giovedì 27 gennaio 2022

IL POLLICE DEL PANDA Stephen Jay Gould


 IL POLLICE DEL PANDA

Riflessioni sulla storia naturale 

Stephen Jay Gould

Prefazione
Danielle Mazzonis
[...] Gould, marxista e storico della scienza, sostiene come è ben noto la presenza diretta di fattori sociali e politici dentro i processi scientifici, E proprio nel caso di Darwin la sua ricerca ha teso a dimstrare la presenza, dentro il grande modello dell'evoluzione e della selezione naturale, dei momenti tipicamente ideologici del gradualismo vittoriano e della identificazione della trasformazione col progresso (quest'ultimo errore Gould lo attribuisce più ai darwiniani che a Darwin, il quale avrebbe concepito la selezione del piú adatto come un fatto eminentemente e necessariamente « locale , valido solo per un ambiente determinato), Anche in Gould è facile rinvenire, e
lui stesso certo non la negherebbe, la connessione tra idee scientifiche e temperie culturale legata a un determinato ambiente politico. Come non vedere, intanto, il legame
tra questa critica dell'idea di progresso, antropocentrica ed eurocentrica, che Gould rincorre fin dentro al maestoso edificio della sintesi neodarwiniana, con le analoghe critiche al progresso come ideologia e apologia del prometeismo tecnologico, che proprio negli anni immediatamente precedenti la sua ricerca venivano sviluppate dalla generazione del Vietnam, la sua generazione, e da quella che si è chiamata la nuova sinistra. Gould ha lavorato, e lavorato sodo, su queste idee, e non da solo. Con Niles Eldredge, paleontologo del Museo di New York, ha elaborato fin dal 1972 la ormai famosa teoria dei cosiddetti equilibri puntuati (punctuated equilibria) che è stata considerata la prima proposta di alternativa teorica alla cosiddetta teoria sintetica elaborata dall'establishment accademico, fondendo prima la teoria darwiniana e il mendelismo, poi il darwinismo e la biologia molecolare.
Per Gould l'evoluzione non consiste piú in una lenta accumulazione di piccole mutazioni avvenute a livello individuale, di cui peraltro sono sempre mancati i riscontri nelle
evidenze paleontologiche, e quali mostrano una grande  stabilità della specie, interrotta da bruschi mutamenti non preceduti da alcuna forma di transizione. Il fenomeno della speciazione è, in tempi geologici, praticamente istantaneo e le sue forme intermedie  saranno difficilmente rinvenibili perché si sono verificate in popolazioni assolutamente isolate. La microevoluzione non spiega la macroevoluzione, la nascita delle nuove specie non avviene allo stesso livello gerarchico delle mutazioni individuali. Qui Gould torna a rimeditare le « leggi della forma » del platonizzante e antidarwiniano D'Arcy Thompson e le ricerche della scuola inglese di Waddington, fino alle proposte decisamente anti-riduzioniste della topologia di René Thom.
Il riduzionismo che porta a spiegare l'evoluzione della specie con quella degli individui, Gould lo contesta più in generale, anche a livello delle illusioni fisicaliste della biologia molecolare e della sua idea che l'individuazione della doppia elica avrebbe ormai spiegato ogni cosa dei meccanismi evolutivi. Gould si collega esplicitamente alle ricerche che si occupano dell'integrazione del genoma, delle regole di sviluppo e della produzione della fornma, dell'organizzazione gerarcbica all'interno del genoma. I biologi,
dice, cominciano ad accorgersi che il problema chiave non sono le molecole della doppia elica o il codice genetico che è solo un alfabeto, ma il modo in cui il codice è tradotto in una forma organica attraverso una complessa gerarchia totalizzante di espressione e di controllo.
Come si vede, il «democratico » e 
«marxista» Gould parla di gerarchia e di olismo, e cerca i suoi argomenti antiriduzionisti e tendenzialmente « dialettici » nel campo dell'eresia antidarwiniana e in quella dell'organicismo biologico, tradizionalmente considerato di destra. Ed è forse per questo che, americano com'è, i suoi interlocutori sono diventati sempre piu in questi ultimi anni continuatori di quella grande tradizione di cultura biologica sorta in Inghilterra negli anni 30 in cui marxismo, platonismo alla Whitehead e teoria gerarchica dei tipi logici alla Russell hanno giocato un ruolo diretto nel superare la secca contrapposizione tra vitalismo organicista e fisicalismo. Gould insieme al suo collega di Harvard Richard Lewontin, è anche il  critico più acuto di un altro dei concetti centrali del neodarwinismo, quello di adattamento inteso come unica chiave per intendere i processi 
della selezione naturale e dell'evoluzione. 
Non è vero, afferma Gould, che tutti i processi evolutivi siano adattivi  sia nel senso che i livelli di ottimizzazione dell'adattamento sono sempre imperfetti  e di carattere locale, e devono tenere conto delle leggi della forma; sia nel senso che si tratta sempre di processi storici per i quali la funzione originaria può modificarsi anche radicalmente, dando luogo a combinazioni di forme che non possono spiegarsi in termini direttamente funzionali.[...]

IL POLLICE DEL PANDA
Prologo 
Nella prima pagina del suo celebre libro, The cell in development and inheritance, E.B. Wilson riporta una
frase di Plinio, il famoso naturalista morto mentre attraversava in nave il golfo di Napoli per studiare l'eruzione del Vesuvio del 79 d.C., soffocato dagli stessi gas che uccisero i cittadini di Pompei. Plinio scriveva che « Natura nusquam magis est tota quam in minimis»: la natura non mai tanto grande come nelle sue piú piccole creature.
Wilson, naturalmente, utilizzava l'affermazione di Plinio per esaltare i microscopici mattoni con cui si costruisce la vita, le minuscole strutture che il famoso romano doveva per forza ignorare. Plinio, infatti, aveva in mente gli organismi.
Nell'affermazione di Plinio c'è l'essenza di quanto rende un la storia naturale affascinante ai miei occhi. Secondo un vecchio stereotipo (non cosí diffuso come sembrerebbe), la storia naturale si ridurrebbe alla descrizione delle caratteristiche peculiari degli animali: la misteriosa vita del castoro, ad esempio, o il modo in cui il ragno tesse la sua tela. Chi potrebbe negare il fascino di tutto questo? Tuttavia qualsiasi organismo è in grado di insegnarci molto di piú. Ogni organismo nella sua forma e nel suo comportamento può offrirci messaggi generali, se solo impariamo a interpretarli. può
Il linguaggio che ci permette una tale interpretazione è la teoria dell'evoluzione. Essa ci offre esaltazionie spiegazioni.
'Io ho avuto la fortuna di lavorare con la teoria dell'evoluzione, uno dei settori scientifici piú eccitanti ed importanti. Quando feci i primi passi su questa strada, ero piuttosto giovane, non ne avevo mai sentito parlare; ero semplicemente affascinato dai dinosauri. Pensavo che i paleontologi passassero la vita a scavare per trovare delle ossa che poi mettevano insieme, senza mai occuparsi d'altro che delle connessioni tra osso e osso. Poi scoprii la teoria dell'evoluzione.
D'allora in poi, quello che mi ha stimolato è stata la duplice natura della storia naturale: la molteplicità dei particolari la possibilità di un'unica spiegazione che li sottenda.
Personalmente, ritengo che il fascino che tanti provano per la teoria dell'evoluzione abbia le sue radici in tre delle caratteristiche principali di questa teoria. Innanzitutto, essa è, al suo attuale livello di sviluppo, abbastanza solida da garantire soddisfazioni e fiducia ma, nello stesso tempo, abbastanza poco sviluppata da offrire il tesoro di un mistero.
In secondo luogo, essa si colloca a metà strada tra le scienze.che si ocupano di generalizzazioni quantitative al di fuori del tempoe quelle che si interessano degli aspetti particolari che sono tipici della ricerca storica. In questo modo, essa ospita gli stili e le aspirazioni piú diversi, da quelli di chi persegue la purezza dell'astrazione (le leggi di crescita delle popolazioni e la struttura del DNA) a quelli di chi gode dell'irriducibilità del particolare (cosa poteva mai fare il tyrannosaurus delle sue piccolissime zampe anteriori?). Infine essa tocca direttamente le nostre vite; come potremmo, infatti, rimanere insensibili di fronte ai grandi problemi della genealogia come quello della nostra origine e del significato della nostra evoluzione? C'è poi la questione di tutti quegli organismi: piú di un milione di specie già descritte, dal
batterio alla balena azzurra e tra i due un'infinità di insetti, ciascuno con una propria bellezza ed una propria storia da raccontarci.
I saggi che seguono presentano i fenomeni in essi trattati per grandi linee, passando dalle origini della vita al cervello di George Cuvier fino ad arrivare ad un acaro che muore prima ancora di nascere. Tuttavia, spero di aver evitato il
piú grande difetto delle raccolte di saggi, una diffusa incoerenza, centrandoli tutti sulla teoria dell'evoluzione, con particolare enfasi sul pensiero di Darwin e sul suo impatto sulla teoria. Come ho dichiarato nell'introduzione della mia precedente raccolta di saggi: Ever since Darwin, io sono un artigiano piuttosto che un erudito e tutto quello che conosco della politica o dei pianeti non è che quanto può essere in rapporto con l'evoluzione biologica.
