paiono graziose le mie care nipoti? domandò basso al signor Tupman la zia affettuosa.
— Mi parrebbero, se non fosse presente la zia, — rispose prontamente il Pickwickiano con un tenero sguardo
— Oh, cattivo! Ma davvero, se avessero la carnagione un tantino più chiara, non vi pare che sarebbero carine... al lume di candela?
— Sì, credo, — rispose il signor Tupman con aria indifferente.
— Ah, briccone! capisco quel che stavate per dire.
— Che cosa? — domandò il signor Tupman, il quale non stava veramente per dir niente.
— Stavate per dire che Isabella si curva un poco, non lo negate, via! Ebbene, sì, avete ragione; e certamente se c'è cosa che renda brutta una ragazza è questo difetto del curvarsi. Glielo dico sempre io, che quando si farà più grande, sarà orribile. Il fatto è che siete un birbone!
Il signor Tupman non aveva obbiezioni a buscarsi una riputazione a così buon mercato; sicchè fece un viso pieno d'intelligenza e sbozzò un sorriso misterioso.
— Che sorriso ironico! — esclamò la signorina Rachele; — davvero che voi mi fate una gran paura. — Io!
— Oh, non potete nascondermi niente, sapete. Io capisco benissimo che cosa vuol dire quel sorriso.
— Che cosa? — domandò il signor Tupman, che non lo sapeva lui stesso nemmen per ombra.
— Vuol dire, — disse l'amabile zia abbassando più la voce, — vuol dire che il curvarsi d'Isabella non vi pare così brutto come la prontezza di Emilia. Così è, non c'è che dire! Non vi potete figurare che pena mi fa qualche volta; arrivo a piangerne per ore ed ore. Quel caro uomo di mio fratello è così buono, così ingenuo, non vede mai nulla; se per poco se n'accorgesse, son certa che gli farebbe tanto male. Vorrei poter pensare che si tratti della sola apparenza, lo spero proprio! — (E qui l'amorosa zia emise un profondo sospiro e crollò la testa in aria desolata).
— Scommetto che la zia parla di noi, — bisbigliò la signorina Emilia alla sorella — Ne sono sicurissima; ha l'aria così maligna!
— Credi? — disse Isabella. — Zia, zia, cara!
— Sì, amore.
— Ho tanta paura che vi pigliate un'infreddatura: mettetevi un fazzoletto di seta sulla testa; abbiatevi cura, vi prego; considerate la vostra età!
Per meritata che fosse questa rappresaglia, era certamente la più fiera vendetta che si potesse escogitare. Nè c'è da indovinare in che forma di risposta si sarebbe sfogata l'indignazione della zia, se il signor Wardle non avesse involontariamente mutato il discorso, chiamando Joe con tutta la forza dei suoi polmoni.
— Maledetto ragazzo, s'è addormentato di nuovo!
— Davvero, un ragazzo straordinario, — disse il signor Pickwick; — dorme sempre a questo modo?
— Se dorme! — esclamò il vecchio signore. — Va per una commissione e dorme, serve a tavola e dorme.
— Strano davvero!
— Altro che strano! Io sono superbo di questo ragazzo; non lo darei per tutto l'oro del mondo. Perbacco, è una curiosità, capite! Joe, via questa roba, e dà qua un'altra bottiglia Joe!
Il ragazzo grasso si scosse, aprì gli occhi, ingoiò il pezzo di pasticcio che teneva in bocca nel punto che s'era addormito, e lentamente eseguì gli ordini del padrone, contemplando con aria cupida e molle i rimasugli del banchetto nel levare i piatti e rimetterli nella canestra. La novella bottiglia fu stappata e vuotata; la canestra fu legata al posto di prima; il ragazzo rimontò in serpe, gli occhiali e il cannocchiale furono aggiustati di nuovo, e le evoluzioni militari ricominciarono. Vi fu un gran buscherio di botte col relativo spavento delle signore, e poi, con soddisfazione generale, una mina scoppiò; e scoppiata che fu la mina, i militari si ritirarono e la brigata dei nostri amici seguì l'esempio dei militari.
— Sicchè, — disse il vecchio signore, conchiudendo con una buona stretta di mano una conversazione a sbalzi fatta col signor Pickwick durante l'ultima parte delle manovre, — sicchè, badiamo, vi farete veder tutti domani.
— Senza meno, — rispose il signor Pickwick.
— Avete l'indirizzo?
— Fattoria di Dingley Dell, — lesse il signor Pickwick nel suo libro d'appunti.
— Precisamente. E non vi lascio per una settimana, sapete; e fatevi il conto che dovete vedere tutto quanto c'è da vedere. Se siete venuti qui per un po' di vita campagnuola, ve ne darò finchè volete. Joe, maledetto ragazzo, s'è addormentato! Joe, dà una mano a Tom per attaccare i cavalli.
I cavalli furono attaccati, il cocchiere montò in serpe, il ragazzo grasso gli si appollaiò accanto, molti saluti si scambiarono, e la carrozza partì al trotto. Mentre i Pickwickiani si voltavano per darle un'ultima occhiata, i raggi del sole morente spandevano una luce rosata sui bei visi che la occupavano e cadevano in pieno sulle forme opulenti del ragazzo. Il quale aveva il mento sprofondato nel petto, e, tanto per mutare, dormiva
V.
Il quale, fra le altre cose, mostra nella sua brevità come il signor Pickwick prese a guidare e il signor Winkle a cavalcare, e come se la cavarono.
Il cielo era limpido e calmo, l'aria balsamica, ed ogni cosa intorno raggiava di bellezza mentre il signor Pickwick, appoggiato al parapetto del ponte di Rochester, contemplava la natura ed aspettava la colazione. E la scena era tale veramente, che un animo anche meno disposto alla contemplazione ne sarebbe stato commosso.
A sinistra dello spettatore ergevasi l'antica muraglia, rotta qua e là, e chinata con un suo fiero cipiglio sulla stretta baia sottostante. Dei ciuffi di alga pendenti dalle pietre smussate ondeggiavano al menomo soffio del vento, e i merli oscuri tristamente s'incoronavano di edera. Dietro questo muro sorgeva l'antico castello, colle torri sfondate, le mura crollanti, ma ancora bello della sua forza, del suo potere di un giorno, quando, settecento anni fa, risuonava biecamente di armi o si allegrava al rumore delle feste e dei canti. Dall'una o dall'altra parte, le rive della Medway, ricche di biade e di pascoli, variate qua e là da un mulino o da una chiesa; vasto e splendido paesaggio, colorato dalle ombre cangianti che rapidamente lo attraversavano a seconda delle prime nuvolette che brillavano e si dissolvevano ai raggi del sole mattutino. Il fiume, riflettendo l'azzurro limpido del cielo, scintillava di mille fuochi; e i remi dei pescatori rompevano in cadenza l'onda tranquilla che si portava lungo la corrente le loro barche pesanti ma pittoresche.
Un profondo sospiro e un lieve tocco sulla spalla destarono il signor Pickwick dalla dolce meditazione. Si voltò e si trovò faccia a faccia con l'uomo-cataletto.
— Contemplate questa scena? gli domandò l'uomo-cataletto.
— Sì, — rispose il signor Pickwick.
— E vi compiacete di esservi levato di così buon mattino?
Il signor Pickwick accennò di sì col capo.
— Ah! bisogna levarsi presto per vedere il sole in tutto il suo splendore, il quale non dura sempre per tutta la giornata. L'alba del giorno e l'alba della vita pur troppo si rassomigliano.
— Avete ragione, signore, — disse il signor Pickwick.
— Com'è comune l'adagio, — riprese a dire l'uomo-cataletto; — “è troppo bella la giornata perchè duri” e come si adatterebbe alla nostra esistenza di tutti i giorni! Che cosa non darei io per tornare ai giorni della mia fanciullezza o per dimenticarli in eterno!
— Avete menato una vita molto travagliata, — disse il signor Pickwick in tono di compassione.
— Molto, oh molto! Più di quanto si possa figurare chi mi vede adesso.
Tacque un momento, poi di botto domandò:
— V'è mai venuta l'idea, in una mattina come questa, che l'annegarsi potrebbe essere la felicità e la pace?
— Dio buono, no! — rispose il signor Pickwick, scostandosi un po' dal parapetto per un'istintiva apprensione che il suo interlocutore non l'avesse buttato di sotto in via di esperimento.
— Io ci ho pensato più di una volta, — disse l'altro senza badare a quell'atto — Mi pare che quell'acqua calma, fresca, vada mormorando un invito al riposo. Un tonfo, uno sprazzo, una breve lotta; nel primo momento si forma un vortice, poi l'onda s'increspa e gorgoglia; le acque si son chiuse sul vostro capo, e il mondo s'è chiuso per sempre sulle vostre miserie.
L'occhio infossato dell'uomo-cataletto brillava di fosca luce. Ma l'eccitazione fu momentanea. Egli fece per allontanarsi con molta calma, dicendo:
— Andiamo, basta così. Io volevo dirvi tutt'altra cosa. Ieri l'altro sera voi m'invitaste a leggere quel mio scartafaccio e mi ascoltaste attentamente.
— Sì, — rispose il signor Pickwick, — e certamente ho pensato...
— Non vi domando un parere, — lo interruppe quegli, — non ne ho bisogno. Voi fate un viaggio di svago e d'istruzione. Supponete ch'io vi dia un curioso manoscritto, non già curioso, badate bene, perchè strano od inverisimile, ma curioso come una pagina strappata al romanzo della vita. Lo comunichereste al Circolo di cui tante volte mi avete parlato?
— Certamente, — rispose il signor Pickwick, — se così vi piacesse; e sarebbe subito inserito negli Atti.
— Sta bene, lo avrete. Il vostro indirizzo?
Il signor Pickwick gli comunicò il loro probabile itinerario, e l'uomo-cataletto presane nota in un suo untuoso portafogli e rifiutato recisamente il cortese invito a colazione che gli faceva il signor Pickwick, voltò le spalle e si allontanò.
Il signor Pickwick trovò bell'e levati i suoi tre compagni che aspettavano lui per la colazione, la quale era già bandita ed aveva un aspetto molto tentatore. Si posero a tavola; e il prosciutto cotto, le uova, il tè, il caffè, eccetera, incominciarono a scomparire con una rapidità che dimostrava nel tempo stesso la squisitezza del cibo e il buon appetito dei consumatori.
— Ed ora, alla Fattoria, — disse il signor Pickwick — Come ci andremo?
— Sarebbe forse bene consultare il cameriere, — disse il signor Tupman.
Il cameriere fu chiamato.
— Dingley Dell, signori? quindici miglia, signori, per la scorciatoia. Carrozza di posta?
— Nella carrozza di posta non si va che in due, — notò il signor Pickwick.
— È vero, signore, domando scusa, signore. Una bella carrozza a quattro ruote, signore. Sedile per due persone, dietro, uno davanti pel signore che guida — oh! domando scusa, non si va che in tre.
— Che fare? — esclamò il signor Snodgrass.
— Forse ad uno dei signori piacerà andare a cavallo, — suggerì il cameriere, dando un'occhiata al signor Winkle; — ottimi cavalli da sella, signore; qualunque degli uomini del signor Wardle che viene a Rochester lo riporta indietro, signore.
— Egregiamente, — disse il signor Pickwick. — Winkle volete andare a cavallo?
Ora il signor Winkle, nelle più intime latebre del cuore, nutriva certi suoi gravi dubbi relativi alla sua abilità equestre; ma siccome per nulla al mondo avrebbe voluto che altri ne avesse sospetto, rispose subito con grande ardimento:
— Certamente, col massimo piacere.
Il dado era tratto; non c'era risorsa.
— Fateli venire alle undici, — disse il signor Pickwick.
— Benissimo, signore, — rispose il cameriere.
Il cameriere si ritirò, la colazione finì, e i viaggiatori salirono alle loro camere rispettive per preparare un po' di biancheria da portarsi per l'escursione imminente.
Il signor Pickwick avea già fatto i suoi preparativi e se ne stava a guardare dalla finestra del caffè la gente che passava, quando il cameriere venne ad annunziare che la carrozza era pronta; annunzio che fu subito confermato dall'apparizione della carrozza medesima dietro la finestra sullodata.
Era una curiosa scatola verde piantata su quattro ruote, con dietro un sedile basso per due, che pareva una tinozza per l'uva, e davanti un seggiolino aereo per uno. Era tirata da un immenso cavallo scuro, notevole per una stupenda simmetria di ossa. Un mozzo di stalla gli stava vicino tenendo per la briglia un altro cavallo immenso, — parente stretto, a quanto pareva, di quello della carrozza, — perfettamente sellato pel signor Winkle.
— Signore Iddio! — esclamò il signor Pickwick, mentre stavano ancora in terra e si mettevano i pastrani in carrozza, — Signore Iddio, chi è che deve guidare? A questo non ci avevo pensato.
— Oh, voi naturalmente! — disse il signor Tupman.
— Naturalmente, — ripetette il signor Snodgrass.
— Io! — esclamò il signor Pickwick.
— Niente paura, signore, — disse il mozzo. — Una pecora, signore; un bambino in fasce lo potrebbe guidare.
— Non è ombroso eh? — domandò il signor Pickwick.
— Ombroso? Non s'adombrerebbe se pure avesse ad incontrare un carico di scimmie con le code in fiamme.
A quest'ultima assicurazione non c'era da ribattere. I signori Tupman e Snodgrass montarono; il signor Pickwick s'inerpicò a cassetta, e pose i piedi sopra un apposito predellino coperto da un tappeto sdrucito.
— A te, bel Guglielmo, — disse il mozzo ad un suo sottoposto, — dà le guide al signore.
Il bel Guglielmo, così chiamato probabilmente pei suoi capelli grassi e la faccia untuosa, pose le guide nella mano sinistra del signor Pickwick e il mozzo in capo gli consegnò una frusta nella dritta.
— Ehi, ehi! — gridò il signor Pickwick, vedendo che l'immane quadrupede dimostrava una decisa inclinazione a rinculare nella finestra del caffè.
— Ehi! — echeggiarono Tupman e Snodgrass dal loro sedile.
— Niente, niente! uno scherzo, signori, — disse il mozzo in capo con tono incoraggiante, — tienilo un po', Guglielmo.
Il mozzo in seconda frenò l'impeto della bestia, mentre il suo superiore andava ad aiutare il signor Winkle a montare a cavallo.
— Dall'altra parte, signore, se non vi dispiace.
— Accidenti se il signore non voleva montare a rovescio, — bisbigliò un postiglione al cameriere che se la divertiva mezzo mondo.
Il signor Winkle, ricevute le debite istruzioni, s'arrampicò sulla sella, con la medesima difficoltà che avrebbe incontrato nel montare in groppa di una, fregata di prima classe.
— Tutto va bene? — domandò il signor Pickwick, con un intimo presentimento che tutto andava male.
— Tutto bene, — rispose debolmente il signor Winkle.
— Lascia andare! — gridò il mozzo — Tenetelo stretto, signore! — e via di conserva la carrozza e il cavallo da sella, col signor Pickwick davanti alla prima, e il signor Winkle in groppa al secondo, con soddisfazione e diletto ineffabile di tutta la gente della corte.
— Che cos'è che lo fa andar di fianco? — domandò il signor Snodgrass dalla scatola al signor Winkle sulla sella.
— Non capisco, — rispose questi. Il suo cavallo camminava in effetto in un modo assai misterioso, cioè tutto di traverso, con la testa da una parte della via e la coda dalla parte opposta.
Il signor Pickwick non era in grado di osservare questo od altri particolari, poichè tutte le sue facoltà erano assorbite dall'animale attaccato alla carrozza, il quale spiegava varie singolarità, molto interessanti per uno spettatore, ma niente affatto piacevoli per chi gli stava seduto dietro. Oltre allo scuotere continuamente la testa con gran fastidio di chi lo guidava e al tirar tanto le redini che a gran stento il signor Pickwick riusciva a tenerle in mano, aveva una strana propensione a gettarsi improvvisamente da un lato della strada, per poi fermarsi di botto e quindi slanciarsi avanti per qualche minuto con una furia che era assolutamente impossibile trattenere.
— Che vuol dir ciò? disse il signor Snodgrass, quando la bestia ebbe eseguito per la ventesima volta questa manovra.
— Non capisco, — rispose il signor Tupman; — mi pare che sia ombroso, o press'a poco.
