NON ARRENDERSI ALLA "BANALITÀ DEL MALE"
Io credo che si debba evitare una interpretazione della visione arendtiana in termini di tragedia senza sbocchi. Karl Jaspers (suo maestro ed amico) scrive che si tratta di una “tragedia, che tuttavia non lascia senza speranze”. (H. Arendt, K. Jaspers, Briefwechsel 1926-1969, Monaco, 1985, pp 541-43). L'uomo infatti non perde mai completamente la sua capacità di agire, anche se spesso si trova a combattere con forze che non riuscirà mai a dominare del tutto completamente. Per la Arendt con l’agire «ci inseriamo nel mondo umano, e questo inserimento è come una seconda nascita, in cui confermiamo e ci sobbarchiamo la nuda realtà della nostra apparenza sica originale. Questo impulso non ci viene imposto dalla necessità, come il lavoro, e non ci è suggerito dall’utilità, come l’operare. [..] Agire, nel senso generale, significa prendere un’iniziativa, iniziare, incominciare, condurre, e anche governare, mettere in movimento qualcosa» (H. Arendt, Vita Activa la condizione umana, Milano, 2009, pag. 128). Quindi un prospettiva c'è, anche se non la vediamo. La vita dell’uomo è un continuo cambiamento. Parlo del continuo superamento, nella storia umana, di quanto l’esterno impone a ciascuno di noi, proprio a partire dalla presa di coscienza di tale imposizione. Noi non possiamo non confrontare continuamente il "ciò che si è" con il "ciò che si vuole essere" perchè l'uomo è totalmente determinato e totalmente libero: in quanto obbligato ad accettare il suo determinismo non può che partire per conquistare la propria libertà.