Ho cercato di saldare insieme questi saggi, organizzandoli in otto sezioni. La prima riguarda i panda, le testuggini e le rane pescatrici e spiega perché possiamo aver fiducia nella realtà dell'evoluzione. II tema di questa prima parte contiene un paradosso: la prova della evoluzione risiede nelle imperfezioni che ne rivelano la storia. A questa parte fa seguito una sorta di sandwich composto da tre parti sui temi principali dello studio della storia naturale da un punto di vista evolutivo (la teoria di Darwin e il significato dell'adattamento, i ritmi e i modi dei cambiamenti, la scala del tempo e quella della dimensione), inframmezzati da due intermezzi, ciascuno composto di due parti (terza e quarta, sesta e settima) sugli organismi e sulle peculiarità della loro storia. (Se qualcuno vuole proseguire con la metafora del sandwich e dividere ulteriormente queste sette parti in una parte esterna e in un ripieno, noi non ne saremo offesi.) II mio sandwich è anche fornito di stecchini che ne tengono assieme le parti: temi comuni a tutti i saggi che tentano di infilzare alcune certezze tradizionali, come ad esempio perché la scienza deve essere saldamente incastrata nella cultura, perché il darwinismo non si accorda con la speranza che esistano un'armonia e un progresso intrinsechi nella natura. Ogni puntura ha il suo effetto positivo. La coscienza dei pregiudizi culturali ci forza, infatti, a considerare la scienza come un'attività umana accessibile a tutti, come qualsiasi altra forma di creatività. Mentre l'abbandono della speranza di trovare il significato della nostra vita nella natura ci costringe a rivolgerci a noi stessi per trovare le risposte che cerchiamo.
Questi saggi sono versioni parzialmente modificate di una
serie di articoli da me scritti per la rivista Natural History e pubblicati mensilmente sotto il titolo comune di « This view of life ». A pochi saggi sono stati aggiunti dei poscritti: nuove prove sul probabile coinvolgimento di Teilha nella frode di Piltdown (saggio 10); una lettera di J. Harlen Bretz che ancora, all'età di 96 anni, è in grado di scatenare
controversie (19); una conferma, proveniente dall'altro emisfero, del magnetismo nei batteri (30). Ringrazio Ed Barber per avermi persuaso del fatto che questi saggi potevano essere meno effimeri di quanto pensassi. I redattori della rivista Natural History, Alan Ternes e Florence Edlestein mi hanno enormemente aiutato a rendere comprensibile il mio pensiero e hanno il merito della formulazione di alcuni buoni titoli. Quattro di questi saggi non avrebbero potuto essere scritti senza l'aiuto di alcuni colleghi: Carolyn Fluehr-Lobban mi ha presentato al dottor Down, mi ha procurato il suonoscuro articolo e ha discusso e scritto assieme a me il saggio 15. Ernst Mayr mi ha parlato per anni dell'importanza della tassonomia popolare e mi ha fornito tutti i riferimenti di cui avevo bisogno (saggio 20). Jim Kennedy mi ha introdotto
all'opera di Kirkpatrick (saggio 22), altrimenti non sarei mai
stato in grado di penetrare il velo di silenzio che la circonda.
Con una lettera di quattro cartelle, Richard Frankel ha spiegato lucidamente a questo perfetto ignorante le proprietà magnetiche del suo meraviglioso batterio (saggio 30). Sono sempre piacevolmente colpito dalla generosità dei miei colleghi e ritengo che per ogni caso di scortesia sempre diligentemente registrato esistano migliaia di storie positive rimaste sconosciute. Ringrazio Frank Sulloway per avermi raccontato
la vera storia dei fringuelli di Darwin (saggio 5), Diane Paul,
Martha Denckla, Tim White, Andy Knoll e Carl Wunschper le idee, le indicazioni e le pazienti spiegazioni.
Per mia fortuna, ho scritto questi saggi in un periodo eccitante della storia della teoria dell'evoluzione. Quando penso allo stato della paleontologia negli anni dieci, con lasua ricchezza di dati e la sua povertà di idee ritengo che lavorare oggi sia un privilegio.
La teoria dell'evoluzione sta esportando il suo impatto e le sue spiegazioni in tutti i campi. Basta pensare all'eccitazione che essa genera in campi tanto diversi come lo studio dei meccanismi di base del DNA, l'embriologia e lo studio
del comportamento. L'evoluzione molecolare è oggi una disciplina completamente sviluppata che promette di offrire nuove idee (la neutralità come alternativa alla selezione naturale) ma anche soluzioni ai piú classici misteri della storia naturale (saggio 24). Nello stesso tempo, la scoperta delle
sequenze inserite e dei salti genetici rivela una nuova complessità genetica che deve essere ricca di significati dal puntodi vista evoluzionistico. Il codice delle triplette, che è solo un linguaggio meccanico, fa supporre l'esistenza di un superiore livello di controllo. Quando saremo in grado di capire
com'è che gli organismi multicellulari riescono a regolare i
ritmi necessari all'organizzazione della loro complessa crescita embrionale, la biologia dello sviluppo potrà unificare la genetica molecolare e la storia naturale in un'unica scienza della vita. La teoria della selezione familiare ha permesso l'estensione delle idee di Darwin al campo del comportamento sociale anche se, a mio avviso, i piú zelanti sostenitori del darwinismo sociale hanno interpretato male la natura gerarchica della spiegazione, e entano di estenderla (oltre ogni ammissibile analogia) alla cultura umana cui essa è sempre stata estranea (saggi 7e 8).
Tuttavia, col diffondersi della teoria di Darwin, alcuni deisuoi postulati piú celebrati stanno perdendo terreno o, almeno, riducendo la loro generalità. La « sintesi moderna»,
la versione contemporanea del darwinismo che ha dominato
per trent'anni, considera il modello della sostituzione adatta
tiva del gene all'interno delle popolazioni come una spiegazione che, per estensione e accumulazione, può essere applicata all'intera storia della vita. Il modello pud funzionare
efficacemente a livello empirico nei casi di modificazioni
adattative localizzate e di minore importanza: la Biston betularia è effettivamente diventata nera a causa della sostituzione di un singolo gene avvenuta come risposta selettiva
che garantiva una minor visibilità dell'insetto sugli alberi
che l'inquinamento industriale aveva annerito. Ma è possibile
ipotizzare che una nuova specie emerga solo grazie a questo
processo esteso ad un maggior numero di geni e con un effetto piú esteso? Ë possibile concludere che le tendenze evo-
lutive piú importanti all'interno delle principali linee ereditarie siano dovute solo all'accumulazione di successive mutazioni adattative?
Molti evoluzionisti (tra i quali includo me stesso) comin-
ciano a mettere in discussione questa sintesi e ad affermare
che i differenti livelli delle modificazioni evolutive riflettono
spesso differenti tipi di cause. Gli aggiustamenti di minor entità all'interno delle popolazioni possono senza dubbio
essere sequenziali e adattativi. Ma la speciazione può essere
prodotta da modifiche a livello dei cromosomi che determinano l'impossibilità di accoppiamenti fecondi tra le specie per ragioni che non hanno alcun rapporto con le necessitàà
adattative. Le tendenze evolutive potrebbero rappresentare
una sorta di selezione a livello superiore che si esercita su
specie in se stesse essenzialmente statiche, piuttosto che la
azione di trasformazioni lente e regolari all'interno di un'uni-
ca, grande popolazione nel corso di tempi incalcolabili.
Prima della sintesi moderna, molti biologi (tra i quali Bateson nel 1922) manifestarono la loro confusione e la loro depressione di fronte al fatto che i meccanismi proposti per spiegare un'evoluzione a diversi livelli erano cosí contraddittori da impedire la creazione di una scienza unificata. Dopo la sintesi moderna, si diffuse la concezione (che tra i suoi piú
accesi sostenitori assunse le caratteristiche di un dogma) che
tutta l'evoluzione fosse riducibile al darwinismo di baseche sosteneva il concetto del cambiamento adattativo graduale all'interno di singole popolazioni. A mio avviso, oggi siamo in grado di percorrere una strada intermedia tra l'anarchia che caratterizzava il periodo di Bateson e la visione ristretta proposta dalla sintesi moderna. La spiegazione propo
sta dalla sintesi moderna funziona efficacemente per il ristretto campo dal quale si è sviluppata, ma gli stessi processi di mutazione e selezione proposti da Darwin potrebbero agire in maniera sorprendentemente diversa agli alti livellidi una gerarchia evolutiva. Ritengo che possiamo ancora sperare nell'uniformità delle causee, di conseguenza, in un'unica teoria che si sviluppi attorno ad un centro tipicamente darwiniano. Tuttavia dobbiamo fare i conti con la molteplicità dei meccanismi che ci impedisce di spiegare i fenomeni che appartengono a livelli superiori con il modello della sostituzione adattativa del gene sviluppatosi dall'analisi di fenomeni di livello inferiore.
Le radici di questo fermento affondano nella irriducibile complessità della natura. Gli organismi non sono palle da
biliardo che vengono spinte sul tavolo verso nuove posizioni
da forze esterne semplici e misurabili. I sistemi sufficientemente complessi presentano una ben maggiore ricchezza. Gli organismi hanno una storia che contiene il loro futuro in
modi sottili e molteplici (saggi 1-3). La complessità delle loro forme contiene una quantità di funzioni che si sono sviluppate incidentalmente rispetto alle pressioni della selezione naturale subíte dalla struttura primitiva (saggio 4).
