lunedì 7 novembre 2022

ANTICHI MAESTRI Thomas Bernhard





ANTICHI MAESTRI 
Thomas Bernhard 

Recensione 
Il libro è una sorta di lungo monologo, in cui, noi conosciamo i pensieri di un personaggio attraverso le parole di un altro personaggio, nello specifico è Atzbacher che parla, ma attraverso di lui parla Reger, indimenticabile burbero chiacchierone ottantaduenne, che confessa:
“Sapere meno di quel che so a questo proposito sarebbe comunque stato meglio, ma con l'età vengono appunto alla luce molte cose non richieste”.
È un modo di esperimersi a cerchi concentrici, Atzbacher-Reger-autore stesso. Reger è l’alter ego di Bernhard, un personaggio solitario e senza speranza, che dopo la morte della moglie fatica a trovare un motivo per andare avanti. La confortante abitudine, coltivata per trent’anni, di andare un giorno sì ed uno no nella sala Bordone del Kunsthistorisches Museum a meditare davanti al quadro di Tintoretto “L’uomo con la barba bianca” torna dopo mesi di totale sconforto.
Bernhard aveva detto (Aut-Aut, 2005): “Il cervello ha bisogno di contrasti”. Dopo aver ridicolizzato grandi capisaldi della musica come Beethoven “il depresso cronico”, quel “ciccione puzzolente di Bach seduto all’organo di San Tommaso” , pittori come Dürer, i cui quadri valgono meno delle cornici, Tiziano, lo stesso Tintoretto e tanti altri, tutti senza essere risparmiati, perchè considerati asserviti allo Stato e alla Chiesa, Reger-Bernhard ammette poi, paradossalmente:
“ è dagli Antichi Maestri che io devo andare per poter continuare a esistere, proprio da quei cosiddetti Antichi Maestri che a dire il vero detesto da tempo, da decenni, infatti non c’è niente che io detesti di più di questi cosiddetti Antichi Maestri del Kunsthistorisches Museum (…)


ANTICHI MAESTRI
 

Pur avendo appuntamento con Reger soltanto per le undici e mezzo al Kunsthistorisches Museum, mi trovai là fin dalle dieci e mezzo per poterlo finalmente osservare, come già da tempo mi ero ripromesso, senza alcun disturbo e da un’angolazione possibilmente ideale, scrive Atzbacher. Poiché di mattina il suo posto riservato è nella cosiddetta Sala Bordone di fronte all’Uomo dalla barba bianca di Tintoretto, sulla panca rivestita di velluto dove ieri, dopo avermi illustrato la sonata chiamata Tempesta, ha continuato la sua conferenza sull’Arte della fuga da prima di Bach fino a dopo Schumann, come lui la definisce, pur non avendo fatto altro, spinto dal suo estro, che parlare di Mozart e non di Bach, io dovetti appostarmi nella cosiddetta Sala Sebastiano; a malincuore fui dunque costretto, per poter osservare Reger davanti all’Uomo dalla barba bianca di Tintoretto, a sorbirmi Tiziano, e mi toccò guardarmelo in piedi, ma questo non era un inconveniente perché, soprattutto quando osservo qualcuno, mi piace di più stare in piedi che seduto, e per tutta la vita ho preferito osservare stando in piedi piuttosto che seduto, e poiché io, guardando appunto dalla Sala Sebastiano nella Sala Bordone e facendo in fin dei conti il miglior uso possibile dei miei occhi, potevo in effetti vedere, senza essere impedito neppure dallo schienale della panca, l’intero profilo di Reger, il quale, avendo ieri senza dubbio assai risentito del brusco calo di temperatura durante la notte precedente, aveva tenuto in testa per tutto il tempo il suo cappello nero, potendo io dunque vedere tutto il fianco sinistro di Reger esposto verso di me, il mio proposito di esaminare finalmente Reger senza alcun disturbo si era felicemente realizzato. Poiché Reger (con addosso un pesante cappotto), appoggiato al bastone che teneva stretto tra le ginocchia, così mi pareva, era completamente immerso nella contemplazione dell’Uomo dalla barba bianca, io non avevo la benché minima ragione di temere che lui mi scoprisse mentre lo guardavo. Il sorvegliante Irrsigler (Jeno!), che Reger conosce bene da ormai più di trent’anni, e con il quale io stesso (da più di vent’anni ormai) ho sempre avuto buoni rapporti, fu avvertito da un mio cenno della mano che volevo finalmente osservare Reger senza essere disturbato, e Irrsigler, che compariva a intervalli regolari come un orologio, si comportò ogni volta come se io non ci fossi e come se anche Reger non ci fosse, mentre lui, Irrsigler, assolvendo il proprio compito teneva d’occhio con il suo solito sguardo, che risulta sgradevole a chiunque non lo conosca, i visitatori della Pinacoteca, i quali, cosa strana in quel sabato, giorno di ingresso gratuito, non erano affatto numerosi. Irrsigler ha il tipico sguardo importuno che inalberano i custodi dei musei per intimorire i visitatori, i quali, com’è noto, sono estremamente maleducati; il suo modo repentino e silenzioso di girare l’angolo e di entrare in una sala qualsiasi per esercitare la sua funzione di vigilanza è in effetti disgustoso per chiunque non lo conosca; nella sua uniforme grigia, mal confezionata ma destinata a durare in eterno, uniforme che chiusa da grossi bottoni neri penzola sul suo corpo magro che pare un attaccapanni, e con in testa il berretto a visiera confezionato con quella stessa stoffa grigia, ricorda più un secondino delle nostre carceri che un custode di opere d’arte al servizio dello Stato. Da quando lo conosco, Irrsigler, pur non essendo malato, è sempre stato pallido in volto, e Reger lo definisce da decenni un morto di Stato che da trentacinque anni presta servizio al Kunsthistorisches Museum. Reger, che frequenta il Kunsthistorisches Museum da più di trentasei anni, conosce Irrsigler fin dal primo giorno della sua entrata in servizio e intrattiene con lui un rapporto di sincera amicizia. Bastò una piccola somma per corrompere Irrsigler e garantirmi per sempre la panca della Sala Bordone, così Reger una volta, diversi anni fa. Reger ha stretto con Irrsigler un rapporto che da ormai più di trent’anni è diventato per entrambi una consuetudine. Quando Reger, come accade non di rado, desidera essere solo mentre osserva l’Uomo dalla barba bianca di Tintoretto, Irrsigler semplicemente chiude ai visitatori la Sala Bordone, semplicemente si piazza sulla soglia e non lascia entrare nessuno. Basta che Reger faccia il solito cenno con la mano perché Irrsigler impedisca a tutti l’accesso alla Sala Bordone, e addirittura, se Reger lo desidera, espella i visitatori che in quel momento si trovano nella Sala Bordone. Irrsigler ha concluso un apprendistato di falegname a Bruck an der Leitha, ma prima ancora di essere promosso lavorante aveva smesso di fare il falegname per diventare poliziotto. La polizia ha però scartato Irrsigler a causa della sua inidoneità fisica. A quel punto uno zio, fratello di sua madre, custode al Kunsthistorisches Museum già dal Ventiquattro, gli ha procurato il posto al Kunsthistorisches Museum, il posto più sottopagato ma anche più sicuro che ci sia, come dice Irrsigler. E Irrsigler aveva desiderato entrare nella polizia solo perché, col mestiere di poliziotto, gli pareva risolto il problema dell’abbigliamento. Infilarsi per tutta la vita la stessa uniforme, e non dover neppure pagare questa uniforme che dura una vita, perché lo Stato te la mette a disposizione, gli era sembrata una soluzione ideale, come pensava anche lo zio che lo aveva fatto entrare al Kunsthistorisches Museum, e in relazione a questo ideale non c’era differenza tra l’impiego nella polizia e quello al Kunsthistorisches Museum, certo la polizia pagava di più e il Kunsthistorisches Museum di meno, ma d’altro canto non si poteva paragonare l’impiego al Kunsthistorisches Museum con quello nella polizia, un impiego di maggiore responsabilità ma anche più facile di quello al Kunsthistorisches Museum lui, Irrsigler, non riusciva davvero a immaginarlo. In polizia uno mette ogni giorno a repentaglio la propria vita, così Irrsigler, con un impiego al Kunsthistorisches Museum no. Quanto alla monotonia del lavoro, non era un problema, dato che lui amava quella monotonia. Faceva a piedi quaranta, cinquanta chilometri al giorno, il che giovava alla sua salute più che l’attività che avrebbe svolto nella polizia, per esempio, dove l’occupazione principale consiste nello stare seduti sul duro sgabello di una cancelleria per tutta la vita. Preferiva pedinare i visitatori del museo piuttosto che le persone normali, perché i visitatori dei musei sono comunque persone di un certo livello, e dotate di senso artistico. Quanto a lui, questo senso artistico l’aveva col tempo acquisito, e ormai era in grado di guidare in qualsiasi momento una visita attraverso il Kunsthistorisches Museum, almeno attraverso la Pinacoteca, dice, sebbene non sia una cosa di cui sente il bisogno. La gente non afferra assolutamente quello che le viene detto, dice. Sono decenni che le guide dei musei dicono le stesse cose, tra le quali naturalmente moltissime sciocchezze, come dice il signor Reger, dice Irrsigler a me. Gli storici dell’arte non fanno altro che sommergere i visitatori con le loro chiacchiere, dice Irrsigler, il quale con l’andare del tempo ha fatto proprie parola per parola molte, se non tutte, le frasi di Reger. Irrsigler è il portavoce di Reger, quasi tutto ciò che Irrsigler dice lo ha già detto Reger, da più di trent’anni Irrsigler parla ripetendo alla lettera ciò che ha detto Reger. Se prestiamo ascolto alle guide, sentiamo esclusivamente le solite chiacchiere sull’arte che ci danno ai nervi, le chiacchiere insopportabili degli storici dell’arte, così dice Irrsigler perché Reger lo dice molto spesso. Tutti questi dipinti sono formidabili ma nessuno è perfetto, così Irrsigler, basandosi su Reger. La gente, si sa, va nei musei unicamente perché le è stato detto che una persona di cultura deve visitare i musei, non per interesse, la gente non ha alcun interesse per l’arte, in ogni caso il novantanove per cento dell’umanità non ha per l’arte il benché minimo interesse, così Irrsigler, basandosi su Reger parola per parola. Lui, Irrsigler, aveva avuto un’infanzia difficile, una madre malata di cancro morta a soli quarantasei anni, un padre infedele, perennemente ubriaco. E come se non bastasse, Bruck an der Leitha è un brutto villaggio, come la maggior parte dei villaggi del Burgenland. Se appena uno può se ne va via dal Burgenland, dice Irrsigler, ma perlopiù la gente non può andarsene via, la gente è perlopiù condannata al Burgenland per tutta la vita, il che è atroce almeno quanto il carcere a vita di Stein an der Donau. Gli abitanti del Burgenland sono dei detenuti, dice Irrsigler, il loro paese d’origine è un penitenziario. Si ostinano a pensare che il loro sia un bel paese, ma in realtà il Burgenland è brutto e squallido. D’inverno gli abitanti del Burgenland sono sommersi dalla neve e d’estate divorati dalle zanzare. E in primavera e in autunno gli abitanti del Burgenland non fanno altro che stare a mollo nella propria sporcizia. In tutta Europa non c’è paese più povero e più sporco, così Irrsigler. I viennesi cercano continuamente di convincere gli abitanti del Burgenland che il Burgenland è un bel paese, essendo i viennesi innamorati della sporcizia del Burgenland e anche dell’ottusità del Burgenland, perché secondo loro questa sporcizia del Burgenland e questa ottusità del Burgenland sono romantiche, e perché, da buoni viennesi, i viennesi sono perversi. D’altronde il Burgenland, a parte il signor Haydn, come dice il signor Reger, non ha prodotto nulla, così Irrsigler. Del resto, vengo dal Burgenland, non vuol dire altro che vengo dal penitenziario dell’Austria. Oppure dal manicomio dell’Austria, così Irrsigler. Gli abitanti del Burgenland vanno a Vienna come si va in chiesa, diceva. Il più grande desiderio dell’abitante del Burgenland è quello di entrare nella polizia viennese, così diceva un paio di giorni fa, ma io non ci sono riuscito perché ero troppo debole, per inidoneità fisica. Eppure sono custode al Kunsthistorisches Museum, nonché dipendente statale. La sera dopo le sei, diceva, non metto sotto chiave delinquenti ma opere d’arte, metto sotto chiave il Rubens e il Bellotto. Tutti in famiglia avevano invidiato suo zio, che era entrato in servizio al Kunsthistorisches Museum subito dopo la prima guerra mondiale. Quando andavano a trovarlo al Kunsthistorisches Museum, una volta ogni due o tre anni, nei giorni di ingresso gratuito, il sabato o la domenica, i suoi lo seguivano, completamente smarriti, attraverso le sale dei Grandi Maestri e ammiravano senza sosta la sua uniforme. Naturalmente suo zio era diventato capo custode in brevissimo tempo e portava la stella di ottone sul bavero dell’uniforme, così Irrsigler. Tanta era la deferenza e l’ammirazione dei familiari, quando Irrsigler li accompagnava per le sale, che essi non capivano niente di quello che lui diceva. D’altronde non avrebbe avuto senso spiegar loro il Veronese, così Irrsigler un paio di giorni fa. I figli di mia sorella guardavano rapiti le mie scarpe morbide, così Irrsigler, mia sorella si è fermata davanti al Reni, proprio davanti al Reni che è il più volgare di tutti i pittori che sono qui esposti. Reger detesta il Reni, e quindi anche Irrsigler detesta il Reni. Irrsigler ha ormai acquisito una notevole maestria nell’appropriarsi delle frasi di Reger, arriva addirittura a pronunciarle quasi perfettamente nel caratteristico tono regeriano, penso. Mia sorella viene a visitare me, non il museo, diceva Irrsigler. Mia sorella non ha il minimo interesse per l’arte. I suoi figli invece, quando li accompagno attraverso le sale, guardano incantati tutto quello che vedono. Davanti al Velazquez poi rimangono impalati e non vogliono più venir via, diceva Irrsigler. Una volta il signor Reger ha invitato me e la mia famiglia al Prater, diceva Irrsigler, il signor Reger, nella sua generosità, una domenica sera. Quand’era ancora viva sua moglie, diceva Irrsigler. Io ero lì in piedi, e osservavo Reger che era tuttora assorto, come si suol dire, nella contemplazione dell’Uomo dalla barba bianca di Tintoretto, e contemporaneamente vedevo Irrsigler che non si trovava affatto nella Sala Bordone mentre mi raccontava alcuni episodi della sua vita, vedevo dunque con Irrsigler le immagini della scorsa settimana, e contemporaneamente Reger che sedeva sulla panca rivestita di velluto e che, com’è naturale, non mi aveva ancora notato. Irrsigler diceva che fin da piccolo la sua massima aspirazione era stata quella di entrare nella polizia viennese, di diventare una guardia. Non aveva mai desiderato esercitare un’altra professione. Quando alla Rossauerkaserne gli avevano certificato quella inidoneità fisica, aveva allora ventitré anni, gli era in effetti crollato il mondo addosso. Ma poi, in quella situazione senza via di uscita, suo zio gli aveva procurato il posto di custode al Kunsthistorisches Museum. Giunto a Vienna con una piccola cartella sdrucita e nient’altro, suo zio lo aveva ospitato in casa propria per quattro settimane, poi lui, Irrsigler, si era trasferito in una stanza in subaffitto sulla Mölkerbastei. In quella stanza in subaffitto aveva abitato per dodici anni. Nei primi anni non aveva visto assolutamente niente di Vienna, andava al Kunsthistorisches Museum già al mattino verso le sette, e la sera tornava a casa dopo le sei, i suoi pranzi consistevano in quegli anni sempre e soltanto di un panino col würstel oppure col formaggio e lui li consumava in un piccolo spogliatoio dietro il guardaroba bevendoci sopra un bicchiere d’acqua del rubinetto. La gente del Burgenland ha esigenze modestissime, io stesso in gioventù ho lavorato diverse volte nei cantieri con gente del Burgenland e ho abitato diverse volte nelle baracche con gente del Burgenland, e so quanto siano modeste le esigenze della gente del Burgenland, che si accontenta dello stretto indispensabile e alla fine del mese arriva a risparmiare fino all’ottanta per cento del proprio salario, o anche di più. Mentre esaminavo Reger, osservandolo fra l’altro con grande attenzione, come mai lo avevo osservato prima di allora, vedevo Irrsigler che una settimana prima lo stava ad ascoltare in piedi con me nella Sala Batoni. Il marito di una delle sue bisnonne era originario del Tirolo, di qui il nome Irrsigler. La più giovane delle sue due sorelle era emigrata in America già negli anni Sessanta con un lavorante parrucchiere di Mattersburg e lì era morta di crepacuore a trentacinque anni. Aveva poi tre fratelli che adesso vivevano tutti nel Burgenland e lavoravano come braccianti. Due di loro erano venuti a Vienna come lui per entrare nella polizia, ma non erano stati ammessi. E per prestare servizio al museo, si sa che è indispensabile una certa intelligenza. Da Reger aveva imparato molto. Alcuni dicono che Reger sia pazzo, diceva, perché solo un pazzo può recarsi per decenni un giorno sì e un giorno no, il lunedì escluso, alla Pinacoteca del Kunsthistorisches Museum, ma lui non ci credeva, il signor Reger è un uomo intelligente e colto, così Irrsigler. Certo, avevo detto io a Irrsigler, il signor Reger non è soltanto un uomo intelligente e colto, è anche un uomo famoso, non dimentichiamo che ha studiato musica a Lipsia e a Vienna, che ha scritto le critiche musicali per il Times e che ancora oggi scrive per il Times, dissi. Non è un qualsiasi imbrattacarte, dissi, non è un fanfarone, è un musicologo nel senso più proprio di questo termine, e con tutto il rigore delle grandi personalità. Non c’è paragone tra Reger e tutti quei fanfaroni delle cronache musicali che ogni giorno schiccherano le loro luride chiacchiere sui nostri