venerdì 28 gennaio 2022

IL VELO DIPINTO. William Somerset Maugham.



IL VELO DIPINTO. 

William Somerset Maugham. 

Sarebbe uno dei suoi romanzi caustici, mondani, un po’ cattivi. Ma Maugham, influenzato dalla lettura dell’episodio dantesco di Pia de’ Tolomei, pensa di aggiungervi qualcosa in più.” (Giorgio Montefoschi)

 Mondadori Editore, Milano 1937. 

Traduzione di Elio Vittorini. 

Copyright 1925 by William Somerset Maugham. 

Titolo dell'opera originale: "The painted veil". 

Prima edizione Medusa novembre 1937; 9 edizioni I libri del Pavone; prima edizione Oscar Mondadori agosto 1967. 

 

 

INDICE. 

Il velo dipinto: pagina 2. 

Note al testo: pagina 334. 

Notizie biobibliografiche: pagina 335. 

 

1. 

 Ella trasalì con un grido. 

Che cosa succede? fece lui. 

Nonostante la penombra in cui erano per via delle persiane abbassate, egli vide la faccia di lei contrarsi di terrore. 

Qualcuno ha tentato la porta. 

Ebbene? Sarà stato qualcuno dei "boys", sarà stata l'"amah"... 

Impossibile. Non mi cercano a quest'ora. Sanno che dormo, dopo colazione. 

Chi altri avrebbe potuto essere, allora? Walter le uscì mormorando, dalle labbra che tremavano. E gli indicò le scarpe. 

Egli cercò subito di mettersele ma il nervosismo in cui l'allarme di lei lo teneva, lo rendeva incapace di farlo, tanto più che gli erano un po' strette, quelle scarpe. 

Con anelante impazienza essa gli porse il calzascarpe: poi, infilandosi un kimono, a piedi nudi, si portò dinanzi al tavolo della toletta. 

Aveva i capelli tagliati corti e un colpo di pettine le bastò a rimetterli in ordine prima ch'egli si fosse allacciata la seconda scarpa. 

Poi gli porse la giacca. 

Come farò ad uscire? E' meglio che tu aspetti un momento. 

Prima voglio vedere se tutto va bene. Ma certo che andrà bene. 

Mica può essere Walter. Non viene via dal laboratorio che alle cinque. 

Queste cose se le dicevano bisbigliando. 

Essa tremava, ed egli pensò che, all'occasione, avrebbe certo persa la testa. Per cui si sentì in collera con lei. 

Se non si poteva esser sicuri perché diavolo gli aveva detto che si poteva? Essa qui trattenne il fiato e gli pose la mano sul braccio. Egli seguì la direzione del suo sguardo. 

Si trovavano dirimpetto alle finestre che mettevano sulla veranda. 

Chiuse erano, col chiavistello. 

Ed essi videro il pomo di bianca porcellana della maniglia girare piano, pianissimo. Non avevano sentito passi sulla veranda. 

Ed era terrificante vedere quella cosa muoversi senza rumore. 

Un minuto passò, sempre senza rumore. 

Poi, con la fantomaticità del sovrannaturale, nella medesima agghiacciante maniera furtiva e silenziosa, videro il pomo di bianca porcellana della seconda finestra girare, girare anch'esso. Così terribile fu che Kitty, perdendo il controllo di sé, aprì la bocca per gridare; e l'avrebbe fatto se egli non fosse stato lesto a serrarle le labbra con la mano. 

Il grido si ruppe contro quelle pronte dita. 

Silenzio. 

Essa si appoggiò a lui con le ginocchia che le battevano, ed egli ebbe paura di vederla svenire. 

Accigliato, con le mascelle contratte, la portò sino al letto, ed essa vi si lasciò cadere. Era bianca come la biancheria del letto stesso, e pallido era anche lui, nonostante la sua pelle abbronzata. 

Accanto a lei stette fissando affascinato il pomo di porcellana. 

Nessuno dei due parlava. 

Infine egli s'accorse che lei piangeva. 

No, per amor di Dio, non piangere bisbigliò in tono irritato. 

Finiremo davvero per perderci se fai così. 

Bisogna tener duro, capisci? Con gli occhi essa cercò il suo fazzoletto e lui, intuendo quello che voleva, le diede la borsa. 

Dov'è il tuo casco? L'ho lasciato di sotto. 

Signore Iddio. 

Ma insomma, calmati una buona volta. 

Vi sono cento probabilità contro una che non sia stato Walter... 

Perché diamine dovrebbe esser venuto a quest'ora? Non viene mai nel corso della giornata, me l'hai pur detto tu. 

Sì, mai. 

Bene, scommetto quello che vuoi che è stata l'"amah". 

Essa gli rispose con un'ombra di sorriso. 

La calda voce carezzevole di lui la rassicurava. 

E gli prese la mano, gliela strinse con trasporto. 

Egli aspettò un momento a parlare, che si fosse riavuta. 

Senti, non possiamo restare qui per sempre disse quindi. 

Puoi provarti ad uscire sulla veranda per dare un'occhiata? Non so, non credo di averne la forza. Bene, hai del cognac, qui in camera? Scosse la testa lei, e un cipiglio oscurò un momento il viso di lui. 

Diventava impaziente, non sapeva che fare. 

D'un subito essa gli strinse la mano più forte. 

E se è lì fuori che aspetta? Egli forzò le labbra a sorriderle e la voce mantenne sul gentil tono persuasivo di cui conosceva l'efficacia. 

Non è molto probabile. 

Animo, Kitty! Pensa, se davvero fosse venuto e avesse visto il casco d'un estraneo nel vestibolo e poi fosse salito e avesse trovata la tua camera chiusa, pensa che baccano avrebbe fatto! Non può essere stato che uno dei "boys". 

Solo un cinese è capace di girare una maniglia a quel modo... 

Essa si sentì meno inquieta. 

Ad ogni modo non è piacevole, anche se è stata soltanto l'"amah". 

Oh, si può metterla benissimo a tacere l'"amah". 

Le insegnerò io un po' di timor di Dio se necessario. 

Non si hanno molti vantaggi ad essere un ufficiale governativo, ma si può profittare come si vuole di quei pochi che si hanno. 

Forse aveva ragione. 

Essa scivolò giù dal letto e si girò con le braccia aperte verso di lui che subito nelle proprie braccia la strinse, e la baciò sulle labbra. 

Fu per lei un'estasi tale che era quasi pena. 

Oh, lo adorava! E come da lui fu lasciata andò alla finestra. 

Tirò il chiavistello, socchiuse l'imposta, guardò fuori. 

Non un'anima, c'era. 

E scivolò all'aperto, sulla veranda, guardò nello spogliatoio del marito, poi nel proprio salottino. 

Vuote, tutte e due le stanze erano vuote. 

Tornò in camera e a lui fece cenno. Nessuno disse. 

Ritengo che sia stata un'illusione ottica dal principio alla fine. 

Bene, non ridere. 

Ero così terrorizzata! Va' nel mio salottino, ad aspettare un momento, ora. Mi metto le calze, le scarpe e ti raggiungo. 

 

2. 

Così egli fece, e cinque minuti dopo essa lo raggiungeva. 

Lo trovò con una sigaretta accesa in bocca. 

Potrei avere un bicchierino di cognac? Sì, suono subito... 

Credo che non sarebbe male ne prendessi un poco anche tu, dopo quanto è successo. 

In silenzio aspettarono che il "boy" rispondesse alla chiamata. 

Essa diede l'ordine. 

Telefona al laboratorio disse poi. 

Domanda se c'è Walter. 

Non conosceranno la tua voce. 

Egli staccò il ricevitore, formò il numero. 

E domandato del dottor Fane subito riattaccò. 

Non c'è. 

Manca dal momento della colazione. 

Chiedi al "boy" se è stato qui disse. 

Ah, non oso! Riuscirebbe strano che ci fosse stato e io non l'avessi visto. 

Il "boy" portò la roba da bere e Townsend si servì. 

Preparò anche per lei, ma essa fece di no con la testa. 

Che fare se è stato Walter? chiese. 

Non se ne curerà, ritengo. 

Chi, Walter? La sua voce suonò incredula. 

Mi ha fatto sempre l'impressione di essere piuttosto timido. 

Certi uomini non amano le scenate, sai. 

E lui ha abbastanza buon senso per capire che non ci si guadagna mai nulla con gli scandali. Io non credo neppure un minuto che sia stato Walter, ma se ad ogni modo lo è stato sono sicuro che starà quieto. 

Fingerà di ignorare. 

Essa restò un momento soprappensiero. 

E' terribilmente innamorato di me. 

Tanto meglio. 

Potrai raggirarlo. 

Egli le sorrise in quel suo modo delizioso che a lei riusciva sempre così irresistibile. 

Era un sorrider lento che dai chiari occhi azzurri giungeva per un visibile percorso alla bocca ben designata, dai bianchissimi denti piccoli e uguali. 

Era qualcosa di molto, molto sensuale che le scioglieva il cuore per tutto il corpo. 

Bene, dopotutto, me ne importa poco disse ella, in un improvviso accendersi di gaiezza. L'essere stati insieme vale la pena di qualunque cosa. 

E' colpa mia. 

Perché sei venuto?... 

Già... 

Mi ha sorpreso vederti. 

Non ho potuto resistere! Caro! Un poco essa si piegò verso di lui, coi neri occhi scintillanti che lo fissavano pieni di passione, ed egli la cinse nelle sue braccia. 

Al rifugio delle quali essa si abbandonò con un sospiro d'estasi. 

Sai bene che puoi sempre contare su di me egli disse. 

Oh, caro! Sono felice con te! Vorrei renderti felice come tu rendi felice me. 

Non sei più spaventata? Odio Walter essa rispose. 

Non sapendo che dirle a quest'ultima battuta egli la baciò. 

Morbida era la faccia di lei contro la sua. 

Ma poi le afferrò il polso al quale essa teneva un piccolo orologio d'oro e guardò l'ora. Sai che cosa devo fare, adesso? Dileguarti fu la risposta di lei, in un sorriso. 

Ed egli accennò di sì. 

Più strettamente, un attimo, essa si tenne appesa a lui, ma come sentì il desiderio tornare si sciolse, lo lasciò. 

Ah, è proprio indecoroso il modo in cui tu trascuri il tuo lavoro. 

Via subito di qui! Mai egli sapeva resistere alla tentazione di simili schermaglie. 

Hai una dannata fretta di sbarazzarti di me, a quel che pare disse giulivamente. 

Oh, tu sai bene quanto mi sia odioso lasciarti andare. 

Questa risposta fu sommessa, e suonò seria, profonda. 

Egli diede in una risata di compiacimento. 

Non assillarti adesso il cervello con la storia del nostro misterioso visitatore. 

Sono sicuro che è stata l'"amah". 

E se te ne viene qualche fastidio abbi fiducia che te ne libererò. 

Hai molta esperienza in materia? Egli sorrise in modo divertito, compiaciuto. 

No, ma mi lusingo di avere una testa bene avvitata sul le spalle. 3. 

Kitty uscì sulla veranda a guardarlo andar via. 

Ed egli agitò la mano in segno di saluto. 

Le dava come un fremito guardarlo: aveva quarantun anno, ma il suo passo era agile, snella ed aitante la sua persona. 

C'era ombra nella veranda; e pigramente, placido il cuore di amore soddisfatto, essa vi si indugiò. La casa sorgeva nella Pleasant Vale, sul fianco della collina, dacché non si potevano permettere un più scelto e costoso soggiorno sul Mount. 

Ma a malapena il suo sguardo assorto sfiorava l'azzurro del mare, a malapena notava la folla dei battelli nel porto. 

Essa non poteva pensare mai ad altro che al suo amante. 

Certo, era stupido comportarsi come quel pomeriggio, ma quando egli veniva da lei col desiderio di averla, come esser prudente? Due volte, tre volte egli era venuto dopo colazione, allorché nessuno osava spingersi fuori di casa nel gran calore meridiano, e nemmeno i "boys" si erano accorti delle sue visite. 

Il che era molto difficile a Tching-Yen. 

Essa detestava il quartiere cinese, e andare nella lercia baracca, giù in fondo alla Victoria Road, dove usava incontrarsi con lui, la rendeva nervosa. 

Si trattava della bottega di un antiquario; e i cinesi che si trovavano seduti tutto intorno la fissavano in modo sgradevole. 

Insopportabile le riusciva poi il sorriso ingraziante del vecchio che la faceva passare nel retrobottega, la guidava su per un'oscura infilata di scale. 

Che disordine nella camera in cui veniva introdotta! E sempre alla vista dell'ampio letto di legno cacciato contro il muro, ella rabbrividiva. 

Com'è sordido qui, nevvero? aveva detto a Charlie, la prima volta. 

Era sordido, ma ora ci sei tu le aveva risposto lui. 

Naturalmente essa dimenticava ogni cosa non appena si trovava nelle braccia del suo Charlie. Ma com'era odioso che non fosse libera, che entrambi non fossero liberi! La moglie di Charlie non le andava per niente a genio. 

Un attimo il vagabondo pensiero di Kitty si fermò su Dorothy Townsend. 

Che nome sciagurato, Dorothy! Rendeva vecchi a portarlo. 

Era una donna che doveva avere trentotto anni perlomeno. 

Ma Charlie mai ne parlava. 

Non gli importava nulla di lei, l'aveva sullo stomaco; ma era un gentiluomo. 

E Kitty sorrise con affettuosa ironia; era proprio da lui, agir così: pur non essendole fedele, a quella stupida d'una vecchia cosa, mai parlarne male. 

Era alta, Dorothy, più alta di lei, e non robusta né esile, con una gran massa di capelli castani, d'un castano molto chiaro. 

Bella certo non era mai stata, se non, ai tempi ch'era giovane, della bellezza della gioventù. 

Aveva i lineamenti regolari, ma che non dicevano nulla; freddi gli occhi azzurri. 

Pallida in viso, la sua pelle non invitava a guardarla una seconda volta. 

E vestiva come, sicuro, come quella che era, la moglie dell'aiutosegretario Coloniale a Tching-Yen. 

Di nuovo Kitty sorrise, e si strinse appena appena nelle spalle. 

Naturalmente non si poteva negare che Dorothy Townsend avesse una voce spiacevole. 

Era una madre d'eccezione; Charlie lo diceva sempre. 

Era anche quello che la madre di Kitty chiamava una "gentildonna". 

Ma a Kitty non andava proprio. 

Le sue maniere non le andavano; il modo correttissimo col quale vi trattava quando eravate a pranzo o a prendere il tè da lei: una correttezza che riusciva esasperante poiché non si riusciva a non sentire quanto poco, in effetti, ella avesse interesse per voi. 

Questo forse perché di null'altro essa si curava che dei suoi bambini; due dei quali si trovavano in Inghilterra, a scuola, e il terzo, di sei anni, doveva andarci l'anno venturo. 

La sua faccia era una maschera. 

Sorrideva, e nella sua piacevole maniera beneducata diceva esattamente le cose che vi aspettavate di sentir da lei; ma come, con tutta la sua cordialità, vi teneva a distanza! Aveva diversi amici intimi nella colonia, che l'ammiravano moltissimo. 

E Kitty avrebbe voluto sapere se Mistress Townsend non la giudicasse un po' "comune". 

Arrossì, a questo pensiero. 

Dopotutto non aveva proprio appiglio, l'egregia Dorothy, per darsi delle arie. 

Vero che era figlia di un Governatore Coloniale, ma essere Governatore andava bene finché durava - tutti si alzavano al suo ingresso in un locale, gli uomini si scappellavano al suo passaggio in automobile per la strada - mentre, appena messo a riposo, nessuno più se ne occupava. Ora il padre di Dorothy Townsend viveva infatti in una piccola casa delle Earl's Court, dove la madre di Kitty avrebbe giudicato una bella noia andare in visita. 

Il padre di Kitty, Bernard Garsin, era K.C. (1) e poteva diventar giudice da un momento all'altro. Ad ogni modo abitava nella South Kensington (2). 

 

 

4. 

Venendo, subito dopo le nozze, a Tching-Yen, Kitty aveva trovato duro abituarsi al fatto che la sua condizione sociale dovesse dipendere dall'occupazione del marito. 

Certo tutti erano stati molto gentili e per due o tre mesi li avevano invitati di qua e di là quasi ogni sera; e sempre quando pranzavano dal governatore questi la trattava come si può trattare una sposa; pure essa aveva potuto in breve capire che, come moglie del batteriologo governativo, non le si dava molta importanza. 

Ma è assurdo disse al marito. 

Vi è sì e no una persona su cento sopportabile per più di cinque minuti, e fanno di queste storie! Mia madre non si sognerebbe mai di invitare nessuno di costoro a pranzo, da noi! Non te la pigliare, adesso. 

Non bisogna rispose lui. 

Credi a me. 

Non ne vale la pena! Sicuro che non ne vale la pena. 

Dimostra solo come sono stupidi! Ma fa un certo effetto pensare a tutta quella gente che veniva da noi, mentre qui si è trattati come roba di scarto. 

Dal punto di vista mondano, l'uomo di scienza non esiste disse lui con un sorriso. 

Questa fu una novità per lei; lui non glielo aveva detto al momento di sposarla. 

Ah, non so se possa attrarmi essere invitata a pranzo dal direttore delle Poste! fece, ridendo, per diminuire la portata snobistica dell'osservazione. 

Forse egli avvertì un rimprovero nella leggerezza di quel tono, poiché subito le prese la mano, timidamente gliela strinse. 

Me ne dispiace, Kitty, mia cara, ma non devi angustiarti per così poco. Oh, no davvero! 

 

5.No, non poteva essere stato Walter quel pomeriggio. 

Doveva essere stato uno dei servi, e i servi non contavano, dopotutto. 

I servi cinesi sanno sempre ogni cosa, in qualche modo. 

Ma tengono la lingua a posto. 

Il cuore le batteva un po' più forte, quando si ricordava del modo in cui il pomo bianco di porcellana aveva girato. 

Ah, mai più dovevano correre simili rischi! Meglio andare nella bottega dell'antiquario. 

Nessuno che ve l'avesse vista entrare avrebbe pensato nulla; e si era sicuri, assolutamente sicuri, là dentro. 

Il padrone della bottega sapeva chi era Charlie, e non sarebbe mai stato così stupido da lasciar accadere qualcosa all'Aiutosegretario Coloniale. 

E poi quello che importava era solo che Charlie le volesse bene! Si volse, lasciò la veranda, tornò nel suo salottino. si gettò sul divano, stese la mano a prendere una sigaretta. 

Un biglietto posato sopra un libro attrasse allora la sua attenzione. 

Lo aprì. 

Era scritto a matita. 

Cara Kitty, eccovi il libro che cercavate. 

Stavo per mandarvelo quando ho incontrato il dott. 

Fane e mi ha detto che poteva portarvelo lui stesso mentre passava da casa. 

V. H. 

 

Subito essa suonò, e al "boy" che comparve chiese chi avesse portato il libro e quando. 

Padrone portato, missy, dopo colazione. 

Dunque era stato Walter! Telefonò alla Segreteria Coloniale, cercando di Charlie, e gli raccontò quello che aveva appreso. 

Vi fu un silenzio prima che lui rispondesse. 

Che debbo fare? fece Kitty. 

Ho qui una cosa molto importante da trattare. 

Temo di non potervi parlare. 

Solo vi consiglio di non tradirvi. 

Essa riattaccò il ricevitore. 

Aveva capito che Charlie non era solo, e si sentiva irritata contro i suoi affari. 

Di nuovo sedette, dinanzi a un piccolo tavolo, e col viso nelle mani si mise a meditare sulla situazione. 

Naturalmente Walter poteva aver pensato ch'ella dormisse; e non vi era ragione perché lei non dovesse chiudersi in camera quando dormiva. 

Cercò di ricordarsi se avevano parlato intorno a quel momento. 

Ad ogni modo non avevano certo parlato forte. 

Ma il cappello... 

Ah, che pazzo era stato Charlie a lasciarlo di sotto! Certo non si poteva biasimarlo; la cosa veniva naturale; e poi non era da escludersi che Walter non l'avesse notato neanche. 

Probabilmente aveva portato libro e biglietto di sopra nella fretta di tornarsene al suo lavoro. 

Lo strano era che avesse cercato di aprire la porta e poi le due finestre... 

Se la riteneva addormentata come aveva potuto volerla disturbare? Ma che sciocca, che sciocca, era stata! Lievemente si riscosse, e di nuovo provò entro il cuore la dolce pena che sempre provava nel pensare a Charlie. 

Oh, aveva avuto il suo amore, ad ogni modo! E poi lui le aveva detto che le sarebbe stato accanto; così, se si doveva giungere al peggio, tanto meglio... 

Sparasse pur calci, Walter, se voleva. 

Essa aveva il suo Charlie! Che poteva importarle? Forse sarebbe stato addirittura meglio che Walter sapesse... 

Nulla egli era mai stato per lei, e dacché ora amava Charlie Townsend essa trovava brutto, noioso sottomettersi alle sue carezze. Non avrebbe più voluto aver da fare con lui. 

D'altra parte non vedeva su quali prove Walter potesse basarsi per sostenere un'accusa. 

Essa avrebbe negato. 

Se poi si fosse giunti all'impossibilità di negare, bene, gli avrebbe gettata in faccia la verità, e facesse lui quello che gli pareva. 

 

 

6. 

Tre mesi dopo sposata essa si era accorta di aver commesso uno sbaglio; ma era stato più per colpa di sua madre che di lei.Nella stanza c'era una fotografia della madre, e gli occhi abbattuti di Kitty vi si posarono sopra. 

Essa non sapeva perché la tenesse là, non provava molto affetto per la madre. 

La fotografia del padre, per esempio, si trovava di sotto, sul pianoforte. 

Fatta al tempo in cui era diventato K.O., lo raffigurava in parrucca e toga. 

Ma neanche in parrucca e toga egli riusciva ad apparire imponente. 

Era un piccolo uomo dall'aria saggia, dagli occhi stanchi, col labbro superiore molto lungo e la bocca sottile, che pareva affilata. 

Il fotografo, faceto, gli aveva detto di darsi bella cera, ma lui non era riuscito che a fare il severo. Severità d'occasione, naturalmente, poiché di solito gli angoli cascanti della bocca e lo sguardo deluso gli davano un'aria di mite depressione; e Mistress Garstin aveva, tra tutte le prove, scelto quella in quanto le pareva la più vicina allo spirito magistratesco. 

Ma, nella propria fotografia, essa si mostrava quale appariva il giorno ch'era andata a Corte. Magnifica appariva nell'abito di velluto, col lungo strascico disposto in modo che se ne potesse valutare tutta la ricchezza, con le piume nei capelli e un gran mazzo di fiori in mano. 

Come si teneva eretta! Era una donna di cinquant'anni, magra e dal petto piatto, con gli zigomi sporgenti, il naso grande e ben modellato. 

Aveva una gran massa 

di lisci capelli neri al riguardo dei quali Kitty nutriva sospetti, se non proprio di tintura, certo di ritoccatura. 

I begli occhi neri che mai stavano fermi erano in lei la cosa più notevole; sconcertanti come riuscivano, così inquieti su quel giallo volto impassibile senza rughe, quando essa parlava. Scorrevano a destra e a sinistra sull'interlocutore, volavano a posarsi sugli astanti, e tornavano di scatto sull'interlocutore; per cui si sentiva com'essa vi esaminasse e analizzasse, pur senza nulla perdere di quello che attorno le accadeva, e come le sue parole non avessero rapporto alcuno coi suoi pensieri. 

 

 

7. 

Mistress Garstin era una donna dura e crudele, intrigante, avara, stupida e ambiziosa. 

Era una delle cinque figlie d'un avvocato di Liverpool e Bernard Garstin l'aveva conosciuta ai tempi in cui era addetto al Northern Circuit. 

Egli l'era parso allora un giovane di grandi speranze, e in questo era stata confermata dal giudizio del proprio genitore. 

Invece risultò ben diverso. 

Perseverante era, sì, e industre, capace, ma non aveva nessuna voglia di far carriera. 

Mistress Garstin lo disprezzava. 

Pure aveva riconosciuto, con amarezza, che solo a mezzo di lui poteva aver successo lei stessa e si era buttata a condurlo per amore o per forza sulla strada voluta. 

Lo strapazzava senza misericordia. 

Si era accorta che per fargli fare qualcosa di ostico alla sua sensibilità bastava non dargli pace ed egli, esausto, cedeva. 

Dal canto proprio ella si era messa a coltivare amicizie utili. 

Circuiva di lusinghe i procuratori che avevano da fare con suo marito ed entrava in familiarità con le mogli loro. 

Si profondeva in cerimonie coi giudici e le loro signore. 

Insomma si abbandonava ad ogni sorta di manovre politiche. 

Mai, in venticinque anni, Mistress Garstin aveva invitato qualcuno a pranzo perché le piacesse. 

Dava grandi pranzi collettivi a regolari intervalli. 

Era ambiziosa, ma anche economa. 

Aborriva dallo spendere. 

E si lusingava di poter fare a metà prezzo non meno bella figura di ogni altro. 

Lunghi erano perciò i suoi pranzi, ed elaborati, ma in effetto, frugali, né le entrava nella testa che la gente, pur mangiando e chiacchierando, si accorge benissimo di quello che beve, tanto che serviva come champagne del Moselle spumante avviluppato in un tovagliolo. 

Bernard Garstin aveva una buona pratica, anche se non vasta, nel suo campo. 

Pure, uomini entrati nell'amministrazione giudiziaria dopo di lui lo avevano oltrepassato. 

Mistress lo indusse a presentarsi candidato per il parlamento. 

La spesa dell'elezione era sopportata dal partito, ma tra avarizia e ambizione una volta di più vinse in lei la prima, ed essa non si sentì capace di spendere abbastanza per la candidatura. 

Le oblazioni che Bernard Garstin faceva alle innumerevoli opere cui si presume che un candidato contribuisca, erano sempre un po' meno che adeguate. 

Fu battuto. 

E Mistress Garstin, per quanto le sarebbe piaciuto parecchio essere la moglie di un onorevole, sopportò la delusione con fortezza d'animo. La candidatura del marito l'aveva 

messa in rapporti con un certo numero di persone ragguardevoli, dal che le derivava un in più di prestigio sociale cui non era indifferente. 

Sapeva, del resto, che Bernard non si sarebbe mai fatto notare alla Camera. 

E se aveva voluto che diventasse deputato era stato solo perché acquistasse un diritto alla gratitudine del partito. 

Ora, tale diritto, per il semplice fatto di essersi battuto, lo aveva. 

Dunque lo scopo era stato in qualche modo raggiunto lo stesso. 

Ma ancora Bernard era "junior" nella sua carriera mentre tanti più giovani di lui già potevano far seguire al loro nome le lettere K. C. 

Era necessario che anche lui lo potesse, e non solo perché altrimenti gli restavano scarse speranze di diventare giudice, ma perché lei non poteva sopportare più a lungo la mortificazione di essere invitata ai pranzi dopo donne di dieci anni più giovani di lei.Ma su questo punto incontrò da parte del marito un'ostinatezza alla quale da tempo non era più abituata. 

Egli temeva che come K. C. sarebbe rimasto senza lavoro. 

Chi troppo vuole nulla stringe, è meglio l'uovo oggi che la gallina domani, si mise a dirle, ed essa, di rimando, a perorare che i proverbi sono il rifugio estremo dei poveri di spirito. 

E invano egli le illustrò la possibilità di un reddito dimezzato, ben sapendo come nulla avesse su di lei maggior peso di un argomento simile, essa non volle ascoltar ragioni e, chiamandolo pusillanime, non gli diede quartiere se non, come al solito, quando lo ebbe ridotto a cedere. 

E datosi da fare tosto egli ottenne la nomina desiderata. 

Le sue apprensioni risultarono però giustificate. 

Nella carriera di magistrato rimase al punto in cui era e come avvocato si trovò con poco lavoro. Ma nascose ogni disappunto, e se rancore portò alla moglie glielo portò nel segreto dell'animo. 

Diventò forse un po' più taciturno. 

Tuttavia, essendo sempre stato taciturno in casa, nessuno dei familiari notò che avesse cambiato. 

Le figlie non lo avevano mai considerato altro che una fonte di denaro. 

Perfettamente naturale era sempre parso loro che egli conducesse una vita da cane onde provvederle di vitto e alloggio, di abiti, divertimenti e via di seguito, e come ora vedevano che per colpa sua il denaro era meno abbondante di prima l'indifferenza che provavano nei suoi riguardi si era tinta di esasperazione e disprezzo. 

Mai capitò loro di domandarsi quali fossero i sentimenti del sottomesso ometto che se ne andava via di casa la mattina presto per ritornare la sera tardi al momento preciso in cui bisognava vestirsi per il pranzo. 

Per loro era un estraneo. 

In quanto poi era anche il padre tenevano in conto di una ricompensa il fatto che avesse da amarle e vezzeggiarle. 

 

 

8. 

Ma in Mistress Garstin vi era una quantità di coraggio davvero ammirevole. 

A nessuno che le fosse in un modo o in un altro vicino, a nessuno che insomma facesse parte di quello che lei chiamava mondo, lasciava mai vedere di essere mortificata per la delusione delle sue speranze. 

Il suo tono di vita rimase perciò quale era stato sino allora. 

Con complicate manipolazioni riuscì a dare i pranzi vistosi di sempre, e nell'incontrare, nell'accogliere la gente continuò a sfoggiare la brillante gaiezza che aveva coltivata per tanto tempo. 

Possedeva un trito tesoro di ciarle che nella zona di società in cui si moveva passava per conversazione. 

Era un'ospite utile tra le persone non facili alla ciarla, dacché mai le mancava di che ciarlare e sapeva in ogni caso rompere un silenzio imbarazzante con una osservazione appropriata. Come ormai pareva improbabile che Bernard Garstin diventasse giudice della High Court, essa si mise a sperare che lo diventasse della County Court, o che perlomeno lo si chiamasse a qualche alto posto dell'amministrazione coloniale. 

Nell'attesa ebbe la soddisfazione di vederlo nominato Recorder di una città del Galles. 

Ma era sulle figlie che riponeva le maggiori speranze. 

Grazie a loro, grazie ai buoni matrimoni che avrebbe combinato per loro, si riprometteva di rifarsi di tutte le proprie delusioni. Le figlie erano due: Kitty e Doris. 

Doris non si poteva dire un bel tipo né dava segno di diventarlo, aveva il naso troppo lungo, era rappattumata di persona, e Mistress Garstin capiva come non fosse il caso di sperare per lei molto: avrebbe sposato uno dei soliti giovani ben messi, con una discreta professione. 

Ma Kitty era una bellezza sul serio. 

Sin da bambina lasciava vedere che lo sarebbe stata, coi suoi grandi occhi neri pieni di vita, con gli ondulati capelli castani dai riflessi rossastri, coi finissimi candidi denti uguali e la splendida carnagione. 

Quanto ai lineamenti non c'era da aspettarsi che sarebbero stati perfetti; un po' troppo quadro avendo il mento e il naso, se non proprio lungo come quello di Doris, piuttosto grosso. 

La sua bellezza appariva soprattutto legata alle prerogative della gioventù, e Mistress Garstin aveva deciso di sposarla nel primo fiore della femminilità. 

Quando infatti questo fiore sbocciò Kitty era proprio incantevole; una meraviglia di carnagione, e gli occhi con le lunghe ciglia così stellanti e insieme dolci che facevano fremere a guardarli. 

Di una gaiezza deliziosa, essa era animata dal desiderio di piacere. 

E su di lei Mistress Garstin riversò tutto il proprio affetto, l'arcigno, calcolante, critico affetto di cui era capace. 

Si abbandonò ai sogni più ambiziosi, e non di un buon matrimonio covò l'idea nel suo animo ma di uno brillante, brillantissimo addirittura. 

Kitty venne su persuasa che sarebbe stata una bella donna, e fu conscia dell'ambizione di sua madre. 

Tale ambizione concordava coi suoi desideri personali. 

Fu lanciata in società e Mistress Garstin compì prodigi per riuscire ad essere invitata nei luoghi dove la figlia potesse incontrarsi con giovani di grande avvenire. 

Kitty ebbe successo. 

Era simpatica non meno che bella, e in breve si trovò circuita dalle premure d'una dozzina di innamorati. 

Ma nessuno rispondeva al desiderato, e con nessuno Kitty, restando buona amica per tutti, si mise su una strada impegnativa. 

Ogni pomeriggio di domenica il salotto di casa Garstin in South Kensington era pieno di gioventù innamorata, ma Mistress Garstin poteva osservare, con uno stereotipato sorriso di approvazione, che non occorrevano sforzi da parte sua per tenerli tutti alla distanza dalla figliola. 

Kitty non esitava, invero, a flirtare con ognuno, ed era per lei un divertimento ingelosirli l'uno dell'altro, però seppe sempre con tatto e con decisione, rifiutare le proposte concrete che nessuno mancò di farle. 

La prima stagione passò senza che il marito ideale saltasse fuori; e così passò anche la seconda. 

Era una fanciulla Kitty, e si poteva permettere di aspettare. 

Mistress Garstin andava dicendo tra le amiche che una ragazza non avrebbe dovuto mai maritarsi prima dei ventun anno; che maritarsi prima era peccato. Ma passò anche una terza stagione; passò anche una quarta... 

Due o tre degli antichi ammiratori rinnovarono le loro proposte, ma erano giovani piuttosto squattrinati. 

Proposte avanzarono anche dei giovani che avevano qualche anno meno di lei... 

Persino un funzionario in riposo, uno tornato carico di onorificenze dall'India, chiese la sua mano; ma aveva cinquantatré anni. 

E Kitty continuò a ballare, andò a Wimbledon, al Lord's, ad Ascot e a Henley, insomma a tutte le feste, e si godeva la vita, ma nessuno che rispondesse alle qualità di posizione e di reddito sognate, si presentava ancora a volerla per moglie. 

Mistress Garstin cominciò ad allarmarsi. 

Notava come Kitty fosse ormai ricercata piuttosto da uomini sulla quarantina che da altri. E riflettendo che da lì a poco non sarebbe più stata tanto graziosa, mentre innumeri altre più giovani ragazze si facevano avanti, Mistress Garstin non ebbe peli sulla lingua e avvertì seccamente la figliola che, se continuava di quel passo, sarebbe rimasta senza marito. 

Kitty si strinse nelle spalle. 

Si riteneva bella e graziosa come sempre, anzi forse più graziosa che mai, dacché in quei quattro anni aveva imparato a vestirsi bene; quindi presumeva di avere tempo dinanzi a sé. 

Se proprio avesse voluto sposarsi c'erano almeno dodici giovanotti che solo aspettavano un segno. 

Ma presto o tardi l'uomo più adatto sarebbe certo saltato fuori. 

Più accorta, Mistress Garstin giudicò realisticamente la situazione, e, con la rabbia nel cuore per la bella figlia che aveva perso le buone occasioni, abbassò il livello delle sue pretese. 

Tornò ai professionisti di cui nel suo orgoglio aveva sogghignato e stette all'erta per qualche giovane avvocato o qualche uomo di affari il cui avvenire potesse ispirare fiducia. 

Il venticinquesimo compleanno trovò Kitty ancora zitella. 

Mistress Garstin era proprio esasperata e non esitava di dare spesso a Kitty esplicita dimostrazione di quello che provava. 

Si spingeva a chiederle fino a quando avesse insomma intenzione di farsi mantenere dal padre. Egli aveva speso denaro e denaro per darle modo di cogliere qualche buona occasione e lei non aveva saputo profittarne. 

Mai era venuto in mente a Mistress Garstin che la sua asciutta affabilità di padrona di casa avesse, per esempio, potuto spaventare i giovanotti, figli di persone facoltose o eredi di titoli, le cui visite un po' troppo cordialmente ella aveva incoraggiato. 

Attribuì l'insuccesso di Kitty a pretta stupidità. 

E intanto ecco farsi avanti Doris. 

Essa aveva pur sempre il suo naso lungo, la sua misera persona, e ballava male. 

Ma già alla prima stagione si fidanzò con Geoffrey Dennison. 

Era questi figlio di un benestante chirurgo, fatto baronetto in tempo di guerra. 

Avrebbe ereditato un titolo - non era grandioso essere baronetto di origine chirurgica, ma un titolo, grazie a Dio, era sempre un titolo - e una considerevole fortuna. Kitty, presa dal panico, andò a nozze con Walter Fane. 

 

 

9. 

C'era stata insieme assai poco e mai gli aveva prestato attenzione. 

Quando e dove lo avesse conosciuto non sapeva, e non lo apprese che da lui, a fidanzamento avvenuto. 

Era stato a un ballo, al quale lo avevano trascinato alcuni amici. 

Essa, di certo, non gli aveva badato affatto, e con lui aveva ballato solo perché, nel suo buonumore, era sempre lieta di ballare con chiunque glielo chiedesse. 

Né per questo lo avrebbe mai saputo distinguere da un altro, se, qualche giorno più tardi, a un altro ballo, egli non le si fosse avvicinato e non le avesse parlato. 

D'allora Kitty si accorse che mai egli mancava di trovarsi a un ballo dove lei si trovasse. Sapete bene, ho ballato almeno una dozzina di volte con voi, e dovete dirmi il vostro nome, gli si rivolse a chiedergli Kitty infine nel suo ridente modo di parlare. 

Egli restò visibilmente trasecolato. 

Ma come? Non mi conoscete? Vi sono pur stato presentato... 

Oh, dicono i nomi così tra i denti, quando presentano, sapete! Io non mi sorprenderei per nulla che non aveste la minima idea di come mi chiamo io. 

Egli sorrise. 

Aveva una faccia grave e piuttosto severa, ma dolcissimo era il suo sorriso. 

Ma io so, come vi chiamate, disse. 

Restò in silenzio un momento, poi soggiunse: Non siete curiosa voi? Come la maggior parte delle donne. 

E non vi è mai capitato di chiedere a qualcuno quale fosse il mio nome? Leggermente divertita Kitty si domandò perché mai egli pensasse che il suo nome potesse interessarla in qualche modo, ma nella sua voglia di piacere si limitò a guardarlo con un incantevole sorriso sulle labbra, e con negli occhi splendidi un'umida luce come di rugiada, che era gentilezza ammaliatrice. 

Bene, come vi chiamate? Walter Fane. 

Kitty non sapeva proprio perché venisse ai balli; egli non ballava molto bene, e non sembrava conoscere che poca gente. 

Le passò per la mente che fosse innamorato di lei, ma subito di questo pensiero si liberò stringendosi nelle spalle. 

Conosceva ragazze che ogni uomo avvicinato ritenevano innamorato, e le giudicava sciocche. 

Ma fece più attenzione a Walter Fane. 

Di certo egli non si comportava come gli altri giovani ch'erano innamorati di lei. 

Questi, per la maggior parte, le si dichiaravano e volevano baciarla. 

Diversi, anzi, l'avevano baciata. 

Walter Fane, invece, mai le parlava di lei stessa, e assai poco di sé. 

Era piuttosto taciturno: e questo a lei, che sempre aveva da raccontare e che si divertiva a vederlo ridere quando gli muoveva qualche osservazione faceta, non importava molto. 

Ma le poche volte che parlava egli non diceva cose stupide. 

Evidentemente era timido. 

Pareva vivesse in Oriente e si trovasse in patria a passare il suo periodo di vacanze. 

Un pomeriggio di domenica egli apparve nella casa di South Kensington. 

Vi si trovava una dozzina di persone e Walter Fane si trattenne un certo tempo, seduto in un angolo, come a disagio, poi se ne andò. 

Più tardi la madre chiese a Kitty chi fosse. 

Non ne ho idea. 

L'hai invitato tu a venire? rispose, Kitty. 

Sì, l'ho conosciuto dai Baddeley. 

Dice che ti ha vista a diversi balli. 

E io l'ho avvertito che siamo sempre in casa, la domenica. 

Si chiama Fane, ed ha non so che posto in Oriente. 

Sì, è un medico. 

Non è innamorato di te? Non potrei giurarlo. 

Credevo che avessi imparato a capire quando qualcuno è innamorato di te. 

Bene, ma se anche lo fosse non lo sposerei rispose Kitty con leggerezza. 

Mistress Garstin non replicò. 

Il suo silenzio era pesante di disapprovazione. 

E Kitty arrossì; comprese che sua madre non si curava più che di maritarla, con chiunque fosse, al semplice scopo di non averla ancora tra i piedi. 

 

 

10. 

Nella settimana che seguì l'incontrò a tre balli, e come la sua timidezza cominciava forse a venir meno egli fu in qualche modo più comunicativo. 

Sì, era medico, ma non lo faceva, faceva il batteriologo (Kitty non aveva che una vaghissima idea di quello che batteriologo potesse voler dire) e viveva, da impiegato governativo, a Tching-Yen, dove sarebbe tornato in autunno. 

Parlò a lungo della Cina, Kitty sapeva invero mostrarsi interessata a qualsiasi argomento di cui le parlassero, ma della vita di Tching-Yen rimase ben impressionata davvero: una bella vita sembrava, a base di club, di tennis, di corse, di golf, di polo. 

Si balla molto, laggiù? Oh, credo di sì! Essa si chiedeva se egli le riferisse queste cose con un motivo. 

Mostrava di amare la compagnia di lei, ma mai, con un premer di mano, uno sguardo, una parola, le dava il più piccolo indizio di considerarla altrimenti che come una ragazza buona a parlarci e a ballarci insieme. 

La domenica appresso di nuovo apparve in South Kensington. 

E accadde che il padre di Kitty entrasse, poiché pioveva e non si poteva giocare al golf, in sala, e si mettesse a chiacchierare con Walter Fane. 

In seguito Kitty chiese al padre di che avessero parlato. 

Sembra che viva a Tching-Yen, sembra. 

Il presidente di quel tribunale è un mio vecchio amico e collega... 

Sembra un giovane d'intelligenza non comune, sembra. 

Kitty sapeva che suo padre si annoiava a morte, di solito, coi giovanotti che, per amor di lei e della sorella, era da anni costretto a intrattenere. 

Non capita spesso che uno dei miei giovanotti ti vada a genio, papà osservò. 

I bonari occhi stanchi del padre si posarono sul volto di lei. 

Vi sono probabilità che tu lo sposi? Oh, no davvero! E' innamorato di te? Non dimostra di esserlo. Ti piace? No, non credo che mi piaccia troppo. 

Direi anzi che mi irrita un po'. 

Non era affatto il suo tipo. 

Di bassa statura, ma non tarchiato, snello e magro piuttosto, bruno, senza baffi, aveva dei lineamenti marcati, regolarissimi. 

Gli occhi quasi neri, non però grandi, si muovevano a rilento e si posavano sugli oggetti con insistenza singolare; occhi curiosi che non potevano dirsi piacevoli. 

Con quel naso diritto, di delicato disegno, quella fronte spaziosa, quella bocca ben formata avrebbe dovuto essere bello. 

Invece, cosa strana, non lo era! Pensando a lui Kitty si sorprendeva di trovare che avesse dei lineamenti uno per uno così belli mentre nell'insieme fosse poi così poco bello. 

La sua faccia era fredda, leggermente sarcastica la sua espressione e ora che lo conosceva bene Kitty sentiva che stava a disagio con lui. 

No, non era un uomo allegro. 

Quando la stagione fu per volgere al suo fine essi si erano visti innumerevoli volte, ma egli rimaneva riservato e impenetrabile come sempre. 

Non si mostrava più timido verso di lei; imbarazzato piuttosto; e la sua conversazione non accennava ad uscire dall'impersonale. 

Kitty venne alla conclusione che non fosse per nulla innamorato. 

Certo essa gli piaceva, certo discorreva volentieri con lei, ma questo era tutto e non appena, in novembre, se ne fosse tornato a Tching-Yen, l'avrebbe bell'e dimenticata. 

Né era impossibile, pensava Kitty, che fosse impegnato con qualche infermiera di Tching-Yen, una figliola di ecclesiastico, magari, dall'umor malinconico, dal petto spianato, dai piedi piatti e rotta ad ogni sorta di fatiche: il genere di moglie, insomma, che gli si conveniva. 

Vi fu poi l'annuncio del fidanzamento di Doris con Geoffrey Dennison. 

A diciott'anni Doris stava per fare un buon matrimonio e lei, a venticinque, era ancora zitella. E se le toccasse di restar tale? Quella stagione, l'unica persona che le avesse chiesto di sposarla, era stato un ragazzo di vent'anni che studiava a Oxford. 

Ma essa non poteva andare a nozze con uno di cinque anni più giovane di lei. 

Aveva fatto proprio un bel pasticcio! E come l'anno avanti aveva rifiutato un nobiluomo vedovo con tre bambini, ora quasi desiderava di averlo accettato. 

Chi sa in che modo l'avrebbe trattata sua madre! E Doris, Doris che sempre era stata sacrificata a causa di lei, di lei destinata a un brillante matrimonio, non avrebbe mancato di valersi a suo danno del proprio successo. 

Si sentì, pensandoci, venir meno il cuore. 

 

 

11. 

Ma ecco un pomeriggio in cui rincasava a piedi da Marrod's capitarle d'incontrare Walter Fane nella Brompton Road. 

Egli si fermò, si mise a parlarle. 

Poi, come per caso, le domandò se non volesse fare un giro con lui nel Park. 

Kitty non aveva molta voglia di andare a casa, non essendo quello per lei, allora, un luogo molto piacevole. 

E accondiscese alla preghiera di Walter Fane, con lui entrò a passeggiare nel Park, chiacchierando nel modo di sempre, delle cose occasionali di sempre. 

Poi egli le chiese dove sarebbe andata a passare l'estate.Oh, noi di solito ci si seppellisce in campagna. 

Il babbo, capirete, è sempre così esausto pel gran lavoro quando va in ferie, che ci ritiriamo nel posto più tranquillo che si può trovare. 

Invero Kitty sapeva bene come suo padre non avesse affatto tanto lavoro da restarne esausto, e come in ogni caso non si sarebbe tenuto conto della sua stanchezza o di qualunque suo desiderio nella scelta della villeggiatura. 

La questione era che i posti tranquilli costavano poco. 

Non vi sembra che quelle panche siano piuttosto invitanti? fece Walter all'improvviso. 

Kitty seguì la direzione in cui guardavano gli occhi di lui e vide due piccole panche verdi sotto uno degli alberi vicini. 

Bene. 

Andiamoci a sedere disse. 

Ma quando si furono seduti egli parve astrarsi. 

Ah, era strano, proprio uno strano tipo! Ad ogni modo essa continuò a chiacchierare con vivacità, e intanto si domandava perché poi l'avesse invitata a passeggiare nel Park. 

Forse avrebbe voluto confidarle la sua passione per l'infermiera dai piedi piatti di Tching-Yen... Ma subitamente egli le si rivolse, interrompendola nel bel mezzo d'una frase, di modo che le fu chiaro che non l'aveva affatto ascoltata. 

Bianco era in faccia come di gesso. 

Volevo dirvi qualcosa. 

Essa lo guardò vivamente e nei suoi occhi vide una penosa ansietà. 

Bassa, tesa e malferma era suonata la voce con cui egli le aveva parlato. 

E senza darle il tempo di chiedersi che significasse quell'agitazione ecco che parlava di nuovo. 

Volevo chiedervi se mi sposereste. 

Oh, m'avete così spaventata! rispose lei guardandolo per la sorpresa con aria smarrita. 

Non sapevate che sono terribilmente innamorato di voi? Ma non l'avete mai lasciato vedere. 

Sono così rozzo, così impacciato... 

Mi riesce sempre più facile dire quello che non voglio che dire quello che voglio. 

Kitty sentì che il cuore cominciava a batterle rapido. 

Spesso ella aveva ricevuto delle proposte di matrimonio, ma in tono o gaio o sentimentale, e sempre aveva risposto al medesimo modo. 

Nessuno le aveva mai chiesto di sposarla con una così strana, quasi tragica, brutalità. 

E' molto gentile da parte vostra, disse, piena di incertezza. 

Mi sono innamorato di voi non appena vi ho vista. 

Avrei voluto dirvelo prima, ma non sapevo mai decidermi. 

Ah, questo non è molto lusinghiero fece lei, con un breve riso. 

Era contenta di poter ridere un poco, in qualche modo, poiché attorno a loro, in quella bella giornata di sole, l'aria sembrava essersi d'un tratto appesantita di presagi. 

Egli si accigliò oscurandosi tutto. 

Oh, voi sapete che cosa intendo dire. 

Io non volevo perdere la speranza... 

Ma ora ve ne andate e io in autunno debbo tornare in Cina... 

Ma io non vi ho mai considerato da questo punto di vista diss'ella non sapendo che altro dire. 

Walter Fane non replicò. 

Si mise, cupamente, a guardare l'erba. 

Era proprio uno strano tipo. 

Pure, adesso che le aveva rivelato l'animo suo, essa sentiva in qualche misterioso modo che mai si era imbattuta in un amore simile. 

E ne era un po' spaventata, ma anche compiaciuta. 

L'impassibilità stessa di lui aveva qualcosa di impressionante. 

Dovete darmi il tempo di pensarci su. 

Egli continuò a restar zitto, e non batteva ciglio, non accennava a muoversi. 

Voleva tenerla lì sinché non si fosse decisa? Era assurdo, questo! Bisognava ch'essa ne parlasse con sua madre. 

Sentì a questo punto che avrebbe dovuto alzarsi, invece aveva aspettato per dargli modo di rispondere, e ora, chissà perché, non sapeva più fare un movimento. 

Non lo guardava, eppure avvertiva il suo aspetto, né più né meno, come se lo guardasse. 

Non si era mai immaginata di poter essere la moglie di un uomo così poco più alto di lei. Standogli seduta accanto si vedeva come i suoi lineamenti fossero belli, e come fredda, fredda fosse nell'insieme la sua faccia. 

Ma non si poteva non rendersi conto della passione devastatrice che egli aveva nel cuore; era ben strano questo! Io non vi conosco, disse con trepidazione, non vi conosco per niente! Egli le diede uno sguardo, ed essa si sentì gli occhi irresistibilmente attratti dagli occhi di lui. 

E una tenerezza vide in quegli occhi che mai vi aveva vista prima; pur c'era qualcosa di implorante in essi, qualcosa come di un cane frustato, che leggermente la irritava. 

Ad ogni modo sto imparando a conoscervi disse. 

Siete piuttosto timido, non è vero? Mai le era stata chiesta la mano in modo più strambo. E ancora adesso, se ci pensava, le sembrava che si fossero dette, tanto lei che lui, le cose meno appropriate alla circostanza. 

Ella non provava il minimo amore per lui: assolutamente nulla... 

E non sapeva proprio spiegarsi perché avesse esitato a rifiutare la sua proposta. 

Sono terribilmente stupido fece lui. 

Volevo dirvi che vi amo più di ogni cosa al mondo, e invece non riesco, mi è impossibile... 

Questo, ed era inesplicabile, la commosse. 

No, egli non era freddo, in realtà, aveva solo dei modi infelici... 

E in quel momento le piacque più di quanto non le fosse mai piaciuto prima. 

Doris si sarebbe sposata in novembre. 

Allora egli avrebbe dovuto essere già in viaggio per la Cina, e, se lo avesse sposato, sarebbe stata anche lei in viaggio per la Cina. 

Non era bello dover fare da reggicoda a Doris... 

Poterlo non fare! Poter non vedere Doris maritata mentre lei era ancora zitella! Tutti sapevano come Doris fosse giovane; così lei sarebbe sembrata più vecchia di quello che era... 

Sarebbe stata considerata definitivamente vecchia, e addio! Certo, sposare Fane non era un gran matrimonio, ma era pur sempre un matrimonio, e il fatto che avrebbe vissuto in Cina ne eliminava gli inconvenienti. 

Essa temeva, aborriva l'amara lingua di sua madre. 

Tutte le sue coetanee avevano preso marito da un pezzo e la maggior parte avevano già dei figli. 

E lei era stufa di andar da loro in visita, a vezzeggiare i loro marmocchi. 

Walter Fane le offriva una liberazione da tutto questo, e Kitty, infine, gli rivolse un sorriso di cui conosceva bene l'effetto. 

Se mi arrischiassi a dirvi che accetto, quando si farebbero le nozze? Egli diede in un sospiro di estatico sollievo, e arrossì. 

Adesso. 

Subito. 

Cioè, al più presto possibile. 

Si andrebbe a passare in Italia la luna di miele. 

Agosto e settembre. 

Questo voleva dire per lei risparmiarsi di passare l'estate con mamma e babbo in una pensione di campagna a cinque sterline la settimana. 

In un lampo vide, dentro di sé, annunciato sul "Morning Post" che, dovendo lo sposo ritornare in Oriente, le nozze sarebbero avvenute subito. 

Conosceva bene sua madre, ed era sicura che avrebbe fatto la smargiassa per quel matrimonio improvviso. 

Così Doris sarebbe stata per il momento ricacciata indietro, mentre quando poi fosse venuta la sua ora, certo assai più splendida ora, lei si sarebbe trovata lontana. 

Gli tese la mano. 

Credo che mi piacete. 

Ma dovete darmi tempo perché mi abitui a voi. 

Allora, accettate? chiese lui. 

Credo di sì. 

 

12. 

Lo conosceva assai poco, allora, e adesso che pur erano passati circa due anni dal giorno delle nozze, lo conosceva assai poco di più. 

Dapprima era rimasta commossa dalla sua gentilezza e lusingata, sebbene con stupore, dalla sua passione. 

Era così pieno di riguardi, così preoccupato del suo benessere... 

Mai una volta le accadeva di esprimere il minimo desiderio senza che lui si affrettasse ad accontentarla. 

Di continuo le faceva piccoli regali. 

E quando lei stava male non avrebbe potuto essere più premuroso e buono. 

Le occasioni che lei gli dava di compiere qualche piccolo sforzo, di sostenere qualche piccolo sacrificio, erano accolte da lui come favori. 

Ed era sempre di una compitezza estrema. 

Si alzava in piedi al suo apparire in una stanza, le porgeva la mano per aiutarla a scendere da una vettura, si teneva pronto ad aprirle le porte; se per caso la incontrava in istrada si toglieva il cappello, e mai entrava in camera o nel salottino di lei senza prima aver bussato. 

La trattava insomma non come Kitty aveva visto la maggior parte degli uomini trattare le loro mogli, ma come se ella fosse stata una sua ospite. Questo era piacevole e, insieme, un tantino comico. 

Essa si sarebbe certo sentita più affamiliata con lui, se egli si fosse comportato un po' più come gli altri. 

Così anche nei rapporti coniugali si trovavano distanti. 

Egli era, nell'amarla, selvaggiamente appassionato, isterico anche, in un certo strano senso, e sentimentale. 

Kitty era rimasta sconcertata nell'accorgersi quanta capacità emotiva egli possedesse, in realtà. Se il suo riserbo fosse dovuto a timidezza o a lungo studio essa non sapeva; e le sembrava quasi vile, spregevole che quando, a desiderio appagato, la teneva nelle braccia se ne uscisse a dir cose puerili egli che tanta paura aveva sempre di essere assurdo o ridicolo. 

Lo aveva una volta amaramente offeso mettendosi a ridere e chiamando pappacotta quello ch'egli le diceva: e aveva sentito le sue braccia rilassarsi attorno a lei, e lui tacersi, poi senza più una parola staccarsi, andar via. 

Come, però, non voleva urtare i suoi sentimenti qualche giorno dopo gli aveva detto: Piccolo sciocco che non sei altro, ti pare che dia peso alle stupidaggini che dici? Egli aveva riso, con aria vergognata. 

Kitty si era accorta presto che non gli riusciva di abbandonarsi. 

Era sempre padrone di sé, dannato a sorvegliarsi. 

Quando per esempio, in brigata, tutti si mettevano a cantare egli non era capace di unirsi loro. Se ne restava seduto a sorridere come per mostrare il piacere che prendeva alla cosa, ma era un sorridere forzato, una specie di ghigno sarcastico e non si poteva fare a meno di pensare che giudicasse quella gente allegra alla stregua d'una massa di pazzi o di idioti. 

Né sapeva adattarsi ai vari piccoli giochi che Kitty, nella sua gioviale natura, trovava così divertenti. Durante il viaggio dall'Inghilterra alla Cina non aveva mai voluto mettersi in maschera, mentre tutti gli altri lo facevano, e con questo, mostrando chiaro come considerasse simili svaghi una seccatura, sciupava non poco la gioia di lei. 

Era così viva, Kitty. 

Aveva pronto il riso e tutto il giorno avrebbe passato a chiacchierare. 

Il silenzio di lui la sconcertava. 

Aveva una maniera di non rispondere, lui, che proprio la esasperava. 

Vero che rispondere era spesso nient'affatto necessario; ma sentirsi rispondere fa pur sempre piacere. 

Per esempio, se pioveva e le capitava di dire: "Vien giù a catinelle", Kitty avrebbe voluto sentirsi rispondere qualcosa, un semplice: "Già, è vero". 

Invece lui, se ne stava zitto. 

E che voglia le metteva alle volte di afferrarlo e scuoterlo! Ho detto che vien giù a catinelle, ripeteva. 

E allora lui, col suo sorriso pieno di affetto, rispondeva: Ho sentito. 

Questo dimostrava che non aveva nessuna intenzione di offendere, nel restar zitto. 

Non parlava solo perché non aveva nulla da dire. 

Ma, rifletteva Kitty sorridendo, se si parlasse solo quando si ha qualcosa da dire il genere umano finirebbe per perdere l'uso della parola. 

 

 

13.In effetti, ecco il punto, egli non aveva il minimo fascino. 