Il signor Snodgrass stava per rispondere, quando un grido del signor Pickwick lo interruppe. — Oh, perbacco! M'è caduta la frusta.
— Winkle, — gridò il signor Snodgrass, mentre il cavaliere se ne veniva trottando sul suo immenso bucefalo, col cappello sulle orecchie, e scotendosi tutto come se la violenza di quell'esercizio stesse per ridurlo in frantumi. — Winkle, fate il piacere, raccattate la frusta.
Il signor Winkle tirò la briglia del cavallo gigante fino a diventar paonazzo; ed essendo finalmente riuscito a fermarlo, smontò, consegnò la frusta al signor Pickwick, e riafferrate le redini, fece per rimontare in sella.
Ora, o che il cavallo, per sua naturale disposizione umoristica volesse pigliarsi un po' di spasso innocente col signor Winkle, o che avesse pensato di poter fare il viaggio egualmente bene con o senza cavaliere, sono punti sui quali, come s'intende, non ci è dato venire ad una conclusione netta e precisa. Quali che fossero i suoi motivi, il fatto è che non sì tosto il signor Winkle avea toccato le redini, che l'animale vi passò di sotto la testa, e indietreggiò per quanto quelle eran lunghe.
— Povera bestia, — disse il signor Winkle con voce carezzevole, — povera bestia, buon vecchio animale! — Ma la povera bestia non era accessibile alle lusinghe; più tentava il signor Winkle di accostarsi, e più quella si cansava; e ad onta di tutti gli artifizi e le carezze, il signor Winkle e il cavallo non fecero che girare l'uno intorno all'altro per dieci minuti di fila, in capo ai quali ciascuno dei due si trovava precisamente al posto di prima. In somma, una disgraziata situazione in qualunque circostanza, ma specialmente sopra una strada solitaria dove non c'è da avere nessuna sorta di aiuti.
— Che debbo fare? — gridò il signor Winkle, quando questo giuoco fu durato un bel pezzo. — Che debbo fare? non mi riesce di pigliarlo.
— È meglio che lo meniate a mano fino a che non saremo arrivati ad una barriera — rispose dalla carrozza il signor Pickwick.
— Ma non vuol venire, capite, — tuonò il signor Winkle. — Venite voi e pigliatelo.
Il signor Pickwick era la vera personificazione della gentilezza e dell'umanità; gettò le guide sulle groppe del cavallo, e disceso che fu dal suo elevato seggiolino, accostò la carrozza alla siepe, per chi sa qualche altro veicolo avesse a sopravvenire, e tornò indietro per assistere il desolato compagno, lasciando soli nella loro tinozza i signori Tupman e Snodgrass.
Non appena il cavallo ebbe scorto il signor Pickwick avanzarsi alla sua volta con la frusta in mano, che subito mutò il movimento rotatorio, del quale fino a quel punto s'era compiaciuto, in un movimento retrogrado così determinato, che il signor Winkle attaccato ai capi delle guide fu trascinato con una certa rapidità verso il punto dal quale erano partiti. Il signor Pickwick corse in suo aiuto; ma più il signor Pickwick correva avanti e più la bestia correva indietro. Vi fu un grande scalpitio, un gran tirar di calci, ed un gran polverio; fino a che il signor Winkle, avendo le braccia quasi slogate, ebbe a lasciar presa. Il cavallo si chetò, sbarrò gli occhi, scosse la testa, voltò la schiena, e si avviò al piccolo trotto verso Rochester, lasciando il signor Winkle e il signor Pickwick a guardarsi in faccia l'un l'altro con la più profonda desolazione. Un rumore a breve distanza attrasse la loro attenzione. Alzarono gli occhi.
Potenzinterra! — esclamò fuori di sè il signor Pickwick, — ecco l'altro cavallo che se la batte!
Pur troppo era vero. L'animale s'era spaventato al rumore e si sentiva le guide sulla groppa. Si capisce subito quel che doveva avvenire. Pigliò a scappare tirandosi dietro la scatola, e i signori Tupman e Snodgrass nella medesima. La corsa fu breve. Il signor Tupman si slanciò nella siepe, il signor Snodgrass ne seguì l'esempio, il cavallo portò a sbattere la carrozza contro un ponte di legno, separò le ruote dalla cassa, e la tinozza dal seggiolino, — e finalmente si fermò sulle quattro zampe a contemplare la rovina che aveva fatto.
La prima cura dei due amici che stavano ancora ritti fu di strigare gli sventurati compagni dal loro ginepraio; operazione complicata che dette loro l'ineffabile soddisfazione di scoprire che non s'erano fatto alcun male, eccetto qualche strappo nei vestiti e varie lacerazioni nella pelle. La seconda cosa da fare era di staccare il cavallo e togliergli i guarnimenti. Compiuto tutto questo, la brigata si avviò a lenti passi, menando con sè il cavallo ed abbandonando la carrozza al suo fato.
Dopo un'ora di cammino arrivarono ad una miserabile osteria con davanti due olmi, una tina ed una insegna; di dietro, una o due mole rotte; di fianco un orto, e tutt'intorno, ammassate in una strana confusione, persiane rotte e imposte e impannate sfasciate. Un uomo dai capelli rossi lavorava nell'orto; e a lui appunto gridò il signor Pickwick:
— Ehi di casa!
L'uomo rosso si rizzò, e facendosi solecchio di una mano, guardò tranquillamente ed a lungo il signor Pickwick e i suoi compagni.
— Ehi di casa! — ripetette il signor Pickwick.
— Ohi! — rispose l'uomo dai capelli rossi.
— Quanto c'è di qui a Dingley Dell?
— Sette miglia avvantaggiate.
— È buona la strada?
— No, punto.
E data questa succosa risposta con un'altra sua occhiata indagatrice, l'uomo rosso si rimise al suo lavoro.
— Vorremmo lasciar qui questo cavallo, — disse il signor Pickwick; — possiamo, eh?
— Volete lasciar qui l'animale, volete? — domandò l'uomo rosso appoggiandosi al manico della vanga.
— Precisamente, — rispose il signor Pickwick, che s'era intanto avvicinato, menando il cavallo per la briglia, al cancello del giardino.
— Ohi, padrona! — gridò l'uomo rosso, uscendo dal giardino, e guardando fiso al cavallo, — padrona!
Una femmina alta ed ossuta, diritta come una colonna, con indosso una rozza mantelletta turchina, e con la vita che le scendeva appena un par di pollici di sotto le ascelle, rispose a quella chiamata.
— Potremmo lasciar qui questo cavallo, buona donna? — disse il signor Tupman avanzandosi e parlando nel tono più insinuante che sapesse. La donna squadrò con un'occhiata sospettosa i quattro viaggiatori, e l'uomo rosso le susurrò qualche cosa all'orecchio.
— No, — rispose dopo un momento, — ho paura io.
— Paura! — esclamò il signor Pickwick, — di che cosa ha ella paura costei?
— Ci dette troppo da fare l'ultima volta, — disse la donna tornando dentro. — e di questi impicci non ne voglio più sapere.
— Ecco la cosa più straordinaria che mi sia mai accaduta, — esclamò stupefatto il signor Pickwick.
— Credo.... credo veramente — bisbigliò il signor Winkle mentre gli amici gli si stringevano intorno, — credo che questa gente ci pigli per ladri.
— Come! — esclamò il Signor Pickwick con uno scoppio d'indignazione.
Il signor Winkle modestamente ripetette la sua supposizione.
— Ehi, quell'uomo! — gridò furioso il signor Pickwick, — vi credete forse che l'abbiamo rubato questo cavallo?
— Altro se lo credo, eh! — rispose l'uomo rosso con una sua smorfia che gli allargò la bocca da un'orecchia all'altra. E così dicendo, voltò le spalle e sbatacchiò loro la porta sul muso.
— Mi pare un sogno, — esclamò il signor Pickwick, — uno spaventevole sogno. Pensare soltanto di dover andar attorno una giornata intiera con un cavallaccio di cui non ci si può sbarazzare!
Gli abbattuti Pickwickiani ripresero tristamente la loro via, seguiti dalle pesanti pedate dell'immenso quadrupede, pel quale tutti oramai provavano il più profondo disgusto.
Era già verso sera quando i quattro amici e il loro compagno a quattro piedi imboccarono il viale che menava alla Fattoria; e benchè così prossimi alla meta, il piacere del viaggio fornito era di molto intiepidito dalla singolarità della loro apparenza e dall'assurda posizione nella quale si trovavano. Abiti laceri, visi graffiati, stivali impolverati, estenuazione generale, e, sopra ogni cosa, il cavallo. Oh, con che cuore il signor Pickwick mandava quel cavallo a tutti i diavoli! Di tanto in tanto avea gettato sul nobile animale qualche sua occhiata spirante odio e vendetta; più di una volta avea calcolato dentro di sè la spesa approssimativa che avrebbe potuto sopportare, segandogli a dirittura la gola; ed ora la tentazione di distruggerlo o di abbandonarlo al suo destino sulla faccia della terra, lo assalì dieci volte più forte. Fu destato da queste bieche meditazioni dal subito apparire di due figure umane ad un gomito del viale. Era il signor Wardle col ragazzo grasso, suo fido seguace.
— Dove diamine siete stati? — domandò il vecchio signore. — Tutt'oggi vi ho aspettati. Mi sembrate stracchi, eh? Come! anche delle graffiature? Niente di male, spero. Bravo, mi fa piacere, tanto piacere. Sicchè, la carrozza è ribaltata? Non importa. Casi frequenti da queste parti. Joe!
maledetto ragazzo, s'è addormentato. — Joe, piglia il cavallo da quel signore e portalo nella stalla.
Il ragazzo grasso, tenendo il cavallo per la briglia, si pose a seguirli molle e slombato; e il vecchio signore, cercando con buone parole di consolare i suoi ospiti di quella parte di disgrazie che a loro parve conveniente di rivelare, li menò tutti verso la cucina.
— Ci aggiusteremo un po' qui, — disse, — e poi vi presento su in salotto. Emma, tira fuori lo spirito di ciliege; a te, Giannina, un ago e un po' di filo; l'acqua e gli asciugamani, Mariuccia. Su, ragazze, svelte!
Tre o quattro ragazzotte ben pasciute si dispersero subito in cerca dei vari articoli richiesti, mentre due testoni e due faccioni di domestici dell'altro sesso sbucarono dal loro cantuccio presso il camino (perchè, quantunque in maggio, il loro attaccamento al fuoco di legna pareva così cordiale come se si fosse a Natale), e frugarono in certi oscuri ripostigli, dai quali trassero alla luce una bottiglia di grasso lucido e una mezza dozzina di spazzole.
— Su svelti! — disse da capo il vecchio signore. Ma l'esortazione era affatto superflua, perchè in meno di niente una delle ragazze versò lo spirito di ciliege, un'altra portò gli asciugamani, ed uno degli uomini, afferrando per una gamba il signor Pickwick a rischio di fargli perdere l'equilibrio, si diè a strofinargli lo stivale con tanta furia da fargli scottare i calli mentre il compagno, armato di una enorme spazzola, strigliava il signor Winkle con tutta la forza delle braccia, e faceva con la bocca quella specie di zufolio che è proprio dei mozzi di stalla quando sono intenti a questo ufficio dello strigliare una bestia.
Il signor Snodgrass, compiute le sue abluzioni, si mise con le spalle al fuoco, e centellinando sibariticamente il suo spirito di ciliege, diè un'occhiata complessiva alla stanza. Egli ce la descrive di vaste dimensioni, con mattoni rossi e gran cappa di camino; il soffitto ornato di prosciutti, code di cipolle e lardo. Le pareti erano decorate di varie fruste, due o tre briglie, una sella, e un vecchio schizzettone arrugginito, con sotto una scritta che diceva: Carico, — e doveva esserlo, a vederlo, almeno da un mezzo secolo. Un antico orologio, dall'aspetto tranquillo e solenne, palpitava sordamente in un angolo; ed un altro orologio d'argento, non meno antico, pendeva ad uno dei tanti uncini che erano attaccati al muro.
— Siamo pronti? — domandò il vecchio signore, quando i suoi ospiti furono ben lavati, rammendati, spazzolati e ristorati.
— Prontissimi, — rispose il signor Pickwick.
— Andiamo dunque! — E la brigata, dopo aver traversato varii corridoi ed essere stata raggiunta dal signor Tupman, che s'era indugiato alquanto per rubare un bacio a Emma, dalla quale era stato debitamente rimunerato con varii pugni e graffi, arrivò alla porta del salotto.
— Benvenuti! — disse il vecchio signore spalancandola e passando avanti per annunziarli, — benvenuti, o signori, a Dingley Dell.
VI.
Una partita a carte antiquata — i versi del prete — la storia del ritorno del forzato.
Molte persone raccolte nel vecchio salotto si levarono per far festa al signor Pickwick e agli amici suoi: e durante la formalità delle presentazioni, il signor Pickwick ebbe modo di osservare l'aspetto delle varie persone che gli stavano intorno, di studiarne i caratteri, d'indovinarne le inclinazioni, — abitudine, alla quale, come molti altri grandi uomini, egli si lasciava andare molto volentieri.
Una signora decrepita con una gran cuffia in capo e una veste di seta scolorita — nientemeno che la madre del signor Wardle — occupava il posto d'onore a dritta del caminetto; e vari certificati della sua buona educazione da giovanetta e della condotta eccellente che n'era stata la conseguenza, adornavano le pareti intorno, come a dire saggi calligrafici di vecchia data, paesaggi non meno antichi ricamati in lana e sottolumi di seta rossa alquanto più recenti. La zia, le due nipotine e il signor Wardle, gareggiando di zelo nelle cure affettuose per la vecchia signora, si stringevano intorno al seggiolone di lei, chi col corno acustico, chi con un'arancia, chi con una boccetta d'odori, mentre due altre mani si affaccendavano a sbattere e gonfiare i guanciali che le servivano di sostegno. Dal lato opposto sedeva un vecchio signore calvo, dalla fisonomia piena di serenità e di benevolenza, il parroco di Dingley Dell; ed accanto a lui sedeva sua moglie, una bella vecchia robusta e florida, la quale dava a vedere non solo di essere assai brava nella manipolazione dei cordiali domestici per soddisfazione altrui, ma di essere anche più brava nell'assaggiarli per soddisfazione propria. Un ometto stecchito e dal viso bucherellato conversava in un angolo con un vecchio corpulento; e due o tre altri vecchi con due o tre altre vecchie stavano ritti ed immobili sulle loro seggiole, fisando con molta curiosità il signor Pickwick e i suoi compagni di viaggio.
— Mamma, il signor Pickwick, — gridò il signor Wardle con quanto fiato aveva in corpo.
— Ah! — fece la vecchia crollando il capo, — non sento, eh!
— Il signor Pickwick, nonna! — strillarono a coro le due signorine nipoti.
— Ah! — fece di nuovo la vecchia signora. — Ebbene, non fa nulla. Non gli preme certo di una vecchia della mia fatta.
— Vi assicuro, signora — disse il signor Pickwick afferrando la mano della vecchia signora e parlando così forte che la sua dolce fisonomia ebbe a pigliare una tinta violacea, — vi assicuro, signora, che nessuna cosa al mondo mi piace più che il vedere una signora della vostra età a capo di una famiglia così bella, e con una cera così giovane e piena di salute.
— Ah! — esclamò la vecchia signora dopo una breve pausa; — tutte cose bellissime senza dubbio, ma io non sento niente.
— La nonna è un po' nervosa adesso, — disse a bassa voce la signorina Isabella Wardle; — ma da qui a poco vi rivolgerà la parola.
Il signor Pickwick con un semplice cenno del capo si mostrò inchinevolissimo a secondare le debolezze dell'età, ed entrò in una conversazione generale con le altre persone presenti.
— Bellissimo posto questo qui, — disse il signor Pickwick.
— Bellissimo! — fecero eco ad una voce i signori Snodgrass, Tupman e Winkle.
— Lo credo anch'io, eh! — disse il signor Wardle.
— Non c'è un posto migliore in tutta Kent, signore, — disse l'ometto dal viso bucherellato; — non ci è davvero; sono sicuro che non c'è, signore.
E l'ometto girò attorno un'occhiata di trionfo, come se qualcuno lo avesse vivamente contraddetto ed egli fosse riuscito in fin dei conti a farlo tacere.
— Non c'è un posto migliore in tutta Kent, signore, — ripetette l'ometto, dopo qualche minuto di silenzio.