quotidiani. Reger è un vero e proprio filosofo, ho detto a Irrsigler, è filosofo nel senso più puro di questo termine. Reger da più di trent’anni scrive le sue critiche per il Times, quei suoi brevi saggi di filosofia della musica che di sicuro un giorno saranno raccolti e pubblicati in volume. Questa sua frequentazione del Kunsthistorisches Museum è senz’altro una delle condizioni imprescindibili perché Reger possa scrivere per il Times così come scrive per il Times, dissi a Irrsigler, e a me non importava affatto che Irrsigler mi avesse capito oppure no, probabilmente Irrsigler non ha capito niente, pensavo, e così penso anche adesso. In Austria non lo sa nessuno che Reger scrive le sue critiche musicali per il Times, lo sapranno tutt’al più un paio di persone, dissi a Irrsigler. Potrei anche dire che Reger è un filosofo in proprio, dissi a Irrsigler, senza curarmi del fatto che dirlo a Irrsigler era un’idiozia. Al Kunsthistorisches Museum Reger trova quello che non trova da nessun’altra parte, dissi a Irrsigler, tutte cose importanti, tutte cose utili al suo pensiero e al suo lavoro. La gente può anche definire folle il comportamento di Reger ma non è così, dissi a Irrsigler, qui a Vienna e in Austria di Reger neanche ci si accorge, dissi a Irrsigler, ma a Londra e in Inghilterra, e persino negli Stati Uniti, si sa chi è Reger, di quale eccezionale ingegno sia dotato, dissi a Irrsigler. E non dimentichi che qui, al Kunsthistorisches Museum, c’è tutto l’anno la temperatura ideale di diciotto gradi centigradi, dissi ancora a Irrsigler. Irrsigler si limitò a un cenno affermativo con la testa. Reger è un uomo che gode di altissima considerazione in tutto il mondo della musicologia, dissi ieri a Irrsigler, soltanto qui, nel suo paese d’origine, nessuno ha interesse per lui, anzi proprio qui, dove Reger è di casa, lui, che pure nel suo campo si è lasciato alle spalle tutti gli altri, tutto quel rivoltante becerume provinciale, Reger è odiato, Reger nell’Austria, che è il suo paese, è niente meno che odiato, dissi a Irrsigler. Un genio come Reger qui è odiato, dissi a Irrsigler, senza preoccuparmi del fatto che Irrsigler non capiva minimamente che cosa io intendessi nel momento in cui gli dicevo che un genio come Reger qui è odiato, e senza chiedermi se davvero era giusto parlare di Reger come di un genio, un genio come scienziato e forse addirittura come uomo, pensai, un genio Reger lo è senz’altro. Il genio e l’Austria non sono compatibili, dissi. In Austria, per aver diritto di parola ed essere presi sul serio, bisogna appartenere alla mediocrità, bisogna essere dotati della sciatteria e dell’ipocrisia dei provinciali, bisogna avere un cervello fatto su misura per un piccolo Stato. Qui un genio, o anche solo uno spirito fuori del comune, presto o tardi viene fatto fuori in maniera infamante, dissi a Irrsigler. Solo individui come Reger, che in questo atroce paese si contano sulle dita di una mano, possono resistere allo stato di umiliazione e di odio, di oppressione e di indifferenza, di generale volgarità nemica dello spirito che qui, in Austria, regna ovunque sovrana, solo individui come Reger, persone dotate di un carattere splendido e di un intelletto veramente acuto e incorruttibile. Benché il signor Reger non abbia affatto un pessimo rapporto con la direttrice del museo, e anzi conosca bene questa direttrice, dissi a Irrsigler, non gli sarebbe mai passato per la testa di chiedere alla direttrice un favore che riguardasse lui in relazione al museo. Proprio quando il signor Reger si era proposto di informare la direzione, vale a dire la direttrice, del cattivo stato dei rivestimenti delle panche nelle sale, e magari di sollecitarla a far rinnovare quei rivestimenti delle panche, le panche furono rivestite a nuovo; e con grande buon gusto, dissi a Irrsigler. Non credo, dissi a Irrsigler, che la direzione del Kunsthistorisches Museum sia al corrente del fatto che il signor Reger da più di trent’anni viene qui al museo un giorno sì e un giorno no per prendere posto sulla panca della Sala Bordone, questo no, non lo credo proprio. Del resto la direttrice ne avrebbe senz’altro parlato nel corso di uno degli incontri che Reger ha avuto con lei, ma che io sappia la direttrice non è informata, perché il signor Reger non ne ha mai parlato e perché lei, signor Irrsigler, ha sempre taciuto al riguardo, perché è desiderio del signor Reger che lei taccia il fatto che Reger da più di trent’anni, un giorno sì e un giorno no, il lunedì escluso, frequenta il Kunsthistorisches Museum. La discrezione è la sua grande forza, ho detto a Irrsigler, pensai, e intanto guardavo Reger che guardava l’Uomo dalla barba bianca di Tintoretto, il quale a sua volta veniva tenuto d’occhio da Irrsigler. Reger è una persona fuori del comune, e con le persone fuori del comune bisogna andarci cauti, ho detto ieri a Irrsigler. Che noi, ovvero Reger e io, si venga al museo per due giorni consecutivi, è impensabile, ho detto ieri a Irrsigler, eppure sono tornato al museo proprio oggi perché questo era il desiderio di Reger, non so per quale ragione Reger si trovi oggi qui, pensai, ma presto lo saprò. Anche Irrsigler era molto stupito quando oggi mi ha visto qui, soltanto ieri infatti gli avevo detto che era escluso che io venissi al Kunsthistorisches Museum per due giorni consecutivi, così come finora era escluso che lo facesse Reger. E adesso sia Reger sia io ci troviamo di nuovo entrambi al Kunsthistorisches Museum, dove ieri eravamo già venuti. Questo, pensai allora, deve avere, così penso, irritato Irrsigler. Che forse è possibile sbagliarsi una volta, pensai, e quindi venire al Kunsthistorisches Museum un giorno, e poi il giorno immediatamente successivo, ma, riflettei, può accadere eventualmente che si sbagli soltanto Reger a venire, oppure che mi sbagli soltanto io, mentre non è certo possibile che Reger e io ci sbagliamo a venire entrambi. Reger ieri mi ha detto testualmente, venga qui domani, mi pare ancora di sentirlo, Reger, mentre lo diceva. Ma naturalmente Irrsigler non ha sentito niente di tutto questo, non ne sapeva niente e, com’è naturale, si è meravigliato che oggi Reger e io fossimo di nuovo al museo. Se Reger ieri non mi avesse detto, venga qui domani, io oggi non sarei venuto al Kunsthistorisches Museum, probabilmente ci sarei venuto soltanto la settimana prossima, perché a differenza di Reger, che effettivamente ormai da decenni viene al Kunsthistorisches Museum un giorno sì e un giorno no, io non vengo un giorno sì e un giorno no al Kunsthistorisches Museum, ci vengo soltanto quando mi pare e piace. E se poi voglio incontrare Reger non necessariamente devo venire al Kunsthistorisches Museum, basta che mi rechi all’Hotel Ambassador, dove lui va sempre dopo aver lasciato il Kunsthistorisches Museum. All’Ambassador posso incontrare Reger ogni giorno, se ne ho voglia. All’Ambassador Reger ha il suo tavolo d’angolo vicino alla finestra, accanto al cosiddetto tavolo degli ebrei, che, guardando dal tavolo di Reger verso la porta dell’atrio, si trova di fronte al tavolo degli ungheresi, che a sua volta si trova dietro il tavolo degli arabi. Io naturalmente vado molto più volentieri all’Ambassador che al Kunsthistorisches Museum, ma quando mi è impossibile aspettare che Reger arrivi all’Ambassador, vado già verso le undici al Kunsthistorisches Museum per incontrare lui, che è il mio padre spirituale. Reger la mattinata la trascorre al Kunsthistorisches Museum, il pomeriggio all’Ambassador, verso le dieci e mezzo va al Kunsthistorisches Museum, verso le due e mezzo all’Ambassador. Fino all’ora di pranzo gli piace la temperatura di diciotto gradi del Kunsthistorisches Museum, di pomeriggio si sente meglio al caldo dell’Ambassador, dove c’è una temperatura costante di ventitré gradi. Di pomeriggio non rifletto più così volentieri e così intensamente, dice Reger, e quindi mi posso concedere l’Ambassador.

Il Kunsthistorisches Museum è il mio luogo di produzione intellettuale, così lui, l’Ambassador è, per così dire, il depuratore delle mie idee. Al Kunsthistorisches Museum mi sento in balia degli eventi, all’Ambassador sono al sicuro, così lui. E’ di questa contrapposizione, Kunsthistorisches Museum-Ambassador, che il mio pensiero necessita più che di ogni altra cosa, da un lato sentirmi in balia degli eventi, dall’altro al sicuro, l’atmosfera del Kunsthistorisches Museum da un lato e l’atmosfera dell’Ambassador dall’altro, sentirmi da un lato in balia degli eventi, dall’altro al sicuro, caro il mio Atzbacher; il segreto del mio modo di pensare sta nel trascorrere la mattinata al Kunsthistorisches Museum e il pomeriggio all’Ambassador. Non esiste infatti contrasto più grande di quello che c’è tra il Kunsthistorisches Museum, o meglio la Pinacoteca del Kunsthistorisches Museum, e l’Hotel Ambassador. Ho fatto in modo che il Kunsthistorisches Museum diventasse una consuetudine per il mio intelletto, e così pure l’Ambassador, diceva. La qualità delle mie critiche sul Times, al quale collaboro ormai da trentaquattro anni, diceva, dipende infatti dalla mia abitudine di frequentare il Kunsthistorisches Museum e l’Ambassador, il Kunsthistorisches Museum di mattina un giorno sì e un giorno no, l’Ambassador di pomeriggio tutti i giorni. Solamente quest’abitudine mi ha salvato dopo la morte di mia moglie. Senza quest’abitudine, caro il mio Atzbacher, sarei già morto anch’io, diceva ieri Reger. Ogni essere umano ha bisogno, diceva, di un’abitudine come questa per sopravvivere. E foss’anche la più folle delle abitudini, egli ne ha bisogno. Le condizioni di Reger sembrano migliorate, ha ripreso a parlare come parlava prima che morisse sua moglie. E’ vero che lui dice di aver superato, adesso, il cosiddetto punto morto, ma in ogni caso soffrirà vita natural durante per il fatto di essere stato lasciato solo da sua moglie. Continua a ripetere di aver vissuto per tutta la vita nell’errore, pensando che sarebbe stato lui a lasciarsi alle spalle sua moglie, che sarebbe morto prima lui di lei, e dato che la morte di lei era sopraggiunta così all’improvviso, ancora due giorni prima che lei morisse lui era fermamente convinto che lei gli sarebbe sopravvissuta; lei era la sana, io l’ammalato, e così abbiamo sempre vissuto in questa convinzione e in questa fede, diceva. Nessun essere umano è stato mai così sano come mia moglie, lei ha vissuto tutta la sua vita in buona salute, mentre io ho trascorso tutta un’esistenza all’ombra della malattia, addirittura un’esistenza all’ombra della malattia mortale, diceva. Lei era la sana, lei era il futuro, mentre io sono sempre stato il malato, io ero il passato, diceva. Non si era mai reso conto che un giorno sarebbe forse stato costretto a vivere senza sua moglie e solo a tutti gli effetti, l’idea non mi aveva mai sfiorato la mente, così lui. E se proprio dovesse succedere che lei muore prima di me, io di sicuro la seguo al più presto nella tomba, aveva sempre pensato. Adesso da un lato doveva prendere atto dell’errore commesso pensando che lei sarebbe morta dopo di lui, dall’altro farsi una ragione del fatto di non essersi tolto la vita dopo la morte di lei, e quindi di non averla seguita nella tomba come si era proposto. Poiché ho sempre saputo che lei per me era tutto, non riuscivo, com’è naturale, a pensare a un’esistenza dopo di lei, caro il mio Atzbacher, diceva. Per questa mia umana debolezza, ancorché indegna di un essere umano, per questa mia vigliaccheria non l’ho seguita nella tomba, diceva, per questo non mi sono tolto la vita dopo la sua morte, e adesso al contrario, a quanto mi sembra (così lui ieri!), sono diventato più forte, negli ultimi tempi, a volte, mi pare di essere più forte che mai. Adesso, che lei ci creda o no, alla mia vita sono ancora più attaccato di prima, mi sono in effetti aggrappato alla vita con un entusiasmo senza pari, così lui ieri. Non voglio prenderne atto, ma vivo con una intensità ancora più grande di come vivevo prima della morte di lei. Certo mi ci è voluto più di un anno per riuscire anche soltanto a concepire questo pensiero, ma ora concepisco questo pensiero con estrema disinvoltura, così lui. Ciò che più mi affligge è in realtà il fatto che una persona ricettiva come mia moglie sia morta con tutto l’enorme sapere che io le ho trasmesso, e che perciò si sia portata nella tomba tutto quell’enorme sapere, il che è una enormità ben più enorme ancora dell’altra enormità, e cioè del fatto che lei è morta, così lui. Introduciamo e cacciamo a forza tutto il nostro sapere in un simile essere umano, e questo essere umano ci abbandona, ci sfugge per sempre nella morte, così lui. E inoltre c’è anche l’imprevisto, il fatto di non aver presagito la morte di quella persona, non c’è stato un solo momento in cui io abbia presagito la morte di mia moglie, ero convinto che avrebbe vissuto in eterno, non ho mai pensato alla sua morte, diceva lui, consideravo mia moglie come se in effetti vivesse in quanto essere infinito col mio sapere fino all’infinità, così lui. Una morte, la sua, davvero precipitosa. Ci prendiamo un essere umano come quello per l’eternità, questo è l’errore. Se avessi saputo che mi sarebbe sfuggita nella morte mi sarei comportato in modo completamente diverso, e invece così, non sapendo che mi sarebbe sfuggita nella morte, che mi avrebbe preceduto nella morte, mi sono comportato in modo del tutto insensato, come se la sua esistenza avesse dovuto protrarsi infinitamente nell’infinito, mentre lei, assolutamente, non era fatta per l’infinito, era fatta per la finitezza, come noi tutti. Solo quando amiamo un essere umano di un amore così incontenibile come è capitato a me di amare mia moglie, crediamo in effetti che quell’essere umano vivrà in eterno, che si protrarrà all’infinito. Non è mai capitato che Reger, seduto sulla panca della Sala Bordone, portasse il cappello in testa, e se mi inquietava il fatto che mi avesse fissato per oggi l’appuntamento al museo, perché quella era davvero una cosa stranissima, così pensai, certo non era meno strano il fatto che lui avesse tenuto il cappello in testa sulla panca della Sala Bordone, senza poi considerare tutta una serie di altre stranezze legate a questa circostanza. Irrsigler era entrato nella Sala Bordone e, avvicinandosi a Reger, gli aveva sussurrato qualcosa all’orecchio, per poi uscire subito dopo dalla Sala Bordone. Ma il messaggio di Irrsigler, almeno vedendo la cosa da fuori, non aveva sortito su Reger il benché minimo effetto, dopo il messaggio di Irrsigler Reger era rimasto a sedere sulla panca esattamente come prima di aver ricevuto il messaggio di Irrsigler. Io comunque mi lambiccavo il cervello su che cosa Irrsigler potesse mai aver detto a Reger. Poi però smisi subito di pensare a quello che Irrsigler poteva aver detto a Reger, e osservai Reger, e intanto sentivo che lui mi diceva: la gente va al Kunsthistorisches Museum per darsi un tono, per nessun’altra ragione, vengono fino a Vienna addirittura dalla Spagna e dal Portogallo, e vanno al Kunsthistorisches Museum per poter dire a casa, in Spagna e in Portogallo, che sono stati a Vienna, al Kunsthistorisches Museum, cosa ridicola, peraltro, perché il Kunsthistorisches Museum non è il Prado e non è neanche il Museo di Lisbona, il Kunsthistorisches Museum è tutta un’altra cosa. Il Kunsthistorisches Museum non ha neanche un Goya e neanche un El Greco. Vedevo Reger e lo osservavo e nello stesso tempo sentivo ciò che mi aveva detto il giorno prima. Il Kunsthistorisches Museum non ha neanche un Goya e neanche un El Greco. Naturalmente di El Greco si può benissimo fare a meno, perché El Greco non è un vero grande, non è un pittore di prim’ordine, diceva Reger, ma non avere neppure un Goya per un museo come il Kunsthistorisches Museum, è veramente micidiale.

Non avere neanche un Goya, diceva, è tipico degli Asburgo, che del resto, come lei sa, non avevano sensibilità per le arti figurative, avevano, sì, orecchio musicale, ma nessuna sensibilità per le arti figurative. Beethoven lo ascoltavano ma Goya non lo guardavano. Goya non lo volevano. A Beethoven avevano concesso la libertà che si dà ai buffoni perché la musica, per loro, non rappresentava un pericolo, a Goya invece non diedero neppure il permesso di metter piede in Austria. Ma sì, gli Asburgo hanno in campo artistico lo stesso discutibile cattivo gusto cattolico che regna sovrano in questo museo. Il Kunsthistorisches Museum rispecchia alla perfezione il discutibile cattivo gusto artistico degli Asburgo, quel loro ripugnante gusto estetizzante. Cosa non riusciamo a dire alle persone di cui non ci importa assolutamente nulla, diceva, solo perché ci serve un pubblico. Ci serve un pubblico e un portavoce, diceva. Per tutta la vita desideriamo il portavoce ideale e non lo troviamo, perché il portavoce ideale non esiste. Abbiamo un Irrsigler, diceva, eppure siamo tutto il tempo alla ricerca di un Irrsigler, dell’Irrsigler ideale. Trasformiamo una persona estremamente semplice nel nostro portavoce e quando abbiamo trasformato questa persona estremamente semplice nel nostro portavoce, cerchiamo un altro portavoce, un’altra persona che si adatti a fungere da nostro portavoce, diceva. Ora che mia moglie è morta, se non altro mi rimane Irrsigler, diceva. Come tutti gli abitanti del Burgenland, diceva Reger, Irrsigler non era nient’altro che un imbecille del Burgenland prima di incontrare me. Ci serve un imbecille che funga da portavoce.