Per questo non era popolare e ad accorgersi che non lo fosse, a TchingYen, essa non aveva avuto bisogno di di molto tempo. 

Del lavoro che faceva, Kitty non aveva ancora un'idea precisa. 

Si era in proposito contentata di capire, e l'aveva capito molto bene, che essere batteriologo governativo non significava nulla di grande. 

Del resto pareva che egli non amasse discutere su quel lato della propria vita con lei. 

Volendo interessarsi a tutto essa, dapprincipio, glielo aveva richiesto. 

Ma lui aveva eluso la sua domanda con un gesto. 

Oh, è un lavoro molto monotono, molto tecnico le rispose in un'altra occasione. 

E per giunta malissimo retribuito. 

Sempre egli persisteva nel suo riserbo. 

Tutto quello che Kitty sapeva dei suoi precedenti, della sua nascita, della sua educazione, e della sua vita di prima che la conoscesse, ella aveva dovuto strapparglielo con domande precise. Era buffo come sembrasse seccarsi, lui che non si seccava mai, quando lo si interrogava su qualcosa. 

E se, spinta dalla sua curiosità naturale, essa lo sottoponeva a un fuoco di fila, le risposte di lui si facevano sempre più secche. 

Evidentemente tale reticenza non dipendeva da qualcosa ch'egli avesse da nascondere ma da un puro e semplice istinto di segretezza. 

Non gli piaceva parlare di se stesso. 

Lo rendeva timido; lo metteva a disagio. 

Né sapeva per qual verso aprirsi. 

Amava la lettura, ma leggeva libri che a Kitty sembravano monotoni. 

Infatti, se non erano trattati scientifici erano opere sulla Cina o lavori di storia. 

Mai cercava svaghi, e lei lo giudicava incapace di svagarsi. 

Pure gli piaceva qualche gioco: il tennis, il bridge. 

Kitty si chiedeva perché poi si fosse innamorato di lei. 

Non riusciva ad immaginare persona meno di lei adatta a quell'uomo freddo e riservato. 

Ma non si poteva mettere in dubbio che egli l'amasse alla follia. 

Non esisteva cosa al mondo che non avrebbe fatto per lei. 

Nelle mani di lei era plasmabile come cera. 

E pensando a questo lato che egli mostrava solo a lei, che solo a lei era noto, quasi lo disprezzava, un poco. 

Che il suo sarcastico modo di fare, la sua sdegnosa tolleranza per tante persone, tante cose ch'essa ammirava, fosse semplicemente una maschera usata a nascondere l'interna debolezza? 

Lo riteneva intelligente, pareva che tutti lo ritenessero tale, ma salvo rare occasioni, ch'era in vena e che si trovava in compagnia di poche scelte persone di suo gusto, non se ne faceva un bel nulla della sua intelligenza. 

Insomma non le era noioso: le era indifferente. 

 

 

14. 

Pur avendone incontrata la moglie a diversi tè Kitty non vide Charles Townsend che parecchie settimane dopo il suo arrivo a Tching-Yen. 

E fu solo quando venne, col marito, invitata a un pranzo in casa di lui. 

Kitty si teneva sulla difensiva. 

Charles Townsend era l'Aiutosegretario al governo della colonia, ed essa non aveva nessuna intenzione di lasciare assumere anche a lui il tono di degnazione che nei suoi riguardi traspariva di sotto alla gentilezza di Mistress Townsend. 

Spaziosa era la sala in cui furono ricevuti. 

Era mobiliata in modo molto inglese e confortevole come quasi tutti i salotti ch'essa aveva già visto a Tching-Yen. 

Vi si trovava parecchia gente. 

E come essi erano gli ultimi ad arrivare già dei servi cinesi andavano servendo intorno ulive e cocktails. 

Mistress Townsend li accolse senza levar rumore e consultata una lista disse a Walter quale dama gli aveva assegnata. 

Poi Kitty vide un bellissimo uomo d'alta statura inchinarsi dinanzi a loro. 

Questo è mio marito, fece Mistress Townsend. 

E lui soggiunse: Ho il privilegio di farvi da cavaliere. 

Essa immediatamente si sentì a proprio agio ed ogni ostilità svaporò dal suo cuore. 

Negli occhi di lui aveva visto passare, tra il sorriso che li riempiva, un lampo di meraviglia. 

E comprendendone la ragione fu invogliata alla gaiezza. 

Ora non potrò mangiare nulla a pranzo disse lui. 

Pure, se non m'inganno sul conto di Dorothy, dev'essere un pranzo coi fiocchi. 

Ma perché non potrete mangiare? Avrebbero dovuto dirmelo. 

Avrebbero dovuto avvertirmi in qualche modo. 

Di che cosa? Nessuno mi ha soffiato una parola. 

Come potevo immaginare che avrei visto una così raggiante bellezza? Mi mettete in imbarazzo... Bene, lasciate che parli io... 

Non farò che ripetere quello che ho detto. 

Kitty, impassibile, si domandava che cosa esattamente sua moglie gli avesse detto di lei. 

Egli doveva pur averle domandato che donna fosse. 

Difatti Townsend, mentre la guardava coi suoi occhi ridenti, ripensava al colloquio avuto con la moglie. 

Che tipo è? le aveva chiesto lui, dopo che lei lo ebbe informato di aver conosciuto la moglie del dottor Fane. 

Oh, una cosina graziosa! Un tipo di attrice. 

Ha recitato? Oh, non lo credo. 

Suo padre dev'essere qualcosa come un medico o un avvocato. 

Bisognerebbe invitarli a pranzo, non ti pare? Mica c'è fretta. 

Quando si trovarono seduti l'uno a fianco dell'altra egli le disse di conoscere Walter Fane sin dal primo suo arrivo nella colonia. 

Giochiamo al bridge... 

E' il miglior giocatore di bridge ch'io conosca. 

Tornati a casa essa lo riferì a Walter. 

Non ha importanza. 

Lui come gioca? Discretamente... 

Se ha buone carte gioca benissimo, ma se non ha buone carte manda tutto per aria. 

Gioca bene come te? Sai, io non mi faccio illusioni sul mio modo di giocare. 

Credo di essere un ottimo giocatore di seconda categoria. 

Townsend crede di essere della prima categoria. 

Ma non lo è. 

Nel complesso, ti piace? Non posso dire che mi piaccia, né posso dire che mi dispiaccia. 

Suppongo che vada bene per il posto che occupa, e sembra che sia un discreto sportsman. 

E' un uomo che non mi interessa, ecco. 

Non per la prima volta la moderazione di Walter la esasperava. A che scopo essere così prudenti? La gente piace o non piace. 

E a lei Charles Townsend piaceva moltissimo. 

Non si aspettava che le sarebbe piaciuto, ed ecco, le piaceva. 

Egli era l'uomo forse più popolare di tutta la Colonia. 

Come si pensava che presto il Segretario coloniale sarebbe andato in ritiro, ognuno sperava che Townsend ne avrebbe preso il posto. 

Giocava al tennis, al polo, al golf... 

Aveva dei cavalli da corsa. 

Era sempre pronto, se poteva, a fare un favore. 

E non metteva mai, per nessun caso, la cresta. 

Non si dava arie. 

Kitty non capiva perché avesse provato dispetto a sentirne parlare bene. 

Forse lo aveva giudicato pieno di sé. 

Ma era stata una sciocca. 

Questo, d'esser pieno di sé, era l'ultima cosa di cui si potesse accusarlo. 

La sera del pranzo, Kitty se l'era proprio goduta. 

Avevano parlato dei teatri di Londra, e di Ascot e Cowes, tutte cose in cui essa era molto addentro, tanto che addirittura le pareva di averlo incontrato in qualche bella casa dei Lennoj Gardens. Quando poi gli uomini, a pranzo finito, passarono nel salotto egli non tardò a piantarli e a tornare vicino a lei. 

Sebbene nulla dicesse di molto divertente la faceva ridere, forse solo per il modo in cui parlava.La sua calda voce profonda aveva qualcosa che carezzava; e un'espressione deliziosa di bontà avevano i suoi lucenti occhi azzurri; per cui subito essa si era sentita familiare con lui. 

Naturalmente aveva del fascino. 

Per questo, soprattutto, riusciva così piacevole. 

Era alto, non meno di sei piedi pensava lei, e aveva una bella figura. 

Evidentemente in ottima salute, non mostrava di avere una sola oncia di grasso più del necessario. Vestiva bene, era l'uomo meglio vestito di tutta la tavola, e portava bene quello che indossava. A lei piacevano gli uomini eleganti. 

Cercò Walter con gli occhi. 

Pensò che avrebbe dovuto avere maggior cura di se stesso. 

Rilevò che i gemelli dei polsi e i bottoni del panciotto di Townsend erano quali ne aveva visti da Cartier's. 

Senza dubbio dovevano avere delle risolse private, i Townsend. 

Fortemente abbronzata era la faccia di lui, ma il sole non era riuscito a togliergli il colore della salute dalle guance. 

Le piacevano su quella faccia gli azzimati baffetti che non nascondevano la rossa pienezza delle labbra. 

E che bei capelli neri aveva, non lunghi invero e pettinati senza divisa! Ma gli occhi, sotto le folte, cespugliose sopracciglia erano la sua cosa più bella: azzurri di un intenso azzurro traboccavano di una ridente tenerezza che testimoniava di dolci disposizioni. 

Un uomo che aveva quegli occhi era certo incapace di far del male a una mosca. 

Essa non poteva non accorgersi di aver fatto colpo su di lui. 

Anche se non le avesse detto nulla di come la trovava incantevole eccetera, i suoi occhi caldi di ammirazione lo avrebbero tradito. 

Ed era delizioso come si abbandonava, come si dimenticava... 

Kitty si sentiva subito familiare con la gente così, e poi in lui ammirava il modo col quale, di mezzo al tono burlesco della loro conversazione, le allungava ogni tanto qualche amabile frase di lusinga. Quando nel lasciarsi si strinsero la mano egli le diede una pressione sul significato della quale non c'era da ingannarsi. 

Spero di rivedervi presto disse con naturalezza, ma i suoi occhi gravarono con visibile ardore su quelle pur convenzionali parole. 

Oh, Tching-Yen è molto piccola! Nevvero? fece, per tutta risposta, lei. 

 

 

15. 

Chi avrebbe mai supposto che in tre mesi si sarebbero trovati a quel punto? Egli poi le aveva raccontato come subito si fosse pazzamente invaghito di lei. 

Era, lei, la più bella cosa che avesse mai visto. 

Ricordava il vestito che indossava; il vestito di quando si era sposata; e sembrava, le disse, un "giglio della valle". 

Naturalmente essa si accorse che era innamorato di lei prima che lui glielo dicesse, e lo teneva, un po' spaventata, a distanza. 

Era un uomo impetuoso e le faceva paura. 

Le faceva paura lasciarsi baciare, poiché solo al pensiero delle sue braccia che la stringessero le veniva meno il cuore. 

Mai era stata innamorata, prima. 

Ah, era meraviglioso! E ora che lo sapeva, cosa fosse, provava simpatia per l'amore stesso che Walter le portava. 

Ora, alle volte, le accadeva di stuzzicarlo, scherzevolmente, e vedeva che egli ne godeva. 

Dopo averlo un po' temuto, ora poteva trattarlo con una certa confidenza. 

Lo burlava divertendosene, per il lento sorriso col quale egli accoglieva le sue frasi scherzose. 

Egli appariva sorpreso e insieme compiaciuto. 

Ed essa pensava che avrebbe finito per renderlo del tutto umano. 

Avendo in qualche modo appreso che cosa fosse voler bene si divertiva a giocare lievemente, come un'arpista che scorra le corde di un'arpa, con gli slanci amorosi di lui. 

E quando di ciò lo vedeva turbato, confuso, rideva a non più finire. 

Poi, essendo Charlie divenuto il suo amante, la situazione tra lei e Walter prese una piega di raffinata assurdità. 

A stento le riusciva di guardarlo, così grave e padrone di sé come sempre era, senza scoppiare in una risata. 

Troppo era felice per poter essere sgarbata con lui. 

Dopotutto, se non fosse stato per lui, non avrebbe mai conosciuto Charlie. 

Prima del passo finale essa aveva un po' esitato; ma non perché non volesse cedere alla passione di Charlie, ch'era anche di lei, sibbene perché le convenzioni all'ombra delle quali era venuta su la intimidivano. 

In seguito a quel passo (e fu dovuto a un caso, nessuno dei due avendone vista l'opportunità sinché non si trovarono soli) essa restò stupefatta di accorgersi che non si sentiva per nulla diversa da come si sentiva prima. 

Aveva sempre pensato che quell'atto dovesse causare, non sapeva in che modo, qualche fantastico cambiamento dentro di lei così da darle il senso di essere diventata un'altra; e non appena le capitò di guardarsi allo specchio fu quasi sconcertata di vedersi quale sempre si era vista, quale si era vista il giorno prima... 

Sei in collera con me? le chiese lui. 

Ti adoro essa bisbigliò per tutta risposta. 

Non ti sembra di essere stata una stupida a perdere tanto tempo? Sì, proprio una stupida. 

 

16. 

La sua felicità, quasi superiore alla sua capacità di sopportarla, rinnovò la bellezza di Kitty. Negli ultimi tempi che precedettero le sue nozze, siccome cominciava a perdere la prima freschezza, aveva avuto l'aria stanca e tirata. 

E i maligni avevano osato dire ch'era "bella e ita". 

Ma vi è differenza tra una ragazza di venticinque anni e una donna sposata della medesima età. Da ragazza era un bocciolo di rosa che cominciava a ingiallire lungo l'orlo dei petali, ed ecco che, sposatasi, era adesso una rosa in pieno fiore. 

I suoi occhi stellanti acquistarono una più significativa espressione; la sua carnagione (che sempre aveva costituito il suo orgoglio più grande ed era stata oggetto delle sue più ansiose cure) abbagliava addirittura e improprio sarebbe stato paragonarla a una pesca, a un fiore giacché questi, la pesca, il fiore, avrebbero piuttosto voluto riuscire paragonabili a essa. 

Sembrava avesse di nuovo diciott'anni. 

Era al culmine della sua luminosa grazia. 

E non si poteva non rilevarlo; perciò le amiche le chiedevano, in amichevole appartarsi, se stesse per avere un bimbo. 

Gli indifferenti che l'avevano giudicata una donna molto carina dal naso lungo ammettevano ora di essersi sbagliati. 

Essa era veramente quale Charlie l'aveva definita al primo vederla: una raggiante bellezza. 

Organizzarono la loro relazione con prudenza. 

Non che a lui importasse di avere le spalle sicure, aveva callose spalle lui, disse lui stesso (al che lei osservò che non voleva si burlasse della propria persona), ma non dovevano, per lei, correre il minimo rischio. 

Non potevano perciò incontrarsi spesso, nemmeno la metà di quanto avrebbe in effetti desiderato lui, e gli incontri avvenivano nella bottega dell'antiquario o talvolta, dopo colazione, quando tutti si trovavano tappati per il caldo in casa, da lei. 

Ma si vedevano continuamente ogni dove. 

E lei allora si divertiva per la formalità con la quale egli le parlava, nello stesso tono gioviale che usava verso tutti. 

Chi avrebbe mai immaginato, a sentirli cicalare allegramente, che non molto tempo prima egli l'aveva magari tenuta nelle sue braccia appassionate? Essa lo adorava. 

Splendido egli era, cogli eleganti stivali e le brache bianche, quando giocava al polo. 

In costume da tennis sembrava un vero ragazzo. 

Naturalmente era orgoglioso del proprio aspetto; lei non aveva mai visto un uomo dalla persona più bella. 

E stava bene attento a mantenersi quale era. 

Non mangiava pane, né patate, né burro. 

Faceva molto esercizio... 

A lei piaceva soprattutto la cura che aveva delle proprie mani; andava dalla manicure una volta la settimana. 

Ed era un atleta meraviglioso. 

L'anno prima aveva vinto il campionato locale di tennis. 

Nel ballo non si poteva desiderare un compagno migliore di lui; era un sogno ballare con lui. 

Nessuno avrebbe immaginato che aveva quarant'anni. 

Essa sempre gli diceva di non crederlo. 

Sei un impostore gli diceva. 

Tu non hai più di venticinque anni. 

Ed egli rideva, compiaciuto. 

Mia cara, ho pur un ragazzo di quindici anni, lo sai bene. 

Sono nella mezza età. 

Ancora due anni, tre anni, e sarò un grasso anzianotto, vedrai. 

Sarai adorabile anche a novant'anni, tu. 

Essa amava le sue folte sopracciglia nere. 

E si domandava se non fosse per esse che i suoi occhi azzurri avevano quella loro conturbante espressione. 

E che uomo compito, perfetto era, in ogni cosa! Sapeva suonare il pianoforte, musica da ballo naturalmente, e cantare delle cose umoristiche con voce calda e con brio. 

Non c'era nulla, essa credeva, ch'egli non fosse in grado di fare. 

Anche nel suo lavoro d'ufficio era molto bravo, ed essa condivideva il suo piacere quando lui le raccontava di come il governatore fosse rimasto contento per qualche difficile pratica portata a buon fine. 

Modestia a parte egli diceva, con gli occhi che ridevano dell'amore per lei, ma ti giuro che nessun altro di tutta l'amministrazione della colonia avrebbe potuto far meglio di me. Oh, come Kitty avrebbe voluto esser la moglie di Charlie anziché di Walter! 

 

17. 

Ancora, naturalmente, non era sicura che Walter sapesse; se non sapeva era bene lasciarlo stare, e se sapeva... meglio, si sarebbe venuti a una soluzione. 

Nei primi tempi era stata, se non soddisfatta, rassegnata a vedersi con Charlie solo furtivamente; ma via via che passava il tempo la sua passione cresceva e ormai non sapeva più come tollerare gli ostacoli che le impedivano di stare sempre con lui. 

Spesso egli le aveva detto che malediceva la posizione per la quale era costretto a usare tanta discrezione, e i vincoli che lo legavano, e i vincoli che legavano lei. 

Che bello sarebbe stato, diceva, essere liberi! Essa capiva il suo punto di vista; non piaceva a nessuno fare scandali, e poi, naturalmente, occorreva rifletter parecchio prima che uno si decidesse a cambiare il corso della propria vita. 

Ma se li avessero liberati, se per forza maggiore fossero diventati liberi, oh, come tutto allora sarebbe stato semplice! Nessuno del resto ne avrebbe molto sofferto. 

Essa sapeva esattamente quali fossero le relazioni di Charlie con sua moglie. 

Dorothy era una donna fredda e da anni non esisteva più amore tra lei e Charlie. 

Solo l'abitudine li teneva insieme, la convenienza, e, naturalmente, i bambini. 

Riacquistare la libertà sarebbe stato più facile per Charlie che per lei. 

C'era l'amore di Walter su di lei. 

Ma Walter, dopotutto, aveva il suo lavoro che lo assorbiva. 

Inoltre era un uomo. 

E un uomo ha il club, ha tante cose per consolarsi. 

Dopo la prima scossa si sarebbe a poco a poco quietato, e non vi era ragione perché non pigliasse di nuovo moglie. 

Charlie le aveva detto di non riuscire a spiegarsi come mai si fosse buttata così a sposare Walter Fane. 

Quasi sorridendo, essa perciò ora si stupiva del panico che l'aveva presa poco prima al pensiero di essere scoperta da Walter. 

Certo era stata una cosa che agghiacciava il sangue vedere il pomo della porta girare lentamente senza che si fosse udito alcun rumore. 

Ma dopotutto si sapeva il peggio che poteva venir loro da Walter, e si era ad esso preparati. Per Charlie sarebbe stato non meno sollievo che per lei vedersi imposto quello che entrambi desideravano più di ogni cosa al mondo. 

Walter era un gentiluomo, bisognava riconoscerlo, e le voleva bene. 

Si sarebbe dunque comportato com'era giusto da parte di un gentiluomo e le avrebbe permesso di divorziare. 

Era stato un errore sposarsi, ed era una fortuna accorgersene prima che fosse troppo tardi. Parola per parola essa preparò dentro di sé quello che avrebbe dovuto dirgli, e punto per punto stabilì il modo nel quale avrebbe dovuto trattarlo. 

Sarebbe stata gentile, sorridente e ferma. 

Non c'era bisogno di litigare. 

Avrebbero potuto sempre rivedersi; lei ne sarebbe stata contenta. 

Sinceramente sperava che dei due anni trascorsi insieme egli avrebbe voluto serbare buona e grata memoria. 

"Quanto a Dorothy Townsend, non gliene importerà nulla di divorziare da Charlie," passò a pensare. "Il più piccolo dei ragazzi, sta per andarsene anche lui in Inghilterra, e le sarà certo dolce accompagnarlo. 

Essa non ha nulla da fare qui a Tching-Yen. 

Invece in Inghilterra potrà trascorrere tutte le feste coi suoi ragazzi. 

E poi ritroverà i genitori..." Era tutto semplicissimo e tale che si poteva sistemare senza scandalo e senza rancori. 

In seguito, lei e Charlie si sarebbero sposati... 

Qui Kitty trasse un lungo sospiro. 

Sarebbero stati così felici, oh, così felici! Valeva la pena aver da passare per tante seccature pur di raggiungere una simile felicità. 

Confusamente, un'immagine dentro a un'altra, Kitty si figurava la vita che avrebbero condotta, e gli spassi che si sarebbero presi, i piccoli viaggi che avrebbero fatti, la casa che avrebbero abitato, e persino pensava alla carriera in cui lui sarebbe andato avanti, all'aiuto ch'essa gli avrebbe recato. Oh, come lui avrebbe dovuto esser fiero di lei, e come lei lo avrebbe adorato! Ma dentro a questi sogni scorreva una vena di apprensione. 

Curioso: era come se gli strumenti principali di un'orchestra eseguissero arcadiche melodie mentre in chiave di basso i tamburi, velato brontolio di presagi, rullassero sinistramente. 

Walter, presto o tardi, sarebbe tornato a casa, e a questo pensiero, al pensiero di vederlo, il cuore le batteva forte. 

Strano era che se ne fosse andato via, quel pomeriggio, senza lasciar detto nulla, non una parola, per lei. 

Naturalmente non ne aveva paura. 

Che cosa poteva farle, dopotutto? si ripeteva. 

Ma non riusciva a liberarsi pertanto dall'ansietà. 

E una volta di più ripassò in mente quello che gli avrebbe detto. 

A che pro una scenata? Era dolente della cosa, e il cielo sapeva come non avrebbe mai voluto essergli causa di pena, ma non poteva impedirsi di non amarlo. 

Fingere non serviva, tanto meglio valeva dire la verità. 

Sperava che non sarebbe stato infelice, ma avevano commesso uno sbaglio a sposarsi ed era un bene, adesso, riconoscerlo. 

Essa avrebbe serbato un buon ricordo di lui. 

Ma pur mentre si diceva queste cose, fremiti sotterranei di paura le facevano affiorare il sudore alle palme delle mani. 

Sentendo di aver paura finì per irritarsi contro Walter. 

Bene, se voleva abbandonarsi a una scenata, affare suo. 

Non doveva poi sorprendersi se gli si fosse risposto per le rime. 

Essa gli avrebbe detto chiaro e tondo che mai le era importato un fico secco di lui, e che mai un giorno era passato da quando si erano sposati senza che lei si rammaricasse della sciocchezza commessa. 

Era tetro da non potersi sopportare. 

Oh, come la seccava, la seccava, la seccava! Si credeva un uomo superiore ed era semplicemente ridicolo. 

Non aveva il minimo senso di ironia, di umorismo. 

E lei odiava la sua aria di sufficienza, la sua freddezza, la sua assoluta, costante padronanza di sé. Nulla di più facile che l'esser padrona di sé quando non ci si interessa ad altro che a noi stessi. Le riusciva ripugnante, sì, ripugnante. 

Aborriva di esser baciata da lui. 

E che diamine si credeva di essere, con quel suo disprezzo per tutti gli altri? Non sapeva ballare, non sapeva stare in compagnia, non sapeva suonare né cantare e neanche giocare al polo; nel tennis non valeva più di uno qualunque: e quanto al bridge... 

Oh, al diavolo il bridge, cosa credeva che contasse? La collera di Kitty divenne furore. 

Che osasse di rimproverarla! Tutto era accaduto per colpa di lui. 

Ed era contenta, contenta, che ora fosse informato... 

Essa lo odiava, essa avrebbe voluto non vederlo più. 

Sì, era contenta ch'egli avesse saputo. 

Perché non poteva lasciarla stare? L'aveva scocciata per farsi sposare e adesso, adesso lei era stufa! Stufa! ripeté ad alta voce, fremendo di furore. 

Stufa! Stufa! Udì allora l'automobile fermarsi dinanzi al cancello del giardino. Ecco, Walter saliva le scale. 

 

 

18. 

Egli entrò. 

E il cuore di lei batteva selvaggiamente, tremavano le sue mani. 

Era una fortuna che si trovasse sul sofà. 

Teneva aperto un libro sulle ginocchia come se stesse leggendo. 

Egli un attimo si fermò sulla soglia, e i loro occhi s'incontrarono. 

Lei ebbe un tuffo al cuore; e un freddo subitaneo le attraversò le membra, si mise a tremar tutta. 

Provava quella sensazione che si rende col dire che qualcuno ci cammina sulla tomba. 

Mortalmente pallida era la faccia di lui; così essa lo aveva visto solo la volta in cui le aveva chiesto, nel Park, se voleva essere sua moglie. 

Grandi in modo sovrannaturale sembravano i suoi immobili, imperscrutabili occhi neri. 

Egli sapeva. 

Sei venuto presto osservò Kitty. 

Tremavano le sue labbra e fu con sforzo ch'essa riuscì a pronunciare le parole. Era terrificata. 

Aveva paura di svenire. 

Alla solita ora, credo. 

Strana le suonò la voce di lui. 

Fu più alta sull'ultima parola come per dare alla frase un accento occasionale, ma era forzata. 

Ed essa si chiese se lui si rendeva conto del tremito che la scuoteva. 

Solo per uno sforzo continuo si tratteneva dal gridare. 

E lui infine abbassò gli occhi. 

Vado a vestirmi, disse. 

Se ne andò. 

Lei rimase come in frantumi. 

Per due o tre minuti non fu capace di muoversi, poi, sollevandosi a fatica dal divano quasi che fosse stata malata e si alzasse dal letto per la prima volta, si mise in piedi. 

Non sapeva se le gambe avrebbero potuto reggerla. 

Appoggiandosi di seggiola in seggiola si trascinò sino alla veranda, poi di là, tenendosi al muro, raggiunse la sua camera. 

Indossò un abito da pomeriggio e, quando tornò nel salottino (mai si servivano del salotto che tenevano in riserva per le visite), trovò lui in piedi che guardava, dinanzi al tavolo, le illustrazioni dello "Sketch". 

Dovette farsi forza per entrare. 

Scendiamo? Il pranzo è pronto. 

Ti ho fatto aspettare? Era terribile come non le riusciva di frenare il tremito delle labbra. 

Quando avrebbe parlato Walter? Sedettero e per un momento vi fu silenzio fra di loro. 

Poi egli fece un'osservazione che, per essere occasionale, suonò sinistra. 

L'"Empress" non è arrivato oggi disse. 

Avrà perso tempo per qualche tempesta. 

Doveva arrivare oggi? Sì. 

Essa allora lo guardò e vide che teneva gli occhi fissi sul piatto. 

Un'altra osservazione dello stesso genere egli fece intorno a una partita di tennis che si doveva giocare, e parlò un pezzo. 

Di solito la sua voce era gradevole, ricca di sfumature, ma adesso suonava uniforme. 

Non era naturale, pareva a Kitty che venisse da molto lontano. 

E tutto il tempo gli occhi non si staccarono dal piatto che per posarsi poco più in là sulla tavola o su un quadro appeso al muro. 

Evitavano d'incontrare gli occhi di lei. 

Così Kitty capì ch'egli non poteva soffrire di guardarla. 

Andiamo di sopra? fece lui quando il pranzo fu giunto al termine. 

Se vuoi. 

Si alzò ed egli le aprì la porta. 

Al passaggio di lei abbassò gli occhi. 

E appena furono nel salottino egli di nuovo prese in mano il giornale illustrato. 

E' nuovo questo "Sketch"? Non mi sembra di averlo visto. 

Non so. 

Non l'ho notato. 

Il giornale si trovava là da una quindicina di giorni ed essa sapeva ch'egli lo aveva guardato a più riprese. 

Ma Walter non lo posò: si sedette a sfogliarlo. 

Essa si sdraiò sul sofà e riaprì il libro. 

Di regola la sera, se eran soli, giocavano a carte o facevano qualche solitario. 

Ora egli se ne stava comodamente seduto, con le spalle contro lo schienale, nella sua poltrona e sembrava tutto preso dall'illustrazione che guardava. 

Non voltò pagina. 

Ed essa cercò di leggere, ma non le riusciva di veder nulla. 

Le parole erano macchie. 

Allora si accorse che le doleva la testa, ferocemente. 

Quando avrebbe parlato Walter? Passarono un'ora così in silenzio. 

Essa aveva rinunciato a leggere, e, lasciatosi cadere sul grembo il romanzo, guardava fisso nel vuoto dinanzi a sé. 

Aveva paura di fare il più piccolo gesto, il minimo rumore. 

Perfettamente tranquillo egli sedeva sempre nella medesima posizione e teneva gli occhi, quei suoi grandi occhi di pietra, spalancati sull'illustrazione. 

La sua tranquillità era stranamente minacciosa, come di una belva pronta a balzare. 

Quando poi, d'un tratto, egli si alzò essa trasalì. 

Si sentì vuotata di tutto il sangue e si torse l'un l'altra le mani. 

Ho da lavorare diss'egli con quella sua voce monocorde, guardando altrove. 

Vado nel mio studio se non ti dispiace. 

Suppongo che sarai già andata a letto quando avrò finito. 

Sono piuttosto stanca, stasera.Buona notte. 

Egli lasciò la stanza. 

 

 

29. 

La mattina dopo, non appena le fu possibile, essa telefonò a Townsend, nel suo ufficio. 

Pronto, che ti succede? Ho bisogno di vederti. 

Mia cara, ho un tremendo da fare. 

Non sono un disoccupato io, lo sai bene. 

E' di estrema importanza. 

Posso venire a trovarti nel tuo ufficio? Oh, non lo farei se fossi in te! Vieni tu da me, allora. 

Non mi è possibile muovermi. 

Perché non vederci oggi dopopranzo? D'altra parte non ti sembra che sarebbe meglio se non venissi a casa tua? Bisogna che ti veda subito. 

Seguì una pausa per cui essa temette che fosse stata interrotta la comunicazione. Pronto? fece con ansia. 

Sì, pensavo. 

E' accaduto qualcosa? Non posso dirtelo per telefono. 

Un altro silenzio seguì prima ch'egli rispondesse. 

Bene, senti, guardo subito di rendermi libero per dieci minuti. 

Vai ad aspettarmi da Ku-Chou. 

Ti raggiungo appena posso. 

Dall'antiquario? fece lei. 

E la sua voce suonò spaventata. 

Mica possiamo vederci nel salone del Tching-Yen Hotel ribatté lui. 

E a lei non sfuggì che c'era una punta di irritazione nella sua risposta. 

Va bene. 

Andrò subito da Ku-Chou. 

 

20. 

Discese dal "rickshaw" nella Victoria Road e si avviò su per il ripido angusto vicolo. 

Giunse alla bottega. 

Un momento indugiò fuori come interessata dal "bric-a-brac" esposto in vetrina. 

Ma un ragazzo che se ne stava sulla soglia in vedetta dei clienti, riconoscendola subito, le rivolse un largo sorriso di connivenza. 

Qualcosa egli disse in cinese verso l'interno della bottega e il padrone di questa, un ometto dalla faccia grassa in veste nera, si fece innanzi a salutarla. 

Rapida essa entrò. 

Mister Townsend non ancora venuto. 

Andare di sopra, voi? Sì? Kitty passò nel retrobottega, si mise a salire la buia scaletta. 

Il cinese le tenne dietro, aprì la porta che metteva nella camera. 

C'era afrore di oppio entro al senso di rinchiuso. 

Ella sedette su un cofano in legno di sandalo. 

Un attimo dopo udì un passo grave sulle scale scricchiolanti. 

E Townsend entrò, chiudendosi la porta dietro. 

Aveva una faccia cupa, ma non appena la vide sorrise nella sua maniera incantevole di sempre. 

E subito la prese nelle braccia, la baciò in bocca. 

Dunque, che ti succede? Oh, solo a vederti mi sento meglio disse lei, per tutta risposta, con un sorriso. 

Egli si mise a sedere sul letto, accese una sigaretta. 

Sei piuttosto pallida. 

Sfido fece lei. 

Non ho chiuso occhio tutta la notte. 

Egli la guardò. 

Ancora sorrideva, ma di un sorriso ormai un po' affatturato, innaturale. 

A lei parve di vedere un'ombra di ansietà nei suoi occhi. 

Walter sa disse. 

Passò un istante di silenzio prima che lui rispondesse. 

Che cosa dice? Non dice nulla. 

Non ha parlato. 

Oh, come! E così esclamando egli la guardò acutamente. 

Che cosa allora ti fa pensare che sappia? Ogni cosa. 

Il suo aspetto. 

Il modo in cui si è comportato a pranzo. 

E' stato sgarbato? No, anzi di una scrupolosa compitezza... 

Ma, per la prima volta da quando siamo marito e moglie, non mi ha dato il bacio della buona notte. Qui essa chinò gli occhi. 

Non era sicura che Charlie la capisse. 

Di regola Walter la stringeva fra le braccia e le premeva le labbra sulla bocca, a lungo. 

Tenero e appassionato diventava per tutto il corpo in quel bacio. 

Perché non ha detto nulla, secondo te? Non so. 

Seguì una pausa. 

Tranquilla sedeva Kitty sul cofano di legno e con ansiosa attenzione osservava Townsend, la cui faccia s'era di nuovo fatta cupa, accigliata. 

Due pieghe gli segnavano la bocca agli angoli. 

Ma d'un tratto egli levò lo sguardo e i suoi occhi scintillarono di maliziosa compiacenza. Forse non dirà nulla mai. 

Essa rimase zitta. 

Non capiva il significato delle parole di lui. 

Dopotutto, non sarebbe il primo a chiudere gli occhi in un caso come questo. 

Che avrebbe da guadagnarci a far del chiasso? Se avesse voluto far del chiasso avrebbe insistito per entrare in camera... 

Qui ammiccò e schiuse le labbra in un largo sorriso. 

Che figura da stupidi avremmo fatta! soggiunse. 

Avrei voluto che tu vedessi che faccia aveva ieri sera osservò lei. 

Naturalmente che sarà stato sconvolto. 

Un colpo simile! E' una dannata situazione umiliante per chiunque. 

Uno sembra imbecille, capirai. 

Ma ho l'impressione che Walter non sia tipo da lavare i panni sporchi in pubblico. Lo credo anch'io disse lei soprappensiero. E' molto sensibile Walter. 

Me ne sono accorta. 

Tanto meglio per noi. 

E' un ottimo sistema, capisci, mettersi nello stato d'animo dell'altro e domandarsi come agiremmo al suo posto. 

Un uomo ha una sola maniera di salvar la faccia quando si trova in una simile posizione ed è di fingere di non saper nulla. 

Scommetto quello che vuoi che Walter farà così. 

Più Townsend parlava e più diveniva sicuro. 

Scintillavano i suoi occhi azzurri; di nuovo egli era il gaio e gioviale ragazzone di sempre. 

Un'incoraggiante fiducia irradiava da lui. 

Il cielo sa se vorrei dire qualcosa di spiacevole sul suo conto. 

Ma, per esser chiari, un batteriologo non è nulla di grande, capisci... 

Ora è probabile ch'io diventi il Segretario coloniale quando Simmons sarà messo a riposo, e Walter ha tutto l'interesse a rigar dritto con me. 

Deve pensare a guadagnarsi il pane, come del resto tutti noi, e ti pare che la Segreteria coloniale terrebbe in buona considerazione uno che facesse scandali? Credi a me, egli avrebbe tutto da perdere a non stare zitto. Kitty si agitava sul suo cofano. 

Sapeva come Walter fosse timido e perciò poteva anche credere che il disgusto di una scena, la paura dell'attenzione pubblica, o altro del genere potessero influenzarlo. 

Ma non poteva mai credere che si sarebbe lasciato trattenere dal pensiero di un utile materiale. 

Forse non lo conosceva molto bene ma certo Charlie non lo conosceva meglio di lei. 

Non ti è venuto in mente che sia innamorato pazzo di me? Egli non rispose, ma le sorrise con aria furbesca. 

A lei era ben nota e cara quella sua espressione. 

Ebbene? Suppongo che tu stai per dire qualcosa di terribile. 

Ecco, voi donne avete spesso l'impressione che gli uomini siano più innamorati pazzi di voi di quanto in realtà non sono. 

Per la prima volta essa rise. 

Stava ripigliando fiducia. 

Che mostruosità dici mai! Bene, io sono sicuro che tuo marito non ti ha dato molto da fare in questi ultimi tempi. 

Forse non è più tanto innamorato pazzo di te, come una volta. 

In ogni caso mi guarderò dall'illudermi che tu sia innamorato pazzo di me disse lei, di rimando. 

In questo ti sbagli. 

Ah, che bene sentirlo parlare così! Essa lo sapeva, sapeva ch'era così, e la fede che aveva nella sua passione le riscaldava il cuore. 

Egli intanto si era alzato dal letto, era venuto a sedersi vicino a lei sul cofano in legno di sandalo. 

Col braccio le cinse la vita. 

Non ti torturare il cervello un minuto di più le disse. 

Io ti assicuro che non vi è da temere nulla. 

Ho la certezza assoluta, come ho la certezza di esistere, che Walter farà finta di nulla. 

Sono cose troppo irte di difficoltà, queste, perché uno ci si metta... 

Tu dici che è innamorato pazzo di te. 

Bene, forse non vorrà perderti del tutto. 

Io, vedi, accetterei qualunque cosa, te lo giuro, pur di non perderti se tu fossi mia moglie. 

Essa si chinò verso di lui. 

E il suo corpo divenne molle e cedevole nelle sue braccia. 

Era quasi una tortura il bene che in quel momento gli voleva. 

Le sue ultime parole l'avevano colpita: forse Walter l'amava così appassionatamente ch'era pronto ad accettare qualunque umiliazione purché talvolta essa si abbandonasse al suo amore. 

Capiva una cosa simile, capiva giacché lei stessa lo provava nei riguardi di Charlie. 

E un fremito di orgoglio l'attraversò, un orgoglio misto di disprezzo per l'uomo che poteva amare così da schiavo. 

Gettò amorosamente le braccia al collo di Charlie. 

Sei magnifico, caro. 

Io tremavo come una foglia quando sono arrivata qui e tu mi hai tranquillizzata del tutto, mi hai reso la pace. 

Egli le prese la faccia nelle mani, la baciò sulla bocca. 

Cara! Sei un tale conforto per me sospirò lei. 

Non c'è nessun bisogno che tu ti preoccupi. 

Del resto sai bene che sono con te, che ti sosterrò. 

Mica ti lascerò sola. 

Kitty non aveva più alcun timore, tuttavia per un attimo ragionevole rimpianse che i suoi piani per il futuro fossero andati per aria. 

Ora che il pericolo era passato quasi desiderava che Walter saltasse fuori a chiedere il divorzio. Sapevo di poter contare su di te disse. 

E io speravo che tu lo sapessi. 

Non devi andare a colazione? Oh, all'inferno la colazione! L'avviluppò più strettamente, ed essa si trovò tutta nelle sue braccia. 

Le bocche si cercarono. 

Oh, Charlie, devi lasciarmi andare. 

Mai. 

Essa diede in una piccola risata di felicità e di trionfo. 

Gli occhi di lui erano pesanti di desiderio. 

Così egli la sollevò e sempre tenendola stretta andò sino alla porta, la chiuse a chiave. 

 

 

21. 

Tutto il pomeriggio essa pensò a quello che Charlie aveva detto di Walter. 

Dovevano pranzar fuori, quella sera, e quando Walter rincasò dal Club essa era in camera che si vestiva. 

Lo sentì bussare alla porta. 

Avanti. 

Ma la porta non si aprì. 

Vado subito a cambiarmi. 

Quanto ti ci vuole per esser pronta? Dieci minuti. 

Senza aggiungere altro egli se ne andò in camera sua. 

Di nuovo aveva parlato nel tono forzato della sera prima. 

Ma lei si sentiva sicura di sé. 

Fu pronta per la prima ed egli la trovò già accomodata in vettura. 

Temo di averti fatto aspettare le disse. 

Bene, non ne sono morta rispose lei, e fu persino capace di sorridere. 

A qualche osservazione che fece durante il tragitto egli rispose seccamente. 

Ed essa si strinse nelle spalle; cominciava ad essere stufa. 

S'egli aveva la luna, bene, se la tenesse, non gliene importava nulla, a lei. 

Rimasero così in silenzio sino a destinazione. 

Il pranzo era un vero banchetto: di troppa gente e di troppe portate. 

E mentre gaiamente ciarlava coi vicini Kitty osservava Walter. 

Era di un mortale pallore, coi lineamenti tesi. 

Sembra piuttosto giù vostro marito. 

Io credevo che non soffrisse il caldo... 

O forse lavora troppo? Sempre lavora troppo. 

Andrete via presto voi, vero? Oh, sì! Credo che andrò in Giappone come l'anno scorso. 

Il dottore dice che debbo evitare il caldo e l'estate di qui, se non voglio rovinarmi la salute. 

Walter non le dava le piccole occhiate sorridenti che sempre aveva usato darle quando pranzavano fuori. 

Mai una volta in tutta la sera posò lo sguardo su di lei. 

Essa aveva notato come teneva gli occhi rivolti altrove nello scendere dalla vettura e nel porgerle, con la consueta gentilezza, la mano per aiutarla. 

Ora, parlando con le donne che aveva ai lati, non sorrideva, ma le fissava intensamente senza batter ciglio, e i suoi occhi sembravano enormi, neri come di carbone nella faccia sbiancata. 

Seria, severa era la sua faccia. 

"Un commensale proprio divertente!" pensò Kitty in uno slancio d'ironia. 

Il pensiero di quelle sciagurate ladies che si sforzavano di essere indulgenti, con le loro ciarle, verso la truce maschera di Walter Fane quasi la divertiva. 

Certo egli sapeva; non poteva esserci dubbio; ed era furioso contro di lei. 

Ma perché non aveva detto niente? Era proprio perché, nonostante il suo furore e l'offesa ricevuta, l'amava tanto da temere ch'ella lo abbandonasse? A questa supposizione lo disprezzava un poco, ma bonariamente. 

Egli era suo marito, dopotutto, e la provvedeva di vitto e alloggio. 

Bene, fin quando non l'avesse ostacolata e le avesse lasciato fare quello che voleva essa sarebbe stata gentile con lui. 

Ma poteva anche darsi che il suo silenzio fosse solo dovuto a morbosa timidezza. 

Charlie aveva ragione di dire che nessuno al mondo più di Walter aborrisse l'idea di uno scandalo. 

Non diceva una cosa se poteva farne a meno, Walter. 

Le aveva raccontato una volta che essendo stato chiamato come testimone in una certa occasione aveva patito l'insonnia per tutta una settimana. 

Era proprio una malattia la sua timidezza. 

E c'era un'altra cosa. 

Erano talmente vani gli uomini, di solito! Perciò si poteva a maggior ragione supporre che Walter avrebbe fatto finta di nulla, sinché almeno gli estranei fossero rimasti all'oscuro della faccenda. E qui ella si chiese se Charlie non avesse toccato giusto nell'insinuare che Walter si sarebbe guardato bene dal compromettere il proprio pane. 

Charlie era l'uomo più popolare della colonia; presto sarebbe diventato Segretario coloniale. Poteva essere utile a Walter; e poteva, per altro verso, danneggiarlo parecchio se Walter lo avesse messo con le spalle al muro. 

Essa esultava dentro al cuore pensando come fosse forte e deciso il suo Charlie; inerme si sentiva nelle virili braccia di lui, inerme preda di quelle braccia. 

Erano ben strani gli uomini! Mai l'era prima passato per la mente che Walter potesse esser capace di tanta bassezza... 

Ed ecco, non si sapeva mai, e forse tutta la sua austerità altro non era che la maschera d'una meschina, calcolatrice natura. 

Più rifletteva al proposito più le sembrava verosimile che Charlie avesse ragione. 

Così portò lo sguardo sul marito una volta di più. 

E fu definitivamente senza indulgenza. 

In quel momento le ladies sedute a fianco di Walter discorrevano col loro vicino, ed egli si trovava abbandonato a se stesso. 

Guardava fisso innanzi a sé, immemore della compagnia, e una tristezza mortale gli riempiva gli occhi. 

Kitty ne restò colpita. 

 

 

22. 

L'indomani, mentre era distesa in letto, dopo colazione, sonnecchiando, fu d'un tratto destata da un colpo bussato alla porta. 

Chi è? gridò con irritazione. 

Non era solita essere disturbata a quell'ora. 

Io. 

Riconobbe la voce del marito e balzò sul letto a sedere. 

Avanti. 

Ti ho svegliata? fece lui entrando. 

Lo vedi bene rispose Kitty nel tono di naturalezza che aveva adottato con lui in quegli ultimi giorni. 

Puoi venire nella stanza accanto? Ho bisogno di dirti qualcosa. 

Kitty ebbe un sussulto al cuore; se lo sentì quasi dar di cozzo contro le costole. Infilo una vestaglia e vengo. 

Egli la lasciò sola. 

E Kitty cacciò i piedi nudi in un paio di babbucce, si avviluppò in un kimono. 

Si guardò nello specchio: era pallidissima e si passò un po' di rosso sulle guance. 

Un momento indugiò sulla porta, preparandosi a sostenere il colloquio, quindi con faccia franca passò nella stanza dove lui l'aspettava. 

Come hai fatto a venir via dal laboratorio a quest'ora? chiese. 

Non è ora in cui ti si vede di solito, mi pare. 

Vuoi sederti? Non la guardò. 

Egli parlava gravemente. 

Ed essa fu contenta di mettersi a sedere. 

Le ginocchia le tremavano, un poco. 

Incapace di insistere nel suo tono scherzoso stette zitta. 

E anche lui sedette e accese una sigaretta. 

Inquieti vagavano i suoi occhi per la stanza. 

Sembrava trovasse difficoltà a cominciare. 

Poi, di colpo, la guardò in pieno viso; e dacché per tanto tempo aveva evitato di posar gli occhi su di lei, essa ne fu così spaventata che a stento trattenne un grido. 

Hai mai sentito parlare di Mei-tan-fu? diss'egli. 

I giornali ne hanno scritto parecchio in questi ultimi tempi. 

Kitty lo fissava attonita. 

Esitava. 

E' quel paese del colera? Ho sentito che Mister Arbuthnot ne parlava ieri sera. 

Sì, c'è un'epidemia di colera. 

La peggiore epidemia che si sia avuta da parecchi anni. 

C'era un medico bianco, un missionario... 

Ed è morto tre giorni fa, di colera. 

C'è anche un convento di monache francesi, e l'ufficiale della dogana. 

Gli altri sono andati tutti via. 

Ancora egli teneva gli occhi fissi su di lei. 

Ed essa non poteva abbassare i suoi. 

Cercava di leggere in quegli occhi, ma era nervosa, e null'altro riusciva a scorgervi che una strana vigilanza. 

Come poteva guardare con tale fermezza? Mai una volta batteva le palpebre. 

Le monache francesi fanno quello che possono. 

Hanno trasformato l'orfanotrofio in ospedale. 

Ma... 

Come mosche. 

Io mi sono offerto di andar là come medico. 

Tu? Essa trasalì violentemente. 

S'egli se ne andava, pensò a tutta prima, sarebbe stata libera e avrebbe potuto vedere Charlie senza inciampi. 

Ma fu sconcertata di questo pensiero. 

Si sentì diventare rossa. 

E perché lui doveva osservarla così? Distolse gli occhi, con imbarazzo. 

E' necessario? balbettò. 

Non vi è nessun medico bianco sul posto. 

Ma tu non sei un medico, tu sei un batteriologo. 

Io sono laureato in medicina, lo sai bene, e prima di specializzarmi ho lavorato parecchio, come medico, in ospedale. 

Che sia specializzato in batteriologia torna a buon conto. 

E' un'ottima occasione per le mie ricerche. 

Egli parlava quasi con petulanza e lei, dandogli uno sguardo, restò sorpresa di scorgere nei suoi occhi un bagliore di scherno. 

Non capiva. 

Ma non è terribilmente pericoloso? Infatti. 

Egli sorrise, rispondendo. 

Fu piuttosto una smorfia di derisione che un sorriso. 

Kitty sollevò una mano ad appoggiarvi la fronte. 

Si trattava di un suicidio. 

Né più né meno di un suicidio. 

Era spaventoso! Mai essa avrebbe pensato ch'egli potesse prenderla così. 

Non glielo avrebbe lasciato fare... 

Era crudele. 

Che colpa ne aveva se non lo amava? Ma non poteva sopportare il pensiero ch'egli si uccidesse per causa di lei. 

Calde lagrime cominciarono a scorrerle, morbidamente, per le guance. 

Perché piangi? Suonò fredda lo stesso di prima la voce di lui nel dire questo. 

Tu non sei obbligato ad andarci, vero? Ci vado di mia volontà. 

Oh, non andare, Walter, te ne prego! Sarebbe troppo terribile se accadesse qualcosa. 

Dio, se tu morissi! Per quanto impassibile rimanesse la faccia di lui, l'ombra di un sorriso ne velò gli occhi, di nuovo. 

Ed essa non ebbe risposta. 

Da che parte è questo posto? fece lei, trascorsa una pausa. 

Mei-tan-fu? Su un affluente del Western River. 

Noi dovremmo risalire il Western River, poi proseguire in portantina. 

Chi noi? Tu e io. 

Gli occhi di Kitty scattarono a guardarlo. 

Pensò di aver udito male. 

Ma dagli occhi di lui il sorriso era intanto arrivato alle labbra. 

E fissi stavano gli occhi neri su di lei. 

Ti aspetti che venga anch'io? Pensavo che l'avresti voluto. 

Essa cominciò a respirare affannosamente. 

Un fremito le percorse la schiena. 

Ma non è luogo per una donna, certo... 

Il missionario aveva mandato giù la moglie e i bambini da tanto tempo e anche l'ufficiale postale è venuto giù con la moglie da un pezzo. 

L'ho vista a un tè... 

E per l'appunto diceva di esser venuta via da un paese a causa del colera. 

Ci sono cinque monache francesi, in quel posto. 

Kitty fu presa dal panico. 

Non so che cosa tu intenda dire. 

Sarebbe una pazzia ch'io vi venissi. 

Sai come sono delicata. 

Il dottor Hayward dice che bisogna me ne vada da Tching-Yen per via del caldo. 

Come potrei sopportare il caldo dell'interno? E il colera... 

Oh, io impazzirei di paura! Mi ammalerei di sicuro. 

E non c'è nessuna ragione di andare, per me. 

Io morirei... 

Walter rimase zitto. 

E nella sua disperazione essa lo guardò e a stento poté trattenere un grido. 

Era d'un tetro pallore il volto di lui che la terrorizzava. 

Esprimeva odio, quel volto. 

Possibile che egli la volesse morta? Fu lei stessa a rispondersi, dicendo: E' assurdo. 

Se credi di dover andare è affar tuo. 

Ma non puoi pretendere ch'io ti accompagni. 

Io detesto le malattie. 

Un'epidemia di colera! Non presumo di essere molto coraggiosa, e non esito a dichiararti che ne ho paura, paura... 

Resterò qui sino a quando sarà venuto il tempo di andarmene in Giappone. 

Pensavo che avresti voluto accompagnarmi, dato il pericolo che affronto. 

Era apertamente beffardo, adesso. 

Ed essa si sentì confusa. 

Non sapeva proprio se egli dicesse sul serio o se solo cercasse di spaventarla. 

Non credo che mi si possa ragionevolmente biasimare se mi rifiuto di andare in un posto pericoloso dove non ho da far nulla e non sono utile in nessun modo. 

Molto utile puoi essere invece. 

Puoi confortarmi e sostenermi nel mio lavoro. 

Essa si fece più pallida. 

Non capisco che cosa tu voglia dire. 

Credevo che bastasse un'intelligenza normale per capirmi. 

Bene, io non vengo, Walter. 

E' mostruoso che tu me lo chieda. 

Allora, rimango anch'io. 

E presenterò immediatamente domanda di divorzio. 

 

23. 

Kitty lo guardò trasecolata. 

Quanto egli le diceva era per lei così inaspettato che poteva a stento afferrarne il senso. 

Ma che diamine dici adesso? balbettò. 

Persino a lei che le aveva dette queste parole suonarono false. 

Il volto severo di Walter prese un'espressione di sdegno. 

Temo che tu mi giudichi più stupido di quello che sono in realtà. 

Essa non sapeva ora che cosa ribattere. 

Doveva proclamare indignata la propria innocenza, o dar fuori in irati rimproveri? Egli pareva leggere nei suoi pensieri. 

Ho tutte le prove necessarie. 

Kitty cominciò a piangere. 

Le lagrime le scorrevano dagli occhi silenziosamente, senza angoscia, e lei non se le asciugava nemmeno. 

Le dava tempo per raccogliere le proprie forze, piangere. 

Ma si sentiva vuoto il cervello. 

Egli la osservava impassibile, con una calma che la spauriva. 

Poi s'impazientì. 

Non puoi rimediare a nulla col piangere, sai bene. 

Così fredda e dura, la sua voce ebbe l'effetto di eccitare in lei una certa indignazione. E fu per riaversi, per ritrovare il dominio di se stessa. 

Non me ne importa nulla. 

Lascerai che sia io a chiedere il divorzio, suppongo. 

Non è un disonore, per un uomo. 

Scusa, per quale ragione dovrei espormi al più piccolo inconveniente quando la colpa è tua? Ma per te fa lo stesso. 

Non è molto chiederti di comportarti da gentiluomo, mi sembra. 

Non è affatto lo stesso. 

Mi sta troppo a cuore il tuo benessere. 

Essa si rizzò sulla sua seggiola, si asciugò gli occhi. 

Che intendi dire? fece. 

Intendo dire che Townsend ti sposerà solo se risulta correo e se la causa è così scandalosa da costringere sua moglie a divorziare da lui. 

Tu non sai quello che dici gridò Kitty. 

Stupida! Così sprezzante fu il tono di lui ch'essa arrossì di collera. 

E forse più grande era la sua collera in quanto sino ad allora non aveva sentito dirsi che cose dolci, lusinghiere ed amabili da Walter. 

Era abituata a trovarlo arrendevole per ogni suo minimo capriccio. 

Vuoi sapere la verità? Ebbene, egli è anche troppo ansioso di sposarmi. 

Dorothy Townsend è dispostissima a divorziare. 

E appena saremo liberi ci sposeremo. 

Te lo ha detto lui parola per parola o si tratta di una impressione che ti sei fatta tu per il modo in cui si comporta? Brillavano gli occhi di Walter di amaro scherno. 

La mettevano a disagio. 

Essa non era sicura che Charlie le avesse proprio detto quelle parole. 

Lo ha detto sì fece tuttavia. 

E non una volta. 

Più volte. 

Tu menti e sai di mentire. 

Egli mi ama con tutto il cuore e tutto se stesso. 

Oh, appassionatamente mi ama com'io amo lui! Tu hai visto, e io non negherò nulla. 

Perché dovrei negare? Siamo amanti da un anno, e io sono felice, sono fiera di esserlo. 

Egli è tutto per me, e ho piacere che tu lo sappia, alla fine. 

Siamo stufi, mortalmente stufi di sotterfugi, e via di seguito. 

Ho commesso un errore a sposarti, mai avrei dovuto farlo. 

Sono stata una stupida. 

Non mi è mai importato nulla di te. 

Siamo così diversi! Detesto le persone che piacciono a te, e non posso soffrire le cose che a te interessano. 

Ringrazio Iddio che sia finita! Egli la osservava senza batter ciglio, senza muovere un solo muscolo della faccia. Attentamente ascoltava e in nessun modo mostrava di esser toccato da quanto lei andava dicendo. 

Sai perché ti ho sposato? soggiunse Kitty. 

Perché volevi sposarti prima di tua sorella Doris. 

Era così, ma fu curioso e un po' sconcertante per lei scoprire ch'egli lo sapeva. 

E, cosa buffa in quel momento di paura e di collera, ne restò commossa. 

Provò una certa compassione. 

Ed egli sorrise debolmente. 

Non avevo illusioni sul tuo riguardo disse. 

Sapevo che sei una sciocca frivola donna dalla testa vuota. 

Ma ti amavo. 

Sapevo che le tue aspirazioni e i tuoi ideali sono volgari, comuni. 

Ma ti amavo. 

Sapevo che sei insomma una persona di second'ordine. 

Ma ti amavo. 

Mi è comico pensare come mi sono sforzato di prender gusto alle cose che tu ami, le cose che tu trovi divertenti e come ho cercato di nascondermi che non sono ignorante né volgare né pettegolo né stupido.Sapevo che hai orrore di tutto quello che è intelligenza e ho fatto il possibile perché tu mi credessi sciocco al pari degli altri uomini che conosci. 

Sapevo che mi hai sposato per convenienza. 

Ma ti amavo e non me ne curavo. 

La maggior parte della gente, a quel che so, quando ama qualcuno senza esser corrisposta, si addolora. 