— Meno i prati di Mullins, — osservò solennemente il signore corpulento.
— I prati di Mullins! — esclamò l'altro con profondo disprezzo.
Sicuro, i prati di Mullins! — ripetette il signore corpulento.
— Ottimi terreni quelli lì, — venne su un altro signore corpulento.
— O sì, non c'è che dire, — aggiunse un terzo signore corpulento.
— Sfido io! lo sanno tutti — disse il padrone di casa.
L'ometto butterato girò attorno uno sguardo dubbioso, ma trovandosi in minoranza, prese un'aria di compatimento e non aprì più bocca.
— Di che discorrono? — domandò la vecchia signora ad una delle nipotine con voce molto squillante; perchè, come sono molti sordi, essa non pareva mai tener conto della possibilità che altri l'udisse.
— Discorrono dei terreni, nonna.
— Che terreni? c'è qualcosa di nuovo?
— No, no. Il signor Miller diceva che le terre nostre qui sono migliori dei prati di Mullins.
— E che ne capisce lui? — esclamò indispettita la vecchia. — Miller è una zucca, ecco quel che è, e glielo potete dire che l'ho detto io.
Così dicendo, la vecchia signora, affatto ignara di avere assai più che bisbigliato, si raddrizzò sul suo seggiolone e guardò all'ometto delinquente con occhi che schizzavano rasoi affilati.
— Via, via, — disse il padrone di casa con una naturale ansietà di mutar discorso, — che direste, signor Pickwick, di una partita di whist?
— Col massimo piacere, — rispose il signor Pickwick, — ma non vorrei mica che metteste su un tavolino a posta per me.
— Oh, vi assicuro che la mamma ne va pazza; non è vero mamma?
La vecchia signora, che era molto meno sorda su questo soggetto che su qualunque altro, rispose subito di sì.
— Joe, Joe, — gridò il vecchio signor Wardle, — Joe! Maledetto... oh, eccolo; tira fuori i tavolini da giuoco.
Il letargico ragazzo si sforzò, senza aspettare altri stimoli, a situare i tavolini da giuoco; uno per la Papessa Giovanna e l'altro pel whist. I giocatori di whist erano il signor Pickwick e la vecchia signora, il signor Miller e il signore corpulento. Il giuoco in giro comprendeva il resto della compagnia.
Il whist procedette con tutta quella gravità e quella posatezza che giustificano il suo titolo (silenzio) e che fanno pensare quanto sia irreverente ed ignominioso l'averlo annoverato fra i giuochi. Il giuoco in giro dall'altra parte era così tumultuoso ed allegro da interrompere più di una volta le meditazioni del signor Miller, il quale non essendo assorbito fino al punto che avrebbe dovuto, ebbe a commettere diversi e non lievi crimini, che accesero terribilmente la rabbia del signore corpulento e destarono in proporzione il buon umore della vecchia signora.
— Ecco qua! — disse trionfalmente il colpevole Miller, raccogliendo le carte alla fine di una mano, — non si poteva giocar meglio, mi pare: impossibile di fare una base di più.
— Miller avrebbe dovuto tagliar quadri, non è vero, signore? — domandò la vecchia signora.
Il signor Pickwick assentì col capo.
— Proprio dovevo tagliare? — disse lo sciagurato, facendo un dubbioso appello al suo compagno.
— Sicuro che dovevate, — rispose il signore corpulento con voce terribile.
— Mi dispiace assai, — disse l'abbattuto Miller.
— Bella consolazione, — grugnì il signore corpulento.
— Due d'onori e ne abbiamo otto, — disse il signor Pickwick.
Un'altra mano.
— Potete farne una? — domandò la vecchia signora.
— Certamente, — rispose il signor Pickwick, — Doppio, semplice e il rub.
— Che detta! — esclamò il signor Miller.
Che carte! — borbottò il signore corpulento.
Seguì un solenne silenzio. Il signor Pickwick di buon umore, la vecchia signora seria, il signore corpulento arrabbiato e il signor Miller mortificatissimo.
— Un altro doppio, — esclamò la vecchia signora con aria trionfale, mettendo, in memoria del gran fatto, un sei pence e un mezzo penny senza impronta sotto il candeliere.
— È doppia, signore, — disse il signor Pickwick.
— Grazie, me n'ero accorto, — rispose il signore corpulento con rabbia concentrata.
Un'altra mano sortì effetti identici, con un rifiuto incidentale del disgraziato Miller, sul quale il signore corpulento versò un diluvio d'impertinenze che durarono fino alla fine del gioco, ritirandosi poi in un angolo e rimanendo muto come un pesce per un'ora e ventisette minuti. Dopo di che, emerse dall'ombra ed offrì al signor Pickwick una presa di tabacco col fare di un uomo che si fosse determinato ad un cristiano perdono delle offese. L'udito della vecchia signora migliorava sempre più, e l'infelice Miller si sentiva tanto fuori del suo elemento quanto un delfino in un casotto da sentinella.
Il giuoco in giro procedeva intanto con la medesima allegria. Isabella Wardle e il signor
Trundle facevano società, Emilia Wardle col signor Snodgrass facevano lo stesso, e perfino il signor
Tupman e la zia ragazza aveano stabilito una società di gettoni e di galanteria. Il vecchio signor Wardle non capiva nei panni dall'allegrezza; ed era così ameno nel tenere il banco, e le signore vecchie erano così avide di guadagnare, che tutta la tavola era un continuo frastuono di motti e di risa. C'era una vecchia signora che avea sempre da pagare una mezza dozzina di carte, destando così le risate di tutti; e quando la vecchia signora s'imbizziva per dover pagare, le risate si facevano più forti; al che la faccia della vecchia signora a poco a poco si rischiarava, e finiva anche lei per ridere più forte di tutti gli altri. Poi, quando alla zia ragazza toccava un matrimonio, le signorine tornavano a ridere, e la zia s'imbronciava; fino a che sentendosi stringere la mano di sotto alla tavola dal signor Tupman, si rischiarava anche lei, e faceva un certo viso come per dire che il matrimonio non era poi tanto lontano come qualche persona poteva credere; al che ciascuno rideva da capo, e specialmente il vecchio signor Wardle, il quale se la divertiva nè più nè meno che i più giovani della brigata. In quanto al Signor Snodgrass, non faceva altro che bisbigliare poetici sentimenti nell'orecchio della sua compagna, la qual cosa rendeva molto arguto e faceto un vecchio signore a proposito delle associazioni al giuoco e delle associazioni per la vita, e gli faceva fare varie riflessioni accompagnate da strizzatine d'occhio e colpi di tosse, che mettevano di ottimo umore tutta la brigata e specialmente la moglie del vecchio signore. E il signor Winkle veniva su ogni tanto con certi suoi motti spiritosi conosciutissirni in città e niente affatto conosciuti in campagna; e siccome tutti ne facevano le più grasse risate e dicevano che non c'era niente di simile, il signor Winkle raggiava di onore e di gloria. E il parroco benevolmente guardava attorno con occhio sereno; perchè i visi allegri che circondavano la tavola rendevano anche lui allegro; e benchè l'allegria fosse piuttosto rumorosa, pure veniva dal cuore e non dalle labbra; e questa è, in fin dei conti, la vera e buona allegria.
Fra questi passatempi, la serata passò assai presto; e dopo una cenetta sostanziosa e frugale, la brigata formò un circolo davanti al fuoco, e il signor Pickwick pensò di non essersi mai sentito così felice in vita sua, e giammai così disposto a godersi il presente.
— Ecco quel che mi piace, — disse il vecchio Wardle, seduto accanto al seggiolone della mamma e con una mano di lei stretta nella sua, — ecco quel che mi piace; i momenti più felici della mia vita gli ho passati accanto a questo antico focolare; ed io vi sono così affezionato, che tutte le sere vi fo una bella fiammata fino a che scotti da non reggervi più. Vedete, questa povera vecchierella soleva mettersi a sedere qui, sopra quello sgabelletto, quando era bambina, non è vero, mamma?
La lagrima che scorre inconscia quando la memoria di altri tempi e di una lontana felicità viene ad un tratto evocata, bagnò la guancia rugosa della vecchia signora mentre ella crollava il capo e sorrideva malinconicamente.
Dovete scusarmi, signor Pickwick, — riprese a dire il signor Wardle dopo un breve
silenzio, — se vi parlo tanto di questo antico nido; perchè gli voglio tutto il mio bene, e non ne conosco altro; le case vecchie ed i campi mi hanno l'aria di vecchi amici e così pure la nostra chiesetta tutta ornata di edera, sulla quale, a proposito, il nostro ottimo amico qui presente fece una sua canzone quando la prima volta venne fra noi. Signor Snodgrass, mi pare che il vostro bicchiere sia vuoto?
— Grazie, no, è pienissimo, — rispose il signor Snodgrass, la cui poetica curiosità era stata vivamente eccitata. — Parlavate, mi pare, di una canzone sull'edera.
— Dovete domandare all'amico di faccia a voi, — rispose il signor Wardle accennando con un cenno del capo al parroco.
— Potrei esprimere il desiderio di udirvela ripetere? — disse il signor Snodgrass.
— Davvero, — rispose il prete, — è una cosuccia da nulla; e la sola mia scusa per averla perpetrata, è che allora ero molto giovane. Comunque sia, ve la dirò, se così volete.
Un mormorio di curiosità fu naturalmente la risposta; e il vecchio prete prese a recitare, con l'aiuto della sua signora che gli suggeriva qua e là, i versi in discorso.
— Io l'ho intitolata, — disse,
L'edera verde.
Oh, è pur quest'edera la cara pianta
Che le macerie cerca ed agguanta
Vuol mura dirute, pietre smussate,
Archi decrepiti, torri smozzate,
E della polvere soltanto è ghiotta Dai mille secoli insiem ridotta. Dovunque l'anima manca e la vita Verdeggia l'edera, fresca, nutrita. Pianta fantastica, pianta curiosa È pur quest'edera, verde ed annosa.
S'alza, s'inerpica, dà la scalata, Va fino al vertice, nè certo è alata. Che amplessi teneri la quercia antica Prende dall'edera, fedele amica! Umile striscia, nessun la vede,
Perfin dei tumuli s'attacca al piede, E là s'abbarbica, s'alza più forte, E par che giubili sopra la morte. Pianta fantastica, pianta curiosa È pur quest'edera, verde ed annosa.
Batte dei secoli l'ala funesta, I regni cadono, l'edera resta.
È sempre vegeta, è sempre verde, E il suo rigoglio non scema o perde. Nulla ne stuzzica l'acre appetito Come la polvere, cibo squisito. Ingorda pascesi a due palmenti Sopra il più solido dei monumenti. Pianta fantastica, pianta curiosa
È pur quest'edera, giovane e annosa.
Mentre il vecchio ecclesiastico ripeteva per la seconda volta questi versi per dar agio al signor Snodgrass di trascriverli nel suo libro di appunti, il signor Pickwick osservava i lineamenti di lui con grande interesse. Quando il vecchio ebbe finito di dettare e il signor Snodgrass s'ebbe rimesso in tasca il suo libro, il signor Pickwick disse:
— Scusatemi, signore, se mi permetto di fare una osservazione dopo una così breve conoscenza; ma una persona come voi deve avere assistito a molte scene ed incidenti degni di nota esercitando il nobile ufficio di ministro del Vangelo.
— Qualche volta, sì, — rispose il vecchio ecclesiastico; — ma così gli uomini come le cose non hanno mai avuto un carattere più che domestico e comune, essendo chiusa in così brevi limiti la mia sfera d'azione.
— Se non sbaglio, — venne su il signor Wardle, che pareva molto desideroso di far discorrere il suo amico per figurare davanti ai suoi nuovi visitatori, — se non sbaglio, avete preso degli appunti intorno a John Edmunds?
Il vecchio ecclesiastico crollò leggermente il capo in segno affermativo, e si disponeva a mutar discorso, quando il signor Pickwick disse:
— Perdonate, signore; potrei farmi lecito di domandare chi fosse cotesto Edmunds?
— Proprio quel che voleva domandare io, — disse con calore il signor Snodgrass.
— Oramai ci siete, — esclamò l'allegro signor Wardle, — e non c'è più verso di svignarvela. Dovete presto o tardi soddisfare la curiosità di questi signori; sicchè meglio è che cogliate l'opportunità e non ci pensiate altrimenti.
Il vecchio ecclesiastico sorrise dolcemente e si fece avanti con la seggiola; il resto della brigata fece lo stesso, specialmente il signor Tupman e la zia ragazza, i quali molto probabilmente erano duri d'orecchio. Fu aggiustato il corno acustico della vecchia signora, il signor Miller — che durante la recita dei versi avea preso sonno — fu destato da un opportuno pizzicotto, somministratogli di sotto alla tavola dal signore corpulento suo compagno di whist, e il vecchio ecclesiastico, senza altri preamboli, incominciò il seguente racconto, al quale ci siamo presi la libertà di apporre per titolo:
Il ritorno del forzato.
“Quando venni qui la prima volta ad assumere il mio ufficio, — disse il vecchio ecclesiastico, — or fanno appunto venticinque anni, la persona più nota fra i miei parrocchiani era un certo Edmunds che teneva in fitto una piccola fattoria in questi dintorni. Era un cert'uomo cupo, malvagio; di pessimo cuore; infingardo e dissoluto per abitudine; crudele e feroce per indole. Oltre a quei pochi tristi e vagabondi coi quali sprecava il suo tempo girellando pei campi o ubbriacandosi alla bettola, non aveva nè un amico nè una conoscenza; lo evitavano tutti; a nessuno veniva voglia di barattar due parole con un uomo che molti temevano ed ognuno detestava.
“Quest'uomo aveva una moglie ed un figlio, il quale, quand'io capitai qui, poteva avere i suoi dodici anni. Nessuno si potrà mai formare un'idea delle sofferenze acerbe di questa donna, della sua gentile sopportazione, dell'affetto sollecito con cui tirava su la sua povera creatura. Il cielo mi perdoni il sospetto poco caritatevole, ma io credo in coscienza che il marito avesse per molti anni tentato di farla morire di crepacuore. Ella sopportava tutto per amore del figliuolo e, per strana che la cosa possa parere, anche per amor del padre; perchè, con tutte le sue crudeli brutalità, ella un giorno lo aveva amato; e il ricordo di quel che egli era stato per lei le destava dentro, in mezzo alle sue torture, dei sentimenti di dolcezza e di perdono, dei quali soltanto le donne, fra tutte le creature di Dio, sono capaci. “Erano poverissimi; nè poteva essere altrimenti, stante le male abitudini del marito; ma il lavoro assiduo, infaticabile della povera donna, a tutte le ore, di giorno, di sera, di notte li teneva un po' al di sopra del bisogno. Questo lavoro però era tutt'altro che ben pagato. La gente che si trovava a passar di sera verso casa loro riferiva di avere udito dei gemiti, dei singhiozzi e delle busse; e più di una volta, quando era scorsa la mezzanotte, il ragazzo andava a picchiare alla porta di un vicino, dove era stato mandato per sottrarlo alla furia avvinazzata dello snaturatissimo padre.
“Durante tutto questo tempo, la povera donna frequentava assiduamente la nostra chiesetta. Le si vedevano spesso sulla persona i segni della violenza e dei maltrattamenti. Tutte le Domeniche mattina e sera, ella veniva ad occupare il medesimo posto col fanciullo accanto; e benchè miseramente vestiti, — molto più di tanti loro vicini che si trovavano in maggiori strettezze, — erano sempre lindi e puliti. Tutti avevano un saluto amichevole ed una buona parola per la povera signora Edmunds; e quando qualche volta, all'uscir della chiesa, ella si fermava a barattar due parole con una vicina nel piccolo viale di olmi che mena al portico, o s'indugiava un poco per guardare con orgoglio ed affetto di madre al suo ragazzo sano e florido, che correva avanti facendo il chiasso coi compagni, — il suo viso emaciato s'illuminava di un'espressione di profonda gratitudine, ed ella pareva, se non lieta e felice almeno contenta e tranquilla.