Un imbecille del Burgenland è un portavoce adatto da ogni punto di vista, diceva Reger. Cerchi di non fraintendere, io apprezzo Irrsigler, adesso ho addirittura bisogno di lui come del pane, ne ho avuto bisogno per decenni, ma soltanto un imbecille come Irrsigler può essere utilizzato come portavoce, diceva ieri Reger. Naturalmente un imbecille come lui lo sfruttiamo in quanto essere umano, ma d’altra parte è proprio sfruttandolo che facciamo di un simile imbecille un essere umano, trasformandolo nel nostro portavoce e cacciandogli in testa i nostri pensieri, di un imbecille del Burgenland com’era Irrsigler facciamo, sia pure all’inizio non senza brutalità, un essere umano del Burgenland. Irrsigler infatti, prima di imbattersi in me, non aveva nessuna idea della musica, per esempio, non aveva idea di nessun genere artistico, in fondo non aveva idea di niente, neppure della propria imbecillità. Adesso Irrsigler è molto più in gamba di questi tromboni di storici dell’arte, che vengono al Kunsthistorisches Museum giorno dopo giorno e rintronano le orecchie della gente con le loro scemenze sulla storia dell’arte. Irrsigler è molto più in gamba di questi parolai della storia dell’arte che a forza di chiacchiere distruggono per la vita le dozzine di scolaresche che ogni giorno spingono innanzi per le sale del museo. Gli storici dell’arte, diceva Reger, sono i veri e propri devastatori dell’arte. Gli storici dell’arte raccontano sull’arte una gran quantità di chiacchiere finché non uccidono l’arte a forza di chiacchiere. L’arte viene uccisa dalle chiacchiere degli storici dell’arte. Santo cielo, penso spesso qui seduto sulla panca quando gli storici dell’arte mi passano accanto spingendo innanzi quelle greggi di sprovveduti, che peccato per questi esseri umani ai quali gli storici dell’arte, diceva Reger, fanno passare per sempre, una volta per tutte, ogni gusto per l’arte. Il mestiere dello storico dell’arte è il peggiore che esista, e uno storico dell’arte parolaio, ma gli storici dell’arte sono tutti parolai, merita di essere cacciato a colpi di frusta, cacciato via dal mondo dell’arte, diceva Reger, tutti gli storici dell’arte meriterebbero di essere cacciati via dal mondo dell’arte perché sono proprio gli storici dell’arte che annientano l’arte, e noi non dovremmo permettere che l’arte venga annientata dagli storici dell’arte. Se stiamo ad ascoltare uno storico dell’arte ci viene la nausea, diceva Reger, se stiamo ad ascoltare uno storico dell’arte vediamo come l’arte che quello insozza con le sue chiacchiere viene annientata, grazie alle chiacchiere dello storico dell’arte l’arte s’immiserisce e viene annientata. Migliaia, addirittura decine di migliaia di storici dell’arte tempestano l’arte di chiacchiere e l’annientano, diceva. Gli storici dell’arte sono i veri uccisori dell’arte, se stiamo ad ascoltare uno storico dell’arte prendiamo parte all’annientamento dell’arte, dove spunta uno storico dell’arte, l’arte viene annientata, la verità è questa. Perciò nella mia vita ho raramente odiato di un odio più profondo di quello che ho provato nei confronti degli storici dell’arte, diceva Reger. Stare a sentire Irrsigler quando illustra un quadro a un profano è una vera gioia, diceva Reger, perché lui, quando si tratta di illustrare un’opera d’arte, non sommerge di chiacchiere il suo ascoltatore, non è un parolaio, non è nient’altro che il modesto informatore e relatore che lascia l’opera d’arte aperta per colui che la sta osservando, che non gliela chiude a forza di chiacchiere. Ho insegnato io a Irrsigler, nel corso dei decenni, come va illustrata un’opera d’arte in quanto oggetto di osservazione. E naturalmente tutto quello che dice Irrsigler deriva da me, diceva poi Reger, lui com’è ovvio non ha niente di originale da dire, ma ciò che di meglio viene dalla mia mente, anche se imparato a memoria, può all’occorrenza risultare utile. Le cosiddette arti figurative sono della massima utilità per un musicologo come me, diceva Reger, e io, più mi sono concentrato sulla musicologia, e anzi più mi sono fissato sulla musicologia, tanto più insistentemente mi sono occupato delle cosiddette arti figurative; viceversa, penso che per un pittore, ad esempio, sia molto vantaggioso dedicarsi alla musica, e che se uno ha deciso di dipingere per tutta la vita, così pure per tutta la vita sarà per lui vantaggioso dedicarsi agli studi musicali. L’arte figurativa completa meravigliosamente quella musicale e l’una, diceva, ha sempre un effetto positivo sull’altra. Francamente non potrei concepire i miei studi di musicologia senza l’interesse per le cosiddette arti figurative, la pittura in particolare, diceva. Proprio per questo mi riesce così bene il mestiere di musicologo, perché nello stesso tempo e con pari entusiasmo, e soprattutto con pari intensità, io mi occupo di pittura. Non per niente da più di trent’anni vengo al Kunsthistorisches Museum. Altri vanno all’osteria di primo mattino e bevono tre o quattro boccali di birra, io vengo qui, invece, mi siedo e osservo il Tintoretto. Lei pensa certo che sia una follia, e forse ha ragione, ma io non posso fare diversamente. Per qualcuno la più cara e pluridecennale abitudine consiste nell’andare a bere i suoi due o tre boccali di birra in una di quelle bettole aperte al mattino, io vado al Kunsthistorisches Museum. C’è chi, per poter affrontare la giornata, si immerge verso le undici del mattino nella vasca da bagno, io vado al Kunsthistorisches Museum. E se poi abbiamo anche un Irrsigler siamo a cavallo, diceva Reger. In effetti non c’è nulla che fin dall’infanzia io abbia detestato più dei musei, diceva, io per natura sono uno che detesta i musei, eppure, forse proprio per questo, da più di trent’anni vengo qui dentro, mi concedo questa assurdità senza dubbio indispensabile al mio intelletto. Come lei sa io non vado nella Sala Bordone per Bordone, e neanche ci vado per Tintoretto, anche se in effetti considero l’Uomo dalla barba bianca uno dei quadri più straordinari che mai siano stati dipinti, nella Sala Bordone io ci vado per via di questa panca e per l’influenza ideale di questa luce sul mio temperamento, in effetti io vado nella Sala Bordone per la temperatura ideale che vi regna, e anche per Irrsigler, che solo nella Sala Bordone è l’Irrsigler ideale. E in verità non ce la farei mai a stare, per esempio, in prossimità di Velazquez. Per non parlare di Rigaud e di Largilliere, che fuggo come la peste. E’ qui, nella Sala Bordone, che la meditazione mi riesce meglio, e se qualche volta mi venisse voglia di leggere qualcosa qui sulla panca, il mio amato Montaigne, per esempio, o il mio forse ancor più amato Pascal, o il mio amatissimo Voltaire, come vede gli scrittori che io amo sono tutti francesi, neppure un tedesco, qui potrei farlo nel modo più piacevole e più fruttuoso. La Sala Bordone è la mia sala di riflessione e di lettura. E se qualche volta mi vien voglia di bere un sorso d’acqua, Irrsigler me ne porta un bicchiere, non devo neppure alzarmi. A volte la gente mi guarda sorpresa quando vede che io qui, seduto sulla panca, leggo il mio Voltaire e per di più bevo un bicchiere d’acqua fresca, si meravigliano, scuotono il capo e se ne vanno, ritenendomi probabilmente un individuo a cui lo Stato ha concesso la libertà che si dà ai buffoni. Sono anni ormai che a casa non leggo più un libro, mentre qui nella Sala Bordone ho già letto centinaia di libri, il che non significa però che qui nella Sala Bordone io abbia letto da cima a fondo tutti questi libri, io in vita mia non ho mai letto un solo libro da cima a fondo, il mio modo di leggere è quello di uno sfogliatore di grande talento, cioè di un uomo che preferisce sfogliare piuttosto che leggere, e che perciò sfoglia dozzine, qualche volta centinaia di pagine, prima di leggerne una; ma quando quest’uomo legge una pagina, la legge con una profondità ineguagliabile e con la più intensa passione per la lettura che si possa immaginare. Lei deve sapere che io, più che un lettore, sono uno sfogliatore, che amo lo sfogliare non meno del leggere, che nella mia vita ho sfogliato milioni di pagine in più di quante ne abbia lette, ma che sfogliando ho sempre provato una gioia e un piacere intellettuale pari, se non superiori, a quelli che ho provato leggendo. E’ senz’altro meglio, di un libro di quattrocento pagine, leggere solamente tre pagine, ma leggerle in profondità, mille volte più in profondità di come le legge il lettore normale, che legge tutto, ma neanche una pagina, diceva, la legge in profondità. E’ meglio leggere dodici righe di un libro con la massima intensità e penetrarne, possiamo dire, il senso profondo, piuttosto che leggere tutto il libro come il lettore normale, che alla fine conosce il libro che ha letto come uno che viaggia in aereo conosce il paesaggio che sorvola. Non ne percepisce neppure i contorni. Così oggi tutti quanti leggono ogni cosa a vol d’uccello, leggono tutto e non conoscono niente. Io entro in un libro e ad esso mi abbandono anima e corpo, cerchi di immaginare, mi abbandono a una pagina o due di un’opera filosofica come se stessi entrando in un paesaggio, nella natura, in un edificio solenne, in un dettaglio del globo, se vuole, come per penetrare completamente questo dettaglio del globo non con la metà delle mie forze e del mio ardore, bensì per indagarlo a fondo, e poi, una volta indagatolo in ogni dettaglio, trarne ogni possibile conclusione con la massima profondità di cui sono capace. Chi legge tutto non ha capito niente, diceva. Non è necessario leggere tutto Goethe, neppure Kant è necessario leggerlo tutto, e neppure Schopenhauer; qualche pagina del Werther, qualche pagina delle Affinità elettive, e alla fine di questi due libri ne sappiamo di più che dopo averli letti dalla prima pagina all’ultima, ciò che comunque ci priverebbe del più puro piacere della lettura. Ma per imporsi questa drastica autolimitazione sono necessari un tale coraggio e una tale forza d’animo che solo assai di rado ci si può riuscire e che persino noi ci riusciamo solo raramente; come il divoratore di carne, l’uomo che legge è di una voracità assolutamente rivoltante, e se il divoratore di carne si rovina lo stomaco e la salute nel suo insieme, lui, l’uomo che legge, si rovina la mente e l’intera esistenza intellettuale. Perfino un saggio di filosofia riusciamo a capirlo meglio se non lo divoriamo in un solo boccone ma ne spilucchiamo un dettaglio, dal quale poi, se la fortuna ci assiste, risaliamo al tutto. Il piacere più grande ce lo danno i frammenti, e non a caso nella vita proviamo il più grande piacere quando la vita stessa ci appare come un frammento, e come il tutto è per noi raccapricciante, com’è orribile, in fondo, la perfezione di tutto ciò che è compiuto. Solo quando, leggendolo, ci riesce di trasformare un tutto, una cosa finita, compiuta, in un frammento, solo allora ne traiamo grande diletto, a volte addirittura un diletto grandissimo. La nostra epoca è ormai da tempo intollerabile se la consideriamo come un tutto, diceva Reger, soltanto là dove riusciamo a coglierla come frammento essa diventa sopportabile. Il tutto e il perfetto ci risultano insopportabili, diceva. Così in fondo anche tutti questi quadri, qui al Kunsthistorisches Museum, io li trovo insopportabili, se devo essere sincero li trovo atroci. Per poterli sopportare cerco dentro e sopra ciascuno di essi un cosiddetto errore palese, e questo modo di procedere mi ha finora sempre condotto allo scopo, che è quello di trasformare ciascuna di queste cosiddette opere d’arte compiute in un frammento, diceva. Il perfetto non solo rappresenta per noi una minaccia costante di distruzione, ma in effetti tutto ciò che è appeso a queste pareti e porta l’etichetta di capolavoro ci distrugge, diceva. Io parto dal presupposto che il perfetto, il tutto, non esistano affatto, e ogni volta che ho trasformato in un frammento una di queste cosiddette opere d’arte perfette appese alle pareti, cercando sopra e dentro quell’opera d’arte, finché non lo trovavo, un errore palese, il punto che rivela in modo inequivocabile il fallimento dell’artista, autore di quell’opera d’arte, ogni volta che mi sono mosso in questo modo ho fatto un passo avanti. Finora in ciascuno di questi quadri, in ciascuno di questi cosiddetti capolavori, ho scovato e portato alla luce un errore palese, il fallimento del suo artefice. Questo conto, che è un conto infame, come lei può ben immaginare, da trent’anni mi è sempre tornato. Nessuno di questi capolavori noti in tutto il mondo, chiunque ne sia l’autore, è veramente un tutto, nessuno è perfetto. Questo mi tranquillizza, diceva. Questo, in definitiva, mi rende felice. Solo dopo aver constatato ripetutamente che il tutto e il perfetto non esistono, solo allora ci è dato di continuare a vivere. Il tutto e il perfetto non li sopportiamo. Dobbiamo andare a Roma e constatare che San Pietro è una costruzione abborracciata e di pessimo gusto, che l’altare del Bernini è un esempio di ottusità architettonica, diceva. Dobbiamo vedere il Papa faccia a faccia e constatare personalmente, per poterlo sopportare, che è un uomo sprovveduto e grottesco come tutti gli altri. Dobbiamo ascoltare Bach e sentire come di colpo fallisce, ascoltare Beethoven e sentire come di colpo fallisce, ascoltare Mozart e sentire come anche lui di colpo fallisce. E così dobbiamo procedere anche coi cosiddetti grandi filosofi, persino con gli artisti dello spirito che ci sono più cari, diceva. Pascal non lo amiamo di sicuro per la sua compiutezza, lo amiamo perché in fondo è terribilmente sprovveduto, così come amiamo Montaigne per la sua sprovvedutezza che vita natural durante lo ha indotto a una ricerca che è sempre stata infruttuosa, e come pure amiamo Voltaire per la sua sprovvedutezza. La filosofia e le scienze dello spirito nel loro insieme le amiamo soltanto perché sono caratterizzate da una assoluta sprovvedutezza. A dire il vero amiamo soltanto i libri che non sono un tutto compiuto, i libri caotici, i libri sprovveduti. Così è sempre e comunque, diceva Reger, anche a un essere umano ci sentiamo particolarmente legati soltanto perché è sprovveduto, perché non è un tutto compiuto, perché è caotico e non perfetto. Sì, dico, El Greco, bello, ma quel brav’uomo non è mai riuscito a dipingere una mano! E poi dico, bello, Veronese, ma quel brav’uomo non è mai riuscito a dipingere un volto. E quanto a quel che le ho detto oggi a proposito della fuga, diceva ieri, non c’è stato un solo compositore, neppure tra i più grandi, che abbia composto una fuga compiuta, nemmeno Bach c’è riuscito, che pure era la calma e la purezza, la limpidezza compositiva in persona. Non esiste un quadro compiuto, e non esiste un libro compiuto e non esiste un pezzo musicale compiuto, diceva Reger, la verità è questa, e questa verità fa sì che una mente come la mia, che pure, per tutta la vita, non è stata altro che una mente disperata, continui a esistere. La mente dev’essere una mente che cerca, una mente che cerca gli errori, gli errori dell’umanità, una mente che cerca il fallimento. Una mente diventa effettivamente una mente umana soltanto quando cerca gli errori dell’umanità. La mente umana non è veramente umana se non si mette alla ricerca degli errori dell’umanità, diceva Reger. Una buona mente è una mente che cerca gli errori dell’umanità e una mente straordinaria è una mente che trova questi errori dell’umanità, e una mente geniale richiama l’attenzione sugli errori che ha trovato, e con tutti i mezzi di cui dispone segnala questi errori. Anche in questo senso, diceva Reger, si dimostra vero il detto, peraltro ormai citato solo a sproposito, chi cerca trova. Chi cerca degli errori qui, in questo museo, tra queste centinaia di cosiddetti capolavori, di errori finisce per trovarne, diceva Reger. Nessuna opera in questo museo è esente da errori, dico io. Lei magari ci riderà sopra, diceva lui, o forse la cosa la sgomenterà, ma per me questa è invece una ragione di felicità. D’altra parte un motivo c’è se da più di trent’anni vado al Kunsthistorisches Museum e non al Naturhistorisches Museum, che si trova qui di fronte. Reger era sempre seduto sulla panca col cappello nero in testa, immobile in effetti, ed era chiaro che ormai da parecchio non stava più osservando l’Uomo dalla barba bianca, ma tutt’altro, qualcosa che si trovava dietro l’Uomo dalla barba bianca, non il Tintoretto, ma qualcosa che stava lontano, ben oltre il museo, mentre io stesso, anche se guardavo Reger e l’Uomo dalla barba bianca, vedevo però dietro di loro quel Reger che ieri mi aveva spiegato le fughe. Lo avevo già udito un tal numero di volte spiegare le fughe che ieri non avevo proprio voglia di starlo ad ascoltare attentamente, seguivo, è vero, ciò che diceva, ed era estremamente interessante ciò che ad esempio aveva da dire su Schumann e sui suoi tentativi di comporre una fuga, ma io coi miei pensieri ero da tutt’altra parte. Vedevo Reger seduto sulla panca e appena oltre l’Uomo dalla barba bianca, e poi vedevo il Reger che ancora una volta, e con molto più amore di quanto non ne avesse mai messo fin qui, cercava di illustrarmi l’Arte della fuga, e sentivo ciò che Reger diceva, e però guardavo dentro la mia infanzia e sentivo le voci della mia infanzia, le voci dei miei fratelli, la voce di mia madre, le voci dei miei nonni, in campagna. Da bambino in campagna sono stato davvero felice, ma ogni volta che andavo in città ero ancora più felice, e anche più tardi, e ancora oggi, sono sempre molto più felice in città che in campagna. Così sono sempre stato molto più felice nell’arte che nella natura, per tutta la vita la natura mi è parsa inquietante, nell’arte invece mi sono sempre sentito al sicuro. Fin dall’infanzia, che ho avuto la fortuna di trascorrere prevalentemente con i miei nonni materni, affidato alle loro cure, e nel corso della quale, dopotutto, sono stato felice, io mi sono sentito al sicuro e a mio agio nel cosiddetto mondo dell’arte e non nella natura, natura che ho sempre osservato con ammirazione ma nello stesso tempo con paura, e ancora oggi le cose non sono cambiate, nella natura non mi sento a mio agio neppure per un istante, mentre mi sento sempre a mio agio nel mondo dell’arte, e assolutamente al sicuro nel mondo della musica. Per quanto mi riesce di ricordare, non c’è niente al mondo che io abbia amato di più della musica, pensavo mentre guardavo al di là di Reger e oltre, fuori dal museo, nella mia infanzia. Mi piace sempre attraversare con lo sguardo l’infanzia passata da molto tempo, e a quelle visioni mi abbandono completamente, e per quanto possibile ne traggo profitto, potesse il mio sguardo indugiare all’infinito nell’infanzia, penso sempre. Che infanzia avrà mai avuto, Reger? mi chiedevo, non ne so molto, quando si tratta dell’infanzia Reger non è loquace. E Irrsigler? Non ne parla volentieri, e neppure la ricorda volentieri. Verso mezzogiorno la gente arriva sempre più spesso a gruppi al museo, negli ultimi tempi ne arrivano molti più del solito dai paesi dell’Est, per