NON C'È PACE SENZA GIUSTIZIA E UN PAPA DOVREBBE SAPERLO
Michele Magno
Nell’ottobre del 1939, Emmanuel Mounier pubblicò sulla rivista “Esprit” un saggio intitolato “Les Chrétiens devant le problème de la paix”. Edito per la prima volta in Italia nel 1958, è stato ristampato da Castelvecchi (“I cristiani e la pace”, 2022). Merita di essere riepilogato brevemente il suo contesto. Il 29 settembre 1938 Hitler incontrò a Monaco il premier inglese Neville Chamberlain, il Primo ministro francese Édouard Daladier e Benito Mussolini. Il mattino seguente firmarono un accordo che permetteva all’esercito tedesco di completare l’occupazione della regione dei Sudeti. Gran Bretagna e Francia comunicarono al governo cecoslovacco che poteva resistere da solo all’invasione nazista o arrendersi e accettare l’accordo. Abbandonata dai suoi alleati, la Cecoslovacchia gettò la spugna rapidamente. Al loro ritorno in patria, Chamberlain e Daladier furono accolti da folle esultanti, convinte che era stato evitato un conflitto militare disastroso con il Terzo Reich e di avere placato le sue ambizioni egemoniche in Europa. Nel marzo del 1939 Hitler ruppe l’accordo annettendosi l’intera Boemia e la Moravia.
Con una palese allusione al “tradimento di Monaco”, il filosofo cattolico scrive: “Questo pacifismo, nel settembre del 1938 non aveva a cuore la giustizia dei Sudeti, né quella dei Cechi, né quella dei Trattati, né quella delle loro vittime, né l’ingiustizia della guerra, ma aveva una sola ossessione: che non si interrompessero i suoi sogni di pensionato. […] La pace è compromessa non solo dai guerrafondai ma anche dagli imbelli […]. E ’forse questo il comportamento che si addice ai fedeli di una religione la cui pietra angolare è costituita da un Dio fattosi uomo sulla terra?”. Sono parole nobili, espressione di un “realismo cristiano” sideralmente distante da quello esibito dai cattolici della “pace come bene assoluto” e della “guerra come male assoluto”.
Non per caso personalità di rilievo del mondo cattolico, penso a Rosy Bindi, Andrea Riccardi e, ovviamente, Marco Tarquinio, hanno espresso grande soddisfazione per il voto di tanti europarlamentari italiani contrario all’uso delle delle armi occidentali nel territorio russo. Pacifisti radicali, per loro il ricorso alle armi è sempre un crimine e non esistono guerre giuste. Beninteso, la maledizione della guerra e dei suoi orrori risale al paleolitico superiore. Viene cavalcata anche da due leader politici, entrambi devotissimi -oltre che a Putin- uno alla Vergine e l’altro a Padre Pio, per il consenso che riscuote tra gli elettori, poiché accantona il dilemma “burro o cannoni”.
Ha scritto Norberto Bobbio: “Pacifismo non è soltanto invocare la pace, pregare per la pace, dare testimonianza di volere la pace […]. Opporre la nonviolenza assoluta in ogni forma, anche la più piccola, di violenza. Offrire l’altra guancia. Meglio morire come Abele che vivere come Caino. Ma non è forse vero che l’impotenza dell’uomo mite finisce per favorire il prepotente?” (“Il problema della guerra e le vie della pace”, il Mulino, 1997). Certo, Bobbio è un filosofo laico, e non fa testo per chi ha fede. Una fede talmente smisurata da dimenticare sistematicamente che il principio “Vim vi repellere licet” (“È lecito respingere la violenza con la violenza”), già presente nel Digesto di Giustiniano (533) e accettato da ogni ordinamento giuridico e da ogni dottrina morale, con una sua interpretazione perfino estensiva è stato accolto nel Catechismo della Chiesa Cattolica: “La legittima difesa, oltre che un diritto, può essere anche un grave dovere per chi è responsabile della vita di altri. La difesa del bene comune esige che si ponga l’ingiusto aggressore in stato di non nuocere” (n.2265).
Purtroppo, quanto afferma il Catechismo viene incredibilmente ignorato da papa Francesco. Un pontefice che dal febbraio 2022 non ha trovato il tempo per visitare la “martoriata Ucraina”, pur essendo stato in Canada, Malta, Kazakistan, Bahrein, Congo, Sudan del Sud, Ungheria, Portogallo, Mongolia, Francia, Indonesia, Papua Nuova Guinea, Timor Est, Singapore e Belgio. Un pontefice il quale non si stanca di ripetere che “la pace non si costruisce con le armi, ma attraverso l’ascolto paziente, il dialogo e la cooperazione, che rimangono gli unici mezzi degni della persona umana per risolvere i conflitti”. Chissà, forse si rivolgeva anzitutto all’autocrate del Cremlino, ma non ne sono molto sicuro.