Diventa cattiva. 

Io non mi sono addolorato né sono diventato cattivo. 

Non ho mai sperato che mi amassi, io; non vedevo perché tu dovessi amarmi, non mi sono mai creduto degno di essere amato. 

Mi è bastato poterti amare e mi sono beato di poter qualche volta pensare che ti piacevo, o di vedere nei tuoi occhi un bagliore di benevolenza, di affetto. 

Mi sono sforzato di non seccarti col mio amore; sapevo che non mi era lecito, e sempre sono stato attento ai segni che tu potevi dare d'impazienza nei miei riguardi. 

Quello che la maggior parte dei mariti considera un diritto io mi sono contentato di riceverlo come un favore. 

Abituata da quando era nata alle lusinghe, Kitty mai aveva sentito dirsi simili cose sino da allora. E un cieco furore sopraffece in lei la paura, la pervase tutta, la scosse: le vene delle tempie le si gonfiarono, si misero a palpitare. 

Ferita nella vanità una donna può essere più vendicativa di una leonessa derubata dei suoi cuccioli. 

Essa protese il mento, che sempre aveva avuto un po' quadro, in una smorfia scimmiesca e negli occhi si oscurò di malignità. 

Riuscì tuttavia a frenarsi. 

Se un uomo non ha quello che è necessario per essere amato da una donna, mica è di lei ma di lui la colpa. 

Perfettamente. 

Il tono derisorio di lui accrebbe l'irritazione di Kitty. 

Ma essa capì che poteva ferirlo di più mantenendo la propria calma. 

Io non ho avuto una educazione molto fine e non sono molto intelligente disse. 

Sono una giovane donna come ve ne sono tante. 

Mi piacciono le cose che piacciono alla gente fra la quale ho vissuto tutta la mia vita. Mi piace ballare, giocare al tennis e andare al teatro, e mi piacciono gli uomini cui piace tutto questo. 

Per le cose che piacciono a te non ho il minimo interesse, lo ammetto. 

Sono prive di senso per me, e non ne voglio sapere. 

Mi hai trascinata per quelle interminabili gallerie di Venezia, nella nostra luna di miele, e io mi sarei divertita invece molto di più giocando al golf a Sandwich. 

Lo so. 

Mi dispiace di non essere stata tutto quello che tu t'aspettavi che fossi. 

Disgraziatamente mi hai sempre ispirato ripugnanza, sì, ripugnanza fisica. 

E tu non puoi biasimarmi per questo. 

Non ti biasimo affatto. 

Kitty avrebbe potuto affrontare la situazione più agevolmente s'egli si fosse messo a saettare e tempestare. 

Avrebbe potuto contrapporre la violenza alla violenza. 

Ma il dominio perfetto ch'egli conservava di sé era inumano, ed essa lo odiava come mai lo aveva odiato. 

Tu non sei un uomo. 

Io non credo che tu sia un uomo. 

Come hai fatto a non irrompere in camera mentre sapevi che ero là con Charlie? Avresti potuto cercare di schiaffeggiarlo, se non altro... 

Avevi paura? Ma non aveva ancora finito di dire queste cose che arrossì, piena di vergogna. 

Egli non le rispose. 

I suoi occhi scintillavano di glaciale disdegno. 

Poi un lieve sorriso gli adombrò le labbra. 

Può darsi che, come un certo personaggio storico, io sia troppo orgoglioso per scendere a tanto. 

Kitty, nell'incapacità di trovare una risposta, alzò le spalle. 

Egli la tenne ancora un momento sotto il suo irremovibile sguardo. 

Credo di aver detto tutto quello che avevo da dire fece poi. 

Se rifiuti di venire con me a Mei-tan-fu inoltrerò la domanda di divorzio. 

Perché non lasci che divorzi io da te? Finalmente egli tolse via gli occhi da lei. 

E si addossò alla spalliera della sua seggiola, accese una sigaretta. 

La fumò sino in fondo senza dire una parola. 

Poi, gettato il mozzicone, sorrise a fior di labbro. 

E di nuovo si mise a guardarla. 

Se Mistress Townsend mi dà l'assicurazione che è pronta a divorziare dal marito, e lui mi promette per iscritto di sposarti entro una settimana dal giorno che le sentenze di divorzio saranno state pronunciate, allora io farò come tu dici. 

Qualcosa c'era nel modo in cui lui aveva parlato che la sconcertò. 

Ma l'amor proprio la obbligava ad accettare quella offerta magnanima. 

Grazie. 

E' generoso da parte tua, Walter. 

Ma subitamente egli ruppe in una risata, che la fece trasecolare. 

Essa arrossì di collera. 

Che hai da ridere? Non vedo che ci sia da ridere in tutto questo. 

Scusami. 

In fatto di cose da ridere ho un senso mio personale. 

Essa lo guardò con le sopracciglia corrugate. 

Avrebbe voluto dire qualche cosa di corrosivo, di amaro, ma non trovava nulla. 

E lui consultò l'orologio. 

E' meglio che ti avvii se vuoi veder Townsend prima che lasci l'ufficio. 

Nel caso che poi ti decida a venire con me ricordati che bisogna partire posdomani. 

Vuoi che gli parli oggi? Chi ha tempo non aspetti tempo, dice il proverbio. 

Il cuore di Kitty cominciò a battere forte. 

Non per disagio, ma così... 

Invero non sapeva lei stessa perché. 

Avrebbe voluto disporre di maggior tempo; avrebbe voluto poter preparare Charlie. 

Ad ogni modo era perfettamente sicura di lui, egli l'amava non meno di quanto lei amava lui, ed era un tradimento lasciarsi anche solo attraversare la mente dall'idea ch'egli potesse non accettare di buon animo la necessità che si imponeva loro. 

Fu con gravità che si rivolse a Walter: Non credo che tu sappia che cosa sia voler bene. 

Tu non puoi immaginare come, con quale passione, ci si ami Charlie e io. 

Oh, è l'unica cosa che conta, amarsi, e ogni sacrificio che il nostro amore richieda sarà facile per noi compierlo come rimuovere un fuscello. 

Walter si piegò in un piccolo inchino, ma nulla disse, e i suoi occhi la seguirono mentre lei lasciava, a passi misurati, la stanza. 

 

 

24. 

Kitty scrisse: "Pregoti ricevermi. 

E' urgente". 

E mandò il biglietto a Charlie. 

Un "boy" cinese le portò la risposta. 

Mister Townsend l'avrebbe ricevuta fra cinque minuti e la pregava di aspettare. 

Inesplicabilmente essa si sentiva nervosa. 

Quando alla fine venne introdotta da Charlie egli le si fece avanti a stringerle la mano, ma come il fattorino, avendo chiusa la porta, li lasciò soli, perse ogni affabilità e cambiò tono. 

Ti ho detto e torno a dirti che non devi venire qui nelle mie ore d'ufficio. 

Ho un terribile da fare, e poi non bisogna che la gente trovi pane per i suoi pettegolezzi. 

Coi suoi begli occhi essa lo guardò a lungo e cercò anche di sorridere, ma non poté; troppo rigide aveva le labbra. 

Non sarei venuta se non fosse stato necessario. 

Egli sorrise e le prese il braccio. 

Ebbene, dacché ci sei mettiti a sedere. 

La stanza era lunga e stretta, nuda alle pareti, alta di soffitto. 

Era dipinta in due diversi toni di terracotta. 

Un grande tavolo, una sedia girevole per Townsend e una poltrona di cuoio per i visitatori costituivano tutto il mobilio. 

Kitty provò una certa timidezza a sedersi in quella poltrona. 

Quanto a lui si sedette sul tavolo. 

Essa mai lo aveva visto con gli occhiali; non sapeva nemmeno che li adoperasse. 

E lui, vedendola che li guardava, se li tolse. 

Li porto solo per leggere spiegò. 

Essa aveva le lagrime facili e senza sapere perché si mise adesso a piangere. 

Certo non aveva nessuna intenzione precisa di commuoverlo, ma la possedeva un desiderio istintivo di eccitare la sua compassione. 

Egli la guardò sorpreso. 

Che ti succede? Oh, cara, non piangere! Essa tirò fuori il fazzoletto, e cercò di reprimere i singhiozzi. E lui suonò il campanello, e come il "boy" apparve sulla porta gli si fece incontro, gli disse: Se cercano di me, non sono in ufficio. 

Bene, sir. 

Il "boy" richiuse la porta. 

Charlie sedette sul bracciolo della poltrona, passò il braccio intorno alle spalle di Kitty. 

Ora, Kitty, dimmi di che si tratta. 

Walter vuole il divorzio rispose lei. 

E non appena parlò sentì venir meno la pressione del braccio di lui sulle sue spalle. 

Egli si era irrigidito. 

E vi fu un momento di silenzio, poi Townsend si levò dal bracciolo della poltrona, tornò a sedersi nella sua seggiola. 

In che modo? In che senso? Spiegati disse. 

Essa lo guardò vivamente, poiché aveva sentito la sua voce suonar rauca, e lo vide oscurarsi di uno scuro rossore. 

Mi ha parlato. 

Vengo dritto da casa ora. 

Dice che ha tutte le prove necessarie. 

Non avrai confessato, tu? Non avrai riconosciuto niente, vero? Essa provò un tuffo al cuore. 

No rispose. 

Ne sei proprio sicura? insistette lui, guardandola duramente. 

Ne sono sicura mentì, per la seconda volta, Kitty. 

Egli si gettò indietro sulla sua seggiola e si mise a fissare ma senza vederla la carta della Cina che era sulla parete dirimpetto. 

Kitty guardò con ansia. 

Era piuttosto sconcertata per il modo in cui egli aveva accolto la notizia. 

Supponeva che l'avrebbe presa nelle braccia, che le avrebbe detto di esser contento perché così sarebbero stati sempre insieme... 

Ma erano curiosi gli uomini. 

Più si credeva di conoscerli e meno li si conosceva. 

E continuò placidamente a piangere, con spontaneità assoluta ormai, non più per eccitare la sua compassione. 

Ci siamo cacciati in un maledetto pasticcio disse infine Charlie. 

Ma non bisogna perdere la testa. 

Piangere e disperarsi non serve a nulla, lo sai. 

Essa avvertì dell'irritazione nella voce di lui e si asciugò gli occhi. 

Non è colpa mia, Charlie. 

Non potevo farci niente io. 

Certo che non potevi. 

E' stata una disdetta infernale. 

E io sono da biasimare almeno quanto te. 

L'importante adesso è di vedere come tirarcene fuori. 

Suppongo che tu non abbia voglia di divorziare, più di quanta ne abbia io. 

Kitty represse un anelito. 

E gli diede un'occhiata scrutatrice. 

Evidentemente egli non si preoccupava di lei. 

Mi domando quali prove possa avere. 

Non so proprio come possa dimostrare ch'eravamo insieme in quella camera. 

In complesso siamo stati prudenti, mi sembra. 

E quel vecchio compare della bottega non ha certo parlato. 

Anche se tuo marito ci avesse visti entrare da lui non significherebbe nulla. 

Non sarebbe mica straordinario che fossimo andati a cercare degli oggetti insieme. 

Parlava a lei ma era come se parlasse tra sé. 

E' facile accusare, ma è maledettamente difficile provare. 

Qualunque avvocato te lo può dire. 

La nostra linea di condotta dev'essere di negare, negare ogni cosa, e se lui vuol proprio andare in tribunale, bene, gli diremo che vada all'inferno e ci batteremo. 

Ma io non posso andare in tribunale, Charlie. 

Perché non puoi? Ho paura che dovrai, invece. 

Lo sa Iddio se mi piacciono queste storie, ma non possiamo mica piegare la schiena senza difenderci! Che bisogno abbiamo di difenderci? Questa è bella! Ti pare una domanda da farsi? 

Dopo tutto la cosa riguarda anche me. 

Ma tu non ti spaventare. 

Potremo mettere tuo marito a tacere in un modo o in un altro. 

L'importante è di trovare il modo migliore. 

Qui parve gli fosse venuta un'idea poiché si voltò verso di lei col suo affascinante sorriso, e la sua voce, da brusca e pratica qual era stata sino a quel momento, divenne tenera. 

Chissà come sarai rimasta sconvolta, mia povera piccola! Dev'essere stato brutto! Allungò la mano a prendere quella di lei. 

Ci siamo cacciati in un pasticcio, ma ne usciremo, non dubitare continuò. 

Non è... 

S'interruppe e Kitty ebbe il sospetto che fosse stato per dire come non per la prima volta s'era trovato in quei frangenti, e se l'era cavata. 

L'importante è di non perdere la testa concluse. 

Tu sai che in ogni caso non ti lascerò sola. 

Io non ho paura disse lei. 

Non me ne importa nulla di quello che Walter possa fare. 

Egli sorrideva ancora, ma nel suo sorriso vi fu qualcosa di forzato, adesso. 

Alla peggio lo dirò al governatore. 

Bestemmierà come un turco, ma è un buon diavolo e un uomo di mondo. 

E accomoderà le cose in qualche modo. 

Capisci, sarebbe una noia anche per lui che ci fosse uno scandalo. 

Che cosa vuoi che faccia il governatore? Può fare delle pressioni su Walter. 

Lo toccherà nel tasto dell'ambizione, e se non basta lo richiamerà al senso del dovere. 

Kitty rimase piuttosto agghiacciata da queste parole. 

Le sembrava ormai di non esser capace a fargli vedere come la situazione fosse disperatamente grave. 

Le dava anche un po' ai nervi tanta leggerezza. 

E si rammaricava di essere venuta a trovarlo in ufficio. 

 Quell'ambiente la intimidiva. 

Assai più facile le sarebbe stato dire quello che voleva, che doveva dire se avesse potuto stringersi a lui, avvinghiarsi al suo collo. 

Tu non conosci Walter mormorò. 

Io so che ogni uomo ha il suo prezzo. 

Essa amava Charlie con tutto il cuore, ma quella sua ultima battuta la sconcertò. 

Era stupido per un uomo intelligente parlare così. 

Tu non immagini come Walter sia infuriato. 

Non hai visto la sua faccia, non hai visto l'espressione dei suoi occhi... 

Egli rimase zitto, però la osservava con un lieve sorriso sulle labbra. 

E Kitty capì che cosa stesse pensando. 

Pensava che Walter era il batteriologo, che cioè occupava una posizione subordinata, e che difficilmente avrebbe pertanto avuto l'impudenza di dar fastidio ai funzionari superiori della colonia. 

Non t'illudere, Charlie disse allora lei con fervore. 

Se Walter si è messo in testa d'intentare un'azione legale nulla di ciò che tu o un altro possa dire gli farà cambiare idea. 

Ed egli si oscurò in viso una volta di più, prese un'aria grave. 

Intende accusarmi come correo? Così ha detto in principio. 

Ma infine l'ho indotto a consentire che sia io a chiedere il divorzio. 

Oh, bene, non è poi tanto terribile! Il suo viso tornò a schiarirsi. 

E Kitty vide il sollievo nei suoi occhi. 

Mi pare un ottimo modo di cavarsela continuò lui. 

Dopo tutto è il minimo che un uomo possa fare, se vuole comportarsi da gentiluomo. 

Ma pone una condizione. 

Townsend l'avvolse in un'occhiata indagatrice, e per un momento parve riflettere. Naturalmente disse poi non sono molto ricco, ma farò tutto il possibile... 

Kitty restò zitta. 

Stava dicendo delle cose Charlie, delle cose che mai si sarebbe aspettata di sentir da lui. 

Per questo le riusciva tanto difficile parlare. 

Si era immaginata di aver da mettere fuori tutto in un fiato, tenuta stretta nelle sue amorose braccia, col viso infuocato sulla sua spalla... 

Egli consente che sia io a chiedere il divorzio se tua moglie gli dà l'assicurazione che divorzierà da te. 

Nient'altro? A stento Kitty trovò un filo di voce per proseguire. E... e... 

Dio com'è terribilmente difficile dirlo! Sono cose così brutte, Charlie! E se tu t'impegni a sposarmi entro una settimana dal giorno che le sentenze di divorzio saranno diventate esecutive. 

 

25. 

Un momento egli rimase in silenzio. 

Poi di nuovo le afferrò la mano, gliela strinse teneramente. 

Tu sai, cara disse che qualunque cosa accada Dorothy dev'essere lasciata a parte. Essa lo guardò imbambolata. 

Non capisco. 

Come possiamo? Ebbene, non si può pensare soltanto a noi in questo mondo. 

Tu sai che se le circostanze fossero diverse non bramerei di meglio che sposarti. Ma ora come ora non c'è da parlarne. 

Io conosco Dorothy. 

Nulla potrà indurla mai a divorziare. 

Kitty era orribilmente spaventata. 

E ricominciò a piangere. 

Ed egli si alzò dal suo posto, le venne vicino a sedersi sul bracciolo della poltrona cingendole la vita. 

Non ti disperare così, cara. 

Non bisogna perdere la testa, te l'ho detto. 

Credevo che tu mi amassi... 

Certo che ti amo fece lui teneramente. 

Non puoi avere nessun dubbio su questo punto. 

Se Dorothy non è disposta a divorziare Walter ti denuncerà come correo. Egli lasciò passare del tempo prima di rispondere. 

E fu secco. 

Naturalmente disse avrei la carriera rovinata, ma temo che non ti sarei lo stesso di nessun utile. 

Nel peggiore dei casi potrei confessare tutto a Dorothy. 

Ed essa se ne angoscerebbe a morte, ma mi perdonerebbe. 

Qui egli ebbe un'idea, e in tono illuminato proseguì: Forse il miglior piano sarebbe di dirglielo senz'altro. 

Perché se poi Dorothy andasse da tuo marito sono sicuro che lo persuaderebbe a starsene buono. Questo significa che tu non desideri il divorzio? Ma cara, io debbo pur pensare ai miei ragazzi, non ti sembra? E poi naturalmente non mi garba di rendere Dorothy infelice. 

Abbiamo tirato avanti così bene insieme fino adesso. 

Essa è stata sempre una moglie ottima per me, tu lo sai. 

Pure mi hai detto che non contava nulla per te. 

Non ho mai detto una cosa simile. 

Ti avrò detto che non ero innamorato di lei. 

Vedi, da anni non dormiamo insieme se non in qualche rara eccezione, come a Natale, o quando lei va in Inghilterra o ne torna. 

Essa non tiene a questo genere di cose. 

Ma siamo degli eccellenti amici. 

E non ti nascondo che le sono legato più di quanto tu possa supporre. 

Non ti sembra che avresti fatto meglio a lasciarmi tranquilla, allora? Strano come nonostante il terrore che la soffocava riuscisse a parlare con tanta calma! Oh, tu eri la cosa più cara e bella ch'io avessi vista da anni! E mi sono pazzamente innamorato... 

Non puoi biasimarmi per questo. 

Dicevi che non mi avresti mai lasciata sola! Ma, buon Dio, forse che ti lascio sola, forse che ti abbandono? Noi ci siamo cacciati in un terribile pasticcio e io farò certo tutto il possibile per tirartene fuori. 

Sì, tutto il possibile... 

Tranne l'unica cosa ovvia e naturale. 

Egli si alzò dal bracciolo, tornò al suo posto. 

Mia cara, bisogna che tu sia ragionevole. 

E' meglio affrontare la situazione con chiarezza. 

Io non voglio ferire i tuoi sentimenti, ma devo pur dirti la verità. 

Io ho la mia carriera e posso andare molto avanti. 

Non c'è ragione che un giorno non diventi governatore, e capirai è bello essere governatore... 

Se questa faccenda non viene messa a tacere addio, dovrò rinunciare ad ogni speranza. 

Magari non mi toccherà di abbandonare il servizio, ma sarò bollato a fuoco... 

D'altra parte, se costretto ad abbandonare il servizio, dovrò darmi agli affari in Cina perché solo in Cina conosco la gente. 

In entrambi i casi non potrei separarmi da Dorothy. 

Era allora necessario dirmi che non t'importava di avere altro al mondo che me? La bocca di Townsend si piegò agli angoli in un modo da persona impermalita. 

Oh, cara, ti pare il caso di prendere alla lettera tutto quanto può dire un uomo innamorato alla donna che ama? Dunque non l'hai detto sul serio? In quel momento sì. 

E se Walter chiede il divorzio che sarà di me? Allora, se vediamo che non c'è proprio probabilità di spuntarla, non ci difenderemo. 

In tal modo non si darebbe luogo a nessuna pubblicità... 

E poi la gente è di vedute piuttosto larghe, oggigiorno. 

Per la prima volta Kitty pensò a sua madre. 

E rabbrividì. 

Di nuovo portò lo sguardo su Townsend. 

E già c'era una punta di risentimento nel suo dolore. 

Si capisce, non sarà arduo per te sopportare gli inconvenienti cui mi troverò esposta io disse. 

Mia cara, non faremo molta strada se cominciamo a dirci delle cose sgradevoli rispose lui. 

Essa si lasciò sfuggire un grido di disperazione. 

Era spaventoso che lo amasse tanto e che pure sentisse tanta amarezza contro di lui. 

Egli non capiva, non poteva capire che cosa fosse per lei! Oh, Charlie, non sai come ti amo? Ma, cara, anch'io ti amo. 

Solo che, vedi, non viviamo su un'isola deserta e dobbiamo adattarci alle circostanze. 

Bisogna che tu sia ragionevole. 

Come posso essere ragionevole? Il nostro amore era ogni cosa, era tutto per me, e tu eri la mia vita... 

Non è molto piacevole accorgersi che per te si è trattato di un semplice episodio. 

Non si è trattato affatto di un episodio. 

Ma capisci, quando mi domandi di indurre mia moglie, cui sono molto attaccato, a divorziare da me e mi domandi di mandare per aria la mia carriera, ebbene, tu mi domandi un po' troppo. 

Non più di quanto io sono pronta a fare per te. 

Non siamo nelle medesime circostanze. 

Già, c'è una differenza, ed è che tu non mi ami. 

Mia cara, si può essere innamorati di una donna senza per questo desiderare di passare il resto della vita con lei. 

Essa gli gettò una sguardo e si sentì afferrare tutta dalla disperazione. 

Ora le lagrime rotolavano grosse dai suoi occhi. 

Oh, che cosa terribile! Come puoi essere così senza cuore? Singhiozzi isterici cominciarono a scuoterla. 

Ed egli allungò un'occhiata inquieta alla porta. 

Cerca di dominarti, mia cara. 

Tu non sai quanto io ti ami fece Kitty, anelando. 

Io non posso vivere senza di te. 

Non hai compassione, non hai? Non poteva più parlare. 

Piangeva ormai a dirotto. 

Lo sa Iddio se vorrei essere sgarbato e urtare i tuoi sentimenti, ma dovevo pur dirti la verità. 

E' la rovina per me, la rovina di tutta la mia esistenza. 

Perché non mi hai lasciata stare? Che male ti avevo fatto? Bene, se ti è di sollievo gettare tutto il biasimo su di me, accomodati. 

Kitty avvampò di subitaneo furore. 

Ora vien fuori che sono stata io a buttarmi su di te. 

Naturalmente, naturalmente... 

Non ti ho dato pace fin quando non hai ceduto alle mie offerte. 

Non dico questo. 

Ma certo non mi sarei mai sognato di fare all'amore con te se tu non mi avessi lasciato chiaramente capire ch'eri disposta a farlo. 

Oh, la vergogna! Essa sapeva che quanto lui diceva era vero. 

Scura e angosciata in faccia muoveva irrequietamente le mani. 

E di tanto in tanto egli l'osservava con esasperazione. 

Non vorrebbe perdonarti tuo marito? disse, trascorso un momento. 

Non gliel'ho chiesto. 

Istintivamente, mentre rispondeva, essa si torse le mani. 

E vide lui reprimere l'esclamazione di tedio che gli era venuta alle labbra. 

Perché non vai a chiederglielo? Se è così innamorato di te come dici ti perdonerà volentieri. Come lo conosci poco! 

 

26. 

Si asciugò gli occhi. 

Cercò di raccogliersi. 

Oh, Charlie, se tu mi abbandoni io morirò! Ecco che adesso faceva appello, trascinata dai propri sentimenti, alla compassione di lui. 

Subito avrebbe dovuto farlo. 

Poiché quando avesse saputo la terribile alternativa che le era stata posta, egli, toccato nella sua generosità, nel suo senso di giustizia, nella sua fierezza d'uomo, non si sarebbe preoccupato d'altro che di strapparla al pericolo. 

Oh, come appassionatamente desiderava che le sue care braccia protettrici la stringessero! Walter vuole portarmi a Mei-tan-fu. 

Come? Dove c'è il colera? Da cinquant'anni non si era avuta una simile epidemia in tutta la Cina! 

Non è posto per una donna. 

Tu non puoi andarci. 

Se tu mi abbandoni dovrò andarci. 

Che vuoi dire? Non capisco. 

Walter va a prendere il posto del medico missionario che è morto. 

E vuole portarmi con sé. 

Quando? Subito. 

Townsend si tirò indietro con la sua seggiola e la guardò interrogativamente. 

Sarò stupido, ma è certo che non riesco a raccapezzarmi in quello che tu dici. 

Se vuole portarti con lui in quel posto, che c'entra il divorzio? Mi ha dato da scegliere. 

O io lo seguo a Mei-tan-fu o lui intenta l'azione legale. 

Ah, ora vedo! Inavvertitamente egli aveva di nuovo cambiato tono. 

Bene continuò mi sembra che sia piuttosto un bel comportarsi da parte sua, non ti pare? Bello? Sicuro, dimostra del fegato a voler andare in quel posto. 

Non me lo sarei mai aspettato... 

Si guadagnerà un diploma di benemerenza al ritorno. 

Ma Charlie, e io? essa gridò con voce rotta dall'angoscia.Dio mio, se lui vuole andare in un posto simile nelle circostanze attuali, non vedo come tu possa rifiutarti di seguirlo. 

Ma vuol dire la morte. 

La morte sicura... 

Accidenti, ora esageri... 

Sarebbe ben difficile che volesse portarti con lui se pensasse questo. 

Non vi è più rischio per te che per lui. 

Davvero non vi è un grande rischio se prendi tutte le precauzioni. 

Quando c'è stato il colera qui io c'ero e non l'ho preso. 

L'importante è di non mangiare roba non cotta, né frutta né insalata né altro del genere, e non bere acqua che non sia stata bollita. 

Andava, come parlava, acquistando fiducia, e la parola gli veniva facile; non era nemmeno più tanto scuro in faccia; diventava vivace, quasi ilare. 

Dopotutto è il suo mestiere, non ti sembra? Si occupa di microbi. 

A rifletterci è addirittura un'occasione per lui. 

Ma Charlie, e io? ripeté Kitty. 

E non c'era più angoscia nella sua voce, sibbene costernazione. 

Ecco, il modo migliore di comprendere un uomo è di mettersi nei suoi panni. 

Dal suo punto di vista tu hai dato cattive prove di te e così lui vuole tirarti fuori dal male. L'ho sempre pensato ch'egli non intendesse divorziare, non è il tipo da voler davvero una cosa simile; ma ecco che ti fa quest'offerta, generosa secondo lui, e tu lo ridurresti con le spalle al muro se rifiutassi. 

Io non voglio biasimarti, me ne guardo bene, ma credo che per te stessa, per me, dovresti prendere la cosa in considerazione. 

Ma non vedi, non capisci che morirò? Non capisci che Walter mi porta laggiù perché sa che morirò? Oh che sciocchezze, cara! Non parlare in questo modo! Siamo in una situazione così maledetta che proprio non c'è tempo di fare i melodrammatici. 

Tu sei proprio deciso a non capire! mormorò lei. 

Che pena aveva nel cuore, e quanta paura! Da urlare addirittura. 

Tu non puoi mandarmi incontro a una morte sicura proseguì. 

Se non hai amore né pietà per me abbi almeno un po' di considerazione umana. 

E' piuttosto cattivo da parte tua voltarmi così le carte in tavola. 

A quello che posso capire tuo marito si comporta generosamente. 

Ha tutta l'intenzione di perdonarti se solo gliene dai il modo. 

Vuol toglierti di qui ed ecco presentarglisi l'occasione di condurti in un luogo dove per alcuni mesi sarai al riparo dalle tentazioni. 

Naturalmente non dico che Mei-tan-fu sia una stazione climatica, non c'è nessun posto in Cina che lo sia, ma non vedo ragione plausibile perché tu la pigli così al tragico. 

E' il peggio che si possa fare in questi casi. 

Molta gente nelle epidemie muore più per paura che per essersi contagiata. 

Ma io ho paura già adesso. 

Per poco non sono svenuta quando Walter mi ha detto della sua intenzione. Naturalmente che al primo momento sia stato un colpo per te. 

Ma quando ci avrai pensato su con calma non ti farà più né caldo né freddo. 

Sarà un'esperienza non comune. 

Io pensavo... 

Essa si dibatteva, come in agonia. 

Egli aveva finito di parlare e il suo volto di nuovo aveva ripreso la cupa espressione che mai prima di quel giorno essa gli aveva conosciuto. 

Non piangeva più, lei. 

Era calma, e asciutti erano i suoi occhi, e, per quanto bassa, ferma era la sua voce. 

Debbo andare a Mei-tan-fu, dunque? Non c'è altra via da scegliere, non ti pare? No? Mia cara per obbligo di onestà debbo avvertirti che se tuo marito intentasse una causa per divorzio e la vincesse io non sarei in grado di sposarti. 

Un'eternità dovette sembrargli il tempo che qui passò prima che lei rispondesse. 

Lentamente si alzò in piedi. 

Io non credo che mio marito abbia mai pensato di intentare un'azione legale. 

E allora perché, in nome di Dio, mi hai fatto impazzire dallo spavento? Essa lo guardò con freddezza. 

Walter sapeva che tu mi avresti abbandonata. 

Tacque. 

Vagamente, come quando, nell'apprendere una lingua straniera, leggete una pagina che a tutta prima vi sembra senza significato e d'un tratto una parola, una frase ve ne danno la chiave, per cui un sospetto di significato vi balena alla mente arrovellata, vagamente ora Kitty credeva di essersi aperto uno spiraglio sul lavorìo del cervello di Walter. 

Fu come un oscuro e sinistro paesaggio visto alla luce di un lampo e subito ripiombato nelle tenebre. 

Ne rimase rabbrividita. 

Egli ha minacciato d'intentar causa solo perché sapeva che tu ti saresti tirato indietro, Charlie. 

E' strano che ti abbia giudicato così esattamente. 

Era sicuro di questa mia crudele delusione. 

Charlie teneva gli occhi fissi sul foglio di carta assorbente che aveva davanti. Era un po' accigliato, un po' imbronciato. 

Ma non rispose. 

Egli sapeva continuò Kitty che sei un uomo vano, codardo ed egoista. 

E ha voluto che io lo vedessi coi miei occhi. 

Sapeva che te la saresti data a gambe come una lepre all'avvicinarsi del pericolo. 

Sapeva come io mi fossi grossolanamente ingannata a crederti innamorato di me, poiché sapeva che sei incapace di amare chicchessia all'infuori di te stesso. 

Sapeva che mi avresti sacrificata senza il minimo rammarico per salvarti la pelle. 

Se proprio ti dà qualche soddisfazione dire delle cose bestiali sul mio conto accomodati pure, non ho il diritto di lagnarmene. 

Le donne sono sempre ingiuste e sempre manovrano le cose in modo da mettere nel torto l'uomo. 

Ma c'è da ascoltare anche la parte contraria. 

Essa non tenne conto di questa interruzione. 

E ora io so tutto quello ch'egli sapeva. 

So che hai la pelle dura, che sei senza cuore, e che sei egoista, egoista oltre ogni dire. So che hai l'animo di un coniglio, so che sei bugiardo e fanfarone, so che sei un essere spregevole, insomma. 

Il tragico è... 

Si fermò. 

Il suo volto si contrasse tutto di subitaneo dolore. 

Il tragico è riprese che io ti amo lo stesso con tutto il mio cuore. 

Kitty. 

Essa scoppiò amaramente a ridere. 

Egli aveva pronunciato il suo nome in quel caldo, liquido tono che gli veniva così naturale e significava così poco. 

Cretino disse lei. 

Egli si tirò indietro vivamente, rosso in faccia di offesa. 

Era proprio irriducibile quella piccola donna! Ed essa gli diede un'occhiata nella quale affiorava un bagliore di divertita ironia. 

Comincio ad esserti odiosa? Bene, detestami pure! Per me, oramai è lo stesso. 

Si mise a infilarsi i guanti. 

Che farai? chiese lui. 

Oh, non temere, non riceverai nessun danno. 

Puoi considerarti al sicuro. 

Per amor di Dio, non parlare così, Kitty replicò lui e la sua voce suonò profonda di ansia. 

Devi sapere che quanto riguarda te riguarda anche me. 

Starò così in pensiero per quello che può accadere... 

Che cosa dirai a tuo marito?. 

Gli dirò che sono pronta ad andare con lui a Mei-tan-fu. 

Forse, una volta che avrai acconsentito, non insisterà perché tu vada. 

Mentre egli diceva questo essa lo guardò in un modo che gli riuscì inesplicabile. Non hai più paura, vero? egli le chiese. 

Ed essa rispose: No. 

Tu mi hai dato coraggio. 

Sarà una esperienza unica trovarmi in mezzo a un'epidemia di colera, e se morrò... bene, morirò. Ho cercato di aiutarti come potevo. 

Di nuovo essa lo guardò. 

E di nuovo i suoi occhi si riempirono di lagrime. 

Aveva gonfio, gonfio il cuore. 

Quasi irresistibile provava un impulso di gettarsi sul suo petto, di unire le sue labbra a quelle di lui. 

Ma non era proprio il caso. 

Se vuoi saperlo disse, sforzandosi di conservare ferma la voce io vado con la morte nel cuore e piena di paura. 

Non so che cosa abbia Walter nella sua tenebrosa mente, ma tremo, tremo di terrore. 

Credo che la morte potrà forse essere una liberazione. 

Sentì ora che non avrebbe potuto reggere un momento di più. 

E rapidamente raggiunse la porta, uscì prima che lui facesse in tempo a muoversi dalla sua seggiola. 

Egli trasse un lungo sospiro di sollievo. 

Avvertiva un bisogno maledetto di prendere del brandy con soda. 

 

 

27. 

Ella trovò Walter in casa, al suo ritorno. 

Avrebbe voluto correre difilato a chiudersi in camera, ma lui era nel vestibolo che impartiva istruzioni a uno dei "boys". 

Era così abbattuta che le fu allora quasi grata l'idea dell'umiliazione cui doveva esporsi. Si fermò e affrontò il marito. 

Vengo con te laggiù disse. 

Oh, bene! Per quando debbo esser pronta? Per domani sera. 

Ora essa non sapeva quale spirito di spavalderia le fosse entrato in corpo. 

Ma certo l'indifferenza di lui le riusciva di sprone. 

E disse una cosa che sorprese lei stessa. 

Credo che non occorra prendere molto. 

Un po' di roba estiva e un sudario basteranno. vero? Scrutò la faccia di lui comprendendo di irritarlo con la sua petulanza. 

Ho già detto io alla tua "amah" quello che occorre prendere. 

Essa fece di sì col capo, e si mise a salire le scale. 

Era pallidissima. 

 

 

28. 

Stavano per giungere a destinazione, finalmente. 

Procedevano in palanchino per uno stretto sentiero fra interminabili campi di riso, e i giorni seguivano ai giorni. 

All'alba si mettevano in cammino e andavano avanti sinché il calore del meriggio non li costringeva a riparare in qualche locanda lungo la strada, poi ripigliavano il viaggio per raggiungere la città dove avevano stabilito di passare la notte. 

Il palanchino di Kitty apriva la fila, poi veniva quello di Walter, poi c'erano in serpeggiante colonna i "coolies" coi letti da campo, le vettovaglie, e tutto il necessario dell'equipaggiamento recato a spalle. 

Kitty andava attraverso il paese con occhi che non vedevano. 

Per lunghe ore, nel silenzio rotto soltanto da un richiamo, da una frase casuale dei portatori o da un brandello di canzone essa rivolgeva nella sua mente torturata i particolari della scena straziante svoltasi nell'ufficio di Charlie. 

E ricordando quello che lui le aveva detto, quello che lei gli aveva detto, restava sconcertata dell'arido, pratico tono che la loro conversazione aveva preso. 

Sentiva di non aver detto quello che voleva dire, di non aver parlato come avrebbe dovuto parlare. Se fosse stata capace di porgli sotto gli occhi l'amore senza limiti, la passione che aveva nel cuore, e l'inerme stato in cui era di fronte a lui, a Walter e a tutto, egli non l'avrebbe abbandonata al suo destino. 

No, non avrebbe potuto essere così inumano da abbandonarla al suo destino! Ma si era trovata colta alla sprovvista. 

E quando lui, come più chiaramente non avrebbe potuto, le aveva lasciato capire che nulla gli importava di lei, non aveva quasi creduto ai propri orecchi. 

Stordita dalla sorpresa non aveva neanche pianto tutte le sue lagrime. 

Ma non finiva più di piangere, d'allora. 

Oh, come, d'allora, miseramente piangeva! Di notte, nelle locande, dividendo la camera migliore col marito e ben sapendo come Walter, nel suo letto da campo a pochi passi da lei, giacesse sveglio, affondava i denti nel cuscino per non farsi sentire. 

Ma durante il giorno, protetta dalle tendine del suo palanchino, si concedeva pieno sfogo. Così grande era il suo dolore che avrebbe potuto urlare a squarciagola; mai aveva supposto che si potesse patire tanto; e disperatamente si chiedeva che cosa avesse fatto per meritarselo. Perché Charlie non l'amasse era inesplicabile; forse ne aveva lei la colpa, si diceva, eppure aveva fatto tutto quello che sapeva per legarlo a sé, per affezionarselo. 

Erano andati sempre così d'accordo, ridevano sempre quando si trovavano insieme, e insomma erano stati buoni amici oltre che amanti. 

Non capiva come fosse finita a quel modo, non poteva capire... 

Rotto aveva il cuore, e si ripeteva di odiarlo, di disprezzarlo; ma non sapeva, non aveva idea di come avrebbe fatto a vivere se non avesse più dovuto rivederlo. 

S'ingannava Walter se pensava di darle un castigo conducendola a Mei-tan-fu. 

Nulla ormai le importava di se stessa. 

Non aveva più nessuna ragione di vivere. 

Ed era duro, finire la vita a ventisette anni. 

 

 

29. 

A bordo del battello che li portava su per il Western River, Walter leggeva incessantemente, ma quand'era a tavola si sforzava di mantenere un po' di conversazione. 

Le parlava, come a un'estranea nella quale si fosse imbattuto durante il viaggio, di cose indifferenti; e Kitty attribuiva ciò a cortesia o all'intenzione di rendere più evidente l'abisso che lo separava da lei. 

In un lampo di intuizione essa aveva detto a Charlie che Walter l'aveva mandata da lui con sul capo la minaccia del divorzio per il caso che non avesse voluto accompagnarlo nella città colpita dal colera, allo scopo di metterla in grado di vedere da sé quanto codardo ed egoista egli fosse. 

Era vero. 

Era un tiro che si accordava benissimo al carattere sardonico di Walter. 

Egli sapeva esattamente quanto sarebbe accaduto e aveva dato alla "amah" le istruzioni necessarie per la partenza, prima del ritorno di lei. 

Ed essa aveva colto nei suoi occhi un disprezzo che sembrava implicare, oltre che lei, il di lei amante. 

Sembrava ch'egli si dicesse che al posto di Townsend nulla al mondo lo avrebbe trattenuto dal compiere qualsivoglia sacrificio per soddisfarla nel suo più piccolo desiderio. 

Essa sapeva che anche questo era vero. 

Ma dacché le aveva aperto gli occhi a qual scopo trascinarsela dietro in un'avventura pericolosa che certo sapeva quanto la spaventasse? Forse, pensava Kitty, si trattava solo di una finta. E sino a che non si furono messi proprio in viaggio, sino a che, anzi, non ebbero lasciato il fiume e non ebbero cominciato a procedere in palanchino, essa aveva sperato ch'egli se ne uscisse in una delle sue piccole risate e le dicesse che poteva fare a meno di accompagnarlo. 

Non il minimo segno le diceva quello ch'egli rivolgesse nel suo animo. 

Ma certo non poteva desiderare davvero di vederla morta. 

L'aveva pur amata, così appassionatamente. 

Ora essa sapeva che cosa fosse voler bene, e mille indizi ricordava della sua adorazione. 

Per lui essa era stata, invero, come dicevano i francesi, il bello e il cattivo tempo. 

Era impossibile che non l'amasse ancora. 

Si smette forse di amare una persona perché ci ha trattati crudelmente? Non l'aveva Charlie trattata crudelmente? Eppure, se Charlie avesse fatto un cenno, nonostante tutto, e nonostante che ora lo conoscesse, essa avrebbe lasciato qualunque cosa e sarebbe volata nelle sue braccia. Nonostante che l'avesse sacrificata, che avesse dimostrato di non curarsi di lei, che si fosse rivelato senza cuore ed egoista, essa ancora lo amava e avrebbe continuato ad amarlo. 

Dapprima aveva supposto che si trattasse solo di lasciar passare il tempo. 

Walter avrebbe finito per perdonarle. 

Troppo aveva avuto fiducia del proprio potere su di lui per ritenerlo a un tratto svanito per sempre. 

L'acqua può passare a torrenti senza spegnere l'amore. 

Amarla per lui significava esser debole; ed essa sentiva che non poteva non amarla. 

Ma ormai non ne era più tanto sicura. 

Quando la sera egli se ne stava seduto a leggere sulla seggiola di legno nero dalla spalliera diritta nella locanda, con la luce della lanterna che gli illuminava la faccia, essa poteva osservarlo a suo agio. 

Allungata sul tavolaccio dove presto sarebbero venuti ad accomodarle il letto essa si trovava in ombra. 

Quei regolari lineamenti, così diritti prestavano alla faccia di lui un'espressione molto severa. 

Veniva difficile credere che una simile faccia potesse mai sorridere. 

E pur essa sapeva come dolcemente potesse sorridere! Con calma egli leggeva quasi che lei si trovasse a mille miglia di distanza. 

E Kitty lo vedeva voltar le pagine, vedeva i suoi occhi muoversi regolarmente di rigo in rigo. 

Egli non pensava a lei. 

E quando, apparecchiata la mensa e servito il pranzo, riponeva il libro, le gettava (senza sapere come la luce della lanterna mettesse in rilievo l'espressione del suo volto) un'occhiata quasi di fisico disgusto che la faceva trasalire. 

Sì, essa ne trasaliva. 

Era possibile ch'egli non l'amasse più? Era possibile ch'egli desiderasse proprio di vederla morta? Era assurdo. 

Sarebbe stato pazzesco da parte di lui. 

E un piccolo brivido, strano, le percorse la schiena al pensiero che forse Walter non era del tutto sano di mente. 

 

 

30. 

A un tratto i portatori, che da un pezzo non aprivano bocca, cominciarono a parlare e uno di essi, voltandosi, cercò, con parole che Kitty non poteva capire e con un gesto, di attirare la sua attenzione. 

Essa guardò allora nella direzione indicata e in cima a una collina vide un arco. 

Sapeva che simili monumenti erano eretti a ricordare nei tempi qualche illustre letterato o qualche vedova virtuosa, parecchi avendone già incontrati lungo il cammino da quando si era lasciato il fiume. 

Ma quello, che stagliava in profilo contro la luce del sole prossimo al tramonto, era più fantastico e bello di ogni altro. 

Pure, chissà perché, le diede un senso di malessere. 

Un significato aveva ch'essa avvertiva ma che non sapeva formularsi. 

Era una minaccia, una derisione? Passavano in quel momento per un boschetto di bambù, che stranamente stavano reclini sul sentiero come se volessero trattenerla; e sebbene non un alito di vento spirasse in quel tardo pomeriggio estivo, le loro strette foglie verdi tremavano un poco. 

Essa ebbe la sensazione che qualcuno fosse nascosto là in mezzo a guardarla passare. 

E come intanto erano arrivati appié della collina non si scorgevano più risaie. 

I portatori attaccarono il pendio con ondulante passo. 

La collina si elevava in verdi terrapieni così l'uno all'altro vicini che il suolo appariva segnato come una spiaggia quando la marea si è ritirata. 

E a lei non tornava nuovo poiché sempre all'entrare in qualche popolosa città o all'uscirne era stato così, durante tutto il viaggio. 

Comprese che quella collina era un cimitero. 

E comprese perché i portatori avessero richiamata la sua attenzione sull'arco in cima; si giungeva al termine del viaggio. 

Passarono sotto l'arco e un momento i portatori sostarono per cambiare spalla. 

Uno si asciugò la faccia sudata con un cencio sudicio. 

Il sentiero si svolgeva ora in discesa tra diroccate catapecchie. 

Cadeva la notte. 

E d'un tratto i portatori ruppero in un parlare concitato e con un salto che scosse Kitty dentro al palanchino si tirarono più che fu loro possibile a ridosso del muro. 

In un istante essa capì che cosa li avesse spaventati, poiché mentre si tenevano fermi a parlottare tra loro, quattro contadini passarono rapidi, in silenzio, recando in spalla una bara nuova, il cui legno fresco e non verniciato riluceva nell'incipiente oscurità. Kitty si sentì il cuore battere forte contro le costole, dalla paura. 

E la bara passò ma i portatori rimasero fermi; pareva non potessero più ritrovare la volontà di andare avanti. 

 Solo a un grido che risuonò dietro di loro si rimisero in cammino. 

Né più aprirono bocca. 

Camminarono per un po' ancora poi di colpo svoltarono sotto a un androne. Il palanchino fu posato a terra: Kitty era arrivata. 

 

 

31. 

Era un "bungalow", ed essa entrò nel salotto. 

Sedette. 

I "coolies" intanto venivano uno per uno a deporre i loro carichi. 

Walter nel cortile diceva loro dove avessero da portare una cosa e dove l'altra. 

Essa era stanca morta. 

E trasalì nel sentire una voce sconosciuta che chiedeva: Posso entrare? Arrossì, poi si fece pallida. 

Era sfinita della fatica e l'idea di dover vedere un estraneo e di parlare, la rendeva nervosa. 

Un uomo uscì dall'oscurità della lunga stanza bassa appena appena rischiarata da una lampada velata, e stese la mano. 

Mi chiamo Waddington. 

Sono il commissario delegato. 

Ah, della dogana... 

So. 

Ho sentito che c'eravate voi, in questo posto. 

Nella luce soffocata della stanza, poté vedere soltanto ch'era un uomo magro e di bassa statura, non più alto di lei ad ogni modo, con la faccia piccola e glabra, e la testa senza capelli. Abito proprio in fondo alla collina ma venendo per la strada che avete fatto non avreste potuto vedere la mia casa. 

Ho pensato che sareste stati troppo stanchi per venire a pranzo da me, e allora ho detto che portassero il pranzo qui e mi sono invitato a parteciparvi. 

Lo apprendo con piacere. 

Troverete che il cuoco non è cattivo. 

Ho trattenuto i "boys" di Watson per voi. 

Watson era il missionario che è morto? Sì. 

Una gran cara persona. 

Domani vi mostrerò la sua tomba se volete. 

Molto gentile disse Kitty, con un sorriso. 

In quel momento Walter entrò. 

Waddington gli si era già presentato nel cortile, e fece: Stavo informando la vostra signora che resto a pranzo con voi. 

Da quando è morto Watson non ho avuto altri con cui parlare un po' a lungo che le monache, e io nel francese non riesco ancora a cavarmela troppo bene. 

Per il resto c'è appena da scambiare qualche parola... 

Ho detto al "boy" di portare da bere interruppe Walter. 

Il ragazzo portò whisky e soda, e Kitty notò che Waddington si serviva generosamente. 

Il suo modo di parlare e la facilità con la quale si abbandonava a ridacchiare le avevano già fatto supporre che non doveva essere molto temperante. 

Fortunato chi beve diss'egli. 

Poi rivolgendosi a Walter: Avete pane per i vostri denti qui. 

Muoiono come mosche. 

Il magistrato ha perso la testa e il colonnello Yu, che ha il comando delle truppe, deve darsi parecchio da fare per impedire i saccheggi. 

Se non ci vengono in aiuto saremo assassinati nei nostri letti un giorno o l'altro. 

Ho cercato di persuadere le monache ad andarsene ma naturalmente non ne vogliono sapere. 

Tutte martiri vogliono essere, che il diavolo se le porti. 

Parlava allegramente, e c'era nella sua voce una lugubre giovialità per cui non si poteva ascoltarlo senza sorridere. 

Come mai non ve ne siete andato? chiese Walter. 

Oh bene, ci ho rimesso metà del personale e gli altri sono li lì per mettersi in letto e morire. 

Qualcuno deve pur restare a tener su la baracca. 

Siete stato immunizzato? Sì. 

Ci ha pensato Watson. 

Ma anche lui si era immunizzato e non gli ha giovato gran che, povero diavolo. 

Qui si rivolse a Kitty con la piccola faccia comica corrugata d'ilarità: Non credo che vi sia un gran rischio se si prendono le debite precauzioni. 

Dovete stare attenta a non bere latte né acqua che non siano stati bolliti, e a non mangiare frutta fresca né verdura che non sia stata cotta. 

Avete portato dischi di grammofono? Non credo disse Kitty. 

Mi dispiace. 

Speravo che ne avreste portati. 

E' un pezzo che non riesco ad averne di nuovi, e dei miei vecchi sono ormai addirittura nauseato. 

Il "boy" entrò a chiedere se volevano che servisse il pranzo. 

Non vi cambiate mica stasera, vero? chiese Waddington. 

Il mio "boy" è morto la settimana scorsa, e quello nuovo che ho preso in sostituzione è un idiota, perciò non mi cambio la sera. 

Vado a togliermi il cappello disse Kitty. 

La sua camera era contigua alla stanza dove si trovavano seduti. 

Era quasi nuda di mobili. 

Una "amah" se ne stava inginocchiata sul pavimento, con la lampada allato, a disfare i bagagli di lei.  

 

32. 

La sala da pranzo era piccola e per la maggior parte occupata da una immensa tavola. Alle pareti si vedevano incisioni di scene della bibbia e manoscritti miniati. I missionari hanno sempre delle grandi tavole da pranzo spiegò Waddington. 

Intascano un tanto di più l'anno per ogni capo di prole e perciò quando si sposano comprano delle tavole capaci di dar posto al maggior numero di piccoli commensali possibile. 

Dal soffitto pendeva una grande lampada a petrolio, e Kitty si trovò in grado di veder meglio che sorta di uomo fosse Waddington: la calvizie del quale la aveva ingannata nel farglielo supporre non più giovane, mentre ora appariva evidente che non doveva aver superato la quarantina. Piccola, sotto una fronte ampia e prominente, aveva la faccia, e liscia, e di fresco colorito; brutta come quella di una scimmia ma, nella sua bruttezza, non priva di una certa attrattiva: una faccia che rallegrava insomma. 

I lineamenti, il naso, la bocca aveva appena appena più grandi di quelli di un bambino, e minuscoli occhi azzurri che brillavano vivamente. 

Le sopracciglia, non folte e ben disegnate. 

Un buffo, curioso ragazzetto invecchiato, sembrava. 

Continuamente si versava da bere e col procedere del pranzo divenne chiaro ch'era ben lungi dal potersi chiamare un uomo temperante. 

Ma la sua ubriachezza non offendeva, egli era gaio, come un satiro che avesse rubato l'otre del vino a un addormentato pastore. 

Parlava di Tching-Yen. 

Vi conosceva molte persone, e chiedeva notizie di esse. 

Vi era stato per le corse l'anno avanti e discorreva dei cavalli, voleva sapere dei loro proprietari. 

A proposito, che ne è di Townsend? domandò all'improvviso. 

Sembra che debba diventare segretario, non è vero? Kitty sentì il sangue affluirle al viso, ma suo marito non la guardò. 

E' facile che lo diventi egli rispose. 

E' di quelli che vanno avanti. 

Lo conoscete? fece Walter. 

Sì, abbastanza bene... 

Siamo stati compagni di viaggio una volta, di ritorno dall'Inghilterra. 

Dall'altro lato del fiume veniva il percuoter dei gong, lo scoppiettar dei petardi. 

A così breve distanza da loro la grande città giaceva nel terrore; e la morte, subitanea e spietata, correva per le sue strade tortuose. 

Ma Waddington attaccò a parlare di Londra, dei teatri di Londra. 

Sapeva tutto quello che si trovava alle scene in quel mentre, e disse loro quale lavoro avesse visto l'ultima volta ch'era andato in licenza. 

Rideva nel rammentare le battute di spirito di certi commedianti e se ne usciva in riflessioni intorno alla bellezza di certe stelle del varietà. 

Era felice di potersi vantare che un suo cugino ne aveva sposato una delle più celebri. 

Aveva fatto colazione con lei, e lei gli aveva regalato una fotografia. 

Egli l'avrebbe mostrata loro quando sarebbero andati a pranzo da lui. 

Walter considerava il suo ospite con freddi occhi ironici, ma era evidente che n'era piuttosto divertito, e anzi si sforzava di mostrare interessamento per soggetti di cui, come Kitty sapeva, non s'intendeva affatto. 

Un debole sorriso vagava sulle sue labbra. 

Eppure Kitty si sentiva inesplicabilmente piena di paura. 

Nella casa del missionario morto, di faccia alla città colpita, erano come staccati da tutto il mondo. Tre solitarie creature, e l'una all'altra estranea. 

Finito il pranzo essa si levò da tavola. 

Non vi spiace se vi do la buona notte? Me ne vado a letto. 

Bene, tolgo il disturbo. 

Suppongo che anche il dottore voglia andare a letto riprese Waddington. 

Dobbiamo alzarci presto domattina. 

Strinse la mano a Kitty. 

Era abbastanza in gamba, ma i suoi occhi lucevano più che mai. 

Verrò a prendervi disse, rivolgendosi a Walter. 

E vi porterò a farvi conoscere il magistrato e il colonnello Yu, poi andremo al Convento. Avrete un gran da fare, ve lo garantisco io. 

 

33. 

Kitty passò la notte torturata da strani sogni. 

Le sembrava di essere di nuovo in palanchino, ne sentiva l'ondulante moto come i portatori incedevano col loro lungo passo ineguale. 

E attraversava oscure città immense dove la moltitudine le si accalcava intorno con occhi curiosi. Strette e tortuose erano le strade, e nelle botteghe aperte, piene di merci bizzarre, il traffico si interrompeva, gente, venditori e compratori, si fermavano, al passaggio di lei. 

Poi essa arrivava all'arco funebre la fantastica sagoma del quale sembrava animarsi di una mostruosa vita. 

Come braccia di un idolo indù si agitavano i suoi capricciosi contorni, e mentre lei vi passava sotto una beffarda risata echeggiava. 

Ma Charlie Townsend veniva allora a lei e la prendeva nelle braccia, la tirava giù dal palanchino e le diceva ch'era stato uno sbaglio, che lui mai aveva inteso trattarla come l'aveva trattata, e che l'amava e non poteva vivere senza di lei. 

Sentiva essa i suoi baci sulla bocca e piangeva di gioia, chiedendogli perché fosse stato così crudele ma sapendo di chiedergli una cosa ormai senza importanza. 

E allora si udiva un grido, rauco improvviso, e dei "coolies" in cenci turchini, passavano rapidi e silenziosi recando una bara, passavano tra loro due, li dividevano. 

Kitty si svegliò di soprassalto. 

Il "bungalow" sorgeva a metà costa d'una ripida collina e dalla finestra essa vedeva in basso lo stretto fiume, di faccia la città. 

Era giorno appena e una candida nebbia si sprigionava dall'acqua avvolgendo le giunche che stavano ormeggiate l'una accanto all'altra come piselli nel baccello. Centinaia ve n'erano, ed erano mute, misteriose nella luce spettrale. 

Facevano pensare che a bordo le ciurme fossero sotto un incanto, poiché non sembrava sonno ma qualcosa di strano e di terribile a tenerle così tranquille, così taciturne. 

La luce del giorno crebbe e il sole penetrò la nebbia facendola risplendere nel suo candore come lo spirito della neve su una stella morente. 

E fu luminosa sopra l'acqua tanto da lasciar pallidamente distinguere le linee delle giunche e la fitta foresta dei loro alberi, ma di fronte formava pur sempre uno scintillante muro entro a cui l'occhio non poteva frugare. 

Poi d'improvviso quella bianca nuvola si ruppe, e un sinistro bastione alto e massiccio ne emerse. Parve che non dal sole rivelatore fosse reso visibile ma che effettivamente sorgesse dal nulla per virtù di una bacchetta magica. 

Torreggiava, fortezza di una crudele schiatta barbarica, sopra al fiume. 

Ma il mago evocatore proseguì il suo lavoro ed ecco frammenti colorati di muro coronare il bastione, ecco in un attimo, miraggio indeterminato, galleggiar fuori della nebbia tra gialli raggi di sole un branco verdegiallo di tetti. 

Fu un'apparizione imponente nella quale non si poteva riconoscere disegno alcuno; l'ordine, se ordine c'era, sfuggiva allo sguardo; bizzarra, stravagante, dava un senso di inimmaginabile ricchezza. 

Non era una fortezza, né un tempio, ma il magico palazzo di qualche imperatore degli dei nel quale nessun uomo potesse entrare. 

Troppo aereo, fantastico e immateriale per esser opera di mani umane, era certo il prodotto di un sogno. 

Le lagrime invasero il volto di Kitty. 