parecchi giorni consecutivi ho visto gruppi di georgiani incalzati attraverso la Pinacoteca da guide che parlavano russo, incalzati è la parola giusta perché questi gruppi non camminano, ma come se qualcuno li tallonasse attraversano il museo a passo di corsa, fondamentalmente privi di ogni interesse, del tutto stremati per le emozioni che certo hanno già provato durante il viaggio che li ha portati a Vienna. La settimana scorsa ho osservato un uomo di Tbilisi che si era staccato da uno dei gruppi del Caucaso e che aveva voluto visitare il museo per conto proprio, un pittore, come in seguito è emerso, il quale mi ha chiesto dove si trovasse il Gainsborough; io gli ho indicato con piacere dove avrebbe trovato il Gainsborough. Alla fine poi, quando di nuovo si è rivolto a me per chiedermi dove si trovasse l’Hotel Wandl, nel quale era alloggiato il suo gruppo, il gruppo in questione era già uscito dal museo. Lui aveva passato una mezz’ora davanti ai Dintorni di Suffolk senza pensare neppure per un attimo al proprio gruppo, per la prima volta si trovava nell’Europa centrale e per la prima volta vedeva un originale di Gainsborough. Quel Gainsborough era il momento culminante del suo viaggio, disse in un tedesco singolarmente buono, prima di voltarsi e di uscire dal museo. Avrei voluto aiutarlo a cercare l’Hotel Wandl, ma lui non aveva acconsentito. Un pittore giovane, su per giù trentenne, si reca a Vienna con un gruppo di Tbilisi e va a vedersi i Dintorni di Suffolk, e dichiara che l’osservazione dei Dintorni di Suffolk di Gainsborough è stata il momento culminante del suo viaggio. Questo fatto mi ha dato da pensare per tutto il pomeriggio seguente, fino a tarda sera. Come dipingerà quest’uomo a Tbilisi? mi sono chiesto in continuazione, ma alla fine, considerata l’assurdità di questo interrogativo, ho lasciato perdere. Negli ultimi tempi sono più gli italiani che i francesi, più gli inglesi che gli americani a visitare il Kunsthistorisches Museum. Gli italiani, con la loro innata sensibilità artistica, si comportano sempre come se l’arte ce l’avessero nel sangue. I francesi attraversano il museo piuttosto annoiati, gli inglesi hanno l’atteggiamento di chi sa e conosce tutto. I russi trasudano ammirazione. I polacchi considerano ogni cosa con arroganza. I tedeschi al Kunsthistorisches Museum guardano tutto il tempo il catalogo mentre attraversano le sale, gli originali che sono appesi alle pareti li vedono appena, seguono il catalogo e attraversano il museo strascicando i piedi, immersi sempre più profondamente nel catalogo, finché non giungono all’ultima pagina del catalogo e a quel punto si ritrovano fuori dal museo. Di austriaci, e in particolare di viennesi che vanno al Kunsthistorisches Museum ce ne sono ben pochi, se si prescinde dalle migliaia di scolaresche che ogni anno compiono al Kunsthistorisches Museum la loro visita di prammatica. Le scolaresche vengono guidate attraverso il museo dal loro insegnanti e dalle loro insegnanti, cosa che sugli alunni ha un effetto devastante, perché in occasione di queste visite al Kunsthistorisches Museum gli insegnanti, con la loro piccineria da maestri di scuola, soffocano qualsiasi sensibilità degli alunni nei confronti della pittura e dei suoi artefici. Ottusi come sono nella maggior parte dei casi, gli insegnanti uccidono ben presto negli alunni che sono stati loro affidati qualsiasi inclinazione, non solo l’inclinazione per la pittura, e in conseguenza della loro ottusità, e quindi della loro ottusa verbosità, la visita al museo da loro guidata di quelle per così dire vittime innocenti diventa quasi sempre per ogni singolo alunno l’ultima visita a un qualsivoglia museo. Dopo essere andati una volta al Kunsthistorisches Museum con i loro insegnanti, questi alunni non vi mettono più piede per tutta la vita. La prima visita, per tutti questi giovani esseri umani, è nello stesso tempo anche l’ultima. Gli insegnanti durante queste visite annientano per sempre l’interesse per l’arte degli alunni che sono stati loro affidati, questo è un fatto assodato. Gli insegnanti rovinano gli alunni, la verità è questa, è una storia vecchia di secoli, e gli insegnanti austriaci in particolare rovinano nei loro alunni, fin dall’inizio, soprattutto il gusto per l’arte; tutti i giovani, infatti, sono aperti in origine a qualsiasi esperienza, e perciò anche all’arte, ma gli insegnanti estirpano completamente la loro inclinazione per l’arte; ancora oggi, ottuse nella maggior parte dei casi, le menti degli insegnanti austriaci continuano a non avere alcun riguardo per lo slancio dei propri alunni verso l’arte e l’universo artistico in generale, che fin dall’inizio affascina ed entusiasma tutti i giovani nella maniera più naturale. Gli insegnanti, invece, da veri piccoli borghesi quali essi sono, si oppongono istintivamente al fascino esercitato dall’arte sui loro alunni e all’entusiasmo che l’arte suscita in loro, riducendo l’arte e l’intero universo artistico al proprio dilettantismo stupido e deprimente, e nelle scuole fanno passare per arte e per universo artistico in generale quelle loro rivoltanti arie per flauto, e quei canti corali, anch’essi rivoltanti e abborracciati, per i quali gli alunni non possono che provare disgusto. Così gli insegnanti sbarrano fin da principio ai propri alunni ogni via di accesso all’arte. Gli insegnanti non sanno che cos’è l’arte, e quindi non sono in grado di dire e men che mai di insegnare ai propri alunni che cos’è l’arte, e non li guidano verso l’arte ma li distolgono dall’arte relegandoli in quella loro rivoltante e sentimentale arte applicata, strumentale e vocale, per la quale gli alunni non possono far altro che provare disgusto. Non esiste gusto artistico più dozzinale di quello degli insegnanti. Fin dalle scuole elementari gli insegnanti rovinano il gusto artistico dei propri alunni, fin dall’inizio estirpano nei propri alunni l’inclinazione per l’arte, invece di spiegare loro che cos’è l’arte, la musica in particolare, facendo di essa una delle gioie della loro esistenza. Ma gli insegnanti, per quel che riguarda l’arte, non si limitano a svolgere una funzione di ostacolo e di distruzione, in fondo gli insegnanti hanno sempre ostacolato la vita e l’esistenza dei giovani esseri umani, invece di insegnare che cos’è la vita, invece di aiutarli a decifrarla, invece di far sì che la vita diventi per i giovani una fonte di ricchezza inesauribile che scaturisce dalla loro stessa natura, gliela spengono la vita, fanno di tutto per spegnergliela. I nostri insegnanti sono per la maggior parte creature incapaci, la cui missione sembra essere quella di sbarrare ai giovani la strada della vita trasformando quest’ultima una volta per tutte in un tremendo avvilimento. Del resto, a infoltire la corporazione degli insegnanti sono solo i sentimentali e perversi di poco cervello, tutta gente che proviene dagli strati più bassi del ceto medio. Gli insegnanti sono i galoppini dello Stato, e se, come nel caso dello Stato austriaco di oggi, lo Stato è corrotto dalla testa ai piedi, spiritualmente e moralmente, e non insegna nulla se non depravazione e imbarbarimento e caos pericoloso per l’intera comunità, è ovvio che anche gli insegnanti siano spiritualmente e moralmente corrotti e imbarbariti e depravati e caotici. Questo Stato cattolico è privo di sensibilità artistica, e quindi anche gli insegnanti di questo Stato ne sono privi, o comunque non sono tenuti a esserne provvisti, questo è il fatto deprimente. Gli insegnanti insegnano che cos’è questo Stato cattolico, insegnano quello che lo Stato stesso li incarica di insegnare: grettezza e brutalità, volgarità e vigliaccheria, abiezione e caos. Da questi insegnanti gli alunni non possono aspettarsi altro che la mendacità dello Stato cattolico e del potere cattolico che governa lo Stato, pensai mentre osservavo Reger, e contemporaneamente, attraverso l’Uomo dalla barba bianca di Tintoretto, guardavo di nuovo dentro la mia infanzia. Anch’io del resto ho avuto questi insegnanti atroci e senza scrupoli, prima gli insegnanti di campagna, poi gli insegnanti di città, insegnanti di campagna e insegnanti di città che si sono avvicendati di continuo, e per una buona metà della mia vita sono stato rovinato da tutti questi insegnanti, i miei insegnanti mi hanno rovinato per i decenni a venire, penso. Anche a me e alla mia generazione non hanno dato altro che le porcherie dello Stato e di un mondo corrotto e distrutto da questo Stato. Anche a me non hanno dato altro che le schifezze dello Stato e di un mondo ormai segnato da questo Stato. Anche a me, come ai giovani d’oggi, non hanno dato altro che la loro [in]comprensione, la loro [in]capacità, la loro ottusità, la loro insulsaggine. Anche a me i miei insegnanti non hanno dato altro che la loro [in]capacità, penso. Anche a me non hanno insegnato altro che il caos. Per i decenni futuri hanno distrutto anche in me, senza il minimo riguardo, tutto ciò che io avevo originariamente a disposizione per sviluppare tutte le potenzialità del mio intelletto, in effettiva armonia con il mio mondo. Io stesso ho avuto questi insegnanti raccapriccianti, gretti e depravati, che hanno una visione assolutamente meschina degli esseri umani e del loro mondo, visione di una meschinità senza pari, decretata dallo Stato, in base alla quale nelle persone giovani la natura dev’essere senz’altro e comunque repressa, e alla fine spenta nell’interesse dello Stato. Anch’io ho avuto questi insegnanti con la mania perversa di suonare il flauto e pizzicare la chitarra, insegnanti che mi hanno costretto a imparare a memoria una stupida poesia di Schiller di sedici strofe, cosa che ho sempre considerato come una delle punizioni più atroci che potessero essermi inflitte. Anch’io ho avuto questi insegnanti che nutrono un disprezzo inconfessato per gli esseri umani, un disprezzo che loro, quei galoppini dello Stato sentimentali e patetici con l’indice alzato, erigono a norma di fronte ai propri alunni impotenti. Anch’io ho avuto questi idioti, questi sensali dello Stato, che più volte la settimana con la bacchetta di nocciolo mi picchiavano sulle dita fino a farle gonfiare, e che prendendomi per le orecchie mi ruotavano la testa verso l’alto tanto da scatenare in me un pianto convulso e trattenuto del quale non riuscivo più a liberarmi. Oggi gli insegnanti, anche se non prendono più gli alunni per le orecchie, né li picchiano sulle dita con le bacchette di nocciolo, sono tuttavia rimasti insulsi come una volta, questo è ciò che vedo qui al museo quando guardo gli insegnanti che passano con i loro alunni davanti ai cosiddetti Antichi Maestri, sono gli stessi, penso, gli stessi che ho avuto io, gli stessi che mi hanno distrutto per la vita, che mi hanno annientato per tutta la vita. Così dev’essere, così stanno le cose, dicono gli insegnanti, e non tollerano la benché minima obiezione, perché questo Stato cattolico non tollera la benché minima obiezione, e loro ai propri alunni non concedono niente, e men che mai di conservare qualcosa di originale. In questi alunni viene riversata l’immondizia di Stato, nient’altro, come il frumento nella gola delle oche, e a viva forza l’immondizia di Stato viene riversata in quelle teste fino a farle soffocare. I bambini sono bambini dello Stato, così pensa lo Stato e si comporta di conseguenza, provocando da secoli danni devastanti. E’ lo Stato in realtà che partorisce i bambini, vengono partoriti soltanto bambini di Stato, la verità è questa. Non esiste un solo bambino libero, c’è soltanto il bambino di Stato, di cui lo Stato può fare quello che vuole, è lo Stato che mette al mondo i bambini, alle madri vien solo dato a intendere che siano loro a mettere al mondo i bambini, ma è dal ventre dello Stato che nascono i bambini, la verità è questa. Sono centinaia di migliaia i bambini che ogni anno escono dal ventre dello Stato sotto forma di bambini di Stato, la verità è questa. I bambini di Stato vengono messi al mondo dal ventre dello Stato e vanno alla scuola di Stato, dove sono istruiti dagli insegnanti di Stato. Lo Stato partorisce i suoi bambini nello Stato, la verità è questa, lo Stato partorisce i suoi bambini di Stato nello Stato e non li lascia più uscire. Ovunque ci guardiamo intorno, non vediamo altro che bambini di Stato, scuole di Stato, lavoratori di Stato, funzionari di Stato, anziani di Stato, morti di Stato, la verità è questa. Lo Stato produce e autorizza soltanto esseri umani di Stato, la verità è questa. L’essere umano secondo natura non esiste più, è rimasto soltanto l’essere umano di Stato, e dove l’essere umano secondo natura esiste ancora, esso viene braccato e perseguitato a morte e/o trasformato in un essere umano di Stato. La mia è stata un’infanzia bella ma nello stesso tempo crudele e raccapricciante, penso, un’infanzia nel corso della quale quando ero dai nonni potevo essere un essere umano secondo natura, mentre a scuola ero tenuto a essere un essere umano di Stato, a casa dai miei nonni ero un essere umano secondo natura, a scuola ero un essere umano di Stato, per mezza giornata ero secondo natura, per mezza giornata di Stato, per mezza giornata, e cioè di pomeriggio, ero secondo natura e quindi felice, per mezza giornata, e cioè di mattina, ero di Stato e quindi infelice. Di pomeriggio ero l’essere umano più felice che si possa immaginare, di mattina il più infelice. Per molti anni fui di pomeriggio l’essere umano più felice in assoluto, di mattina il più infelice in assoluto, penso. A casa, dai nonni, ero un essere secondo natura e felice, a scuola, giù nella cittadina, ero un essere innaturale e infelice. Quando scendevo giù nella cittadina andavo nell’infelicità (dello Stato!), quando tornavo a casa dai miei nonni in montagna, andavo nella felicità. Quando andavo dai nonni in montagna, andavo nella natura e nella felicità, quando scendevo giù nella cittadina, a scuola, andavo nell’artificio e nella infelicità. Entravo, di prima mattina, direttamente nell’infelicità e per mezzogiorno o nel primo pomeriggio ritornavo nella felicità. La scuola è una scuola di Stato, dove i giovani vengono trasformati in esseri umani di Stato, vale a dire in galoppini dello Stato e nient’altro. Quando andavo a scuola andavo nello Stato, e poiché lo Stato annienta gli esseri umani, andavo nell’istituto per l’annientamento degli esseri umani. Per molti anni io sono uscito dalla felicità (dei nonni!) per andare nell’infelicità (dello Stato!) e ritornare, sono uscito dalla natura per andare nell’artificio e ritornare, la mia infanzia è consistita in questo andirivieni e nient’altro. Sono cresciuto in questo andirivieni dell’infanzia. Ma in un simile diabolico gioco, non ha vinto la natura ma l’artificio, la scuola e lo Stato, non la casa dei miei nonni. Lo Stato ha costretto me, come tutti gli altri, a entrare al suo interno e mi ha asservito, lo Stato ha fatto di me un essere umano di Stato, un essere umano irreggimentato e registrato e addestrato e diplomato e pervertito e depresso come tutti gli altri. Quando vediamo degli esseri umani, vediamo soltanto esseri umani di Stato, servi dello Stato, come giustamente si dice, non vediamo esseri umani naturali, ma esseri umani di Stato sotto forma di servi dello Stato che sono ormai in tutto e per tutto innaturali, e per tutta la vita rimangono al servizio dello Stato, il che significa per tutta la vita al servizio dell’artificio. Quando vediamo degli esseri umani, vediamo soltanto esseri umani di Stato sotto forma di esseri umani innaturali, immolati all’ottusità dello Stato. Quando vediamo degli esseri umani, vediamo soltanto esseri umani in balia dello Stato e al servizio dello Stato, ormai vittime dello Stato. Gli esseri umani che vediamo sono vittime dello Stato e l’umanità che vediamo non è altro che il foraggio dello Stato, con cui lo Stato, sempre più ingordo, viene appunto foraggiato. L’umanità non è altro, ormai, che un’umanità di Stato, e già da secoli, e cioè da quando esiste lo Stato, essa ha perso, penso, la propria identità. L’umanità oggi non è altro, ormai, che una [dis]umanità, che poi è lo Stato, penso. Oggi l’essere umano non è nient’altro che un essere umano di Stato, e quindi non è nient’altro che un essere umano distrutto, essendo l’essere umano di Stato, penso, l’unico essere umano possibile e immaginabile. L’uomo secondo natura non è assolutamente possibile, non più, penso. Quando vediamo intasarsi nelle metropoli quei milioni di esseri umani di Stato ci viene il voltastomaco, perché ci viene il voltastomaco anche quando vediamo lo Stato. Ogni giorno, al risveglio, questo nostro Stato ci fa venire il voltastomaco, e quando camminiamo per la strada ci fanno venire il voltastomaco gli esseri umani di Stato che popolano questo Stato. L’umanità è uno Stato gigantesco che al risveglio, se siamo sinceri, ci fa ogni volta venire il voltastomaco. Come tutti gli esseri umani io vivo in uno Stato che al risveglio mi fa venire il voltastomaco. Gli insegnanti che abbiamo insegnano agli esseri umani lo Stato, insegnano loro tutte le atrocità e gli orrori dello Stato, tutte le menzogne dello Stato, e però non insegnano che lo Stato è tutte queste atrocità e orrori e menzogne. Sono secoli che gli insegnanti intrappolano i propri alunni nella morsa dello Stato e per anni e per decenni li martirizzano e li mettono sotto il torchio. Così questi insegnanti attraversano il museo con i loro alunni per incarico dello Stato, e con la propria ottusità fanno perdere ai loro alunni ogni gusto per l’arte. Ma che cos’è quest’arte appesa alle pareti se non un’arte di Stato, penso. Reger, quando parla dell’arte, parla soltanto di arte di Stato e quando parla dei cosiddetti Antichi Maestri, parla sempre e soltanto degli Antichi Maestri di Stato. Perché l’arte appesa a queste pareti non è nient’altro in realtà che un’arte di Stato, quanto meno l’arte che è appesa qui, nella Pinacoteca del Kunsthistorisches Museum. Tutti i quadri appesi a queste pareti non sono altro, davvero, che quadri di artisti di Stato. Un’arte compiacente, un’arte cattolica di Stato, nient’altro che questo. Sempre e soltanto una faccia, come dice Reger, mai un volto. Sempre e soltanto una testa, mai una mente. In fin dei conti sempre e soltanto la facciata e non il suo rovescio, comunque sempre e soltanto la menzogna e la falsità, non la realtà e la verità. Tutti questi pittori non erano nient’altro, in definitiva, che artisti di Stato, ipocriti dalla testa ai piedi, artisti che hanno compiaciuto la civetteria del loro committente, su questo punto, a detta di Reger, neppure Rembrandt fa eccezione. Si guardi Velazquez con attenzione, arte di Stato e nient’altro, Lotto, Giotto, sempre e soltanto arte di Stato, non meno di quel tremendo protonazista e prenazista che era Dürer, il quale ha inchiodato la natura alla parete e l’ha uccisa, quell’essere raccapricciante che era Dürer, così dice Reger molto spesso, perché Dürer lui lo detesta dal più profondo del cuore, quel norimberghese virtuoso del cesello, dice. Arte commissionata dallo