“Passarono cinque o sei anni; il ragazzo era diventato un giovanotto sano e robusto. Ma il tempo che avea rinforzato la complessione delicata del fanciullo e dato alle sue tenere membra il succo della virilità, avea reso la mamma curva e infermiccia. E il braccio sul quale ella avrebbe dovuto appoggiarsi non era più stretto al suo; la faccia che avrebbe dovuto rallegrarla non era più presente. Ella sedeva al solito suo posto, sulla vecchia seggiola, ma accanto a lei un altro posto era vuoto. La Bibbia era conservata con la stessa cura di una volta, coi suoi segni, con le sue pagine piegate; ma non c'era alcuno che gliela leggesse; e le lagrime cadevano grosse e frequenti sul libro e le facevano balenare gli occhi. I vicini non ismettevano dalla usata cortesia, ma la povera donna cercava evitarli voltando il capo in altra parte. Non c'era più da fermarsi oramai nel vecchio viale degli olmi, non c'era da rallegrarsi nell'aspettazione di altra felicità. La disgraziata donna studiava più che poteva come nascondersi la faccia e camminava a passo frettoloso.
“Ho io bisogno di dirvi che il giovane, il quale guardando ai primi giorni della sua fanciullezza e a tutti quelli venuti appresso, non poteva ricordare altro che una lunga serie di volontarie privazioni per amor suo sofferte dalla madre, e di maltrattamenti, e d'insulti, e di violenze, — ho io bisogno di dirvi che egli con nessun riguardo all'esulcerato cuore di lei e con una colpevole ed assoluta dimenticanza di quant'ella avea fatto e sopportato per lui, s'era imbrancato con uomini depravati e vagabondi, gettandosi follemente in un cammino rovinoso, in capo al quale non poteva incontrare che la morte per sè e la vergogna per lei? Ahimè, pover natura umana! Voi già tutto questo l'avete indovinato da un pezzo.
“I dolori e la sventura di questa donna infelice erano presso a toccare il colmo. Varie grassazioni erano state commesse nelle vicinanze; non si giungeva a scoprire i malfattori, onde questi imbaldanzivano. Un furto più ardito e più grave dei precedenti fu causa di una vigilanza più attiva e di una assiduità d'indagini sulla quale essi non avevano calcolato. Caddero i sospetti sul giovane Edmunds e sui tre suoi compagni. Fu arrestato, giudicato, condannato a morte. Mi suona ancora all'orecchio quel grido selvaggio di donna, che echeggiò sotto le volte del cortile quando la solenne sentenza fu pronunciata. Quel grido colpì di terrore l'anima del reo, che il giudizio, la condanna, lo stesso fantasma della morte, non aveano potuto scuotere. Le labbra, strette fino allora in atto sdegnoso, tremarono ed involontariamente si aprirono; la faccia gli si fece livida e un sudore freddo la coprì tutta; le membra erculee del colpevole si piegarono, ed egli cadde spossato sul suo banco. “Nei primi trasporti dell'angoscia, la desolata madre s'inginocchiò ai miei piedi e con tutta l'anima sua pregò l'Onnipotente, che l'aveva fino allora sostenuta in ogni più fiera avversità, di toglierla da questo mondo di miserie e di pena e di risparmiare invece la vita dell'amato figliuolo. Uno scoppio di pianto, una convulsione terribile come spero di non vederne mai più seguirono a questo primo sfogo. Mi accorsi che da quel momento le si era spezzato il cuore; ma non un lamento, non un mormorio le sfuggì più mai dalle labbra.
“Era un pietoso spettacolo veder quella donna tutti i santi giorni nel cortile della prigione, studiandosi con tutta l'ansia di una madre, con tutto l'affetto, con tutte le preghiere, di ammollire il cuore di sasso dello snaturato figliuolo. Invano. Egli rimaneva cupo, ostinato, sordo ad ogni buon sentimento. Nemmeno l'inaspettata commutazione della pena in quattordici anni di deportazione giunse ad abbattere per un sol momento l'audacia della sua condotta.
“Ma lo spirito di rassegnazione e di sopportazione, che aveva per tanto tempo sostenuta la povera donna, non potette combattere la debolezza fisica e l'infermità. Ella ammalò. Si trascinò ancora una volta dal letto alla prigione, ma le fallì la forza a mezza via, e cadde al suolo priva di sensi. “E allora sì, furono messe alla prova la freddezza ostentata e l'indifferenza del giovane; il colpo inaspettato lo trasse poco meno che fuori di senno. Passò un giorno e la madre non venne; ne passò un altro ed un altro, e la madre non si faceva vedere; e fra sole ventiquattr'ore egli sarebbe stato separato da lei — forse per sempre. Oh! come lo assalsero, mentre andava su e giù nell'angusta prigione, i ricordi dei primi giorni, quei ricordi da tanto tempo cancellati! che amaro sentimento lo prese della propria solitudine, della desolazione sovrastante, quando la verità gli fu nota! Sua madre, la sola parente ch'egli avesse mai conosciuta, era ammalata — forse morente — ad un miglio dal posto dov'egli stava; se fosse stato sciolto e libero, pochi minuti gli sarebbero bastati per correre al fianco di lei. Si precipitò contro il cancello, e afferrando le sbarre di ferro con l'energia della disperazione, lo scosse terribilmente; si slanciò furiosamente contro la spessa muraglia come per forzare un passaggio attraverso la pietra; ma il solido fabbricato si rideva dei suoi deboli sforzi, ed egli strinse insieme le mani e pianse come un fanciullo.
“Io stesso portai il perdono e la benedizione della madre al figliuolo prigioniero; e riportai al letto di lei la solenne promessa del pentimento e la fervente preghiera del perdono. Udii con profonda pietà i mille piccoli disegni che l'uomo pentito escogitava per conforto e sostegno di lei, quando un giorno sarebbe tornato; ma io sapevo bene che molto tempo prima ch'egli potesse raggiungere il suo luogo di destinazione, sua madre non sarebbe stata più di questo mondo.
“Egli partì di notte. Poche settimane dopo, l'anima della povera donna prese il volo, come ardentemente spero e solennemente credo, ad un luogo di felicità eterna e di riposo. Compii il servizio funebre sulla spoglia mortale di lei. Ella riposa nel nostro piccolo cimitero. Nessuna pietra ne indica la sepoltura. I suoi dolori furono noti agli uomini, le sue virtù a Dio.
“S'era concertato prima della partenza del condannato ch'egli avrebbe scritto alla madre subito che ne avesse ottenuto il permesso, e che la lettera l'avrebbe indirizzata a me. Il padre s'era recisamente negato a vedere il figlio fin dal primo momento dell'arresto; ed era per lui affatto indifferente se quegli fosse vivo o morto. Molti anni passarono senza che di lui si avessero notizie; e quando fu trascorso più che a mezzo il tempo della pena ed io non aveva ricevuto lettere, ne conchiusi ch'egli era morto, come in effetto ne nutrivo quasi la speranza.
“Il fatto è che Edmunds, arrivato a destinazione, era stato mandato assai verso l'interno del paese; alla quale circostanza è forse da attribuire il fatto che delle molte lettere spedite non una sola mi fosse recapitata. Rimase nello stesso posto per tutti i quattordici anni. Spirato che fu il termine, memore della sua prima risoluzione e del giuramento fatto alla madre, egli riprese fra innumerevoli difficoltà la via dell'Inghilterra, e se ne tornò a piedi al luogo natio.
“In una bella sera di Domenica del mese di agosto, John Edmunds pose il piede nel villaggio che diciassette anni fa avea lasciato con vergogna e disgrazia. Per giungere più presto dovea traversare il cimitero. Gli si gonfiò il cuore quando oltrepassò il cancello. Gli olmi giganteschi, attraverso i cui rami il sole cadente mandava qua e là sul sentiero ombroso un raggio di viva luce, gli destarono dentro le memorie dei suoi primi giorni. Si rivide com'era allora, sospeso alla mano della mamma, tranquillamente incamminandosi verso la chiesa. Ricordavasi com'egli alzava il capo per guardare nella pallida faccia di lei; e come spesso gli occhi della povera donna si empivano di lagrime guardando lui — lagrime che gli bruciavano la piccola fronte mentr'ella si chinava a baciarlo, e facevan piangere anche lui, benchè poco allora egli sapesse quanto amare fossero quelle lagrime. Pensava quante volte avea corso lungo quel viale facendo il chiasso coi suoi compagni, volgendo il capo di tanto in tanto, per avere un sorriso della mamma o per udire la gentile voce di lei. E parve allora che un velo gli fosse strappato dalla mente, e dolci parole inascoltate, e ammonizioni spregiate, e promesse rotte, gli si affollarono nell'anima fino a che gli venne meno il cuore ed egli non potette più sopportare tanta angoscia.
“Entrò nella chiesa. Il servizio di vespro era terminato e gli assistenti erano andati via, ma la chiesa era sempre aperta. I suoi passi destarono cupamente gli echi delle volte, ed egli ebbe quasi paura di trovarsi solo, tanta quiete lo circondava. Si guardò intorno. Nulla era mutato. La chiesa pareva divenuta più piccola; ma erano sempre al loro posto i vecchi monumenti ai quali tante volte egli aveva guardato con terrore infantile: c'era il piccolo pulpito col suo cuscino sbiadito; c'era la tavola della comunione davanti alla quale così spesso avea ripetuto quei comandamenti che il fanciullo venerava, e l'uomo avea poi dimenticati. Si accostò al posto che soleva occupare una volta; gli parve freddo e desolato. Il cuscino era stato rimosso e la Bibbia non c'era più. Forse sua madre occupava ora un posto più umile, o anche essendo inferma non poteva più venir da sola alla chiesa. Non osava formulare in un pensiero il timore che gli stava nell'anima. Un senso di freddo lo prese, nel momento di tornar fuori e lo fece tremare a verga a verga.
“Un vecchio varcava appunto la soglia mentre egli usciva. Edmunds trasalì e diè indietro, perchè molto bene lo riconosceva; molte volte era stato a vedergli scavar le fosse nel cimitero. Che gli avrebbe detto quell'uomo, a lui tornato di così lontano? Il vecchio alzò gli occhi in viso al forestiero, gli diè la buonasera e passò oltre. Lo avea dimenticato.
“Prese a discendere la collina ed entrò nel villaggio. L'aria era calda, e la gente se ne stava a sedere sugli usci o a passeggiar nei giardini, godendosi la serenità della sera e il riposo dopo il lavoro. Molti sguardi si volgevano dalla sua parte, e molte occhiate dubbiose ei dette qua e là per vedere se mai qualcuno lo riconoscesse e lo evitasse. C'erano dei visi nuovi in quasi tutte le case; in alcune gli parve riconoscere la fisonomia di qualche suo vecchio compagno di scuola, — fanciullo quando lo avea lasciato, — circondato da uno sciame di allegri bambini; vide altrove, seduto in un comodo seggiolone alla porta della casetta, un vecchio debole ed infermiccio, ch'ei già ricordava robusto ed infaticabile lavoratore. Ma tutti aveano dimenticato lui, ed egli passò oltre sconosciuto. “L'ultima luce del sole morente cadeva sulla terra colorando in rosso le gialle spighe ed allungando le ombre degli alberi, quando egli si fermò davanti all'antica casa, — alla casa dei suoi giorni infantili, verso la quale il suo cuore aveva aspirato con ineffabile intensità di desiderio durante anni lunghissimi di dolori e di prigionia. La palizzata era bassa, — benchè ei si ricordasse assai bene del tempo in cui gli era sembrata un muro altissimo. Di sopra a quella diè un'occhiata nel vecchio giardino. C'erano assai più fiori di una volta e più allegri ma gli alberi erano sempre gli stessi; ed anzi c'era proprio l'albero sotto il quale tante volte ei s'era disteso, stanco di fare il chiasso al sole, lasciandosi prendere a poco a poco dal sonno gentile e felice della fanciullezza. Si udivano squillar delle voci dentro la casa. Prestò ascolto, ma gli suonarono nuove all'orecchio; non le conosceva. Erano anche voci allegre; ed ei sapeva molto bene che quella povera vecchierella di mamma non poteva essere allegra, quando egli era via. La porta si aprì, ed una frotta di ragazzi ne sbucò, sgambettando e gridando. Il padre, con un bambino in collo, comparve sulla soglia, e tutti gli si attaccarono ai panni, e batterono palma, a palma, e presero a tirarlo perchè si unisse ai loro passi. Il condannato pensò alle tante volte che, in quel medesimo posto, egli era fuggito alla vista del padre suo. Si ricordò delle tante volte che avea nascosto sotto le lenzuola il capo tremante; e udito le dure parole, e gli aspri colpi e i singhiozzi della mamma; e benchè, nell'allontanarsi da quel luogo, egli singhiozzasse forte e si sentisse schiantare il cuore, pure aveva il pugno stretto e i denti serrati da una rabbia feroce e mortale.
“E questo era il ritorno, al quale per tanti anni di fila aveva sospirato, e pel quale tanti travagli avea sopportato! Non un viso che gli desse il benvenuto, non uno sguardo di perdono, non un tetto che lo ricoverasse, non una mano che si stendesse verso la sua, — e tutto questo nel suo vecchio villaggio. E che era più, paragonata a questa, la sua solitudine nei boschi selvaggi, dove non s'incontrava mai anima vivente?
“Sentì allora che nella terra lontana dell'infamia e della schiavitù, egli aveva pensato al suo luogo natio come lo aveva lasciato, non già come un giorno l'avrebbe ritrovato. La triste realtà gli diè una stretta al cuore e l'anima gli cadde. Non osava muovere domande e tanto meno presentarsi alla sola persona che probabilmente lo avrebbe accolto con pietà ed affetto. Andò avanti a lenti passi; e cansando, come un reo, la via maestra, si gettò in un prato che ben ricordava. Cadde a sedere sull'erba e si nascose la faccia fra le mani.
“Non s'era accorto che un uomo era disteso sul terreno poco discosto, e che s'era volto per dare un'occhiata al nuovo venuto. Il lieve rumore gli fece alzare il capo.
“L'uomo si rizzò a sedere. Era curvo della persona, ed avea la faccia gialla e rugosa Si vedeva dal vestito che apparteneva all'ospizio; pareva molto vecchio, ma assai meno per numero di anni che per dissipazione ed infermità. Sbarrava gli occhi in viso al forestiero, e benchè sulle prime gli avesse grevi e senza luce, ad un tratto s'accesero stranamente con una espressione di maraviglia o di paura, fino a che parvero volessero schizzar fuori dall'orbite. Edmunds a poco a poco si sollevò sulle ginocchia e fissò sempre più intensamente la faccia del vecchio. Si guardarono l'un l'altro in silenzio.
“Il vecchio era pallido come uno spettro. Tremava tutto e cadde ginocchioni davanti a lui. Edmunds balzò ritto in piedi. Il vecchio diè uno o due passi indietro. Edmunds si avanzò.
“— Parlate, — disse con voce cupa e rotta, — parlate, fatemi udire la vostra voce. “— Non ti accostare! — gridò con una bestemmia terribile il vecchio.
“Edmunds si avanzò ancora.
“Non ti accostare!— ripetette il vecchio.
“Furente dal terrore, alzò la mazza e ne diè un colpo alla cieca sulla faccia di Edmunds.
“— Padre... demonio!... — masticò questi a denti stretti. E selvaggiamente gli fu addosso, e lo agguantò per la strozza. Ma quel vecchio era suo padre; e il braccio gli ricadde senza forza lungo la persona. “Il vecchio mise uno strido acuto che suonò pei campi deserti come il lamento di uno spirito maligno. Si fece livido; un'onda di sangue gli sboccò dal naso e dalla bocca, e tinse cupamente di rosso l'erba del prato, ed egli stesso barcollò e cadde. Gli s'era rotto un vaso sanguigno; ed era già cadavere prima che il figliuolo potesse sollevarlo da quella pozza funesta.
“In quell'angolo del cimitero” — riprese a dire dopo qualche momento di silenzio il vecchio ecclesiastico — “in quell'angolo del cimitero, del quale ho testè parlato, è sepolto un uomo che fu al mio servizio per tre anni dopo questo evento; e che sinceramente era contrito, penitente, umile quanto mai uomo sia stato. Nessuno fuori di me sapeva chi egli fosse e donde venisse. Ed egli era
John Edmunds.”
VII.
In che modo il signor Winkle, invece di tirare al piccione e di uccidere la cornacchia, tirò alla cornacchia e ferì il piccione. Come Dingley Dell se la vide con Muggleton e come Muggleton mangiò a spese di Dingley Dell; con altre materie istruttive ed interessanti.
