martedì 17 dicembre 2019


HO BISOGNO DI TE
Estratto da "Quelli"
Joyce Carol Oates

[...] «Verrai in centro, allora? All'Hotel Sheraton-Cadillac?»
«Sì.»
«Farai davvero questo?»
«Sì, sì.»
«Devo prendere una stanza, devo aspettarti? Per che ora potrai venire?»
«Alle undici.»
«Ma non farlo se... se pensi che potrà sconvolgerti.»
«Non mi sconvolgerà.»
«Credo di sì.»
«No, devo farlo. Ho bisogno di te» disse Nadine.
Sentì nei suoi riguardi una comprensione indifesa, addolorata. Ma come avrebbe potuto crederle? Il suo abbandono, il suo senso di condanna, quel respiro spaventato gli sembravano innaturali, una esagerazione della propria paura. Il tremito che sentiva nel corpo di lei era identico a quello che tratteneva nel proprio, quasi che entrambi fossero destinati a qualche convulsione ultima, chiusi l'uno nelle braccia dell'altra, le bocche premute avidamente in una posa che nessuno dei due aveva scelto in realtà... simili a gurguli scolpite insieme nella roccia, scherzi di natura di roccia muschiosa. Jules si affrettò a dire: «Non dobbiamo far niente subito. Potremmo prima vederci alcune volte...».
«No, verrò domani in centro.»
«Possiamo parlare...»
«Non c'è niente di cui parlare.»
«Io credo di sì. Vuoi davvero sposarmi?»
Lei gli premette la fronte contro la spalla. Rifletté.
«Vuoi divorziare e sposare me? Jules Wendall?»
«Sì. Credo di sì.»
«Tutto quello che vuoi, allora.»
«Voglio te. Non posso smettere di pensare a te.»
«E il tuo matrimonio?»
«È un matrimonio riuscito, lui è un brav'uomo, ma... ma non è te. Lo sposai alcuni anni fa, quando era tempo che mi maritassi. E fu come quei miei insegnanti dell'Università del Michigan; non si trasformò mai in te. Non ho niente da dirti sul suo conto. Non appena ti vidi in quel ristorante, incominciai a perdere il contatto con le altre persone, anche con quanto stavo dicendo. Tutto traballa, ma in un modo sognante, non collegato. Ho l'aria di essere pazza. Non è davvero una mia abitudine comportarmi in questo modo, sono molto più matura e diversa da com'ero quando mi conoscesti. Dovetti passare alcuni mesi orribili per superare quello stadio. Ma lo superai. Ora, però... Con te, Jules, non so pensare alla mia vita, né ricordare come sia. Non riesco a ricordare me stessa. È come se stessi camminando in qualche luogo e una musica cominciasse a suonare molto forte, rendendomi sorda, e qualcuno mi prendesse per mano per condurmi via... perché no? Come posso ricordare chi sono? Che importanza ha? Ti ho aspettato per tre giorni. Ogni ora, circa, mi appariva chiaro che sarei dovuta uscire, andare da mia madre, o semplicemente uscire, recarmi in qualche posto. Che non avrei dovuto rivivere tutto questo, con te. Ma non sapevo indurmi a uscire. Poi pensavo che non saresti venuto, o che mi avresti insultata venendo qualche giorno dopo, come hai fatto, ma continuavo ugualmente ad aspettare. Tutto nella mia vita sembrava tendere verso di te... era come qualcosa che cadesse adagio. Mi resi conto che non mi importava di niente altro, anche se volevo che mi importasse. Ma non me ne importava.»
Tacquero. Jules disse infine: «Be', ho pensato a te. In questi anni».
«Davvero?»
«Non era che ti amassi, esattamente, si trattava di qualcosa di più profondo. Volevo tenerti di nuovo, così. No, non così. Non come siamo adesso. Volevo tenerti...» Non poteva spiegare.
Nadine disse: «Capisco».
«Ti sei sentita sola?»
«Sì.»
«Anche con tuo marito?»
«Sì, molto sola. Con lui e con tutti.»
«È duro per te, per una donna, sentirti sola?»
«Sono riuscita a sopravvivere. E tu?»
«Sono riuscito a sopravvivere.»
Si sorrisero a vicenda. Jules sentì che sarebbe stato possibile per loro diventare amici!
«Che cosa facesti dopo che ti lasciai?» ella domandò.
«Mi ristabilii dopo pochi giorni. Trovai qualche lavoro, vagabondai qua e là, mi rimisi in piedi. Dovevo guadagnare qualcosa per mangiare. Tirai avanti. Infine tornai a Detroit, quando sentii di essere di nuovo pronto per Detroit. Cercavo di non pensare a te, ma eri sempre là, nel fondo dei miei pensieri.»
«Grazie» disse Nadine.