Stato, è così che Reger definisce i quadri appesi a queste pareti tra cui annovera perfino l’Uomo dalla barba bianca. I cosiddetti Antichi Maestri hanno sempre servito soltanto lo Stato o la Chiesa, ciò che in fin dei conti è la stessa cosa, dice Reger di continuo, un imperatore o un papa, un duca o un arcivescovo. Se il cosiddetto uomo libero è un’utopia, anche il cosiddetto artista libero è sempre stato un’utopia, una follia, così spesso Reger. Gli artisti inoltre, i cosiddetti grandi artisti, così Reger, penso, sono gli esseri umani più spregiudicati che esistano al mondo, sono ancora più spregiudicati dei politici. Gli artisti sono i più ipocriti di tutti, addirittura più ipocriti dei politici, dunque gli artisti dell’arte sono ancora più ipocriti degli artisti dello Stato, così sento dire di nuovo da Reger. Infatti quest’arte si rivolge sempre all’Onnipotente e ai potenti, e volge le spalle al mondo, diceva spesso Reger, il che la rende infame. E’ un’arte miserabile e nient’altro, questa, mi sembra di sentire quel che Reger diceva ieri, e intanto lo osservo dalla Sala Sebastiano. Perché i pittori dipingono dal momento che già c’è la natura? si chiedeva Reger ieri per l’ennesima volta. Eppure anche l’opera d’arte più straordinaria è solo un misero tentativo, completamente assurdo e vano, di imitare, o addirittura di scimmiottare la natura, diceva. Che cos’è il volto della madre di Rembrandt, da lui dipinto, di fronte al volto vero di mia madre? chiedeva ancora. Che cosa sono i campi lungo il Danubio che posso attraversare e insieme osservare, di fronte ai campi dipinti? diceva. Non c’è niente per me di più rivoltante, diceva ieri, della raffigurazione pittorica del potere. Pittura di regime e nient’altro, diceva. Fissare, dice la gente, documentare, eppure in realtà, questo lo sappiamo, vengono fissate e documentate solo cose false e menzognere, solo le falsità e le menzogne vengono fissate e documentate, i posteri non avranno che falsità e menzogne appese alle pareti, ci sono soltanto falsità e menzogne nei libri che ci hanno lasciato i nostri cosiddetti grandi scrittori, solo falsità e menzogne nei quadri appesi a queste pareti. L’individuo che è appeso alla parete laggiù non sarà mai lo stesso individuo che il pittore ha ritratto, diceva ieri Reger. L’individuo che è appeso alla parete non è colui che ha vissuto, diceva. Naturalmente, diceva, lei mi dirà che si tratta del punto di vista dell’artista che ha dipinto il quadro, e questo è vero, quantunque sia un punto di vista contraffatto, ovvero, se non altro considerando i quadri di questo museo, il cattolico punto di vista di Stato dell’artista del momento, perché tutto quanto è qui appeso non è altro che arte cattolica di Stato, e quindi, non posso fare a meno di dirlo, arte volgare per quanto formidabile, soltanto volgarissima arte cattolica di Stato. I cosiddetti Antichi Maestri, soprattutto quando se ne vedono molti uno accanto all’altro, e cioè quando se ne vedono le opere una accanto all’altra, si rivelano dei fanatici della menzogna che si sono procacciati i favori dello Stato cattolico conformandosi al gusto dello Stato cattolico, e che a questo Stato cattolico si sono venduti, così Reger. Poiché la situazione è questa, abbiamo inevitabilmente a che fare con una storia dell’arte deprimente e cattolica a cima a fondo, con una storia della pittura deprimente e cattolica da cima a fondo, che è sempre andata a scovare i suoi temi in cielo e all’inferno, mai però sulla terra, diceva. I pittori non hanno dipinto ciò che sarebbe stato loro dovere dipingere, ma soltanto ciò che sono stati incaricati di dipingere, oppure ciò che poteva promuovere la loro notorietà o procurare loro del denaro, diceva. I pittori, tutti questi Antichi Maestri che per la maggior parte del tempo suscitano in me un ribrezzo senza pari, e che da sempre mi fanno inorridire, diceva, tutti questi Antichi Maestri hanno sempre servito soltanto un signore, mai se stessi, e quindi mai l’umanità vera e propria. Infatti non hanno mai dipinto altro che un mondo falso e totalmente inventato che speravano portasse loro denaro e notorietà; tutti hanno sempre dipinto soltanto con questo spirito, per fame di denaro e fame di gloria, non perché volevano diventare pittori, ma soltanto perché volevano gloria o denaro oppure, nello stesso tempo, gloria e denaro. In Europa hanno sempre dipinto soltanto rendendo onore e gloria a un Dio cattolico, diceva, a un Dio cattolico e alle sue cattoliche divinità. Ogni pennellata di questi cosiddetti Antichi Maestri, anche la più geniale, è una menzogna, diceva. Pittori addetti alla decorazione del mondo, è così che Reger chiamava ieri quegli artisti che lui, in fondo, francamente detesta, e che nel contempo non cessano mai di affascinarlo, lo hanno affascinato per tutta la durata della sua misera vita. Apprendisti decoratori falsamente religiosi al servizio dei potenti cattolici europei, non sono nient’altro questi Antichi Maestri, lo vede anche lei, diceva, in ogni macchia di colore che questi maestri hanno impresso con disinvoltura sulle loro tele, caro il mio Atzbacher. Naturalmente lei dovrà dire che quest’arte pittorica è eccelsa, diceva ieri, ma non dimentichi, mentre lo dice, di accennare anche, o se non altro di pensare, se non altro di pensarlo tra sé, al fatto che quest’arte è anche infame, e l’aspetto infame di quest’arte coincide con quello religioso, è da qui che nasce il disgusto. Se lei, come io ho fatto ieri l’altro, rimane per un’ora davanti al Mantegna, tutt’a un tratto le verrà una gran voglia di strappare il Mantegna dalla parete, perché tutt’a un tratto il quadro le sembrerà una raffigurazione immensamente volgare. Le sarà accaduta la stessa cosa rimanendo per un po’ di tempo in piedi davanti al Biliverti o davanti al Campagnola. Questi individui dipingevano infatti soltanto per poter sopravvivere e per denaro, oltre che per finire nel regno dei cieli e non all’inferno, quell’inferno che vita natural durante essi hanno temuto più di ogni altra cosa sebbene fossero tutti di cervello fino ma debolissimi di carattere. I pittori in genere non hanno mai avuto un buon carattere, anzi hanno sempre avuto un carattere pessimo, e perciò, in fondo, hanno anche sempre avuto pessimo gusto, diceva ieri Reger, lei non troverà un solo cosiddetto Grande Maestro del pennello o, diciamo, un solo cosiddetto Antico Maestro che abbia avuto buon carattere e buon gusto, e io per buon carattere intendo semplicemente un carattere incorruttibile. Tutti questi artisti intesi come Antichi Maestri erano venali, ed è per questo che la loro arte mi ripugna a tal punto, così Reger. Io li capisco tutti e li trovo profondamente ripugnanti. Tutto ciò che hanno dipinto mi disgusta, tutto ciò che si trova qui, penso spesso, appeso a queste pareti, così diceva ieri, eppure da decenni io non posso fare a meno di studiarlo. E’ proprio questa la cosa atroce, diceva ieri, gli Antichi Maestri mi ripugnano profondamente eppure io continuo a studiarli. Ma loro sono disgustosi, questo è chiarissimo, diceva ieri. Gli Antichi Maestri, come vengono chiamati ormai da secoli, sopportano solo un’osservazione superficiale, se li osserviamo con attenzione a poco a poco si stemperano e alla fine, dopo che li abbiamo studiati per bene, vale a dire dopo che li abbiamo studiati con il massimo scrupolo possibile e per moltissimo tempo, si dissolvono, si sbriciolano davanti ai nostri occhi, e non lasciano che un sapore stantio, nella maggior parte dei casi addirittura un sapore assolutamente sgradevole lasciato nella nostra mente. L’opera d’arte più grande e più significativa alla fin fine ristagna pesantemente nella nostra testa come un enorme grumo di volgarità e di menzogne, come un grumo di carne troppo grosso nello stomaco. Rimaniamo affascinati da un’opera d’arte, eppure, alla fine, la troviamo ridicola. Se lei una volta, prendendosi il tempo che ci vuole, legge Goethe con più penetrazione del solito e con una intensità molto superiore al solito e con una impudenza molto più grande del solito, alla fine ciò che avrà letto le sembrerà ridicolo, di qualsiasi cosa si tratti, basta che lei la legga più spesso del solito, è inevitabile che questa cosa le appaia ridicola, persino la cosa più intelligente alla fine diventa una scemenza. Guai a lei se legge con più penetrazione del solito, si rovina il gusto per tutto ciò che legge. Qualsiasi cosa lei legga, questo qualcosa alla fine diventa ridicolo, alla fine non ha più alcun valore. Si guardi bene dall’affrontare con troppa penetrazione un’opera d’arte, diceva, si guasterà tutto, anche le cose più amate. Non guardi troppo a lungo un quadro, non legga un libro con troppa penetrazione, non ascolti un brano musicale con il massimo impegno, perché si rovinerebbe tutto e quindi anche ciò che di più bello e di più utile esiste nel mondo. Legga quello che le piace, ma non penetri l’opera fino in fondo, ascolti quello che le piace, ma non lo ascolti fino in fondo, osservi quello che le piace, ma non lo osservi fino in fondo. Io, avendo sempre osservato tutto fino in fondo, avendo sempre ascoltato tutto fino in fondo, avendo sempre letto tutto fino in fondo o, quanto meno, avendo sempre cercato di ascoltare, di leggere, di osservare tutto fino in fondo, alla fine mi sono storpiato tutto, in questo modo mi sono storpiato irreparabilmente tutta l’arte figurativa e tutta la musica e tutta la letteratura, diceva ieri. Così, con questo sistema, mi sono alla fin fine storpiato irreparabilmente il mondo intero, mi sono semplicemente storpiato tutto. Per anni mi sono semplicemente storpiato tutto e, cosa di cui mi pento dal più profondo del cuore, ho anche irreparabilmente storpiato tutto a mia moglie. Per anni, diceva, la mia esistenza è stata possibile soltanto all’interno e in virtù di questo meccanismo di storpiatura. Ma ora so che devo evitare di leggere fino in fondo, di ascoltare fino in fondo, di osservare e stare a guardare fino in fondo, se voglio continuare a vivere. E’ un’arte, quella di non leggere fino in fondo e di non ascoltare fino in fondo e di non osservare e guardare fino in fondo, diceva. Non ho ancora la completa padronanza di quest’arte, diceva, perché il mio carattere mi spinge sempre ad affrontare tutto fino in fondo e a resistere altrettanto a fondo, e a portare a termine le cose fino in fondo, questa, deve sapere, è la mia vera disgrazia, diceva. Per decenni ho sempre voluto fare tutto fino in fondo, questa è stata la mia disgrazia, diceva. Questo personalissimo meccanismo di scomposizione, diceva, che mira sempre al fondo delle cose. Del resto non è per gente come me che questi Antichi Maestri hanno dipinto, e non è per gente come me che hanno composto i grandi compositori antichi e hanno scritto i grandi scrittori antichi, com’è naturale, non l’hanno fatto per gente come me, mai e poi mai uno di loro avrebbe dipinto o composto o scritto per una persona come me, diceva. L’arte non è fatta per essere osservata fino in fondo, né per essere ascoltata fino in fondo, né per essere letta fino in fondo, diceva. L’arte è destinata alla parte miseranda dell’umanità, alle persone qualunque, a quelle normali, mi vedo addirittura costretto a sostenere che quest’arte è destinata agli ingenui e a nessun altro. Come rimpicciolisce rapidamente un grande edificio, diceva, all’osservazione di uno sguardo come il mio, qualsiasi edificio, per quanto celebre, e solido, e austero esso sia, presto o tardi si accascia e diventa un’architettura ridicola. Ho viaggiato, diceva, per vedere la grande architettura, dapprima, com’è naturale, in Italia e in Grecia e in Spagna, ma ben presto le cattedrali si sono afflosciate sotto i miei occhi, e altro non rimaneva che un tentativo sprovveduto, e addirittura ridicolo, di contrapporre al cielo qualche cosa come un secondo cielo, da una cattedrale all’altra, ogni volta era un secondo cielo più maestoso del precedente, da un tempio all’altro, ogni volta era un monumento più maestoso del precedente, diceva, eppure il risultato è stato sempre e soltanto una cosa abborracciata. Ho visitato com’è ovvio i più grandi musei, non solo in Europa, e ne ho studiato il contenuto, l’ho fatto con la massima cura, mi creda, e ben presto ho avuto la sensazione che tutti questi musei non contenessero altro che la rappresentazione della sprovvedutezza, dell’inettitudine, del fallimento, la parte abborracciata del mondo, tutto del resto è fallimento e abborracciatura in questi musei, diceva ieri, in qualunque museo lei entri, se comincia a osservare e a studiare, studierà soltanto fallimenti, abborracciature. Mio Dio, il Prado, diceva, certo è il museo più importante del mondo in fatto di Antichi Maestri, eppure ogni volta che siedo al Ritz lì di fronte e bevo la mia tazza di tè, penso che anche il Prado non contiene altro che imperfezioni e fallimenti, e tutto sommato solo cose ridicole e dilettantesche. Alcuni artisti, in determinati periodi, quando viene la moda, diceva, vengono semplicemente gonfiati fino a farne delle mostruosità elettrizzanti; poi una mente incorruttibile affonda d’improvviso un artiglio nella mostruosità elettrizzante, e di colpo la mostruosità elettrizzante, così come si è formata, esplode e di essa non rimane più nulla, diceva. Velazquez, Rembrandt, Giorgione, Bach, Händel, Mozart, Goethe, diceva, e così anche Pascal, Voltaire, sono tutti esseri gonfiati fino a una simile mostruosità. Quello Stifter, diceva ieri, che anch’io ho sempre venerato in una maniera talmente mostruosa da spingermi ben oltre l’asservimento per l’arte, anche lui, quando ce ne occupiamo in profondità, si rivela un cattivo scrittore, esattamente come Bruckner, che quando lo si ascolta in modo più attento, si rivela un cattivo, se non addirittura un miserabile, compositore. Stifter scrive in uno stile spaventoso, uno stile che oltretutto è indecente sotto il profilo grammaticale, e la stessa cosa vale anche per Bruckner, che si è imposto al pubblico con quella sua ubriacatura musicale scomposta e caotica e che ancora in tarda età era di una religiosità puberale. Stifter l’ho venerato per decenni senza mai effettivamente occuparmene in modo puntuale e spregiudicato. Quando un anno fa mi occupai di Stifter in modo puntuale e spregiudicato non credetti ai miei occhi e alle mie orecchie. Mai fino a quel momento, in tutta la mia esistenza intellettuale, mi era capitato di leggere un tedesco, o un austriaco, se preferisce, così scorretto e raffazzonato in un autore di quel calibro, autore che oggi è addirittura celebre per la sua prosa nitida e chiara. La prosa di Stifter è tutt’altro che nitida ed è la meno chiara che io conosca, è una prosa infarcita di immagini approssimative e di idee inesatte e ambigue, e io mi meraviglio davvero, e mi chiedo come mai questo dilettante di provincia, uno che dopotutto è stato ispettore scolastico dell’Alta Austria, sia oggi tanto stimato proprio dagli scrittori, e soprattutto dagli scrittori più giovani, e non certo dai più sconosciuti né dai più insignificanti. Credo che tutti costoro non abbiano mai letto davvero Stifter, che si siano limitati a venerarlo ciecamente, che di Stifter abbiano soltanto sentito parlare senza averlo mai, come ho fatto io, letto davvero. Quando ho letto veramente Stifter, un anno fa, questo grande maestro della prosa, come viene definito, sono stato disgustato da me stesso per avere un giorno venerato questo imbrattacarte da quattro soldi, per averlo addirittura amato. Ho letto Stifter in gioventù, e il mio ricordo di lui era fondato su queste impressioni di lettura. Avevo letto Stifter a dodici e a sedici anni, età nella quale non possedevo ancora il benché minimo senso critico. Ma dopo di allora non ho mai più verificato la tenuta di Stifter. Stifter, nei tratti lunghi della sua prosa, è un insopportabile fanfarone, ha uno stile raffazzonato e, ciò che è più deplorevole, sciatto, ed è inoltre in effetti l’autore più noioso e ipocrita di tutta la letteratura tedesca. La prosa di Stifter, nota per la sua pregnanza, precisione, chiarezza, è in realtà confusa, goffa e irresponsabile, e inoltre di un sentimentalismo e di una goffaggine così piccolo borghesi da far rivoltare lo stomaco a chiunque legga per esempio Witiko, o La cartella del mio bisnonno. La cartella del mio bisnonno è fin dalle prime righe un tentativo raffazzonato di spacciare una prosa esageratamente tirata per le lunghe, sentimentale, insipida, piena di difetti intrinseci ed estrinseci, per un’opera d’arte, quando invece non è altro che una tipica abborracciatura della piccola borghesia di Linz. Del resto sarebbe impensabile che da un buco di provincia piccolo borghese come Linz, città che dai tempi di Keplero è rimasta il classico buco di provincia rivoltante con un teatro dell’Opera dove la gente non sa cantare, un teatro di prosa dove la gente non sa recitare, pittori che non sanno dipingere e scrittori che non sanno scrivere, sarebbe impensabile che da una simile città di punto in bianco fosse emerso un genio, come pure Stifter viene unanimemente definito. Stifter non è un genio, Stifter è un filisteo che fa una vita rattrappita, è un piccolo borghese scorbutico che nella sua qualità di ispettore scolastico scrive in un modo non meno rattrappito, un uomo che non si è rivelato neppure all’altezza delle esigenze più elementari della propria lingua, figuriamoci dunque se poteva addirittura essere in grado di produrre delle opere d’arte, diceva Reger. Stifter insomma, così diceva, è francamente una delle più grandi delusioni artistiche della mia vita. Una frase ogni tre di Stifter, o almeno una ogni quattro, è sbagliata, un’immagine su due o una su tre nella sua prosa è infelice, e comunque l’ingegno di Stifter, negli scritti letterari se non altro, è mediocre. Stifter in realtà è uno degli scrittori più poveri d’immaginazione che siano mai esistiti, ed è nello stesso tempo uno degli scrittori più antipoetici e impoetici. Eppure i lettori e gli studiosi di letteratura si sono sempre lasciati abbindolare da questo Stifter. Il fatto che alla fine della sua vita l’uomo si sia suicidato non modifica in nulla la sua assoluta mediocrità. Non conosco scrittore al mondo altrettanto dilettantesco e raffazzonato, e per di più limitato e ottuso, ma nello stesso tempo celebre in tutto il mondo. Quanto ad Anton Bruckner la situazione non è molto diversa perché, diceva Reger, nel suo perverso timore di Dio, invasato com’era di cattolicesimo, Bruckner si è recato a Vienna dall’Alta Austria e si è consegnato anima e corpo nelle mani dell’imperatore e di Dio. Nemmeno Bruckner era un genio. La sua musica è confusa e fumosa e raffazzonata né più e né meno come la prosa di Stifter. Ma mentre a rigore Stifter non è nient’altro, oggi, che lettera morta ad uso dei germanisti, Bruckner continua invece a commuovere tutti fino alle lacrime. Il profluvio dei suoni bruckneriani, si può dire, ha conquistato il mondo, il sentimentalismo e l’enfasi ipocrita celebrano in Bruckner il loro trionfo. Bruckner come compositore