Gli intricati e largamente sconosciuti modi del loro sviluppo
embrionale ci garantiscono che fattori semplici (ad esempio, una modesta trasformazione dei ritmi di crescita) possono aver dato luogo ai piú sorprendenti risultati (1'organismo adulto, si veda il saggio 18). Charles Darwin ha scelto di concludere la sua Origine delle specie con un paragone sorprendente che esprime tutta questa ricchezza. Egli opponeva, al semplice sistema dei movimenti planetari e allo statico susseguirsi dei cicli che nerisultava, la complessità della vita e i meravigliosi ma imprevedibili mutamenti che la caratterizzano: « Vi è qualcosa di grandioso in questa concezione della vita, con le sue diverse forze, originariamente impresse dal Creatore in poche forme, o in una forma sola; e nel fatto che, mentre il nostro pianeta ha continuato a ruotare secondo l'immutabile legge della gravità, da un cosí semplice inizio innumerevoli forme, bellissime e meravigliose, si sono evolute e continuano a evolversi».

1. Il pollice del panda

Sono pochi gli eroi che, ancora giovani, riducono le proprie aspirazioni; la gloria ci spinge avanti inesorabilmente, spesso verso la distruzione. Alessandro pianse quando si accorse che non rimanevano piú mondi da conquistare e Napoleone, spintosi troppo avanti, segnò il suo destino nelle profondità dell'inverno russo. Tuttavia, Charles Darwin non fece seguire alla sua Origine delle specie (1859) né una difesa della teoria della selezione naturale né una pur giustificabile estensione di quella teoria all'evoluzione umana (attese fino al 1871 per pubblicare L'origine dell'uomo).
Egli scrisse invece la sua opera meno conosciuta, un libro intitolato Sui vari espedienti attraverso i quali le orchidee vengono fecondate dagli insetti (1862).
Le numerose digressioni di Darwin nelle minuzie della storia naturale (scrisse una tassonomia dei cirripedi, un libro sulla produzione di terriccio vegetale da parte dei lombrichi e un trattato sulle piante rampicanti) gli avevano fatto guadagnare la reputazione, immeritata, di descrittore di piante e di animali curiosi, antiquato e un po' svanito, che aveva avuto la fortuna di avere una buona idea al momento giusto.
Questa favola è stata cancellata negli ultimi venti anni dal l'entusiasmo dei seguaci di Darwin (si veda il saggio 2).
Prima di allora, però, erano in molti a condividere il giudizio di un eminente studioso che sosteneva che Darwin era « un modesto fabbricante di idee.. un uomo che non fa parte dela schiera dei grandi pensatori ». In effetti, ogni libro di Darwin aveva un ruolo nella realizzazione del suo grande progetto: dimostrare come l'evoluzione fosse un fatto e che la selezione naturale ne era il principale meccanismo. Lo studio delle orchidee non era dunque fine a se stesso. Michael Ghiselin, un biologo californiano che si è preso la briga di leggere tutti i libri di Darwin (si.veda il suo saggio sul Triumph of the Darwinian method),
dimostra giustamente che il trattato sulle orchidee fu un importante episodio della campagna condotta da Darwin in favore della teoria dell'evoluzione.
Darwin apre il suo libro sulle orchidee con una importante premessa della teoria dell'evoluzione: l'autofecondazione
continua non è una strategia efficace per la sopravvivenza della specie poiché la prole erediterebbe solo i geni dell'unico genitore e la popolazione non avrebbe la variabilità necessaria a garantire plasticità evolutiva nei confronti dei cambiamenti ambientali. Di conseguenza, le piante dotate di fiori ermafroditi sviluppano in genere meccanismi che assicurano l'impollinazione incrociata. Le orchidee hanno stretto un'alleanza con gli insetti. Esse hanno sviluppato una sorprendente varietà di « espedienti » che attraggono gli insetti, fanno sí che il polline aderisca a corpo di questi visitatori e assicurano che il polline cosí raccolto venga in contatto con gli organi femminili della prossima orchidea visitata dall'insetto.
lI libro di Darwin è un compendio di questi espedienti, una sorta di equivalente botanico dei bestiari e, come nei bestiari medievali, è progettato per istruire il lettore. Il messaggio che contiene è paradossale ma profondo. Le orchidee costruiscono i loro complessi congegni con i componenti normali dei fiori comuni, con parti che vengono in genere utilizzate per scopi differenti. Se Dio avesse voluto costruire una splendida macchina che riflettesse la sua saggezza e il suo potere, non avrebbe certo usato dei pezzi modellati per altri scopi. Ma le orchidee non sono state costruite da un ingegnere ideale, esse sono il risultato dell'assemblamento di una serie limitata di componenti disponibili. Esse, dunque, devono essersi evolute dai fiori comuni. Di qui il paradosso e il tema che accomuna questā trilogia di saggi. I testi didattici amano illustrare l'evoluzione con esempi tratti da risultati ottimali: l'imitazione quasi perfetta di una foglia morta in una farfalla o di una specie velenosa
in una commestibile. Tuttavia un progetto ideale è una prova inefficace della teoria dell'evoluzione poiché potrebbe favorire l'ipotesi di un creatore onnipotente, Sono dunque gli
strani espedienti e le soluzioni buffe quelli piú adattï ad illustrare la teoria dell'evoluzione, poiché sono alternative che un Dio non avrebbe preso in considerazione ma che un processo naturale limitato dalla storia doveva scegliere per forza.
Nessuno ha compreso questo meglio di Darwin. Ernst Mayr ha mostrato come Darwin, nel difendere la teoria dell'evoluzione, avesse costantemente utilizzato esempi di parti organiche e di distribuzióni geografiche che non avevano molto senso. Questo mi porta direttamente al panda gigante e al suo « pollice ».
I panda giganti sono degli orsi particolari, membri dell'ordine dei carnivori. Gli orsi comuni sono i piú onnivori tra i rappresentanti del loro ordine, ma i panda hanno ristretto i loro gusti alimentari e li hanno orientati diversamente: essi hanno tradito il nome stesso del loro ordine e vivono esclusivamente di bambú. I panda abitano le dense
foreste di bambú che si trovano ad alta quota sulle montagne della Cina occidentale. Lí, non avendo nemici naturali, passano 10-12 ore della loro giornata seduti a masticare il loro prelibatissimo bambú. Io, che da bambino sono stato un fan di Andy Panda e ho anche posseduto un orsetto di panno vinto al tiro al bersaglio in qualche fiera, fui naturalmente felice di scoprirebche il disgelo americano nei confronti della Cina aveva superato la fase delle partite di ping pong e aveva prodotto la spedizione di due panda allo zoo di Washington. Mi recai ad acćoglierli con la reverenza dovuta. I due sbadigliarono, si stiracchiarono, si mossero lentamente per un po', ma soprattutto mangiarono bambú. Sedevano sulle zampe posteriori
e, manipolando le canne con quelle anteriori, toglievano le foglie e si nutrivano dei soli germogli. Io ero affascinato dalla loro destrezza e mi chiedevo come potesse una razza adatta alla corsa utilizzare le mani con tanta abilità. Essi tenevano le canne di bambú con le zampe
e le ripulivano delle foglie passandole tra quello che sembrava un pollice flessibile e le altre dita. Questo mi sconcertò. Avevo imparato che il pollice agile e opponibile era il segno del successo evolutivo conseguito dalla razza umana.
Noi umani avevamo mantenuto questa importante flessibilità dei nostri antenati primati, mentre la maggioranza dei mammiferi la aveva sacrificata per la specializzazione delle loro dita. I carnivori corrono, colpiscono e graffiano. II mio gatto può manipolarmi psicologicamente ma non sarà mai in grado di suonare il piano o di scrivere a macchina.
Allora contai le altre dita del panda e la mia sorpresa fu anche maggiore, perché le dita erano cinque e non quattro.
Dunque il « pollice» era un sesto dito evolutosi separatamente? Fortunatamente, il panda gigante ha la sua bibbia, una monografia di D. Dwight Davis, ex direttore del settore anatomia dei vertebrati per il Field Museum of Natural History di Chicago. Si tratta forse della piú voluminosa opera di moderna anatomia comparata e contiene piú di quanto chiunque vorrà mai sapere sul conto dei panda. Davis, naturalmente, aveva la risposta che cercavo. Il « pollice» del panda, dal punto di vista anatomico, non è per nulla un dito. Esso si è sviluppato da un osso chiamato sesamoide radiale che negli altri animali è una
piccola parte del polso. Nel panda il sesamoide si è molto ingrandito e allungato fino a raggiungere le dimensioni delle ossa del metacarpo delle dita vere. Cosí il sesamoide radiale si trova al di sotto di uno dei cuscinetti carnosi della zampa anteriore, mentre le cinque dita formano la struttura dell'altro cuscinetto, quello palmare. Tra i due cuscinetti c'è un
solco poco profondo nel quale vengono inserite le canne di bambú.
