giovedì 28 febbraio 2019

SULL’ARLESIANA DI VAN GOGH
Estratto da "Storie che danno da pensare"
Robert Walser

  Di fronte a questo quadro viene in mente ogni sorta di pensieri, e svariate domande si impongono spontanee a chi si perda a contemplarlo, domande di tipo così semplice e nello stesso tempo, tuttavia, di tipo così strano e sconcertante che sembra non possa esservi nessuna risposta. Molte domande trovano il loro significato più bello e la risposta più squisita e più fine proprio nel fatto che non abbiano mai risposta. Quando per esempio un innamorato chiede alla sua dama: «Posso avere qualche speranza?» e lei non replica nulla, la mancata risposta equivale in certi casi a uno stupendo sì! E altrettanto avviene in tutte le cose misteriose, in tutte le cose grandi; e qui siamo di fronte a un quadro pieno di misteri, pieno di grandezza, pieno di profonde e belle domande e pieno di risposte altrettanto profonde, sublimi e belle. È un quadro meraviglioso e c’è da rimanere stupefatti che lo abbia potuto dipingere un uomo del diciannovesimo secolo, giacché è dipinto come se fosse opera di un uomo e di un maestro dei primi tempi del cristianesimo. Tanto grandioso quanto semplice, tanto commovente quanto sereno, tanto discreto quanto di estasiante bellezza è il ritratto della donna di Arles che, senza troppi complimenti, uno vorrebbe avvicinarsi a lei con la supplice domanda: «Dimmi, hai sofferto molto?». Ora è il mero ritratto di una donna, ora torna a essere l’immagine del crudele enigma della vita nelle fattezze di colei che ha posato per il pittore e gli è servita da modello.

  Tutto in questo quadro è dipinto con uno stesso amore di cattolica solennità, di inesorabile devozione, serio e severo, la manica come la cuffia, la sedia come gli occhi cerchiati di rosso, la mano come il viso; e il tratto e lo slancio del pennello, misterioso ed energico, pare assolutamente leonino, sicché non ci si può sottrarre all’impressione di qualcosa di titanico. Eppure e sempre, non è nient’altro che l’immagine di una donna presa dalla vita d’ogni giorno, e proprio questa circostanza così misteriosa ne costituisce l’aspetto grandioso, toccante, sconvolgente. Lo sfondo del quadro è come l’ineluttabilità stessa di un duro destino. Qui una persona è dipinta tale quale come essa è, e con l’aspetto di chi da lungo tempo ha dovuto abituarsi a tenere in silenzio per sé tutto ciò che ha provato, in quanto forse si è già dimenticata per metà di tutto, di tutto quanto ha dovuto sopportare, lasciar perdere e superare. Verrebbe voglia di accarezzarle, le guance smagrite di questa... donna sofferente. Il cuore dice che non si dovrebbe stare a capo coperto davanti al dipinto, ma che bisognerebbe togliersi il cappello, come entrando sotto le volte consacrate di una chiesa. E non è curioso forse, e al tempo stesso nient’affatto curioso, che qui a un pittore provato dal destino (perché tale egli fu!) capiti di rappresentare una donna provata dal destino? Deve essergli subito piaciuta in sommo grado, e l’ha dipinta. Costei, trattata crudelmente dal mondo e dalla sorte, e ora forse divenuta essa stessa crudele, fu per lui un’improvvisa, grande esperienza, un’avventura dell’anima. Sembra anche, come ho sentito dire, che l’abbia dipinta più volte.