non è meno sciatto di Stifter come scrittore, essendo accomunati dalla tipica sciatteria dell’Alta Austria. Entrambi producevano un’arte cosiddetta devota e nello stesso tempo socialmente pericolosa, diceva Reger. No, Keplero era un tipo formidabile, diceva ieri Reger, ma certo non veniva dall’Alta Austria, bensì dal Württemberg; Adalbert Stifter e Anton Bruckner non hanno prodotto altro in fin dei conti che immondizia letteraria e compositiva. Colui che apprezza Bach e Mozart e Händel e Haydn, diceva, deve senz’altro respingere gente come Bruckner, non deve disprezzarla ma deve respingerla, questo sì. E colui che apprezza Goethe e Kleist e Novalis e Schopenhauer, deve respingere Stifter, anche se non necessariamente deve disprezzarlo. Chi ama Goethe non può amare contemporaneamente Stifter, Goethe si è reso la vita difficile, Stifter se l’è sempre resa troppo facile. E il fatto deplorevole, poi, diceva ieri Reger, è che proprio Stifter era un temuto funzionario scolastico, e per di più un funzionario scolastico in una posizione eminente, e che ciò nonostante egli scriveva in un modo così sciatto come non lo si sarebbe concesso a nessuno dei suoi alunni. Se uno dei suoi alunni gli avesse sottoposto una pagina di Stifter, diceva, Stifter avrebbe riempito la pagina di segni con la matita rossa, la verità è questa. Se cominciamo a leggere Stifter con la matita rossa, non la finiamo più di correggere, diceva Reger. Qui non è stato certo un genio a metter mano alla penna, diceva, ma un ignobile pasticcione. Se mai c’è stata una letteratura priva di gusto, insipida e sentimentale e senza senso, a quell’idea di letteratura corrisponde perfettamente ciò che ha scritto Stifter. La scrittura di Stifter non è arte, e le cose che dice sono disgustosamente disoneste. Non per niente Stifter lo leggono soprattutto le mogli e le vedove annoiate dei funzionari, che passano la loro giornata a sbadigliare, diceva, le infermiere nel loro tempo libero e le suore nei loro conventi. Una persona che pensa davvero non può leggere Stifter. Credo che tutti quelli che ammirano tanto Stifter, che lo ammirano in un modo così inaudito, non abbiano la minima idea di Stifter. Tutti i nostri scrittori, senza eccezione, non fanno altro che parlare e scrivere di Stifter con grande entusiasmo e gli sono devoti come se fosse il Dio degli scrittori della nostra epoca. O questa gente è stupida e non ha il minimo gusto per l’arte e non capisce assolutamente niente di letteratura, oppure, ipotesi che purtroppo devo ritenere assai plausibile, non ha letto Stifter, diceva. Non si azzardi a venirmi a parlare di Stifter e di Bruckner, diceva, quanto meno non lo faccia in relazione all’arte e a quello che io intendo per arte. L’uno è un guastaprosa, diceva, l’altro un guastamusica. Povera Alta Austria, diceva, che crede effettivamente di aver dato i natali a due geni grandissimi, mentre non ha generato altro che due buoni a nulla smisuratamente sopravvalutati, uno nel campo della letteratura, l’altro della composizione musicale. Se penso alle insegnanti e alle suore austriache con Stifter sul comodino cattolico, quel loro Stifter tenuto lì come un’immagine votiva, accanto al pettine e alla forbicetta per tagliarsi le unghie dei piedi, e se penso ai capi di Stato che scoppiano in lacrime mentre ascoltano una sinfonia di Bruckner, mi viene il voltastomaco, diceva. L’arte è quel che c’è di più grande e al tempo stesso di più disgustoso, diceva. Eppure noi dobbiamo persuaderci che un’arte grande e sublime esiste davvero, diceva, altrimenti precipitiamo nella disperazione. Anche se sappiamo che qualsiasi arte finisce nella goffaggine e nel ridicolo e nell’immondizia della storia, come peraltro tutto il resto, dobbiamo credere nell’arte grande e sublime, dobbiamo crederci fermamente, diceva. Noi sappiamo che cos’è, è un’arte raffazzonata, fallita, ma non possiamo tener sempre presente questo fatto, o la nostra rovina, diceva, sarà inevitabile. Per tornare ancora una volta a Stifter, diceva, oggi c’è un gran numero di scrittori che si richiamano a Stifter. Questi scrittori si richiamano a un assoluto dilettante della prosa, uno che durante la sua vita di scrittore non ha fatto altro che abusare della natura. A Stifter va imputato un assoluto abuso della natura, diceva ieri Reger. Un veggente, questo ha preteso di essere in quanto scrittore, e in realtà, in quanto scrittore, diceva Reger, è stato un cieco. Tutto è premuroso in Stifter, zitellescamente goffo, Stifter ha scritto un’insopportabile prosa provinciale con l’indice alzato, diceva Reger, nient’altro che questo. Di Stifter vengono elogiate le descrizioni della natura. Mai la natura è stata rappresentata in modo così falso come nelle descrizioni di Stifter e tanto meno poi essa è così noiosa come ci spinge a credere lui sulla sua carta paziente, diceva Reger. Stifter non è altro che un occasionale amministratore della letteratura, che con la sua penna senz’arte impietrisce la natura proprio laddove essa è più concretamente viva e ricca di eventi e, di conseguenza, com’è naturale, impietrisce anche il lettore. Stifter ha coperto ogni cosa del suo velo piccolo borghese, e poco c’è mancato che soffocasse tutto, la verità è questa. In realtà egli non è in grado di descrivere neppure un albero, un uccello che canta, un fiume impetuoso, la verità è questa. Pretende di far rivivere qualcosa davanti al nostri occhi e non fa che impietrirla, vuole generare splendore e non fa che ottundere, la verità è questa. Stifter ci rende la natura monotona e gli esseri umani poveri di sentimento e privi di spirito, non sa nulla e non inventa nulla, e ciò che descrive, perché lui non fa nient’altro che descrivere, lo descrive con un’ingenuità sconfinata. Ha la stoffa di certi cattivi pittori, diceva Reger, che per chissà quali inspiegabili ragioni hanno raggiunto la celebrità, e i cui quadri sono appesi ovunque, anche qui alle pareti di questo edificio, pensi soltanto a Dürer e a tutte le centinaia di dipinti mediocri che valgono molto meno della cornice che li contiene. Tutti questi quadri vengono guardati con grande ammirazione, ma chi li ammira non sa perché lo fa, proprio come Stifter viene letto e ammirato senza che i suoi lettori sappiano perché. La cosa più enigmatica, in Stifter, è la sua celebrità, diceva Reger, perché le sue opere sono tutt’altro che enigmatiche. I cosiddetti grandi, i grandi pittori, i grandi musicisti, i grandi scrittori, noi li disgreghiamo, alla lunga li frantumiamo, li vanifichiamo, perché non possiamo vivere con la loro grandezza, perché pensiamo, e tutto pensiamo fino alla fine, diceva. Ma Stifter non era e non è certo un grande, e quindi non è un esempio che si presti a dimostrare questo fenomeno. Stifter è soltanto un esempio di come un artista possa essere venerato e addirittura amato per decenni da una persona che lo ritiene un grande, da una persona in effetti vogliosa di amare e venerare, senza che lui sia mai stato un grande. Nella delusione che proviamo quando capiamo che la grandezza di chi abbiamo venerato e ammirato e amato non è affatto grandezza e neppure è mai stata grandezza, che era grandezza soltanto nella nostra immaginazione, mentre in realtà si trattava di piccineria, o meglio di meschinità, in quella delusione proviamo inesorabilmente il dolore di chi è stato ingannato. E’ semplicissimo, diceva Reger, si paga per essersi lasciati andare, per aver accettato così ciecamente un oggetto e, non contenti di questo, averlo addirittura venerato e amato per anni e decenni, magari per tutta una vita, senza mai rimetterlo alla prova. Se soltanto avessi messo Stifter alla prova anche un’unica volta, ancora trenta o venti o anche quindici anni fa, questa delusione tardiva mi sarebbe stata risparmiata. Non possiamo assolutamente permetterci di dire, questo o quello è il migliore e così d’ora in poi per sempre, dobbiamo continuamente rimettere alla prova tutti gli artisti, perché comunque, col tempo, le nostre conoscenze e il nostro gusto artistico evolvono, su questo non c’è dubbio. Di Stifter sono buone soltanto le lettere, diceva Reger, tutto il resto non vale niente.

Ma certamente gli studiosi di letteratura si occuperanno ancora a lungo di Stifter, perché sono a dir poco ossessionati dagli idoli della letteratura come Adalbert Stifter, idoli che, se anche non entreranno mai, per tutta l’eternità, nell’Olimpo della prosa, comunque aiuteranno per molto tempo ancora quegli studiosi a guadagnarsi, nel più gradevole dei modi, il pane quotidiano. A volte mi sono preso la briga di far leggere a diverse persone, molto intelligenti e meno intelligenti, molto perspicaci e meno perspicaci, un libro di Stifter, Pietre colorate per esempio, Il condor oppure Brigitte, o appunto La cartella del mio bisnonno, e poi ho chiesto a queste persone, esigendo da loro una risposta sincera, se quello che avevano letto gli fosse piaciuto o no. Tutte queste persone, che da me erano state costrette a fornire una risposta sincera, hanno detto che a loro non era piaciuto, che il libro in questione li aveva infinitamente delusi, e che in definitiva non li aveva colpiti, non li aveva colpiti per niente, e anzi si meravigliavano che un uomo che scrive libri così insensati, e che per di più non ha assolutamente niente da dire, potesse essere diventato così celebre. Questo esperimento-Stifter ha continuato per un certo periodo a divertirmi, diceva Reger, mi divertiva appunto fare quella che io chiamavo la prova-Stifter. Con gli stessi intenti chiedo a volte a qualcuno se Tiziano, La Madonna delle ciliegie per esempio, gli piace veramente. A nessuno degli interrogati è mai piaciuto quel quadro, tutti lo hanno sempre ammirato soltanto per la sua celebrità, a nessuno diceva veramente qualcosa. Con questo non voglio però mettere Stifter sullo stesso piano di Tiziano, sarebbe completamente assurdo, diceva Reger.

Gli studiosi di letteratura non soltanto sono innamorati di Stifter, vanno pazzi per Stifter. Credo che gli studiosi di letteratura applichino nel caso di Stifter un metro del tutto inadeguato. Continuano a scrivere di Stifter più che di qualsiasi altro scrittore del suo tempo, e se leggiamo che cosa scrivono di Stifter ci vediamo costretti a supporre che di Stifter non abbiano letto nemmeno una riga, o che per lo meno ciò che hanno letto lo abbiano letto in modo del tutto superficiale. La natura di questi tempi va per la maggiore, diceva ieri Reger, e questa è una delle ragioni per cui Stifter di questi tempi va per la maggiore. Tutto quanto è in relazione con la natura è ora di gran moda, diceva ieri Reger, e perciò è di gran moda Stifter, anzi Stifter è in assoluto lo scrittore più alla moda che ci sia. Di questi tempi il bosco è di gran moda, di questi tempi i ruscelli di montagna sono di gran moda, e per conseguenza anche Stifter è di gran moda. Stifter annoia tutti mortalmente ed è fatale che ora sia di gran moda, diceva Reger. E’ il sentimentalismo in generale, questa è la cosa tremenda, che ora è di gran moda, come peraltro tutto quanto il kitsch; dalla metà degli anni Settanta fino a oggi e ancora oggi, alla metà degli anni Ottanta, il sentimentalismo e il kitsch sono di gran moda, lo sono nella letteratura, nella pittura, nella musica. Mai finora era stato scritto tanto kitsch sentimentale come oggi, negli anni Ottanta, mai finora si era dipinto in modo così kitsch e sentimentale, e i compositori fanno a gara nel kitsch e nel sentimentalismo, provi ad andare a teatro, oggi a teatro non si rappresenta altro che del kitsch socialmente pericoloso, sentimentalismo e nient’altro, e persino quando sulla scena l’azione è brutale e violenta, è soltanto sentimentalismo volgare e kitsch. Vada alle esposizioni, non le verrà mostrato altro che il kitsch più esasperato e il sentimentalismo più rivoltante. Vada nelle sale da concerto, anche li ascolterà soltanto kitsch e sentimentalismo. I libri sono oggi infarciti di kitsch e di sentimentalismo, è questo che ha portato Stifter così alla ribalta negli ultimi anni. Stifter è un maestro del kitsch, diceva Reger. In ogni pagina di Stifter c’è tanto kitsch da poter soddisfare parecchie generazioni di suore e di infermiere assetate di poesia, diceva. E per la verità anche Bruckner è soltanto sentimentale e kitsch, nient’altro che uno stupido, monumentale e sdolcinato miele orchestrale. Gli scrittori giovani e meno giovani che scrivono oggigiorno producono perlopiù soltanto del kitsch privo di spirito e di cervello e sfoderano nei loro libri un sentimentalismo addirittura insopportabile e patetico, ed è dunque pienamente comprensibile che Stifter sia di gran moda presso di loro. Proprio Stifter, che ha introdotto nella grande e alta letteratura il kitsch privo di spirito e di cervello, e che ha chiuso la propria esistenza con un suicidio kitsch, è ora di gran moda, diceva Reger. Non è poi così strano che di questi tempi, dato che la parola bosco e l’espressione moria dei boschi sono diventate così di moda e che il concetto di bosco in generale è il più usato e [ab]usato che ci sia, non è poi così strano che il Bosco d’alto fusto di Stifter si venda di questi tempi come non mai. La nostalgia degli uomini, oggi come mai prima d’ora, converge sulla natura, e poiché tutti quanti credono che Stifter abbia descritto la natura, tutti corrono a leggere Stifter. Ma Stifter non ha descritto affatto la natura, l’ha soltanto annegata nel kitsch. Tutta la stupidità degli esseri umani si manifesta nel fatto che tutti, di questi tempi, centinaia di migliaia di persone, vanno in pellegrinaggio da Stifter e si prosternano davanti a ciascuno dei suoi libri come se ciascuno di quei libri fosse un altare. E’ proprio quando mi trovo di fronte simili pseudoentusiasmi che l’umanità mi disgusta, diceva Reger, è allora che la trovo assolutamente ripugnante. In fin dei conti tutto finisce nel ridicolo, o comunque nello squallore, persino la cosa più grande e importante, diceva. In effetti Stifter mi ricorda continuamente Heidegger, quel ridicolo filisteo nazionalsocialista coi pantaloni alla zuava. Se Stifter, con incredibile sfrontatezza, ha annegato nel kitsch l’alta letteratura, Heidegger, il filosofo della Foresta Nera Heidegger, ha annegato nel kitsch la filosofia, Heidegger e Stifter, ciascuno per suo conto e a suo modo, hanno implacabilmente annegato nel kitsch letteratura e filosofia. Heidegger, sulle cui orme si sono mosse le generazioni della guerra e del dopoguerra, sommergendolo con stupide e disgustose tesi di dottorato quando ancora era in vita, Heidegger me lo vedo sempre seduto sulla panchina davanti a casa sua nella Foresta Nera accanto a sua moglie, la quale, nel suo perverso entusiasmo per il lavoro a maglia, lavora ininterrottamente per confezionargli le calze invernali con la lana che lei stessa ha tosato dalle loro pecore heideggeriane. Heidegger non riesco a vederlo altrimenti che seduto sulla panca davanti a casa sua nella Foresta Nera, e accanto a lui vedo sua moglie che lo ha completamente soggiogato per tutta la vita, e che a maglia gli lavorava tutte le calze, e all’uncinetto tutti i berretti, e gli infornava il pane, e gli tesseva le lenzuola, e gli confezionava personalmente persino i sandali. Heidegger era una mente inzuppata di kitsch, diceva Reger, esattamente come Stifter, eppure era assai più ridicolo ancora di Stifter, che era stato davvero una tragica apparizione, a differenza di Heidegger che è sempre stato soltanto comico, piccolo borghese come Stifter, altrettanto spaventosamente megalomane, un imbecille delle Prealpi, credo, giusto quello che ci vuole per il minestrone della filosofia tedesca. Heidegger se lo sono pappato tutti a grandi cucchiaiate, con una fame da lupi, per decenni, come nessun altro, rimpinzando così i loro stomaci di germanisti e di filosofi tedeschi. Heidegger aveva un volto ordinario, non un volto dal quale trapelasse l’ingegno, era un essere del tutto sprovvisto d’ingegno, assolutamente privo di fantasia, assolutamente privo di sensibilità, un ruminante della filosofia tipicamente tedesco, una vacca della filosofia gravida in permanenza, diceva Reger, che pascolava sui prati della filosofia tedesca e che per decenni ha lasciato cadere il suo lezioso sterco nella Foresta Nera. Heidegger era per così dire un fedifrago della filosofia, diceva Reger, uno che è riuscito a mettere nel sacco un’intera generazione di studiosi tedeschi. Heidegger è un episodio rivoltante nella storia della filosofia tedesca, diceva ieri Reger, un episodio di cui sono stati responsabili e sono tuttora responsabili tutti gli uomini di cultura tedeschi. Oggi Heidegger non è stato ancora completamente svelato, la vacca heideggeriana è dimagrita, è vero, ma il latte heideggeriano viene ancora munto. La fotografia di Heidegger coi pantaloni alla zuava infeltriti davanti alla finta casamatta a Todtnauberg, mi è del resto rimasta in mente come una foto più che rivelatrice, il filisteo del pensiero, con il berretto nero da Foresta Nera in testa, testa in cui non ribolliva comunque nient’altro che l’imbecillità tedesca, così Reger. Quando per noi arriva la vecchiaia, di mode ne abbiamo viste tante, mode micidiali, tutte quelle mode micidiali artistiche e filosofiche e di beni di consumo. Heidegger è un bell’esempio di come, di una moda filosofica che un giorno ha conquistato tutta la Germania, altro non rimane che qualche ridicola fotografia e qualche scritto ancora più ridicolo. Heidegger era un imbonitore della filosofia, uno che portava al mercato solo merce rubata, tutta la merce di Heidegger è di seconda mano, Heidegger era ed è il prototipo del pensatore per imitazione al quale mancava tutto, ma proprio tutto, per pensare con la propria testa. Il metodo di Heidegger consisteva nel ridurre senza alcun riguardo le grandi idee altrui alle proprie piccole idee, proprio così. Heidegger ha rimpicciolito ogni cosa grande in modo tale da ridurla alla portata dei tedeschi, mi capisce, alla portata dei tedeschi, diceva Reger. Heidegger è il piccolo borghese della filosofia tedesca che ha messo in testa alla filosofia tedesca il suo nero berretto da notte kitsch, quel nero berretto da notte kitsch che Heidegger, com’è noto, portava sempre, in ogni occasione. Heidegger è il filosofo dei tedeschi in pantofole e berretto da notte, nient’altro che questo. Non so, diceva ieri Reger, ma ogni volta che penso a Stifter penso sempre anche a Heidegger e viceversa. Non è certo un caso, diceva Reger, che Heidegger, esattamente come Stifter, sia sempre stato e sia tuttora il filosofo prediletto delle donne inacidite, e infatti, come le infermiere operose e le suore operose si cibano di Stifter, essendo Stifter, per così dire, la loro pietanza preferita, così, per gli stessi motivi, esse si cibano anche di Heidegger. Ancora oggi Heidegger è il filosofo prediletto del mondo femminile tedesco. Il filosofo delle donne, questo è Heidegger, il filosofo dell’ora di pranzo, particolarmente adatto all’appetito tedesco di filosofia, servito direttamente dalla padella dei dotti.