Le faticose avventure della giornata, o anche l'azione soporifera del racconto del prete, potettero tanto sulle disposizioni poco vigili del signor Pickwick, che, in meno di cinque minuti dopo essere stato menato nella sua comoda camera da letto, egli cadde in un sonno profondo e senza sogni, dal quale lo destarono i raggi del sole mattutino i quali dovettero montare fin sul letto come per rimproverarlo. Il signor Pickwick non era mica un poltrone, sicchè balzò subito come un bellicoso guerriero fuori della sua tenda... di lenzuola.
— Bel paese, bel paese! — esclamò con un sospiro entusiastico aprendo la persiana. — E chi potrebbe più vivere per aver sott'occhio giorno per giorno tetti e lavagne, dopo avere una volta sola sentito l'influenza di una scena come questa? chi potrebbe sopportare l'esistenza in un paese dove non ci fossero altre vacche che quelle dipinte sui boccali; nè altro grano che quello ammontato nei granai; nè altro segno della presenza del dio Pane che i panini e le ciambelle? Chi potrebbe consentire a vivere la sua vita in un tal luogo? chi, domando io?
E avendo così interrogato la solitudine, com'è costume di tutti i grandi uomini in simili congiunture, il signor Pickwick pose il capo fuori della finestra e girò un'occhiata all'intorno.
Si elevava fino all'altezza della finestra la fragranza acre dei covoni di fieno; i cento profumi del giardino sottostante impregnavano l'aria; i prati verdeggianti s'ingemmavano di rugiada e una gemma tremolava alle foglie degli alberi appena crollate dal vento; e gli uccelli cantavano come se su ciascuna di quelle gemme attingessero l'ispirazione al loro canto. Il signor Pickwick si sprofondò in una dolce ed appassionata meditazione.
— Ohè! — si sentì ad un tratto suonare all'orecchio.
Guardò a destra, e non vide nessuno; volse gli occhi a sinistra e poi gli spinse avanti nella prospettiva; gli spalancò verso il cielo, ma lassù non s'aveva bisogno di lui; e allora egli fece quel che una persona volgare avrebbe fatto alla prima, — guardò nel giardino e riconobbe il signor Wardle.
— Come si va? — domandò l'allegro signore, cui già il piacere che si apparecchiava a godere mozzava il fiato. — Bella giornata, eh? Piacere di vedervi così presto in piedi. Via, scendete, alla svelta. Vi aspetto qui.
Il signor Pickwick non se lo fece dire due volte. Dieci minuti gli bastarono per dare un'ultima mano alla sua toilette, e allo spirar di quelli si trovò al fianco del suo ospite.
— Ohè! — esclamò alla sua volta il signor Pickwick, vedendo che il suo compagno era armato di schioppo, e che un altro schioppo stava coricato sull'erba. — Che si fa qui?
— Il vostro amico ed io, — rispose il signor Wardle, — si va un po' attorno prima della colazione per tirare alle cornacchie. È un buon tiratore, eh?
— Così gli ho inteso dire, — rispose il signor Pickwick, — ma non l'ho mai visto tirare a niente.
— Bene, almeno venisse subito. Joe! — Joe!
Il ragazzo grasso, il quale sotto l'azione eccitante del mattino non pareva addormentato che per tre quarti e una frazione, emerse dalla casa.
— Va su a chiamare quel signore, e digli che ci troverà nel boschetto, me e il signor Pickwick. Accompagnalo fin qui, hai inteso?
Il ragazzo si mosse per eseguire la sua commissione; e il signor Wardle, portando i due fucili come un novello Robinson Crusoe, si avviò fuori del giardino.
— Questo qui è il posto, — disse poi, fermandosi in un viale dopo pochi minuti di cammino.
L'avvertimento era inutile, poichè l'assiduo gracchiare delle inconscie cornacchie indicava sufficientemente il loro domicilio.
Il signor Wardle posò un fucile per terra e caricò l'altro.
— Eccoli qua — disse il signor Pickwick; ed apparvero in effetto nella lontananza le forme dei signori Tupman, Snodgrass e Winkle. Il ragazzo grasso, non essendo ben sicuro quale di quei signori dovesse chiamare, avea pensato con singolare acume e per evitare ogni sorta di equivoci, di chiamarli tutti.
— Venite, venite! — gridò il vecchio signore al signor Winkle; — un bravo tiratore della vostra fatta avrebbe dovuto essere in piedi da un pezzo, anche per una misera caccia come questa qui.
Il signor Winkle rispose con un sorriso forzato, e prese il fucile che stava a terra con una espressione come avrebbe potuto essere quella di una filosofica cornacchia, impressionata dal triste presentimento di una morte violenta. Poteva bene essere astuzia, ma rassomigliava molto alla perplessità.
Il signor Wardle fece un cenno del capo; e due monelli laceri, che aveano seguita fino a quel posto la brigata, incominciarono subito ad arrampicarsi sopra due di quegli alberi.
— Che fanno mo quei ragazzacci? — domandò il signor Pickwick. Una certa paura lo prendeva; imperocchè egli non era ben certo che la disgraziata condizione agricola, intorno alla quale tante cose aveva inteso a dire, non avesse spinto i ragazzi dei contadini a buscarsi una sussistenza precaria e pericolosa offrendo se stessi a bersaglio dei cacciatori inesperti. — Servono per levare la caccia, — rispose ridendo il signor Wardle.
— Per levare...?
— Via, per spaventare le cornacchie.
— Ah! questo è tutto?
— Siete soddisfatto?
— Perfettamente.
— Benissimo. Volete che incominci?
— Se vi piace, — disse il signor Winkle, lietissimo di qualunque dilazione.
— Tiratevi da parte. A noi!
Uno dei ragazzi gridò e scosse un ramo che aveva un nido attaccato. Una mezza dozzina di cornacchini in animato chiaccherio sbucarono per domandare di che si trattasse. Il vecchio signore per tutta risposta fece fuoco. Un uccello cadde e il resto volò via.
— Raccattalo, Joe, — disse il signor Wardle.
Il ragazzo si avanzò e un'ombra di sorriso gli sfiorò la faccia. Visioni indistinte di pasticci di cornacchie si disegnarono nella sua pigra immaginazione. Preso che ebbe l'uccello, rise a dirittura.
Era grasso.
— Ora a voi signor Winkle, — disse l'ospite, tornando a caricare lo schioppo. — Fate fuoco.
Il signor Winkle si avanzò e spianò il fucile. Il signor Pickwick e i suoi amici involontariamente si fecero da parte e si rannicchiarono, per paura di quella pericolosa caduta di cornacchie, che senza dubbio sarebbe stata occasionata dalla canna micidiale del loro amico.
Vi fu una pausa solenne — un grido — uno sbatter d'ali — un colpettino secco.
— Ohè! — fece il vecchio signore.
— Non va? — domandò il signor Pickwick.
— Non ha preso fuoco, — disse il signor Winkle, il quale, a motivo forse del disappunto, era pallidissimo.
— È strano, — disse il vecchio signor Wardle prendendo il fucile. — Non me l'hanno mai fatta. Ma perbacco! non ci vedo segno di capsula.
— Per l'anima mia! — esclamò il signor Winkle, — mi sono scordato della capsula.
Fu riparato alla leggiera omissione. Il signor Pickwick tornò ad accoccolarsi. Il signor Winkle si avanzò con aria risoluta; e il signor Tupman sporse il capo di dietro ad un albero. Il ragazzo gridò: quattro uccelli volarono, il signor Winkle fece fuoco. Si udì uno strido angoscioso che parve di uomo, non di cornacchia. Il signor Tupman avea salvata la vita ad un numero infinito d'innocui uccelletti, ricevendo nel braccio sinistro una porzione della carica.
Sarebbe impossibile descrivere la confusione che ne seguì. Dire come il signor Pickwick nella prima sua furia chiamasse il signor Winkle: — Sciagurato! — come il signor Tupman giacesse disteso al suolo, col signor Winkle, livido di terrore, inginocchiato al suo fianco; — come il signor Tupman invocasse nel suo delirio un nome di donna, e poi aprisse un occhio, e poi l'altro, e poi ricadesse supino e li chiudesse tutti e due; — tutto ciò non si potrebbe riferire parte a parte, come del pari sarebbe impossibile descrivere acconciamente in che modo l'infelice s'andò ripigliando, come gli fu fasciato il braccio coi fazzoletti da naso, e come finalmente fu portato a casa passo passo sulle braccia pietose degli amici suoi.
Le signore stavano aspettando sulla porta del giardino l'arrivo dei cacciatori e l'ora della colazione. La zia ragazza comparve; sbozzò un suo sorriso e fece loro cenno che studiassero il passo. Si capiva subito che non sapeva nulla del disastro. Poverina! Tante volte l'ignoranza è una vera benedizione del cielo.
— Che cosa è? — esclamò, quando furono più vicini, Isabella Wardle. — Che ha il povero vecchietto?
La zia ragazza non fece caso della malignità della nipote, o pensò che si trattasse del signor Pickwick. Agli occhi di lei Tracy Tupman era un giovanotto; ella guardava agli anni di quel caro uomo attraverso ad un cannocchiale rovesciato.
— Non vi spaventate, — gridò il vecchio ospite per rassicurare le figliuole.
La piccola brigata s'era così stretta intorno al signor Tupman che non si poteva ancora ben discernere la natura dell'accidente.
— Non vi spaventate, — ripetette il signor Wardle.
— Che c'è, che c'è? — gridarono le signore.
— Il signor Tupman s'e fatto un po' male; non c'è altro che questo.
La zia ragazza mise un acutissimo grido, diè in uno scoppio di risa isteriche, e cadde fra le braccia delle due nipoti.
— Gettatele dell'acqua fredda sulla faccia, — disse il signor Wardle.
— No, no, — bisbigliò la zia ragazza; — mi sento meglio adesso. Emilia, Bella, un chirurgo! È ferito? È morto? È... ah, ah, ah! — E qui la zia ragazza diè in uno scoppio numero due di risa isteriche, variate da qualche strillo.
— Calmatevi, — pregò il signor Tupman, commosso fino alle lagrime da tanta simpatia per le sue sofferenze. — Cara, cara signora, calmatevi.
— È la sua voce! — esclamò la zia ragazza; e forti sintomi di uno scoppio numero tre si svilupparono immediatamente.
— Non vi agitate, ve ne prego, cara signora, — disse con tenera voce il signor Tupman. — È una cosa da nulla, ve lo giuro.
— Dunque non siete morto! — esclamò l'isterica signora. — Oh, ditemi che non siete morto!
— Non fate la sciocca, Rachele, — venne su il signor Wardle con una certa durezza che s'accordava poco al carattere poetico della scena. — Che diavolo significa ch'egli dica di non esser morto?
— No, no, non lo sono, — rispose il signor Tupman. — Non ho bisogno di altro aiuto che del vostro. Lasciate che mi appoggi al vostro braccio, — aggiunse poi in un bisbiglio, — oh, signorina Rachele!
L'agitata donna si avanzò ed offrì il suo braccio. Entrarono nella sala da pranzo. Il signor Tracy Tupman impresse dolcemente le labbra sulla mano di lei e cadde a sedere sul canapè.
— Vi sentite debole? — domandò l'ansiosa Rachele.
— No, non è niente. Starò meglio di qui a poco.
E chiuse gli occhi.
— Dorme, — mormorò la zia ragazza. (Gli organi visuali del ferito erano chiusi da circa venti secondi). — Caro, caro signor Tupman!
Il signor Tupman si rizzò di scatto, esclamando:
— Oh, ripetete quelle parole, ripetetele!
La signora trasalì.
— Voi non le avete udite, no! — disse arrossendo.
— Oh sì, le ho udite! — rispose il signor Tupman. — Ripetetele. Se vi preme la mia guarigione, ripetetele.
— Zitto, per carità! Mio fratello.
Il signor Tracy Tupman riprese la sua prima posizione; e il signor Wardle, accompagnato da un chirurgo entrò nella camera.
Il braccio fu esaminato, la ferita fasciata e giudicata di pochissimo conto; e così, sollevati gli animi di tutti, si pensò, con la gioia ch'era tornata su tutti i volti, di sollevare gli stomachi. Il solo signor Pickwick se ne stava serio e silenzioso. Il dubbio e la diffidenza gli si leggevano in viso. La sua fiducia nel signor Winkle avea ricevuto una scossa — una fiera scossa — da quanto era accaduto in quella mattina.
— Siete un buon giocatore di cricket? — domandò il signor Wardle al disgraziato cacciatore.
In qualunque altra occasione, il signor Winkle avrebbe risposto affermativamente. Ma sentì questa volta la delicatezza della sua posizione e modestamente rispose di no.
— E voi, signore? — domandò il signor Snodgrass.
— Una volta lo era, — rispose l'ospite; — ma oramai ci ho rinunziato. Appartengo al Circolo di qua, ma non piglio parte al giuoco.
— Credo che oggi appunto abbia luogo la grande sfida, — disse il signor Pickwick.
— Precisamente. Avreste piacere di assistervi, mi figuro.
— Io, signore, — rispose il signor Pickwick, — assisto con soddisfazione ad ogni sorta di esercizii che non siano pericolosi, e nei quali la poca capacità di certa gente non metta a repentaglio la vita umana.
Il signor Pickwick tacque e dardeggiò una occhiata severa sul signor Winkle, che se ne sentì accapponar la pelle. Il grand'uomo, dopo alquanti minuti, volse gli occhi in altra parte, ed aggiunse:
— È prudenza lasciare il nostro amico ferito alle cure delle signore?
— Non mi potreste lasciare in mani migliori, — rispose il signor Tupman.
— Assolutamente, — disse il signor Snodgrass.
Fu dunque stabilito che il signor Tupman resterebbe a casa, affidato alle signore; e che il resto della brigata, sotto la direzione del signor Wardle, si sarebbe avviato verso il campo dove la grande sfida dovea aver luogo, che avea destata tutta Muggleton dal suo torpore e comunicato a Dingley Dell un eccitamento febbrile.
Non dovettero fare più di due miglia; e poichè ebbero a passare per sentieri solitari o viali ombreggiati e la loro conversazione non si aggirò che sulla splendida scena che da tutte le parti li circondava, il signor Pickwick fu quasi dispiacente di aver fornito il cammino quando si trovò nella via principale di Muggleton.
Ogni persona, il cui ingegno sia dotato di una menoma inclinazione topografica, sa benissimo che Muggleton è una città che ha un corpo municipale, un sindaco, dei borghesi e degli elettori; e chiunque abbia dato un'occhiata agli indirizzi del sindaco agli elettori, o degli elettori al sindaco, o di entrambi al corpo municipale, o di tutti e tre al parlamento, saprà quel che avrebbe dovuto saper prima, cioè che Muggleton è un comune antico e leale, il quale accoppia uno zelo fervente pei principii cristiani ad un devoto attaccamento ai diritti commerciali. In prova di che, il sindaco, il corpo municipale e gli altri abitanti hanno in varie epoche presentato non meno di millequattrocentoventi petizioni contro la tratta dei negri in America, ed un egual numero di petizioni contro le ingerenze governative pel lavoro dei fanciulli nelle officine; sessantotto perchè si permettesse la vendita dei benefici in chiesa, e ottantasei per l'abolizione del commercio pubblico nei giorni di Domenica.
Il signor Pickwick si trovava nella via principale di questa illustre città, e contemplava con occhi curiosi e con vivo interesse gli oggetti che lo circondavano. Un ampio spazio quadrato era destinato a piazza di mercato; e nel suo mezzo sorgeva un grande albero con una insegna davanti, sulla quale era figurato un oggetto molto comune in arte ma che raramente s'incontra in natura, cioè un leone turchino con tre zampe in aria e che reggevasi in equilibrio sulla punta dell'unghia centrale della quarta. Si vedevano anche un ufficio di asta pubblica, un'agenzia di assicurazione contro gl'incendi, un magazzino di grani, un altro di panni, una bottega di sellaio, una distilleria, una drogheria ed una calzoleria, — la quale ultima serviva anche alla diffusione dei cappelli, berretti, costumi da uomo e da donna, ombrelli di cotone e conoscenze utili. C'era una casa di mattoni rossi con davanti una piccola corte lastricata, e che subito si riconosceva per la casa del procuratore; e c'era anche un'altra casa sempre di mattoni rossi con gelosie alla veneziana ed una bella, piastra d'ottone che la diceva in tutte lettere proprietà del chirurgo. Alcuni ragazzi si dirigevano verso il campo della sfida; e due o tre bottegai sulla soglia dei loro magazzini davano a vedere una gran voglia di pigliar la stessa direzione, come del resto avrebbero egregiamente potuto fare senza perdere per questo un gran numero di avventori. Il signor Pickwick, fatte sommariamente queste osservazioni che a miglior tempo avrebbe poi registrato, studiò il passo per raggiungere i suoi amici, che erano usciti dalla via principale e si trovavano già a vista del campo di battaglia.
