LA MORTE DI SINWAR E L'ODIO PER ISRAELE
Di Alessandra Libutti e Winston P.
La morte di Sinwar disvela il vero motivo per cui gli antisemiti odiano Israele
La notizia dell’uccisione di Yahya Sinwar, figura chiave del pogrom del 7 ottobre, porta a una riflessione più ampia sul ruolo di Israele nella coscienza collettiva e sul significato della sua esistenza. L’antisemitismo, sia esplicito che celato, è alimentato in gran parte dalla consapevolezza che lo Stato di Israele ha radicalmente cambiato la condizione storica degli ebrei. Per oltre duemila anni, gli ebrei sono stati soggetti a persecuzioni, discriminazioni e violenze senza che vi fossero reali conseguenze per i loro carnefici. Con la fondazione dello Stato d’Israele, questa dinamica è cambiata: Israele non solo garantisce la sopravvivenza del popolo ebraico, ma risponde alle aggressioni, spezzando una tradizione millenaria di passività e sottomissione.
È proprio questo cambiamento che alimenta un odio profondo e radicato verso Israele. L’idea che un popolo storicamente vulnerabile sia ora in grado di difendersi autonomamente e senza chiedere permesso è vista come una minaccia da chi, in passato, aveva la libertà di esercitare violenza senza conseguenze. Questo non riguarda solo il conflitto specifico tra israeliani e palestinesi, ma tocca corde più profonde, legate all’incapacità di accettare che gli ebrei abbiano ora uno stato sovrano e forte che protegge il loro diritto alla vita.
In questo contesto, l’odio verso Israele non è tanto una reazione alle sue politiche, quanto una reazione alla sua stessa esistenza e al fatto che essa rappresenti una protezione tangibile contro l’impunità storica. L’antisemitismo, mascherato dietro retoriche politiche o dissimulato come critica legittima, spesso trae origine proprio da questa consapevolezza: che Israele ha cambiato le regole del gioco, impedendo che la vita ebraica sia considerata sacrificabile senza conseguenze.