Affascinata essa contemplava quell'apparizione con le mani afferrate al petto, la bocca aperta per il respiro che l'era venuto meno. 

Mai così lieve, alato come in quel momento si era sentito il cuore, le pareva che il corpo le fosse caduto, pura spoglia, di dosso, che lei ormai fosse fatta di spirito. 

Quell'apparizione era la Bellezza. 

Ed essa la prese come il credente prende in bocca l'ostia che è Dio. 

 

 

34. 

Siccome Walter andava via presto la mattina, tornava per mezz'ora appena a far colazione, poi non si vedeva più sino alla sera quando il pranzo era pronto, Kitty si trovava molto sola. 

Per alcuni giorni non si mosse dal "bungalow".C'era un gran caldo e la maggior parte del tempo essa trascorreva allungata in una sedia a sdraio davanti alla finestra aperta, cercando di leggere. La cruda luce del meriggio aveva spogliato il palazzo magico del suo mistero, e ormai esso non era più che un tempio sulle mura della città, opulento e meschino, ma a lei che lo aveva visto in estasi non poteva mai sembrare comune e spesso all'alba o al crepuscolo, o durante la notte, tornò a ridarle in qualche modo la primitiva impressione di bellezza. 

Quanto a quello che le era parso un poderoso bastione non era che il muro di cinta della città e sulla sua massa oscura continuamente si posavano gli occhi di lei con apprensione. 

Di là dai merli si stendeva la città acquattata tra gli artigli spaventevoli della pestilenza. 

Confusamente essa sapeva che terribili cose vi accadevano, non per mezzo di Walter che mai le parlava e, quando era interrogato, le rispondeva con una spiritosa noncuranza che le metteva un brivido nella spina dorsale, ma per mezzo di Waddington e della "amah". 

La gente moriva a una media di cento il giorno, e ben di rado chi veniva colpito dal male sopravviveva. 

Gli idoli erano stati portati fuori dai templi disertati e messi in mezzo alle piazze, ai crocicchi, e offerte si deponevano ai loro piedi, sacrifici si facevano loro senza che per questo il morbo accennasse a finire. 

Così rapidamente avvenivano i decessi che non si aveva mai tempo abbastanza per seppellire. Famiglie intere in certe case erano state spazzate via senza lasciar nessuno ad adempiere i riti funebri. 

Per fortuna il comandante delle truppe era un uomo energico e alla sua risolutezza si doveva se la città non era caduta in preda al saccheggio e al fuoco. 

Egli costringeva i soldati a seppellire i morti che non avevano nessuno per seppellirli, e aveva freddato con un colpo di rivoltella di propria mano un ufficiale che esitava ad entrare in una casa infetta. 

Tanto atterrita era Kitty alle volte che tremava a verga a verga e il cuore le restava come sprofondato, divelto dal suo posto. 

Valeva ben poco dire che il rischio fosse minimo se si usavano tutte le precauzioni: essa era presa dal panico. 

E rivolgeva in mente pazzeschi disegni di fuga. 

Andar via, non chiedeva che andar via, ed era pronta a partire così come stava, a far la strada da sola, senz'altro che quanto aveva indosso, pur di raggiungere un qualche luogo di salvezza. Immaginò di abbandonarsi alla mercé di Waddington, dicendogli tutto di sé, e implorando di aiutarla a far ritorno a Tching-Yen. 

E se si fosse gettata ai piedi del marito, e gli avesse gridato come era atterrita, non avrebbe egli, per quanto la odiasse, provato compassione di lei? Ma no, non c'era nemmeno da pensarci. Dove sarebbe andata, anche se fosse riuscita ad andarsene? Da sua madre non poteva; sua madre le avrebbe chiaramente lasciato capire che, avendola maritata, non intendeva ritrovarsela tra i piedi. 

E poi non voleva andare da sua madre, lei. 

Da Charlie voleva andare, da Charlie aveva bisogno di andare. 

E Charlie non la voleva. 

Sapeva che cosa Charlie avrebbe detto se improvvisamente se la fosse vista davanti. 

Vedeva la sua faccia oscurarsi, e i suoi begli occhi indurirsi con astuzia combattiva. No, difficilmente egli avrebbe detto qualcosa che potesse riconfortarla. 

E si torceva le mani. 

Tutto di sé avrebbe dato pur di riuscire ad umiliarlo come lui aveva umiliato lei. 

E talvolta la invadeva tanto furore che avrebbe voluto indurre Walter a chiedere il divorzio che la rovinasse ma che rovinasse anche Charlie. 

Certe cose egli le aveva dette che la facevano arrossir di vergogna quando le venivano alla mente. 

 

 

35. 

La prima volta che fu sola con Waddington portò la conversazione difilato su Charlie. 

Waddington aveva parlato di lui la sera del loro arrivo. 

Ed essa ne trattò come s'egli non altro fosse che una conoscenza del marito. 

Non ci ho mai avuto molto a che fare disse Waddington. 

L'ho giudicato sempre piuttosto noioso. 

Bisogna che siate di difficile contentatura replicò Kitty con quel vivace tono scherzoso che le veniva così facile di assumere. 

E' l'uomo decisamente più popolare a Tching-Yen. 

Lo so. 

E' la sua specialità, diventar popolare. 

Ha tutta un'arte in proposito. 

Ha il dono di farvi sentire appena vi conosce che proprio lui è la persona di cui avete bisogno. Sempre pronto a farvi un piacere quando non torna a suo fastidio, e se non fa quello che precisamente volete, riesce a convincervi che non lo fa perché non è umanamente possibile farlo. 

Questo comunque costituisce un'attrattiva da parte sua. 

Bene, ma un'attrattiva, quando è soltanto attrattiva, finisce per stancare alla lunga. 

E allora diventa un sollievo aver da fare con un uomo che non abbia attrattive ma che sia un po' più sincero. 

Conosco Charlie Townsend da anni e mi è capitato una o due volte di vederlo senza maschera. Io non conto nulla, non sono che un ufficiale subalterno della dogana, ma so che in cuor suo egli non si cura che di se stesso. 

Allungata nella sua sedia a sdraio Kitty lo guardava con occhi sorridenti. 

E girava e rigirava intorno al dito l'anello nuziale. 

Naturalmente farà carriera. 

Sa bene quali corde tirare, quali pedine muovere. 

E sono sicuro che prima di morire gli darò dell'Eccellenza e mi alzerò in piedi al suo ingresso in una stanza. 

Molti dicono che se lo merita, se va avanti. 

Dicono che sia tanto bravo e capace... 

Bravo? Capace? Che sciocchezza! E' il più stupido uomo ch'io conosca. 

Vedete, vi dà l'impressione che riesca a sbrigare il suo lavoro tutto per via di puro lustro e di cerimoniosità. 

Non ha la minima intelligenza, la minima comprensione umana. 

E' industrioso, ecco tutto. 

Industrioso come un funzionario bizantino. 

Come mai allora si è guadagnata la reputazione di cui gode? Vedete, gente sciocca ce n'è a bizzeffe nel mondo e quando un uomo che occupa una posizione piuttosto elevata non si dà delle arie, e vi dà pacche sulla schiena, e vi dice che farà tutto il possibile per voi, qualunque sciocco propende a crederlo intelligente. 

E poi c'è la moglie... 

Quella si che è abile. 

Ha una testa salda sulle spalle e il suo consiglio vale sempre la pena di seguirlo.Sino a che Charlie Townsend ha lei che lo guida è un uomo a posto e non può temere di commettere stupidaggini, e questa, di non commettere stupidaggini, è la prima cosa necessaria per uno che vuol far carriera negli impieghi governativi. 

Mica occorre che siano intelligenti i funzionari; gli uomini intelligenti hanno delle idee, e le idee danno fastidio. 

Ci vogliono uomini pieni di attrattiva e di tatto, per il governo, uomini di cui si possa esser certi che non piglieranno granchi. 

Charlie Townsend è un uomo così. 

Arriverà sino in cima, lui, ve lo garantisco. 

Non vi piace dunque? Non mi piace, no. 

Pure sua moglie vi piace in qualche modo, vero? sorrise Kitty. 

Che volete, io sono un uomo all'antica, e apprezzo le donne assennate. 

Le augurerei di essere altrettanto ben vestita quanto è assennata. 

Non veste bene? Non l'ho notato. 

Ho sentito dire che sono molto affezionati l'uno all'altra disse Kitty, osservando Waddington di tra le ciglia. 

Debbo riconoscere che lui le è molto attaccato. 

Credo sia il meglio che si possa dire di Charlie Townsend, questo che dico. 

E' una lode piuttosto fredda che gli fate. 

Ha delle piccole relazioni, ma non si possono chiamare cose serie. 

E' troppo furbo, l'amico per lasciarle diventar serie. 

Naturalmente non è uomo appassionato; è solo un vanitoso. 

Gli piace venir ammirato. 

E' grasso, e ha i suoi quarant'anni ormai, e l'avrete visto, si mantiene bene; ma era un bell'uomo davvero quando arrivò in colonia. 

Ho sentito spesso sua moglie canzonarlo a proposito delle sue conquiste. 

Non prende molto sul serio le relazioni del marito? Oh, no, sa bene il valore che hanno. 

Dice che le piacerebbe rendersi amiche le poverette che cedono al fascino di Charlie, ma che sono sempre così comuni! E si lamenta come non torni troppo lusinghiero per lei che le donne che si innamorano di suo marito siano sempre così di second'ordine. 

 

36. 

Quando Waddington l'ebbe lasciata sola, Kitty si mise a riflettere su tutto quello che nella sua noncuranza egli le aveva detto. 

Non era stato molto piacevole ascoltarlo, ed essa aveva dovuto sostenere uno sforzo per non mostrarsi impressionata. 

Amaro era pensare ch'egli avesse detto la verità. 

Sapeva bene che Charlie era stupido e vano, affamato di lusinghe, e ricordava con quale compiacenza le avesse alle volte raccontato piccoli episodi comprovanti, secondo lui, la propria abilità ma che non altro rivelavano se non una bassa astuzia. 

Più indegna tuttavia era lei che il cuore aveva dato con tanta passione a un uomo simile solo perché... perché aveva dei begli occhi e una piacevole persona! Avrebbe voluto disprezzarlo. 

Sino a quando lo avesse odiato sarebbe stata sempre vicina ad amarlo. 

Il modo nel quale l'aveva trattata avrebbe dovuto aprirle gli occhi. 

Walter lo aveva tenuto in dispregio fin dal principio... 

Oh, se fosse riuscita a levarselo una buona volta di mente! E sua moglie lo aveva canzonato per l'infatuazione evidente di lei? Sarebbe piaciuto a Dorothy rendersela amica, ma naturalmente l'aveva giudicata di second'ordine! E Kitty sorrise, a fior di labbro. 

Oh, come si sarebbe indignata sua madre se avesse potuto sapere in quale considerazione la tenevano! Ma di nuovo la notte sognò di lui. 

Sentì le sue braccia stringerla, le sue labbra baciarla con caldo trasporto. 

Che importava se era grasso, se aveva quarant'anni? Teneramente essa ne rideva vedendolo preoccupato, e tanto più gli voleva bene per la sua infantile vanità. 

Oh, gliene dispiaceva che fosse così, e voleva confortarlo! A questo punto si svegliò, trovandosi il volto inondato di lagrime. 

E non sapeva perché le sembrasse terribilmente tragico piangere nel sonno. 

 

 

37. 

Ogni giorno vedeva Waddington poiché appena terminato il suo lavoro quotidiano egli si spingeva su per la collina sino al "bungalow" dei Fane. 

Erano così giunti in una settimana ad un'intimità che, sotto altre circostanze non avrebbero raggiunta nemmeno in un anno. 

Una volta che Kitty se ne uscì a dire che non sapeva che cosa avrebbe fatto di sé se non ci fosse stato lui, egli rispose ridendo: Vedete, voi ed io siamo i soli che teniamo i piedi sulla terra in questo posto. 

Le monache camminano in cielo e vostro marito... vostro marito nelle tenebre. 

Pur dando in una risata superficiale essa si chiese che cosa avesse inteso dire. Sentiva che i vispi occhietti azzurri di Waddington la stavano scrutando con amabile ma sconcertante attenzione. 

S'era già accorta che l'omino aveva dell'acume e le pareva che fosse curioso, per gratuita curiosità, dei rapporti intercorrenti tra lei e Walter. 

Si divertiva a pigliarlo un po' in giro. 

Ma gli riusciva simpatico e sapeva bene ch'egli aveva almeno altrettanta simpatia per lei. Non era spiritoso né brillante, ma aveva un modo secco e incisivo di porre in tavola una questione che faceva piacere ascoltarlo, e la sua arguta faccia infantile corrugata dal ridere sotto quel cranio calvo rendeva talvolta le sue osservazioni estremamente spassose. 

Per anni e anni era vissuto in posti selvaggi, spesso senza nessuno del suo colore col quale discorrere, e la sua personalità aveva avuto modo di svilupparsi nelle più eccentriche direzioni. Era pieno di tratti bizzarri e di manie. 

Era di una franchezza che agghiacciava. 

E sembrava considerare la vita con spirito burlone. 

Acre era nel mettere in ridicolo la vita di Tching-Yen. 

Ma rideva anche dei funzionari cinesi di Mei-tan-fu e del colera che decimava la popolazione della città. 

Non poteva raccontare qualcosa di tragico o di eroico senza renderlo in qualche modo grottesco. Aveva tutto un repertorio di aneddoti vissuti relativi ai venti anni ch'era stato in Cina, ed ognuno sfociava nella conclusione che la terra è un assai bizzarro, assurdo e spassoso luogo. 

 Per quanto negasse di saperla lunga sulle cose della Cina e giurasse che gli studiosi al riguardo erano tutti dei pazzi da legare, parlava il cinese correntemente. 

Lo leggeva anche, un po', e tutto aveva appreso a furia di conversazione. 

Ma spesso raccontava a Kitty fatti presi da romanzi e dai libri di storia cinesi, e sempre, malgrado il frizzante tono canzonatorio con cui li raccontava, erano cose belle anche tenere che la lasciavano colpita. 

A lei pareva che, forse inconsciamente, egli avesse adottato il punto di vista cinese per il quale gli europei sono barbari e folle è la loro vita, e solo la Cina è tale da dare appiglio a un saggio per le sue ricerche di realtà. 

Questo apriva tutto un campo di riflessioni a Kitty che dei cinesi aveva sentito parlare solo come di un popolo decadente, insignificante e sudicio. 

Era come se le avessero sollevato davanti il lembo di una cortina a lasciarle un attimo intravedere un mondo ricco di colore e di vita del quale sino allora non aveva mai sospettato l'esistenza. 

Egli sedeva di faccia a lei, e parlava, rideva, beveva. 

Non vi pare di bere un po' troppo? si arrischiò a dirgli Kitty. 

E' il più grande piacere ch'io conosca nella vita rispondeva Waddington. 

E poi, tiene il colera a distanza. 

Egli era per solito brillo quando se ne andava, ma sopportava l'alcool benissimo. 

Diventava allegro, mai sgradevole. 

Una sera Walter, essendo rincasato più presto del solito, lo pregò di restare a pranzo. 

Allora accadde un curioso incidente. 

Dopo la minestra e il pesce venne col pollo servita dell'insalata fresca. 

Santo Dio, non avrete intenzione di mangiarla! gridò Waddington, come vide che Kitty ne prendeva. Ma sì, ne mangiamo tutte le sere. 

A mia moglie piace disse Walter. 

Il piatto fu passato a Waddington ma egli scosse il capo. 

Grazie mille, ma non ho nessun desiderio di uccidermi, scusate. 

Walter sorrise torvamente e si servì. 

Waddington non disse più una parola, si fece stranamente taciturno e appena finito il pranzo se ne andò. 

Ogni sera, in effetti, i Fane mangiavano insalata. 

Due giorni dopo ch'erano arrivati il cuoco, con la negligenza propria dei cinesi, ne aveva mandato in tavola un piatto e Kitty, senza pensarci, se ne servì. 

Walter scattò a fermarla. 

Non ne mangiare. 

E un bel pazzo quel "boy" a servirla. 

Perché non dovrei mangiarne? chiese Kitty, guardandolo dritto negli occhi. 

E' sempre pericoloso mangiarne, e ora è pazzesco. 

Ne sarai uccisa. 

Credevo che questa fosse la tua idea disse Kitty. 

E freddamente cominciò a mangiare. 

Era posseduta da non sapeva lei stessa quale spirito di spavalderia. 

Osservava Walter con occhi di scherno. 

Le parve che fosse diventato un po' pallido, ma vide che, quando l'insalata gli fu posta davanti, se ne servì anche lui. 

Il cuoco, dato che essi non l'avevano rifiutata, ne mandò in tavola ogni giorno e ogni giorno essi, corteggiando la morte, ne mangiarono. 

Era grottesco correre un simile rischio. 

E Kitty, nel terrore del contagio, lo correva col sentimento non solo di pigliarsi una specie di maligna vendetta su Walter, ma anche di beffarsi dei propri disperati timori. 

 

 

38. 

Il giorno dopo Waddington, venuto a trovar Kitty nel pomeriggio, propose, dopo essersi un po' riposato, di andare a far quattro passi per la campagna. 

Essa non era ancora uscita mai dal recinto del "bungalow". 

E si mostrò abbastanza contenta della proposta. 

Non vi è molto dove passeggiare, ho paura diss'egli. 

Ma andremo su in cima alla collina. Oh, sì, dove c'è l'arco. 

Lo vedo sempre dalla mia terrazza. 

Uno dei "boys" aprì il pesante portone, ed essi uscirono sul piccolo viale polveroso. 

Andarono avanti per alcune yarde, poi Kitty, afferrandosi terrificata al braccio di Waddington, diede in un grido improvviso. 

Guardate! Che c'è? Appiè del muro che cingeva il terreno del "bungalow" un uomo stava disteso in terra sul dorso con le gambe divaricate, e le braccia rovesciate di sopra al capo. 

Era in cenci turchini, e aveva in testa il sinistro berretto di pelo del mendicante cinese. Sembra che sia morto sussurrò in un anelito Kitty. 

E' morto. 

Venite, è meglio che guardiate dall'altra parte. 

Lo farò portar via al ritorno. 

Ma Kitty tremava ora con tale violenza che non poteva muoversi. 

Non avevo mai visto un morto. 

E' meglio che vi abituiate allora, perché ne avrete da vedere parecchi prima che possiate lasciare quest'allegro paese. 

Le prese la mano e se la tenne stretta sotto il braccio. 

Camminarono un pezzo in silenzio. 

Sarà morto di colera? fece lei alla fine. 

Credo di sì. 

Andarono avanti su per la collina e giunsero dove si elevava l'arco. 

Era riccamente scolpito. 

Fantastico e ironico appariva come un simbolo nella campagna circostante. 

Essi si misero a sedere sul piedistallo in cospetto dell'ampia pianura. 

La collina era fittamente seminata di piccoli tumuli verdi che, per il disordine in cui sorgevano, facevano pensare bizzarramente l'uno a contatto dell'altro i cadaveri di sotto. 

Lo stretto sentiero si assottigliava sinuoso tra le risaie nel piano. 

Arrampicato sul collo di un bufalo da palude un ragazzino muoveva lentamente verso casa e tre contadini dai larghi cappelli di paglia si trascinavano dietro a lui con storta andatura, curvi sotto il peso di enormi carichi. 

Dopo la canicola del pomeriggio era piacevole godersi in quel posto la prima lieve brezza della sera, e l'ampia estensione della campagna offriva un malinconico senso di riposo al cuore torturato. 

Ma Kitty aveva fitta in mente l'immagine del mendicante morto. 

Come potete chiacchierare, e ridere, e bere whisky quando la gente muore tutto intorno a voi? domandò ad un tratto. 

Waddington rimase zitto, poi si voltò a guardarla e le pose una mano sul braccio. 

 Non è posto per una donna, questo, sapete disse con gravità. 

Perché non ve ne andate? Essa gli diede uno sguardo traverso di sotto alle sue lunghe ciglia, e un impercettibile sorriso le adombrava le labbra. 

Avrei creduto che in circostanze come queste il posto d'una moglie fosse al fianco del marito. Quando mi telegrafarono che il dottor Fane sarebbe venuto con la moglie rimasi stupefatto. Ma poi pensai che forse eravate un'infermiera e che aver da fare con le malattie eccetera rientrasse nel vostro genere di lavoro. 

E vi immaginai come una di quelle donne dalla faccia dura che trattano uno come un cane, quando si trova in ospedale. 

Ma appena vi vidi quella sera seduta a riposare... bene... avreste potuto buttarmi giù con un soffio. 

Sembravate così fragile, così bianca nella vostra stanchezza! Non potevate attendervi miglior cera dopo nove giorni di viaggio in palanchino. 

Voi sembrate fragile, bianca e stanca anche adesso e, se mi permettete di dirlo, disperatamente infelice. 

Kitty arrossì, non poté evitarlo, ma riuscì a dar fuori in una risata che suonò abbastanza allegra. Vedo che l'espressione del mio viso non vi piace disse. 

Me ne duole. 

Se io ho l'aria di essere infelice è che da dodici anni mi sono accorta di avere il naso un po' troppo lungo. 

Ma posare a persona che cova un segreto dolore è di grande effetto. 

Voi non immaginate nemmeno quanti teneri giovanotti hanno sentito il bisogno di consolarmi. I lucenti occhi azzurri di Waddington si posarono su di lei ed essa capì come egli non credesse ad una sola delle sue parole. 

Ma che non le credesse a lei importava assai poco. 

Sapevo che non siete marito e moglie da molto tempo e vi supposi innamorati pazzi l'uno dell'altra. Non potevo certo pensare che vi avesse voluto lui con sé, perciò credevo che forse voi non avevate assolutamente voluto restare sola a Tching-Yen. 

E' la spiegazione più ragionevole, infatti disse lei leggermente. 

Sì, ma non è la vera. 

Essa aspettava ch'egli continuasse. 

Temeva per quello che avrebbe detto, poiché lo sapeva acuto e di franca parola, ma era incapace di resistere al desiderio di sentirlo parlare di lei. 

Io non credo nemmeno un minuto che siate innamorata di vostro marito. 

Penso anzi che non potete soffrirlo e non mi stupirei che addirittura lo odiaste. 

Ad ogni modo sono sicuro che avete paura di lui. 

Per un momento essa guardò altrove. 

Non voleva lasciar vedere a Waddington come quelle sue parole la toccassero a fondo. 

Mi fate sospettare che non abbiate molta simpatia per mio marito disse con ironica freddezza. 

Ne ho rispetto. 

E' un uomo che ha cervello e carattere; il che, ve lo assicuro, non capita molto spesso. Non credo sappiate quello che stia facendo qui, poiché ritengo che non sia troppo comunicativo con voi. 

Se un uomo munito di due sole mani può arrestare questa spaventevole epidemia, bene, egli sta cercando di farlo. 

Cura i malati, ripulisce la città, si sforza di ottenere dell'acqua pura. 

Non guarda dove va, né minimamente si preoccupa di quello che fa. 

Rischia la vita venti volte al giorno. 

Si è messo in tasca il colonnello Yu e ne ha le truppe a disposizione. 

Persino al magistrato ha infuso un po' di coraggio e il povero vecchio tenta di fare qualcosa anche lui. 

E le monache del convento giurano su di lui. 

Lo stimano un eroe. 

Lo stimate tale anche voi? Io penso che non è compito suo, dopotutto. 

E' un batteriologo lui. 

Nessuno lo obbligava a venire qui. 

E non mi sembra che ci si sia mosso per compassione di tutti questi cinesi morituri. 

Watson era un'altra cosa. 

Egli amava il genere umano. 

Per quanto missionario non faceva distinzione fra cristiani, buddisti o altro. 

Gli bastava che fossero creature umane. 

Ma a vostro marito non importa un fico secco se centomila cinesi muoiono di colera. 

Non è qui per questo, e neanche per l'interesse della scienza. 

Per che cosa è qui? Domandatelo a lui. 

M'interessa vedervi insieme. 

Alle volte mi domando in qual modo vi comportiate da soli. 

Quando ci sono io, recitate, tutti e due, e recitate maledettamente male, ve lo assicuro. 

Non vi guadagnereste da vivere neppure in una compagnia di guitti, se è tutta qui la vostra abilità. Non capisco che cosa intendiate dire fece Kitty con un sorridente sforzo di frivolità che però sapeva destinato ad andare a vuoto. 

Voi siete una bella donna ed è strano che vostro marito non vi guardi mai. 

Quando vi parla la sua voce suona come se fosse di un altro, mica proprio la sua... 

Pensate che non mi ami? domandò allora Kitty in tono sommesso e rauco, mettendo da parte ogni pretesa di frivolità. 

Non so. 

Non capisco se gli siate così ripugnante da fargli venire la pelle d'oca al solo starvi vicino, o se piuttosto arde di un amore che per qualche ragione non vuole lasciar apparire. 

Mi sono chiesto se non siate qui per uccidervi, tutti e due. 

Kitty aveva visto l'occhiata di sorpresa e poi indagatrice che Waddington aveva dato loro quand'era successo l'incidente dell'insalata. 

Mi pare che diate troppa importanza a un po' di lattuga disse con petulanza. 

E si alzò. 

Torniamo a casa? soggiunse. 

Sono sicura che avete bisogno di un whisky con soda. 

In ogni caso voi non siete un'eroina. 

Avete una maledetta paura di morire voi. 

Dite la verità. 

Non vorreste andar via? A che pro me lo domandate? Potrei aiutarvi. 

Ah, vedo che la mia espressione di segreto dolore sta per avere effetto anche su di voi. 

Ma guardatemi di profilo, e ditemi se non ho il naso un po' troppo lungo. 

Egli la contemplava soprapensiero, con un bagliore di maliziosa ironia negli occhi scintillanti, ma con un'ombra anche, dentro, come un albero sta sulla riva di un fiume e il suo riflesso sta nell'acqua, un'ombra che esprimeva singolare bontà. 

E gli occhi di Kitty si riempirono di lagrime. 

Dovete restare? fece Waddington. 

Sì. 

Passarono sotto l'arco fiammeggiante di tramonto, e cominciarono a discendere il pendio della collina. 

Come arrivarono al muro di nuovo videro il cadavere del mendicante. 

Ed egli le prese il braccio, ma essa se ne sciolse. 

Si fermò. 

Orribile, no? Che cosa? La morte? Sì. 

Rende così volgare tutto il resto. 

Lo vedete, non sembra un essere umano. 

Quasi non vi potete persuadere che sia mai stato vivo. 

Non vi riesce di pensare che pur non molti anni fa era un bambino che scorrazzava per la collina col cervo volante. 

Non poté più trattenere il singhiozzo che la soffocava. 

 

 

39. 

Qualche giorno più tardi Waddington sedeva con Kitty tenendo un gran bicchiere di whisky con soda in mano, e cominciò a parlarle del convento. 

La Madre Superiora è una donna molto ragguardevole fece. 

Dicono le suore che appartiene a una delle più grandi famiglie di Francia, ma non hanno mai voluto spiegarmi quale. 

La Madre Superiora non vuole che se ne parli, dicono. 

E perché voi non lo domandate a lei se vi interessa? sorrise Kitty. 

Se la conosceste sapreste che è impossibile rivolgerle una domanda indiscreta. 

Dev'essere una donna proprio eccezionale se è capace di mettere in soggezione uno come voi. 

Bene, ho un suo messaggio per voi. 

Mi ha pregato di dirvi, per quanto naturalmente non avrete voglia di avventurarvi sino al cuore dell'epidemia, che le fareste un grande piacere a visitare il convento, se lo volete. 

Molto gentile. 

Non avrei immaginato che sapesse della mia esistenza. 

Le ho parlato io di voi. 

Vado al convento due o tre volte la settimana per vedere se posso esser utile a qualcosa, e suppongo che anche vostro marito ne abbia parlato loro. 

E' bene sappiate, naturalmente, che sono tutte piene di un'ammirazione senza riserve per lui. 

Siete cattolico? Egli le fece un ammicco coi suoi occhi maliziosi mentre il minuscolo volto gli si raggrinziva tutto in una espressione d'ilarità. 

Perché mi fate della smorfie? chiese Kitty. 

No, non sono cattolico. 

Io mi spaccio per membro della Chiesa Anglicana, e questo è suppongo una maniera inoffensiva di dire che non si crede troppo in Dio e via di seguito... 

Quando la Madre Superiora è venuta qui dieci anni fa, è venuta con sette monache, e quattro di esse sono morte. 

Come vedete Mei-tan-fu non è mai, neanche in circostanze normali, un salubre soggiorno. Esse vivono nel bel mezzo della città, nel rione più povero, e lavorano dalla mattina alla sera senza prendersi mai un giorno di riposo. 

Ma sono solo tre monache e la Madre Superiora, adesso? Oh, no, ne sono venute delle altre. 

Sono sei in tutto. 

Quando una, al principio dell'epidemia, è morta di colera, ne sono venute due da Canton. 

Kitty fu scossa da un leggero brivido. 

Avete freddo? No, era quell'impressione, sapete... 

Come se qualcuno mi camminasse sulla tomba. 

Quando lasciano la Francia la lasciano per sempre. 

Non sono come i missionari protestanti che hanno ogni tanto dieci mesi di licenza. 

E ho sempre pensato che deve essere la cosa più dura di tutto per loro... 

Noi inglesi non siamo molto attaccati al nostro suolo, sappiamo ambientarci in qualunque parte del mondo, ma i francesi hanno un attaccamento che è quasi fisico per la loro terra. 

Non riescono mai ad ambientarsi del tutto, fuori dalla Francia. 

Perciò mi sembra molto commovente il sacrificio di queste donne. 

Ma forse mi sembrerebbe molto naturale se fossi cattolico. 

Kitty gli diede un'occhiata fredda. 

Non sapeva spiegarsi l'emozione con la quale l'ometto parlava e si chiese se non si trattasse di una posa. 

Egli aveva invero bevuto parecchio whisky e poteva darsi che fosse un po' ubbriaco. 

Venite a vedere da voi disse Waddington col suo beffardo sorriso, avendo già letto in lei. 

E' meno rischioso che mangiare un pomodoro crudo. 

Se non avete paura voi, non vi è ragione perché l'abbia io. 

Credo che vi divertirete. 

E' come un pezzetto di Francia. 

 

40. 

Attraversarono il fiume in sampan. 

Un palanchino era in attesa all'approdo e Kitty fu portata su per la collina sino alla chiusa dove i "coolies" venivano ad attinger l'acqua del fiume e si affaccendavano frettolosi avanti e indietro con enormi secchi a bilanciere sulle spalle, innaffiando il sentiero che appariva bagnato come se fosse piovuto a dirotto. 

I portatori di Kitty diedero in brevi, acute grida per indurre i "coolies" a fare largo. 

Naturalmente tutto il traffico è fermo disse Waddington che le camminava allato. 

In tempi normali bisogna aprirsi la strada a gomitate tra la folla dei caricatori che vanno e vengono dalle giunche del fiume. 

La strada era stretta e tortuosa tanto che Kitty perse in breve il senso della direzione nella quale era portata. 

La maggior parte delle botteghe erano chiuse. 

Nel suo viaggio essa si era abituata alla sporcizia delle strade cinesi, ma lì si trattava delle immondizie di settimane e settimane e così acuto era il fetore che la costrinse a turarsi il naso col fazzoletto. 

L'aveva sempre imbarazzata nell'attraversare le città cinesi, durante il suo viaggio, la curiosità della folla; e ora vedeva che qualcuno appena le gettava uno sguardo di sfuggita. 

I passanti, piuttosto radi invero, sembravano badare alle loro faccende. 

Ed erano assorti in sé, avevano l'aria mogia. 

Di quando in quando, nel passare dinanzi a una casa, si udiva il percuotere dei gong e il sostenuto gemere stridulo di ignoti strumenti. 

Dietro a quelle porte chiuse qualcuno giaceva morto. 

Eccoci arrivati disse Waddington alla fine. 

Il palanchino fu posato appiè di un muro bianco, dinanzi a una piccola porta sormontata da una croce, e Kitty mise piede a terra. 

Waddington suonò il campanello. 

Non vi aspettate nulla di grandioso, badate. 

Sono molto povere. 

L'uscio venne aperto da una ragazza cinese, e dopo che Waddington le ebbe detto alcune parole essa li condusse per un corridoio in uno stanzino, dove si vedevano, al centro, una grande tavola coperta di un'incerata a scacchi, e tutto intorno alle pareti delle rigide, dure seggiole. 

In fondo c'era una statua in stucco della Beata Vergine. 

E subito una monaca entrò. 

Era di bassa statura e tarchiata, aveva una faccia casalinga, gote rosse e occhi vivaci. 

Waddington la presentò a Kitty chiamandola Soeur Saint Joseph. 

"C'est la dame du docteur?" essa fece, con aria raggiante, e soggiunse che la Madre Superiora sarebbe venuta di lì a un minuto. 

Suora San Giuseppe non sapeva parlare inglese e il francese di Kitty era piuttosto zoppicante. Ma Waddington con volubile e disinvolta fluidità, dava fuori in un continuo torrente di facezie che mandavano in visibilio l'allegra monaca, il giocondo e facile ridere della quale stupì Kitty non poco. Aveva sempre pensato che le religiose fossero delle persone costantemente gravi e quella mite gaiezza da bambina finì per commuoverla. 

 

 

41. 

La porta si aprì. 

Non in modo naturale, pensò Kitty, ma come se si fosse spalancata da sé. 

E la Madre Superiora entrò nello stanzino. 

Un attimo si tenne ferma sulla soglia e un sorriso grave le adombrò le labbra com'essa vedeva la suora ridere e Waddington raggrinzire la sua faccia da pagliaccio. 

Poi si fece avanti e stese la mano a Kitty. 

Mistress Fane? Parlava inglese con spiccato accento straniero ma con corretta pronuncia. 

Accennò appena appena un inchino. 

E' un grande piacere disse per me conoscere la moglie del nostro buono e bravo dottore. Kitty sentì gli occhi della Superiora tenerla sotto un lungo e per nulla imbarazzato sguardo di valutazione. 

Era così franco e aperto che non riusciva indiscreto; vi dava il senso di essere di fronte a una donna avvezza a formarsi un'opinione degli altri senza sotterfugi. 

Con dignitosa affabilità fece cenno ai visitatori di rimettersi a sedere e sedette anche lei. 

Suora San Giuseppe, sempre sorridendo ma ormai ridotta al silenzio, rimase appartata, in piedi, un po' dietro alla Superiora. 

So che a voi inglesi piace il tè, disse la Madre Superiora e ne ho fatto preparare un poco. 

Ma dovete scusarmi se ve lo servo alla cinese. 

So che Mister Waddington preferirebbe il whisky, ma ho paura di non poterlo accontentare. 

Sorrise e una punta di malizia brillò nei suoi occhi gravi. 

Oh, andiamo, "ma mère", parlate come se poi fossi un ubbriacone bello e buono. 

Vorrei poter dire che non bevete mai, Mister Waddington. 

In ogni caso io posso dire che non bevo mai se non eccessivamente. 

La Madre Superiora rise e tradusse in francese alla sorella San Giuseppe la petulante risposta. Intanto guardava Waddington con occhi benevoli. 

Dobbiamo essere indulgenti con Mister Waddington. 

Due o tre volte che ci siamo trovate senza denaro e che non sapevamo come dar da mangiare ai nostri orfani Mister Waddington ci è venuto in aiuto. 

La conversa che aveva loro aperto l'uscio di strada entrò con un vassoio dove si vedevano delle tazze cinesi, una teiera e un piattello di quei biscotti francesi chiamati "madeleines". 

Dovete mangiare le "madeleines" disse la Madre Superiora. 

Le ha fatte Suora San Giuseppe stamattina a bella posta per voi. 

Parlarono di cose occasionali. 

La Madre Superiora domandò a Kitty da quanto tempo si trovasse in Cina e se il viaggio da TchingYen l'avesse stancata molto. 

Le domandò poi se fosse mai stata in Francia e se il clima di Tching-Yen non le riuscisse pesante. 

Tutto ciò era comune ma di tono amichevole e derivava uno speciale sapore dalle circostanze. Tranquillissimo era il parlatorio tanto che non si poteva quasi credere di essere nel cuore di una popolosa città. 

La pace abitava là dentro. 

Eppure, tutt'intorno, infuriava l'epidemia e la folla, terrorizzata, inquieta, era tenuta a freno solo dalla tenace volontà di un soldato per metà brigante. 

Entro le mura stesse del convento l'infermeria traboccava di soldati morituri mentre già un quarto degli orfani tenuti dalle monache erano morti. 

Kitty, impressionata senza saper bene perché, osservava l'austera lady che le rivolgeva quelle affabili domande. 

Vestita tutta di bianco, l'unico colore che spiccasse sul suo abito era il rosso di un cuore che le fiammeggiava in ricamo sul petto. 

Era una donna di media età, non si poteva precisare se di quaranta o di cinquant'anni. 

Poche rughe si notavano sulla sua faccia liscia e pallida, e l'impressione che non fosse più tanto giovane essa dava soprattutto per il portamento dignitoso, per la sicurezza dei modi e per la magrezza delle belle, forti mani. 

Il volto aveva lungo con la bocca grande munita di denti grandi e uguali, col naso, sebbene non piccolo, delicato di disegno e sensibile, e con gli occhi dalle sottili sopracciglia nere che gli davano un carattere intensamente drammatico. 

Erano grandissimi, neri, gli occhi, e, se non proprio freddi, stranamente imperiosi nella loro calma fermezza. 

Il primo pensiero a guardar la Madre Superiora era che doveva essere stata bella in gioventù, ma osservandola meglio si capiva come invece la sua bellezza dipendesse tutta dal carattere e si fosse andata formando con gli anni. 

La sua voce suonava profonda, bassa e misurata e sempre, parlasse in inglese o in francese, essa parlava con lentezza. 

Ma quello che più di lei impressionava era l'aria che aveva di autorità temperata dalla carità cristiana. 

Si sentiva insomma che aveva l'abitudine di comandare. 

Ma se essere ubbidita le era naturale l'ubbidienza essa accoglieva con umiltà. 

Non si poteva non accorgersi quanto profondamente conscia fosse dell'autorità della Chiesa che la sosteneva. 

Ma Kitty aveva idea che nonostante il suo austero modo di comportarsi fosse piena di umana considerazione per l'umana fragilità; e il grave sorriso col quale la vedeva ascoltare Waddington che, imperturbato, diceva sciocchezze su sciocchezze le dava la certezza ch'essa avesse un senso piuttosto vivace del ridicolo. 

Ma c'era in lei qualche altra qualità che Kitty avvertiva senza saper definire. 

Qualcosa era che nonostante la cordialità e i modi squisiti faceva sì che Kitty si sentisse, dinanzi a lei, come una scontrosa scolaretta, tenuta a distanza. 

 

 

42. 

"Monsieur ne mange rien" rilevò Suora San Giuseppe. 

"Monsieur" ha il palato rovinato dalla cucina mancese disse la Madre Superiora. 

Il sorriso scomparve dalla faccia di Suora San Giuseppe che prese un atteggiamento un po' affettato. 

Waddington ebbe un lampo di malizia negli occhi e allungò la mano a servirsi d'un altro biscotto. 

Kitty non capiva. 

Per darvi la prova di quanto siete ingiusta, "ma mère", mi rovinerò l'eccellente pranzo che mi aspetta. 

Se Mistress Fane ha piacere di vedere il convento sarò felice di farglielo visitare. 

Con queste parole la Madre Superiora si voltò verso Kitty. 

E sorrideva in modo propiziatorio. 

Mi dispiace, soggiunse che ogni cosa sia in disordine. 

Abbiamo molto lavoro e siamo in poche. 

Il colonnello Yu ha insistito perché mettessimo l'infermeria a disposizione dei soldati malati, e per i nostri orfani abbiamo dovuto trasformare in infermeria "le réfectoire". 

Si fermò dinanzi alla porta per lasciar passare Kitty poi insieme camminarono lei e Kitty, seguite da Suora San Giuseppe e da Waddington per i bianchi, freschi corridoi. 

Ed entrarono in un nudo stanzone dove delle ragazze cinesi lavoravano a complicati merletti. Esse si levarono in piedi all'ingresso dei visitatori, e la Madre Superiora mostrò a Kitty alcuni esemplari di lavoro. 

Continuiamo, malgrado l'epidemia, ad occuparci di queste cose perché distolgono la mente dal pericolo. 

Passarono in una seconda stanza dove alcune ragazze più giovani lavoravano di cucito, d'orlatura e di maglia, poi in una terza piena di bambini sorvegliati da una conversa cinese. 

I bambini giocavano rumorosamente, e come la Madre Superiora fu entrata le si affollarono intorno, minuzzolini di due o tre anni, coi loro neri occhietti cinesi, e i capelli neri; le si aggrappavano alle mani, le si cacciavano tra le vaste sottane. 

Un incantevole sorriso illuminò la faccia di lei che tutti li carezzava e sussurrava piccole parole scherzose delle quali Kitty, che pur nulla sapeva di cinese, sentiva la tenerezza. 

E un po' ne fremeva Kitty, poiché stenti e di pelle scura com'erano nelle loro minuscole uniformi, coi loro nasini schiacciati, quei bimbi quasi non le sembravano creature umane. 

Le riuscivano ripugnanti. 

Ma la Madre Superiora stava in mezzo ad essi come la Carità in persona. 

E quando fece per andarsene essi non volevano lasciarla andare, e a lei si appendevano tanto che le fu necessario, tra sorrisi di esortazione, usare una dolce violenza per liberarsene. 

I bimbi nulla trovavano di temibile nella grande, grave lady. 

Naturalmente saprete disse la Madre Superiora nel fare strada lungo un altro corridoio, che sono orfani solo in quanto i genitori hanno desiderato sbarazzarsene. 

Noi paghiamo qualche cosina per ogni creatura che ci portano, diversamente non se ne prenderebbero la pena, e li butterebbero senz'altro sulla strada. 

Si rivolse alla Suora: Ne hanno portati oggi?. 

Quattro. 

Ora che c'è il colera sono più impazienti che mai di non avere bimbi inutili sulle spalle. Mostrò a Kitty i dormitori e infine si fermò dinanzi a una porta sulla quale si leggeva scritto "Infirmerie". 

Giunsero a Kitty dei gemiti e alti suoni di grida e suoni strani di un dolore che non pareva da creature umane. 

L'infermeria non ve la mostro disse la Madre Superiora nel suo placido tono. 

Non è cosa che si possa desiderar di vedere. 

Si fermò, colpita da un pensiero. 

E se ci fosse il dottor Fane? fece. 

Diede un'occhiata interrogativa alla suora, e costei, col suo gaio sorriso, aprì la porta, scivolò nella stanza. 

Kitty si tirò indietro vivamente all'orrore del maggior frastuono che venne dalla porta aperta. 

E Suora San Giuseppe fu subito di ritorno. 

No, c'è già stato, e ripasserà più tardi. 

Come va il numero sei? "Pauvre garon", è morto. 

La Madre Superiora si fece il segno della croce e le sue labbra palpitarono un attimo in silenziosa preghiera. 

Passarono per un cortile e gli occhi di Kitty caddero su due lunghe forme che giacevano l'una a fianco dell'altra sul terreno, coperte d'un panno di cotone azzurro. 

La Superiora si rivolse a Waddington. 

Siamo così a corto di letti che dobbiamo mettere due pazienti in ogni letto e non appena uno muore tirarlo fuori per far posto a un altro. 

Ma subito sorrise a Kitty soggiungendo: Vi mostrerò la cappella adesso. 

Ne siamo molto orgogliose sapete. 

Uno dei nostri amici di Francia ci ha mandato tempo fa una statua della Beata Vergine, grande al naturale. 

 

 

43. 

La cappella non era che una lunga stanza dal basso soffitto, dalle pareti imbiancate alla calce e piena di banchi in fila come una scuola; in fondo si vedeva l'altare con la statua ch'era in stucco di Parigi dipinta a sgargianti colori, nuova, lustra, pomposa. 

Dietro c'era un quadro a olio, immagine della crocifissione con le due Marie appiè della croce in stravaganti pose di dolore. 

Era un pessimo lavoro, buttato giù senza la minima cognizione della bellezza tonale. Alle pareti intorno correvano appesi quadretti della "Via Crucis", prodotto della medesima sciagurata mano. 

Insomma era una cappella brutta e volgare. 

Entrando le due monache s'inginocchiarono a mormorare una preghiera, poi, levatesi in piedi, la Madre Superiora ricominciò a chiacchierare con Kitty. 

Non c'è cosa capace di rompersi che non arrivi rotta quando arriva qui, ma la statua regalataci dal nostro benefattore è arrivata fin da Parigi senza la più piccola scalfittura. 

E' stato senza dubbio un miracolo. 

Gli occhi di Waddington scintillarono di malizia, ma la sua bocca restò chiusa. 

Il quadro dell'altare e i quadretti della "Via Crucis" sono stati dipinti da una delle nostre sorelle, "Soeur Saint Anselme". 

E la Madre Superiora si fece il segno della croce. 

Era una vera artista. 

Disgraziatamente cadde vittima dell'epidemia. 

Non vi pare che siano molto belli? Kitty abbozzò un cenno affermativo. 

Sull'altare c'eran fiori di carta e candelabri disposti con noncuranza. 

Abbiamo il privilegio di custodire qui il Santissimo Sacramento. 

Ah? fece Kitty, senza capire. 

E' stato un gran conforto per noi in questo periodo di terribile calamità. 

Uscirono dalla cappella, ritornarono sui loro passi sino al parlatorio. 

Vi piacerebbe vedere i bambini che sono arrivati oggi, prima di andarvene? Oh, tanto! disse Kitty. 

La Madre Superiora li condusse in una piccola stanza ch'era dirimpetto. 

Su un tavolo qualcosa si muoveva sotto un panno. 

La suora tolse via il panno e mise allo scoperto quattro esili creaturine nude. 

Erano rosse di carnagione e facevano senza tregua dei buffi movimenti con le gambe e le braccia insieme, contraendo i loro visetti cinesi in smorfie bizzarre. 

Non sembravano creature umane, piuttosto animali di una specie sconosciuta, eppure avevano qualcosa di commovente in un loro singolare modo. 

La Madre Superiora li guardò con sorriso beato. 

Sembrano molto vivaci. 

Alle volte li portano proprio quando sono in punto di morte. 

Noi li battezziamo appena arrivano, naturalmente. 

Il marito della lady sarà molto contento di vederli osservò Suora San Giuseppe. 

Credo che sarebbe capace di giocarci ore e ore coi bambini. 

Quando piangono basta che li pigli su lui e se li accomodi bene in braccio, ed essi subito si mettono a ridere di soddisfazione. 

Kitty e Waddington si trovarono infine sulla soglia. 

E Kitty ringraziò gravemente la Madre Superiora per il disturbo che s'era preso. 

Con dignitosa e insieme affabile condiscendenza la monaca accennò un inchino. 

E' stato un gran piacere per me. 

Voi non sapete come vostro marito sia stato buono e di aiuto per noi. 

Bisogna proprio dire che ce lo ha mandato il cielo. 

Io sono contenta che voi lo abbiate accompagnato. 

Quando la sera torna a casa dev'essergli di grande conforto trovar voi col vostro amore e la... e il vostro dolce viso. 

Abbiatene cura voi e non lo lasciate affaticarsi troppo. 

Stategli attenta, per voi stessa e per tutti noi. 

Kitty arrossì. 

Non sapeva che dire. 

La Madre Superiora le porse la mano e lei, nello stringerla, sentì i suoi occhi freddi e pensosi fissarla con distacco e insieme con un che di profonda comprensione. 

Suora San Giuseppe chiuse dietro a loro la porta e Kitty montò in palanchino. 

Di nuovo passarono per le strette, tortuose vie di prima. 

Waddington disse qualcosa di occasionale. 

Kitty non gli rispose. 

Egli si girò a guardare. 

Ma nulla vide di lei ché aveva tirato le tendine. 

Così, per il resto della strada egli restò zitto. 

Ma come raggiunsero il fiume e Kitty mise piede a terra s'accorse con stupore ch'ella aveva gli occhi gonfi di lagrime. 

Che c'è? le chiese, con aria imbronciata di smarrimento. 

Nulla essa gli rispose. 

E cercò di sorridere: Solo stupidaggini!. 

 

 

44. 

Una volta che di nuovo si trovò sola nel sordido salotto del missionario morto, allungata sulla sedia a sdraio dinanzi alla finestra, assorti gli occhi nella contemplazione del tempio di là dal fiume che, approssimandosi il tramonto, tornava etereo e fantastico, essa cercò di far ordine tra i sentimenti che le si affollavano in cuore. 

Mai avrebbe creduto che quella visita al convento dovesse tanto commuoverla. 

Vi era andata per semplice curiosità. 

Nulla aveva d'altro da fare e dopo giorni e giorni che guardava la città murata oltre l'arca s'era sentita disposta ad avere almeno un'idea delle sue misteriose strade. 

Ma dentro al convento le era parso di trovarsi in un altro mondo singolarmente situato fuori dal tempo e dallo spazio. 

Quelle stanze nude e quei bianchi corridoi, austeri, semplici le une e gli altri, apparivano impregnati d'uno spirito mistico ed antico, remoto. 

Quella piccola cappella, così brutta e volgare, era, nella sua stessa crudezza, patetica. 

Aveva qualcosa che si sarebbe cercato invano nella grandiosità d'una cattedrale ricca di quadri e dai vetri istoriati; era umile, infinitamente umile; e la fede che l'adornava, la gelosa affezione che la vegliava, l'avevano dotata di una delicata beltà spirituale. 

La metodicità con cui il lavoro del convento veniva continuato pur in mezzo alla pestilenza dimostrava una freddezza di fronte al pericolo e un senso pratico, quasi ironico nella sua naturalezza, che riuscivano impressionanti al più alto grado. 

Ancora alle orecchie di Kitty risuonavano i sinistri lamenti di quando, per un attimo, Suora San Giuseppe ave va aperto la porta dell'infermeria. 

Inatteso era stato il loro parlare di Walter. 

Prima la Suora e poi la Madre Superiora stessa, e molto affettuoso era stato il loro tono nell'elogiarlo. 

Cosa buffa, essa aveva provato un leggero fremito di orgoglio nell'apprendere come pensassero bene di lui. 

Anche Waddington le aveva detto qualcosa di quanto Walter faceva; ma le monache non lodavano soltanto la sua esperienza, di cui essa sapeva fin da TchingYen. 

Di serietà avevano parlato, di tenerezza... 

Certo era un uomo capace di esser molto tenero. 

Era stato meraviglioso quando lei qualche volta si sentiva male. 

Troppo intelligente per spazientirsi aveva un tatto squisito, che confortava. 

Sembrava sollevarvi dalla sofferenza col solo starvi vicino. 

Essa sapeva che mai più avrebbe rivisto nei suoi occhi l'espressione di affetto che aveva trovato esasperante un tempo. 

Capiva adesso quanto immensa fosse in lui la capacità di amare; e come, in qualche strano modo, la riversasse sugli infelici infermi ch'erano nelle sue mani. 

Non ne provava gelosia, ma un senso di vuoto. 

Era come se un appoggio cui si trovasse tanto abituata da non avvertirne la presenza le fosse d'un tratto venuto meno, lasciandola a sbattere di qua e di là. 

Non provava che disprezzo di sé per il disprezzo che aveva un tempo di lui. 

Doveva essersene accorto, lui, di quel suo disprezzo eppure lo aveva accettato senza amarezza. 

Una sciocca era lei, una sciocca, e lui lo sapeva ma dacché le voleva bene non vi aveva fatto caso. 

Ora essa non l'odiava, né gli portava rancore, ma era perplessa e piena di timore. 

Non poteva non ammettere com'egli possedesse qualcosa di stranamente e sgradevolmente grande in sé. 

Il curioso era che non riusciva lo stesso ad amarlo, e che ancora amava un uomo della cui indegnità era ormai perfettamente consapevole. 

Sola col proprio pensiero, in quelle sue lunghe giornate, accuratamente essa calcolava il valore di Charlie Townsend, e si rendeva conto di come fosse un uomo comune, di come le sue qualità fossero tutte di secondo ordine. 

Oh, se soltanto avesse potuto strapparsi di dentro al petto l'amore che per lui pur sempre vi si indugiava! E si sforzava di non ricordarselo, di starsene lontana col pensiero. 

Anche Waddington pensava un gran bene di Walter. 

Lei sola era stata cieca dinanzi ai suoi meriti. 

E perché? Perché egli l'amava, e lei no. 

Che diavolo c'è nel cuore umano, a rendervi spregevole una persona per il fatto che vi ama? Ma Waddington aveva confessato che Walter non gli piaceva. 

Agli uomini non piaceva in genere. 

Facile era invece vedere che le due monache nutrivano per lui un sentimento non molto dissimile dall'affetto. 

Egli era diverso con le donne. 

Nonostante la sua timidezza riusciva con le donne a dimostrarsi squisitamente gentile. 

 

 

45. 

Ma erano le monache in sé che l'avevano impressionata più di tutto. 

Suora San Giuseppe con la sua faccia gioconda e le gote rosse come mele, era una del gruppo venuta in Cina con la Madre Superiora dieci anni prima, e aveva visto le sue compagne morire una dopo l'altra di colera, di privazioni, di nostalgia, eppure era rimasta allegra e felice. Da che le veniva quell'ingenuo e incantevole buon umore? E la Madre Superiora... 

Kitty si rivedeva in piedi dinanzi a lei e tornava a sentirsi, come in quel momento, piena di umile soggezione. 

Per quanto semplice, per quanto priva di affettazione fosse la Madre Superiora aveva in sé un'innata dignità che ispirava deferenza, e non passava affatto per la mente che le si potesse mancare in qualche modo di rispetto. 

Suora San Giuseppe, col suo restarsene in piedi, con ogni suo minimo gesto e con il tono stesso delle sue risposte aveva dimostrato una sottomissione profonda nei di lei riguardi; e Waddington, il frivolo, l'impertinente Waddington aveva lasciato scorgere di non trovarsi con lei completamente a suo agio. 

Kitty pensava che avrebbero potuto fare a meno di dirle come la Madre Superiora appartenesse a una delle più grandi famiglie di Francia; si vedeva dal portamento che essa apparteneva a un'antica schiatta, e dall'autorità che esplicava da persona che mai ha creduto possibile le si disubbidisca. 

Aveva insieme la condiscendenza di una gran lady e l'umiltà di una santa. 

Nella sua bella, forte faccia sciupata c'era un'appassionata austerità; eppure essa aveva una premura, una bontà di modi che permetteva ai piccoli ricoverati dell'orfanotrofio di affollarlesi intorno con chiassosa mancanza di timore, nella sicurezza del suo affetto profondo. 

Quando aveva guardato i quattro neonati il suo volto si era illuminato di un sorriso mite e insieme profondamente sentito; ed era stato come un raggio di sole su una desolata landa selvaggia. Ma quello che Suora San Giuseppe aveva con sbadataggine detto a un tratto di Walter ora commoveva Kitty stranamente. 

Sapeva Kitty come Walter avesse disperatamente desiderato che lei gli desse un figlio, ma mai lo aveva sospettato capace, nella sua naturale reticenza, di essere amabilmente tenero con un bambino. 

Gli uomini per la maggior parte sono così stupidi e scontrosi verso i bambini! Ah, era proprio strano, Walter! Ma nella commovente esperienza di quel pomeriggio c'era pur stata un'ombra, un orlo nero tutto intorno alla nuvola argentea, persistente, ferma, che l'aveva sconcertata e la sconcertava. 

Nella sobria gaiezza di Suora San Giuseppe, e, molto più, nella leggiadra affabilità della Madre Superiora, un distacco essa aveva sentito che l'opprimeva. 

Erano state certo amichevoli e anche cordiali ma tutto il tempo avevano rattenuto qualcosa entro di loro, qualcosa di imprecisabile, per cui essa aveva sentito di non essere che un'estranea. 

C'era una barriera tra lei e loro. 

Anche col cuore oltre che con le labbra le monache parlavano un linguaggio diverso. 

E quando la porta si era chiusa dietro a lei essa aveva sentito che una porta si era chiusa anche nelle loro menti escludendola, mentre senza indugio tornavano all'opera un momento negletta, come se mai ella fosse esistita per loro. 

Si era sentita messa fuori oltre che dal convento da un qualche misterioso giardino dello spirito alla cui pace pur agognava con tutta la sua anima. 

Sola si era improvvisamente sentita come mai prima di allora. 

E per questo, solo per questo, aveva pianto ora, la testa pesantemente abbandonata sulla tela della sedia a sdraio, sospirava: Oh, quale cosa inutile io sono!. 

 

 

46. 

Quella sera Walter tornò al "bungalow" un po' prima del solito. Kitty era sempre allungata sulla sedia a sdraio dinanzi alla finestra aperta. 

Imbruniva. 

Non vuoi che faccia portare un lume? le chiese lui. 

Lo porteranno quando sarà tempo di metterci a tavola. 

Egli le parlava sempre di cose occasionali come a una persona estranea, a una semplice conoscente, e mai un suo gesto, una sua parola lasciava vedere che le portasse rancore. 

Mai sorrideva, mai la guardava negli occhi. 

Era scrupolosamente corretto. 

Walter, che ti proponi di fare se scamperemo all'epidemia? chiese a un tratto Kitty. 

Egli lasciò passare un momento prima di rispondere. 

La sua faccia era invisibile nel buio. 

Non ci ho pensato. 

In altri tempi Kitty usava dire trascuratamente tutto quello che le passava per la testa. 