Il pollice del panda non è dotato solo di un osso portante, ma anche di muscoli che ne garantiscono l'agilità. Questi muscoli, come il sesamoide radiale, non si sono creati dal nulla. Come le componenti delle orchidee di Darwin, essi sono parti anatomiche piuttosto note ristrutturate per uno
scopo diverso. II muscolo adduttore del sesamoide radiale (quello che lo allontana dalle altre dita) ha il nome imponente di abductor pollicis longus (adduttore lungo del pollice). Il suo nome è una rivelazione. Negli altri carnivori, infatti, questo muscolo si attacca al primo dito, o vero pollice. Due muscoli piú corti connettono il sesamoide radiale al pollice.
Essi servono ad avvicinare il «pollice» sesamoide alle dita vere.
E possibile trovare un'indicazione sulle origini di questa strana soluzione nell'anatomia degli altri carnivori? Davis mette in evidenza come sia l'orso comune che il procione, i parenti pi stretti del panda gigante, sopravanzano di molto gli altri carnivori per. la loro abilità di usare le zampe anteriori per manipolare oggetti. Se mi si permette la metafora, grazie alla loro origine, i panda cominciano con una zampa alzata ad evolvere la loro superiore destrezza nel mangiare.
Inoltre gli orsi comuni possiedono già un sesamoide ingrandito.
Nella maggior parte dei carnivori, i muscoli che nei panda muovono il sesamoide radiale si attaccano alla base del vero pollice. Tuttavia, negli orsi comuni, il lungo muscolo adduttore termina con due tendini: uno di questi si collega alla base
del pollice come negli altri carnivori ma l'altro si attacca
al sesamoide radiale. Anche negli orsi i due muscoli piú corti si attaccano in parte al sesamoide. « E cosí, - conclude Davis, la muscolatura che permette a questo nuovo, sorprendente meccanismo di funzionare (si tratta di un nuovo
dito dal punto di vista funzionale) non ha richiesto alcuna trasformazione intrinseca delle strutture già presenti nei parenti piú prossimi dei panda: gli orsi comuni. Inoltre, sembra che l'intera serie degli eventi evolutivi sia partita da una semplice ipertrofia dell'osso sesamoide. »
Il pollice sesamoide del panda si è dunque sviluppato dalla crescita notevole di un osso da una estesa ristrutturazione della muscolatura. Tuttavia, Davis sostiene che l'intero apparato è emerso proprio come risposta meccanica alla crescita del sesamoide. I muscoli si sono spostati perché l'osso ingrandito li bloccava fuori dalle loro posizioni originarie. Inoltre, Davis ipotizza che l'aumento di volume del
sesamoide radiale sia stato determinato da una semplice trasformazione genetica, forse da un'unica mutazione dei tempi e dei ritmi di crescita.
Nel piede del panda, anche il corrispettivo del sesamoide radiale, chiamato sesamoide della tibia, si è ingrandito senza tuttavia raggiungere le dimensioni del sesamoide radiale. Tuttavia, l'aumento di volume del sesamoide della tibia non ha dato luogo ad alcun nuovo dito, e, per quanto ne sappiamo, non ha apportato alcun vantaggio. Davis sostiene che l'ingrandimento parallelo delle due ossa in risposta alla pressione esercitata dalla selezione naturale su uno solo dei due, riflette probabilmente l'opera di un cambiamento genetico di tipo
semplice, Le parti del corpo che si ripetono non vengono controllate da singoli geni; non c'è un gene specifico del pollice e un altro dell'alluce e neppure un terzo per il mignolo. Lo sviluppo delle parti anatomiche che si ripetono avviene in maniera coordinata, la selezione che determina trasformazione di un singolo elemento determina una trasformazione corrispondente negli altri. Dal punto di vista genetico, può essere piú difficile l'ingrandimento del pollice senza modifica dell'alluce che un aumento parallelo delle dimensioni di entrambi. (Nel primo caso si deve rompere una coordinazione generale, favorire lo sviluppo del solo pollice e impedire quello delle strutture simili. Nel secondo caso
un singolo gene può determinare un aumento del ritmo di crescita in una zona regolando lo sviluppo di dita corrispondenti.)
Il pollice del panda rappresenta un elegante corrispettivo zoologico delle orchidee di Darwin. Una soluzione migliore è impossibile. Il vero pollice del panda.ha un ruolo determinato ed è troppo specializzato in una funzione diversa per potersi trasformare in un dito opponibile adatto alla manipolazione. Cosí il panda deve utilizzare quanto ha a disposizione ed accontentarsi di un osso del polso ingrandito, e di una soluzione forse un po' rozza ma abbastanza efficace. Il pollice sesamoide non vincerebbe alcun premio in un concorso di ingegneria. Si tratta, per
usare una frase di Michael Ghiselin, di un'invenzione bizzarra piuttosto che di un progetto perfetto. Tuttavia è una soluzione efficace ed eccita la nostra immaginazione proprio perché poggia su fondamenta tanto improbabili.
Il libro di Darwin sulle orchidee è ricchissimo di esempi simili. L'Epipactus delle paludi, ad esempio, usa il suo labello, un petalo ingrandito, come trappola. Il labello è diviso in due parti. Quella piú vicina alla base del fiore forma una grossa coppa piena di nettare che è l'obiettivo della visita dell'insetto. Quella piú esterna costituisce una sorta di piattaforma d'atterraggio. L'insetto che vi si poggia la fa abbassare col suo peso e si apre, in questo modo, una strada verso la coppa di nettare. Quando l'insetto entra nella coppa, l'estremità del labello, che è molto elastica, si risolleva istantaneamente intrappolandolo all'interno della coppa di nettare. L'insetto è quindi costretto ad arretrare attraverso l'unica uscita disponibile, venendo a contatto con le masse di polline. Una macchina notevole che tuttavia si è sviluppata da un comune petalo: una parte di cui gli antenati delle.orchidee potevano facilmente disporre.
Darwin dimostra poi come lo stesso labello si è evoluto in altre orchidee in una serie di ingegnosi strumenti che garantiscono la fecondazione incrociata. Può aver sviluppato complesse ripiegature che costringono l'insetto a spingere la proboscide attorno e attraverso le masse di polline per raggiungere il nettare. Può contenere profondi canali o borche spingono l'insetto verso il nettare e il polline. I cana a volte formano un tunnel, producendo un fiore di forma tubolare. Tutte queste soluzioni si sono sviluppate da una parte che originariamente era un comune petalo. Tuttavia la natura è in grado di fare tanto con il poco che ha a disposizione che, secondo le parole di Darwin, mostra « una ricchezza di risorse per ottenere il medesimo obiettivo, cioè, la
fecondazione di un fiore con il polline proveniente da un'altra.pianta ».
La metafora di Darwin riflette la sua meraviglia di fronte e al fatto che la natura sia in grado di costruire un sistema cosí diversificato e funzionante, a partire da materiale grezzo tanto limitato: « Anche se un organo può non essersi tormato in principio per uno scopo particolare, se oggi viene utilizzato efficacemente per quello scopo, possiamo giustamente dire che è particolarmente adatto ad esso. Per lo stesso principio, se un uomo avesse dovuto costruire una macchina per uno.scopo particolare, ma avesse dovuto utilizzare, modificandole di poco, ruote, molle e pulegge vecchie, si potrebbe dire che l'intera macchina, con tutte le sue parti, è stata costruita per quello scopo specifico. Cosí in tutta la natura quasi parte di ciascun essere vivente è probabilmente servita, con poche modifiche, ad altri scopi e ha funzionato come parte della macchina vivente di molte e diverse forme antiche».
La metafora delle vecchie ruote e pulegge riutilizzate può non lusingarci, ma pensiamo come lavoriamo bene. Nelle parole del biologo François Jacob, la natura non è un divino artefice ma un eccellente bricoleur. Chi potrebbe giudicare questa incredibile capacità?


2. Tracce della storia che non hanno senso

Le parole offrono utili indicazioni sulla loro storia quando la loro etimologia non ha nulla a che vedere con il significato attuale. Cosí sospettiamo che una volta la parola inglese emolument indicasse le tasse pagate dal mugnaio (millerdal latino molere cioè macinare) e che i disastri fossero dovuti agli astri malevoli.
Gli evoluzionisti hanno sempre considerato le trasformazioni linguistiche come fertile terreno di analogie significative. Charles Darwin, nel portare argomenti a sostegno di interpretazioni evoluzioniste per strutture rudimentali come l'appendice umana e i denti degli embrioni delle balene, ha scritto: « Gli organi rudimentali possono essere paragonati a quelle lettere di una parola che pur mantenute nello scritto non hanno ragione di essere nella pronuncia e servono come chiavi per dedurre l'etimologia della parola ». Sia gli organismi che il linguaggio sono soggetti.ad evoluzione.
Questo saggio si maschera da lista di fatti curiosi, ma è, in realtà, un discorso astratto sul metodo o, piuttosto, subdi un metodo che, pur essendo molto usato, è poco apprezzato dagli scienziati. Nella loro immagine stereotipa, gli scienziati si basano sull'esperimento e sulla logica. Questa immagine ci presenta un uomo di mezza età in camice bianco (gli stereotipi song in genere maschilisti) di carattere timido e introverso ma incalzato da un desiderio interiore di verità, o al contrario un individuo eccentrico ed esuberante, nell'atto di mescolare due sostanze chimiche e osservare come la risposta alle sue domande emerga dal fondo della provetta. Ipotesi, previsioni, esperimenti e risposte: ecco il metodo scientifico. Tuttavia, molte scienze non possono operare in questo modo. Come paleontologo e biologo evoluzionista, il mio compito è ricostruire la storia. La storia è unica e complessa. Non può essere riprodotta all'interno di una provetta. Gli scienziati che studiano la storia, specie una storia antica che non può essere raccolta nelle cronache umane e neppure in quelle geologiche, devono usare il metodo deduttivo piuttosto che quello sperimentale. Essi devono partire dai risultati attuali dei processi storici e tentare di ricostruire il cammino che ha portato le parole, gli organismi o anche le formazioni geologiche dalle loro forme originarie a quelle contemporanee.