Le sbarre erano a posto, come pure due tende per offrire un po' di fresco e di riposo alle parti contendenti. Il giuoco non era ancora incominciato. Due o tre giocatori dell'uno e dell'altro campo si divertivano in aria solenne a passar con disinvoltura la loro palla da una mano all'altra; e parecchi altri signori vestiti come loro in cappelli di paglia, giacchette di flanella e calzoni bianchi — un certo costume che li facea molto rassomigliare a dilettanti manovali — stavano sparsi intorno alle tende, verso una delle quali il signor Wardle guidò la brigata.
Parecchie dozzine di Come state? Come si va? salutarono l'arrivo del vecchio signore; e un levarsi generale di cappelli di paglia e un inchinarsi di giacchette di flanella seguì la presentazione dei suoi ospiti come signori venuti da Londra, che erano estremamente ansiosi di assistere allo spettacolo annunziato, il quale senza dubbio sarebbe stato di loro pieno gradimento.
— Credo che fareste bene a mettervi sotto la tenda, signore, — disse un signore alto e robusto che rassomigliava ad una gigantesca mezza pezza di flanella elevata sopra una coppia di federe gonfiate.
— Vi ci troverete meglio, — aggiunse un altro signore robusto, che rassomigliava a capello all'altra metà della pezza sullodata.
— Grazie, troppo buono, — disse il signor Pickwick.
— Di qua, di qua, — riprese quel primo signore, — qui si notano i punti, è il miglior posto in tutto il campo; — e li precedette ansimando verso la tenda.
— Bellissimo giuoco — nobile esercizio — ginnastica eccellente — stupendo — magnifico! — tali furono le parole che colpirono l'orecchio del signor Pickwick nell'entrar che fece nella tenda; e il primo oggetto che gli venne sott'occhio fu il suo amico dall'abito verde della diligenza di Rochester, il quale teneva cattedra in mezzo a uno scelto gruppo di giocatori di Muggleton. Era un po' meglio vestito e portava stivali; ma non c'era da pigliarlo per un altro.
Il forestiero immediatamente riconobbe i suoi amici; e, spintosi avanti, afferrò per mano il signor Pickwick e lo trascinò verso una seggiola, con l'usata impetuosità, parlando sempre per venti come se ogni cosa fosse posta sotto il suo speciale patronato e sotto la sua direzione.
— Di qua, di qua, — c'è da spassarsi mezzo mondo — birra a torrenti — manzo mandre intiere — mostarda a carri — splendida giornata — sedete, — fate come in casa vostra — piacere di vedervi — molto piacere.
Il signor Pickwick sedette, e i signori Winkle e Snodgrass ubbidirono del pari alle cortesi ingiunzioni del loro misterioso amico. Il signor Wardle, stupefatto, guardava e taceva.
— Il signor Wardle, mio amico, — disse il signor Pickwick.
— Vostro amico? — Come state, caro signore? — Amico del mio amico — qua la mano, signore.
E il forestiero strinse la mano del signor Wardle con tutto il calore di una intimità di molti anni, e poi si fece uno o due passi indietro per squadrarlo da capo a piedi, e poi tornò a stringergli forte la mano con più calore di prima.
— E com'è che siete qui? — domandò il signor Pickwick con un sorriso tra il benevolo e il sorpreso.
— Come? — Tiro alla Corona — Muggleton — trovo una società — giacchette di flanella — calzoni bianchi — rognoni al marsala — sandwiches con le acciughe — bravi amici — un incanto.
Il signor Pickwick era abbastanza versato nel sistema stenografico del forestiero per argomentare da questa rapida e scucita spiegazione che egli avea fatto conoscenza, in un modo o nell'altro, con quei signori di Muggleton; e che, con quel processo ch'era tutto suo, avea subito portato la prima conoscenza a quel grado di affettuosa dimestichezza dalla quale è assai ragionevole che scaturisca un invito. Soddisfatta dunque la sua curiosità, il signor Pickwick si aggiustò gli occhiali sul naso e si preparò ad osservare il giuoco che appunto era cominciato.
Muggleton apriva la giostra; e l'interesse divenne vivissimo quando si videro i signori Dumkins e Podder, due dei più famosi membri del circolo delle boccie, avanzarsi armati di palette verso gli sportelli loro assegnati. Il signor Luffey, l'ornamento più splendido di Dingley Dell, era destinato a respingere le palle del terribile Dumkins, e il signor Struggles fu eletto per rendere il medesimo servigio all'invitto Podder. Vari giuocatori furono sparsi per tener d'occhio le palle qua e là per il campo, e ciascuno si pose nell'atteggiamento prescritto, cioè con una mano per ginocchio e chinato il più che potesse come per offrire la schiena al salto di qualche principiante al giuoco del cavallo. Tutti i giocatori corretti fanno così; e si crede veramente che sia assolutamente impossibile di veder venire una palla stando in diversa posizione.
I giudici di campo furono situati dietro gli sportelli; si disposero gl'incaricati dei punti, e un silenzio profondo si fece. Il signor Luffey si ritirò di qualche passo dietro lo sportello dell'impassibile Podder, e per qualche secondo tenne la palla contro l'occhio destro. Dumkins, con gli occhi fissi sui movimenti di Luffey, aspettava con gran sicurezza l'arrivo di quella.
— A voi! — gridò ad un tratto il maestro del campo. La palla volò dalla mano, rapidissimamente diretta a colpire il centro dello sportello. L'accorto Dumkins parò a tempo; la ricevette sulla punta della paletta e la fece rimbalzar lontano di sopra alle teste delle vedette, che s'erano appunto chinate di più per lasciarla passare.
— Correte, correte — un'altra! A voi, su! Tirate — prendete — fermatela! Un'altra! no, sì, no, gettatela, gettatela! — Tali furono le grida che seguirono il primo colpo, alla conclusione del quale Muggleton avea guadagnato due punti.
Nè Podder dal canto suo fu tardo a coprir di allori se stesso e Muggleton. Egli cansava le palle dubbie, non curava le cattive, prendeva le buone e le faceva volare in tutte le direzioni. Le vedette erano stanche e riscaldate; i giocatori furono mutati e tirarono fino a slogarsi le braccia; ma Dumkins e Podder rimasero invincibili. Se per caso un signore attempato tentava di fermar la palla, se la vedeva rotolare fra le gambe o scivolare fra le dita. Un giocatore smilzo cercava di afferrarla, e se la sentiva sul naso e la vedeva rimbalzare con maggior violenza, mentre gli occhi gli si empivano di lagrime e il corpo gli si torceva tutto pel dolore. Se la palla era lanciata proprio al centro dello sportello, Dumkins ci era arrivato prima. Insomma, quando fu tirato il conto di Dumkins e di Podder, Muggleton avea segnato cinquantaquattro punti, mentre la tabella di quei di Dingley Dell era bianca come i loro visi. Il vantaggio era già troppo grande, nè si poteva più riafferrare. Invano l'ardente Luffey e l'entusiastico Struggles s'ingegnarono con tutti gli artifizi suggeriti loro dalla pratica e dalla bravura di riconquistare il terreno che Dingley Dell aveva perduto. Nulla valse; e di lì a poco Dingley Dell dovette cedere le armi e riconoscere la superiorità di Muggleton.
Il forestiero intanto non avea fatto che mangiare, bere e discorrere senza interruzione. Ad ogni buon colpo egli esprimeva la sua soddisfazione ed applaudiva al giocatore con una sua degnazione ed un'aria da protettore che non poteva non inorgoglire la parte interessata; mentre, ad ogni tentativo mancato per fermar la palla, ad ogni colpo falso, dava subito via al suo dispiacere in tante esclamazioni, come ad esempio: — Ah, ah! — Stupido! — Dita di burro! — Imbecille! — Baccellone! — e simili, — le quali gli facevano intorno la riputazione di giudice eccellente ed inappellabile nell'arte e nei misteri del nobilissimo giuoco delle boccie.
— Giuoco di prim'ordine — ben giuocato — parecchi colpi mirabili — disse il forestiero mentre le parti avversarie si affollavano nella tenda.
— Lo avete giocato qualche volta? — domandò il signor Wardle, che la loquacità del forestiero avea molto divertito.
— Giocato! Altro che giocato! Migliaia di volte — non qui. — Indie Occidentali — buscherìo — giuoco d'inferno — sicuro.
— Dev'essere un esercizio un po' caldo in un clima come quello, — osservò il signor Pickwick.
— Caldo! — ma dite scottante, rovente, incendiario. Un giorno, giuoco una partita col mio amico il colonnello — lui ed io — Tommaso Blazo — a chi faceva più punti — Capo o croce — Guadagno il colpo — comincio io — sette a. m. — sei indigeni per raccogliere le palle. — Tira, piglia, tira da capo — Caldo soffocante — tutti gli indigeni spossati, svenuti — Li portano via — Altri sei indigeni — svenuti lo stesso — Blazo giuoca sostenuto da due indigeni — Non riesce a spostarmi — sviene anche lui — Portano via il colonnello — Per me continuo — Sottentra un suo fedele domestico — Quanko Samba — l'ultimo rimasto — Il sole arde, la paletta si fa a scheggie, la palla è arrostita — Cinquecentosettanta punti. — Fatica snervante — Quanko raccoglie le ultime forze — tira — coglie — bravissimo — Vado a fare un bagno e poi a desinare. — E che ne fu di... come si chiama? — domandò uno degli astanti.
— Blazo?
— No, l'altro.
— Quanko Samba?
— Per l'appunto.
— Povero Quanko — non si riebbe mai più — messo fuori giuoco — fuori della vita — morto, signore!
E qui il forestiero cacciò la faccia in una brocca di birra, non sappiamo bene se per nascondere la sua commozione o per ingurgitare il contenuto di quella. Sappiamo solo ch'ei si fermò di botto, trasse un lungo e profondo sospiro, e sbarrò tanto d'occhi, mentre due dei principali membri del circolo di Dingley Dell, volgendosi al signor Pickwick, dicevano:
— Ci abbiamo ora un desinare alla buona al Leone turchino; vogliamo sperare che voi e gli amici vostri ci onorerete della vostra compagnia.
— Naturalmente, — disse il signor Wardle, — fra i nostri amici noi comprendiamo il signor... — e guardò al forestiero.
— Jingle, — suggerì subito questi pigliando la palla al balzo. — Jingle, Alfredo Jingle di Casapersa...
— Col massimo piacere, — disse il signor Pickwick.
— Ed anch'io, — disse il signor Alfredo Jingle, mettendosi da una parte a braccetto del signor Pickwick, dall'altra del signor Wardle, e susurrando in tutta confidenza all'orecchio del primo:
— Pranzo squisito — freddo ma eccellente — una mezza occhiata stamane in cucina — polli, pasticci, ogni sorta di cose — buoni ragazzi questi qui — persone per bene — sicuro.
Non essendovi altri preliminari da aggiustare, la brigata si sparse per la città in piccoli gruppi di due a tre; e di là ad un quarto d'ora tutti si trovavano seduti nella gran sala dell'albergo del Leone turchino. Il signor Dumkins assunse il seggio presidenziale, e il signor Luffey l'ufficio di vicepresidente.
Vi fu un alto chiacchierio, un grande acciottolio di scodelle e un frastuono corrispondente di coltelli e forchette; un continuo affaccendarsi di tre massicci camerieri ed una rapida sparizione delle vivande più o meno sostanziose; al quale movimento clamoroso e imbrogliato il faceto signor Jingle contribuiva dal canto suo come una mezza dozzina di uomini ordinarii. Quando ciascuno ebbe mangiato quel più che poteva, si levò la tovaglia e si portarono in tavola frutta, bottiglie e bicchieri; e i camerieri sparecchiarono, o in altri termini si ritirarono per appropriarsi definitivamente tutti quegli avanzi di vivande e bevande sui quali potevano giungere a metter le mani.
In mezzo al brio generale e alle conversazioni, vi era un omicciattolo con una sua cera di Non-mi-dite-niente-o-vi-contraddico, il quale se ne stava tranquillissimo, girando di tratto in tratto un'occhiata attorno quando la conversazione languiva, come se deliberasse dentro di sè di dire qualche cosa di molto massiccio, e rompendo ad ogni poco in una tosserella d'inesprimibile gravità. Finalmente, in un momento di relativo silenzio, l'omicciattolo gridò con voce altissima e solenne:
— Signor Luffey!
Tutti si chetarono e si chiusero nel più profondo silenzio, quando la persona così apostrofata rispose:
— Signore!
— Bramo, signore, indirizzarvi poche parole, se volete pregare questi signori di empire i loro bicchieri.
Il signor Jingle con aria di protezione ordinò: udite, udite! grido che fu ripetuto dagli altri commensali. Riempiti i bicchieri, il vicepresidente assunse una cera intelligente e di viva attenzione, e disse:
— La parola è al signor Staple!
— Signore, — prese a dire l'omicciattolo, alzandosi, — desidero rivolgere a voi le cose che ho da dire, non già al nostro degno presidente, perchè il nostro degno presidente forma in qualche modo, e potrei anzi dire in gran parte, il soggetto di quanto ho da dire e potrei anzi dire da... da...
— Provare, — suggerì il signor Jingle.
— Precisamente, da provare, — riprese l'omicciattolo; ringrazio il mio onorevole amico, se egli mi perrnette di dargli questo nome (quattro udite, uno dei quali veniva certo dal signor Jingle), pel cortese suggerimento. Signore, io sono un Dellese, un Dingley-Dellese (applausi). Io non posso menomamente vantare alcun titolo all'onore di appartenere alla cittadinanza di Muggleton; nè, lasciate, signore, ch'io lo dica aperto, nè quest'onore lo ambisco; e vi dirò il perchè, signore (udite). Molto volentieri io riconosco a Muggleton tutti quegli onori e quei titoli che di pieno diritto le toccano; sono in troppo numero e troppo notorii perchè sia mestieri ch'io li faccia valere o li compendii. Ma mentre, o signore, noi ricordiamo che Muggleton ha dato i natali a Dumkins e a Podder, non dimentichiamo che Dingley Dell può andar superba di un Luffey e di uno Struggles (Grandi acclamazioni). Non vorrei si pensasse ch'io voglia in alcun modo scemar la fama ed i meriti di quei primi. Io, signore, invidio loro in questa occasione la ricchezza dei loro sentimenti (Applausi). Tutti i componenti questa nobile assemblea non ignorano certo la risposta data da un grand'uomo, il quale faceva sua casa di una botte, all'imperatore Alessandro: “Se non fossi Diogene” disse quell'uomo “vorrei essere Alessandro”. Io posso ben pensare che questi signori dicano anch'essi: “Se non fossi Dumkins vorrei essere Luffey; se non fossi Podder vorrei essere Struggles!” (Entusiasmo). Ma, signori di Muggleton, è forse soltanto pel giuoco delle boccie che i vostri concittadini vanno famosi? Non avete mai udito accoppiare il nome di Dumkins col coraggio? non avete mai imparato ad unire il nome di Podder con la proprietà? (Grandi applausi). Non siete mai stati ridotti, sia pure per un momento, quando avete lottato pei vostri diritti, per le vostre libertà, pei vostri privilegi, non siete stati, dico, ridotti all'abbattimento o alla disperazione? E, quando tanta iattura vi ha stretti, non è stato forse il nome di Dumkins che vi ha riacceso nel seno le fiamme che s'erano spente; e non è forse bastata una sola parola di lui a farle brillare di più splendida luce? (Applausi fragorosi). Signori, io v'invito ad acclamare con un grido di evviva i nomi congiunti in un solo di Dumkins e Podder!”
Qui tacque l'omicciattolo, e la brigata scoppiò in un vocìo e in un frastuono di pugni sulla tavola, che durò con brevi soste per tutto il resto della serata. Altri brindisi furono portati. Il signor Luffey e il signor Struggles, il signor Pickwick e il signor Jingle furono, ciascuno alla sua volta, argomento di sperticati elogi; e ciascuno rese per quell'onore le maggiori azioni di grazie.