E mai l'era capitato di trovarsi a riflettere prima di parlare. 

Ma ora aveva paura di lui, e si sentiva tremare le labbra, il cuore batterle penosamente. Sono stata al convento, oggi. 

Me l'hanno detto. 

Essa voleva parlare, e si sforzava a farlo, sebbene a stento potesse distaccare le parole. Tu volevi davvero ch'io morissi quando mi hai portata qui? Se fossi in te, tralascerei di parlarne, Kitty. 

Non credo che possa tornarci utile parlare di cose che sarebbe meglio per entrambi dimenticare. 

Ma tu non dimentichi; e neanche io. 

Ci ho sempre pensato dal giorno che sono arrivata. 

Non vuoi prestarmi ascolto? Sì, ti ascolto. 

Io mi sono comportata così male con te... 

Ti sono stata infedele. 

Egli rimase di sasso. 

La sua immobilità riusciva stranamente terrifica. 

Non so se mi capirai. 

Questo genere di cose non ha mai molta importanza per una donna, quando la cosa è passata. 

Noi donne non ci si sa mai spiegare l'atteggiamento che gli uomini prendono al riguardo. Essa parlava con impeto, e la sua voce era tale che difficilmente l'avrebbe riconosciuta lei stessa come la propria. 

Tu sapevi che uomo sia Charlie, e sapevi come si sarebbe comportato. 

Bene, tu avevi ragione... 

E' una persona indegna. 

Credo che non me ne sarei innamorata, se non fossi stata indegna anch'io. 

Non ti chiedo di perdonarmi. 

Non ti chiedo di amarmi come mi amavi. 

Ma non potremmo essere amici? Con tutta questa gente che muore, a migliaia e migliaia, attorno a noi, e con quelle monache nel convento... 

Che cosa c'entrano le monache? la interruppe lui. 

Non so come spiegarti. 

Ho provato un sentimento così singolare mentre mi trovavo là dentro. 

Mi è parso tutto così pieno di significato... 

In queste terribili circostanze la loro abnegazione è meravigliosa; e non posso fare a meno di sentire che è assurdo e sproporzionato, tu capirai che cosa intendo dire, angustiarti per una stupida donna che ti è stata infedele. 

Troppo io sono indegna e infima al tuo confronto perché tu mi dedichi un pensiero. 

Egli non rispose, ma rimase fermo, immobile, dov'era; pareva aspettare che lei continuasse. 

Mister Waddington e le monache mi hanno raccontato cose straordinarie di te. 

E io sono fiera, fiera di te, Walter... 

Non usavi esserlo; tu usavi disprezzarmi. 

Non mi disprezzi più? Ma non ti accorgi che ho paura di te? Di nuovo egli rimase zitto. 

Non ti capisco disse alla fine. 

Non so proprio che cosa tu voglia. 

Niente per me. 

Vorrei solo che tu fossi un po' meno infelice. 

Essa sentì ch'egli s'irrigidiva. 

Fredda suonò infatti la sua voce quando rispose: Tu ti sbagli se mi credi infelice. 

Ho troppo da fare per poter pensare spesso a te. 

Mi domando se le monache vorrebbero permettermi di andare a lavorare in convento. 

Sono così poche, e se potessi riuscir loro di qualche aiuto, ne sarei contenta. 

Non è un lavoro facile né piacevole. 

Dubito che possa riuscirti divertente a lungo andare. 

Mi disprezzi proprio del tutto, Walter? No egli rispose. 

Ed esitò a continuare; la sua voce era strana. 

Disprezzo me stesso. 

 

47. 

Avevano finito di mangiare. 

La tavola era stata sparecchiata e come al solito Walter se ne stava seduto vicino al lume e leggeva. 

Leggeva sino a quando Kitty non se ne andava a letto; e allora si ritirava in un laboratorio che aveva impiantato in una delle stanze vuote del "bungalow". 

Vi si tratteneva sino a molto tardi. 

Dormiva poco. 

Pareva si occupasse di esperimenti che Kitty non sapeva di qual genere fossero. 

Nulla egli le diceva del suo lavoro; ma anche in passato era stato molto reticente al riguardo; non era comunicativo, per natura. 

Profondamente essa ripensava a quanto lui le aveva detto, poco prima. 

La conversazione non aveva approdato a nulla. 

Lo conosceva così poco che non poteva essere sicura se le avesse detto o no la verità. 

Era possibile che ora ch'egli esisteva in modo così minaccioso per lei, ella avesse completamente cessato di esistere per lui? Una volta egli provava molto interesse a sentirla parlare, per il fatto che l'amava. 

E ora che più non l'amava forse lo tediava sentirla parlare... 

Essa se ne sentiva mortificata. 

Lo guardò. 

La luce del lume metteva in risalto il suo profilo come quello di un cammeo. 

Coi suoi fini e regolari lineamenti era un profilo nobilissimo, ma feroce, più che severo; e quella immobilità di tutto il viso, tranne degli occhi che si muovevano dietro alle parole stampate, rigo per rigo, pagina per pagina, quasi terrificava. 

Chi avrebbe pensato che quella faccia così dura potesse mai assumere una tenera espressione? 

Kitty sapeva che poteva, e il saperlo le metteva nelle vene un lieve fremito di disgusto. 

Strano che nonostante egli fosse bello di aspetto quanto era onesto, fidato e ricco d'ingegno, essa non era assolutamente riuscita ad amarlo. 

Adesso provava sollievo al pensiero che mai più avrebbe dovuto sottomettersi alle di lui carezze. Walter non le aveva risposto, quando essa gli aveva chiesto se davvero avesse inteso portarla a morire nel costringerla ad accompagnarlo. 

Questo era un mistero che l'affascinava ed atterriva. 

Così buono, così straordinariamente buono d'animo lo sapeva; e le pareva incredibile che avesse potuto nutrire un'intenzione così diabolica. 

Forse aveva lasciato trasparire tale intenzione, solo per spaventarla e, conformemente al suo umore sardonico, rivalersi su Charlie. 

Che poi se la fosse in effetti trascinata dietro poteva essere stato solo per ostinazione o per timore di apparire ridicolo.Aveva detto di disprezzare se stesso. 

Che significava? E ancora una volta Kitty alzò gli occhi ad esaminare la sua calma fredda faccia. 

La presenza di lei gli era altrettanto estranea che se essa non fosse stata presente affatto. Perché ti disprezzi? ella chiese d'un tratto senza quasi accorgersi di parlare, e allo stesso tempo come continuando, quasi che non fosse passata che una breve pausa, la conversazione di prima. 

Egli mise giù il libro e la considerò, con aria riflessiva. 

Pareva raccogliere i propri pensieri da una remota distanza. 

Per averti amata. 

Essa arrossì e volse altrove gli occhi. 

Non poteva sostenere il freddo, fermo sguardo di valutazione sotto il quale egli la teneva. 

Capiva ora quello che aveva inteso dire. 

E vi fu una pausa prima che gli rispondesse. 

Credo che tu mi faccia torto disse. 

Non è bello biasimarmi perché sono stata una sciocca, una donna frivola e volgare. 

Mi hanno educata per esser così... 

Tutte le ragazze che conosco sono così... 

E che tu mi biasimi è come rimproverare uno, che non ha orecchio per la musica, di annoiarsi a un concerto sinfonico. 

Ti pare giusto? Tu mi attribuivi qualità che non avevo. 

Puoi biasimarmi per questo? Ma io non ho cercato d'ingannarti, mai ho preteso di essere quale non ero. 

Io ero solo una donna graziosa e allegra... 

Non si va a cercare una collana di perle o una pelliccia in un baraccone da fiera. Non vi si trovano che trombette di latta e palloncini. 

Io non ti biasimo. 

Stanca suonò la voce di lui. 

Ed essa cominciava a impazientirsi. 

Perché non poteva egli rendersi conto di quello ch'era diventato subitamente così chiaro per lei? Perché non poteva rendersi conto che, dinanzi al terrore della morte nella cui ombra essi vivevano, e dinanzi al rispetto di quella bellezza ch'essa aveva quel giorno intravisto, la loro faccenda privata diventava insulsa? Quale importanza poteva avere che una stupida donna avesse tradito la fede coniugale? E perché il marito di una donna simile doveva, a faccia a faccia col sublime, spendere intorno alla colpa di lei un solo pensiero? Era strano che Walter, nonostante la sua intelligenza, non avesse alcun senso delle proporzioni. 

Per il semplice fatto che, vestita una bambola di splendide stoffe e innalzata ad adorarla su un altare, s'era poi accorto che la bambola aveva dentro soltanto segatura, egli non poteva perdonare a se stesso né a lei. Aveva l'anima lacerata. 

Tutto portava a credere che avesse posto in quel gioco la ragione della sua stessa vita, e che la verità avendo distrutto il gioco, ritenesse distrutta anche la vita. 

Forse era proprio così... 

Ed egli non poteva perdonarle perché non poteva perdonarsi. 

Qui essa credette di udirlo dare un debole sospiro, e subito gli fu con gli occhi sopra. 

Un pensiero la colpì allora lasciandola senza fiato. 

A stento si trattenne dal gridare. 

Ch'egli fosse ammalato... di quello che la gente chiama crepacuore? 

 

48. 

Tutto il giorno appresso Kitty pensò al convento, e la mattina che seguì, non appena Walter se ne fu andato, incaricò l'"amah" di noleggiare due palanchini e andò di là dal fiume. 

Era prestissimo, e i cinesi che si affollavano sul "ferryboat", taluni negli indumenti di cotone azzurro dei contadini, altri in quelli neri dei signori, avevano un aspetto strano come di morti portati sopra le acque verso il regno delle ombre. 

E quando misero piede a terra un momento ristettero incerti sull'approdo quasi che non sapessero dove andare prima di avviarsi in sparsi piccoli gruppi su per la collina. 

 Deserte erano a quell'ora le strade della città che più che mai, perciò, sembrava una città morta. 

I passanti avevano un'aria assorta che li faceva sembrare spettri. 

Senza nubi era il cielo e il sole appena nato prestava alla scena una mitezza celeste. 

Difficile riusciva immaginare in quel gaio, fresco, ridente mattino che la città giacesse senza fiato, come un uomo con la gola stretta dalle mani di un pazzo, nei tenebrosi artigli della pestilenza. 

Riusciva incredibile che la natura, con quell'azzurro su in alto chiaro come il cuore di un fanciullo, potesse essere tanto indifferente mentre gli uomini si dibattevano in agonia, e scivolavano verso la morte, terrificati. 

Come i palanchini furono posati dinanzi alla porta del convento un mendicante si tirò su dal suolo, si avvicinò a Kitty per chiederle l'elemosina. 

Era avvolto d'informi stracci scoloriti che sembravano presi da un mucchio di immondizie e lasciavano qua e là trasparire una pelle dura e ruvida, scura come cuoio conciato. 

Le gambe, ignude, aveva magrissime, e una testa aveva, con gli arruffati capelli grigi, le guance cave, gli occhi selvaggi, che sembravano d'un pazzo. 

Kitty inorridì di spavento e rivolse altrove lo sguardo mentre sgarbatamente i portatori mandavano l'uomo al diavolo. 

Ma come quello insisteva, Kitty, per sbarazzarsene, gli diede un po' di moneta, fremendo. 

La porta venne aperta e l'"amah" spiegò che Kitty desiderava vedere la Madre Superiora. Introdotta nel povero parlatorio della prima volta e dove pareva che mai fosse penetrata aria pura, essa rimase a sedere così a lungo che si ritenne dimenticata. 

Ma alla fine la Madre Superiora si fece avanti. 

Vi chiedo mille scuse di avervi fatto aspettare disse ella. 

Non ero preparata a ricevervi e così mi trovavo occupata. 

Perdonatemi il disturbo. 

Ho paura di essere venuta in un momento che non avrei dovuto. 

La Madre Superiora le sorrise, con dolcezza e gravità insieme, e la pregò di sedersi. Ma Kitty s'avvide ch'ella aveva gli occhi gonfi. 

Aveva pianto. 

Ne fu sorpresa, poiché aveva ricevuto l'impressione che la Madre Superiora non fosse donna da disturbarsi molto per le vicende terrene. 

E' accaduto qualcosa? balbettò. 

Volete che me ne vada? Posso tornare in altro momento. 

No, no. 

Ditemi che cosa posso fare per voi. 

E' solo che... è solo che una delle nostre sorelle è morta stanotte. 

La sua voce perse d'uniformità nel tono, gli occhi le si riempirono di lagrime. 

E' cattivo da parte mia rammaricarmene, siccome so che la sua anima buona e semplice è volata al creatore nei cieli... 

Era una santa... 

Ma non sempre si riesce a dominare la nostra debolezza. 

Temo di non essere sempre molto ragionevole. 

Me ne dispiace, me ne dispiace tanto disse Kitty. 

La simpatia che provò immediata per la Madre Superiora ruppe fuori in un singhiozzo attraverso la voce. 

Era una di quelle venute dieci anni fa con me dalla Francia. 

Siamo rimaste in tre, ora. 

Mi ricordo, eravamo tutte in gruppo all'estremità del piroscafo, la prua, voi dite, vero?... e mentre si navigava fuori dal porto di Marsiglia, scorgemmo la statua dorata di "Saint-Marie-la Grace" e dicemmo insieme una preghiera. 

Da quando presi i voti il mio più grande desiderio era stato di venire in Cina, ma nel vedere la terra che sempre più si allontanava non seppi trattenermi dal piangere. 

Ero la loro superiora, e non davo buon esempio alle mie figliole. 

Ma Suora San Francesco Saverio, così si chiamava la cara sorella che è morta stanotte, mi prese allora la mano e mi disse di non addolorarmi, perché dovunque fossimo andate, disse, la Francia e Dio sarebbero state con noi. 

La bella faccia severa della Madre era deformata dalla pena che l'umana natura le infliggeva e dallo sforzo ch'essa sosteneva per rattenere le lagrime a cui, con la ragione e la fede, non voleva condiscendere. 

E Kitty guardò altrove. 

Sentiva ch'era indiscreto guardare dentro a quella lotta. 

Ho scritto a suo padre. 

Era, come me, figliola unica. 

Suo padre e tutti i suoi parenti fanno i pescatori in Bretagna, e sarà duro per loro apprendere che è morta. 

Oh, quando finirà questa orribile epidemia? Due delle nostre ragazze sono state colte dal morbo stamattina e soltanto un miracolo potrà salvarle. 

Sono così deboli, questi cinesi! La perdita di Suora San Francesco è molto grave. Abbiamo tanto da fare e non bastiamo più. 

Siamo troppo poche. 

Ci sono parecchie suore che verrebbero volentieri dalle altre case dell'ordine, tutto darebbero pur di poter venire, ma sarebbe quasi chiamarle a morire, e sino a quando possiamo tirare avanti quelle che siamo già qui non vorrei che altre venissero sacrificate. 

Questo che dite m'incoraggia, "ma mère" fece Kitty. 

Ho avuto l'impressione di essere capitata in un momento inopportuno. 

Dicevate l'altro giorno che c'era più lavoro di quanto le suore potessero sbrigarne, e mi sono chiesta se non vorreste permettermi di venire ad aiutarle. 

Non baderò a quello che si tratterà di fare pur di riuscirvi utile. 

Sarei contenta anche di strofinare i pavimenti. 

La Madre Superiora sorrise divertita, e Kitty si stupì di un così mobile temperamento che con tutta facilità poteva passare da uno stato d'animo a un altro. 

Non c'è bisogno di strofinare i pavimenti. 

Ci pensano le orfane a farlo. 

Si fermò, e considerava Kitty benevolmente. 

Ma figliola mia riprese, non vi pare di aver già fatto abbastanza venendo qui con vostro marito? E' assai più di quanto molte e molte mogli avrebbero il coraggio di fare, e per il resto come potreste essere meglio occupata che a dar pace e conforto a vostro marito quando rincasa dopo il lavoro della giornata? Credetemi, egli ha bisogno di tutto il vostro amore e le vostre cure. 

Kitty non poteva affrontare senza disagio lo sguardo che stava posato su di lei con indagatore distacco e con ironica benevolenza. 

Non so che cosa fare dalla mattina alla sera disse. 

E sento che invece c'è tanto da fare qui che non posso sopportare il pensiero di trovarmi in ozio. Certo non voglio essere di impaccio, e so che non ho nessun diritto sulla vostra gentilezza né sul vostro tempo. 

Ma so quello che dico e voi mi usereste una vera carità se voleste permettermi di rendermi in qualche modo utile. 

Non mi sembrate molto forte. 

Quando ieri l'altro avete avuto la bontà di venire a trovarci mi siete parsa piuttosto pallida. 

Suora San Giuseppe pensava che forse state per avere un bambino. 

No, no gridò Kitty arrossendo sino alla radice dei capelli. 

La Madre Superiora diede in una piccola risata argentina. 

Non c'è da vergognarsene, figliola mia, né c'è nulla di improbabile nella supposizione. 

Da quanto tempo siete sposata? Oh, io sono pallida per natura, ma sono molto forte, e vi assicuro che il lavoro non mi fa affatto paura. 

La Madre Superiora era ormai completamente padrona di sé. 

Inconsciamente assunse l'aria di autorità che le era abituale e tenne Kitty sotto una lunga occhiata valutativa. 

Kitty si sentiva indicibilmente nervosa. 

Parlate cinese? No rispose Kitty. 

Ah, peccato! Avrei potuto mettervi a sorvegliare le ragazze più grandi. 

E' così difficile adesso sorvegliarle e ho sempre paura che... 

Come posso dire? Esitò, poi concluse in tono che restava interrogativo: Ci scappino via? Ma non potrei aiutare le suore a curare i malati? Non ho paura del colera. 

Potrei curare tanto le ragazze che i soldati... 

La Madre Superiora non sorrideva più. 

Aveva un'aria riflessiva e scosse la testa. 

Voi non sapete che cosa sia il colera. 

E' orribile da vedere... 

Nell'infermeria il lavoro è sbrigato tutto dai soldati, e basta solo che una suora li sorvegli... 

Per quanto riguarda le ragazze... 

No, no, sono sicura che vostro marito non lo vorrebbe. 

E' una cosa così spaventevole! Mi abituerei. 

No, non è il caso di parlarne. 

E' nostro compito e nostro privilegio badare a tali cose. 

Voi non vi siete portata da nessuna vocazione. 

Voi mi fate sentire estremamente inutile. 

Sembra incredibile che non vi sia proprio nulla ch'io possa fare. 

Avete parlato a vostro marito del vostro desiderio? Sì. 

La Madre Superiora la guardò come a vangare tra i segreti del suo cuore, ma quando vide l'implorante e ansiosa espressione della faccia di Kitty diede fuori in un sorriso. 

Certo, siete protestante, vero? chiese. 

Sì. 

Ma questo non importa. 

Il dottor Watson, il missionario che è morto, era un protestante e non importava... 

Non avrebbe potuto essere più buono e utile per noi. 

Gli siamo rimaste in debito di una profonda gratitudine. 

Un barlume di sorriso sfiorò il volto di Kitty, la quale però non disse nulla. 

La Madre Superiora parve un momento riflettere. 

Poi si alzò in piedi. 

E' molto buono quello che volete fare, da parte vostra. 

Credo che vi si possa dare un'occupazione... veramente ora che Suora San Francesco non è più tra noi, non bastiamo a sbrigare tutto il lavoro. 

Quando sareste pronta a cominciare? Subito. "A la bonne heure". 

Sono contenta di sentirvi parlare così. 

Vi prometto che farò del mio meglio. 

E vi sono molto grata dell'occasione che mi date di rendermi utile in qualche modo. 

La madre superiora aprì la porta del parlatorio, ma nell'atto stesso che usciva esitò. 

E di nuovo considerò a lungo con sagaci occhi indagatori la faccia di Kitty. 

Poi teneramente le posò una mano sul braccio. 

Sappiate, figliola, che non si può trovare la pace nel lavoro e in un convento come non si può trovarla nel mondo e nel piacere; ma solo nella propria anima. 

Kitty trasalì, appena appena, ma la Madre Superiora aveva già varcato la soglia. 

 

 

49. 

Kitty trovò nel lavoro un sollievo per il suo spirito. 

Andava al convento ogni mattina subito dopo il levar del sole, e non faceva ritorno a casa che quando la luce del tramonto inondava d'oro lo stretto fiume e la calca delle giunche. 

La Madre Superiora aveva affidato alle sue cure i bimbi più piccoli. 

La madre di Kitty era venuta a Londra portando dalla nativa Liverpool un pratico senso da massaia e Kitty, malgrado la sua aria di creatura frivola, aveva sempre posseduto alcune doti cui sempre alludeva in tono canzonatorio. 

Per esempio, sapeva cucinare abbastanza bene e cuciva a meraviglia. 

Quando rivelò codesta sua abilità fu messa a sorvegliare i lavori di cucitura e orlatura delle ragazze meno grandi. 

Conoscevano, queste, un po' di francese e Kitty ogni giorno imparava qualche parola cinese, perciò non le era difficile cavarsela. 

Doveva anche stare attenta ai bimbi; vestirli e svestirli, e badare a farli riposare quando dovevano riposare. 

Molti neonati c'erano, affidati alle cure delle "amah", e lei era stata pregata di tenere un occhio su queste. 

Nessuno di tali lavori era molto importante e Kitty avrebbe voluto fare qualcosa di più arduo: ma la Madre Superiora non prestava ascolto alle sue preghiere, ed essa aveva troppa deferenza verso di lei per insistere sino ad importunarla. 

Nei primi giorni doveva fare un certo sforzo per vincere la ripugnanza che provava di quelle ragazzine dai duri capelli neri, le tonde facce gialle e gli occhi, neri d'un nero prugna, spalancati. Ma ricordava la dolce espressione che aveva così soavemente trasfigurata la fisionomia della Madre Superiora quando, il giorno della prima visita, l'aveva veduta circondata da quelle brutte cosine in uniforme; e s'era guardata bene dal cedere al proprio istinto. 

Così, ora, prendendo in braccio questa o quella delle esili creature che piangeva per essere caduta o per un dente che nasceva, e trovando che con qualche dolce parola, per quanto detta in un linguaggio ignoto alla piccina, con una stretta delle braccia, con una carezza della sua morbida 

gota contro il giallastro viso piangente, riusciva a confortarla e sollevarla, cominciava già a perdere la propria impressione di estraneità. 

Senza alcun timore i bimbi andavano da lei per i loro piccoli fastidi di bimbi ed essa si sentiva felice nel constatare la loro confidenza. 

Con le ragazze cui insegnava il cucito le succedeva lo stesso; i loro limpidi sorrisi intelligenti e il piacere che si accorgeva di arrecar loro con una parola di lode, la commuovevano. 

Essa capiva che le volevano bene e, lusingata, orgogliosa, ne voleva loro anche lei. 

Ma una piccina c'era cui non riusciva ad assuefarsi. 

Era una ragazzina di sei anni, un'idiota dall'enorme testa idrocefala che ciondolava sopra un misero corpo rachitico con due grandi occhi vuoti e una bocca bavosa. 

Con voce rauca essa balbettava qualche smozzicata parola appena. 

Era proprio orribile, ripugnante e per qualche misteriosa ragione aveva concepito un attaccamento da idiota nei riguardi di Kitty tanto che le stava dietro di continuo e cambiava posto con lei ogni volta che lei lo cambiava. 

Si appendeva alle sue sottane, le si strofinava con la faccia contro le ginocchia, e cercava tutti i momenti di toccarle le mani. 

Kitty fremeva di disgusto. 

Sapeva che la piccola agognava di essere carezzata e non le riusciva di muovere la mano a toccarla. 

Una volta, parlandone con Suora San Giuseppe, le venne fatto di dire ch'era penoso che vivesse. 

Suora San Giuseppe sorrise e stese la mano verso la deforme cosina. 

La quale subito si avvicinò a sfregare la sua prominente fronte su quella caritatevole. 

Povera cosina! disse la monaca. 

La portarono che già stava per spirare. 

Ma la Provvidenza volle che mi trovassi io alla porta. 

Pensai che non restava un minuto da perdere, e la battezzai subito. 

Non potete credere quanto abbiamo fatto per tenerla in vita. 

Tre o quattro volte è parso proprio che la sua piccola anima dovesse volarsene in cielo. 

Kitty non rispose. 

E nella sua loquacità Suora San Giuseppe si mise a parlare d'altro. 

L'indomani, quando la bambina idiota si avvicinò a Kitty cercandole la mano, essa si fece forza e le accarezzò la fronte. 

Riuscì anche a sorridere. 

Ma la piccola, con perversità da idiota, si staccò allora da lei. 

Parve non trovasse più alcun interesse in lei e non le prestò attenzione né quel giorno né i seguenti. 

Kitty non poté capacitarsi di questo cambiamento. 

Che le aveva fatto? E invano cercava di allettarla con gesti e sorrisi. Quella, o si voltava via, o faceva finta di non vederla. 

 

 

50. 

Siccome le monache erano da mattina a sera occupate in cento lavori Kitty non riusciva a vederle quasi altro che durante le funzioni, nell'umile, nuda cappella. 

Il primo giorno la Madre Superiora, scorgendola seduta in fondo dietro alle ragazze allineate sui banchi secondo l'età, le si fermò accanto a parlarle. 

Non dovete ritenervi in obbligo di venire nella cappella perché ci veniamo noi disse. 

Voi siete protestante, avete le vostre convinzioni. 

Ma a me piace venire, Madre. 

Mi dà un senso di riposo. 

La Madre Superiora le diede una breve occhiata e leggermente chinò il grave capo. 

Naturalmente potete fare come vi piace. 

Ho voluto solo avvertirvi che non ne avete nessun obbligo. 

Ma con Suora San Giuseppe Kitty entrò presto se non proprio in intimità, in dimestichezza. L'allegra suora aveva in carico l'amministrazione del convento e questo compito che da lei faceva dipendere il benessere materiale di quella grande famiglia la teneva tutto il giorno in piedi a correre di qua e di là. 

Essa diceva che non le restava per riposare se non il tempo che dedicava alla preghiera. 

Ma verso sera, quando Kitty si trovava con le ragazze a sorvegliare il loro cucito, le piaceva entrare da lei e, giurando di essere stanca morta e di non avere un attimo da perdere, si sedeva a ciarlare per qualche minuto. 

Lontana dalla Madre Superiora era persona assai loquace e ilare, amantissima dello scherzo e non del tutto restia al pettegolezzo. 

Kitty non ne aveva nessuna soggezione. 

L'abito che portava non impediva a Suora San Giuseppe di essere una donna casalinga e tollerante e Kitty non esitava a chiacchierare in gaia spensieratezza con lei. 

Non le importava con lei se parlava male il francese, e degli sbagli che commetteva ridevano tutt'e due. 

La suora le insegnava ogni giorno qualche utile parola cinese. 

Era figlia di un fittavolo e nel cuore era rimasta contadina. 

Da piccola guardavo le mucche diceva. 

Come Santa Giovanna d'Arco. 

Ma ero troppo cattiva per avere delle visioni. 

Fortuna questa, suppongo, perché mio padre mi avrebbe certamente frustata se ne avessi avute. 

Mi frustava sempre, caro vecchio. 

Ero proprio un pessimo soggetto di ragazzina. 

Alle volte mi vergogno quando penso che tiri gli giocavo. 

Kitty rideva all'idea che quella corpulenta monaca di mezza età avesse mai potuto essere una bimba birichina. 

Eppure essa aveva ancora qualcosa di fanciullesco che subito ispirava simpatia; sembrava intrattenere su di sé l'aroma della campagna quando è autunno e i meli sono carichi di frutti e il raccolto si trova al sicuro nel granaio. 

 Non aveva la tragica e austera aria di santità della Madre Superiora, ma una gaiezza semplice di persona felice. 

Non vi viene mai voglia di andare un po' a casa vostra, in patria, "ma soeur"? Oh no! Sarebbe troppo duro tornare, dopo. 

Mi piace stare qui, e mai sono tanto felice come quando mi trovo tra le care orfanelle. 

Sono così buone, così riconoscenti... 

Ma si ha un bell'essere una monaca, "on a beau tre religieuse", si ha pur sempre una madre e non si riesce a dimenticare che ci ha allattati al suo petto. 

E' vecchia, mia madre, ed è duro non doverla rivedere più, ma vuole tanto bene a sua nuora, sapete, e mio fratello è un brav'uomo. 

Il figlio di mio fratello diventa grande, e saranno contenti di avere un altro paio di braccia robuste per i lavori della fattoria. 

Era un fantolino quando lasciai la Francia, ma prometteva di venir su forte da buttare a terra un bue. 

Era quasi impossibile in quella stanza tranquilla, ascoltando la monaca, capacitarsi che fuori infuriava il colera. 

Suora San Giuseppe aveva in proposito un'indifferenza che si comunicava a Kitty. 

Essa conservava un'ingenua curiosità del mondo e di quanto vi facevano i suoi abitanti. 

Rivolgeva a Kitty mille domande di ogni genere su Londra e sull'Inghilterra, un paese secondo lei dove c'era sempre una così fitta nebbia che uno a mezzogiorno non poteva vedersi le mani, e voleva sapere se Kitty andava ai balli quando era laggiù, e se abitava in una grande casa, e se aveva fratelli e sorelle, e quanti ne aveva. 

Parlava spesso di Walter. 

La Madre Superiora diceva ch'era semplicemente meraviglioso. 

Ogni giorno le monache pregavano per lui. 

Che donna fortunata Kitty ad avere un marito così buono e bravo e intelligente! 

 

51. 

Ma gira e rigira Suora San Giuseppe finiva sempre per parlare della Madre Superiora. 

Fin dal principio Kitty si era resa conto che la personalità di quella donna dominava il convento. Da quanti vi abitavano essa era considerata con amore e con ammirazione, ma anche con deferenza e in certo qual modo con paura. 

In presenza di lei, per quanto buona e gentile che fosse, Kitty si sentiva pur sempre come una scolaretta. 

Mai Kitty era stata completamente a proprio agio con lei, troppo piena si sentiva di deferenza. 

E Suora San Giuseppe, con una ingenua voglia di fare impressione, le raccontava come fosse grande la famiglia cui la Madre Superiora apparteneva. 

Essa contava tra i suoi antenati dei personaggi di importanza storica ed era "un peu cousine" di una buona metà dei re di Europa. 

Alfonso di Spagna aveva cacciato nelle tenute di suo padre. La Francia era piena dei loro castelli. 

Doveva esser stato duro, no?, rinunciare a tanta grandezza. 

Kitty ascoltava col sorriso sulle labbra, ma non poco impressionata. 

"Au reste", non avete che da guardarla diceva la Suora e subito potete convincervi che, "comme famille, c'est dessus du panier". 

Ha le più belle mani ch'io abbia mai viste disse Kitty. 

Ah, se sapeste come non le ha mai risparmiate. 

Non ha davvero paura di lavorare, "notre bonne mère". 

Quando erano arrivate in quella città non c'era niente. 

Il convento l'avevano costruito loro. 

La Madre Superiora aveva disegnato il progetto e diretto i lavori. 

E subito avevano cominciato a salvare le indesiderate bambine dalla torre dei neonati e dalle mani crudeli delle levatrici. 

Non avevano, nei primi tempi, letti dove dormire, né, alle finestre, vetri per ripararsi dall'aria notturna. 

E non vi è nulla, diceva qui Suora San Giuseppe di più malsano dell'aria notturna in questi posti. Spesso restavano senza denaro, oltre che per pagare i muratori, per comprarsi da mangiare. 

Vivevano come i contadini. 

Ma che diceva mai? I contadini in Francia, "tenez", i braccianti che lavoravano per suo padre, avrebbero gettato ai maiali quello che esse mangiavano. 

E allora la Madre Superiora le chiamava tutte intorno a sé, e tutte insieme si inginocchiavano e pregavano, e la Beata Vergine mandava loro il denaro. 

O arrivavano mille franchi per posta, o uno straniero, un inglese, un protestante se si vuole, o magari un cinese, addirittura, bussava alla porta, proprio mentre si trovavano in ginocchio, e faceva loro un regalo. 

Una volta si trovavano in tali strettezze che avevano fatto un voto alla Beata Vergine di recitare una "neuvaine" in suo onore se le soccorreva, ed ecco che l'indomani, incredibile ma vero, quel buffo Mister Waddington si presentava a regalar loro un centinaio di dollari, dicendo che gli sembrava avessero tutte bisogno di un buon rosbiffe. 

Che tipo comico di omino era Mister Waddington, con la sua testa calva e i suoi occhietti furbeschi, "ses petits yeux malins", e le sue battute di spirito! "Mon Dieu", come assassinava il francese, eppure non si riusciva a non ridere con lui! Era sempre di buon umore. Ora che c'era quella terribile epidemia si comportava come a una festa. 

Aveva un cuore quasi da francese e uno spirito, uno spirito che non lo si sarebbe mai creduto un inglese se non fosse stato per l'accento. 

Ma alle volte Suora San Giuseppe pensava che storpiasse le parole a bellaposta per far ridere. Naturalmente, non era di una moralità perfetta, ma la cosa dopo tutto riguardava lui (e qui essa dava in un sospiro, si stringeva nelle spalle, scuoteva la testa), e inoltre era scapolo. 

Perché? Che cosa fa di male? domandò Kitty. 

Come? Non lo sapete? Commetto un peccato a dirvelo. 

Io non debbo occuparmi di certe cose. 

Vedete, vive con una cinese, cioè, non proprio con una cinese, una mancese. 

Una principessa, a quanto pare, che lo ama pazzamente. 

Incredibile! esclamò Kitty. 

No, no, ve lo assicuro io, è anche troppo vero. 

E' un gran male ch'egli fa a se stesso. 

Non sono cose che Dio approva. 

Se ricordate, quando siete venuta la prima volta, e lui non voleva mangiare le "madeleines" che io avevo fatte espressamente, "notre bonne mère" gli disse che aveva lo stomaco rovinato dalla cucina mancese. 

Bene, alludeva a questa cosa, e dovevate vedere la faccia che lui fece. 

E' una storia molto curiosa. 

Sembra ch'egli si trovasse distaccato a Hankow quando ci fu la rivoluzione e massacrarono tutti i mancesi. 

Allora il buon Waddington salvò tutta una famiglia, una delle più grandi famiglie, imparentata con la famiglia imperiale. 

E la ragazza s'innamorò pazzamente di lui e... 

Bene, il resto ve lo potete immaginare. 

Poi lui se ne andò da Hankow ed essa lasciò i suoi per seguirlo e ora gli va dietro dappertutto, e lui ha dovuto rassegnarsi a tenersela, poveretto, e oso dire che le vuole bene. 

Sono molto graziose alle volte queste mancesi sapete? Ma cosa vado mai pensando, adesso? Ho un sacco di cose da fare e me ne sto seduta a perder tempo. 

Sono una cattiva religiosa. 

Ah, sicuro, e mi vergogno di me stessa! 

 

52. 

Kitty provava uno strano senso, come se crescesse. 

La occupazione costante le distraeva la mente, e quanto vedeva dell'altrui vita e dell'altrui modo di considerare le cose le svegliava l'immaginazione. 

Cominciava a riprender animo; si sentiva migliore e più forte. 

L'era parso che non avrebbe potuto far altro che piangere; ma con sorpresa, e non poco turbamento, si accorgeva ora che le riusciva per una cosa o un'altra anche di ridere. 

Cominciava a sembrarle addirittura naturale vivere in mezzo a una terribile epidemia. 

Sapeva che la gente moriva a destra e a sinistra, ma non ci pensava più sopra troppo. 

La Madre Superiora le aveva proibito di entrare nelle infermerie e quelle porte chiuse eccitavano la sua curiosità. 

Le sarebbe piaciuto guardarvi un po' dentro, ma non poteva farlo senza esser vista, e non sapeva quale punizione le avrebbe inflitta la Madre Superiora. 

Chissà, forse l'avrebbe mandata via, e sarebbe stato terribile! Si era affezionata alle bambine, e sapeva che esse avrebbero sentito la sua mancanza se avesse dovuto andarsene. 

Sentiva che non potevano più fare a meno di lei. 

Un giorno si accorse che non pensava a Charlie Townsend da una settimana, né più se lo sognava. 

Il cuore le diede un sussulto nel petto: era guarita! Poteva pensare a lui con indifferenza, adesso. 

Non lo amava più. 

Oh, quale sollievo, qual senso di liberazione! E, strano, le riusciva guardarsi indietro, ricordare come aveva spasimato di passione per lui, come aveva creduto di morire il giorno in cui lui le fosse mancato, come aveva disperato della vita per quel giorno. 

Invece ecco adesso che rideva. 

Che indegna era stata! Che sciocca! Ragionando con calma intorno a lui si stupiva e si chiedeva che cosa mai ci avesse visto. 

Fortuna che Waddington non ne sapeva nulla, altrimenti non avrebbe potuto sopportare i suoi occhi maliziosi e le sue ironiche allusioni. 

Era libera, libera finalmente! E a questo pensiero fu appena se si trattenne dal ridere forte. Le bambine stavano facendo un certo gioco scapigliato ch'essa usava sorvegliare con indulgente sorriso, frenandole un po' nel loro chiasso e stando attenta che nessuna venisse buttata a terra in malo modo; ma in quel momento di esaltazione spirituale si sentì d'un tratto bambina come loro e a loro si unì. 

Le piccole ne furono entusiasmate. 

E cominciarono a rincorrersi su e giù per la stanza, gridando a squarciagola con le loro vocette stridule, in quasi barbarica frenesia. 

Così eccitate erano che spiccavano salti di gioia per aria. 

Il chiasso che ne risultò assordava, impauriva. 

D'un tratto allora la porta si aprì e la Madre Superiora apparve sulla soglia. 

Kitty, piena di vergogna, si liberò dal viluppo di una dozzina di bimbe che la stringevano e strappavano tra urla selvagge. 

E' così che tenete buone e tranquille le bambine? fece la Madre Superiora, con un sorriso sulle labbra. 

Si stava giocando, Madre. E si sono eccitate. E' colpa mia... le ho lasciate andare. 

La Madre Superiora si avanzò in mezzo alla stanza, e come al solito le bambine le si aggrupparono intorno. 

Ed essa posava loro le mani sulle esili spalle, scherzosamente tirava loro le piccole orecchie gialle. Intanto guardava Kitty con occhi soavi. 

Kitty era tutta rossa, e respirava a fatica. 

I suoi limpidi occhi neri scintillavano e i suoi bei capelli, scomposti dalla lotta e dal ridere, apparivano in incantevole confusione. 

"Que vous tes belle, ma chère enfant" disse la Madre Superiora. 

Fa bene al cuore guardarvi. 

Non c'è da meravigliarsi se queste bambine vi adorano. 

Kitty arrossì ancor di più e gli occhi, chissà perché, le si riempirono di lagrime. 

Alzò le mani a coprirsi la faccia. 

Oh, Madre, mi fate vergognare! disse. 

Andiamo, non siate sciocca. 

Anche la bellezza è un dono di Dio, dei più cari e preziosi, e noi dovremmo essergli grate sia che abbiamo la felicità di possederla, sia che, non possedendola, altri la posseggano per il piacere dei nostri occhi. 

Di nuovo sorrise, e come se Kitty fosse una bambina la batté dolcemente sopra la morbida gota. 

 

 

53. 

Da quando lavorava al convento Kitty non vedeva più Waddington che di rado. 

Due o tre volte egli era venuto ad incontrarla all'approdo, così avevano fatto strada insieme su per la collina. 

Qualche volta si recava anche a trovarla in casa per bere un whisky con soda ma assai di rado si tratteneva a pranzo. 

Tuttavia una domenica propose di prender su le vivande della colazione e di andare in palanchino a mangiarle in un monastero buddista delle vicinanze. 

Il monastero si trovava a dieci miglia dalla città e godeva di una certa reputazione come luogo di pellegrinaggio. 

La Madre Superiora aveva assolutamente voluto che Kitty fruisse di un giorno di riposo, così lei la domenica si trovava in libertà mentre Walter era, naturalmente, occupato come ogni altro giorno. Partirono presto, in modo da arrivare prima del caldo meridiano, e furono portati lungo uno stretto sentiero attraverso campi di riso. 

Passavano di tanto in tanto dinanzi a confortevoli fattorie annidate con aria di intimità in un boschetto di bambù. 

Kitty era felice di quel suo ozio. 

Piacevole le riusciva, dopo la settimana di clausura in città, vedersi attorno l'aperta campagna. Giunsero al monastero, bassi edifizi sparpagliati in riva al fiume, sotto un'ombra gradevole di alberi, e dei monaci li guidarono sorridenti attraverso cortili vuoti d'un solenne vuoto, a mostrar loro templi abitati da idoli con le facce atteggiate a strane smorfie. 

Nel santuario sedeva Budda, malinconicamente remoto, sagacemente assorto, con un lieve sorriso sulle labbra. 

Un senso di abbandono emanava da ogni cosa, sciatta, cascante era la magnificenza delle architetture, polverosi erano gli idoli, e moribonda appariva la fede che li aveva innalzati. I monaci avevano un'aria preoccupata, inquieta come se da un momento all'altro aspettassero la notizia di dover sloggiare; il sorriso dell'abate, meravigliosamente gentile nel guidarli, aveva una punta di ironica rassegnazione. 

Uno di quei giorni i monaci avrebbero lasciato il piacevole bosco ombroso, e i cadenti, negletti edifizi, sarebbero rimasti in balia delle tempeste e della natura invadente che li assediava. Feroci rettili si sarebbero attorcigliati intorno alle statue morte, e piante, alberi sarebbero cresciuti nei cortili. 

E non più vi avrebbero abitato gli dei ma gli spiriti maligni delle tenebre. 

 

 

54. 

Si misero a sedere sui gradini di una piccola costruzione (quattro colonne laccate e un alto soffitto di tegole dal quale pendeva una grande campana di bronzo), e stettero in muta contemplazione del fiume che scorreva pigro e tortuoso verso la città colpita. 

Se ne scorgevano in lontananza le mura merlate. 

La canicola l'avvolgeva come in un panno funebre. 

Ma il fiume, per quanto scorresse con lentezza, era pur sempre una cosa in moto e dava un malinconico senso di transitorietà. 

Ogni cosa passava e nessuna traccia lasciava del suo passaggio. 

Sembrava a Kitty che tutti, nell'intero genere umano, fossero come le gocce d'acqua che formavano quel fiume, e che scorressero, scorressero, l'uno all'altro vicini e insieme isolati, in uno scorrere senza nome, verso il mare. 

E dacché ogni cosa durava così poco, dacché nulla importava non era peccato che gli uomini, prestando un'assurda importanza a oggetti privi di significato, rendessero se stessi e gli altri così infelici? Conoscete Harrington Gardens? chiese a Waddington, con un sorriso. 

No, perché? Nulla, pensavo solo che è così lontano da qui. 

Vi abitano i miei genitori. 

Vorreste tornare in patria? No. 

Ad ogni modo tra un paio di mesi ve ne andrete. 

L'epidemia sembra declinare. 

E coi primi freddi sarà bella e finita. 

Credo che mi dispiacerà andar via. 

Per un momento pensò al futuro. 

Non sapeva quali progetti avesse Walter per allora. 

Egli non le diceva mai nulla. 

Era freddo, compito, taciturno e imperscrutabile. 

Due gocce d'acqua che scorrevano in quel fiume verso l'ignoto, ecco cosa erano, lei e Walter. Due gocce d'acqua che avevano ognuna la propria personalità per quanto l'osservatore non potesse distinguerle dalla massa dell'acqua. 

State attenta a non lasciarvi convertire dalle monache, per caso... disse Waddington, col suo sorrisetto malizioso. 

Oh, hanno troppo da fare, le monache. 

E non ci pensano neppure. 

Sono così buone, meravigliose con me; e tuttavia, non so come spiegarvi, esiste una muraglia che ci divide, tra me e loro. 

Non capisco di che cosa sia fatta. 

Ma è come se esse possedessero un segreto, che trasfiguri la loro vita, e che io non sia degna di condividere. 

Non è la fede. 

E' qualcosa di più profondo e significativo. 

Esse vivono in un mondo diverso dal nostro e noi sempre saremo loro estranei. 

Ogni giorno sento, quando la porta del monastero si chiude dietro di me, sento che per esse ho cessato di esistere. 

Una specie di schiaffo per la vostra vanità, vero? fece Waddington beffardamente. 

La mia vanità! Kitty si strinse nelle spalle. 

Poi, tornando a sorridere, si rivolse a chiedergli indolentemente: Perché non mi avete mai detto che vivete con una principessa mancese?. 

Che diamine vi hanno raccontato quelle vecchie pettegole? Ritengo che sia commetter peccato per delle monache discorrere intorno alle faccende private degli ufficiali doganali. 

Non siate così suscettibile, andiamo! Waddington la guardava di sbieco, ad occhi bassi, il che gli dava un'aria di furberia. 

Leggermente si strinse nelle spalle. 

Non sono cose da mettersi in piazza. 

Le mie probabilità di far carriera non ne verrebbero certo aumentate se si risapesse. 

Le volete bene? Qui egli alzò gli occhi e il suo brutto faccino parve quello di uno scolaretto discolo. 

Per me ha abbandonato tutto, casa, famiglia, sicurezza e amor proprio. 

Sono già parecchi anni che ha gettato via ogni cosa pur di stare con me. 

E io l'ho rimandata un paio di volte ma è sempre ritornata, sono scappato e lei mi ha seguito e ripescato. 

E adesso ho rinunciato a cercare di separarmene. 

Non serve. 

Credo che dovrò adattarmi a passare con lei tutto il resto della mia esistenza. 

Bisogna che vi ami proprio alla follia. 

E' una cosa piuttosto buffa, sapete rispose lui aggrottando la fronte con fare perplesso. 

Non ho il minimo dubbio che se riuscissi a lasciarla davvero, essa si ucciderebbe. 

Mica per vendicarsi di me, ma perché assolutamente non vuol saperne di vivere senza di me. E sapere questo dà una sensazione curiosa, ve lo assicuro. 

E' pieno di significato, capite. 

Ma quello che conta è voler bene, mica "esser voluti" bene. 

Non si riesce a provare nemmeno gratitudine per chi ama; dà noia, anzi, se non gli si vuol bene. Non so come sia per gli altri replicò Waddington. 

Io so soltanto di me. 

E' davvero una principessa imperiale? No, le monache sono delle romanticone, ed esagerano. Ma appartiene a una delle più grandi famiglie manciù, una famiglia ridotta in rovina dalla rivoluzione. 

E' una gran dama, ad ogni modo. 

Questo egli disse in tono d'orgoglio, così che un sorriso passò negli occhi di Kitty. 

Allora siete proprio deciso a restare qui per tutta la vita? In Cina? Naturalmente. 

Che farebbe lei altrove? Quando andrò in pensione, mi comprerò una casetta a Pechino e vi passerò il resto dei miei giorni. 

Avete bambini? No. 

Essa lo guardava con curiosità. 

Le sembrava strano che quell'omino calvo dal muso di scimmia avesse potuto suscitare in una donna d'altra razza una così ardente passione. 

E non sapeva spiegarsi perché il modo con cui egli parlava di lei, malgrado lo facesse in tono occasionale e petulante, le desse un'impressione fortissima in quanto quella donna doveva volergli bene. 

Ne era persino un po' turbata. 

Non vi sembra che sia molto lontano Harrington Gardens? gli chiese a un tratto sorridendo. 

Che cosa lo dite a fare? Non so. 

Io non capisco nulla di nulla della vita. 

E' così strana... 

Mi sento come se avessi passato tutta la mia esistenza in riva a uno stagno e d'un tratto vedessi il mare. 

E mi sento mancare il respiro, ma sono al tempo stesso piena di esaltazione. 

Io non voglio morire, voglio vivere. 

Comincio ad avere un nuovo coraggio... 

Mi sembra di essere uno di quei vecchi marinai che salpavano un tempo per mari sconosciuti. Sì, la mia anima anela all'ignoto. 

Waddington la guardò soprappensiero. 

L'assorto sguardo di lei stava posato sulla liscia superficie del fiume, su quel fiume di piccole gocce che silenziosamente fluivano verso l'eternità del mare oscuro. 

Posso venire a vedere la lady manciù? domandò Kitty, quando poi rialzò il capo. 

Non conosce una sola parola di inglese. 

Voi siete stato molto buono con me, avete fatto tanto per me... 

Forse potrei farle capire che nutro dei sentimenti amichevoli per lei. 

Waddington sorrise beffardamente a fior di labbra, ma rispose con benevolenza: Bene, un giorno o l'altro verrò a prendervi ed essa vi preparerà una tazza di tè-gelsomino. 

Egli non sapeva che Kitty fantasticava, fin dal primo giorno che ne aveva saputo qualcosa, intorno a quella storia esotica, e che la principessa mancese era diventata per lei come il simbolo di qualcosa che vagamente ma insistentemente la chiamava a sé. 

 

 

55. 

Ma uno o due giorni dopo Kitty fece una scoperta inattesa. 

Andata come di solito al convento si pose al suo primo lavoro della giornata, ch'era di sorvegliare come le bambine venivano lavate e vestite. 

Siccome le monache credevano fermamente che l'aria della notte fosse nociva, l'atmosfera del dormitorio era fetida, irrespirabile. 

Venendo dal fresco della mattina a Kitty riusciva sempre estremamente sgradevole; perciò essa si affrettava a spalancare tutte le finestre che poteva. 

Ma quel giorno si sentì d'improvviso stranamente male e con la testa in subbuglio se ne stette un pezzo affacciata a cercare di rimettersi. 

Mai si era sentita così male. 

E infine fu vinta dalla nausea, vomitò. 

Diede allora un grido tale che le bambine si spaventarono, e una delle ragazze grandi che l'aiutavano le corse vicino, la vide tutta bianca e tremante, e diede fuori in un'esclamazione: Colera! 

Questo pensiero attraversò la mente di Kitty e un senso terribile di morte si abbatté su di lei. Invasa dal terrore un momento lottò contro la notte che sembrava ritorcersele nelle vene, poi si sentì spaventosamente male e si lasciò andare in balia delle tenebre. 

Quando riaprì gli occhi per un momento non capì dove si trovasse. 

Le pareva di giacere per terra ma come leggermente mosse il capo sentì di averlo posato su un cuscino. 

Non riusciva a ricordare che le fosse accaduto. 

La Madre Superiora le stava inginocchiata accanto, tenendole una boccetta di sali sotto il naso, e Suora San Giuseppe la guardava da un passo più in là ritta in piedi. 

Allora le tornò in mente il pensiero di prima. 

Colera! Scorgeva la costernazione sulle facce delle monache. 

Suora San Giuseppe le appariva enorme, coi lineamenti confusi. 

E di nuovo il terrore la invase. 

Oh, Madre, Madre, singhiozzò. 

Sto per morire? Non voglio morire. 

Ma no che non state per morire, disse la Madre Superiora. 

Era perfettamente composta. 

Anzi qualcosa di divertito brillava nei suoi occhi. 

Ma ho il colera. 

Dov'è Walter? Lo avete mandato a chiamare? Oh, Madre, Madre! Ruppe in un torrente di lagrime. La Madre Superiora le diede la mano e Kitty gliela afferrò come per afferrarsi alla vita che temeva di perdere. 

Andiamo, figliola, non siate così sciocca. 

Non avete il colera né altro del genere. 

Dov'è Walter? Vostro marito è troppo occupato perché si possa disturbarlo. 

Fra cinque minuti vi sarete rimessa completamente. 

Kitty la guardava con smarriti occhi fissi. 

Perché, perché la Madre pigliava una cosa simile con tanta calma? Era crudele. 

State tranquilla per un minuto cara, disse la Madre Superiora. 

Non avete di che allarmarvi, credetemi. 

Kitty sentì che il cuore le batteva pazzamente. 

Si era tanto assuefatta al pensiero del colera che aveva finito per considerarsene immune. Che sciocca era stata! E ora sarebbe morta, lo sapeva bene. 

Era terrificata. 

Le ragazze portarono una sedia a sdraio che collocarono vicino alla finestra. 

Venite, lasciatevi sollevare disse la Madre Superiora. 

Starete più comoda sulla "chaise longue". 

Vi sentite di tenervi su? Le passò la mano sotto le ascelle, e Suora San Giuseppe l'aiutò a mettersi in piedi. 

Kitty si abbandonò esausta sulla sedia a sdraio. 

E' meglio che chiuda la finestra disse Suora San Giuseppe. 

L'aria del mattino non può farle bene. 

No, no, protestò Kitty. 

Lasciatela aperta, per piacere. 

Le infondeva fiducia vedere l'azzurro del cielo. 

Ancora era scossa, ma cominciava a sentirsi meglio. 

Un momento le due monache rimasero ad osservarla in silenzio, poi Suora San Giuseppe disse alla Madre Superiora qualcosa che Kitty non riuscì a capire. 

E la Madre Superiora le si sedette allato, le prese la mano. 

Ascoltate, "ma chère enfant"... 

Le rivolse due o tre domande cui Kitty rispose senza sospetto di quello che potesse significare. 

Le tremavano le labbra e le riusciva a stento di metter fuori le parole. 

Allora non c'è dubbio disse infine Suora San Giuseppe. 

Io non m'inganno mai in tale materia. 

E se ne uscì in una risatina entro alla quale parve a Kitty di discernere un certo eccitamento e non poca affettuosità. 

La Madre Superiora, sempre tenendo la mano di Kitty, sorrise con soave tenerezza. 

Suora San Giuseppe ha più esperienza ch'io non abbia in queste faccende e subito ha detto che cosa vi si preparava, bambina mia. 

Evidentemente, ha colto nel segno. 

Ma che volete dire? chiese Kitty con ansia. 

Non c'è più da sbagliarsi. 

Non avete mai pensato a una simile possibilità? Voi siete incinta, mia cara. 

Kitty diede in un balzo che tutta la scosse dal capo ai piedi, e fu quasi per saltar via dalla sedia a sdraio. 

State tranquilla, non vi agitate disse la Madre Superiora. 

Kitty si sentì arrossire e si portò le mani al grembo. 

E' impossibile. 

Non è vero. "Qu'est-ce qu'elle dit?" domandò Suora San Giuseppe. 

La Madre Superiora tradusse. 

La larga faccia semplice di Suora San Giuseppe, con le sue gote rosse come mele, raggiava. Non c'è da sbagliarsi. 

Vi do la mia parola d'onore. 

Da quanto tempo siete maritata, figliola? domandò la Madre Superiora. 

E Suora San Giuseppe, dopo che Kitty ebbe risposto, fece: In tanto tempo mia cognata aveva già avuto due bambini! Kitty si lasciò andare riversa sulla sedia, con le mani al cuore. 

Che vergogna! mormorò. 

Avete vergogna perché siete incinta? Ma non c'è nulla di più naturale! "Quelle joie pour le docteur!" esclamò Suora San Giuseppe. 

Sicuro, pensate che felicità per vostro marito! Resterà sconvolto dalla gioia. 

Non avete che da guardarlo quando sta coi bambini, come ha l'aria raggiante, come li vezzeggia, per capire che esulterà di averne uno suo. 

Un momento Kitty rimase in silenzio. 

Le due monache la contemplavano con tenero interessamento e la Madre Superiora le diede un colpetto sulla mano. 

Sono stata una sciocca a non immaginarlo disse Kitty. 

Ad ogni modo sono contenta che non sia il colera. 

Mi sento molto meglio. 

Tornerò al mio lavoro. 

Non oggi, figliola. 

Avete avuto una scossa, e sarebbe meglio che andaste a casa a riposare. 

Oh, no, preferisco restare a lavorare. Insisto. 

Che direbbe il dottore se vi permettessi di essere imprudente? Venite domani, se vi piace, o posdomani, ma oggi dovete riposarvi. 

Manderò a chiamare un palanchino. 

Volete che vi faccia accompagnare da una delle nostre ragazze? Oh, no, potrò andare benissimo da sola! 

 

56. 

Kitty stava coricata nel suo letto e le imposte della finestra erano chiuse. 

Era pomeriggio, la servitù dormiva. Quanto quella mattina aveva appreso, e di cui si sentiva sicura, la riempiva di costernazione. 

Ritornata a casa aveva cercato di riflettere; ma non riusciva a connettere i pensieri, la sua mente era abbacinata. 

D'un tratto avvertì un passo, un passo di piedi che portavano stivali. 

Non poteva perciò essere uno dei "boys". 

Col respiro mozzato dall'apprensione pensò che forse era suo marito. 

Eccolo, lo sentiva nel salotto, egli la chiamava. 

Non gli rispose. 

E un momento dopo senti bussare alla porta. 

Sì? Posso entrare? Kitty scivolò dal letto, infilò una vestaglia. 

Sì. 

Egli entrò. 

Ed essa si sentì lieta che le imposte chiuse non gli lasciassero vedere il suo volto. 

Spero di non averti svegliata. 

Ho bussato molto leggermente. 

Non dormivo. 

Egli andò alla finestra, aprì le imposte. 

Un torrente di calda luce inondò la camera. 

Che c'è? chiese lei. 

Come mai sei tornato così presto? Le suore mi hanno detto che non stavi molto bene, e ho creduto di far meglio a venire. 

Un impeto d'ira assalì Kitty. 

Che avresti detto se fosse stato colera? In tal caso non saresti certo tornata a casa, stamattina. 

Essa si portò dinanzi al tavolo della toletta, si passò il pettine sui capelli corti. 

Voleva guadagnar tempo. 

E messasi a sedere, accese una sigaretta. 

Mi sono sentita male e la Madre Superiora ha creduto che fosse meglio me ne tornassi a casa. 