Se le capita di recarsi a un ricevimento della piccola borghesia o anche della piccola borghesia semiaristocratica, è molto probabile che Heidegger le venga servito già prima dell’antipasto, lei non ha ancora tolto il cappotto e già le viene offerta una fettina di Heidegger, non si è ancora seduto e già la padrona di casa è entrata portando Heidegger, per così dire, insieme allo sherry sul vassoio d’argento. Heidegger è un piatto forte della filosofia tedesca, e fa sempre un figurone, lo si può servire ovunque e a qualsiasi ora, diceva Reger, e in qualunque ambiente. Non conosco filosofo che sia oggi più declassato di lui, diceva Reger. Del resto per la filosofia Heidegger è oggi fuori gioco, se ancora dieci anni fa era ritenuto un grande pensatore, ormai non è nient’altro che un fantasma il quale, per così dire, si aggira nei salotti pseudointellettuali durante i ricevimenti pseudointellettuali, sommando alla ipocrisia del tutto naturale tipica di quegli ambienti una ipocrisia artificiale. Anche Heidegger, come del resto Stifter, è un budino di letture, insapore ma facilmente digeribile, per l’anima tedesca media. Con lo spirito filosofico Heidegger ha tanto poco a che fare quanto Stifter con la letteratura, in rapporto a filosofia e letteratura Heidegger e Stifter non valgono praticamente niente, anche se io colloco Stifter più in alto di Heidegger, che ho sempre trovato repellente, perché in Heidegger mi ha sempre disgustato tutto, non soltanto il berretto da notte in testa e i mutandoni invernali tessuti a mano e stesi sulla stufa che lui stesso si accendeva a Todtnauberg, non soltanto il suo bastone da passeggio della Foresta Nera tagliato in casa, ma per l’appunto la sua filosofia della Foresta Nera fatta in casa, tutto in quest’uomo tragicomico mi ha sempre disgustato, tutto mi ha sempre profondamente ripugnato al solo pensiero; mi è bastato conoscere una riga di Heidegger per esserne disgustato, ma soltanto quando l’ho letto ho capito, diceva Reger; ho sempre avuto la sensazione che Heidegger fosse un ciarlatano, il quale per tutta la vita non ha fatto altro che sfruttare tutto quanto gli stava intorno, e sfruttando a destra e a manca si abbronzava sulla sua panchina di Todtnauberg. Se penso che anche persone estremamente intelligenti si sono fatte abbindolare da Heidegger e che persino una delle mie migliori amiche ha scritto una tesi di dottorato su Heidegger e che questa tesi l’ha anche scritta sul serio, mi viene ancora oggi il voltastomaco. Quel niente è senza fondamento è la cosa più ridicola, così Reger. Ma sui tedeschi fa colpo la vanagloria, diceva Reger, i tedeschi hanno una particolare propensione alla vanagloria, è questa una delle loro qualità più spiccate. E quanto agli austriaci, in tutte queste cose sono peggio ancora. Ho visto una serie di fotografie che una fotografa di eccezionale talento ha fatto a Heidegger con quella sua aria da pingue ufficiale di stato maggiore in pensione che ha sempre avuto, diceva Reger, e un giorno gliele mostrerò; in quelle fotografie Heidegger scende dal letto, si rimette a letto, Heidegger dorme, si risveglia, indossa i mutandoni, infila i pedalini, beve un sorso di mosto, esce dalla casamatta e contempla l’orizzonte, intaglia il bastone, si mette il berretto, si toglie il berretto dalla testa, tiene il berretto in mano, divarica le gambe, alza la testa, china la testa, mette la mano destra nella sinistra di sua moglie, sua moglie mette la mano sinistra nella sua destra, cammina davanti a casa, cammina dietro la casa, si dirige verso casa, si allontana da casa, legge, mangia, prende qualche cucchiaiata di minestra, si taglia una fetta di pane (fatto in casa), apre un libro (scritto in casa), chiude un libro (scritto in casa), si china, si stiracchia, e così via, diceva Reger. Roba da vomitare. Se già i wagneriani sono insopportabili, figurarsi gli heideggeriani, diceva Reger. Ma naturalmente Heidegger non può essere paragonato a Wagner, il quale, lui sì, è stato un vero e proprio genio cui il concetto di genio si addice effettivamente più che a chiunque altro, mentre Heidegger è stato soltanto un misero serrafila della filosofia. Heidegger, questo è chiaro, è stato il filosofo tedesco più blandito del secolo, e nello stesso tempo il più insignificante del secolo. In pellegrinaggio andavano da Heidegger soprattutto quelli che confondono la filosofia con l’arte culinaria, quelli che pensano che la filosofia sia qualcosa di fritto, di cotto al forno, di bollito, il che rispecchia perfettamente il gusto tedesco. Heidegger teneva la sua corte a Todtnauberg e si faceva contemplare senza posa sul suo podio filosofico della Foresta Nera come se fosse una vacca sacra. Persino il famoso e temuto direttore di una rivista della Germania del Nord s’inginocchiò devotamente davanti a lui con la bocca aperta quasi che, per così dire, aspettasse da Heidegger, seduto sulla sua panca davanti a casa nella luce del tramonto, l’ostia dello spirito. Tutta questa gente andava in pellegrinaggio da Heidegger a Todtnauberg e si rendeva ridicola, diceva Reger. Andavano in pellegrinaggio, per così dire, nella Foresta Nera della filosofia e salivano sul colle Santheidegger e s’inginocchiavano davanti al loro idolo. Nella loro ottusità non potevano sapere che il loro idolo era, sul piano intellettuale, un fiasco assoluto. Non lo sospettavano neppure, diceva Reger. Il caso Heidegger è comunque un esempio molto istruttivo del culto dei tedeschi per i filosofi. Si attaccano sempre e soltanto a quelli sbagliati, diceva Reger, a quelli che più gli convengono, a quelli stupidi ed equivoci. Ma il fatto atroce, diceva poi, è che io, in realtà, di quei due sono anche parente, parente di Stifter per via materna e di Heidegger per via paterna, il che è addirittura grottesco, diceva ieri Reger. Perfino di Bruckner sono parente, parente alla lontana, come si suol dire, ma comunque parente. Eppure naturalmente non sono così stupido da vergognarmi di questi legami di parentela, non ci sarebbe niente di più stupido, diceva Reger, sebbene questo fatto delle parentele non susciti in me lo stesso entusiasmo che ha sempre suscitato nei miei genitori e così pure in tutta la mia famiglia. La maggior parte dei miei avi, diceva, poco importa di quale tendenza dell’Alta Austria o semplicemente austriaca o tedesca essi fossero, diceva, erano commercianti, industriali come mio padre, in passato com’è ovvio contadini, provenienti più dalla Boemia che da altre zone, meno dalle Alpi e più dalle Prealpi, e c’era anche tra loro una forte componente ebraica. Tra i miei avi c’è stato anche un arcivescovo e l’autore di un duplice omicidio. No, mi sono sempre detto, non indagherò oltre sulle mie origini, perché probabilmente col passare del tempo finirei col riesumare atrocità sempre più sconcertanti, delle quali sinceramente ho paura. La gente riesuma i suoi avi e fruga, fruga nel proprio mucchio di antenati finché non ha scombussolato tutto e a quel punto è decisamente scontenta, e di conseguenza doppiamente ferita e disperata, diceva. Io non sono mai stato quel che si dice un riesumatore di antenati, non ho nessuna propensione a una cosa del genere, ma prima o poi anche un uomo come me si ritrova a un tratto sul proprio cammino i più strani esemplari di antenati, non c’è nessuno che possa sfuggire a questo destino, chiunque, se pure resiste con tutte le sue forze alla cosiddetta riesumazione degli antenati, alla fin fine scava, scava, e riesuma gli antenati. Dopotutto io sono il risultato di un miscuglio davvero interessante, sono, per così dire, una sezione trasversale di tutto. Sapere meno di quel che so a questo proposito sarebbe comunque stato meglio, ma con l’età vengono appunto alla luce molte cose non richieste, diceva. Dei miei antenati quello che preferisco è l’apprendista falegname che nel milleottocentoquarantotto ha imparato a leggere e a scrivere a Cattaro, annunciandolo poi con orgoglio in una lettera ai suoi genitori, diceva. Questo apprendista falegname, mio parente da parte di madre, era acquartierato alla fortezza di Cattaro, l’odierna Kotor, come cannoniere, e io possiedo ancora la lettera che lui, diciottenne raggiante di gioia, come si suol dire, scrisse da Cattaro ai suoi genitori a Linz, lettera sulla quale l’amministrazione imperiale delle poste ha indicato che il contenuto era sospetto. Tutto ciò che siamo proviene dai nostri antenati, diceva Reger, tutto, e in più c’è la componente personale. Essere imparentato con Stifter mi era sembrato per tutta la vita un fatto inaudito e unico, finché non ho capito che Stifter non è quel grande scrittore o poeta, poco importa, che io avevo venerato per tutta la vita. Ho anche sempre saputo di essere parente di Heidegger perché i miei genitori lo gridavano ai quattro venti in ogni occasione. Siamo parenti di Stifter, siamo anche parenti di Heidegger e così pure di Bruckner, dicevano in ogni occasione i miei genitori, tanto che spesso mi sono sentito in imbarazzo. La gente ritiene sempre che essere imparentati con Stifter sia un fatto inaudito, nell’Alta Austria è certamente così, ma addirittura in tutta l’Austria questo fatto, nelle relazioni sociali, ha almeno lo stesso valore di un legame di parentela con l’imperatore Francesco Giuseppe, certo essere imparentati con Stifter e con Heidegger è la cosa più straordinaria e più sconvolgente che in Austria, e perfino in Germania, si possa immaginare. E se poi al momento opportuno, diceva Reger, si parlava anche della parentela con Bruckner, allora la gente non si riprendeva più dallo stupore. Avere nel proprio parentado un celebre scrittore è già qualcosa di particolare, ma se nel parentado c’è anche un celebre filosofo, il fatto, com’è naturale, è ancora più inaudito, diceva Reger, e se uno per di più è anche parente di Anton Bruckner, allora è arrivato in cima. I miei genitori giocavano spesso su questo fatto e naturalmente ne traevano vantaggio. Si trattava solo di menzionare queste parentele nel momento opportuno, sicché era ovvio che parlassero del loro parente Adalbert Stifter quando volevano ottenere un’agevolazione nell’Alta Austria, presso il governo regionale ad esempio, al quale deve rivolgersi costantemente ogni cittadino dell’Alta Austria, o che parlassero di Anton Bruckner chiamato in causa perlopiù quando avevano un problema a Vienna, così Reger, oppure, nel caso di un problema che riguardasse Linz o Wels o Eferding, e dunque l’Alta Austria, dicevano naturalmente di essere imparentati con Stifter; se invece avevano un problema a Vienna, Bruckner era loro parente, e quando erano in viaggio in Germania dicevano cento volte al giorno che Heidegger era loro parente, e oltretutto dicevano sempre che Heidegger era loro parente stretto, senza precisare onestamente quanto Heidegger, in realtà, fosse loro parente, perché è vero che Heidegger è imparentato con loro, e quindi anche con me, ma lo è soltanto, come si suol dire, alla lontana. Di Stifter invece siamo parenti molto stretti e anche di Bruckner siamo parenti piuttosto stretti, diceva Reger ieri. Che erano anche imparentati con l’autore di un duplice omicidio, che aveva trascorso metà della sua vita adulta a Stein an der Donau e l’altra metà a Garsten bei Steyr, e cioè nei due più grandi penitenziari austriaci, com’è ovvio non lo dicevano mai, anche se dirlo sarebbe stato un loro preciso dovere. Quanto a me, non mi sono mai vergognato di dire che un mio parente era stato a Stein e a Garsten, che è senz’altro la cosa più grave che un austriaco possa dire di un proprio parente, anzi l’ho detto più del necessario, ciò che naturalmente può essere interpretato come un segno di fragilità, diceva Reger. Del resto non ho neppure mai nascosto di aver avuto la tisi e di essere sempre stato tisico, non ho mai avuto in vita mia questa paura dei difetti e delle imperfezioni. Sono imparentato con Stifter e con Heidegger e con Bruckner e con l’autore di un duplice omicidio che ha scontato la sua pena a Steyr e a Stein, ho detto molto spesso, se pure non richiesto, diceva ieri Reger. Dobbiamo sempre convivere con i nostri avi, quali che siano, diceva. Noi siamo infatti questi avi, diceva, io dentro di me sono tutti loro insieme. Reger ama la nebbia e gli ambienti cupi, rifugge la luce, questa è la ragione per cui va al Kunsthistorisches Museum, questa è la ragione per cui va all’Ambassador, al Kunsthistorisches Museum l’ambiente è cupo infatti come all’Ambassador, e mentre al Kunsthistorisches Museum può godere della temperatura, ideale per lui al mattino, di diciotto gradi centigradi, all’Ambassador gode invece della temperatura, ideale per lui nel pomeriggio, di ventitré gradi centigradi, a prescindere da tutte le altre cose che al Kunsthistorisches Museum da un lato, all’Ambassador dall’altro, gli semplificano la vita e, a quel che dice lui stesso, gli sono preziose. Al Kunsthistorisches Museum il sole non riesce a filtrare più di quel poco che filtra all’Ambassador, e questo per lui è l’ideale perché lui non ama raggi del sole, evita il sole, non c’è niente che Reger rifugga quanto il sole. Io detesto il sole, lei lo sa, detesto il sole più di ogni altra cosa al mondo, dice. Le giornate che preferisce sono quelle di nebbia, nelle giornate di nebbia esce di casa già molto presto, fa persino delle passeggiate che solitamente non fa, perché in fondo detesta andare a passeggio. Detesto passeggiare, dice, mi sembra una cosa senza senso. Passeggiando cammino e cammino e non faccio altro che pensare quanto detesto andare a passeggio, non ho altri pensieri, mentre cammino, non capisco proprio come possa esserci gente che passeggiando riesce a pensare, che riesce a pensare qualche cosa di diverso dal fatto che passeggiare è assurdo e inutile, dice. La cosa che preferisco è camminare avanti e indietro nelle mie stanze, dice, è così che mi vengono le idee migliori. Posso stare ore alla finestra guardando giù in strada, è un’abitudine che ho preso da bambino. Guardo giù in strada e osservo la gente e mi chiedo che cos’è questa gente, che cosa la fa muovere giù in strada, che cosa la tiene in movimento, è questa, per così dire, la mia principale occupazione. Mi sono sempre dedicato esclusivamente agli esseri umani, di per sé, infatti, la natura non mi ha mai interessato, tutto in me è sempre stato in relazione con gli esseri umani, io sono, per così dire, un fanatico degli esseri umani, diceva, non un fanatico dell’umanità, com’è naturale, ma un fanatico degli esseri umani. Mi hanno sempre interessato esclusivamente gli esseri umani, diceva, perché per natura mi disgustavano, niente mi attrae più intensamente degli esseri umani e nello stesso tempo niente mi disgusta più profondamente di loro. Detesto gli uomini, ma essi sono nello stesso tempo la mia unica ragione di vita. Quando di notte torno a casa da un concerto, spesso rimango in piedi alla finestra fino all’una o alle due del mattino e guardo giù in strada e osservo gli esseri umani che passano sotto di me. Ed è in questa fase di osservazione che via via il mio lavoro prende forma. Sto in piedi alla finestra e guardo giù in strada e contemporaneamente lavoro al mio articolo. Verso le due del mattino me ne guardo bene dal mettermi a letto, diceva, mi siedo alla scrivania e scrivo l’articolo. A letto ci vado verso le tre del mattino, ma già verso le sette e mezzo mi alzo. Alla mia età, com’è naturale, non ho più bisogno di dormire a lungo. A volte dormo solo tre o quattro ore, è più che sufficiente. Ogni essere umano ha qualcuno che gli assicura il pane, diceva ipocritamente, io ho il Times che mi assicura il pane. Se abbiamo qualcuno che ci assicura il pane è un bene, se abbiamo qualcuno che ci assicura il pane in segreto è ancora meglio, il Times è ciò che mi assicura il pane in segreto, diceva ieri. Io lo osservavo ma perlopiù non lo vedevo veramente. Ieri diceva di aver avuto non tutte, ma comunque moltissime possibilità durante l’infanzia e l’adolescenza che era seguita all’infanzia, e che alla fine non si era deciso per nessuna di queste possibilità, intese come indirizzi professionali. Poiché non era stato costretto a guadagnarsi da vivere, avendo percepito l’eredità tutt’altro che irrisoria dei suoi genitori, per anni non aveva fatto altro che seguire indisturbato le sue idee, le sue predilezioni, le sue inclinazioni. Fin dall’inizio non era stata la natura ad attrarlo, al contrario, la natura, l’aveva sempre il più possibile evitata, l’arte invece lo aveva attratto, qualsiasi cosa, purché fosse artificiale, così lui ieri, assolutamente qualsiasi cosa, purché fosse artificiale. La pittura lo aveva ben presto deluso, di tutte le arti gli era parsa subito la più estranea allo spirito. Leggeva molto e con passione, ma l’idea di scrivere non gli era mai venuta, non aveva mai pensato di esserne capace. La musica l’aveva amata fin dall’inizio, nella musica inoltre aveva finalmente trovato ciò di cui sentiva la mancanza sia nella pittura sia nella letteratura. Io non provengo da una famiglia musicalmente dotata, così lui, al contrario, i miei erano tutti insensibili alla musica, e in fondo veri e propri nemici dell’arte. Solo dopo che i miei genitori furono morti, io potei dedicarmi all’arte come alla cosa che prediligevo. Bisognava che i miei genitori fossero morti perché io potessi fare veramente ciò che preferivo, essi avevano sempre sbarrato la strada alle mie predilezioni, alle mie passioni. Mio padre non era una persona musicale, diceva, mia madre era musicale, doveva essere addirittura molto dotata per la musica, ma suo marito col tempo aveva estirpato la sua musicalità. I miei genitori erano una coppia terribile, diceva, segretamente si odiavano ma non potevano separarsi. Proprietà e denaro li tenevano uniti, la verità è questa. Avevamo molti quadri belli e costosi appesi alle pareti, diceva, ma per decenni i miei genitori non li hanno guardati una sola volta, avevamo parecchie migliaia di libri negli scaffali, ma loro nel corso dei decenni non hanno letto nemmeno uno di quei libri, avevamo un Bosendorfer a coda, ma nessuno per decenni l’ha mai suonato. Se il coperchio di quel pianoforte fosse stato saldato, loro per decenni non se ne sarebbero accorti, diceva. I miei genitori avevano orecchie ma non sentivano niente, avevano occhi ma non vedevano niente, forse avevano un cuore ma non provavano niente. In questo freddo io sono cresciuto, diceva. Non ho dovuto subire alcuna privazione, eppure non passava giorno in cui non fossi profondamente disperato, diceva. Tutta l’infanzia non era stata nient’altro che un’epoca di disperazione. I miei genitori non mi amavano e neanch’io li amavo. Non mi perdonavano il fatto di avermi generato, non mi hanno mai perdonato, per tutta la vita, il fatto di avermi generato. Se c’è un inferno, ed è naturale che un inferno ci sia, allora la mia infanzia è stata l’inferno. E’ probabile che l’infanzia sia sempre un inferno, l’infanzia è l’inferno per eccellenza, diceva, ogni infanzia, non importa quale, è l’inferno. La gente dice di aver avuto una bella infanzia e invece era l’inferno. La gente falsifica tutto, falsifica anche l’infanzia che ha avuto. Ho avuto una bella infanzia, dicono, eppure non hanno avuto altro che l’inferno. La gente più invecchia e più facilmente dice di aver avuto una bella infanzia, mentre la loro infanzia non è stata altro che l’inferno. L’inferno non arriva, l’inferno è stato, diceva, perché l’inferno è l’infanzia.