Entusiasti come siamo della nobile causa alla quale ci siamo dedicati, avremmo ora provato un sentimento d'ineffabile orgoglio e la coscienza di aver meritata quella immortalità della quale siamo privi, se avessimo potuto porre almeno un abbozzo di questi brindisi e discorsi sotto gli occhi dei nostri avidi lettori. Il signor Snodgrass, come al solito, prese un gran numero di note, dalle quali avremmo potuto attingere le più utili ed autorevoli informazioni, se la calda eloquenza delle parole o l'influenza febbrile del vino non avesse fatta così malferma la mano del nostro amico, da rendere quasi inintelligibile il suo carattere e senza quasi il suo stile. A furia di pazienti investigazioni, siamo nondimeno riusciti a decifrare alcuni caratteri che hanno una pallida rassomiglianza coi nomi degli oratori; ed arriviamo anche a discernere la trascrizione di una canzone (cantata probabilmente dal signor Jingle), nella quale le parole nappi scintillanti, rubino, brillanti e vino sono ripetute a brevi intervalli. Ci pare anche di poter decifrare proprio in coda alle note, qualche indistinta allusione a polli arrosto; e poi le parole rifreddo e senza vengono appresso; ma poichè qualunque ipotesi potessimo fondarvi sopra non potrebbe avere che un valore puramente congetturale, non ci sentiamo disposti ad abbandonarci ad alcuna delle considerazioni cui esse darebbero origine.
Torneremo dunque al signor Tupman; aggiungendo soltanto che, pochi minuti prima della mezzanotte, l'assemblea degli eletti di Dingley Dell e di Muggleton fu udita cantare con grande enfasi e passione la bella e patetica aria nazionale:
Non si va a casa prima di giorno,
Se prima il giorno non fa ritorno; Se non si vede spuntare il giorno Non si ritorna a casa un corno.
VIII.
Dove si dimostra che il corso del vero amore non rassomiglia punto ad una ferrovia.
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La posizione remota di Dingley Dell, la presenza di tante persone del sesso gentile, e la sollecitudine affettuosa dimostrata a suo riguardo, furono tutte favorevoli condizioni a far germogliare e crescere quei delicati sentimenti che la natura aveva profondamente radicati nel seno del signor Tracy Tupman, e che ora parevano destinati ad accentrarsi in un solo oggetto. Le signorine erano certamente graziose, ed aveano modi attraenti ed ottimo carattere; ma nella zia ragazza notavasi una tal quale dignità di portamento, un contegno così riservato, una maestà così imponente nello sguardo, che quelle, per l'età loro, non potevano emulare e che distinguevano lei da ogni altra donna sulla quale si fossero mai riposati gli occhi del signor Tupman. Che fra i loro caratteri ci fosse una certa affinità, e fra le anime loro una segreta attinenza, e nei loro cuori un non so che di misteriosamente simpatico, era evidente. Il nome di lei era stato il primo nome che ricorresse alle labbra del signor Tupman quando giaceva ferito sull'erba, e la risata isterica di lei era stato il primo suono che gli avesse colpito l'orecchio, quando lo riportavano a casa. Ma era ella sorta quell'agitazione da una amabile sensibilità muliebre che si sarebbe del pari manifestata per qualunque altro, o l'aveva invece determinata un più tenero e caldo sentimento che egli solo, fra tutti i mortali, avrebbe destato nel cuore di lei? Tali erano i dubbii che lo travagliavano mentre giaceva lungo disteso sul canapè; tali erano i dubbii ch'egli deliberò dovere una buona volta risolvere e per sempre.
Era la sera. Isabella ed Emilia erano fuori a girandolare col signor Trundle; la vecchia signora sorda s'era addormentata nel suo seggiolone; dalla remota cucina si udiva il russare cupo e monotono del ragazzo grasso; le servette si trattenevano sulla porta a pigliare il fresco e a far le civettuole con certi animali poco delicati addetti alla fattoria; e la nostra coppia interessante se ne stava a sedere nel salottino, dimenticata da tutti, dimentica di tutti, e non di altro sognando che di se stessa: somigliavano un par di guanti piegati l'uno nell'altro e accuratamente stretti insieme.
— Ho dimenticato i miei fiori, — disse la zia ragazza.
— Inaffiateli adesso, — suggerì il signor Tupman, con accento persuasivo.
— Vi potrebbe forse far male l'aria della sera, — notò quella affettuosamente.
— No, no, — disse alzandosi il signor Tupman; — anzi mi farà bene. Lasciate che v'accompagni.
La signora volle prima aggiustare la benda che sosteneva il braccio del ferito, ed appoggiandosi al braccio destro di lui lo menò nel giardino.
In fondo ad un viale sorgeva un padiglione di caprifoglio, gelsomino e altre piante rampicanti, — una di quelle dolci dimore che le brave persone costruiscono per comodità dei ragnateli.
La zia ragazza prese da un angolo un grosso annaffiatoio e stava per uscire di sotto il padiglione, quando il signor Tupman la trattenne e l'attirò presso di sè sopra un sedile.
— Signorina. Wardle! — esclamò sospirando.
La zia ragazza tremò tutta, tanto che i sassolini che per caso s'erano ficcati nell'annaffiatoio produssero un suono come di balocco agitato dalla mano di un ragazzo.
— Signorina Wardle, — disse il signor Tupman, — voi siete un angelo.
— Signor Tupman! — esclamò Rachele, facendosi rossa come l'annaffiatoio.
— Sì, — insistette l'eloquente Pickwickiano, — Sì, pur troppo io lo so.
— Tutte le donne sono angeli, a detta degli uomini, — mormorò quella scherzosamente
— E che siete voi dunque? o a che mai potrò io paragonarvi? Dov'è la donna che vi somigli?
dove potrei sperare di imbattermi in un così raro accordo di gentilezza e di beltà? dove potrei cercare di... oh!
Qui il signor Tupman si fermò e strinse la mano che teneva il manico felice dell'annaffiatoio.
Sono così bugiardi gli uomini! — bisbigliò dolcemente la signora voltandosi in là.
— Tali sono, tali sono, — esclamò il signor Tupman; — ma non tutti gli uomini. Vive un essere almeno che non può mai mutare; un essere che sarebbe lieto di dedicare tutta la sua vita alla vostra felicità; un essere che vive solo negli occhi vostri, che respira solo nei vostri sorrisi, che per voi sola, per voi sola sopporta il grave fardello della vita!
— Se si trovasse un tale uomo... — obbiettò la signora.
— Ma si può trovare, — interruppe il signor Tupman. — Ma è bell'e trovato. Ma è qui, signorina Wardle.
E prima che la signora potesse accorgersi delle sue intenzioni, il signor Tupman le era caduto inginocchiato ai piedi.
— Signor Tupman, alzatevi, ve ne prego! — disse Rachele.
— Giammai! — rispose l'altro risolutamente. — Oh! Rachele.
E afferrò l'abbandonata mano di lei, e l'annaffiatoio ruzzolò per terra mentre egli se la premeva alle labbra.
— Oh, Rachele! ditemi che m'amate.
— Signor Tupman, — disse la zia ragazza sempre col capo voltato in là, — io posso appena parlare; ma... ma.... voi non mi siete del tutto indifferente.
Non sì tosto il signor Tupman ebbe udito queste parole, che subito si diè a fare quello che le sue calde emozioni gli suggerivano, e che, per quanto sappiamo (perchè di queste faccende poco c'intendiamo) si suol fare in simili congiunture. Balzò in piedi, e cingendo col braccio il collo dell'amabile zia, le stampò sulle labbra un gran numero di baci che, dopo una debita mostra di lotta e di resistenza, ella ricevette così passivamente che non si può dire quanti altri ne avrebbe profusi il signor Tupman, se ad un tratto la signora non avesse trasalito e messo uno strido, gridando:
— Signor Tupman, siamo osservati! siamo scoperti!
Il signor Tupman si voltò a guardare, e si vide davanti il ragazzo grasso con gli occhi spalancati, ma senza la menoma espressione sulla faccia che il più esperto fisionomista avesse potuto attribuire allo stupore, alla curiosità, o a qualunque altra delle note passioni che agitano il cuore umano. Il signor Tupman fisò il ragazzo, e il ragazzo grasso lo guardò con gli occhi sbarrati; e più il signor Tupman osservava l'assoluta nullaggine dell'aspetto del ragazzo grasso, più si convinceva che o non aveva visto o non avea capito nulla di quanto era accaduto. Sotto questa impressione, domandò con grande fermezza:
— Che volete qui voi?
— La cena è pronta, signore, — rispose subito il ragazzo.
— Siete venuto proprio adesso qui? — domandò il signor Tupman con una occhiata investigatrice.
— Proprio adesso, — rispose il ragazzo grasso.
Il signor Tupman lo guardò di nuovo con severità; ma quegli non battè palpebra nè un muscolo della sua faccia si mosse.
Il signor Tupman prese il braccio della zia ragazza e si avviò verso casa; il ragazzo grasso tenne loro dietro.
— Non sa nulla di quanto è accaduto, — bisbigliò.
— Nulla, — disse la zia ragazza.
Si udì un rumore alle loro spalle come di una risata soffocata. Il signor Tupman si voltò di botto. No; non poteva essere stato il ragazzo grasso; non c'era un solo raggio di allegria o alcun altro segno che non fosse di nutrizione su quella faccia pasciuta.
— Scommetto che dormiva, — bisbigliò il signor Tupman.
— Non può essere altrimenti, — rispose la zia ragazza.
Ed entrambi risero di tutto cuore.
Il signor Tupman s'ingannava. Il ragazzo grasso, tanto per una volta, non avea dormito.
Avea veduto con gli occhi propri del capo — anzi con tanto d'occhi — tutto quello ch'era accaduto.
La cena passò senza che di tentasse d'intavolare una conversazione generale. La vecchia signora era andata a letto; Isabella Wardle si dedicò esclusivamente al signor Trundle; le attenzioni della zia ragazza erano tutte pel signor Tupman; e i pensieri di Emilia parevano tutti concentrati in un oggetto lontano, — il quale avrebbe anche potuto essere l'assente Snodgrass.
Le undici, le dodici, l'una erano battute, e nessuno di fuori era per anco tornato. La costernazione era dipinta sul volta di tutti. Avrebbero forse smarrita la via? Sarebbero stati rubati? Non era a proposito spedire degli uomini con le lanterne in tutte le direzioni che avrebbero potuto prendere per tornare a casa? o invece... Zitto! eccoli. Che cosa avea fatto loro far così tardi? Una voce estranea anche! A chi poteva appartenere? Si precipitarono tutti in cucina dove i colpevoli aveano riparato, ed ebbero alla bella prima più che un barlume dello stato reale delle cose.
Il signor Pickwick, con le mani in saccoccia e il cappello alla sgherra, stava appoggiato ad un tavolone, crollando il capo da una parte all'altra ed eseguendo una serie non interrotta dei più blandi e benevoli sorrisi, senza esservi determinato da alcuna causa apparente o da qualsivoglia pretesto; il vecchio signor Wardle, col viso rosso come un peperone, stringeva la mano di un signore forestiero borbottando proteste di eterna amicizia; il signor Winkle, sostenendosi alla cassa dell'orologio, con voce debole invocava l'ira celeste sul capo di qualunque membro della famiglia osasse suggerire l'opportunità di andare a letto; e il signor Snodgrass s'era sprofondato in una seggiola con una espressione della più acerba e disperata angoscia che mente umana possa immaginare, dipinta in ogni tratto della sua faccia espressiva.
— È accaduta qualche cosa? — domandarono le tre signore.
— Niente accaduto, — rispose il signor Pickwick. — Stiamo... stiamo... egregiamente. Ehi, Wardle, stiamo bene, non vi pare ?
— Lo credo io! — rispose l'allegro signore. — Care mie, vi presento il mio amico signor Jingle, amico del signor Pickwick. Jingle, sicuro, ci fa una visitina anche lui.
— È accaduto nulla al signor Snodgrass? — domandò Emilia al forestiero con grande ansietà.
— Nulla, signora, — rispose il forestiero. — Pranzo ufficiale, — compagnia sceltissima — canzoni stupende — vecchio Porto — chiarello assai buono — eccellente — il vino, signora, il vino.
— Non è stato il vino, no, — borbottò il signor Snodgrass con voce rotta. — È stato il salmone (in un modo o nell'altro, in questi casi, non è mai stato il vino).
— Non sarebbe meglio farli andare a letto? — domandò Emma. — Due dei ragazzi possono menarli su.
— Io non voglio andare a letto! — disse risolutamente il signor Winkle.
— Non c'è ragazzi che tenga, — esclamò il signor Pickwick, — nessuno mi leva di qua! — E si rimise a sorridere come prima.
— Evviva! — gridò debolmente il signor Winkle.
— Evviva! — rispose il signor Pickwick, levandosi il cappello, sbattendolo per terra e scagliando i suoi occhiali nel mezzo della cucina. Dopo di che, rise sgangheratamente.
— Portateci... un'altra... bottiglia! — gridò il signor Winkle, cominciando in una chiave di basso e finendo in un falsetto. La testa gli cadde sul petto; e borbottando sempre della sua irremovibile risoluzione di non andare a letto e di un suo truce rammarico di non averla fatta finita col vecchio Tupman la mattina stessa, si addormentò profondamente; nel quale stato fu trasportato in camera sua da due giovani giganti sotto la personale sorveglianza del ragazzo grasso, alla cui protezione di lì a poco il signor Snodgrass confidò la propria persona. Il signor Pickwick accettò il braccio che il signor Tupman gli offriva e tranquillamente sparì, più che mai sorridendo; e il signor Wardle, dopo aver dato a tutta la famiglia un addio così commovente come se muovesse direttamente pel patibolo, conferì al signor Trundle l'onore di accompagnarlo in camera e si ritirò con un inefficacissimo tentativo di assumere un aspetto dignitoso e solenne.
— Che scena disgustosa! — disse la zia ragazza.
— Oh, disgustosissima! — esclamarono ad una voce le due signorine.
Orribile, orribile! — disse Jingle, facendo il viso serio. Egli aveva sui suoi compagni il
vantaggio approssimativo di una bottiglia e mezza. — Spettacolo ributtante, spaventevole!
— Che persona ammodo! bisbigliò la zia ragazza al signor Tupman.
— Ed anche simpatico! — aggiunse sotto voce Emilia Wardle.
— Oh, senza dubbio! — osservò la zia.
Il signor Tupman corse col pensiero alla vedova di Rochester, e un certo turbamento gli entrò nell'animo. Il nuovo arrivato era molto discorsivo, e il numero dei suoi aneddoti era soltanto sorpassato da quello delle sue galanterie. Il signor Tupman sentiva che coll'estendersi della popolarità di Jingle, egli Tupman era sempre più ricacciato nell'ombra. Il sorriso era forzato, la sua allegria era una simulazione; e quando alla fine egli depose il capo indolenzito fra le lenzuola, pensò con orrido diletto alla soddisfazione che gli avrebbe gonfiato il cuore, se in quel momento avesse avuto il capo di Jingle tra le tavole del letto e il materasso.
L'instancabile forestiero si levò il giorno appresso di buon mattino e, benchè i compagni se ne stessero ancora in letto sopraffatti dall'orgia della sera innanzi, si studiò in tutti i modi di promuovere l'allegria a colazione. Ebbero tanto successo i suoi sforzi, che perfino la vecchia signora sorda volle ad ogni costo che le si ripetessero con l'aiuto del corno acustico uno o due dei suoi più graziosi scherzi; ed arrivò fino ad osservare alla zia ragazza che “gli era un bel tipo di sfacciato” - opinione nella quale tutte le altre signore presenti furono pienamente d'accordo.
Soleva la vecchia signora nelle belle mattine d'estate recarsi al padiglione nel quale il signor Tupman s'era segnalato, compiendo questa sua passeggiata con le seguenti formalità. In primo luogo, il ragazzo grasso spiccava da un piuolo nella camera da letto della vecchia signora un cappello di seta nera, uno scialle di cotone ben caldo ed un grosso bastone con manico corrispondente; e la vecchia signora, dopo aver messo a tutto suo comodo scialle e cappello, si appoggiava con una mano sulla mazza, con l'altra sulla spalla del ragazzo grasso, e si avviava passo passo verso il padiglione, dove il ragazzo la lasciava a godersi il fresco per una mezz'oretta; in capo alla quale tornava a rilevarla e a ricondurla a casa.
