Vitaliano Brancati
[...]Se noi non ricordassimo, il mondo sarebbe sottilissimo, una lastra priva di spessore, sulla quale fulmineamente stampato, un perpetuo presente attirerebbe su di sé i nostri sguardi stupiti e incantati.
Ma per fortuna noi ricordiamo, e dietro al mondo cosiddetto reale, dietro al mondo che si tocca, vede, sente, odora, il quale è veramente sottile come una lastra priva di spessore, mettiamo quello irreale, o almeno non più esistente, di uno, due, mille momenti prima, e assegniamo in tal modo un volume immaginario a qualcosa che in realtà non lo possiede.[...]
[...]Coloro che, dentro di sé, preservano i ricordi lieti, difendendoli dal pericolo di oscurarsi, corrompersi, dilavarsi, compiono un’opera utile come chi non lascia spegnere il fuoco in un paese privo di fiammiferi e di pietre focaie. Una delle condizioni più misere delle epoche infelici, non è di rimpiangere vanamente la felicità, ma di averla totalmente dimenticata.[...]
Vitaliano Brancati, (I piaceri della memoria. In: I piaceri, Bompiani, 1943).
I Piaceri della memoria si fondano sulla consapevolezza che il mondo cosiddetto reale è una lastra priva di spessore a cui solo la memoria può ridare volume. È la bipolarità ragione-fantasia, verità-finzione, che anima l’universo narrativo del siciliano. Egli si conferma come uno di quegli scrittori che, più vivo hanno il senso della realtà, tanto più acutamente ne percepiscono la limitatezza e l’im perfezione.
Perdere la memoria significa perdere se stessi, e dimenticare il passato vuol dire perdere quei punti di riferimento che ci consentono di imparare, di riparare agli errori compiuti, di migliorare. Le malattie della memoria sono paragonabili a un ladro che penetra nel nostro cervello e ci ruba tutti i ricordi. Per questo Brancati ci dice che «ho l’abitudine di sorvegliare continuamente la mia memoria e contare ogni sera i miei ricordi come l’avaro conta i suoi marenghi».
[...] Ai momenti del passato, così come li ricordiamo, di una felicità pura e tutta ristretta nel cerchio del loro attimo, mancano, per essere veramente quelli che furono, i ricordi del passato remoto e le speranze dell’avvenire, che ne formavano la parte principale. Se fossero stati veramente così come li ricordiamo, concentrati in se stessi, completamente opachi alle trasparenze del tempo precedente, e chiusi a quel prossimo avvenire verso il quale non siamo più disposti a immaginare noi stessi spinti da curiosità o ansia, dato che ormai lo conosciamo, per essere diventato anch’esso un passato; se questi momenti fossero stati così puri e così limitati, la vita sarebbe di una ridicola brevità.[...]
Vitaliano Brancati
(da “Diario romano”, dicembre 1950