Ma ora sto benissimo di nuovo. 

Domani andrò come di solito al convento. 

Che cosa hai avuto? Non te l'hanno detto? No. 

La Madre Superiora mi ha detto che devi dirmelo tu stessa. 

Qui egli fece quello che assai di rado faceva; la guardò in pieno viso; l'istinto professionale era più forte di ogni altro in lui. 

Ed essa esitò. 

Infine si fece forza ad incontrare quegli occhi che la fissavano. 

Sono incinta disse. 

Era abituata al suo modo di accogliere in silenzio notizie che avrebbero dovuto suscitar esclamazioni di sorpresa, ma mai quel silenzio le era parso tanto devastante. 

Nulla egli disse; non fece il minimo gesto; né un movimento della sua faccia o un cambiamento di espressione nei suoi occhi scuri indicò che avesse sentito. 

Ed essa fu assalita da una gran voglia di piangere. 

In un momento così, un marito e una moglie che si fossero voluti bene si sarebbero abbandonati ad una intensa emozione. 

Il silenzio era intollerabile ed essa lo ruppe. 

Non so perché non mi sia mai venuto in mente prima. 

Sono proprio stata stupida a non pensarci, ma... tra una cosa e l'altra... 

Da quanto tempo hai... 

Voglio dire, per quando supponi di doverti mettere a letto? Sembrava facesse uno sforzo per parlare. 

Ed essa comprese che aveva la bocca secca come lei. 

Era terribile come le tremavano le labbra, a lei... 

Egli doveva provarne pietà se non era fatto di pietra. 

Devono essere due o tre mesi. 

Sono io il padre? Essa restò un attimo senza respiro. 

Vi era un'ombra di tremito nella voce di lui. 

Spaventosa quella glaciale padronanza di sé che rendeva il più piccolo segno di emozione così sconvolgente. 

E senza sapere il perché gli venne d'improvviso fatto di pensare a uno strumento che le si era mostrato a Tching-Yen, sul quale si vedeva un ago che oscillava di millimetri a destra o a sinistra. Quelle impercettibili vibrazioni, le avevano detto, indicavano qualche terremoto a miglia e miglia di distanza, qualche terremoto nel quale forse migliaia e migliaia di persone avevano già persa la vita. Levò gli occhi a guardarlo. 

Vide ch'era sinistramente pallido. 

Altre volte, una o due, lo aveva visto pallido allo stesso spettrale modo. 

E come le altre volte egli teneva gli occhi bassi, fissava il pavimento un po' di sbieco. 

Ebbene? Kitty si torceva le mani. 

Sapeva che se avesse potuto dire di sì lo avrebbe reso felice. 

Egli le avrebbe creduto, sicuramente le avrebbe creduto, poiché aveva bisogno di crederle. E le avrebbe perdonato. 

Sapeva come egli fosse tenero, e come, per quanto timido, fosse pronto ad espandere la propria tenerezza. 

Sapeva che non era vendicativo e che le avrebbe perdonato se solo lei gliene avesse dato occasione, un'occasione da toccargli il cuore. 

Completamente le avrebbe perdonato. 

E mai le avrebbe rinfacciato il passato, mai; ne era sicura. 

Egli poteva anche esser crudele, poteva esser freddo, morboso, ma non era basso, non era vile. 

Tutto sarebbe cambiato s'ella avesse potuto dire sì. 

E provava un estremo bisogno di simpatia, di calore umano vicino a sé. 

Quell'inaspettata conoscenza di essere incinta l'aveva riempita di strane speranze, di mai supposti desideri. 

Debole si sentiva, e un po' spaurita, e sola, lontana da ogni persona amica. 

Per quanto poco conto facesse di sua madre, aveva avuto, quella mattina, una voglia improvvisa di trovarsi con lei. 

Ed era stata, era voglia di aiuto, di consolazione. 

Essa non amava Walter, sapeva che mai avrebbe potuto amarlo, ma con tutto il cuore in quel momento agognava di esser presa nelle sue braccia a riposare sul suo petto; e avvinghiata a lui di poter piangere liberamente per la felicità; di ricevere i suoi baci, e di stringersi forte al suo collo. 

Cominciò a lagrimare. 

Aveva detto tante bugie che avrebbe potuto dirne altre e altre agevolmente. 

Che importava mentire quando ne dipendeva la felicità? Una bugia... Che cosa era dopotutto una bugia? Non ci voleva nulla a dire di sì. 

Immaginava gli occhi di Walter addolcirsi, le sue braccia protendersi. 

Ma non poteva dire di sì; e non sapeva perché; semplicemente non poteva... 

Tutto quello per cui era passata durante quelle ultime amare settimane; la malvagità di Charlie, il colera, la gente che moriva, le monache, persino quel buffo, piccolo ubriacone di Waddington; tutto sembrava avesse influito su di lei a cambiarla tanto che lei stessa non sapeva riconoscersi più. E sebbene fosse profondamente commossa, aveva l'impressione, spaventata, sorpresa, che dentro alla sua anima qualcuno la osservasse. 

Bisognava dicesse la verità. 

Non poteva mentire, non doveva. 

E come col pensiero vagava di qua e di là vide d'un tratto il mendicante morto appié della muraglia che cingeva il "bungalow". 

Perché perché le era venuto in mente? Le lagrime scorrevano con facilità estrema giù dai suoi occhi spalancati, inzuppandole le guance. 

Non un singhiozzo le sfuggiva. 

E infine rispose alla domanda. 

Egli le aveva chiesto se fosse lui il padre del bambino. 

Non so rispose. 

Egli diede in un suono soffocato, che si udì appena appena. 

E Kitty rabbrividì. 

E' una cosa piuttosto imbarazzante, no? disse lui. 

Era un'osservazione caratteristica da parte di un uomo come lui, esattamente quale essa si aspettava, pure all'udirla le venne meno il cuore. 

Si chiese se egli capisse quanto difficile le fosse stato dire la verità (dura, ma, riconosceva ora, inevitabile) e potesse per questo avere un po' di stima di lei. 

La risposta data le martellava, "Non so, Non so", dentro alla testa. 

Impossibile era ormai ritirarla. 

E tirò fuori il fazzoletto dalla borsetta, si asciugò gli occhi. 

Egli non accennava a parlare. 

Ma andò a prenderle da un sifone ch'era sulla tavola un bicchiere d'acqua. 

Glielo portò e le resse il bicchiere mentre lei beveva. 

Ed essa osservò che aveva la mano magrissima. 

Era una bella mano slanciata dalle lunghe dita, ma ridotta a pelle e ossa e un po' tremava. 

Egli poteva dettar legge alla propria faccia, non alla mano. 

Non badare alle mie lagrime diss'ella. 

Non è nulla. 

E' solo che non riesco a trattenermi... 

Kitty finì di bere, ed egli ripose il bicchiere. 

Poi si mise a sedere, accese una sigaretta, sospirò. 

Già altre volte, una o due, essa lo aveva sentito sospirare in quell'impercettibile modo, e aveva provato una stretta al cuore. 

Guardandolo ora, com'egli teneva gli occhi fissi sul mondo fuori dalla finestra, si stupì di non aver prima mai notato come si fosse fatto terribilmente magro in quelle ultime settimane. 

Aveva le tempie incavate, e gli zigomi che sporgevano di sotto alla pelle. 

I panni gli pendevano flosci di dosso, come se fossero stati di altro uomo più robusto. 

E per quanto abbronzata dal sole la sua faccia appariva pallida di un verdognolo pallore. 

Aveva un'aria proprio esausta. 

Lavorava tanto, e dormiva pochissimo, mangiava quasi nulla. 

Pur nel dolore e nel turbamento in cui era essa ne provò pietà. 

Oh, come era crudele, crudele, non poter fare nulla per lui! Egli si portò la mano alla fronte come se gli dolesse il capo, e Kitty ebbe l'impressione che anche dentro al di lui cervello si accanissero in martellìo le parole "Non so, Non so!" Strano che quel timido e freddo uomo scontroso nutrisse tanta tenerezza per i bambini! Gli uomini in genere non badavano nemmeno ai propri, ma le monache gliene avevano parlato, commosse e un po' divertite, più di una volta, ed essa non ne dubitava... Se era come esse dicevano coi piccoli cinesi, figurarsi come sarebbe stato con un bambino suo! E Kitty si morsicò le labbra per trattenersi dal piangere di nuovo. 

Egli consultò l'orologio. 

Sono costretto a tornare in città disse. 

Ho molto da fare oggi... 

Non starai male, vero? Oh, no. 

Non ti preoccupare per me. 

E' meglio che stasera non mi aspetti, a pranzo. 

Può darsi che debba trattenermi sino a tardi... 

Mangerò un boccone dal colonnello Yu. 

Va bene. 

Egli si alzò. 

Se fossi in te, resterei in riposo tutto il giorno. 

E' meglio prenderla calma, in questi casi. 

Hai bisogno di nulla, prima che vada via? No, grazie. 

Sto perfettamente bene. 

Egli indugiò ancora un istante, come indeciso, poi, bruscamente e senza guardarla, prese il cappello e lasciò la stanza. 

Essa rimase in ascolto dei suoi passi. 

Si sentiva terribilmente sola. 

E come ormai nulla le impediva di piangere si abbandonò a una crisi di lagrime. 

 

 

57. 

La notte era afosa, e Kitty sedeva dinanzi alla finestra in contemplazione dei fantastici tetti, scure masse contro il cielo stellato, del tempio cinese. 

Infine Walter arrivò. 

Gli occhi essa aveva tutti pesti dal piangere, ma era calma, composta. 

Nonostante tutto quello che l'angosciava si sentiva, forse solo per stanchezza, stranamente in pace. 

Credevo che fossi già andata a letto disse Walter entrando. 

Non avevo sonno. 

Ho pensato di poter godere un po più di fresco restando alzata. 

Hai mangiato? Sì, ho mangiato. 

Camminava su e giù per la stanza e Kitty capì che aveva da dirle qualcosa. 

Sentiva ch'era imbarazzato. 

Con indifferenza aspettò che si risolvesse a parlare. 

E fu d'improvviso ch'egli cominciò. 

Ho pensato a quello che mi hai detto oggi fece. 

Mi sembra sarebbe meglio che tu andassi via. 

Ho chiesto al colonnello Yu di darti una scorta. 

Porterai teco l'"amah". 

Non avrai nulla da temere. 

Dove posso andare? Puoi andare da tua madre. 

Credi che le farebbe piacere vedermi? Un momento qui egli rimase zitto, in esitazione, come riflettendo. 

Allora puoi andare a Tching-Yen. 

Per che fare? Tu hai bisogno di cure e di attenzione. 

Non mi sembra bello tenerti qui. 

Essa non riuscì a reprimere un sorriso, di divertita ironia oltre che di amarezza. 

E gli diede un'occhiata, quasi ridendo addirittura. 

Non capisco perché tu ti preoccupi tanto della mia salute disse. 

Egli si avvicinò alla finestra, si fermò là presso a guardar fuori nella notte. 

Mai il cielo era stato così fitto di stelle come appariva quella sera. 

Questo non è luogo adatto per una donna nelle tue condizioni. 

Essa lo guardò, bianco nel suo vestito estivo contro il buio della stanza e di fuori. 

Il suo fine profilo aveva qualcosa di sinistro che però, in quel momento, non le faceva la minima paura. 

Quando hai tanto insistito a condurmi qui non volevi la mia morte? domandò Kitty all'improvviso. E lui aspettò così a lungo prima di rispondere ch'essa pensò non volesse rispondere addirittura. In principio, sì. 

Kitty fu scossa da un brivido. 

Era la prima volta che egli ammetteva la cosa. 

Ma non se ne risentì. 

Piuttosto si stupì di quanto provava: ch'era in certo qual modo ammirazione e insieme divertimento. E come subito pensò a Charlie Townsend lo pensò, senza sapere perché, come un essere abbietto e imbecille. 

Ti eri presa una tremenda responsabilità disse. 

Con la tua sensibile coscienza non vedo come avresti potuto perdonarti la mia morte, s'io fossi morta. 

Ma non sei morta. 

Anzi, hai prosperato... 

Sì. 

Non mi sono mai sentita meglio in vita mia. 

Aveva una voglia istintiva di abbandonarsi al gioco d'umore di lui. 

Dopo tutto quello che avevano passato, vivendo tra orrore e desolazione, sembrava stupido prestare importanza a un ridicolo atto di fornicazione. 

Con la morte che a un passo di distanza raccoglieva vite umane come un giardiniere raccoglie patate, era da stolti badare alle sudicerie che il tale o il talaltro poteva consumare sul proprio corpo. Oh, se solo avesse potuto portarlo a rendersi conto di come Charlie non significava ormai nulla per lei, di come già le riuscisse difficile ricordarne i lineamenti, di come l'amore per lui se ne fosse andato dal suo cuore! Poiché niente provava più per Townsend, quanto essa aveva consumato con lui aveva perso ogni significato. 

Riguadagnato il proprio cuore, che importanza poteva avere quello che aveva dato del corpo? E avrebbe voluto dire a Walter: Senti, non trovi che siamo stati stupidi abbastanza? Ci siamo accaniti l'uno contro l'altro come due bambini. 

Perché non possiamo darci un bacio, e finirla, ed essere amici! Se non siamo amanti nulla ci vieta di essere amici. 

Egli si teneva immobile, e la luce della lampada rendeva impressionante il pallore della sua faccia di pietra. 

Non le destava fiducia. 

Se qualcosa ella avesse detto di sbagliato, egli non avrebbe mancato di rintuzzarla con agghiacciante severità. 

Ormai sapeva quanto fosse sensibile e come questa sua sensibilità proteggesse di acre ironia, per cui era pronto a chiudere il cuore non appena qualcosa lo urtava. 

Per un momento si sentì irritata contro di lui. 

Era stupido in questo. 

Dimostrava di prestare troppo importanza alla ferita ricevuta nella vanità. 

Ma essa confusamente capiva che appunto le ferite alla vanità sono le più difficili a guarire. 

Strano come gli uomini facevano tanto caso della fedeltà coniugale. 

La prima volta ch'era stata di Charlie essa si era aspettata di sentirsi diversa, trasformata, e invece era rimasta perfettamente la stessa di prima: con in più solo l'impressione di vivere intensamente. 

Si mise a rimpiangere di non essere stata capace di dirgli che il bambino era suo. 

La bugia non avrebbe avuto quasi nessun significato per lei: mentre a lui sarebbe riuscita di grandissimo conforto. 

E dopotutto avrebbe potuto anche non essere una bugia. 

Era strano che qualcosa, dentro, le avesse impedito di abbandonarsi al beneficio del dubbio. Ma com'erano sciocchi gli uomini! Avevano una parte così insignificante nella procreazione! Era la donna che portava la creatura per lunghi mesi di disagi, era la donna che la partoriva con dolore, eppure l'uomo avanzava tante e tante pretese! In base a che? In base all'atto momentaneo del congiungimento. 

Era mai possibile che quell'atto generasse una differenza nei sentimenti di un uomo verso la creatura? E qui i pensieri di Kitty andarono alla creatura ch'essa portava in grembo; ma ne pensò con oziosa curiosità, senza emozione di sorta, senza la minima tenerezza materna. 

Suppongo che ci penserai, no? fece Walter rompendo il lungo silenzio. 

A che cosa? Egli si voltò un poco, come sorpreso. 

Ad andar via... disse. 

Ma io non voglio andar via. 

Perché non vuoi? Mi piace il lavoro che faccio al convento. 

Credo di essermi resa utile in qualche modo. 

Preferirei restare fino quando resterai tu. 

Credo di doverti avvertire che nelle tue presenti condizioni, sei forse più esposta al contagio di ogni altro. 

Carino il modo in cui lo dici fece lei con un sorriso ironico. 

Non resti per... per amor mio? Kitty esitò. 

Certo egli non si rendeva conto che il più forte, e inaspettato, sentimento che suscitava ora in lei era la pietà. 

No gli rispose. 

Tu non mi ami. 

Anzi credo che ti do noia ad esserti vicina. 

Mai avrei pensato che tu fossi una donna capace di esporsi a dei rischi per quattro vecchie monache e dei marmocchi cinesi. 

Le labbra di lei abbozzarono un sorriso. 

Credo che non sia giusto da parte tua disprezzarmi tanto perché ti sei sbagliato a giudicarmi. Non è colpa mia se sei stato ottuso. 

Bene. 

Giacché sei decisa a rimanere rimani pure. 

Sei libera di te stessa. 

Mi dispiace darti l'occasione di fare il magnanimo. 

Era strano come non si poteva esser seri con lui. 

Ma, in effetti, hai ragione. 

Mica è solo per gli orfani che rimango. 

Vedi, io mi trovo nella particolare situazione di chi non ha nessuno al mondo da cui andare. Non una persona conosco per la quale non costituisca un impiccio; non una persona cui importi se vivo o se muoio. 

Egli aggrottò le sopracciglia. 

Ma non per collera. 

Abbiamo combinato un terribile pasticcio, non ti pare? disse. 

Ti piacerebbe ancora divorziare? Per me è indifferente. 

Sappi che conducendoti qui ho perdonato l'offesa. 

Ah! Non lo sapevo. 

Vedi, non ho fatto studi sull'infedeltà, io... 

Ma quando andremo via di qua, continueremo a vivere insieme? Oh! Lasciamo stare il futuro! esclamò lui. 

E aveva una stanchezza di morte nella voce. 

 

58. 

Due o tre giorni dopo Waddington si presentò in convento a prendere Kitty che, nella sua inquietudine, si era subito rimessa al lavoro. 

La portò a bere la promessa tazza di tè dalla sua amante mancese. 

Più di una volta Kitty era stata a pranzo in casa di Waddington. 

Era un quadrato edifizio, bianco e pretenzioso, dei soliti che le Dogane costruiscono per i loro funzionari in Cina; e la sala da pranzo dove si mangiava, il salotto dove si stava seduti e si chiacchierava erano arredati con mobili solidi e pomposi. 

Danno tali case una impressione di albergo e di ufficio; nulla hanno di domestico; e lasciano capire a prima vista che sono luoghi di precario soggiorno per precari inquilini. 

Così non sarebbe mai stato possibile supporre che al piano superiore di quella abitata da Waddington si celasse un mistero, fors'anche un romanzo. 

Salirono una rampa di scale e Waddington aprì una porta. 

Kitty si trovò in una grande stanza ignuda dalle pareti imbiancate alla calce, e adorne qua e là di pergamene manoscritte. 

In un rigido seggiolone di legno nero pesantemente intagliato sedeva, dinanzi a un tavolo quadrato, la mancese. 

Essa si levò in piedi all'ingresso di Kitty e di Waddington, ma non si fece loro incontro. 

Eccola disse Waddington, e aggiunse qualcosa in cinese. 

Kitty strinse la mano alla donna. 

Esile nell'ampia veste ricamata era questa più alta di quanto Kitty, abituata alla piccola statura dei meridionali, si fosse aspettata. 

Portava una giacca di seta verdepallido dalle maniche diritte e lunghe fino ai polsi, e i nerissimi capelli aveva pettinati alla complicata maniera mancese. 

Aveva la faccia ricoperta di un denso strato di cipria e le guance, tra gli occhi e la bocca, cariche di rossetto. 

Le folte sopracciglia disegnavano sopra agli occhi una sottile linea scura. 

La bocca appariva scarlatta. 

I grandi occhi neri, leggermente obliqui, scintillavano in questa maschera come liquida giada. 

Essa sembrava piuttosto un idolo che una donna. 

Si muoveva con lentezza e decisione. 

Kitty ebbe l'impressione che fosse un po' timida ma molto curiosa. 

Due o tre volte la vide accennare, guardandola, col capo, mentre Waddington parlava di lei. E notò che aveva le mani estremamente lunghe, snellissime, e colore dell'avorio, con le unghie, raffinate unghie, dipinte. 

Pensò che mai aveva visto qualcosa di più adorabile di quelle languide mani eleganti. 

Erano proprio il prodotto di innumerevoli secoli di civiltà. 

La mancese disse qualche parola con una voce acuta che faceva venire in mente il cinguettìo degli uccelli in giardino, e Waddington tradusse ch'essa si dichiarava lieta di veder Kitty, e domandava quanti anni avesse e quanti figli. 

Si misero quindi a sedere su tre seggioloni dalle spalliere diritte intorno alla tavola quadrata e un "boy" portò il tè, molto chiaro e che odorava di gelsomino. 

La mancese offrì a Kitty delle sigarette "Three Castles" da una scatola verde. 

Oltre la tavola e i seggioloni non si vedevano nella stanza che un immenso letto basso di legno con la testiera ricamata e due cofani in legno di sandalo. 

Come passa il tempo, tutto il giorno? domandò Kitty. 

Dipinge un po', e di quando in quando scrive un poema. 

Ma per lo più se ne sta seduta senza far nulla. 

Fuma, però con moderazione, ed è una fortuna, perché io ho il dovere, tra l'altro, di impedire il traffico dell'oppio. 

Fumate, voi? Di rado. 

Preferisco di gran lunga il whisky, a dire il vero. 

Vi era nella stanza un debole odore acre che non riusciva affatto spiacevole, ma era particolare, esotico. 

Ditele che mi dispiace di non poter parlare con lei. 

Sono sicura che avremmo molto da dirci. 

Quando questo le fu tradotto la mancese diede a Kitty una rapida occhiata nella quale balenò una scintilla di sorriso. 

Era impressionante vederla così seduta, senza minimo imbarazzo, nelle sue belle vesti. 

Gli occhi guardavano languidi, dal mezzo della faccia dipinta, con impenetrabile aria di sicurezza. 

Era irreale, come una pittura, eppure aveva una eleganza che stordiva, confondeva Kitty. Mai Kitty aveva prestato attenzione, che non fosse momentanea e in qualche modo sdegnosa, a quella Cina dove era stata gettata dal destino. 

Non ne aveva mai capito niente della Cina, lei. 

Ma ora d'un tratto le pareva di essersi aperto uno spiraglio, di intraveder qualcosa di remoto e di misterioso. 

Era l'Oriente, immemorabile, oscuro, imperscrutabile. 

Le credenze e gli ideali dell'Occidente le sembravano crudi e informi al paragone degli ideali, delle credenze di cui ora sentiva di afferrare un fuggitivo barlume attraverso quella raffinata creatura. Sentiva, dinanzi a quell'idolo dal volto dipinto e dagli obliqui occhi languidi, che gli affanni, gli sforzi e i dolori del mondo cui apparteneva erano piuttosto assurdi. 

Quella maschera colorata aveva l'aria di nascondere il segreto di una ricca, profonda, significativa esperienza; quelle lunghe mani delicate dalle dita affusolate tenevano le chiavi di un enigmatico ignoto. 

Che pensa tutto il giorno? domandò. 

Niente rispose Waddington con un sorriso. 

E' meravigliosa. 

Ditele che non ho mai viste delle mani così belle. 

Vorrei sapere che cosa l'attira, in voi. 

Waddington, sempre sorridendo, tradusse. 

Dice che sono buono. 

Come se una donna potesse mai amare un uomo per la sua bontà! fece, beffarda, Kitty. 

La mancese non rise che una volta. 

Fu quando Kitty, per dire qualcosa, se ne uscì ad ammirare un braccialetto di giada ch'essa portava. 

Essa se lo tolse a lasciarglielo provare, ma Kitty, pur avendo delle mani piccole, non riuscì a farselo passare sopra le nocche. 

Così la mancese scoppiò in una fanciullesca risata. 

E disse qualcosa a Waddington, chiamò un'"amah". 

La quale, ricevuto un ordine, portò di lì a poco un bellissimo paio di scarpe mancesi. 

Dice che vuole darvele se potete portarle spiegò Waddington Vi serviranno a meraviglia come pantofole da camera. 

Mi vanno benissimo disse Kitty, non senza soddisfazione. 

Ma notò che Waddington sorrideva maliziosamente. 

Sono troppo grandi per lei? domandò, subito comprendendo. 

Di miglia e miglia. 

Kitty rise, e come Waddington tradusse, anche la mancese e l'"amah" risero. 

Mentre, poco dopo, Kitty e Waddington si arrampicavano, verso la casa di lei, su per la collina, essa gli si rivolse con un amichevole sorriso. 

Non mi avevate detto che le volete tanto bene. 

Che cosa vi fa pensare che le voglia bene? L'ho visto nei vostri occhi. 

E' strano... 

Dev'essere come amare un fantasma o l'apparizione di un sogno. 

Sono proprio incomprensibili gli uomini. 

Pensavo che foste uno come chiunque altro, e invece mi sono accorta di non sapere un'acca di voi. 

Quando giunsero al "bungalow" d'un tratto egli le chiese: Perché avete voluto vederla?. 

Kitty esitò un momento prima di rispondere. 

Cerco qualcosa che non so io stessa che cosa sia. 

Ma so che per me è molto importante conoscerla, e che se la conoscessi tutto diventerebbe diverso. 

Forse le monache la conoscono; quando sono con loro sento che hanno un segreto di cui non vogliono rendermi partecipe. 

E m'è venuto in mente che a vedere la donna mancese avrei avuto un indizio di quello che cerco. 

Forse lei me lo direbbe che cosa sia, se potessimo comunicare tra noi. 

Che vi fa pensare ch'essa lo conosca? Kitty gli diede un'occhiata di traverso, ma non rispose. 

Gli rivolse una domanda, invece. 

Lo conoscete, voi? Egli sorrise e si strinse nelle spalle. 

Tao. 

Alcuni cercano la Via nell'oppio e altri in Dio, altri nell'alcool e altri nell'amore. Ma è sempre la stessa Via che non conduce in nessun luogo. 

 

59. 

Kitty si lasciò riprendere dalla confortevole consuetudine del suo lavoro, e sebbene la mattina si sentisse in genere piuttosto male aveva abbastanza spirito per resistere e tenersi su. Era stupita dell'interessamento che ora le monache le dimostravano; sorelle che prima, incontrandola in un corridoio, si limitavano ad augurarle il buongiorno ora entravano con futili pretesti nella stanza dove lei lavorava a guardarla, a ciarlare un po', piene di dolce e fanciullesca eccitazione. 

Con una insistenza che non mancava a volte di riuscire tediosa Suora San Giuseppe le ripeteva come avesse sospettato della gravidanza fin dal primo momento che l'aveva vista, e come non ne avesse più dubitato quando lei era svenuta. 

Le raccontava lunghe storie intorno ai parti della sua cognata; e sarebbero state, senza il pronto umorismo di Kitty, storie non poco allarmanti. 

La suora mescolava in piacevole combinazione i ricordi realistici della sua adolescenza (un fiume che si snodava tra i campi della fattoria paterna, i pioppi che tremavano alla brezza sulle rive) con quanto le era familiare della religione. 

Un giorno, fermamente convinta come era che nulla un'eretica potesse sapere sull'argomento, parlò dell'annunciazione. 

Ogni volta che leggo quelle parole nella Sacra Scrittura non riesco a trattenermi di piangere disse. 

Non so perché, ma mi danno un senso così strano... 

Poi, in francese, in parole che a Kitty suonavano insolite e, per lo sforzo di capirle, un po' fredde, citò: "E l'angelo venne a lei e disse: Ave. 

Maria, piena di grazia, il signore è teco, tu sei benedetta tra tutte le donne". 

Il mistero della nascita spirava attraverso il convento come una capricciosa brezza che giochi tra i bianchi fiori di un orto. 

Il pensiero di Kitty incinta eccitava, turbava quelle donne votate alla sterilità. 

La vista di lei ora le spaventava un po', insieme affascinandole. 

Tutte figlie di contadini e di pescatori consideravano l'aspetto fisico di quello stato con massiccio buon senso; ma i loro cuori infantili trepidavano. 

E al di là del turbamento per la cosa in sé erano felici, stranamente esaltate. 

Suora San Giuseppe raccontò a Kitty come tutte pregassero per lei. 

Le disse che Suora San Martino aveva rimpianto che Kitty non fosse cattolica, ma che la Madre Superiora l'aveva rimproverata, e aveva detto che si poteva essere "une brave femme" anche se si era una protestante e che "le bon Dieu" avrebbe, in un modo o nell'altro, accomodato tutto. Kitty era commossa e insieme divertita dell'interesse che suscitava, ma rimase oltremisura stupefatta quando vide che anche la Madre Superiora, così austera nella sua santità, la trattava con una compiacenza tutta nuova. 

Sempre essa era stata buona con lei, ma in un modo distaccato; ora le dimostrava una tenerezza che aveva qualche cosa di materno. 

La sua voce aveva una nota nuova di affabilità, e i suoi occhi brillavano d'una luce faceta come se Kitty fosse una bambina che avesse fatto qualcosa di ingegnoso e divertente. 

Era commovente questo da parte della Madre, commovente in un modo bizzarro. 

Essa aveva un'anima ch'era come un calmo oceano grigio dal maestoso ondeggiare, un oceano che ispirava rispettoso timore nella sua cupa grandezza, ed ecco che ora un raggio di sole lo ravvivava, lo rendeva gaio, ridente, amichevole. 

Spesso la sera essa veniva nella stanza di Kitty e le si sedeva vicino. 

Bisogna ch'io stia attenta a non lasciarvi affaticare, "mon enfant" le diceva, evidentemente per darsi una scusa. 

Il dottor Fane non me lo perdonerebbe mai! Oh, la flemma di voi inglesi! Ma lui è incantato oltre ogni limite e quando gli si parla della cosa diventa bianco come un lenzuolo. 

Presa la mano di Kitty, le batteva sopra affettuosamente. 

Il dottor Fane mi ha raccontato che voleva farvi andar via ma che voi non avete voluto per non lasciarci. 

Questo è molto buono da parte vostra, mia cara figliola, e io desidero che sappiate quanto apprezziamo il vostro aiuto. 

Ma penso che siete rimasta anche per non lasciare lui, nevvero? E questo è meglio, poiché il vostro posto è al suo fianco, e lui ha bisogno di voi. 

Ah, io non so che sarebbe stato di noi, senza quell'uomo ammirevole! Sono felice di poter pensare che vi è stato così di aiuto. 

Voi dovete amarlo con tutto il cuore, mia cara. 

E' un santo. 

Qui Kitty sorrise e nell'intimo del cuore sospirò. 

Solo una cosa poteva fare per lui, ora, ma non sapeva come avrebbe potuto farla. 

Bisognava che lo inducesse, e non per sé, sibbene per lui stesso, a perdonarla. 

Solo perdonandole egli avrebbe ritrovato la pace dello spirito. 

Ma era inutile domandarglielo. 

Se un sospetto egli avesse avuto che essa desiderava di esser perdonata più che per il proprio bene per quello di lui, si sarebbe impuntato per sempre nella sua ostinata vanità. 

Curioso, come tale vanità non la irritasse più! Le sembrava naturale, e se ne doleva solo per lui. Occorreva dunque prenderlo in un momento che non stesse in guardia, all'atto di qualche inattesa circostanza. 

Forse egli avrebbe accolto con sollievo l'irrompere di un'emozione che lo liberasse dall'incubo del suo risentimento. 

Ma, nella sua morbosa follia, avrebbe magari lottato con tutte le sue forze per non lasciarsi travolgere, per non lasciarsi liberare! Non era penoso che gli uomini, in questo mondo di dolore dove si trovavano a passare per così breve momento, si torturassero come facevano? 

 

60. 

Sebbene la Madre Superiora avesse parlato con Kitty non più di tre o quattro volte, e una o due di queste volte per soli dieci minuti, Kitty ne era rimasta profondamente impressionata. 

Il carattere della monaca era come un paese che a prima vista sembrava grandioso e inospitale ma che a poco a poco rivela, annidati tra alberi da frutto nelle pieghe delle montagne, ridenti villaggi e, fluenti per fiorite praterie, incantevoli corsi d'acqua. 

Però in un simile paese tanta dolcezza, che pur sorprende e rassicura, non basta a far superare l'impressione intimidatrice delle brulle alture e delle immensità battute dal vento. E allo stesso modo non era possibile entrare in confidenza con la Madre Superiora. 

Qualcosa essa aveva pur sempre di impersonale che Kitty avvertiva anche nelle altre monache, e persino nella faceta chiacchierona Suora San Giuseppe, ma che in lei era quasi una palpabile barriera. 

Dava un senso curioso che raffreddava, che ispirava un costante rispetto, come se, pur camminando sulla terra e occupandosi di cose terrene, ella vivesse in una sfera agli altri proibita. Vi fu una volta che Kitty la sentì dire: Una religiosa non deve solo pregare continuamente Gesù; dev'essere essa stessa una preghiera. 

La sua conversazione era intessuta di religione, ma Kitty sentiva che non vi metteva la minima intenzione di influenzare in qualche modo l'eretica. 

Parlare così le era semplicemente naturale. 

E strano pareva a Kitty che, nel suo profondo senso di carità, la Madre Superiora si rassegnasse a lasciare lei in una condizione che doveva ritenere di colpevole ignoranza. 

Stavano insieme una sera, sedute l'una di fronte all'altra. 

Le giornate ormai erano diventate corte e la luce morbida del crepuscolo riusciva gradevole, seppure un po' malinconica. 

La Madre Superiore sembrava piuttosto stanca. 

La sua faccia da personaggio tragico appariva bianca, tirata; i suoi begli occhi neri avevano perso il loro fuoco. 

E la stanchezza, forse, la mise in umore confidenziale. 

Questo è un giorno memorabile per me, figliola disse uscendo da una lunga fantasticheria. 

E' l'anniversario del giorno in cui presi la decisione definitiva di votarmi al Signore. 

Ci pensavo da due anni, ma ne soffrivo come se avessi paura della mia vocazione, poiché temevo di essere riafferrata dallo spirito del mondo. 

Ma come quella mattina mi comunicai feci il voto di esprimere il mio desiderio alla mia cara madre prima che fosse calato il sole. 

E chiesi, ricevendo l'ostia consacrata, chiesi al Signore di concedermi la pace dell'anima. 

Tu l'avrai, fu la risposta che mi parve udire, solo quando avrai cessato di agognarla. 

La Madre Superiora ebbe un momento qui l'aria di abbandonarsi ai ricordi del proprio passato. Quel giorno, poi continuò una delle nostre amiche, Madame de Viernot, era entrata al Carmelo senza darne nessun avviso ai suoi parenti. 

Sapeva che essi si sarebbero opposti al suo passo, ma era una vedova, e credette che come tale avesse il diritto di fare quello che voleva. 

Una delle mie cugine andata a salutare per sempre la cara fuggiasca non tornò che verso sera. 

Era molto commossa. 

Io non avevo ancora parlato a mia madre, tremavo al pensiero di dirle quanto avevo nell'animo, ma volevo mantenere la risoluzione presa all'atto della Santa Comunione. 

Rivolsi a mia cugina mille e mille domande. 

Mia madre, che sembrava assorta nel suo lavoro di damascheria, non perdeva una sola delle nostre parole. 

E mentre discorrevo io mi dicevo: se voglio dichiararmi oggi non ho più un minuto da aspettare. 

E' strano come ricordi vivamente la scena. 

Eravamo sedute intorno alla tavola, una tavola rotonda coperta di un tappeto rosso, e lavoravamo alla luce di una lampada dal paralume verde. 

C'erano tutte e due le mie cugine e si lavorava a della tappezzeria da ricoprire le seggiole del salotto. 

Pensate, la tappezzeria di quelle seggiole non era stata rinnovata da quando, al tempo di Luigi Quattordicesimo, le avevano comprate, ed era così logora, così sbiadita, diceva mia madre, che faceva proprio pena. 

Io mi provai a parlare, ma le mie labbra si rifiutavano di muoversi. 

E allora, d'improvviso, dopo alcuni minuti che si stava tutte zitte, mia madre mi disse: "Non riesco proprio a capire la condotta della tua amica. 

Non approvo questo modo di abbandonare, senza neanche una parola, tutti coloro che ci vogliono bene. 

E' teatrale, e offende il mio gusto. 

Una donna bennata non fa mai nulla che porti la gente a parlare di lei. 

Mi auguro che tu, se dovessi darci il dolore di partire da noi, non piglieresti così la fuga come una che commetta un delitto". 

Era il momento di parlare, ma in tale stato di debolezza mi trovavo che riuscii appena a dire: "Ah non ci pensare, mamma, che tanto io non ne avrei la forza". Mia madre non rispose e io mi pentii di non aver osato dichiararmi. 

Mi pareva di udire le parole che nostro Signore rivolse a San Pietro: "Pietro, mi ami tu?" Oh, quale debolezza, quale ingratitudine era la mia! Amavo gli agi della mia casa, il modo in cui vivevo, e la mia famiglia, i miei svaghi. 

Mentre ero perduta tra questi amari pensieri ecco allora che mia madre, come se la conversazione non fosse stata interrotta, mi disse: "Eppure, Odette, io credo che non morrai senza aver fatto qualche cosa che duri". 

Sempre io ero smarrita nell'ansia delle mie riflessioni, e le mie cugine, lontane dal sospettare quanto avevo nell'animo, lavoravano quete. 

E mia madre, all'improvviso, lasciò cadere il lavoro, di nuovo mi si rivolse, guardandomi attentamente, a dire: "Ah, figliola mia, io sono sicura che finirai per farti monaca". 

"Parli sul serio, mia buona madre?" dissi io. "Tu metti a nudo il mio più segreto pensiero, e il desiderio più vivo del mio cuore". 

"Mais oui" esclamarono, senza darmi il tempo di finire le mie cugine. 

"Da due anni Odette non pensa ad altro. 

Ma tu, zia, non glielo permetterai, vero? Non devi permetterglielo". 

"Con quale diritto, figliole, non glielo permetteremmo?" disse mia madre. "Se tale è la volontà del Signore, che sia fatta." Allora le mie cugine volendo volgere in scherzo la conversazione, mi domandarono che intendessi fare di tutte le bagatelle che mi appartenevano e tra loro gaiamente si contendevano il possesso dell'uno e dell'altro oggetto. 

Ma questo principio di gaiezza durò assai poco e quindi tutte cominciammo a piangere. Infine si udì il passo di mio padre che saliva le scale. 

La Madre Superiora si fermò un momento, diede in un sospiro. 

Fu molto, molto duro per mio padre. 

Ero la sua unica figlia e spesso gli uomini nutrono per le loro figliole un sentimento più profondo che per i figlioli. 

E' una grande disgrazia avere un cuore disse Kitty e sorrise. 

Ma è una grande fortuna consacrarlo all'amore di nostro Signore Gesù Cristo. 

In quel momento si avvicinò alla Madre Superiora una ragazzina, e sicura di destare il suo interesse le mostrò un fantastico giocattolo che aveva scovato chissà dove. 

La Madre Superiora mise la sua bella mano delicata sulla spalla della piccola e la piccola le si annidò tra le sottane. 

Kitty rimase, pensosa, ad osservare in qual modo dolcissimo e insieme impersonale la nobildonna sorrideva. 

E' meraviglioso vedere l'adorazione che tutte le vostre orfanelle hanno per voi, Madre disse. 

Mi sentirei molto orgogliosa, io, se fossi capace di suscitare una devozione simile. 

La Madre Superiora di nuovo sorrise, del suo splendido e distaccato sorriso. 

Vi è un solo modo di vincere i cuori disse. 

Ed è di renderci simili entro di noi a coloro dai quali vorremmo essere amate. 

 

61. 

Walter non tornò a pranzo quella sera. 

Kitty, per un poco, lo aspettò poiché sempre quando era costretto a trattenersi in città egli mandava ad avvertirla, ma infine si mise a tavola. 

Fece solo le viste di mangiare di questa e di quella delle molte portate che il cuoco cinese, nel suo rispetto delle convenienze malgrado il colera e la difficoltà di approvvigionarsi, invariabilmente le poneva dinanzi; poi, lasciatasi sprofondare nella sedia a sdraio vicino alla finestra, si diede tutta in balia della stellata bellezza notturna. 

Il silenzio la riposava. 

Nemmeno un minuto cercò di leggere. 

I pensieri galleggiavano alla superficie della sua mente come bianche nuvolette riflesse da un lago tranquillo. 

Troppo stanca era per afferrarne e seguirne uno, per assorbirsi in esso. 

Confusamente tastava tra le impressioni varie lasciatele dai discorsi delle monache, a vedere se c'era un significato per lei. 

Strano, pensava, come, pur profondamente commossa qual era dal modo di vivere delle monache, per nulla si sentisse toccata dalla fede che a quel modo di vivere dava origine. 

Oh, lei mai, mai, sarebbe stata presa dall'ardore della fede! Sospirò, lievemente. 

Forse ogni cosa sarebbe diventata più facile se quella grande luce le avesse illuminato l'anima. Una volta o due l'era venuto il desiderio di aprirsi con la Madre Superiora, dirle della propria infelicità e del perché di questa infelicità; ma non aveva osato, non osava; non poteva sopportare l'idea che quella austera donna pensasse male di lei. 

Quanto lei aveva fatto sarebbe certo sembrato alla Madre peccato mortale. 

Mentre lei, e questo era strano, non riusciva a non considerare la cosa piuttosto come stupida e brutta che come malvagia. Forse era questione d'ottusità. 

Ma certo che se pur giudicava riprovevole e bassa la propria relazione con Townsend, non gli pareva avesse da pentirsene, sibbene da dimenticarsene né più né meno come se si trattasse di aver preso un granchio ad una riunione di società. 

Non c'era in proposito nulla da fare, una terribile mortificazione era stata, ecco tutto, ma non bisognava investirla di troppa importanza. 

Rabbrividiva nel pensare a Charlie con la sua massiccia persona ben coperta, con il taglio incerto di quel suo mento, con il suo modo di sporgere, quando stava in piedi, il petto per dissimulare la pancia. 

Le piccole vene rosse che cominciavano a disegnarglisi in rete sulle rubiconde guance denotavano il suo temperamento sanguigno. 

E le sue sopracciglia folte come cespugli che tanto le erano piaciute ora le sembravano avere qualcosa di ripugnante e di animalesco. 

E l'avvenire? Era curioso come l'avvenire la lasciasse indifferente; nulla riusciva a vedere in esso. 

Forse, pensava, sarebbe morta nel dare alla luce il bambino. 

Sua sorella Doris era sempre stata tanto più forte di lei, eppure per poco non era morta durante il parto. 

(Essa aveva compiuto il suo bravo dovere e fornito un erede al baronettaggio; Kitty sorrideva all'idea della soddisfazione che doveva provarne la madre.) Se così vago le appariva l'avvenire, voleva dire che lei era destinata a non avere avvenire. 

Walter probabilmente avrebbe pregato la suocera di prendersi cura del bambino, se il bambino fosse sopravvissuto. 

Essa lo conosceva abbastanza bene per esser sicura che, nonostante l'incertezza in cui era circa la paternità, avrebbe trattato il bimbo con benevolenza. 

Walter non avrebbe mancato di comportarsi gentilmente in ogni circostanza. 

Peccato che, con le sue grandi qualità, la sua abnegazione, il suo senso dell'onore, e la sua intelligenza, la sua sensibilità, riuscisse così poco amabile! Ora essa non aveva più il minimo timore di lui, ma era addolorata per lui, e purnondimeno non poteva fare a meno di trovarlo leggermente assurdo. 

Il suo stesso modo profondo di sentire lo rendeva tuttavia vulnerabile, ed essa aveva l'impressione che una volta o l'altra avrebbe potuto in qualche modo indurlo a perdonarla. 

La ossessionava adesso il pensiero che solo inducendolo a perdonarla, e cioè procurandogli la pace dello spirito, avrebbe fatto l'unica ammenda possibile dell'angoscia in cui lo aveva gettato. Peccato ch'egli avesse così poco il senso del ridicolo! Quanto, diversamente, avrebbero riso insieme un giorno del modo in cui si erano tormentati! Era stanca. 

Prese la lampada e si ritirò nella sua camera, si spogliò. 

Come poi si fu messa a letto, cadde subito addormentata. 

 

 

62. 

Ma fu svegliata da un forte bussare. 

A tutta prima, come i colpi le riuscivano confusi con le impressioni del sogno dal quale si era destata, non poté isolare quel rumore nella realtà. 

Ma il rumore continuava, ed essa finì per rendersi conto che bussavano al portone del muro di cinta. 

Nella camera era buio assoluto. 

Stese la mano verso un orologio a fosforo che aveva sul comodino e vide che erano le due e mezza. 

Doveva esser Walter di ritorno - così tardi! - che non riusciva a svegliare il "boy". 

I colpi continuavano più forti, sempre più forti e nel silenzio della notte suonavano non poco allarmanti. 

D'un tratto si arrestarono. 

Si udì tirare il catenaccio. 

Mai Walter era tornato così tardi. 

Povero Walter, come doveva essere stanco! E si mise a sperare che avrebbe almeno avuto il buon senso di andarsene diritto a letto invece di chiudersi a lavorare come di solito nel suo laboratorio. 

Venne rumor di voci, rumor di gente che attraversava il cortile. 

Strano questo. 

Perché Walter, quando tornava tardi, stava attento a far piano per non disturbarla. 

Si udì il passo di due, tre persone salire di volata gli scalini di legno del "bungalow", entrare nella stanza vicina. 

Kitty trasalì, un po' spaventata. 

Nel ridotto della sua mente c'era sempre il timore di una sommossa xenofoba. 

Era accaduto qualcosa? Il cuore cominciò a batterle con violenza. 

Ma prima che avesse tempo di formulare in pensiero la sua vaga apprensione qualcuno attraversò la stanza vicina, bussò alla porta di lei. 

Mistress Fane. 

Era Waddington. 

Sì. 

Che accade? Vogliate alzarvi subito, per favore. 

Ho qualcosa da dirvi. 

Kitty scivolò giù dal letto, infilò una vestaglia. 

E tirato il chiavistello aprì la porta. 

Vide allora dinanzi a sé Waddington in panni cinesi e giacca da pigiama, il "boy" di casa che reggeva una lanterna e più in là tre soldati cinesi in uniforme kaki. 

Diede in un sussulto poiché lesse la costernazione sulla faccia di Waddington. 

I capelli egli aveva in disordine come se fosse saltato allora allora giù dal letto. 

Che succede? chiese Kitty, a fior di labbra. 

Bisogna che siate calma. 

Non c'è un minuto da perdere. 

Vestitevi e venite con me. 

Ma che è successo? Qualcosa dev'esser successo in città. 

La vista dei soldati le aveva dato il sospetto che fossero lì per proteggerla contro dei disordini scoppiati in città. 

Vostro marito è caduto ammalato. 

Bisogna che veniate subito con noi. 

Walter? gridò Kitty. 

Non vi allarmate. 

Io non so di che cosa si tratti con esattezza. 

Il colonnello Yu mi ha mandato a chiamare perché vi porti subito allo Yamen. 

Kitty restò un momento a guardarlo con gli occhi spalancati, agghiacciato il cuore da un freddo improvviso, poi si voltò. 

Sarò pronta tra due minuti. 

Sono venuto come mi trovavo rispose Waddington. 

Dormivo, e mi son preso appena il tempo di infilare le scarpe. 

Kitty non udì. 

Si vestì al chiarore delle stelle, indossando le cose che prima le capitavano sottomano. Così torpide le si erano fatte di colpo le dita, che le pareva di impiegare un secolo a trovare i bottoni e i ganci per chiudersi il vestito. 

Infine si gettò sulle spalle lo scialle cantonese che aveva tenuto indosso, dopo il pranzo, quella sera. 

Non metto il cappello. 

Credo che non importi, vero? No. 

Il "boy" protese la lanterna a far luce e tutti si precipitarono giù per gli scalini, attraversarono il cortile, varcarono la soglia del portone. 

State attenta a non cascare disse Waddington. 

Venite, qui, sarà meglio che vi appoggiate al mio braccio. 

I soldati seguivano a un passo di distanza. 

Il colonnello Yu ha mandato delle portantine. 

Ci aspettano di là dal fiume. 

Andarono giù per la collina, a rapidi passi. 

Kitty non trovava il coraggio di pronunciare la domanda che pur le palpitava orribilmente sulle labbra. 

Aveva una mortale paura della risposta. 

E giunsero sulla riva dove, con un filo di luce a prua, li aspettava un sampan. Colera? fece allora. 

Temo di sì. 

Essa si lasciò scappare un grido soffocato e si fermò. 

Bisogna fare più presto che si può. 

Waddington le porse la mano per aiutarla a saltare in barca. 

Il fiume, ch'era quasi stagnante, si passava in un momento. 

E tutti se ne stavano ammucchiati a prua, mentre una donna che aveva un bambino aggrappato all'anca, spingeva il sampan con un solo remo. 

Gli è venuto male questo pomeriggio... voglio dire il pomeriggio di ieri fece Waddington. 

Perché non mi hanno chiamata subito? Parlavano, sebbene non ve ne fosse ragione, sottovoce. 

Nell'oscurità Kitty avvertiva come intensamente fosse ansioso il suo compagno. 

Il colonnello Yu avrebbe voluto, ma lui glielo ha impedito. 

Il colonnello Yu gli è stato vicino tutto il tempo. 

Doveva mandarmi a chiamare lo stesso. 

E' una cosa spietata. 

Vostro marito sa che non avete mai visto un coleroso. 

E' uno spettacolo terribile e ripugnante. 

Non ha voluto che voi lo vedeste in simile stato. 

Ma è mio marito, dopotutto fece Kitty con voce strozzata. 

Waddington non rispose. 

E ora perché mi si è mandata a chiamare? Che cosa c'è di diverso ora? Mia cara, bisogna che siate forte. 

Dovete aspettarvi il peggio. 

Essa diede in un gemito di angoscia e si voltò da parte un poco, dacché si accorse che i tre soldati la osservavano. 

C'era uno strano scintillìo nel bianco dei loro occhi. 

Sta per morire? Io conosco soltanto il messaggio che il colonnello Yu ha dato all'ufficiale venuto a cercarmi. 

E da quanto mi è dato di giudicare sembra ch'egli sia in agonia. 

Non c'è più nessuna speranza? Non potete immaginare come mi sia penoso dirlo, ma ho paura che se non arriviamo presto non lo troveremo più vivo. Kitty rabbrividì. 

Le lagrime cominciarono a scorrerle giù per le guance. 

Vedete, è sfinito dal gran lavoro che faceva, e non ha forza di resistere. 

Kitty si sottrasse con un gemito irritato alla pressione del braccio di lui. 

Le era esasperante sentirlo parlare con quella bassa voce angosciata. 

Giunsero a riva e due uomini, due "coolies" cinesi che erano là, fermi, li aiutarono a sbarcare. 

Le portantine aspettavano. 

Come Kitty fece per accomodarsi nella sua, Waddington le disse: Cercate di non perdere la testa, mi raccomando. 

Avrete bisogno di tutta la vostra forza d'animo. 

Dite ai portatori che si sbrighino. 

Hanno l'ordine di correre più presto che possono. 

L'ufficiale, già in portantina, passò avanti e passando gettò una voce ai portatori di Kitty, i quali sollevarono agilmente il palanchino, se ne aggiustarono le stanghe sulle spalle e si avviarono a passi veloci. 

Waddington tenne dietro, vivacissimo. 

La collina fu attaccata di corsa, e dinanzi a ogni palanchino procedeva un uomo munito di lanterna. Alla chiusa il custode aspettava con in mano una torcia. 

E come l'ufficiale gli gridò qualcosa aprì uno dei battenti per lasciarli passare. 

Diede in una specie di interiezione mentre il gruppo passava e i portatori gli rimandarono il grido. Nella morta oscurità quei gutturali suoni di lingua straniera riuscivano misteriosi e allarmanti. Sull'umido selciato sdrucciolevole del viale che il gruppo tosto infilò uno dei portatori del primo palanchino stava per cascare. 

Kitty sentì la voce dell'ufficiale alzarsi adirata, il portatore replicare stridulo, poi il palanchino ripigliò a correre. 

Le strade erano strette e tortuose. 

La notte era profonda dentro alla città. 

Era una città morta. 

E il gruppo arrancò per un vicolo, svoltò, risvoltò, corse su per una volta di scale. 

I portatori cominciavano a soffiare; avanzavano rapidi a lunghi passi, in silenzio; e uno tirò fuori un logoro fazzoletto, si asciugò sempre camminando il sudore che dalla fronte gli scolava sugli occhi. 

E ancora svoltarono, ancora risvoltarono come per un labirinto. 

Nell'ombra delle chiuse botteghe sembrava qua e là disegnarsi una forma prona di qualcuno che non si poteva dire se dormisse per risvegliarsi all'alba o per non risvegliarsi più. 

Spettrali erano le anguste vie nel silenzio del loro vuoto e come d'un tratto un cane abbaiò forte. Kitty si sentì percorrere la schiena da un brivido di terrore. 

Essa non sapeva dove la portassero. 

Non si arrivava mai. 

Non si poteva andare più presto? Più presto! Più presto! Il tempo passava e ad ogni minuto cresceva il rischio di arrivare troppo tardi. 

 

 

63. 

Improvvisamente, rasentato un lungo muro ignudo, si trovarono dinanzi a un alto portone fiancheggiato da due garitte di sentinella, e i portatori misero a terra i palanchini. 

Waddington accorse da Kitty. 

Essa però era già saltata fuori. 

L'ufficiale chiamò ad alta voce, bussando. 

E una posterla si aprì nel portone, tutti passarono in un cortile. 

Era questo ampio, quadrato. 

Ammucchiati contro i muri sotto le gronde dei tetti sporgenti, giacevano soldati e soldati avvolti nelle coperte. 

L'ufficiale si fermò un momento a parlare con uno che poteva essere il sergente di giornata, poi si rivolse a Waddington, mormorando qualcosa. 

E' ancora vivo tradusse Waddington sottovoce. 

Badate dove mettete i piedi. 

Sempre preceduti dagli uomini che portavano le lanterne, attraversarono il cortile, salirono alcuni gradini, passarono sotto un androne, e si trovarono in un secondo cortile. 

Era deserto. 

Su un lato correva un lungo padiglione. 

E la luce che dal di dentro illuminava la carta di riso delle finestre faceva risaltare in nero il complicato disegno delle inferriate. 

Gli uomini dalle lanterne li guidarono sino alla porta. 

L'ufficiale bussò. 

Subito venne aperto e, dando un'occhiata a Kitty, l'ufficiale si tirò indietro. 

Volete entrare? fece Waddington. 

Era una lunga stanza dal basso soffitto e le fumose lampade che la rischiaravano ne pervadevano l'aria di un senso di minaccia. 

Tre o quattro attendenti si davano intorno da fare. 

Su una branda a ridosso del muro dirimpetto giaceva un uomo rannicchiato sotto una coperta. 

Un ufficiale si teneva immobile ai piedi. 

Kitty accorse e si piegò sopra la branda. 

L'uomo era lui, Walter, e aveva gli occhi chiusi. 

Nel tetro chiarore della stanza la sua faccia appariva grigia di morte. 

Egli non si muoveva, era orribile come non si muoveva. 

Walter, Walter sussurrò Kitty senza respiro, con voce che suonò atterrita. 

Il corpo di lui si mosse in un'ombra appena di moto. 

Fu come un filo d'aria che non si avverte eppur increspa un attimo la superficie dell'acqua queta. 

Walter, Walter, parlami. 

Lentamente gli occhi si aprirono, come se stentassero a sollevare quelle palpebre pesanti, ma non guardarono lei, si posarono sulla parete a due dita di distanza. 

Ed egli parlò con una fievole voce sommessa che aveva dentro una punta di sorriso. E' un bel pasticcio disse. 

Kitty non osava respirare. 

Egli non aggiunse altro, non accennò gesto alcuno, ma i suoi occhi, quei suoi scuri occhi freddi, che adesso vedevano chissà quali misteri, si spalancarono dinanzi alla bianca parete. 

E Kitty si raddrizzò, guardò con aria smarrita l'uomo che si teneva ai piedi della branda. 

Si deve poter fare qualcosa. 

Non vorrete lasciarlo morire così, senza tentare nulla! Si diede a torcersi le mani. 

Waddington parlò all'ufficiale.Hanno fatto tutto quello ch'era possibile disse poi. 

Lo ha curato il chirurgo del reggimento. 

Ha imparato da vostro marito, e ha fatto tutto quello che avrebbe fatto vostro marito stesso. E' lui il chirurgo? disse Kitty indicando l'uomo appié del letto. 

No, è il colonnello Yu. 

Non si è mosso un momento dal fianco di vostro marito. 

Kitty guardò distrattamente l'uomo. 

Era di alta statura, e massiccio di persona. 

Pareva stesse a disagio nella sua uniforme kaki. 

Teneva gli occhi fissi su Walter e Kitty vide, trasalendo, che li aveva bagnati di lagrime. 

Perché quell'uomo dalla piatta faccia gialla doveva piangere? Ne fu esasperata. 

Oh, è spaventoso non poter fare nulla. 

Almeno lui non soffre più disse Waddington. 

Ancora una volta Kitty si piegò sul marito. 

Ancora quegli occhi spettrali fissavano il vuoto della parete. 

Non si poteva dire se vedessero.Ed essa non sapeva s'egli la avesse udita parlare. 

Gli si accostò all'orecchio sin quasi a toccarglielo con le labbra. 

Walter, dicci che cosa possiamo fare. 

Credeva, sperava che vi fosse qualche medicinale capace di arrestare quel terrifico dissolversi della vita. 

I suoi occhi adesso si erano un po' abituati alla penombra della stanza ed essa poteva, inorridita, vedere come la faccia di lui fosse stravolta. 

Irriconoscibile, era. 

Ma come poteva essersi trasformato così, in alcune ore? Quasi non sembrava più un uomo. 

