Dostoevskij grande romanziere o pensatore?
di Stefano Biolchini
Il saggio di Armando Torno dal titolo “Dostoevskij nostro fratello”
Edizioni Ares
Le sue opere hanno “interrogato con insuperata profondità i temi fondamentali dell’esistenza” e lo scrittore è certamente fra i più celebrati di sempre; eppure alcune domande si ripetono nel tempo, e senza quiete o univoca risposta, arrovellano da un secolo e più filologi, critici, biografi e lettori. Era Fëdor Michajlovič Dostoevskij un grande romanziere o un pensatore? Perché la sua figura a duecento anni dalla nascita e a centoquaranta dalla morte fa ancora discutere? Che messaggio ha lasciato questo russo ormai considerato uno dei più grandi scrittori di ogni tempo?
A tali quesiti e a molti altri ancora risponde il saggio di Armando Torno dal titolo “Dostoevskij nostro fratello” (Edizioni Ares, pp. 144, euro 14). Un libro che nasce riunendo le ricerche di un decennio, svolte per curare le edizioni italiane (le uniche con testo a fronte e taccuini) dei grandi romanzi del russo e del “Diario di uno scrittore”.
Dio e il male
Sono pagine in cui si ricorda che siamo alla presenza di un narratore d'idee, esegeta di problemi fondamentali; Dostoevskij si pone continuamente domande su Dio e il male, si chiede ostinatamente cosa siano libertà, colpa o verità, soprattutto chi è l'uomo. Torno nota che “la sua scrittura, sovente non curata, il più delle volte vergata in fretta per il disperato bisogno di denaro” brulica come un formicaio di problematiche che sono rimaste attuali. Nietzsche lo considerava un fratello, anche se su Dio la pensava in maniera opposta.
La prosa di Dostoevskij
La prosa di Dostoevskij richiede una particolare attenzione. Torno esemplifica la difficoltà – un esempio tra i molti – partendo da una sua celebre frase, trasformata in un luogo comune: è nel romanzo “L'idiota”, finito a Firenze nel gennaio 1869. La ricordiamo: “La bellezza salverà il mondo”. Si ripete anche a sproposito, ma il suo significato non è quello comunemente creduto.Per questo invita a rileggerla in russo: “Mir spasët krasotà”. E qui cominciano i problemi. “Mir” si può tradurre sia con “mondo”, sia con “pace”. “Krasotà”, invece, è una bellezza – al pari dell'aggettivo “krasivyi”, “bello” – che esula dai significati oggi utilizzati. E inoltre la frase è costruita con un'inversione dell'ordine di oggetto e soggetto, quella che i grammatici chiamano anastrofe. Si potrebbe anche tradurre “Il mondo salverà la bellezza”? Certo. E poi all'interrogativo Dostoevskij ne aggiunge altri. Vero è che in una lettera a Sonija Ivanova, sua nipote, nota: “Tutti gli scrittori che hanno cercato di rappresentare il bello assoluto, hanno fallito sempre, perché è compito impossibile. Il bello è l’ideale; e l’ideale, sia da noi, sia nell’Europa civilizzata, è ancora lontano dall’essersi cristallizzato”. Vi è di più. Fa dire a Dmitrij o Mitja, il primogenito de “I Fratelli Karamazov” che odia il padre: “La bellezza è una cosa tremenda, orribile”.
Dio
Insomma, un libro che indica percorsi di approfondimento sull'opera di un autore sconvolgente. Soprattutto Dostoevskij si sofferma su Dio, tema centrale delle sue pagine. Un Dio che sembra inconciliabile con il male, ma anche un Dio che “deve” rivelarsi. Però ne “La leggenda del Grande Inquisitore”, contenuta ne “I Fratelli Karamazov”, Gesù ritorna sulla terra e l'autorità ecclesiastica, dopo averlo redarguito, lo condanna di nuovo a morte.
“Dostoevskij nostro fratello”, Armando Torno, Edizioni Ares, pp. 144, euro 14