Una volta ricostruito il cammino, possiamo essere in grado di chiarire le ragioni che hanno spinto la storia a seguire questa strada piuttosto che un'altra. Ma come possiamo dedurre questa strada dai risultati attuali? E, soprattutto, come possiamo essere sicuri che esista realmente una strada? Come sappiamo che quanto osserviamo oggi è il risultato di una trasformazione prodottasi nel corso della storia e non una parte immutabile di un universo che non ha mai subíto cambiamenti? Questo è il problema che Darwin si trovò ad affrontare poiché i suoi oppositori creazionisti sostenevano che le specie avevano mantenuto le stesse forme dal momento della loro creazione. Come fece Darwin a provare che le specie attuali sono un prodotto della storia? Potremmo pensare che egli si rivolgesse ai risultati piú impressionanti dell'evoluzione, ai complessi organismi che si sono perfettamente adattati ai loro ambienti: la farfalla che si fa passare per una foglia morta, il tarabuso che assomiglia ad un ramo, la perfetta soluzione ingegneristica che permette il volo del gabbiano o la corsa del tonno nel mare. Paradossalmente egli fece esattamente l'opposto. Cercò le.stranezze e le imperfezioni. Il gabbiano può essere un esemŕpio meraviglioso per chi già crede nell'evoluzione ed è, quindi, in grado di vedere nella perfetta soluzione ingegneristica rappresentata dalle ali di queşto uccello la potenza modellatrice della selezione naturale Tuttavia, non è con la perfezione che possiamo dimostrare l'evoluzione, perché la perfezione non ha bisogno dí storia. Dopotutto, la perfezione degli organismi è stata per lungo tempo l'argomento preferito dei creazionisti, che vedevano nefle ardite soluzioni ingegneristiche la mano di un architetto divino. L'ala di un uccello meraviglia dell'aerodinamica, potrebbe essere stata creata proprio come ci appare oggi.
Tuttavia, Darwin pensò che, se gli organismi avevano una storia, gli stadi piú antichi avrebbero dovuto lasciare dietro di sé delle vestigia. Le vestigia del passato che non hanno senso in termini attuali, quanto c'è di inutile, strano, peculiare e assurdo, sono le tracce della storia. Esse ci offrono la prova che il mondo non è nato nella sua forma attuale. Quando la storia si perfeziona, copre le sue stesse tracce.
Perché una parola comunemente usata per indicare un compenso in denaro dovrebbe far riferimento ad un mestiere, oggi quasi scomparso, se una volta il suo significato non aveva rapporto con la macina e col grano? Come potremmo spiegare che il feto della balena mette i denti quando è ancora nel ventre della madre per poi riassorbirli e vivere il resto della sua vita filtrando il krill con i fanoni se non con il fatto che i suoi antenati avevano denti funzionanti e che questi sopravvivono ancora come vestigia in uno stadio dello sviluppo nel quale non arrecano alcun danno?
Nessuna prova dell'evoluzione fu piú gradita a Darwin della esistenza in quasi tutti gli organismi di strutture rudimentali, « parti in questa strana situazione, che recano il marchio dell'inutilità » secondo le sue stesse parole. « Dal mio punto di vista sulla discendenza con modificazioni, l'origine di questi organi rudimentali è semplice », continua.
Essi sono rimasugli di un'anatomia divenuta inutile conservati come vestigia di parti una volta funzionanti. E un principio generale che non si applica alle sole strutture rudimentali o alla biologia ed utile in gaalsiasi scienza storica. Le stranezze sono i segni della storia.  Il primo saggio di questo libro ha sollevato lo stesso problema in un contesto differente. Il « pollice » del panda è una prova dell'evo⅓eluzione perché è rozzo e si sviluppa non da un dito, ma dall' osso sesamoide del polso. Negli antenati del panda il vero pollice si era specializzato come dito di carnivoro, adatto quindi a correre e ad artigliare, e non poteva modificarsi nel discendente vegetariano in un dito opponibile adatto a manipolare-il bambú. Durante una delle mie meditazioni da non biologo, mi sono ritrovato a riflettere sul perché le due parole veterano e veterinario, che hanno significati cosí diversi, abbiano la stessa radice nel latino vetus, cioè vecchio. Ancora una volta, una stra-
nezza suggeriva un approccio genealogico alla sua soluzione.
Per il termine veterano non ci sono problemi, poiché la sua radice e il suo significato attuale coincidono; non vi ritroviamo quindi tracce di storia. Veterinario era invece un termine interessante. Come tutti gli abitanti della città, consideravo i veterinari come curatori di viziatissimi animali domestici.
Dimenticavo che in origine i veterinari si prendevano cura del bestiame di fattoria e delle greggi (e probabilmente la maggioranza dei moderni veterinari continua a farlo, mi si perdoni il provincialismo newyorkese). Il legame con vetus passa attraverso il concetto di « bestia da soma », veterina e, e cioè bestiame non piú adatto alla corsa, quindi vecchio, utilizzato per il trasporto di pesi.
Questo principio generale della scienza storica dovrebbe essere applicato anche allo studio della Terra. La teoria della tettonica a placche ci ha portato a ricostruire la storia della superficie del nostro pianeta. Gli attuali continenti sono stati determinati dalla frammentazione e dalla dispersione avvenuta nell'arco di 200 milioni di anni, di un unico continente, Pangea, che era formato dalla saldatura di precedenti continenti avvenuta piú di 225 milioni di anni fa. Se le stranezze attuali sono tracce della storia, dovremmo chiederci quali peculiari comportamenti degli animali di oggi possono essere spiegati con un adattamento alla precedente posizione dei continenti. Le lunghe e tortuose, strade seguíte nella migrazione da molti animali rappresentano uno dei piú grandi misteri della storia naturale. Alcune lunghe migrazioni non sono altro che spostamenti stagionali verso climi piú favorevoli e non sono diversi da quelli che fa ogni inverno verso la Florida una specie particolare di grandi mammiferi, all'interno di strani uccelli metallici. Tuttavia vi sono alcuni animali che migrano con sorprendente precisione per migliaia' di chilometri per raggiungere i territori dove si riproducono, anche se esistono luoghi adatti molto meno lontani. E possibile che alcune di queste strane rotte risulterebbero piú brevi e comprensibili se studiate su di una mappa che tenesse presente la posizione degli antichi continenti? Archie Carr, il piú grande esperto mondiale sulle migrazioni delle grandi tartarughe marine, ha fatto questa strana proposta.
Una popolazione di queste tartarughe, la Chelonia mydas, nidifica e si riproduce sulla piccola isola atlantica di Ascensione. I grandi cuochi londinesi e le navi addette al vettovagliamento della marina reale britannica scoprirono e utilizzarono queste tartarughe molto tempo fa. Essi, però, non sospettavano quanto Carr ha scoperto dopo aver ritrovato nei territori in cui esse vivono le tartarughe da lui segnate con una targhetta di identificazione sulle spiagge di Ascensione: e cioè che la Chelonia viaggia per 2.000 miglia dalle coste del Brasile per riprodursi su quel lembo di terra a centinaia di miglia dalle coste piú vicine, su quello « scoglio battuto dai venti, nel mezzo dell'oceano».
Le tartarughe hanno buone ragioni per scegliere territori diversi sui quali nutrirsi e riprodursi. Esse si nutrono di alghe che trovano in zone riparate con acque poco profonde, ma per riprodursi hanno bisogno di coste esposte dove piú facilmente si creano spiagge sabbiose e dove i loro nemici naturali sono piú rari. Resta tuttavia da chiedersi perché viaggino per 2.000 miglia verso il centro dell'oceano, quando potrebbero trovare territori apparentemente altrettanto adatti alla riproduzione senza fare un cosí lungo viaggio. (Ad esempio, un'altra popolazione della stessa specie si riproduce sulle spiagge caraibiche della Costa Rica.) Come scrive lo stesso Carr, « le difficoltà di un simile viaggio sembrerebbero insormontabili se non fosse evidente che le tartarughe sono in grado di superarle .
Carr ha pensato che, forse, questa odissea avrebbe avuto un senso se considerata come l'estensione di un'abitudine che si era sviluppata in una situazione differente: il viaggio.verso un'isola situata al centro dell'Atlantico quando questo era poco piú di una pozzanghera formatasi in seguito alla recente separazione dei continenti. L'America del sud e l'Africa si separarono circa 80 milioni di anni fa, quando nella zona esistevano già degli antenati della Chelonia. Ascensione è un'isola che viene associata alla dorsale medio-atlantica, una cresta situata nel punto in cui un nuovo fondo marino emerge dalle profondità della Terra. I materiali emessi questo modo spesso si sovrappongono, tino a tormare
isole.