Sembrava la morte incarnata, ecco che cosa sembrava! Le parve ch'egli si sforzasse di parlare. E avvicinò l'orecchio alle sue labbra. 

Non fate storie. 

Ho passato un brutto momento, ma ora sto benissimo. 

Kitty aspettò che continuasse, ma egli si era taciuto. 

Vederlo immobile le straziava il cuore d'angoscia; era terribile, terribile. 

Era come se si tenesse pronto per la immobilità del sepolcro. 

Qualcuno, forse il chirurgo, si avvicinò e scostata lei con un gesto si chinò sul moribondo a inumidirgli con un sudicio cencio le labbra. 

Disperata Kitty si rivolse a Waddington. 

Non c'è nessuna speranza? sussurrò. 

Egli scosse la testa. 

Quanto tempo potrà vivere ancora? Chi può dirlo? Un'ora forse. 

Kitty si guardò attorno per la stanza ignuda, e un attimo posò gli occhi sulla massiccia persona del colonnello Yu. 

Posso restare un minuto sola con lui? chiese. 

Non più di un minuto. 

Certo che potete, se lo desiderate. 

Waddington si avvicinò al colonnello e gli parlò. 

Il colonnello si piegò in un piccolo inchino poi a bassa voce diede un ordine. 

Aspetteremo sulla scala disse Waddington, come il gruppetto usciva. 

Non avete che da chiamarci. 

Ora che l'incredibile era penetrato nella sua coscienza percorrendole come una droga le vene, ed essa capiva che Walter stava per morire, non aveva più che un pensiero, il pensiero di rendergli più agevole la fine, di trargli fuori dall'anima il rancore che l'avvelenava. 

Le sembrava che se Walter avesse potuto morire in pace con lei sarebbe morto in pace anche con se stesso. 

E non pensava affatto a sé, ma a lui, e solo a lui. 

Walter, ti scongiuro di perdonarmi disse, piegandoglisi sopra. 

Nel timore ch'egli non potesse sopportare il minimo peso stava attenta a non toccarlo. Sono disperata per il torto che ti ho fatto continuò. 

Tu non sai come ne sono amaramente pentita. 

Nulla egli rispose. 

Pareva non avesse udito. 

E Kitty fu costretta a ripetere le sue parole. 

Aveva una strana impressione che l'anima di lui fosse una svolazzante falena dalle ali grevi di odio. 

Tesoro! Un'ombra passò sulla smorta faccia cava di lui. 

Fu meno di un movimento, eppure fece l'effetto di una convulsione terribile. 

Mai essa aveva adoperata con lui quella parola prima di allora. 

E forse nella mente del moribondo passò vago e inafferrabile il pensiero di avergliela sentita pronunciare, come parola comune, a proposito di cani, di bambini o di automobili. 

Fu orribile l'espressione che prese la sua faccia. 

Ed essa giunse le mani, cercando con tutte le sue forze di dominarsi poiché vedeva due lagrime colare lente giù per le gote devastate. 

Oh, adorato, caro, se mai mi hai voluto bene, e so che mi hai voluto bene, e ch'io sono stata odiosa, oh, perdonami, ti scongiuro! Non ho modo di mostrarti ora come sono pentita. 

Abbi pietà di me. 

Perdonami, perdonami, te ne supplico. 

Si arrestò. 

E senza respiro lo guardava, aspettando con ansia appassionata che lui le rispondesse. 

Lo vide sforzarsi di parlare. Il cuore le diede un sussulto. 

Le pareva che sarebbe stato in qualche modo una riparazione per il dolore che gli aveva causato poterlo in quell'estremo momento liberare dal carico della sua amarezza. 

Le labbra di lui accennarono a muoversi. 

Ma gli occhi erano sempre fissi sulla bianca parete, non la guardavano, non vedevano. 

Essa si chinò ancora per udirlo. 

Ed egli distintamente: Non è morto che un cane. 

Kitty restò come impietrita. 

Non capiva, lo contemplava piena di terrorizzata perplessità. 

Che potevano significare quelle parole? Delirava, ecco. 

Nulla egli aveva certo sentito di quanto lei gli aveva detto. 

Ma come poteva esser vivo così immobile? Per un pezzo continuò a fissarlo. 

Vedeva che aveva gli occhi aperti. 

Ma non poteva dire se respirasse. 

Cominciò ad aver paura. 

Walter bisbigliò. 

Walter. 

Di colpo alla fine si sollevò. 

Un acuto terrore l'aveva invasa. 

E si voltò, corse alla porta. 

Venite, per favore. 

Mi sembra che... 

Gli uomini entrarono. 

Il piccolo medico cinese andò difilato al letto. 

Aveva in mano una lampadina elettrica e l'accese, ne diresse la luce sugli occhi di Walter. 

Allora con le dita chiuse quegli occhi. 

Disse qualcosa in cinese, e Waddington passò il braccio intorno alla vita di Kitty. 

Temo che sia morto. 

Kitty trasse un profondo sospiro, mentre gli occhi le si riempivano di lagrime. 

Si sentiva stordita più che affranta. 

I cinesi si tenevano tutti intorno al letto, impotenti, come non sapessero che cosa fare. 

Così passò un minuto in assoluto silenzio. 

Poi i cinesi cominciarono a parlottare sottovoce tra loro. 

E' meglio che vi lasciate ricondurre al "bungalow disse Waddington. 

Lo porteremo là. 

Stancamente Kitty si passò la mano sulla fronte. 

Si avvicinò alla branda, vi si curvò sopra e baciò Walter sulle labbra, appena appena. 

Non piangeva più. 

Mi dispiace di darvi tanto disturbo. 

Gli ufficiali s'inchinarono com'essa passava, e lei rispose loro con gravità. 

Attraversato il cortile, si sistemarono nei palanchini e Kitty vide Waddington accendere una sigaretta. 

Un po' di fumo sperso nell'aria, ecco che cosa era la vita dell'uomo. 

 

 

64. 

Albeggiava e qua e là un cinese tirava giù le imposte della sua bottega, negli oscuri recessi della quale si scorgeva una donna lavarsi le mani e la faccia al lume di una candela. 

In una "tea-house" d'angolo un gruppo di uomini consumava il pasto del mattino. 

Per gli angusti vicoli la grigia luce fredda del giorno nascente strisciava lungo i muri come un ladro. C'era una pallida nebbia sul fiume e gli alberi delle giunche assiepate vi si profilavano dentro evanescenti come le picche di un esercito fantasma. 

Faceva piuttosto freddo in barca e Kitty si strinse tutta nel chiassoso scialle multicolore. 

Poi, su per la collina, si trovarono presto fuori dalla nebbia. 

Il sole splendeva in un gran cielo senza nubi. 

Splendeva allo stesso modo che negli altri giorni, come se nulla fosse accaduto di diverso da quanto per solito accadeva. 

Andrete un po' a letto ora? disse Waddington una volta che furono entrati nel "bungalow". No. 

Mi siederò alla finestra. 

Così spesso e così a lungo in quelle ultime settimane si era seduta alla finestra che la fantastica veduta del magnifico e misterioso tempio sul bastione le riusciva riposante allo spirito. Tanto era irreale quello spettacolo che persino nella cruda luce del meriggio aveva il potere di astrarla dalla realtà della vita. 

Vi farò preparare un po' di tè dal "boy". 

Ho paura che bisognerà seppellirlo entro la mattinata. 

Penserò io a sistemare tutto. 

Grazie rispose Kitty. 

 

 

65. 

Lo seppellirono tre ore dopo. 

Sembrava orribile a Kitty che dovessero metterlo in una bara cinese, come s'egli dovesse stare a disagio in una cosa tanto straniera, ma non si poté rimediare. 

Le monache, saputo della morte di Walter come sempre sapevano di tutto quello che accadeva in città, mandarono una croce di dalie, rigida e convenzionale, ma fatta in modo che pareva uscita dalle mani di un fioraio; e fu grottesco vederla, unico ornamento, sulla nuda bara cinese. Aspettarono poi, mentre tutto era già pronto, il colonnello Yu che per mezzo di Waddington aveva espresso il desiderio di assistere al funerale. 

Egli arrivò accompagnato da un aiutante. 

E la piccola processione, il feretro portato da una dozzina di "coolies", si incamminò, si arrampicò per la collina sino a un angolo appartato dove era stato seppellito il missionario che Walter aveva sostituito. 

Waddington aveva trovato tra gli effetti del missionario un libriccino di preghiere e sottovoce, con imbarazzo in lui insolito, lesse il servizio funebre. 

Forse, come recitava quelle terribili parole solenni, gli si agitava nella mente il pensiero che nessuno ci sarebbe stato a leggerle per lui se anche lui fosse caduto vittima della pestilenza. 

E la bara venne calata nella fossa, gli affossatori cominciarono a coprirla di terra. Il colonnello Yu che tutto il tempo era stato a capo scoperto si mise il berretto, salutò Kitty gravemente, disse due o tre parole a Waddington, poi, seguito dall'aiutante se ne andò. 

I "coolies", nella curiosità di assistere a un funerale cristiano, si erano trattenuti davanti alla fossa sino allora e adesso scivolarono via alla spicciolata. 

Kitty e Waddington aspettarono che la fossa venisse colmata e posarono sul tumulo, odorante di terra fresca, le ben composte dalie delle monache. 

Kitty non aveva pianto, ma al tonfo della prima palata di terra sulla bara aveva provato una spaventevole fitta attraverso il cuore. 

Waddington mostrava ora di essere in attesa per andar via. 

Avete fretta? gli chiese lei. 

Non vorrei tornare al "bungalow" subito, io. 

Non ho nulla da fare rispose Waddington. 

Sono completamente a vostra disposizione. 

 

66. 

Pian piano su per il sentiero giunsero sino alla sommità della collina dove sorgeva l'arco della vedova virtuosa che tanta parte aveva avuto nella impressione che Kitty si era fatta del luogo. Era un simbolo ma di che cosa esattamente non sapeva; né riusciva a capire perché lo sentisse carico, tra l'altro, d'un qualcosa di sarcastico, di ironico. 

Vogliamo sederci un momento? E' da un secolo che non veniamo più qui. 

La pianura si stendeva sterminata dinanzi a loro, tranquilla e serena nella luce del mattino. 

Curioso soggiunse Kitty soprappensiero. 

Non sono qui che da poche settimane e mi sembra di esserci da sempre. Egli non rispose e Kitty si lasciò un momento portare dai proprio pensieri. 

Poi sospirò. 

Non credete che l'anima sia immortale? chiese. 

Egli non parve stupirsi della domanda. 

Come potrei saperlo? Vedete, quando poco fa hanno lavato Walter prima di metterlo nella bara io lo guardavo. 

Sembrava giovane, tanto giovane. 

Troppo per morire. 

Vi ricordate di quel mendicante che abbiamo visto quel giorno che mi portaste fuori per la prima volta? Io ne rimasi spaventata, ma non perché fosse morto, sibbene perché pareva che non fosse mai stato un essere umano. 

Era un animale morto. 

E ora anche Walter pareva una macchina che avesse finito di funzionare. 

E' questo lo spaventevole. 

E se altro non siamo che una macchina com'è futile tutto questo soffrire e angosciarsi! Egli non rispose. 

Ma i suoi occhi viaggiavano sopra il paesaggio che si stendeva ai loro piedi. 

Quell'aperta immensità, nel gaio sole del mattino, riempiva l'animo di esultanza. 

I lindi piccoli campi di riso andavano sino a perdita d'occhio, e qua e là per essi i contadini vestiti di celeste lavoravano alacri coi loro bufali. 

Era uno spettacolo di pace e di felicità. 

Kitty ruppe il silenzio. 

Non potete immaginare come mi abbia commossa tutto quello che ho visto al convento. 

Sono meravigliose, quelle monache, mi portano a sentirmi così indegna, inutile. 

Hanno rinunciato a tutto, al loro paese, alla loro casa, all'amore, ai figli, alla libertà; e ad ognuna delle piccole cose cui mi sembra tanto più difficile rinunciare, ai fiori, ai campi verdi, alle passeggiate nell'autunno così belle, ai libri e alla musica, agli agi. 

Non c'è nulla cui non abbiano rinunciato. 

E perché lo hanno fatto? Per potersi dedicare a una vita di sacrificio e di povertà, di ubbidienza, di mortale lavoro e di preghiera. 

Per loro tutte questo mondo è davvero un luogo d'esilio, se lo son reso tale. 

E la vita è una croce che portano volentieri, ma nei cuori hanno perenne il desiderio, oh, più che desiderio, brama, fervente, appassionata brama della morte che apra loro il regno dei cieli. 

Kitty qui si torse le mani, e diede al compagno uno sguardo angosciato. 

Ebbene? Ebbene... 

Se il regno dei cieli non esistesse? Se non vi fosse la vita eterna? Pensate... 

Se la morte significasse davvero la fine di ogni cosa? A tutto esse avrebbero rinunciato per non aver nulla, nulla... 

Si sarebbero ingannate... 

Waddington restò un momento soprappensiero. 

Non so... 

Mi domando se possa avere importanza che quello cui mirano risulti infine un'illusione. 

La loro vita è bella in se stessa. 

Ho idea che solo la bellezza quale l'uomo riesce di quando in quando a crear fuori dal caos, renda possibile guardare questo mondo senza disgusto. 

Dico i quadri che l'uomo dipinge, e la musica che compone, i libri che scrive, la vita che conduce... E' la bellezza più piena è una vita bella; il capolavoro più perfetto. 

Kitty sospirò. 

Troppo poco le pareva quanto Waddington aveva detto. 

Avrebbe voluto di più. 

Non siete mai stata a sentire un concerto sinfonico? egli soggiunse. 

Sì rispose lei, sorridendo. 

Sono un'ignorante assoluta in fatto di musica, ma mi piace. 

Ogni componente dell'orchestra suona il suo piccolo strumento particolare e che cosa credete ch'egli sappia delle complicate armonie che si svolgono nell'aria indifferente? Egli è preoccupato solo della sua piccola parte. 

Ma capisce che la sinfonia è bella e che se anche non ci fosse nessuno a sentirla sarebbe bella lo stesso, per cui sta contento della propria parte. 

L'altro giorno parlaste di Tao fece Kitty, dopo una pausa. 

Che cosa è? Waddington le diede una breve occhiata, e un istante esitò, poi, con un leggero sorriso sulla sua faccia buffonesca, rispose: E' la Via col Viandante. 

La strada eterna lungo la quale procedono tutti gli esseri, ma che nessun essere ha mai fatta, perché essa stessa è l'essere. 

E' insieme ogni cosa e nulla. 

Tutte le cose nascono da essa e ad essa si conformano, ad essa infine ritornano. 

E' un quadrato che non ha angolo, un suono che l'orecchio non ode, un'immagine che l'occhio non vede. 

E' una rete che nulla, sebbene larghe siano le sue maglie come è largo il mare, nulla si lascia sfuggire. 

E' il santuario nel quale tutte le cose trovano rifugio. 

Non è in nessun luogo, ma voi potete vederla senza che vi muoviate a guardare fuori dalla finestra. 

Desidero senza desiderare, essa insegna, e lascia che le cose abbiano il loro corso. 

Colui che umilia se stesso sarà preservato intatto. 

Colui che si piega sarà rialzato. 

L'insuccesso è il fondamento del successo, e il successo è il ricettacolo dell'insuccesso. Ma chi può dire quando si arriverà alla svolta? Colui che brama la tenerezza può diventare come un tenero bambino. 

La bontà reca vittoria a colui che attacca e salvezza a colui che difende. 

Potente è colui che conquista se stesso. 

Ha un significato tutto questo? Alle volte, quando ho mandato giù sei bicchieri di whisky e guardo le stelle, penso di sì. 

Si fece silenzio tra di loro, e fu poi Kitty a romperlo di nuovo. 

Ditemi chiese. 

E' una citazione questa frase: non è morto che un cane? Le labbra di Waddington disegnarono un sorriso, la risposta salì alla sua lingua. 

Ma forse egli era in quel momento d'una sensibilità anormalmente acuta. 

Kitty non lo guardava, pur c'era qualcosa nella di lei espressione che lo portò a cambiar idea. Non so dirvelo rispose stancamente. 

Perché me lo domandate? Nulla. 

Mi è venuta in mente ora, come se l'avessi già letta o sentita. 

Seguì un altro silenzio. 

E fu Waddington stavolta a romperlo. 

Quando siete rimasta sola con vostro marito ho parlato col chirurgo del reggimento. 

Volevo sapere qualche particolare, capirete. 

Ebbene? Ecco, pareva che fosse in uno stato di acuto isterismo quel chirurgo. 

Non son riuscito a indurlo a spiegarsi del tutto. 

Tutto quello che ne ho cavato fuori è che vostro marito ha preso l'infezione nel corso di certi suoi esperimenti. 

Faceva sempre degli esperimenti, Walter. 

Non era un semplice medico, era batteriologo... 

Per questo ha avuto interesse a venir qui. 

Ma è questione che da quanto il chirurgo mi ha detto non ho capito bene se egli si sia infettato per caso o se abbia deliberatamente fatto una prova su se stesso. 

Kitty diventò pallida come una morta. 

La supposizione la scuoteva tutta. 

E Waddington le prese la mano. 

Perdonatemi se sono tornato a parlarvene disse dolcemente. 

Ma pensavo che potesse riuscirvi di conforto. 

So come sia difficile in queste circostanze dire qualcosa che giovi... 

E pensavo che potesse giovarvi sapere che Walter è morto martire della scienza e del dovere. 

Kitty si strinse nelle spalle con un accenno d'insofferenza. 

Walter è morto di crepacuore disse. 

Waddington non rispose. 

Ed essa si voltò, lo guardò lentamente. 

Bianca aveva la faccia e impassibile. 

Che cosa ha voluto dire con: non è morto che un cane? Che frase è? E' l'ultimo verso dell'"Elegia di Goldsmith". 

 

67. 

La mattina dopo Kitty si recò al convento. 

La ragazza che le aprì parve sorpresa di vederla, e dopo alcuni minuti che Kitty si era messa al lavoro, la Madre Superiora entrò a cercarla. 

Le si avvicinò e le prese la mano. 

Sono lieta di vedervi, figlia mia. 

Dimostrate parecchio coraggio ad essere tornata così presto, col vostro grande dolore. 

E saggezza anche dimostrate, poiché sono sicura che un po' di lavoro vi distrarrà la mente. 

Kitty abbassò gli occhi, e un po' arrossì. 

Non voleva che la Madre Superiora le leggesse nell'anima. 

Non occorre vi dica con quale sincerità condividiamo noi tutte il vostro dolore. 

Siete molto buona bisbigliò Kitty. 

Preghiamo costantemente per voi e per l'anima di colui che avete perduto. 

Kitty non rispose. 

La Madre Superiora le lasciò andare la mano e nel suo freddo tono autoritario le diede varie incombenze. 

Accarezzato poi il capo di qualcuna delle bambine, girò intorno il suo distaccato ma avvincente sorriso, e mosse via per le faccende che più le urgevano. 

 

 

68. 

Trascorse una settimana. 

Kitty cuciva quando la Madre Superiora entrò e le si sedette accanto. 

Diede, appena seduta, un'occhiata intenditrice al lavoro di Kitty. 

Cucite molto bene, figliola. 

E' una dote assai rara nelle giovani donne del vostro ceto, oggigiorno. 

La debbo a mia madre. 

Sono sicura che vostra madre sarà molto contenta di rivedervi. 

Kitty levò lo sguardo. 

C'era qualcosa nel modo di fare della Madre Superiora che rendeva quell'osservazione tutt'altro che casuale. 

Infatti la Madre continuò: Vi ho permesso di continuare a venire qui, dopo la morte del vostro caro marito, perché ho creduto che un po' d'occupazione vi avrebbe distratta la mente. 

Non mi pareva che foste in grado lì per lì di intraprendere tutta sola il lungo viaggio di ritorno a Tching-Yen, né volevo che ve ne restaste in casa vostra senz'altro da fare che pensare alla vostra perdita. 

Ma ora otto giorni sono passati ed è tempo che vi prepariate a partire. 

Ma io non voglio andar via, Madre. 

Voglio restar qui con voi. 

Non avete nessuna ragione per restare. 

Siete venuta per fare compagnia a vostro marito. 

Vostro marito è morto e siete in una condizione per la quale avrete presto bisogno di cure e di attenzioni che qui non potrete ottenere. 

Avete il dovere, figliola, di fare tutto il possibile per il benessere della creatura che Dio vi ha affidato. 

Kitty aspettò un momento a rispondere. 

Teneva gli occhi bassi. 

Avevo l'impressione, disse poi di riuscire in qualche modo utile qui. 

E' stato sempre un grande piacere per me il pensarlo. 

E speravo che mi avreste permesso di continuare il mio lavoro almeno sino a quando l'epidemia non fosse finita. 

Noi vi siamo tutte riconoscenti di quanto avete fatto per noi rispose la Madre, con un accenno di sorriso. 

Ma ora che l'epidemia è in declino non c'è più molto rischio a venire qui. 

Aspetto due delle nostre sorelle da Canton. 

Tra qualche giorno devono arrivare, e come saranno arrivate potrò rinunciare ai vostri servigi. 

Kitty si sentì mancare il cuore. 

Il tono della Madre Superiora non ammetteva replica. 

Abbastanza bene la conosceva per capire che non valeva la pena di insistere. 

Un accento aveva notato nella sua voce, mentre l'ascoltava parlare, che se non era proprio di irritazione era di una perentorietà che non poteva diventar irritazione. 

Mister Waddington ha avuto la bontà di richiedere il mio consiglio continuò la Madre. 

Vorrei che si fosse occupato dei fatti suoi osservò Kitty, interrompendola. 

Ma io mi sarei sentita obbligata di darglielo anche se non me lo avesse chiesto fece quella dolcemente. 

Il vostro posto ormai è vicino a vostra madre, non qui. 

Mister Waddington ha combinato col colonnello Yu perché vi dia una forte scorta, così sarete perfettamente sicura del viaggio. 

E ha già ingaggiato i portatori, e i "coolies". 

La vostra "amah" vi accompagnerà. 

Si disporrà inoltre per l'alloggio nelle città dove sosterete. 

Insomma si è pensato a tutto il possibile per evitarvi ogni disagio. 

Kitty strinse le labbra. 

Si diceva che avrebbero perlomeno potuto consultarla in una questione che riguardava soltanto lei. 

E dovette sostenere uno sforzo per non uscire in una risposta secca. 

E a quando la partenza? La Madre Superiora non si scompose. 

Più presto sarete tornata a Tching-Yen e imbarcata per l'Inghilterra, e meglio sarà, figliola mia. 

Abbiamo pensato che non troverete nulla in contrario a partire posdomani mattina, appena levato il sole. 

Così presto! Kitty ebbe voglia di piangere. 

Ma non aveva nulla da fare lì; era proprio vero! Sembra che abbiate una gran fretta di sbarazzarvi di me disse in tono dolente. 

Avvertì allora un allentarsi nell'atteggiamento della Madre Superiora. 

Vedeva questa che Kitty era disposta a cedere e inconsciamente perdeva la propria rigidezza. Col suo acuto senso d'umorismo Kitty pensò che anche i santi amano imporre la loro volontà, e strizzò gli occhi. 

Non credete ch'io non apprezzi la bontà del vostro cuore, figliola, e l'ammirevole carità che vi rende così ritrosa ad abbandonare i doveri che vi siete da voi stessa imposti.Kitty guardava dritto dinanzi a sé. 

Leggermente si strinse nelle spalle. 

Sapeva bene di non poter attribuirsi simili virtù eroiche. 

Essa voleva restare solo perché non aveva dove andare. 

Provava una curiosa sensazione; come se nessuno avesse al mondo cui importasse in qualche modo di lei. 

Non capisco perché non vi piaccia tornare in patria continuò la Madre Superiora. 

Ci sono tanti e tanti forestieri in questo paese che darebbero non so che cosa per trovarsi nei panni vostri. 

Ma voi no, vero Madre? Oh, per noi è diverso, figliola mia. 

Quando siamo venute qui sapevamo di lasciare le nostre case per sempre. 

Fuori dal risentimento emerse, nell'animo di Kitty, il desiderio forse maligno di scoprire le giunture nella corazza di fede che rendeva le monache così refrattarie alle lusinghe del cuore e della natura. 

Voleva vedere se nella Superiora non fosse rimasta qualcosa dell'umana debolezza. 

Avrei creduto che vi fosse duro alle volte non poter rivedere coloro che vi sono cari e i luoghi dove siete cresciuta. 

La Madre Superiora esitò un momento ma Kitty che l'osservava non poté notare nulla di mutato nella serenità della sua bella faccia austera. 

E' duro per mia madre che ormai è vecchia, e avrebbe tanto desiderio di rivedermi prima di morire. 

Io sono la sua figlia unica, e vorrei poterle dare questa gioia. 

Ma non mi è possibile e bisognerà aspettare fino a quando ci ritroveremo in paradiso. 

Ad ogni modo dev'esser difficile, nel pensare a coloro cui si è tanto cari, non chiedersi se è giusto tenersi così tagliati fuori da loro. 

Volete sapere se ho mai rimpianto il passo che ho fatto? Qui di colpo il viso della Madre Superiora era divenuto raggiante. 

Mai, mai essa continuò. 

Io ho lasciato una vita triviale e insignificante per una vita di sacrificio e di preghiera. 

Seguì un breve silenzio, poi la Madre Superiora, scendendo dall'altitudine della sua affermazione, sorrise. 

Stavo giusto per chiedervi di spedire quando sarete giunta a Marsiglia un pacchetto e della posta per me. 

Non mi fido troppo delle poste cinesi. 

Vado subito a prendere ogni cosa. 

Potete darmeli domani disse Kitty. 

Avrete troppo da fare domani per potere venir qui, mia cara. 

Vi converrà meglio dirci addio stasera stessa. 

Si alzò e con la spontanea sua dignità che l'abito voluminoso non bastava a dissimulare lasciò la stanza. 

Un momento dopo entrava Suora San Giuseppe. 

Veniva per salutare Kitty. 

Sperava che Kitty avrebbe fatto buon viaggio; sarebbe stata perfettamente sicura perché il colonnello Yu le dava una forte scorta; e alle suore che pur viaggiavano sempre sole non era mai capitato. 

Non soffriva il mal di mare, vero? "Mon Dieu", com'era stata male lei durante una tempesta che le aveva colte sull'Oceano Indiano! "Madame" sua madre avrebbe avuto chissà che piacere a rivedere la cara figlia! E lei doveva aver cura di sé; dopotutto bisognava pensasse all'altra piccola anima che le era stata affidata dal Signore. 

Essa avrebbe pregato costantemente per lei, oh sì!, per lei e per la creatura che doveva nascere, e per l'anima del povero caro dottore.Volubile, gentile e piena di affezionato slancio si dimostrava; pure Kitty sentiva in fondo al cuore di non essere che una larva senza corpo né sostanza per la Suora San Giuseppe dagli occhi fissi sull'eternità. 

E provò un impulso selvaggio di afferrare la tarchiata allegra monaca per le spalle, e di scuoterla ben bene, e gridare: "Non sapete che sono una creatura umana, infelice e sola? E che ho bisogno di conforto, di simpatia, di incoraggiamento? Non potete distorgliervi un minuto dal vostro Dio per rivolgere su di me la vostra compassione? Non vi domando la compassione cristiana che avete per tutti quelli che soffrono, ma della compassione umana, la semplice compassione umana per la mia sofferenza particolare!". 

Questo pensiero la fece involontariamente sorridere. 

Chissà come sarebbe rimasta stupita Suora San Giuseppe! E certo si sarebbe convinta di quanto per ora sospettava appena: che gli inglesi fossero tutti matti. 

Sono una buona marinaia, io, se Dio vuole rispose Kitty. 

Non ho mai sofferto il mal di mare. 

La Madre Superiore riapparve con un lindo pacchettino nelle mani. 

Sono dei fazzoletti che ho fatto per l'onomastico di mia madre disse. 

Le iniziali sono state ricamate dalle nostre ragazze. 

Suora San Giuseppe osservò che forse a Kitty sarebbe piaciuto vedere che bel lavoro fosse, e la Madre Superiora, con un indulgente sorriso di persona che si schermisce, disfece il pacchetto. I fazzoletti erano della più fine tela che immaginar si possa e avevano le iniziali ricamate in complicato arabesco intrecciato con foglie di fragola. 

Quando Kitty ebbe ammirata a dovere la maestria del lavoro i fazzoletti vennero ricomposti in pacchetto e questo consegnato a lei. 

Suora San Giuseppe, pronunciato un "eh bien, Madame, je vous quitte", e ripetuti i suoi cortesi saluti impersonali, se ne andò. 

Kitty capì ch'era il momento di congedarsi dalla Madre Superiora, e la ringraziò della bontà dimostratale. 

Insieme percorsero i nudi corridoi imbiancati alla calce. 

E' troppo pregarvi di voler raccomandare il pacchetto, quando lo spedirete? disse la Superiora. Oh, lo farò, non dubitate rispose Kitty. 

E diede un'occhiata all'indirizzo. 

Il nome del destinatario pareva dei più nobili, ma fu soprattutto quello del luogo ad attirare la sua attenzione. 

Ma è uno "chteau", l'ho visitato in un giro della Francia che ho fatto con alcuni amici! Può darsi disse la Madre Superiora. 

Ci sono due giorni della settimana che si permette ai forestieri di visitarlo. 

S'io fossi vissuta in un posto così bello credo che non avrei mai avuto il coraggio di lasciarlo. 

Certo è un bel posto, un monumento storico. 

Ma difetta d'intimità. 

Se qualcosa io rimpiangessi sarebbe piuttosto il piccolo "chteau" dove abitavamo quando ero bambina. 

Si trova nei Pirenei. 

Sono nata al rumore del mare, io, sapete. 

E non nego che alle volte mi piacerebbe sentire le onde frangersi sugli scogli. 

Kitty aveva ora il sospetto che la Madre Superiora, indovinato il suo pensiero e il motivo delle sue domande, stesse sotto sotto prendendosi beffa di lei. 

Ma erano intanto arrivate alla porticina del convento. 

Con grande sorpresa di Kitty, la Madre Superiora l'attirò nelle sue braccia e la baciò. 

La pressione di quelle labbra esangui, prima sull'una poi sull'altra guancia, fu per Kitty talmente inaspettata che arrossì tutta; fu lì lì per piangere. 

Addio, figliola, e che Iddio vi benedica. 

Un momento, la Superiora, la trattenne nelle braccia. 

Ricordatevi continuò che compiere il proprio dovere non è nulla, e che non si acquista più merito, a compierlo, di quanto se ne acquisti a lavarsi le mani. 

La sola cosa che conti è l'amore del dovere; fate che amore e dovere siano tutt'uno in voi, e allora sarete in stato di grazia e godrete di una felicità che sorpassa ogni intendimento. Quindi la porta del convento si chiuse dietro a Kitty per l'ultima volta. 

 

 

69. 

Waddington accompagnò Kitty sino alla sommità della collina, e come passarono dinanzi alla tomba di Walter entrambi si voltarono a guardarla. 

Giunti all'arco commemorativo egli si congedò, e levati gli occhi sull'arco per l'ultima volta essa si sentì di poter ormai rispondere alla enigmatica aria ironica di quello con pari ironia. 

E si adagiò nel palanchino. 

E i giorni passarono, l'uno dopo l'altro. 

La vista della campagna da una parte e dall'altra della strada le era di sfondo ai pensieri. Ogni cosa ch'essa vedeva, vedeva in duplicato, come dentro a uno stereoscopio, poiché alla cosa si aggiungeva il ricordo di quando l'aveva vista, alcune settimane prima, nel viaggio fatto in direzione contraria. 

I "coolies" procedevano, sotto i loro carichi, in sparso disordine, a gruppetti di due o di tre, poi a uno a uno, poi di nuovo a gruppetti. 

I soldati della scorta si trascinavano lungo i due lati della strada ad un passo inetto che bastava appena per coprire venti miglia il giorno. 

L'"amah" era portata da due uomini, e Kitty, non perché fosse più pesante, ma per deferenza, da quattro. 

Incontravano di quando in quando una fila di "coolies" che si affannavano sotto pesanti carichi; o un ufficiale cinese in portantina che guardava la donna bianca con occhi inquisitori; o sorpassavano dei contadini in sbiaditi panni celesti e in enormi cappelli che si recavano a qualche mercato; o una donna, ora vecchia ora giovane, che saltellava in margine alla strada sui suoi piedi imprigionati. 

E andavano su, giù, per collinette pulitamente piantate a riso con in cima civettuole fattorie annidate tra i bambù; attraversavano luridi villaggi e popolose città cinte di mura come le città incise sulle pagine di un messale. 

Il sole del primo autunno era gradevole, e se al far del giorno, quando la luce prestava ai campi l'aria incantata di una fiaba, faceva freddo, il calore che poi seguiva riusciva proprio piacevole. Kitty si sentiva invasa, sotto quel calore, da una beatitudine cui non si sforzava per nulla di resistere. 

Quelle vivide scene dai delicati colori, e la loro insospettata bellezza, la loro esoticità erano come arazzi contro i quali, misteriose, spettrali forme, i fantasmi della fantasia di Kitty si muovessero in rappresentazione drammatica. Tutto sembrava irreale, non vissuto. 

Mei-tan-fu con le sue mura merlate non era più che uno scenario di tela posto sul palcoscenico a raffigurare in qualche vecchio lavoro teatrale una città. 

Le monache, Waddington e la donna mancese erano personaggi in costume; e il resto, il popolo strisciante lungo i muri delle tortuose vie, il popolo che moriva, era tutta una anonima massa di comparse. 

Naturalmente ognuno e ogni cosa aveva un significato, ma quale? Era come se tutti eseguissero una danza rituale, un'antica danza complicata, delle cui elaborate mosse si sapesse che avevano un significato importante da conoscere, e non si potesse appurarlo perché non se ne aveva la chiave. 

Incredibile sembrava a Kitty (mentre sul sentiero passava una vecchia, in panni celesti che nel sole rilucevano come lapislazzuli, con la faccia come un'antica maschera d'avorio segnata di mille rughe, e che camminando sugli esili piedi si appoggiava ad un alto bastone nero), incredibile sembrava che essa e Walter avessero preso parte a quella fantastica danza irreale. 

Delle parti importanti avevano, anzi. 

Così importanti ch'essa avrebbe potuto rimetterci la vita. 

Walter ce l'aveva rimessa. 

Era uno scherzo? Sì, forse non era che un sogno dal quale si sarebbe all'improvviso svegliata con un sospiro di sollievo. 

Sembrava che il sogno si riferisse a un tempo remoto, e a un luogo assai lontano. 

Strano come spettrali, evanescenti ne riuscissero i personaggi sullo sfondo pieno di sole della vita reale. 

Ora tutto appariva a Kitty come una storia letta in un libro; era stupefacente come sembrava la interessasse poco. 

Non poteva, ad esempio, ricordarsi distintamente la faccia di Waddington che pur le era stata tanto familiare. 

E venne il giorno alla sera del quale sarebbero arrivati nella città sul Western River, dov'essa doveva prendere il battello. 

Di là a Tching-Yen non c'era che una notte di viaggio. 

 

 

70. 

Nei primi giorni si vergognava di non aver pianto quando Walter era morto. 

Era stata una cosa di una terribile insensibilità. 

Mentre aveva visto gli occhi del colonnello Yu bagnati di lagrime. 

Ma era rimasta stordita dalla morte del marito. 

Difficile le riusciva rendersi conto ch'egli non sarebbe tornato più al "bungalow", che non lo avrebbe più sentito alzarsi, fare il bagno la mattina. 

Prima era vivo e adesso era morto. 

Morto! Com'era possibile? Le suore la ammiravano per la rassegnazione cristiana, per il coraggio con cui mostrava di sopportare quella perdita. 

Ma Waddington era più acuto; e malgrado la circondasse di grave simpatia le lasciava capire di - come dire? essersi mangiata la foglia. 

Naturalmente, la morte di Walter era stata una scossa per lei. 

Non avrebbe mai voluto che morisse, lei. 

Ma dopo tutto non lo amava, non lo aveva mai amato e doveva portare il suo dolore con ritegno. Sarebbe stato brutto e volgare lasciare che qualcuno le guardasse nell'animo, ma, per quanto la riguardava, ne aveva passate troppe per potersi trarre in inganno. 

Le pareva di avere da quelle ultime settimane tratto almeno l'insegnamento che se alle volte è necessario mentire agli altri è sempre spregevole mentire a noi stessi. 

Le dispiaceva che Walter fosse morto in quella tragica maniera, ma in un senso puramente umano, né più né meno come le sarebbe dispiaciuto s'egli fosse stato una semplice conoscenza. Certo Walter aveva delle ammirevoli qualità; ma a lei non piaceva, l'era sempre riuscito noioso, piuttosto. 

Non poteva dire di sentire quella morte come una liberazione; anzi era sicura che se con una parola avesse potuto farlo resuscitare avrebbe pronunciato tale parola; e tuttavia non sapeva sottrarsi all'impressione di avere adesso il cammino in qualche modo più agevole dinanzi a sé. Mai sarebbero stati felici insieme, lui e lei, eppure non avrebbero potuto dividersi tanto facilmente. Si stupiva essa di questi sentimenti, nell'atto stesso che li provava; e supponeva che gli altri, se li avessero conosciuti, l'avrebbero giudicata crudele e senza cuore. 

Ma nulla ne avrebbe lasciato conoscere agli altri. 

E qui si domandava se tutte le sue compagne avessero in cuore dei vergognosi segreti e non passassero la loro vita a tenerli nascosti. 

Non si preoccupava che poco dell'avvenire e non faceva progetti. 

Sapeva solo che a Tching-Yen intendeva fermarsi il più breve tempo possibile. 

Considerava con orrore l'idea di arrivare in quella città. Le pareva che le sarebbe piaciuto vagabondare in eterno per l'amichevole sorridente Cina, sdraiata nel palanchino e, spettatrice indifferente della fantasmagoria ch'era la vita, passare ogni notte sotto un tetto diverso. 

Ma naturalmente bisognava guardare in faccia l'avvenire immediato; giunta a Tching-Yen sarebbe andata in albergo e subito avrebbe cercato di sbarazzarsi della casa e di vendere la mobilia; non ci sarebbe stato bisogno di vedere Townsend. 

Avrebbe dovuto farle il favore, l'amico, di starsene lontano. 

Pure le sarebbe piaciuto vederlo una volta... 

Sicuro, solo una volta per dirgli quale spregevole essere egli fosse agli occhi di lei. 

Ma che importava, che importava Charlie Townsend? Come una ricca melodia che si delinei in esultanti arpeggi tra gli accordi complicati di una sinfonia così batteva insistente un pensiero al suo cuore... 

Era un pensiero che dava ai campi di riso la loro esotica bellezza, un pensiero che schiudeva le sue pallide labbra al passaggio di un imberbe giovinetto che se ne andava dondoloni al mercato con l'esultanza nel portamento e l'audacia negli occhi; un pensiero che prestava l'aspetto di un magico tumulto di vita alle città che attraversava. 

Una prigione era la città della pestilenza, ed essa n'era scappata; e sentiva di non aver mai saputo, prima d'allora, come fosse delizioso l'azzurro del cielo, quanta gioia fosse nei bambù che in adorabile grazia stavano reclini attraverso il sentiero. 

Libertà! Questo era il pensiero che le cantava nel cuore, per cui l'avvenire ignoto, l'avvenire pur fosco che l'aspettava aveva ai suoi occhi l'iridescenza della nebbia sul fiume quando vi batteva sopra il sole, al mattino. 

Libertà! Non solo era liberata da un legame che la tediava e da una compagnia che la deprimeva, non solo dalla morte che l'aveva minacciata, ma anche dall'amore che l'aveva degradata e da ogni sorta di ceppi spirituali. 

Era libertà, la sua, di uno spirito senza corpo. 

E con tale libertà essa aveva acquistato una coraggiosa noncuranza di tutto quanto potesse accaderle. 

 

 

71. 

Come il battello attraccò a Tching-Yen Kitty, che era stata sul ponte per godersi lo spettacolo del gaio, vivace traffico del fiume, discese in cabina a guardare se la "amah" non avesse dimenticato nulla. 

Si diede un'occhiata allo specchio. 

Vestiva di nero: un abito che le monache avevano tinto per lei; ma non a lutto. 

E le venne il pensiero che di abiti a lutto doveva provvedersi appunto per prima cosa. I veli della vedovanza non avrebbero in effetti servito ad altro che a camuffare i suoi inattesi sentimenti. 

Fu bussato alla porta della cabina. 

L'"amah" aprì. 

Mistress Fane disse qualcuno. 

Kitty si voltò e vide una faccia che lì per lì non conobbe. 

Poi il cuore le diede un sussulto e il sangue le affluì al viso. 

Era Dorothy Townsend. 

Così lontana era Kitty dall'idea di incontrarsi con lei che non sapeva che cosa dire o che cosa fare. Ma Mistress Townsend entrò nella cabina e con impulsivo gesto attirò Kitty nelle sue braccia. 

Kitty si lasciò baciare. 

Era piuttosto sorpresa di tanta effusione da parte di una donna che aveva sempre creduta fredda e riservata. 

Siete molto buona mormorò. 

Andiamo di sopra, in coperta. 

Della vostra roba si occuperà l'"amah", e ci sono i miei "boys" per portare ogni cosa a terra. Mistress Townsend prese la mano di Kitty, e Kitty, lasciandosi condurre, notò che quella bonaria faccia avvizzita dagli anni aveva un'espressione di sincero interessamento. 

E' arrivato presto il battello e a momenti non giungevo in tempo disse Mistress Townsend. 

Non mi sarei mai perdonato di trovarvi già sbarcata e andata via. 

Ma non sarete venuta per me, spero esclamò Kitty. 

Naturalmente che sono venuta per voi. 

Oh, come avete saputo del mio arrivo? Me lo ha annunciato Mister Waddington, per telegramma. 

Kitty si voltò via. 

Aveva un nodo alla gola. 

Era buffo come un inaspettato atto di gentilezza la toccasse tanto. 

Ma non voleva piangere. 

Desiderava che Dorothy Townsend se ne andasse, la lasciasse sola. 

Ma Dorothy prese di nuovo la mano che Kitty teneva inerte lungo il fianco, e la strinse. 

Kitty si sentì più che mai imbarazzata dalla espansione di una donna per solito così chiusa. 

Vi prego di farmi un favore, un grande favore... 

Desideriamo che veniate a stare in casa nostra, Charlie e io, per tutto il tempo che vi fermerete a Tching-Yen. 

Kitty si liberò con uno strappo la mano. 

Oh, siete troppo buona! Ma non è possibile. 

Perché no? Dovete, invece. 

Non potete andare ad abitar sola nella vostra casa. 

Sarebbe terribile per voi. 

Vi ho preparata la camera. 

E ho messo anche il salotto completamente a vostra disposizione. 

Potrete mangiare con noi se non vi dà noia, oppure da sola, come vorrete. 

Vogliamo che veniate, ve ne preghiamo. 

Non avevo idea di andare a casa, io. 

Ora andavo giusto a fissarmi una camera al Tching-Yen Hotel. 

Non voglio in nessun modo arrecarvi disturbo. 

L'invito l'aveva colta di sorpresa. 

E n'era confusa, seccata. 

Se Charlie avesse avuto il più piccolo senso di convenienza non avrebbe mai permesso alla moglie di fare un simile invito. 

Essa non aveva nessuna voglia di essere in obbligo verso alcuno di quei due. 

Oh, io non potrei sopportare di sapervi all'albergo. 

E poi, in questo momento, il Tching-Yen Hotel vi riuscirebbe odioso, con tutta la gente che va e viene e col jazz che suona giorno e notte. 

Via, ditemi che verrete da noi, ve ne prego. 

Vi prometto che non vi daremo la minima seccatura, Charlie e io. 

Non so perché dovete essere così gentili con me fece Kitty. 

Era a corto di scuse, e d'altra parte non poteva decidersi a profferire un no chiaro e tondo. 

Ho paura soggiunse di non essere di buona compagnia tra persone estranee, in questo momento. Ci considerate degli estranei? Oh, io per me non voglio essere un'estranea, voglio che mi permettiate di esservi amica. 

Così dicendo Dorothy giunse le mani, e la sua voce, la sua fredda voce distinta e decisa tremò di lagrime rattenute. 

Ho desiderato tanto che veniste. 

Vedete, voglio farvi ammenda... 

Kitty non capiva. 

Non immaginava che genere di ammenda la moglie di Charlie le dovesse. 

Ho paura di non avervi apprezzata a fondo prima. 

Vi avevo giudicata troppo superficialmente. 

Sono una donna all'antica e perciò un pochino intollerante, sapete. 

Kitty la guardò di sfuggita. 

Quelle parole volevano dire che Dorothy l'aveva giudicata una donna volgare. 

E senza lasciarne trasparire la minima ombra in faccia, Kitty rise dentro al suo cuore. 

Ben poco le importava di come la gente l'avesse giudicata, ormai! E quando ho sentito ch'eravate andata con vostro marito a cacciarvi, senza un minuto di esitazione, nelle fauci della morte, sono rimasta trasecolata. 

Ho provato una mortificazione tale che non potete averne idea. 

Siete stata così ammirevole, così coraggiosa! Ci avete data la polvere a tutte quante! Lagrime le scorrevano adesso giù per il volto buono e amichevole. 

Non posso esprimervi quanto vi ammiri e quanto rispetto abbia per voi. 

So che non posso fare nulla per sollevarvi dalla terribile perdita che avete subita. 

Ma voglio sappiate come profondamente, sinceramente ne soffra per voi. 

E se mi accordate di riuscirvi utile in qualche modo, lo considererò un privilegio. 

Non mi portate rancore se vi ho giudicata male. 

Voi siete una eroina e io non sono che una povera donna sciocca. 

Kitty teneva gli occhi bassi. 

Era diventata pallidissima. 

Avrebbe voluto che Dorothy non si fosse lasciata andare in balia dell'emozione. 

Vero ch'era commossa ma non riusciva a non provar fastidio per l'ingenuità di quella donna che credeva a tante menzogne. 

Bene, se proprio ci tenete ad avermi con voi, sarò felice di accettare disse. E diede un sospiro. 

 

 

72. 

I Townsend abitavano sul Mount, in una casa spalancata a guardare il mare. 

Charlie per solito non tornava a colazione, ma quel giorno Dorothy (subito le due donne s'erano messe a chiamarsi per nome) disse a Kitty che se lei si sentiva di vederlo egli sarebbe stato lieto di darle il benvenuto. 

Kitty rifletté che, dovendo presto o tardi vederlo, poteva vederlo anche subito e con tetro gusto si figurò l'imbarazzo che gli avrebbe procurato. 

Capiva benissimo che l'idea dell'invito era venuta in mente alla donna e che egli, malgrado i propri sentimenti, aveva immediatamente approvato. 

Sapeva quanto grande fosse in lui il puntiglio di comportarsi bene e quella graziosa offerta di ospitalità cadeva proprio a meraviglia, non si poteva negarlo, per lui. 

Ma egli non poteva certo pensare all'ultimo colloquio avuto con lei senza risentirne mortificazione; a un uomo vano come lui quel ricordo doveva bruciar dentro come un'ulcera. 

Kitty sperava di avergli fatto altrettanto male quanto lui ne aveva fatto a lei. 

Egli doveva odiarla adesso. 

Ed era contenta di pensare che invece lei non lo odiava, che lo disprezzava soltanto. 

Le dava una sardonica soddisfazione l'idea che, malgrado i propri sentimenti, egli era costretto a stimarla. 

Quando, quel pomeriggio, essa aveva lasciato l'ufficio, egli doveva essersi augurato con tutto il cuore di non incontrare mai più lo sguardo dei suoi occhi. 

Ed ecco che ora, seduta vicino a Dorothy, aspettava l'arrivo di Charlie. 

Sentiva intanto di gustare il sobrio lusso del salotto.Stava in poltrona. 

Qua e là sui mobili si vedevano adorabili piccoli mazzi di fiori; appesi alle pareti piacevoli quadri ad olio. 

L'ambiente era fresco e ombroso, confortevole, domestico. 

Con un leggero brivido essa si ricordò dell'ignudo salotto vuoto del "bungalow" del missionario, a Mei-tan-fu: le sedie a sdraio di ruvida tela, e la tavola da cucina con l'incerata sopra, gli scaffali tutti unti con le loro file di libri a buon mercato, le rachitiche tendine rosse che sempre parevano così piene di polvere. 

Oh, che stanza sconfortante era stata quella, da abitare! Dorothy non aveva certo pensato mai a simili cose. 

Si sentì il rumore di un'automobile in salita poi Charlie entrò a grandi passi nella stanza. 

Sono in ritardo? Spero di non avervi fatto aspettare. 

Bisognava vedessi il governatore e non ho potuto assolutamente scappargli prima. 

Si avvicinò a Kitty, le prese entrambe le mani. 

 Non immaginate quanto sia felice di trovarvi qui. 

Dorothy vi avrà detto come desideriamo che vi fermiate fin quando vorrete, e che facciate conto di essere a casa vostra. 

Ma voglio ripetervelo personalmente. 

Se c'è qualcosa che posso fare per voi sarò lieto di accontentarvi. 

I suoi occhi avevano, mentre parlava, un'incantevole espressione di sincerità; e Kitty si chiese s'egli si accorgesse dell'ironia con la quale lei lo guardava. 

Mi scuserete se non so dire certe cose. 

Sono così stupido a dirle, e non mi piace sembrare stupido. 

Ma voglio che sappiate quanto mi dispiaccia per la morte di vostro marito. 

Era un gran bravo ragazzo, e qui si sentirà la sua mancanza assai più di quanto io sappia dire. Basta, Charlie intervenne la moglie. 

Sono sicura che Kitty capisce... 

Ecco i cocktails. 

Secondo la lussuosa costumanza degli stranieri in Cina due "boys" in uniforme entrarono recando cocktails e piccoli antipasti. 

Kitty rifiutò. 

Oh, dovete prenderne uno insistette Townsend con la sua festosa cordialità. 

Vi farà bene... 

Sono sicuro che non ne avete più preso da quando avete lasciato Tching-Yen. 

Se non sbaglio non deve esserci modo di procurarsi del ghiaccio a Mei-tan-fu. 

Non vi sbagliate rispose Kitty. 

E le passò dinanzi agli occhi la visione del mendicante che giaceva morto contro il muro di cinta del 

"bungalow", coi cenci azzurri che lasciavano qua e là vedere la nuda carne dalle membra emaciate. 

 

 

73. 

Passarono in sala da pranzo. 

Charlie, sedutosi a capotavola, prese le redini della conversazione. 

Dette quelle poche parole di condoglianza che aveva dette, trattava Kitty, senza nessuna considerazione della paurosa esperienza sofferta, come s'ella fosse semplicemente arrivata da Shangai per distrarsi dopo un'operazione di appendicite. 

Ecco: lei aveva bisogno di stare allegra, e lui si dava da fare per tenerla allegra. 

Il miglior modo di darle il senso d'essere a casa propria era di trattarla come una persona di famiglia. 

Ed egli aveva tatto, oh sì, aveva tatto. 

Cominciò a parlare delle gare di corsa autunnali, e di polo perbacco, egli avrebbe dovuto rinunciare al polo se non riusciva a diminuir di peso - poi riferì una chiacchierata fatta quella mattina col governatore. 

Accennò a una festa cui erano stati, lui e la moglie, sulla nave ammiraglia, alle condizioni degli affari in Canton, alle vicende di Lushan. 

In capo a pochi minuti Kitty si trovò sotto l'impressione di non essere stata via da Tching-Yen più di un "week-end". 

Era incredibile che poco più in là, a seicento miglia appena, vale a dire quanto da Londra ad Edimburgo, uomini donne bambini morissero come le mosche. 

E si mise a chiedere di questo e di quello, e di chi si fosse rotto l'osso del collo al polo, e di Mistress Tale s'era partita per l'Inghilterra e di Mister Talaltro se si era iscritto al torneo di tennis. 

Charlie giocava al suo solito sulle parole e lei sorrideva. 

Dorothy, con la sua lieve aria di superiorità (che più non era offensiva e anzi faceva da legame, Kitty essendo ormai entrata nell'alta sfera) diceva cose benevolmente ironiche su varie persone della colonia. 

Così Kitty cominciava a sentirsi più viva. 

Ecco, che ha già una cera migliore disse Charlie, rivolgendosi alla moglie. 

Era così pallida prima di colazione che sono rimasto impressionato. 

Ma ora ha preso un po' di colore, vedi. 

Ma mentre partecipava alla conversazione, se non con gaiezza (dato che Dorothy e Charlie stesso nel suo acuto senso del decoro l'avrebbero disapprovata) almeno con serenità, Kitty osservava il suo ospite. 

In tutte quelle settimane durante le quali la sua fantasia aveva risentitamente lavorato attorno a lui, essa se ne era formata una vivida immagine. 

I folti capelli ondulati egli aveva un po' troppo lunghi, pettinati con troppa cura, e, a nascondere che diventavano grigi, troppo impomatati; la faccia aveva troppo rossa, con le guance intersecate di minutissime vene violacee, la mascella troppo massiccia quando non teneva alta la testa a dissimularlo si vedeva che aveva il doppio mento; e le sue sopracciglia brizzolate avevano qualcosa di scimmiesco che vagamente la disgustava. 

Si muoveva con pesantezza, e per quanto stesse a regime e facesse molto esercizio, non riusciva a non ingrassare; aveva troppa carne addosso e le giunture già piuttosto rigide com'è nell'uomo attempato. 

Gli eleganti vestiti che portava gli stavano un po' stretti e non mancavano di apparire un po' troppo giovanili per lui. 

Ma quando, prima di colazione, egli era entrato nel salotto Kitty aveva ricevuto quasi un colpo (dal quale forse era derivato l'eccessivo pallore tanto notato) constatando che l'immaginazione le aveva giocato un brutto tiro: poiché lui non sembrava affatto quale lei se lo era raffigurato. 

Ora poteva a stento trattenersi dal ridere di se stessa. 

No, egli non aveva i capelli grigi, per nulla, ma solo qualche filo bianco alle tempie che gli stava molto bene; non aveva la faccia rossa ma abbronzata; e portava la testa naturalmente eretta, senza artifizio. 

Non era massiccio, non era vecchio; era anzi piuttosto snello, di una linea stupenda, e come si poteva biasimarlo se ne andava compiaciuto? Non aveva nulla da invidiare a un giovanotto: e sapeva portare i suoi vestiti, era inutile negarlo. 

In tutto e sotto ogni riguardo mostrava di essere una persona fine, pulita, perfetta. 

Che diamine l'aveva indotta a pensarlo come lo aveva pensato? Era proprio un bell'uomo, un bellissimo uomo. 

Per fortuna ora essa sapeva quanto fosse indegno. 

Che avesse nella voce qualcosa di avvincente Kitty lo aveva sempre riconosciuto, e quella voce ritrovava quale la ricordava; ma questo rendeva più esasperante la falsità di ogni parola ch'egli pronunciava. 

La ricchezza di tono, il calore da lui spiegati suonavano ora all'orecchio di lei insinceri e la portavano a chiedersi come avesse potuto esserne presa. 

Che begli occhi aveva però; costituivano il suo vero fascino! Sprigionavano una morbida luce azzurra e avevano un'espressione che, anche quando egli parlava d'inezie, riusciva deliziosa; era quasi impossibile non commuoversi a guardarli. 

Venne infine servito il caffè e Charlie accese il suo sigaro. 

Poi consultò l'orologio e si alzò da tavola. 

Bene, ora bisogna vi lasci alle vostre faccende, mie giovani amiche. 

E' tempo ch'io torni in ufficio. 

Un momento fece pausa, quindi, coi suoi incantevoli occhi cordiali posati su Kitty, soggiunse: Per un paio di giorni, sinché vi sarete riposata, non voglio seccarvi, ma poi avrò da discorrere di un piccolo affare con voi. 

Con me? Sì, c'è la questione della casa e del mobilio da sistemare, lo sapete benissimo. 

Oh, ma posso rivolgermi avvocato. 

Non occorre che vi disturbiate voi. 

Non pensate neanche per un minuto che vi lasci sprecare il vostro denaro in spese legali. 

Sbrigherò tutto io. 

Saprete che avete diritto a una pensione; ne parlerò a Sua Eccellenza e insieme vedremo di presentare la cosa in modo da ottenere il massimo possibile. 

Mettetevi nelle mie mani. 

Ma per ora non vi preoccupate di nulla. 

Prima dovete riposarvi e rimettervi in forze; noi non desideriamo altro, vero Dorothy? Naturalmente. Accennato a Kitty un piccolo inchino mosse via e passando vicino alla moglie le prese e baciò la mano. 

In genere gli inglesi assumono un'aria un po' idiota quando baciano la mano di una donna; ma lui lo faceva con aggraziata disinvoltura. 

 

 

74. 

Sino a che non si fu ben bene assestata presso i suoi ospiti Kitty non si accorse di essere stanca. Il colore, l'amenità cui non era abituata di quella nuova vita ruppero la tensione nella quale essa era vissuta. 

Aveva dimenticato come fosse piacevole fare il proprio comodo, ed essere circondati di mobili graziosi, essere oggetto di attenzioni e di premure. 

Con un sospiro di sollievo tornò a sprofondare nella facile esistenza lussuosa dell'estremo oriente. E non le fu sgradevole sentire che un'atmosfera di simpatia e di interesse le si muoveva, in modo fine e discreto, intorno. 