Cominciò a baciarlo. Jules l'abbracciò avidamente. Parvero cadere con occhi di pietra in quell'abbraccio, respirando con sollievo e con sofferenza. Non appena l'ebbe baciata, egli volle parlare: volle spiegarle quanto era inappagata la sua vita. Accecato da lei, sentì in sé una chiarezza improvvisa per quanto concerneva il suo amore... non era in realtà qualcosa di suo, niente che potesse dominare, ma un torrente di passione nel quale in qualche modo aveva finito con il restare intrappolato, un fato all'antica. Una bella luce dorata sembrava accecarlo: muoveva le mani disperatamente sul corpo di Nadine. La luce era una radiosità che proveniva in parte dal viso di lei, in parte dai mobili di quella stanza splendente. Disse, molto eccitato: «Le donne si innamorano sempre di me, o vogliono da me qualcosa che non posso dare. Devo staccarmele di dosso, devo liberarmi di loro. Nessuna di loro è mai te» e questa verità gli incrinò la voce.
«Sei molto buono. Non sei egoista come me.»
«Non potremmo salire di sopra qui? Subito?»
«No.»
«Nadine?»
«No,» ella disse, dolorosamente, «qui no. "Non posso. Sono sposata con lui, io...»
«Va bene.»
«Jules, per favore...»
«Capisco, d'accordo. Dovrei andarmene, adesso?»
«Tra un minuto.»
Rise. Le circondò la faccia con le mani e rise. «Sei così bella, non è possibile che tutto questo stia accadendo. Che cosa c'è di buono in questo, in fin dei conti? Possiamo avvantaggiarcene, in qualche modo? Come ci gioverà essere di nuovo innamorati? Che cosa possiamo fare dell'amore?»
«Non parlare così.»
«Mi trovo faccia a faccia con il tuo Io femminile... con l'anima tua... che cosa potrò farne?»
«Non scherzare. Non mi sono mai piaciute le tue facezie.»
«Le facezie sono l'indizio di un uomo disperato» disse Jules. Si alzò e si lisciò i capelli, si riassettò i vestiti. Era un uomo disperato. «Dimmi soltanto quello che vuoi, Nadine, e te lo darò. Prendi una decisione.»
Ella alzò gli occhi su di lui. Aveva la gonna sollevata fino alle cosce. Jules vide la sua pelle, liscia sotto la trama delle calze, quella Nadine privata che era in suo possesso... sembrava una bambola di stracci, in suo possesso, noncurante di se stessa. Eppure non la possedeva, in realtà, e non aveva idea di che cosa ella stesse pensando.
«Dimmi a che cosa stai pensando.»
«Sto pensando a questo» rispose lei, stancamente. «Una donna è come un sogno. La sua vita è un sogno d'attesa. Voglio dire, vive in un sogno, aspettando un uomo. Non c'è scampo, per quanto possa essere offensivo, nessuna donna può sottrarsi a questo destino. La sua vita è attesa di un uomo. Tutto qui. Esiste una certa porta, in quel sogno, e lei deve passarvi attraverso. Non ha scelta. Prima o poi deve spalancare quella, porta, e varcare la soglia, e darsi a un certo uomo, a un determinato uomo. Non può farne a meno. Può sposare chiunque, ma di questo non può fare a meno. Ecco a che cosa stavo pensando.»
«Dici sul serio?»
«Sì.»
«Non è esagerato?»
«Quell'uomo non sei tu, precisamente. È quello che ho bisogno di fare con te, per poter continuare a vivere. Ho bisogno di te per me, per la mia vita. Ho bisogno di amarti.»
«Non fuggirai, dopo, abbandonandomi?»
«Sono più matura, adesso. Sono una donna sposata.»
«Ma io non voglio dividerti con un altro uomo.»
«Va bene.»
Lo seguì fino alla porta di casa. Si sentivano entrambi scossi, eppure i loro movimenti erano leggeri e aerei. A Jules sembrava di essere inebriato. Le prese la mano e gliela coprì di baci, deliziato dalle libertà che poteva prendersi con lei, da quella mano inerte, calda, una parte del corpo che gli sarebbe appartenuto, e anche il grosso brillante al dito di lei gli sarebbe appartenuto.
«A domattina, allora. E non ti turberai?»
«No.»
«Benissimo. Ti amo. Staremo a vedere che cosa accadrà.»
«Ti amo, Jules.»
Mentre tornava indietro in macchina, vide ogni cosa con chiarezza: cartelloni pubblicitari, ristoranti, distributori di benzina, altre automobili. Vide ogni cosa e non lasciò impronte di sé su nulla, tanto era divenuto libero e tanto forte. Soltanto alle dieci di quella sera, solo in camera sua, si rese conto di quanto stava per accadere, di quanto era già accaduto. E fu sopraffatto da una sensazione di sconforto.
Sarebbe uscito vivo da tutto ciò? Sarebbe rimasto qualcosa al mondo capace di stupirlo?