L'Islanda è l'isola piú grande formata dalla dorsale medio-atlantica. Ascensione rappresenta una versione ridotta dello stesso processo. Una volta che le isole si sono formate su un lato di una dorsale, esse vengono allontanate dall'emergere di nuovo materiale. Cosí, man mano che ci allontaniamo da una dorsale, incontriamo isole sempre piú antiche.
Esse, tuttavia, tendono col tempo a ridursi, e vengono completamente erose perché l'allontanamento taglia loro i rifornimenti di nuovo materiale. Se non vengono protette da uno scudo corallino o di altri organismi, queste isole finiscono per essere completamente erose dalle onde. (Possono tutta via sparire dalla vista anche perché, scivolando lungo il pendio della dorsale, finiscono per inabissarsi nell'oceano.)
Carr, quindi, ha suggerito che gli antenati delle tartarughe marine che si riproducono ad Ascensione nuotavano per il breve tratto di mare che divideva le coste del Brasile da una « proto-Ascensione » situata sul crinale della dorsale medio-atlantica del periodo cretaceo. Man mano che l'isola si allontanava e sprofondava, sulla barriera se ne formava una nuova e le tartarughe allungavano di un tratto il loro  viaggio. Il processo continuò finché le tartarughe, come quei camminatori che allungando di poco ma costantemente il loro percorso si ritrovano maratoneti, arrivarono a percorrere le attuali 2000 miglia. (Questa ipotesi storica non affronta l'affascinante problema di come le tartarughe siano in grado di ritrovare questo puntino in un mare di blu. I piccoli si lasciano trasportare dalla corrente equatoriale verso le coste
del Brasile, ma come fanno a tornare indietro? Carr ha ipotizzato che le tartarughe si regolano in base alle stelle durante la prima parte del loro viaggio e, una volta arrivate in vicinanza dell'isola, sono in grado di riconoscerne il mare dalle caratteristiche [dall'odore? dal gusto? ].)
L'ipotesi di Carr rappresenta un eccellente esempio di come sia possibile utilizzare una peculiarità per ricostruire una storia. Magari potessi crederci. Non sonoi problemi empirici a rendermi dubbioso, poiché questi non rendono la teoria meno plausibile. Come possiamo essere certi che ogni volta una nuova isola sorgesse in tempo per rimpiazzare quelle che si allontanavano e affondavano? L'assenza dell'isola per una sola generazione sarebbe infatti bastata a distruggere l'intero sistema. Ino!tre le nuove isole sarebbero dovute nascere sempre piuttosto vicino alla vecchia rotta per essere ritrovate dalle tartarughe. Ascensione ha meno di 7 milioni di anni.
Quello che mi preoccupa è un problema teorico. Se l'intera specie Chelonia mydas o, meglio, un gruppo di specie simili migrasse verso Ascensione non avrei obiezioni da fare, perché i comportamenti possono essere altrettanto antichi ed ereditabili delle forme. Tuttavia la specie C. mydas vlve e si riproduce in tutto il mondo. Le tartarughe di Ascensione sono solo una tra molte popolazioni. Anche se è possibile che gli antenati della Chelonia vivessero nella pozzanghera atlantica 200 milioni di anni fa, i reperti a nostra disposizione non sono piú vecchi di 15 milioni di anni, mentre la specie C. mydas è certamente molto piú recente. (I dati provenienti dai fossili, con tutti i loro limiti, indicano che poche specie di vertebrati sono in grado di sopravvivere per oltre 10 milioni di anni.) Nell'ipotesi di Carr le tartarughe che fecero 1 primo viaggio verso proto-Ascensione erano degli antenati molto lontani di C. mydas (o, almeno, appartenevano ad un genere di verso). Molte speciazioni separano questo antenato del Cretaceo dalla moderna tartaruga. Ora cerchiamo di immaginare quello che sarebbe dovuto avvenire se Carr fosse nel giusto.
Le specie originarie dovettero dividersi in molte popolazioni diverse e una soltanto di queste popolazioni raggiunse proto Ascensione. Queste specie si sono ulteriormente evolute e chissà quanti gradini della scala evolutiva le separano da C. mydas. Ad ogni gradino la popolazione di Ascensione ha mantenuto la sua integrità pur trasformandosi in parallelo con altre popolazioni.
Ma l'evoluzione, per quel che sappiamo, non funziona cosí.
Le nuove specie nascono come piccole popolazioni isolate e si diffondono in seguito. Le varie popolazioni di una specie molto diffusan non si evolvono parallelamente. Se le popolazioni si riproducono isolate le une dalle altre, quante sono le probabilità che esse si evolvano in parallelo e siano ancora in grado di incrociarsi quando si sono trasformate al punto da poter essere considerate nuove specie? lo ritengo che C. mydas, come la maggior parte delle specie sia nata in una piccola area negli ultimi 10 milioni di anni, quando l'Africa e l'America del sud non erano molto piú vicine di quanto lo siano oggi.
Nel 1965, prima che la teoria della deriva dei continenti diventasse di moda, Carr proponeva una spiegazione differente, che dal mio punto di vista è piú convincente, perché colloca la nascita della popolazione che si riproduce ad Ascensione in un periodo successivo alla evoluzione di C. mydas. Egli sosteneva che gli antenati di questa popolazione si erano allontanati per caso dall'Africa occidentale verso Ascensione, seguendo la orfente equatoriale. (Carr fa rilevare come un'altra tartaruga, la Lepidochelys olivacea, di origine africana, abbia colonizzato le coste dell'America del sud seguendo la medesima rotta.) I nuovi nati vennero poi spinti sulle coste del Brasile dalla stessa corrente che segue sempre la direzione est-ovest. Naturalmente rimane il problema del riforno ad Ascensione, ma il meccanismo che governa le migrazioni delle tartarughe è talmente misterioso che non vedo ragioni per non credere che sia l'imprinting a permettere alle tartarughe di rammentare il loro luogo di nascita,senza bisogno che questa informazione si trasmetta per via genetica di generazione in generazione.u Non credo che il successo della teoria della deriva dei continenti sia stato l'unico fattore che ha spinto Carr a cambiare idea. Egli sostiene di preferire la nuova teoria perché essa si basa su di uno stile esplicativo, che è quello in genere favorito dalla maggior parte degli scienziati (erroneamente, se mi si permette un'opinione iconoclasta). Nella nuova teoria di Carr, la rotta per Ascensione si è evoluta progressivamente in modo comprensibile e prevedibile passo dopo passo. Nella sua precedente teoria si trattava di un avvenimento improvviso, di un capriccio accidentale e imprevedibile della storia. Gli evoluzionisti si sentono piú a loro agio con teorie gradualistiche e non basate sul caso. Ritengo che questo sia un profondo pregiudizio che emerge dalle tradizioni filosofiche occidentali e non ha nulla a che vedere con i modi di essere della natura (si veda il saggio della sezione 5). Io considero la nuova teoria di Carr un'ipotesi adatta ad appoggiare una filosofia convenzionale. Credo inoltre che la sua ipotesi sia sbagliata, ma mi congratulo vivamente per il suo ingegno, il suo sforzo e il suo metodo, perché segue il grande principio storico di utilizare il peculiare come indice di cambiamento.
Temo che l'esempio delle tartarughe illustri un altro aspetto della scienza storica: le possibili frustrazioni che ne possono derivare. Raramente i risultati presentano un'immagine chiara delle loro cause. Se non abbiamo dati provenienti dai fossili o dai resoconti umani, siamo costretti a dedurre i processi dai loro risultati attuali, e quindi, in genere, ci riduciamo a speculare su probabilità. Molte sono, infatti, le strade che portano a Roma.
Questa volta la vittoria va alle tartarughe, e perché no? Quando i marinai portoghesi ancora non si staccavano dalle coste dell'Africa, la Chelonia mydas nuotava già senza esitazioni in direzione di un puntolino nell' oceano. Mentre i piú grandi scienziati del mondo hanno dovuto sudare per secoli prima di inventare gli strumenti di navigazione, alla Chelonia bastava uno sguardo al cielo per procedere dritta sulla sua rotta.


3. Un problema duplice

La natura conferisce a Izaak Walton il titolo di dilettante di prima categoria piú spesso di quanto non fossi portato a credere. Nel 1654, questo pescatore, il piú famoso prima della nascita di Ted Williams, descriveva cosí la sua esca preferita: « Ho un pesciolino artificiale.. di cosí curiosa fattura e tanto snodato da confondere anche la trota piú astuta in un veloce ruscelletto ».
In un saggio comparso nel mio precedente libro, Ever since Darwin, raccontavo la storia del Lampsilis, un mollusco bivalve che vive in acqua dolce e inalbera sulla sua estremità posteriore un richiamo a forma di pesce. Questa esca sorprendente ha un « corpo » allungato, con escrescenze laterali che simulano la coda e le pinne, dei puntini che assomigliano ad occhi e muove persino le escrescenze piatte con un movimento ritmico simile al nuoto. I pesci veri sono attirati dall'esca che è costituita dalla borsa per 1'incubazione delle larve (il corpo) e dall'epidermide esterna del mollusco (le pinne e la coda) e, appena sono abbastanza vicini, vengono investiti da un getto di larve. Poiché le larve del
Lampsilis possono sopravvivere solo come parassiti all'interno delle branchie dei pesci, questo richiamo è senza dubbio un utile strumento.