La morte di suo marito era così recente che non si potevano dare ricevimenti per lei, ma le ladies più di conto nella colonia, la moglie di Sua Eccellenza, la moglie dell'ammiraglio, la moglie del Presidente del Tribunale, vennero quietamente a prendere una tazza di tè con lei. 

La moglie di Sua Eccellenza le disse che Sua Eccellenza aveva una gran voglia di vederla e che se lei accettava di venire a colazione al palazzo del Governo (non sarà affatto un trattenimento, non vi saremo che noi e gli aiutanti di segreteria, mia cara) avrebbe fatto loro un piacere. 

Tutte codeste ladies trattavano Kitty come una porcellana tanto fragile quanto preziosa. Ed essa non poteva mancare di notare che la consideravano una specie di piccola eroina, ma grazie all'innato umorismo sapeva sostenere la parte con modestia e discrezione. 

Alle volte desiderava che Waddington fosse là a vedere; con la sua penetrante malizia egli avrebbe afferrato il ridicolo della situazione; di modo che quando poi fossero rimasti soli, lei e lui, avrebbero fatto chissà che buone risate! A proposito, Waddington aveva scritto a Dorothy una lettera nella quale magnificava il lavoro devoto di Kitty al convento, e il coraggio, e la forza d'animo di cui essa aveva dato prova. 

Era lui che manovrava quelle donne, sicuro! Il mattacchione! 

 

75. 

Kitty non sapeva se fosse per caso o per deliberato proposito che non le capitava mai di trovarsi un momento sola con Charlie. 

Egli era di un tatto squisito. 

Continuava a comportarsi come il giorno dell'arrivo di lei, con premurosa bontà, e sapeva rendersi amabile e piacevole. 

Nessuno avrebbe potuto sospettare ch'egli fosse stato per lei più di una semplice conoscenza. Ma un pomeriggio che Kitty se ne stava nella veranda a leggere distesa su un sofà egli, come si trovò a passare, si fermò. 

Che cosa state leggendo? le chiese. 

Un libro. 

Kitty gli diede un'occhiata ironica. 

Egli sorrise. 

Dorothy è andata a un "garden-party" in casa del governatore. 

Lo so. 

Perché non vi siete andato anche voi? Non ne ho avuto voglia e ho pensato meglio di venire a casa per tenervi un po' di compagnia. 

C'è l'automobile fuori. 

Perché non andiamo a fare un giro intorno all'isola? No, grazie. 

Egli si mise a sedere sul divano, ai piedi di lei. 

Non abbiamo ancora avuta l'occasione di parlarci da solo a sola... Kitty lo guardò dritto negli occhi con aria di fredda insolenza. 

Vi sembra che abbiamo qualche cosa da dirci? Un monte di cose. 

Kitty tirò a sé i piedi un poco per non stare in contatto con lui. 

Siete ancora in collera con me? chiese lui, e aveva gli occhi liquidi mentre l'ombra di un sorriso errava sulle sue labbra. 

Per nulla rispose lei, ridendo. 

Non credo che ridereste se non lo foste. 

Vi sbagliate. 

Vi disprezzo troppo per essere in collera con voi. 

Egli non batté ciglio. 

Siete piuttosto dura con me, mi sembra. 

Se solo consideraste le cose a mente fredda non potreste non capire che avevo ragione. 

Dal vostro punto di vista. 

Ora che conoscete Dorothy, ammetterete perlomeno che è una cara persona. 

Certo. 

Le sarò sempre grata della grande bontà che ha avuta nei miei riguardi. 

Di donne come lei se ne trova su mille... 

Non mi sarei dato più pace se avessi divorziato. 

Sarebbe stato giocarle un brutto scherzo. 

E inoltre avevo da pensare ai ragazzi. 

Sarebbe stato un terribile "handicap" per loro, in avvenire. 

Un minuto essa lo tenne sotto il suo sguardo riflessivo. 

Si sentiva completamente padrona della situazione. 

Vi ho osservato con attenzione durante la settimana che ho già passata qui. 

E sono giunta alla conclusione che siete molto attaccato a Dorothy. 

Non ve ne avrei creduto capace. 

Ve lo avevo detto che le voglio bene. 

Non farei nulla che potesse arrecarle il minimo dispiacere. 

E' la miglior donna che un uomo abbia mai avuto. 

E non vi è passato per la mente che avreste dovuto esser leale con lei? Dove l'occhio non vede il cuore non geme rispose lui sorridendo. 

Kitty scrollò le spalle. 

Siete spregevole. 

Sono un uomo. 

Non capisco che ragione avete di giudicarmi male per il semplice fatto che mi sono innamorato di voi. 

Non l'ho mica voluto io, sapete. 

Kitty provò come uno strappo di redini al cuore, nel sentirlo parlare così. 

Già, ero una bella posta rispose amaramente. 

Certo non potevo prevedere che ci saremmo trovati in un diavolo di pasticcio simile. 

In ogni caso sapevate perfettamente che se qualcuno avesse dovuto soffrirne non sareste stato voi. 

Questa è una deduzione un po' forzata. 

Ma ora che è finita dovete riconoscere che dopotutto ho agito per il meglio di entrambi. 

Voi avevate persa la testa e dovreste rallegrarvi che io abbia tenuto a posto la mia. 

Vi sembra che sarebbe stata una bella cosa fare quello che volevate fare? Eravamo a friggere in padella ma sarebbe stato peggio cascare dalla padella nella brace. 

E voi non avete sofferto alcun danno... 

Perché non ci diamo un bacio e ritorniamo amici? Essa fu quasi per ridere. 

Come potete supporre ch'io dimentichi di essere stata mandata da voi incontro alla morte senza un'ombra di rammarico? Oh, che sciocchezza dite mai! Ero sicuro che non correvate rischio, se solo prendevate tutte le precauzioni necessarie. 

Credete che vi avrei lasciata andar via se non ne fossi stato sicuro? Ne eravate sicuro perché volevate esserlo. 

Voi siete uno di quei codardi che pensano solo quello che conviene loro pensare. 

Bene, la prova che non mi sbagliavo è che... non mi sono sbagliato. 

Voi siete tornata e, se non vi dispiace sentirvelo dire, più graziosa che mai. 

E Walter? Egli non poté trattenersi dal dare la risposta faceta che gli venne in mente. 

Sorrise. 

Ah, il nero vi sta a meraviglia, mia cara! Kitty lo guardò fisso un momento. 

Poi gli occhi le si riempirono di lagrime e cominciò a piangere. 

La sua bella faccia apparve contratta dal dolore. 

Ed essa non cercava di nasconderlo, giaceva distesa sul dorso con le mani lungo i fianchi. 

Per amor di Dio non piangete così. 

Non ho voluto dir nulla di cattivo. 

E' stato soltanto uno scherzo, credetemi. 

Voi sapete come mi dispiaccia sinceramente di vedervi vedova. 

Oh, frenate la vostra stupida lingua! Vi giuro, darei qualunque cosa perché Walter ritornasse. 

Walter è morto per causa vostra e mia. 

Egli le prese la mano, ma essa la svincolò con uno strappo. 

Vi prego di lasciarmi in pace singhiozzò. 

E' l'unica cosa che possiate fare per me, adesso. 

Vi odio, vi disprezzo. 

Walter valeva dieci volte più di voi ed io sono stata così stupida da non accorgermene. Andate via. 

Andate via. 

Vide ch'egli stava per replicare e scattò in piedi, si ritirò nella sua camera. 

Egli la seguì e come fu entrato, con istintiva prudenza, accostò le persiane in modo da far quasi buio. 

Non posso lasciarvi così disse, cingendole la vita. 

Voi sapete benissimo che non volevo ferirvi. 

Non mi toccate. 

Andatevene, per amor di Dio. 

Andatevene. 

Essa cercò di sciogliersi dalle braccia di lui, ma non vi riuscì. 

Il suo pianto s'era fatto isterico, spasmodico, ora. 

Ma cara, non sai che ti ho sempre amata? diss'egli con la sua incantevole voce profonda. E ti amo più che mai, più di sempre! Come puoi mentire così! Lasciami andare. 

Maledetto, lasciami andare. 

Non essere sgarbata, Kitty. 

So che sono stato un bruto con te, ma devi perdonarmi. 

Tutta scossa dai singhiozzi essa lottava per liberarsi da lui, ma la stretta delle sue braccia le riusciva stranamente confortevole. 

Aveva tanto bramato di sentirsi ancora una volta quelle braccia attorno al corpo, e tremava, tremava a verga a verga per il loro contatto. 

Si sentiva terribilmente debole. 

Era come se le ossa le si sciogliessero, e il dolore che provava per Walter finì per tramutarsi in pietà di se stessa. 

Oh, come hai potuto essere così malvagio con me? singhiozzò. 

Non sapevi che ti amavo con tutto il cuore? Nessuno può averti amato come ti ho amato io. Cara! Egli cominciò a baciarla. 

No, no gridò lei. 

Lui le cercò la faccia, ma lei la voltò via; le cercava le labbra, lui; e lei non sapeva che le diceva rotte parole d'amore. 

Così stretta la tenevano le sue braccia ch'essa si sentiva come un bambino perduto che è stato ritrovato e condotto a casa. 

Gemeva debolmente. 

Teneva chiusi gli occhi, e la faccia aveva tutta bagnata di lagrime. 

E infine egli le trovò la bocca e la pressione delle labbra di lui l'attraversò per tutto il corpo come una fiamma. 

Era un'estasi, e ne fu incenerita, raggiando trasfigurata, di splendore. 

Nei suoi sogni, sì, nei suoi sogni essa aveva conosciuto quel rapimento. 

E lui, adesso, che cosa avrebbe fatto di lei? Non sapeva, lei non sapeva. 

Non era più una donna, la sua personalità si era dissolta, non era altro che desiderio. 

Lui l'alzò da terra, ed essa fu una leggera cosa portata dalle sue braccia, una leggera cosa che a lui si aggrappava, in adorante disperazione; e la testa, ecco, affondò nel guanciale, le labbra si unirono alle labbra. 

 

 

76. 

Kitty si mise a sedere sull'orlo del letto, e si nascondeva la faccia nelle mani. 

Vuoi un gocciò d'acqua? Scosse la testa. 

Ma lui andò al lavabo, riempì il bicchiere dei denti e glielo portò. 

Andiamo, bevi un sorso d'acqua e ti sentirai meglio. 

Le accostò il bicchiere alle labbra e lei bevve un sorso. 

Poi, con occhi atterriti, lo fissò. 

Egli le stava sopra, guardando in basso a lei, con aria che aveva qualcosa di soddisfatto. Ebbene, mi giudichi sempre per quella bestia che mi giudicavi? chiese. Essa portò lo sguardo altrove. 

Sì rispose. 

Ma so di non essere minimamente migliore di te. 

Oh, che vergogna! Ebbene, mi sembra che tu sia molto ingrata. Te ne andrai, ora? A dirti la verità, credo che sia ora. 

Vado subito a mettermi un po' in ordine prima che arrivi Dorothy. 

E uscì dalla stanza con lepido passo. 

Kitty rimase ancora un momento a sedere sull'orlo del letto, tutta raggomitolata come una scema. Si sentiva la mente vuota. 

Poi un brivido l'attraversò. 

Si alzò e barcollando andò sino al tavolo della toeletta, si lasciò cadere su una seggiola. 

Con gli occhi spalancati si guardò nello specchio. 

Aveva le palpebre rosse dal gran piangere, la faccia tutta chiazze con una pesta rossa sulla guancia contro la quale lui aveva pesato. 

Rimase inorridita del proprio aspetto. 

Ma era pur sempre la solita faccia. 

Mentre si era aspettata di trovarla alterata da un segno di degradazione. 

Porco! proruppe a culmine della propria riflessione. 

Porco! Non avrebbe potuto più guardarlo in faccia, ora. 

Egli si era, in tal modo, giustificato. 

Aveva fatto bene a non sposarla. 

Era una donna indegna, lei, peggiore di una prostituta. 

Peggiore, sì, peggiore, perché quelle povere diavole si davano per guadagnarsi il pane! E una cosa simile era accaduta sotto quel tetto che Dorothy le aveva offerto nella fiducia di ricoverare il suo dolore e la sua crudele desolazione! Le spalle le si scuotevano pei singhiozzi. 

Ogni cosa era finita, ormai. 

Essa si era creduta cambiata, si era creduta forte, aveva pensato di essere una donna padrona di sé con nel cuore nuove cose che le palpitassero come piccole farfalle d'oro nella luce del sole, e aveva sperato di diventare sempre migliore. 

Come uno spirito di luce la libertà le aveva sorriso di sopra al mondo che si apriva in immenso spazio piano per il quale avrebbe potuto camminare con piè leggero e a testa alta. 

Si era creduta libera dalla concupiscenza e dalle basse passioni, libera di vivere la pura, la limpida, la sana vita dello spirito. 

Si era paragonata alle bianche "aigrettes" che volavano con agevole volo attraverso le risaie nel crepuscolo, simili agli alati pensieri di un'anima ch'è in pace con se stessa. 

E invece era schiava, schiava. 

Era debole, terribilmente debole! E non le restava più speranza; vano tentare ancora; era decisamente una sgualdrina. 

Non voleva scendere in sala a pranzo. Chiamò il "boy" e lo incaricò di dire a Dorothy che le faceva male il capo e che desiderava restare in camera. 

Dorothy venne su e vedendo come aveva rossi e pesti gli occhi dal piangere le parlò un poco di cose d'ogni giorno nella sua gentile maniera commiseratrice. 

Dorothy credeva ch'ella avesse pianto per via di Walter naturalmente, e simpatizzando con una così buona e affezionata moglie, rispettava il suo dolore. 

So che è molto triste, mia cara disse andandosene. 

Ma dovete cercare di farvi coraggio. 

Sono sicura che vostro marito non vorrebbe vedervi stare in pena per lui. 

 

77. 

Ma la mattina dopo Kitty si alzò presto e lasciando scritto a Dorothy in un biglietto che usciva per affari prese un tram in discesa dalla collina. 

Camminò poi per vie affollate di automobili, "rickshaw" e palanchini, tra la mista folla di europei e di cinesi, sino alla sede della P. & O. Company. 

Il primo piroscafo che avesse da lasciare il porto sarebbe partito tra due giorni, ed essa aveva deciso di andar via a qualsiasi costo con quello. 

Quando l'impiegato le disse che le cabine erano già tutte prenotate, chiese di vedere il direttore dell'agenzia. 

Si fece annunciare per nome e il direttore, che già la conosceva, venne fuori ad introdurla lui stesso nel proprio ufficio. 

Egli era al corrente di tutto quello che le era accaduto e come lei gli ebbe espresso il suo desiderio mandò a cercare la lista dei passeggeri e si mise a scorrerla soprappensiero. 

Vi scongiuro di fare il possibile per accontentarmi disse Kitty. 

Credo che non ci sia nessuno nella Colonia che non vorrebbe fare il possibile per voi, Mistress Fane rispose l'uomo. 

Chiamò un impiegato e gli rivolse delle domande. 

Quindi accennò di sì col capo. 

Benissimo, sposterò un paio di persone. 

So che volete tornare a casa e penso che dobbiamo fare di tutto per accontentarvi. 

Vi posso dare una piccola cabina per voi sola. 

Suppongo che preferirete esser sola. 

Kitty lo ringraziò e andò via col cuore sollevato. 

Fuggire: non aveva altro pensiero. 

Fuggire! Spedì un cablogramma a suo padre annunciandogli il proprio ritorno in patria; già lo sapeva informato della morte di Walter. 

Poi rincasò, per dire a Dorothy quello che aveva fatto. 

Sarà un grande dispiacere per noi non avervi più in casa fece quella buona donna, ma capisco benissimo il vostro desiderio di ritrovarvi coi genitori, è naturale. 

Da quando era tornata a Tching-Yen Kitty non aveva ancora osato di andare nella sua vecchia casa. 

Aveva paura di varcarne la soglia, di affrontare i ricordi che l'abitavano. 

Ma ormai non poteva più esitare. 

Townsend aveva combinato per la vendita del mobilio e per l'affitto, ma c'erano tutti i vestiti di lei e di Walter da ritirare. 

Essi non avevano portato quasi nulla a Mei-tan-fu. 

E c'erano libri, fotografie, mille piccoli oggetti di natura personale. 

Kitty, indifferente a ogni cosa e ansiosa di rompere nel modo più completo possibile col passato avrebbe lasciato volentieri andare tutto all'asta, ma capiva che la suscettibilità della colonia ne sarebbe rimasta ferita. 

Bisognava dunque impaccare e spedire in Inghilterra. 

Si avviò dopo colazione. 

Dorothy avrebbe voluto aiutarla e si offrì di accompagnarla, ma Kitty la pregò di lasciarla andar sola, e non accettò che l'aiuto impersonale di due "boys". 

La casa era stata affidata in custodia al capo "boys", e fu lui che aprì la porta quando Kitty bussò. 

Era curioso entrare in casa propria così da estranea! Tutto era di un ordine e di una pulizia perfetti! Ogni cosa si trovava al suo posto pronta per l'uso, ma, per quanto la giornata fosse calda e luminosa, nelle stanze silenziose si respirava un'aria fredda di desolazione. 

Il mobilio appariva disposto esattamente, rigorosamente come lei lo aveva lasciato alla partenza per Mei-tan-fu, e persino i vasi da fiori, ma vuoti di fiori, non erano stati minimamente spostati, persino un libro che Kitty aveva posato aperto a faccia su quel divano. 

Era come se la casa fosse rimasta vuota un minuto prima, ma quel minuto aveva in sé l'eternità e 

sembrava impossibile che ormai potessero echeggiar voci, risuonar risa entro a quelle pareti. Sul pianoforte si vedeva aperta la musica di un ballabile come in attesa di qualcuno che lo suonasse, ma si aveva il senso che a toccare i tasti nessun suono ne sarebbe uscito. 

La camera di Walter appariva ordinata come quando era abitata da lui. 

Sul piano del cassettone c'erano due grandi fotografie di Kitty, una che la raffigurava nell'abito della sua presentazione in società, l'altra nell'abito da sposa. 

I "boys" portarono i bauli su dal ripostiglio ed essa si tenne in piedi dinanzi a loro guardandoli riporre la roba. 

Svelti essi procedevano e con abilità; erano proprio bravi. 

Quei due giorni che le restavano, pensava Kitty, dovevano bastarle a sistemare ogni cosa. 

Non doveva lasciarsi prendere dall'idea che non aveva tempo. 

D'improvviso si udì un passo, e voltandosi essa vide Charlie Townsend che si avvicinava. Un subitaneo freddo le invase il cuore. 

Che cosa volete? fece. 

Prego, venite un momento qui nel salotto. 

Ho da dirvi qualcosa. 

Ho molto da fare. 

Non vi tratterrò più di cinque minuti. 

Essa non replicò, ma, detto ai "boys" di continuare il loro lavoro, precedette Charlie verso la stanza vicina. 

A dimostrargli che non voleva perdere molto tempo non si sedette. 

Sentiva di essere molto pallida, il cuore le batteva forte, ma gli si rivolse fredda, guardandolo con occhi ostili. 

Che cosa volete? Mi ha detto Dorothy che avete deciso di partire dopo domani. 

Mi ha detto che eravate venuta qui a preparare i bauli e mi ha pregato di telefonarvi per vedere se non avete bisogno di qualcosa. 

Grazie mille, ma posso sbrigare le mie faccende da sola. 

Ah, lo immaginavo! Ad ogni modo non sono venuto per domandarvi questo, ma per domandarvi se la vostra decisione improvvisa sia dovuta a quanto è accaduto ieri. 

Voi e Dorothy siete stati molto buoni con me. 

E non voglio esser giudicata capace di approfittare del vostro buon cuore. 

Questo non è rispondere. 

Che ve ne importa di avere una risposta? Me ne importa moltissimo. 

Non mi piacerebbe pensare di essere stato io ad aver provocato la vostra partenza. 

Kitty si trovava dinanzi alla tavola. 

E come guardò in basso gli occhi le caddero sullo "Sketch". 

Era vecchio di mesi ormai. 

Era lo stesso che Walter aveva sfogliato per tutta quella terribile serata in cui... 

E Walter adesso... 

Rialzò gli occhi. 

Io mi sento completamente degradata. 

Voi non potete disprezzarmi quanto io mi disprezzo da me. 

Ma io non vi disprezzo affatto. 

Non una sola parola di quelle che vi ho dette ieri era falsa. 

A che vi serve scappar via in questo modo? Non capisco perché non possiamo diventare buoni amici. 

Voi pensate che vi ho trattata male. 

E io detesto l'idea che voi pensiate così. 

Perché non mi avete lasciata stare? Accidenti, non sono mica un bastone o una pietra. 

E' irragionevole il vostro modo di considerare la cosa; è semplicemente morboso. 

Speravo che sareste stata più buona con me, dopo ieri. 

Siamo degli esseri umani, dopotutto! Io non mi sento un essere umano. 

Mi sento come un animale. 

Un coniglio, un cane... 

Oh, non pensate che vi biasimi, sono stata bassa quanto voi. 

Vi ho ceduto perché l'ho voluto, perché avevo bisogno di voi. 

Ma non sono stata io, non sono stata la vera me stessa. 

Io non sono quella odiosa, bestiale donna... 

Io, quella donna, la rinnego. 

Non sono stata io a giacere su quel letto, spasimando di voi, mentre mio marito è ancora caldo nella sua tomba e vostra moglie è così buona, così indicibilmente buona con me. 

E' stato solo l'animale che ho in me, oscuro, terribile come uno spirito del male e io lo rinnego, lo odio, lo disprezzo. 

Quando ci penso mi si rivolta lo stomaco e mi viene da vomitare. 

Egli, accigliato com'era, diede qui in un lieve sogghigno da persona che sta a disagio. 

Credo di essere un uomo abbastanza spregiudicato, disse ma alle volte tirate fuori delle cose che proprio mi colpiscono. 

Me ne rincresce. 

Sarà meglio che ve ne andiate adesso. 

Siete un uomo così insignificante che bisogna io sia una sciocca per parlarvi con serietà. Nulla a questa battuta egli replicò e Kitty vide, dall'ombra dei suoi occhi azzurri, ch'era in collera con lei. 

Ah, che gran sospiro di sollievo egli avrebbe tirato, pieno di tatto e cortese come sempre, al momento in cui lei se ne fosse andata definitivamente via! Ed essa si divertiva a immaginare la compitezza, la cerimoniosità con la quale, stringendogli, mentre lui le augurava buon viaggio, la mano lo avrebbe ringraziato della sua ospitalità. 

D'un tratto lo vide cambiare espressione. 

Dorothy mi ha detto che state per avere un bambino egli fece. 

Kitty si sentì avvampare, ma non si permise il più piccolo gesto. 

Infatti rispose. 

Sono io, per caso, il padre? Ah, no! E' di Walter. 

Essa parlava con un'enfasi che non le riusciva di reprimere, pur sapendo, nell'atto stesso in cui parlava, che il suo tono non era affatto da persona convinta, né tale da convincere. 

Ne siete proprio sicura? Egli sorrideva, ora, con aria maliziosa. 

Dopotutto continuò siete stata con Walter due anni senza che mai sia accaduto nulla. 

E le date sembrano coincidere... 

E' molto più probabile che si tratti di un figlio mio. 

Io mi ucciderei piuttosto che avere un figlio vostro! Oh, che sciocchezza, andiamo! Per me io ne sarei immensamente felice e fiero. 

Mi piacerebbe che fosse una bambina, sapete. 

Con Dorothy non ho avuto che maschi... 

Del resto non resterete a lungo nel dubbio. 

I miei tre giovanotti sono tre viventi immagini di me. 

Charlie aveva riacquistato il suo buonumore, e Kitty sapeva per quale ragione. 

Se il bambino era di lui, essa, anche riuscendo a non vederlo più, non gli sarebbe mai sfuggita del tutto. 

Il suo potere su di lei l'avrebbe seguita dovunque lei fosse andata; egli le sarebbe stato, in modo oscuro ma deciso, presente ad ogni giorno, ad ogni ora della sua esistenza. 

Ah, siete proprio l'asino più vano e più fatuo nel quale abbia avuta la disgrazia di imbattermi! esclamò Kitty. 

 

 

78. 

Come il piroscafo entrò nel porto di Marsiglia, Kitty osservando l'incantevole linea frastagliata della costa rilucente di sole, scorse d'un tratto la statua dorata della Beata Vergine che stava in cima alla chiesa di Sainte Marie de la Grace, simbolo di salvezza per il marinaio in mare. 

Le venne allora in mente che le suore di Mei-tan-fu, nel lasciare la patria loro per sempre, si erano inginocchiate, a vedere quella statua svanire nella distanza fino a non esser più che una piccola fiamma d'oro contro il cielo azzurro, e avevano nella preghiera cercato di lenire l'angoscia della loro separazione. 

Così giunse le mani supplice anche lei verso un potere che non sapeva qual fosse. Durante il lungo, tranquillo viaggio aveva incessantemente pensato all'orribile cosa che l'era accaduta sotto il tetto di Dorothy. 

Non poteva capire se stessa. 

Tutto era stato così inatteso. 

Che diamine l'avesse presa e condotta, pur mentre disprezzava Charlie con tutto il cuore, a subire appassionatamente il folle amplesso di lui? Ora aveva l'animo colmo d'ira, ed era ossessionata dal disgusto di se stessa. 

Sentiva che mai avrebbe potuto dimenticare la sua umiliazione. 

Piangeva. 

Ma a mano a mano che la distanza da Tching-Yen cresceva si accorgeva che il suo risentimento andava perdendo vigore. 

Quanto era accaduto sembrava essere accaduto in un altro mondo. 

Come una persona essa era che, colpita da subitanea pazzia, e riavutasi si disperi e vergogni per le grottesche cose che vagamente ricorda di aver commesso quando non era padrona di sé, sente di avere, almeno nel suo intimo, un certo diritto al perdono. 

Kitty pensava che forse un cuore generoso l'avrebbe piuttosto compatita che condannata. Ma sospirava al pensiero di come miserevolmente la sua fiducia in se stessa fosse stata ridotta in frantumi. 

La via che le era parso stendersi diritta e facile dinanzi a lei risultava ora al suo sguardo tortuosa e piena di trabocchetti che aspettavano di inghiottirla. 

Gli spazi immensi e i tragici, meravigliosi, tramonti dell'Oceano Indiano le erano riposanti. Ed essa credeva di navigare verso un qualche luogo dove alfine le fosse possibile possedere la propria anima liberamente. 

Oh, se per riacquistare il rispetto di se stessa avesse dovuto sostenere un amaro conflitto, avrebbe ben trovato il coraggio di entrare in lotta! L'avvenire le appariva fatto di solitudine e difficoltà. 

A Porto Said aveva ricevuto una lettera di sua madre che rispondeva al suo cablogramma. Era una lunga lettera scritta nella larga fantasiosa calligrafia che si insegnava alle giovani ladies ai tempi in cui sua madre era giovane. 

Così spiccato era il carattere decorativo di quella calligrafia che non si poteva non riceverne subito una impressione di insincerità. 

Mistress Garstin esprimeva il proprio rammarico per la morte di Walter e si profondeva in frasi di solidarietà col dolore della figlia. 

Aveva paura che Kitty fosse rimasta priva di mezzi adeguati per vivere, ma naturalmente il Colonial Office non avrebbe mancato di assegnarle una pensione. 

Si rallegrava di apprendere che Kitty stesse per tornare in Inghilterra. 

Era logico, e ancor più logico era che andasse a vivere con loro, coi suoi genitori, fino a quando non fosse nato il bambino. 

Seguivano varie istruzioni cui Kitty doveva uniformarsi, e varii particolari sul parto di Doris, l'altra figliola. 

Il neonato pesava tanti chili e tanti grammi, e il suocero di Doris diceva di non aver mai visto un bambino più bello. 

Adesso Doris era di nuovo incinta, e si sperava che nascesse un altro maschietto in modo da rendere la successione al baronettaggio perfettamente sicura. 

Kitty vide che il nocciolo della lettera consisteva nella precisazione dei termini di durata dell'invito. Mistress Garstin non aveva nessuna intenzione di caricarsi sulle spalle una figlia rimasta vedova con scarsi mezzi. 

Era strano constatare come sua madre, che l'aveva idolatrata, ora, delusa, la giudicasse una noia bella e buona. 

Strane davvero erano le relazioni fra i genitori e i figli! Quando questi sono piccoli quelli si struggono per essi, si affannano per ogni indisposizione da nulla, e i piccoli si attaccano ai loro genitori con trasporto e adorazione; ed ecco passano gli anni, i piccoli diventano grandi e altre persone che non sono del sangue diventano per la loro felicità più importanti del padre e della madre. 

Indifferenza viene allora a sostituire tra genitori e figli l'istintivo amore cieco del passato. 

I loro incontri sono una fonte di noia e di irritazione per entrambe le parti. 

Un tempo non potevano quasi sopportare il pensiero di star separati un mese, e ora possono serenamente fare a meno di vedersi per anni e anni. 

Sua madre non aveva nessun bisogno di preoccuparsi; essa si sarebbe fatta una casa per conto suo appena avesse potuto. 

Ma le si doveva dare un po' di tempo; tutto era così vago, così confuso adesso; non era possibile formarsi un'idea dell'avvenire, e ogni difficoltà sarebbe rimasta allora risolta d'un colpo solo. 

Ma come a Marsiglia il piroscafo si fu ancorato le vennero consegnate due lettere. 

Fu sorpresa di riconoscere su una la scrittura di suo padre; non si ricordava che le avesse mai scritto. 

Senza effusioni di nessun genere egli cominciava "cara Kitty" e le diceva di scriverle lui invece della madre perché la madre non stava bene ed era stata ricoverata in una casa di cura per subire un'operazione. 

Non c'era naturalmente da spaventarsi e lei doveva, come se nulla fosse, continuare il suo viaggio per mare sino in patria; continuarlo per via di terra sarebbe stato più costoso, e poi, con la madre via di casa, le sarebbe stato disagevole trovarsi in Harrington Gardens. 

L'altra lettera era di Doris e cominciava "Kitty carissima" non perché Doris volesse a Kitty un bene particolare ma perché in quel modo essa si esprimeva con chiunque conoscesse. 

"Kitty carissima, "credo che babbo ti abbia scritto. 

La mamma ha bisogno di farsi un'operazione e si trova già in clinica. 

Sembra che quest'ultimo anno sia stata molto male, ma tu sai che odia i dottori e si è curata a furia di specialità. 

Non ho potuto sapere che cosa abbia; tiene il segreto sulla cosa e va in bestia se le muovi qualche domanda. 

Ad ogni modo fa paura a guardarla, e se io fossi in te sbarcherei a Marsiglia per arrivare qui al più presto possibile. 

Però non lasciar vedere, ti raccomando, che sono stata io a dirti di venire per terra; lei pretende di non aver nulla di grave e non vuole che tu arrivi fino a quando la casa sarà senza di lei. 

Si è fatta promettere dai dottori che tra una settimana potrà muoversi. 

"Baci affettuosi, "Doris." "Mi dispiace moltissimo per Walter. 

Devi aver passato un gran brutto momento, povera cara. 

Muoio dalla voglia di rivederti. 

E' piuttosto buffo che siamo incinte tutte e due a un tempo. 

Potremo darci la mano quando saremo a letto." 

 

Kitty, perduta in riflessioni, rimase un po' ferma sul ponte, senza sapere che cosa decidere. 

Non riusciva a figurarsi sua madre malata. 

Ricordava di averla sempre vista attiva ed energica, e insofferente dei malanni altrui. 

Un cameriere le si avvicinò con un telegramma. 

"Con profondo dolore ti informo che tua madre è morta stamani. 

Babbo." 

 

79. 

Kitty suonò il campanello di casa, in Harrington Gardens. 

Suo padre, le fu detto, era nello studio; ed essa andò alla porta, piano piano la spinse. 

Vide che suo padre sedeva vicino al fuoco, leggendo l'ultima edizione del giornale della sera. 

Sentendola entrare egli levò gli occhi, mise giù il giornale, scattò in piedi. 

Oh, Kitty, non ti aspettavo così presto! Ho voluto evitarti la seccatura di venirmi incontro e così non ti ho telegrafato l'ora del mio arrivo. 

Egli le porse la guancia da baciare nella maniera che essa ricordava ancora perfettamente. Stavo giusto dando un'occhiata al giornale disse. 

Era due giorni che non lo leggevo. 

Kitty vide ch'egli riteneva necessario giustificarsi in qualche modo di essersi lasciato trovare occupato a quella sua ordinaria occupazione. 

Naturalmente gli rispose. 

Devi essere così stanco, vero? Temo che la morte della mamma sia stata un gran colpo per te. 

Era molto più vecchio e magro dell'ultima volta in cui lo aveva visto. 

Un ometto rugoso e segaligno, dai modi precisi. 

Il chirurgo ha detto che fin dal principio non c'erano molte speranze. 

Vedi, da più di un anno non era più lei, solo che si ostinava a non lasciarsi visitare dai medici. Il chirurgo ha detto che deve aver sofferto continuamente, e che è già da considerarsi un miracolo che abbia resistito per tanto tempo. 

Ma non si lamentava? Diceva di non sentirsi molto bene. 

Ma non ha mai parlato di dolori. 

Un momento si fermò e guardò Kitty. 

Chiese: Sei molto stanca del tuo viaggio? Non molto. 

Vorresti andar su a vederla? E' qui? Sì, l'hanno portata dalla clinica. 

Vado a vederla subito. 

Vuoi che ti accompagni? C'era qualcosa nel tono di suo padre che la portò a guardarlo di scatto. 

Egli teneva la faccia leggermente distolta da lei, non voleva essere scrutato dentro gli occhi. 

Kitty aveva in quegli ultimi tempi acquistato una singolare abilità nel leggere il pensiero degli altri. Per giorni e giorni aveva applicato tutta la sua sensibilità a indovinare da una parola, da un gesto, i pensieri segreti di suo marito. 

Subito dunque capì quello che il padre cercava di nasconderle. 

Ecco, egli provava sollievo, un sollievo senza limiti, e aveva paura di se stesso per tale sollievo che provava. 

Per ben trent'anni era stato un bravo, fedele marito, mai aveva pronunciato una parola a biasimo della moglie, ed ora, ora bisognava si addolorasse della perdita di lei. 

Sempre aveva fatto quello che si poteva aspettare venisse fatto da uno come lui, quello che era normale... 

Sarebbe stato terribile lasciar scorgere adesso, per il battere di una palpebra, per un indizio qualunque, che non provava quanto un marito rimasto vedovo deve in simili circostanze provare. 

No, preferisco andar da sola disse Kitty. 

Salì le scale, entrò nella grande fredda camera pretenziosa che per tanti anni aveva accolto i sonni di sua madre. 

Ah, quei massicci mobili di mogano, quelle miniature che adornavano tutto in giro le pareti, come se li ricordava bene! Sul piano della toletta le cose erano disposte con quella rigida precisione che Mistress Garstin aveva predicato l'intera sua vita. 

I fiori apparivano fuori posto; Mistress Garstin avrebbe giudicato stupido, affettato e antiigienico aver fiori in camera. 

Del resto il loro profumo non arrivava a coprire l'odore acre e umido, molle come di biancheria lavata di fresco, che Kitty rammentava caratteristico della camera di sua madre. 

Mistress Garstin giaceva sul letto, le mani incrociate sul cuore con una mitezza che da viva non avrebbe avuto pazienza di durare. 

Con i suoi duri e decisi lineamenti, le guance scavate dal lungo patire, le tempie affossate sembrava piuttosto bella, e imponente persino. 

La morte aveva spazzato dal suo viso ogni segno di bassezza mettendo in risalto i segni della persona di carattere. 

Avrebbe potuto essere il viso di una imperatrice romana. 

Strano riusciva a Kitty che di tutti i morti che aveva visto, sua madre fosse la sola che sembrasse conservare nella morte un aspetto per il quale si pensava che quella ormai inerte argilla fosse stata una dimora dello spirito. 

Dolore Kitty non ne poteva provare; troppa amarezza c'era stata tra sua madre e lei perché qualcosa le fosse rimasto in cuore di profondo; e, riflettendo intorno alla ragazza ch'era stata, trovava che sua madre e soltanto sua madre l'aveva resa così. 

Ma nel contemplare quella dura donna ambiziosa e dominatrice che giaceva distesa in silenziosa immobilità, frustrata, ormai, in tutte le sue mire mondane dalla morte, si sentiva vagamente patetica. 

Tutta la sua vita quella donna aveva fatto progetti, intrecciato intrighi, e nulla aveva mai desiderato che non fosse basso, meschino, vile. 

Se fosse salita a una sfera superiore si sarebbe voltata indietro a considerare costernata il corso della sua esistenza terrena? Entrò Doris. 

Ho pensato che saresti arrivata con questo treno. 

Sentivo che dovevi pur vederla un momento. 

Non è terribile? Povera mamma cara! Rompendo in lagrime si gettò nelle braccia di Kitty. 

E Kitty la baciò. 

Sapeva quanto sua madre avesse negletta Doris per via di lei, e come sempre l'avesse trattata male perché era una creatura semplice e dimessa. 

Si domandò se Doris provasse veramente l'eccessivo dolore che mostrava di provare. 

Ma era stata sempre così pronta alla commozione, Doris! Kitty desiderò di poter piangere. 

Doris l'avrebbe giudicata terribilmente dura di cuore. 

Ma lei non poteva piangere. 

Ne aveva passate troppe per fingere un dolore che non sentiva. 

Andiamo a trovare il babbo, vuoi? chiese alla sorella quando il primo impeto di pianto fu passato. 

Doris si asciugò gli occhi. 

Kitty osservò che la gravidanza le aveva deformati i lineamenti, Dio, povera sorellina, come sembrava grossa e infagottata nel suo abito nero! No, non voglio, non farei che piangere di nuovo. Lui lo sopporta a meraviglia il suo dolore, caro vecchio papà! Kitty accompagnò la sorella alla porta, e lasciatala partire andò difilato dal padre. 

Egli se ne stava in piedi davanti al camino, e il giornale era accuratamente ripiegato. 

Voleva farle vedere che non aveva più letto niente. 

Non mi son cambiato per il pranzo disse. 

Non ho creduto che fosse necessario. 

 

80. 

Pranzarono. 

Mister Garstin diede a Kitty i particolari della malattia e morte di sua moglie, e parlò di come gli amici erano stati tutti buoni a mandar lettere di condoglianza che si alzavano in pile sul suo tavolo (sospirò al pensiero della fatica che gli sarebbe stata necessaria per rispondere), parlò delle disposizioni prese per il funerale. 

Padre e figlia si erano ritirati nello studio. 

Era l'unica stanza in cui si trovasse acceso il fuoco. 

E meccanicamente egli tirò giù dalla mensola del caminetto la sua pipa, si mise a riempirla. Ma gettata poi una dubbiosa occhiata alla figlia la posò. 

Non volevi fumare? fece lei. 

Tua madre non gradiva troppo l'odore della pipa dopo il pranzo, e dal tempo della guerra in poi non ho più fumato sigari. 

La risposta suonò piuttosto penosa a Kitty. 

Le sembrava terribile che un uomo di sessant'anni dovesse aver paura di fumare quello che voleva nel proprio studio. 

Io lo trovo buono, l'odore della pipa disse, con un sorriso. 

Una espressione di leggero sollievo passò sulla faccia del padre che riprese la pipa e l'accese. 

Sedevano l'uno di fronte all'altra, ai due lati del fuoco. 

Ed egli sentì che doveva parlare adesso delle sventure personali di lei. 

Avrai ricevuto, suppongo, la lettera che tua madre ti scrisse a Porto Said. 

La notizia della morte del povero Walter è stata un duro colpo per noi due. 

Mi era sempre parso un così bravo, caro ragazzo. 

Kitty rimase zitta. 

Non sapeva che dire. 

Tua madre mi aveva detto che aspetti un bambino. 

Sì. 

Quando devi averlo? Fra quattro mesi, circa. 

Sarà una grande consolazione per te. 

Devi andare a vedere il figlio di Doris. 

E' un amore di ometto. 

Parlavano con più distacco che due estranei conosciutisi allora, poiché se estranei davvero fossero stati egli si sarebbe almeno sentito interessato a lei come tale, mentre quello che avevano in comune, il passato, costituiva una specie di muro d'indifferenza tra loro. 

Kitty sapeva troppo bene di non aver mai fatto nulla per conquistarsi l'affetto del padre. Egli non aveva mai contato nella casa, era stato semplicemente tollerato come colui che guadagnava il pane per tutti, e in questo un po' disprezzato perché non guadagnava abbastanza da far vivere nel lusso la famiglia; ma Kitty aveva anche ammesso sempre senza discussione - ch'egli le volesse bene in quanto era suo padre, perciò adesso era sorpresa di trovare che vuoto aveva il cuore di ogni sentimento verso di lei. 

Sapeva che tutti lo avevano sempre considerato un fastidio, una seccatura, ma non le era mai capitato di pensare che anche lui potesse considerare gli altri un fastidio, una seccatura. Egli si mostrava, come al suo solito, gentile e sottomesso, ma grazie alla triste perspicacia che aveva acquistata nella sofferenza, essa gli leggeva nel cuore e vedeva che quel cuore, senza volerlo, senza confessarselo, si ritraeva, rifuggiva da lei. 

Come la pipa non tirava egli si alzò a cercar qualcosa per frugarla. 

Ma forse aveva solo bisogno di nascondere in qualche modo il suo nervosismo. 

Tua madre desiderava che tu rimanessi qui sinché ti fosse nato il bambino e stava appunto rimettendo in ordine la tua vecchia camera. 

Lo so. 

Ti prometto che non ti arrecherò nessun fastidio. 

Oh, non si tratta di questo. 

Date le circostanze era logico che tu venissi in casa di tuo padre. 

Ma il fatto è che ora mi hanno offerto il posto di Presidente del tribunale alle Bahamas, e io ho accettato. 

Oh, babbo, come ne sono contenta! Mi congratulo con tutto il cuore... 

L'offerta è arrivata troppo tardi e non ho potuto informarne la tua povera madre. 

Sarebbe stata una grande soddisfazione per lei. 

Amara ironia del destino! Dopo tutti i suoi sforzi, i suoi intrighi e le sue mortificazioni, Mistress Garstin era morta senza sapere che l'oggetto della sua ambizione, comunque modificato dalle delusioni patite, era stato infine raggiunto. 

Partirò ai primi del mese prossimo. 

Naturalmente la casa sarà affidata a un amministratore... 

E avevo l'intenzione di vendere il mobilio. 

Mi dispiace di non poter installare te nella casa, ma se vuoi del mobilio per arredarti un tuo appartamentino sarò felice di dartelo. 

Kitty guardava il fuoco. 

Il cuore le batteva forte. 

Era curioso che d'un tratto dovesse sentirsi così nervosa. 

Ma infine si sforzò di parlare. 

Fu con un piccolo tremito nella voce. 

Non potrei venire con te, babbo? Tu? Oh, mia cara Kitty! La faccia del vecchio si era oscurata. Spesso Kitty lo aveva sentito adoperare quell'espressione, ma aveva sempre pensato che fosse solo una frase, e per la prima volta nella sua vita vedeva ora quale curva di cammino descriveva, invece. 

Così spiccata era che ne rimase stupefatta. 

Ma tutti i tuoi amici sono qui, Doris è qui... 

Credevo che saresti stata più contenta a prenderti un appartamento qui e vivere qui. 

Non so con esattezza quali siano le tue condizioni finanziarie, ma sarà una gioia per me pagarti il fitto relativo. 

Ho denaro quanto occorre. 

Io vado in un paese straniero, di cui non conosco nulla. 

Sono abituata ai paesi stranieri. 

Londra è priva di ogni significato ormai per me. 

E mi opprime, mi toglie l'aria. Un momento egli chiuse gli occhi e Kitty pensò che fosse per piangere. 

Aveva sulla faccia un'espressione di estremo abbattimento che stringeva il cuore. Lei aveva proprio indovinato: la morte della moglie gli aveva riempito l'animo di sollievo e quest'occasione che ora gli si presentava di rompere col passato gli apriva per la prima volta gli orizzonti della libertà. 

Una vita nuova gli si apriva davanti con in fondo il miraggio di una pace felice. 

E osservandolo Kitty vedeva confusamente tutta la sofferenza che per trent'anni gli aveva desolato il cuore. 

Infine egli aprì gli occhi e non seppe trattenere un sospiro. 

Naturalmente disse se vuoi venire ne sarò molto contento. 

Faceva pena. 

Breve era stata la lotta e il senso del dovere aveva finito per vincere in lui. 

Egli rinunciava a ogni speranza, con quelle quattro parole. 

Ed essa si alzò dalla sua seggiola, gli si inginocchiò davanti, gli prese le mani. 

No, babbo, non vengo se tu non lo vuoi. 

Ti sei sacrificato abbastanza nella tua vita. 

Se hai bisogno di star solo, adesso, parti solo... 

Non devi preoccuparti di me nemmeno per un minuto. 

Egli sollevò una delle sue mani e le carezzò i bei capelli. 

Ma sì, figliola, ti voglio. 

Dopotutto sono tuo padre e tu sei vedova, senza nessuno. 

Tu vuoi stare con me, e io sarei un malvagio a non volerti. 

Ma è proprio per questo, perché sono tua figlia, babbo, che non pretendo nulla; tu non mi devi nulla... 

Oh, figliola mia! Nulla ripeté Kitty con veemenza. 

Quando penso come tutti ti abbiamo reso schiavo di noi senza mai darti nulla, mi si spezza il cuore. 

Neanche un po' di affetto abbiamo saputo darti. 

Non devi aver avuto una vita molto felice, temo. 

Vuoi lasciarmi tentare di rimediare a quello che nel passato non ho fatto? Egli aggrottò la fronte. L'emozione di Kitty lo impacciava. 

Non so che cosa tu intenda dire. 

Non ho mai avuto da lagnarmi di te. 

Oh, babbo, ne ho passate tante io, sono stata così infelice!... 

Non sono più la Kitty che ero quando sono andata via di casa. 

Sono terribilmente debole, ma non credo di essere più la schifosa egoista d'allora e vorrei che tu mi dessi l'occasione di dimostrartelo. 

Non ho altri che te al mondo. 

Lascia che mi provi a guadagnarmi il tuo amore. 

Oh, babbo, sono così sola, così derelitta, e ho bisogno del tuo amore! Affondò la faccia nel grembo di lui e pianse forte come se le si rompesse il cuore. 

Oh, Kitty, mia piccola Kitty! mormorò lui. 

Ed essa alzò gli occhi, gli circondò con le braccia il collo. 

Oh, babbo, sii buono con me! Bisogna che siamo buoni tutti e due l'uno con l'altra. 

Egli la baciò, sulle labbra come un amante, ed ebbe le guance inondate dalle lagrime di lei. 

Verrai con me, verrai con me, non dubitare. 

Vuoi che venga? Davvero vuoi che venga? Sì, cara. 

Oh, non sai come te ne sono grata. 

Oh, figliola, non mi parlare così. 

Mi fai sentire tutto stravolto. 

Egli tirò fuori il suo fazzoletto e si asciugò gli occhi. 

Sorrideva in un modo come lei mai lo aveva visto sorridere. 

E Kitty di nuovo gli gettò le braccia al collo. 

Vedrai, babbo, che staremo bene assieme. 

Non ti immagini come ci divertiremo! Ma tu dimentichi che aspetti un bambino. 

Sarò la madre più felice del mondo se la mia bambina nascerà al rumore del mare sotto un immenso cielo azzurro Con un magro sorriso patito egli sussurrò: Hai già la tua preferenza sul sesso? Voglio una bambina perché voglio educarla in modo che non abbia poi da commettere gli sbagli che ho commessi io. 

Tu non immagini come mi detesto quando penso quale ragazza sono stata. 

Ma non potevo essere diversa. 

Educherò mia figlia da persona libera che possa vivere senza dipendere da nessuno. 

Non voglio mettere al mondo una bambina e amarla e tirarla su solo perché un giorno un uomo vada a letto con lei provvedendola in ricompensa di vitto e alloggio. 

Sentì che suo padre s'irrigidiva. 

Egli non aveva parlato mai di cose simili ed era urtato di sentirle dalla bocca della figlia. 

Lasciami esser franca per una volta, babbo. 

Io sono stata una stupida, malvagia e odiosa donna. 

Sono stata terribilmente punita. 

E sono decisa a salvare mia figlia da tutto quello che ho sofferto io. 

Voglio che sia una persona impavida e sincera, leale. 

Voglio che sia una creatura indipendente dagli altri perché padrona di se stessa, capace di affrontare la vita come può affrontarla un uomo libero e di trarne miglior partito che non abbia saputo trarne io. 

Oh, mia cara, tu parli come se avessi cinquant'anni. 

Ma se l'hai ancora tutta davanti a te, la vita! Non devi avvilirti così! Kitty scosse il capo e, lentamente, sorrise. 

Non sono affatto avvilita. 

Ho speranza e ho coraggio. 

Il passato è finito; lasciamo che i morti seppelliscano i morti. 

Quello che mi aspetta è incerto, ma io entro nell'avvenire col cuore leggero e fiducioso. 

Ci sono tante cose che voglio conoscere; voglio leggere e imparare. 

Di fronte a me vedo il gran ballo glorioso del mondo con la gente e le musiche, e vedo tutta la bellezza di questo stesso mondo, col mare e le palme, il sorgere e il tramontar del sole, la notte stellata. 

E' confuso tutto questo dinanzi a me, ma distinguo vagamente un disegno, un profilo e indovino un'inesauribile ricchezza: il continuo mistero e la continua novità di ogni cosa, la compassione, la carità, la Via e il Viandante, e alla fine, forse, Dio. 

 

 

 

 

 

NOTE. 

 

 

N. 1. 

K.C. vale per King Counsel, cioè consigliere regio, che è il più alto grado gerarchico nell'ordine inglese degli avvocati. N. 2. 

La South Kensington è strada signorile di Londra. 

La Earl's Court è invece quartiere borghesuccio. (N.d.T.) 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTIZIE BIOBIBLIOGRAFICHE. 

 

 

William Somerset Maugham nacque il 25 gennaio 1874 a Parigi, dove suo padre, avvocato, era consigliere dell'Ambasciata britannica. 

Visse in Francia fino all'età di dieci anni; poi, perduti i genitori, venne affidato allo zio paterno, un pastore protestante di Whitstable, nel Kent. 

Proseguì gli studi presso il Reale Istituto di Canterbury e, dopo una breve permanenza all'università tedesca di Heidelberg, spronato dallo zio a scegliersi una professione sicura, dimenticò temporaneamente le nascenti ambizioni letterarie e decise di entrare al Saint Thomas's Hospital di Londra per frequentarvi i corsi di medicina. 

Il duro tirocinio cui fu sottoposto durante quegli anni gli permise di conoscere da vicino lo squallore dei bassifondi di Londra dove, come ebbe a dire egli stesso, ...ho sperimentato ogni emozione di cui l'uomo è capace. 

Ho visto come la gente muore. 

Ho visto che cosa è la speranza, la paura e il sollievo.... 

Da questa esperienza nacque, nel 1897, il suo primo romanzo, "Liza of Lambeth" ("Liza di Lambeth") di ispirazione dickensiana. 

Ma, nonostante il successo dell'opera, fu solo dopo la laurea che Maugham decise di dedicarsi interamente alla letteratura. 

Cominciò a viaggiare. 

Fu prima a Siviglia, poi più volte in Italia: a Roma, nel 1903, scrisse il suo primo lavoro teatrale, "A Man of Honour" ("Un uomo d'onore"). 

L'anno seguente si stabilì in un piccolo appartamento di Montparnasse, a Parigi, dove frequentò l'ambiente letterario e strinse molte amicizie: la cultura francese ha avuto infatti un'importanza determinante nella formazione della sua personalità artistica. 

Il periodo dal 1904 allo scoppio della prima guerra mondiale fu ricco di attività creativa: durante quegli anni Maugham pubblicò parecchi romanzi, un libro su un viaggio in Andalusia, "The Land of the Blessed Virgin" ("La terra della Vergine benedetta"), 1905, e una decina di lavori teatrali, tra i quali "Lady Frederick" (1907), la commedia che lo rivelò al pubblico. 

Da allora la fama di Maugham, drammaturgo oltre che romanziere, si estese rapidamente. Durante la prima guerra mondiale fu destinato a un reparto della Croce Rossa in Francia; in seguito entrò a far parte dell'Intelligence Service che gli affidò mansioni delicate e pericolose in Svizzera e in Russia. 

Fu un'esperienza che a distanza di molti anni egli avrebbe filtrato nel volume di racconti "Ashenden, or the British Agent" ("Vertigine"), 1928. 

Dopo il fallimento del matrimonio dal quale ebbe una figlia, Maugham continuò a viaggiare in America, nelle isole del Pacifico, in Birmania, in India, alternando brevi soggiorni in Inghilterra e in Francia, dove, dal 1930, si stabilì nella villa di sua proprietà, La Mauresque, a Cap Ferrat. Negli anni fra le due guerre lavorò febbrilmente, pubblicando oltre trenta volumi, tra romanzi, lavori teatrali, libri di viaggio, saggi, e un'autobiografia. 

Colpito da un attacco cardiaco, è morto a Cap Ferrat il 16 dicembre 1965. 

Il romanzo "Of Human Bondage" ("Schiavo d'amore") del 1915, è considerato dalla critica il suo capolavoro. 

E' la storia di un giovane inglese che, opponendosi alle pressioni della famiglia volte a indirizzarlo alla carriera ecclesiastica, fugge a Parigi dove, dopo un fallito tentativo artistico, si rassegna a fare il medico. 

Il protagonista è in parte lo stesso scrittore: muovendo da spunti autobiografici, egli rappresenta un contrasto insoluto tra religiosità e razionalità, e analizza profondamente la gelida costrizione di un ambiente puritano sulla natura intelligente e sensibile di un adolescente. 

In queste pagine in particolare Maugham ha rivelato il suo grande talento e ha fatto sua l'esperienza introspettiva della narrativa dell'epoca. 

Lo stile è nuovo: non più una prosa cesellata e una trama ricca scrive l'autore, al contrario una chiarezza e semplicità estreme. 

Dopo la pubblicazione di "Schiavo d'amore" e soprattutto nell'intervallo tra le guerre, ogni libro di Maugham fu un successo internazionale. 

La prima opera del periodo postbellico è "The Moon and Sixpence" ("La luna e sei soldi"), 1919, un romanzo intensamente realista, ispirato alla vita tormentata di Paul Gauguin, in cui Maugham dimostra la sua perizia di sagace psicologo e di attento osservatore della natura umana, penetrando nel labirinto allucinante della vita del protagonista, un pittore inglese morto tragicamente a Tahiti. 

Seguirono "Rain" ("La pioggia"), 1921, "The Painted Veil" ("Il velo dipinto"), 1925 e "Cakes and Ale, or the Skeleton in the Cupboard" ("Uomo e donna"), 1930: quest'ultimo suscitò scalpore provocando una serie interminabile di polemiche perché nei personaggi del racconto non era difficile individuare noti letterati, descritti in termini poco lusinghieri. 

Maugham infatti era abilissimo nel ritrarre, non senza una certa malizia, caratteri, situazioni, persone realmente esistenti. 

Del resto egli usava dire di non poter passare un'ora in compagnia di una persona senza ricavare il materiale per scrivere almeno un racconto leggibile. 

Un fenomeno simile si verificò nel 1937, all'apparire di "Theatre" ("Ritratto di un'attrice"), nella cui protagonista ogni importante attrice britannica credette allora di riconoscere se stessa. 

Il romanzo, che si inserisce nella produzione migliore dello scrittore, affronta, in un susseguirsi di scene ora vivaci ora patetiche ora maliziose, il problema arte e vita e la loro inscindibile mescolanza nell'attore, per il quale finzione e realtà si accavallano e si confondono costantemente al punto che la finzione cessa di essere tale e diventa realtà. 

Anche gli ultimi romanzi, dal "The Razor's Edge" ("Il filo del rasoio"), 1944, a "Catalina" ("Catalina"), 1948, alla amplissima raccolta di novelle "Oggi ieri sempre", 1955, sono stati accolti dal pubblico con favore. 

Nei lavori teatrali dello stesso periodo, rappresentati con molto successo a Londra, si accentuano gli interessi sociali e si manifesta una nota satirica. 

Sono da ricordare, tra gli altri, "Our Betters" [I nostri migliori], 1923, dove è delineato abilmente il conflitto psicologico fra America e Europa, e "The Breadwinner" ("Colui che guadagna il pane"), 1930, una commedia in un atto nella quale è narrata la storia di un padre di famiglia che, amareggiato dai suoi, si procura un crollo finanziario per potersi ritirare a vivere solo in campagna. Nel 1938 Maugham pubblicò la sua autobiografia, "The Summing up" [Il rendiconto] che costituisce, insieme al suo "A Writer's Notebook" ("Il taccuino dello scrittore") del 1949, un valido aiuto per la comprensione della personalità dell'uomo e dello scrittore. 

Un'abile coreografia esotica, una grande sagacità nel presentare i personaggi e un sicuro mestiere hanno fatto di Somerset Maugham uno scrittore avvincente che, pur non approfondendo sempre caratteri e vicende, riesce a ottenere risultati artistici sorprendenti. 

Come in genere i romanzieri anglosassoni, Maugham sente in modo acuto il problema moralereligioso e, nonostante l'apparente spregiudicatezza, lo risolve nei termini di un liberale tradizionalismo.