La vecchia signora era in tutte le sue cose molto precisa e sistematica; e siccome questa cerimonia era stata osservata per tre stagioni di fila senza la menoma variazione dalla forma stabilita, non ebbe ad esser poco sorpresa quella mattina vedendo il ragazzo grasso che invece di lasciare il padiglione, se ne allontanò di qualche passo, guardò intorno intorno con ogni sorta di precauzione, e tornò verso di lei in punta di piedi e con una cera profondamente misteriosa.
La vecchia signora era timida — come sono molte di queste vecchie signore — e la sua prima impressione fu questa, che il ragazzo volesse farle qualche aggravio con la mira
d'impossessarsi di quei pochi spiccioli che ella aveva indosso. Avrebbe chiamato gente, se l'età e gli acciacchi non le avessero tolto da un pezzo la forza di gridare; stette perciò ad osservare i movimenti del ragazzo con un senso di vivissimo terrore, il quale non fu punto diminuito dall'accostarsi ch'egli fece a lei e dal gridarle nell'orecchio con un tono agitato e, a quanto le parve, minaccioso: — Padrona!
Ora il caso volle che il signor Jingle si trovasse in quel punto a passeggiar nel giardino proprio in vicinanza del padiglione. Anche egli udì quel grido e si fermò per udir di più. Tre buone ragioni lo persuadevano a questo. In primo luogo egli era curioso e non avea da far nulla; in secondo non era scrupoloso niente affatto; in terzo ed ultimo, era nascosto da un intreccio di rami.
Sicchè non si mosse e stette in ascolto.
— Padrona! — gridò di nuovo il ragazzo grasso.
— Ebbene, Joe, — disse tremando la vecchia signora. — Io sono sempre stata buona per voi, Joe. Siete sempre stato trattato molto bene. Non vi si è dato mai da far molto e avete sempre avuto da mangiare in abbondanza.
Quest'ultimo ricordo toccava le corde sensibili del ragazzo grasso, il quale si mostrò molto commosso nel rispondere quasi solennemente:
— Questo lo so.
— E allora che cosa mi volete fare adesso? — disse la vecchia signora pigliando coraggio.
— Voglio farvi arricciar le carni, — rispose il ragazzo.
Questo veramente pareva un modo molto sanguinario di mostrare la propria gratitudine; e siccome la vecchia signora non capiva bene il processo pel quale si poteva giungere ad un tale risultamento, tutti i primi terrori la ripresero.
— Che vi credete voi che ho visto proprio in questo padiglione ieri sera? — domandò il ragazzo.
— Per amor di Dio, che cosa? — esclamò la vecchia signora, spaventata più che mai dal tono solenne del suo corpulento interlocutore.
— Quel signore forestiero, quello che ha avuto il braccio ferito, che baciava e brancicava...
— Chi Joe, chi? Nessuna delle serve, spero.
— Peggio ancora, — gridò il ragazzo grasso nell'orecchio della vecchia signora. — Non una delle mie nipoti, eh?
— Peggio ancora.
— Peggio ancora, Joe? — esclamò la vecchia signora, cui pareva questo il limite estremo dell'umana malvagità. — E chi dunque, Joe? Voglio saperlo subito.
Il ragazzo grasso si guardò cautamente attorno, e, compiuta la sua ispezione, gridò nell'orecchio della vecchia:
— La signorina Rachele.
— Che? — dimandò la vecchia signora in tono acuto. — Più forte, Joe. — La signorina Rachele, — tuonò il ragazzo grasso.
— Mia figlia!
La serie di cenni che il ragazzo grasso fece col capo in segno di assenso gli comunicò alle guance paffute un tremolio come quello di un biancomangiare.
— Ed ella lo ha sofferto! — esclamò la vecchia signora.
Il ragazzo grasso, facendo una sua smorfia di contentezza, rispose:
— Ho visto lei che poi baciava a lui.
Se il signor Jingle, dal suo nascondiglio, avesse potuto vedere la faccia che fece a questa rivelazione la vecchia signora, è assai probabile che uno scoppio di risa avrebbe tradito la sua presenza. Ascoltò attentamente, e raccolse dei frammenti di frasi iraconde, come: “Senza il mio permesso! — Alla sua età! — Una povera vecchia come me! — Poteva aspettare che fossi morta!” — e simili; e udì poi sull'inghiaiato le pedate del ragazzo grasso che si allontanava lasciando sola la vecchia signora.
Era forse curiosa la coincidenza, ma fatto sta che cinque minuti dopo il suo arrivo la sera innanzi, il signor Jingle aveva dentro di sè deliberato di porre subito l'assedio al cuore della zia ragazza. S'era accorto alla bella prima che i suoi modi disinvolti e quella sua improntitudine non dispiacevano niente affatto al caro oggetto da attaccare; e un fiero sospetto lo facea pensieroso, ch'ella possedesse una certa dote, cioè la più agognabile di tutte le doti. Gli occorse subito alla mente l'assoluta necessità di dar lo sgambetto, in un modo o nell'altro, al suo rivale; sicchè risolvette su due piedi, che senza frapporre altri indugi, avrebbe adottato certe sue misure dirette a questo scopo. Fielding ci dice che l'uomo è fuoco, la donna è stoppa, e che il diavolo li accosta. Sapeva bene il signor Jingle che per le ragazze un po' mature i giovanotti sono come il gas acceso alla polvere da sparo, e deliberò di tentare issofatto una esplosione.
Pieno di riflessioni su questa decisione importante, ei si tolse dal suo nascondiglio e sempre nascosto dalle frasche, si avviò verso la casa. La fortuna gli sorrideva. Il signor Tupman e gli altri uomini uscivano appunto per la porta laterale del giardino, e le signorine, com'ei già sapeva, erano andate a passeggiar da sole subito dopo colazione. Il campo era libero.
La porta del salottino da pranzo era semiaperta. Egli tossì; ella alzò gli occhi e sorrise. L'esitazione non era punto punto nel carattere del signor Jingle. Egli si pose l'indice sulle labbra in atto misterioso, si avanzò e chiuse la porta.
Signorina Wardle, — disse poi con affettata sollecitudine, — scusate l'indiscretezza —
conoscenza fresca — non c'è tempo da far cerimonie — tutto è scoperto.
— Signore! — esclamò la zia ragazza, sorpresa dall'inattesa apparizione e un po' dubbiosa della sanità di mente del signor Jingle.
— Sì! — fece questi con un sottovoce da palcoscenico. — Ragazzo grasso — faccia paffuta
— occhiacci — canaglia!
E qui scosse il capo con espressione e la zia ragazza tremò a verga a verga.
— Volete alludere a Joe, signore? — domandò la zia, sforzandosi di parer tranquilla.
— Signora sì — maledetto quel Joe! — cane traditore — detto tutto alla vecchia — la vecchia furiosa — selvaggia — esasperata — Padiglione — Tupman che baciava e brancicava — e via discorrendo — eh, signora, eh?
— Signor Jingle, — disse la zia ragazza, — se siete venuto per insultarmi...
— Niente affatto — v'ingannate, — rispose l'imperturbabile Jingle. — Udito il racconto — son venuto ad avvertirvi del pericolo — pronto a servirvi — scandalo pericoloso. — Non monta — lo credete un insulto? — sta bene — vi lascio.
E volse le spalle, come per menare ad effetto la minaccia.
— Che debbo fare? — esclamò la povera Rachele scoppiando in lagrime. — Mio fratello monterà su tutte le furie!
— Naturalmente, — disse il signor Jingle fermandosi; — sarà terribile.
— Oh, signor Jingle, che debbo fare, che debbo dire? — riprese la zia ragazza in un novello impeto di disperazione.
— Dite che ha sognato, — rispose freddamente il signor Jingle.
Un raggio di conforto rischiarò a questa idea l'anima della desolata Rachele. Il signor Jingle se n'accorse e si valse subito del suo vantaggio.
— Via, via! — niente di più facile — scioccheria del ragazzo — bella donna — ragazzo grasso frustato — voi creduta — l'affare bell'e finito — tutto d'incanto.
Sia che la probabilità di sfuggire alle conseguenze della malaugurata scoperta recasse un gran sollievo all'animo della zia zitella, sia che il sentirsi chiamata “bella donna” temperasse l'acerbità del suo dolore, certo è ch'ella arrossì leggermente e volse al signor Jingle un'occhiata piena di gratitudine.
L'insinuante uomo trasse un profondo respiro, fissò gli occhi per un paio di minuti in viso della sua interlocutrice, e poi li ritrasse di botto trasalendo melodrammaticamente.
— Voi mi sembrate infelice, signor Jingle, — disse con voce dolente la signora. — Permettete che ve ne domandi il motivo, se mai potessi anch'io esservi utile e mostrarvi così la mia gratitudine?
— Ah! — esclamò trasalendo per la seconda volta il signor Jingle. — Essermi utile! essere io meno infelice, quando il vostro amore è largito ad un uomo che è insensibile a tanta fortuna — che anche adesso fa i suoi biechi disegni sulle affezioni della nipote della stessa creatura che... Ma no; egli è mio amico; non voglio mettere a nudo i suoi vizi. Signorina Wardle — addio!
Conchiudendo questo discorso, il più filato ch'egli avesse mai fatto, il signor Jingle si portò agli occhi il resto del fazzoletto testè accennato e si volse verso la porta.
— Fermatevi, signor Jingle! — esclamò Rachele. — Voi avete fatto un'allusione al signor Tupman. Spiegatevi.
— Giammai! — rispose Jingle con un gesto da primo attore. — Giammai! — e per dimostrar subito che non avea voglia di essere più oltre interrogato, trasse una seggiola presso a quella della zia ragazza e si pose a sedere.
— Signor Jingle, ve ne prego, ve ne scongiuro, se c'è qualche terribile mistero riguardante il signor Tupman, parlate.
— Posso io vedere — (e il signor Jingle fissò gli occhi in quelli di Rachele) — posso io soffrire un'amabile creatura — trascinata al sacrificio — sordida cupidigia!
Parve che per qualche momento sostenesse una fiera lotta con vari sentimenti, e poi disse con voce bassa e cupa:
— Tupman non ha altra mira che il vostro danaro.
— Sciagurato! — esclamò Rachele con una energica indignazione. (I dubbi del signor Jingle erano risoluti. Ella ne aveva).
— Peggio ancora, — aggiunse Jingle, — egli ne ama un'altra.
— Un'altra! e chi mai?
— La piccina — occhi neri — nipote Emilia.
Vi fu una pausa.
Ora se c'era donna al mondo per la quale la zia nutrisse una gelosia mortale e radicata, l'era appunto quella nipote. Le salì tutto il sangue alla faccia ed al collo. Scosse poi il capo in silenzio con aria d'ineffabile disprezzo. Finalmente, mordendosi le labbra sottili e raddrizzandosi sulla persona:
— Non è possibile, — disse. — Non ci credo.
— Osservateli, — disse Jingle.
— Così farò.
— Osservate le sue occhiate.
— Sicuro.
— Le parole susurrate.
— Sta bene.
— A tavola si metterà a sedere accanto a lei.
— Si accomodi.
— Farà il galante.
— Faccia pure.
— E vi pianterà.
— Piantarmi! — esclamò la zia ragazza. — Lui piantar me, lui! — e tremò tutta dal dispetto e dalla rabbia.
— Sarete convinta? — domandò Jingle. — Vi mostrerete forte?
— Sì.
— Non lo guarderete più in faccia?
— Mai.
— Sceglierete un altro?
— Sì.
— Ebbene, eccolo.
Il signor Jingle cadde in ginocchio, rimase per cinque minuti in quell'umile posizione, e si levò finalmente amante accettato della zia ragazza, a condizione che lo spergiuro di Tupman fosse chiaro e manifesto.
La prova pesava tutta sulle spalle del signor Alfredo Jingle; e quello stesso giorno a desinare egli la fornì evidentissima. La zia ragazza poteva appena credere agli occhi propri. Il signor Tracy Tupman, seduto accanto ad Emilia, non faceva che occhieggiare, bisbigliare, sorridere, quasi per far dispetto al signor Snodgrass. Non una parola, non un'occhiata alla sua bella della sera innanzi.
— Maledetto ragazzaccio! — diceva da sè a sè il vecchio Wardle, al quale tutta la storia era stata riferita dalla madre. — Maledetto ragazzaccio non c'è caso, deve aver sognato.
— Traditore! — pensava con rabbia la zia ragazza. — Non m'ha ingannata quel caro signor Jingle. Oh, come l'odio quell'infame!
Dalla conversazione che segue potrà capire l'amico lettore il mistero di questo mutamento di condotta da parte del signor Tupman.
La scena era in giardino e di sera. Due ombre passeggiavano in un viale; una piuttosto corta e larga; l'altra alta e sottile. Erano il signor Tupman e il signor Jingle. La prima delle due ombre cominciò il dialogo.
Vi pare che mi sia ben condotto, eh? — domandò.
— Splendido — magnifico — non avrei fatto di meglio io stesso — domani, da capo — tutte le sere fino a nuov'ordine.
— Anche Rachele lo desidera?
— Naturalmente — non ci trova gusto — necessità virtù — distogliere i sospetti — paura del fratello — dice che non c'è che fare — pochi altri giorni — lucciole per lanterne — vi farà felice.
— Nessuna imbasciata?
— Amore — il più caldo amore — saluti affettuosi — affetto inalterabile. Posso dire qualche cosa da parte vostra?
— Caro amico mio, — rispose il confidente Tupman, stringendo con effusione la mano del suo amico, — ditele quanto io l'amo; ditele quanto mi costa il simulare; ditele ogni cosa cara e gentile: ma aggiungete pure che io mi penetro perfettamente della dura necessità del consiglio datomi da lei per bocca vostra. Ditele che applaudo alla sua prudenza ed ammiro la sua discrezione.
— Non dubitate. C'è altro?
— No, nient'altro; aggiungete solo ch'io anelo con tutto l'ardore dell'anima il tempo in cui potrò chiamarla mia, e in cui ogni dissimulazione sarà divenuta inutile.
— Certo, certo. C'è altro?
— Oh, amico mio! — esclamò il signor Tupman, afferrando di nuovo la mano del suo compagno, abbiatevi la mia più viva gratitudine per la vostra disinteressata affezione; e perdonatemi se vi ho fatto, anche col solo pensiero, l'ingiustizia di sospettarvi capace di attraversarmi la via.
Caro amico mio, come potrò mai ricompensarvi?
— Non ne parlate, — rispose il signor Jingle. Poi si arrestò di botto, come risovvenendosi di qualche cosa ed aggiunse: — A proposito, non avreste una diecina di ghinee spicciole, eh? — affare urgente, particolare — ve le rendo fra tre giorni.
— Credo potervi servire, — rispose il signor Tupman nella pienezza del suo cuore. — Avete detto tre giorni?
— Solo tre giorni — tutto aggiustato allora — nessun'altra difficoltà.
Il signor Tupman contò il danaro nella mano del suo compagno, e questi se lo fece cadere pezzo per pezzo in saccoccia, mentre se ne tornavano verso la casa.
— Mi raccomando, — disse il signor Jingle, — nemmeno un'occhiata.
— Nemmeno mezza, — disse il signor Tupman.
— Nemmeno una parola.
— Nemmeno una sillaba.
— Tutte le vostre attenzioni alla nipote — piuttosto scortese che altro con la zia — solo mezzo di darla ad intendere ai vecchi.
— Ci starò attento, — disse il signor Tupman ad alta voce.
— Ed io pure, — disse internamente il signor Jingle.
Ed entrarono in casa.
Quella prima scena fu ripetuta la sera, e così per tre giorni di fila, a desinare ed a cena. Al quarto, il signor Wardle era di ottimo umore perchè sicurissimo che non c'era fondamento di sorta all'accusa contro il signor Tupman. E non meno allegro era il signor Tupman, perchè il signor Jingle gli avea detto che l'affar suo sarebbe subito arrivato ad una crisi. E non meno il signor Pickwick, perchè di rado gli accadeva di essere altrimenti. E molto meno allegro era il signor Snodgrass, perchè lo avea preso una fiera gelosia pel suo amico Tupman. Ed era allegrissima la vecchia signora, perchè guadagnava al whist. Ed allegrissimi erano il signor Jingle e la signorina Wardle per ragioni assai importanti a questa storia avventurosa per essere narrate a parte in un altro capitolo.
IX.