lunedì 23 dicembre 2019



FRIEDA
Estratto da "Il castello"
Franz Kafka
Leggiamo:  "Come priva di forza davanti all'amore, si stese supina a braccia aperte; al suo amore felice il tempo sembrava infinito;"
Nessuno si è  mai soffermato su Kafka erotico...
Spesso in Kafka, la donna ha un'importanza non evidente ma decisiva. Nel Castello essa è Frieda, l'ostessa, l'intermediaria tra il mondo "superiore" (i funzionari del castello) e quello "infimo" (il villaggio, i sudditi, gli emarginati). Ma è anche l'unica che alla gerarchia sappia resistere. Non può molto, la donna, ma si dà da fare, e spesso dimostra grande umanità e comprensione, anche quando poi è costretta a rassegnarsi. Il sesso, nudo e crudo, esplode subito, collegato all'interesse egoistico di K. Ma poi riemerge il sentimento, l'affettività, il cuore. Kafka non è mai scrittore solo erotico; o meglio, il suo eros è sempre (come in Dostoevskij) intriso di Charitas**: ed è questa, alla fine, la sua nota più profonda.
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** GIAMBATTISTA VICO "fa una netta distinzione tra 
carus - caritas rispettivamente col valore di ’caro, costoso, di alto prezzo’ e ’carestia, scarsità’ da una parte, e 
charus - charitas rispettivamente col valore di ’grazioso, amabile, richiesto’ e ’grazia, amore di Dio’ dall’altra, perché per il Vico questi due ultimi termini derivano etimologicamente" dai termini greci ’charìeis’ e ’charis’ (cfr. Vico, Varia: Il ’De Mente Heroica’ e gli scritti latini minori, a cura di Gian Galeazzo Visconti, Alfredo Guida Editore, Napoli 1996, p. 31)
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Così in "Il Castello" il racconto dell'amplesso tra K. e Frieda:
[...] Non aveva ancora lasciato la stanza, che già Frieda aveva speznto la luce elettrica ed era accanto a K. sotto il bancone. «Mio caro, mio dolce amore!», bisbigliò senza toccarlo. Come priva di forza davanti all'amore, si stese supina a braccia aperte; al suo amore felice il tempo sembrava infinito; sospirò, più che cantare, una breve canzone. Poi si spaventò quando K. rimase preso dai suoi pensieri, e come una bambina si mise a tirarlo con forza. «Vieni, qui sotto si soffoca!» Si abbracciarono l'un l'altro, il piccolo corpo bruciava nelle mani di K.; in un deliquio a cui K. cercava incessantemente, ma invano, di strapparsi, si rotolarono e caddero pochi passi più in là, urtarono la porta di Klamm con un colpo sordo e rimasero distesi [...]. E lì passarono delle ore, ore di comune respiro, di palpito comune, ore in cui K. ebbe sempre la sensazione di perdersi o di essersi così addentrato in un paese straniero come nessuno aveva osato prima, in una terra sconosciuta dove l'aria stessa non aveva alcun elemento comune con quella del paese natio, dove sembrava di soffocare, tanto si era estranei, e tuttavia non si poteva far altro, in mezzo a seduzioni così folli, che inoltrarsi ancora e continuare a smarrirsi. Quindi, almeno in un primo momento, non provò il minimo sgomento, anzi ebbe un senso di conforto, quando dalla stanza di Klamm una voce profonda, con tono imperioso ma indifferente chiamò Frieda. «Frieda», ripetè K. all'orecchio di lei, trasmettendole la chiamata. La ragazza fece per saltar su obbedendo con innata docilità ma poi si rese conto dov'era, si stirò, rise silenziosamente e disse: «Non ci vado, non andrò mai più da lui». K. avrebbe voluto obiettare, convincerla ad andare da Klamm; cominciò a raccogliere i resti della sua camicetta, ma non riuscì a dire niente, era troppo felice di tenere Frieda tra le braccia, felice ma troppo ansioso, perché gli sembrava che, se Frieda lo abbandonava, lo avrebbe abbandonato tutto ciò che possedeva. E come confortata dal consenso di K., Frieda strinse i pugni e bussò alla porta gridando: «Sono con l'agrimensore! Sono con l'agrimensore!». Allora Klamm tacque. Ma K. si alzò, si inginocchiò accanto a Frieda e si guardò attorno nella torbida luce che precede l'aurora. Cosa era accaduto? Dove erano le sue speranze? Che cosa si poteva attendere da Frieda, dato che tutto era stato svelato?[...]