Recentemente ho scoperto con sorpresa che il Lampsilis non è unico nel suo genere. Ted Pietsch e David Grobecker hanno scoperto un esemplare di rana pescatrice delle Filippine che non è stato scoperto in una avventurosa spedizione in terre selvagge, ma è stato ritrovato in quella notevole fonte di novità scientifiche che sono i negozi di animali domestici. (Alla base delle scoperte esotiche c'è piú spesso la capacità di riconoscere un dato esemplare che lo spirito di avventura.) Le rane pescatrici non utilizzano la loro esca per garantire un nido alle larve ma per rifornirsi di appetitosi bocconi. Esse hanno un raggio della pinna dorsale molto
specializzato situato sul muso. L'esca si trova all'estremità di questo raggio. Alcuni pesci delle profondità, che vivono in un mondo mai attraversato dalla luce proveniente dalla superficie, pescano con l'ausilio di una loro fonte autonoma di illuminazione: essi costruiscono le loro esche con batteri fosforescenti. Le specie che vivono in acque poco profonde
hanno corpi coperti di escrescenze colorate che li fanno assomigliare a rocce coperte di spugne e di alghe. Essi si mantengono immobili sul fondo e muovono le esche di fronte
alle loro bocche. I richiami differiscono da specie a specie,
ma nella loro maggioranza assomigliano (spesso in maniera
imperfetta) ad invertebrati come vermi e crostacei.
Tuttavia, la rana pescatrice trovata da Pietsch e da Grobecker possiede un'esca a forma di pesce non meno sorprendente del richiamo utilizzato dal Lampsilis. (Il rapporto su questo esemplare reca il titolo appropriato di Il perfetto pescatore, e riporta in apertura il brano di Walton che abbiamo citato piú sopra.) Questo mirabile falso ha perfino delle macchie simili ad occhi al posto giusto. Inoltre nella
parte inferiore del corpo presenta dei filamenti che imitano le pinne pettorali e pelviche, ha anche delle finte pinne anali e dorsali e persino un'estremità che apparirebbe a
chiunque come una coda. Pietsch e Grobecker concludono che « l'esca è una copia quasi perfetta di un piccolo pesce che potrebbe facilmente essere membro di una qualsiasi famiglia dei percidi diffusi nella regione delle Filippine ». II pescatore agita ia sua esca nell'acqua « simulando l'ondeggiamento laterale di un pesce che nuota ».
La presenza di un apparato identico in un pesce e in un mollusco potrebbe apparire come una prova evidente della teoria darwiniana dell'evoluzione. Se la selezione naturale è in grado di realizzare un'opera simile per ben due volte, è
sicuramente capace di fare qualsiasi cosa. Tuttavia, per continuare a sviluppare il tema dei due saggi precedenti e portare questa trilogia alle sue conclusioni, la perfezione è un'arma efficace tanto nelle mani dei creazionisti quanto degli evoluzionisti. I salmi affermano che « i cieli cantano
la gloria del Signore e il firmamento ne dimostra l'opera ».
Nei due saggi precedenti abbiamo sostenuto che l'imperfezione è la migliore prova in favore della teoria dell'evoluzione. In questo discutiamo la risposta darwiniana alla perfezione.
La sola cosa che risulti piú difficile da spiegare della perfezione è la perfezione che si ripete identica in animali molto differenti. L'esistenza di un pesce sulla parte posteriore di un mollusco e di un altro sul muso di una rana pescatrice (il primo evolutosi dalla borsa di incubazione
del mollusco e dalla sua epidermide esterna e il secondo da una spina delle pinne) moltiplica per due il nostro problema. Non ho alcuna difficoltà nello spiegare l'origine dei due « pesci» sulla base della teoria dell'evoluzione. Nel caso del Lampsilis sono identificabili una serie di stadi intermedi, mentre il fatto che la rana pescatrice abbia trasformato una delle spine delle pinne perché funzioni da esca non èè che una riprova di quel principio della utilizzazione delle parti disponibili che abbiamo già visto
all'opera per il pollice del panda e per il laoello delle orchidee (si veda il primo saggio della trilogia). Ma i darwiniani non possono limitarsi a dimostrare la validità della teoria dell'evoluzione, devono essere anche in grado di sostenere che la causa principale di ogni trasformazione evoluiva è la pressione della selezione naturale sulle mutazioni casuali.
Gli antidarwiniani hanno sempre utilizzato lo sviluppo ripetuto di soluzioni adattative molto simili, presenti in linee ereditarie differenti, come arma contro la concezione darwiniana di un'evoluzione non pianificata e priva di direzione. Il fatto che organismi molto differenti utilizzino ripetutamente le stesse soluzioni, non è forse una prova dell'esistenza di strade precostituite, che il cambiamento deve necessariamente seguire e che non sono determinate dall'azione della selezione sulle variazioni casuali? Non sarebbe, quindi, piú giusto considerare il ripetersi della forma come la vera causa degli eventi evolutivi che la realizzano?
In una mezza dozzina di libri, Arthur Koestler, ad esempio, ha tentato di condurre una campagna contro quella che è la sua errata interpretazione del darwinismo. Egli spera di trovare una qualche forza ordinatrice in grado di spingere l'evoluzione in una certa direzione, superando linfluenza della selezione naturale. La evoluzione ripetuta di soluzioni ottimali in specie differenti è il bastione dal quale difende la sua ipotesi.
Egli continua a citare il caso dei « crani quasi identici » dei lupi e del « lupo della Tasmania » (questo marsupiale carnivoro assomiglia ai lupi ma, dal punto di vista genealo-
gico, è piuttosto un parente dei vombatidi, dei canguri e dei koala). Nel suo libro piú recente, Janus, Koestler scrive «Una spiegazione in termini di mutazioni casuali e sele-
zione presenta, come abbiamo visto, difficoltà insormontabili anche nel caso dell'evoluzione di singole specie di lupo. La duplicazione indipendente di questo processo sia su un'isola che sulla terraferma rappresenta un miracolo impossibile ».
La risposta darwiniana comporta sia una negazione che una spiegazione. Innanzitutto la negazione: il fatto che forme estremamente simili siano effettivamente identiche è semplicemente falso. Louis Doilo, un paleontologo belga morto
nel 1931, enunciò un principio molto poco compreso: « l'evoluzione è irreversibile » (affermazione nota come legge di Dollo). Alcuni scienziati poco informati credono che Dollo sostenesse l'esistenza di una misteriosa forza direttrice che
spinge l'evoluzione sempre avanti senza permetterle di ritornare sui propri passi. Essi quindi lo annoverano tra i non darwiniani i quali ritengono che la selezione naturale non può essere la causa dell'ordine della natura.
In realtà, Dollo era un darwiniano che si interessava all'evoluzione convergente e cioè al ripetersi di soluzioni adattative simili in discendenze diverse. Egli sosteneva, sulla base della teoria elementare della probabilità, che la convergenza non può mai arrivare alla perfetta somiglianza. Gli orga-
nismi non possono cancellare il loro passato. Due stirpi possono sviluppare somiglianze superficiali notevoli quando devono adattarsi ad un comune stile di vita, ma le parti di un organismo sono tanto numerose e complesse che la
probabilità che esse si evolvano tutte verso un identico risultato è praticamente inesistente. L'evoluzione è irreversibile, i segni del passato vengono inevitabilmente conservati e quindi anche la piú rimarchevole convergenza è sempre superficiale.
Prendiamo ora in considerazione quello che io ritengo essere l'esempio piú straordinario di convergenza: l'ittiosauro. La convergenza con i pesci di questo rettile marino con antenati terrestri è arrivata al punto di fargli sviluppare una pinna dorsale e una coda nella loro giusta posizione
e con un ottimo profilo idrodinamico. Queste strutture risultano anche pi sorprendenti se si pensa che gli antenati terrestri del rettile non avevano creste sul dorso o sulla coda che potessero servire da precursori. Eppure l'ittiosauro non è un pesce né nella sua torma generale né nei dettagli. (Nell'ittiosauro, ad esempio, la colonna vertebrale passa attraverso la parte inferiore della coda, mentre nei pesci dotati di vertebre caudali la colonna vertebrale passa coda attraverso la parte superiore della coda.) L'ittiosauro, quindi, rimane un rettile sia per i suoi polmoni adatti alla respirazione in superficie che per le sue pinne costituite da zampe modificate.
La storia dei carnivori di Koestler è simile. Tanto i lupi dotati di placenta che il « lupo » marsupiale sono adatti alla caccia, ma nessun esperto ne potrebbe confondere i
crani. I numerosi, piccoli segni di «marsupialità» non sono cancellati nella forma e nella funzione.
Passiamo ora alla spiegazione: la teoria darwinista non ipotizza quel cambiamento capriccioso che Koestler immagina. Le varíazioni casuali costituiscono la materia grezza del cambiamento, ma la selezione naturale costruisce risul.
tati ottimali, escludendo la maggior parte di queste variazioni e accettando e accumulando solo quelle che garantiscono un miglior adattamento ai vari ambienti.
La forte convergenza si spiega semplicemente, per   quanto prosaicamente, con il fatto che determinati stili di vita impongono rigidi criteri di forma e funzione agli organismi che li adottano. I mammiferi carnivori devono essere in grado di correre e colpire; essi non hanno bisogno di molari adatti a triturare perché assumono il loro cibo inghiottendo
le parti che lacerano dalle loro prede. I lupi placentati e marsupiali son fatti per correre in maniera sostenuta; hanno lunghi, affilati, aguzzi canini e molari ridotti. I vertebrati terrestri usano gli arti per spostarsi e le code per bilanciarsi. I pesci nuotano ricevendo la spinta dalle loro code e mantenendosi in equilibrio con le pinne. L'ittiosauro, dovendo vivere
come un pesce, aveva sviluppato una grande coda adatta alla propulsione (come avrebbero fatto piú tardi le balene, anche se queste hanno code disposte orizzontalmente e l'ittiosauro ne aveva una verticale).
Nessuno ha affrontato il problema biologico della ripetizione di soluzioni perfette meglio di D'Arcy Wentworth
Thompson in un trattato del 1942, On growth and form, che viene ancora stampato e mantiene la sua grande rilevanza. Sir Peter Medawar, uomo non certo propenso alle esagerazioni, lo definisce « senza dubbio il miglior lavoro letterario tra gli annali scientifici pubblicati in lingua inglese». Thompson, che fu zoologo, matematico, studioso clas-
sico e raffinato prosatore, ottenne riconoscimenti solo in tarda età e trascorse tutta la sua vita professionale in una piccola università scozzese, perché le sue opinioni erano troppo poco. ortodosse per i prestigiosi posti di Londra e di Oxbridge.
Thompson fu un brillante reazionario piuttosto che un visionario. Egli prese Pitagora sul serio e si mise a lavorare con lo stesso metodo di un geometra greco. Il suo maggior diletto era il ritrovare nei prodotti della natura il ripetersi delle forme astratte di un mondo ideale. Perché il motivo degli esagoni si ripete sia all'interno degli alveari che nelle piastre dello scudo di alcune tartarughe? Perché il disegno a spirale di una pigna o di un girasole (e spesso quello delle
foglie su di un ramo) segue la serie di Fibonacci? (Un sistema di spirali irradiantesi da un punto comune può essere considerato come un gruppo di spirali verso destra o verso sinistra. Le spirali verso destra e verso sinistra non sono eguali di numero ma rappresentano due cifre consecutive della serie di Fibonacci. La serie di Fibonacci si
costruisce ottenendo ogni numero dalla somma dei due
che lo precedono: 1,1,2,3,5,8,13,21, ecc. La pigna può avere, ad esempio, 13 spirali rivolte verso sinistra e 21 rivolte verso destra.) Perché le conchiglie, le corna degli
arieti e persino il volo verso la luce di una falena hanno, in genere, la forma di una curva chiamata spirale logaritmica?
Thompson aveva la stessa risposta per ciascun caso: queste forme astratte sono le soluzioni ottimali a problemi comuni. Esse si sono evolute ripetutamente in gruppi dif
ferenti pcrché sono i percorsi adattativi migliori e spesso gli unici possibili. I triangoli, i parallelogrammi e gli esagoni sono le uniche figure piane in grado di riempire completamente lo spazio senza lasciare vuoti. Gli esagoni sono i piú favoriti, perché la loro forma si avvicina a quella del cerchio e rende massima la superficie tra le pareti di sostegno (la costruzione minima per garantire il massimo immagazzinamento del miele, ad esempio). II modello di Fibonacci emerge automaticamente in ogni sistema di spirali costruito aggiungendo un nuovo elemento per volta all'apice nel massimo spazio disponibile. La spirale logaritmica è l'unica curva che non cambia di forma con l'aumentare
delle sue dimensioni. Posso considerare le forme astratte
identificate da Thompson come le possibilità adattative ottimali, rimane tuttavia il piú vasto problema metafisico del perché cosí spesso una « buona » forma debba seguire una tale semplice regolarità numerica, ma su questo problema posso solo dichiarare la mia ignoranza.
Fino a questo punto ho trattato solo la metà del problema del ripetersi della perfezione. Ho parlato del perché. Ho affermato che la convergenza non rende mai identici due organismi complessi (una possibilità che va al di là del
ragionevole potere dei processi darwiniani), e ho tentato di spiegare la ripetizione come l'adattamento ottimale a problemi comuni che offrono poche soluzioni alternative.
Rimane il problema del come. Possiamo capire la funzione delle esche del Lampsilis e della rana pescatrice, ma come si sono sviluppate? Il problema diventa particolarmente acuto nel caso di soluzioni adattative particolarmente complesse e peculiari, ma costruite con parti comuni che avevano originariamente funzioni diverse. Se l'esca della rana pescatrice ha richiesto 500 diverse trasformazioni per raggiungere la sua perfetta imitazione di pesce, come ha avuto inizio questo processo? E perché è andato avanti, se non c'era una forza non darwiniana che lo spingeva verso un qualche obiettivo finale? Il primo passo di questo processo arrecava da solo qualche beneficio all'organismo? E possibile che un'esca che assomiglia ad un pesce per un cinquecentesimo sia in grado di attirare una preda?
La soluzione proposta da D'Arcy Thompson è estremista ma profetica. Egli sostiene che gli organismi sono plasmati
direttamente dalle forze fisiche che agiscono su di essi: le forme ottimali non sono altro che lo stato assunto dalla materia in presenza di forze fisiche appropriate. Gli orga-
nismi passano improvvisamente da una forma ottimale
all'altra, quando viene modificato il regime delle forze fi
siche che su di essi agiscono. Ora noi sappiamo che le forze
fisiche sono, in genere, troppo deboli per plasmare diretta-
mente delle forme e, di conseguenza, prendiamo in consi
derazione l'azione della selezione naturale. Tuttavia, il fatto
che la selezione è in grado di agire solo in maniera lenta
e progressiva, passo dopo passo, per costruire un adattamen
to complesso, ci fuorvia, ci crea dei grossi problemi esplicativi.
lo credo che la soluzione poggi sulla sostanza della
proposta di Thompson, sfrondata dell'ipotesi, priva di fondamento, che le forze fisiche siano in grado di plasmare
direttamente gli organismi. Le forme complesse sono spesso
generate da un sistema di forze molto piú semplice (spesso
estremamente semplice). Le varie parti vengono tra loro
connesse in modi intricati attraverso la crescita, e la tra
sformazione di una sola di queste parti può avere un effetto
risonante sull'intero organismo e modificarlo in molteplici
e insospettabili modi. David Raup del Field Museum of
Natural History di Chicago ha creato un programma di
calcolatore sulla base dell'ipotesi di Thompson e ha dimo-
strato che è possibile produrre le forme di base delle varie
conchiglie (nautili, bivalve e chiocciole) variando solo tre
semplici gradienti di crescita. Utilizzando il programma di
Raup, è possibile trasformare il guscio di una chiocciola di giardino neila conchiglia di una comune bivalve modificando solo duc dei tre gradienti. E, che mi crediate o no,
esiste una specie di chiocciole attuali che ha un guscio tanto simile a quel!lo delle comuni bivalve che, la prima volta che l'ho vista in un documentario scientifico, sono
rimasto senza fiato di fronte al sorprendente primo piano della testa della lumaca che emergeva dalle valve.
Questo conclude la mia trilogia sul modo in cui la perfezione e l'imperfezione sono segni di evoluzione. Tutta via, questa non è altro che un'estesa dissertazione sul « pol-
lice» del panda, un oggetto unico e concreto sul quale si
sono sviluppati tutti e tre i saggi, nonostante le varie riflessioni e divagazioni che essi contengono. Un pollice sviluppa-
tosi da un osso del polso, imperfetto come tutti i segni della storia e costruito con le parti disponibili. Dwight Davis si è trovato di fronte il problema di quanto sarebbe
impotente la selezione naturale se dovesse muoversi passo
dopo passo per tar nascere un panda da un orso comune.
Egli ha scelto la soluzione di D'Arcy Thompson del semplice sistema di fattori generanti; in questo modo egli ha
dimostrato che il complesso apparato del pollice, con tutti
i suoi muscoli e i suoi nervi, può emergere come conseguenza automatica del semplice ingrandimento dell'osso sesa
moide radiale. Successivamente egli ha spiegato come i complessi cambiamenti della forma e delle funzioni del
cranio, la transizione da un cranio di onnivoro a quello di un masticatore di bambú, possano svilupparsi in conseguen
za di una o due modifiche. Infine egli ha concluso che «pochissimi meccanismi genetici, forse non piú di una
mezza dozzina, vennero coinvolti nella primitiva transizione
dall'Ursus all'Ailuropoda (panda) E possibile identificare
con ragionevole certezza l'azione della maggicr parte di
questi meccanismi ».
Siamo cosí in grado di passare dalla continuità genetica
sottostante del cambiamento, postulato darwiniano fonda
mentale, ad una potenziale alterazione episodica nei suoi
risultati manifesti, cioè una serie di complessi organismi adulti. In sistemi complessi, la regolarità di entrata può tradursi in un cambiamento episodico in uscita. E a questo punto che ci imbattiamo nel paradosso fondamentale della nostra esistenza e della nostra esigenza di comprendere cosa ci ha generato. Senza questa complessità di costruzione non
potremmo aver evoluto cervelli in grado di porsi una tale domanda. Con questa complessità non possiamo sperare di  trovare soluzioni nelle semplici risposte che i nostri cervelli amano darci.
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