Che cosa mi è costato uscire da quell’inferno! diceva ieri.? Finché sono vissuti i miei genitori per me è stato l’inferno. I miei genitori hanno ostacolato tutto dentro di me e su di me, diceva. Sottoponendomi a un meccanismo di repressione costante, poco c’è mancato che mi uccidessero a forza di protezione, diceva. Bisognava che i miei genitori fossero morti perché io potessi vivere, quando morirono i miei genitori io risorsi a nuova vita. Alla fine fu in effetti la musica che mi rese vitale, diceva ieri. Ma io non volevo e naturalmente non potevo essere un artista creativo, né tanto meno potevo essere un artista esercitante, diceva, in ogni caso non potevo essere un artista creativo o esercitante in campo musicale, potevo essere soltanto un artista critico, diceva. Sono un artista critico, diceva, sono stato per tutta la vita un artista critico. Già nell’infanzia ero un artista critico, diceva, le circostanze in cui ho trascorso l’infanzia hanno fatto di me, nel modo più naturale, un artista critico. Io mi sento infatti un artista in tutto e per tutto, un artista critico, appunto, e come artista critico, com’è naturale, sono anche creativo, è chiaro, e dunque sono un artista critico, creativo ed esercitante, diceva. E come se non bastasse, un artista creativo, esercitante e critico del Times, diceva. Considero senz’altro le mie brevi recensioni per il Times dei pezzi di bravura e penso che io, in qualità di autore di questi pezzi di bravura, sono sempre nello stesso tempo e simultaneamente pittore, musicista e scrittore. Sapere che io, in qualità di autore di questi pezzi di bravura per il Times, sono pittore, musicista e scrittore simultaneamente è la mia gioia più grande, è una gioia immensa. Non sono dunque solo pittore come i pittori, non sono solo musicista come i musicisti, non sono solo scrittore come gli scrittori, io, deve sapere, sono pittore, musicista e scrittore simultaneamente. Ritengo comunque che la fortuna più grande, diceva, sia di essere artista in tutte le arti e tuttavia di esserlo in una soltanto. Probabilmente, diceva, l’artista critico è colui che in tutte le arti ne esercita una sola, la propria, e che di questo fatto è consapevole sotto ogni aspetto. Possedendo questa consapevolezza io sono felice. Così sono felice da più di trent’anni, anche se per natura sono un essere umano infelice. L’essere umano pensante è per sua natura un essere umano infelice, diceva ieri. Ma persino l’essere umano infelice può essere felice, diceva, può provare continuamente la felicità nel senso più vero della parola e del concetto, per passatempo. L’infanzia è il buco nero nel quale siamo stati scaraventati dai nostri genitori e dal quale dobbiamo uscire senza alcun aiuto. La maggior parte degli esseri umani non riesce com’è noto a venir fuori da quel buco che è l’infanzia, gli esseri umani rimangono quasi tutti vita natural durante nel buco dell’infanzia e non ne vengono fuori e sono amareggiati. E una ragione c’è se la maggior parte degli esseri umani che non riesce a uscire dal buco dell’infanzia è amareggiata. Uscire dal buco dell’infanzia già richiede uno sforzo sovrumano. E se non usciamo abbastanza presto dal buco dell’infanzia, da questo buco nero, insomma, non ne usciamo più, diceva. Bisognava che i miei genitori fossero morti perché io potessi uscire da questo buco nero dell’infanzia, diceva, sa, bisognava che fossero morti definitivamente, morti per sempre, perché io potessi uscire dal buco dell’infanzia. I miei genitori non avrebbero chiesto di meglio che di ficcarmi subito dopo la nascita nella loro cassaforte insieme ai titoli e ai monili, diceva. Avevo dei genitori amareggiati, diceva, che per tutta la vita hanno sofferto a causa della loro amarezza. In tutte le fotografie che posseggo dei miei genitori, e ogni volta che le vedo, io vedo la loro amarezza. Ci sono quasi soltanto figli di genitori amareggiati, per questo i genitori hanno sempre un’aria così amareggiata. Amarezza e delusione sono impresse in tutti quei volti, difficilmente troverà un volto diverso, lei per esempio può camminare ore e ore per le strade di Vienna e non vedrà nient’altro che amarezza e delusione su tutti quei volti, e in campagna non è diverso, anche i volti di campagna sono pieni di amarezza e delusione. I miei genitori mi hanno fatto, e quando hanno visto che cosa avevano fatto sono rimasti sgomenti e non avrebbero chiesto di meglio che di poter tornare sui loro passi. E non potendomi ficcare in cassaforte, mi hanno scaraventato nel buco nero dell’infanzia, dal quale non sono più uscito finché loro sono stati in vita. I genitori fanno sempre i figli in modo irresponsabile e quando vedono quello che hanno fatto rimangono sgomenti, sicché, quando nascono dei bambini, noi vediamo sempre e soltanto genitori sgomenti. Fare un figlio oppure, come si suol dire con tanta ipocrisia, dargli la vita, non significa altro che portare nel mondo e mettere al mondo una infelicità palese, e di fronte a questa infelicità palese tutti i genitori rimangono sgomenti. La natura ha sempre trasformato i genitori in pazzi, diceva, e a questi pazzi ha sempre fatto partorire bambini infelici nei buchi neri dell’infanzia. Uomini e donne affermano con grande disinvoltura di aver avuto un’infanzia felice, mentre hanno avuto un’infanzia infelice alla quale sono scampati solo grazie a un’estrema fatica, e dicono di aver avuto un’infanzia felice proprio perché sono scampati all’inferno dell’infanzia. Essere scampati all’infanzia non significa altro in realtà che essere scampati all’inferno, e poi diciamo che il tale o il tal altro ha avuto un’infanzia felice in modo da risparmiare chi ci ha messo al mondo, i genitori, i quali invece non vanno risparmiati, diceva. Dire di aver avuto un’infanzia felice, risparmiando in tal modo i propri genitori, non è altro che una meschinità sociale e politica, diceva. Risparmiamo i genitori invece di accusarli vita natural durante del crimine che hanno commesso generando degli esseri umani, diceva ieri.

Per trentacinque anni io sono stato tenuto rinchiuso dai miei genitori nel buco dell’infanzia, diceva. Per trentacinque anni mi hanno represso con tutti i mezzi che avevano a disposizione, mi hanno tormentato con i loro metodi raccapriccianti. Non devo avere il minimo riguardo nei confronti dei miei genitori, essi non meritano il minimo riguardo, diceva. Due crimini hanno commesso nei miei confronti, due gravissimi crimini, diceva, essi mi hanno generato e poi mi hanno represso, mi hanno generato senza chiedere il mio parere e dopo avermi generato e gettato nel mondo mi hanno represso, hanno commesso nei miei confronti il crimine della procreazione e il crimine della repressione. E mi hanno scaraventato nel buco nero dell’infanzia con la massima spietatezza, la spietatezza tipica dei genitori. Come lei sa, io avevo anche una sorella, quella che è morta prematuramente, diceva, e che solo grazie alla sua morte prematura è sfuggita ai genitori, con lei i genitori erano spietati non meno che con me, ci opprimevano, i genitori, me e mia sorella, con il loro trauma della delusione, mia sorella non l’ha sopportato a lungo, morendo di colpo in una giornata d’aprile gli si è sottratta in maniera del tutto inattesa, come può capitare solo agli adolescenti, aveva diciannove anni, mia sorella, ed è morta, deve sapere, di un cosiddetto arresto cardiaco, mentre al primo piano mia madre sistemava ogni cosa per la festa di compleanno di mio padre, e al primo piano correva avanti e indietro nel tentativo di evitare il benché minimo errore nella preparazione della festa di compleanno, correva avanti e indietro, mia madre, con piatti e bicchieri e tovaglie e dolciumi di ogni genere, e quasi ci faceva impazzire, me e mia sorella, con i suoi preparativi per la festa di compleanno iniziati ossessivamente di primo mattino, appena mio padre era uscito di casa, mia madre, al culmine dell’isteria, si era abbandonata alla sua frenesia da festa di compleanno a noi ben nota, e mentre ci spediva, me e mia sorella, su e giù per le scale, nelle cantine, dentro e fuori dalle diverse anticamere e ritorno, attentissima a non commettere errori, mentre dunque mia madre spediva mia sorella e me avanti e indietro in tutti gli angoli della casa per preparare la festa di compleanno, io, lo ricordo perfettamente, mi chiedevo tutto il tempo, chissà se è il cinquantottesimo o il cinquantanovesimo compleanno di nostro padre; correvo tutto il tempo in giro per la casa e attraversavo tutte le nostre stanze e mi chiedevo, sarà il cinquantottesimo, sarà il cinquantanovesimo, o sarà addirittura il sessantesimo, ma il sessantesimo non era, era il cinquantanovesimo compleanno di mio padre, diceva Reger. Io ero incaricato di aprire tutte le finestre e di far entrare aria fresca, fin da allora, fin dall’infanzia e dalla giovinezza io detestavo le correnti d’aria, ma per ordine di nostra madre dovevo aprire ogni momento tutte le finestre e far entrare aria, diceva lei, quindi mi toccava continuamente fare una cosa che detestavo, e non c’era niente che detestassi tanto quanto far entrare in casa l’aria fresca da tutte le finestre, niente che detestassi di più delle correnti d’aria che da tutte le parti invadevano la casa, diceva, ma com’è naturale non c’era niente che potessi fare contro gli ordini dei miei genitori, avevo sempre rigorosamente eseguito tutti gli ordini dei miei genitori, non avrei mai osato non eseguire un ordine dei miei genitori, poco importa che si trattasse di un ordine di mia madre o di mio padre, io automaticamente e rigorosamente eseguivo ogni ordine dei miei genitori, diceva Reger, perché volevo sfuggire alla punizione dei miei genitori e la punizione dei miei genitori era sempre una punizione tremenda, crudele, temevo il supplizio al quale mi avrebbero sottoposto i miei genitori e per questo eseguivo sempre e rigorosamente, com’è naturale, tutti gli ordini dei miei genitori, diceva, di qualunque ordine si trattasse, anche se dal mio punto di vista l’ordine era un ordine completamente assurdo, e dunque era scontato che il giorno del compleanno di nostro padre io aprissi tutte le finestre e lasciassi che le correnti d’aria invadessero la casa. Mia madre festeggiava tutti i nostri compleanni, non c’è stato un solo nostro compleanno che non sia stato festeggiato, io detestavo quelle feste di compleanno, come lei può ben immaginare, così come detesto ogni genere di cerimonia, ancora oggi odio ogni festeggiamento, ogni cerimonia, niente mi disgusta di più del festeggiare o dell’essere festeggiato, io sono uno che detesta le festività, diceva, fin dall’infanzia detestavo tutte le feste e le cerimonie e soprattutto detestavo festeggiare i compleanni, non importa quali, e più di tutto detestavo quando si festeggiava un compleanno dei nostri genitori; come può un essere umano festeggiare un compleanno, il proprio compleanno, ho sempre pensato, quando già il fatto di essere al mondo non è altro che una disgrazia, sì, ho sempre pensato, se gli esseri umani istituissero un’ora commemorativa il giorno del loro compleanno, una specie di ora commemorativa per ricordare il crimine perpetrato nei loro confronti da coloro che li hanno generati, allora capirei, ma non capisco perché una festa! diceva. I compleanni di nostro padre sono sempre stati festeggiati con una pompa assolutamente rivoltante, e come se non bastasse veniva sempre invitata gente di ogni tipo che io detestavo, e si mangiava e si beveva molto, e la cosa più disgustosa erano naturalmente i discorsi pronunciati in onore del festeggiato e i doni che venivano offerti al festeggiato. Del resto non c’è davvero niente di più falso di queste feste di compleanno che la gente si concede impunemente, niente di più rivoltante della falsità da compleanno e dell’ipocrisia da compleanno, diceva. E’ stato in effetti il giorno del cinquantanovesimo compleanno di nostro padre quello nel quale mia sorella è morta, diceva Reger. Ero in piedi in un angolo al primo piano, e cercando di proteggermi dalle fredde correnti d’aria osservavo mia madre che con la sua fretta isterica da compleanno correva da un locale all’altro trasportando una volta un vaso da una stanza in un’altra, una volta una zuccheriera da un tavolo all’altro, una tovaglia lì, un’altra tovaglia là, un libro lì, un altro libro là, un mazzo di fiori lì, un altro là, quando tutt’a un tratto da sotto, cioè dal piano terra, ho udito uno schianto sordo, diceva Reger. Mia madre si era improvvisamente fermata perché aveva udito anche lei lo schianto sordo proveniente da sotto. Mia madre, dopo aver udito lo schianto sordo, si arrestò di colpo e il suo volto si fece terreo, diceva Reger. Qualcosa di atroce era successo, questo fu chiaro in quel momento sia a mia madre che a me. Io, dal primo piano dov’ero, scesi nell’anticamera al piano terra, e lì trovai mia sorella morta, lunga distesa nell’anticamera. Sì, diceva Reger, l’arresto cardiaco è una morte invidiabile. Se anche a noi venisse un bel giorno un arresto cardiaco sarebbe, diceva, la nostra più grande fortuna. Ci auguriamo una morte rapida e indolore e poi magari ci capita una lunga infermità, anni di infermità, diceva ieri Reger, e poi diceva che era comunque una consolazione che sua moglie non avesse sofferto a lungo, non anni, come in alcuni casi può accadere, diceva, ma solo qualche settimana. Ma naturalmente non c’è consolazione alla perdita dell’essere umano che per tutta la vita ci è stato più vicino. Anche questo è un buon metodo, diceva ieri, mentre oggi, quindi il giorno dopo, io lo osservavo di lato e dietro di lui vedevo Irrsigler che aveva sbirciato un attimo dentro la Sala Sebastiano senza badare a me, mentre io dunque continuavo a tener d’occhio Reger, il quale continuava a sua volta a osservare l’Uomo dalla barba bianca di Tintoretto, anche questo è un buon metodo, diceva, quello di ridurre tutto a caricatura. Un grande quadro, diceva, un quadro importante, lo sopportiamo soltanto dopo averlo ridotto a caricatura, e un grand’uomo, nonché una cosiddetta personalità importante, non li sopportiamo, l’uno in quanto grand’uomo, l’altro in quanto personalità importante, diceva, e non possiamo fare a meno di ridurli a caricature. Se osserviamo un quadro per un po di tempo, anche il quadro più serio, dobbiamo averlo ridotto a caricatura per poterlo sopportare, diceva, e quindi anche i genitori vanno ridotti a caricature, anche i superiori, se ne abbiamo, vanno ridotti a caricature, il mondo intero, diceva, va ridotto a una caricatura. Guardi per un po un autoritratto di Rembrandt, uno qualsiasi, non c’è dubbio che esso a poco a poco si trasformerà in una caricatura e lei dovrà distoglierne lo sguardo. Guardi per un po il volto di suo padre, quel volto si trasformerà in una caricatura e lei dovrà distoglierne lo sguardo. Se legge Kant, e lo legge con penetrazione, con una penetrazione sempre più grande, vedrà che tutt’a un tratto scoppierà in una risata convulsa, diceva. Ogni originale del resto è già di per sé una contraffazione, diceva, lei capisce di sicuro quello che intendo. Naturalmente ci sono fenomeni al mondo, oppure nella natura, come preferisce, che non possiamo ridicolizzare, mentre nell’arte tutto si può ridicolizzare, qualsiasi essere umano può essere ridicolizzato e trasformato in una caricatura, se vogliamo, se ne abbiamo bisogno, diceva. Purché si sia in grado di ridicolizzare, perché non sempre siamo in grado di ridicolizzare, e se non siamo in grado di farlo, allora ci assale la disperazione e ci troviamo all’inferno. Qualunque opera d’arte può essere ridicolizzata, diceva, lei se la trova davanti in tutta la sua imponenza e da un momento all’altro la trasforma in una cosa ridicola, così come accade con gli esseri umani, che lei è costretto a ridicolizzare perché non può fare diversamente. Ma quasi sempre gli esseri umani sono ridicoli, e quasi sempre le opere d’arte sono ridicole, diceva Reger, e lei può risparmiarsi la fatica di ridicolizzarli e ridurli a caricature. Quasi tutti gli esseri umani sono comunque incapaci di ridurre le cose a caricature, essi osservano tutto fino in fondo con la loro aria terribilmente seria, diceva, e non sono neppure sfiorati dall’idea di una caricatura, diceva. Vanno a un’udienza papale, diceva, e prendono sul serio il Papa e l’udienza, vita naturai durante; è ridicolo, la storia dei papi è piena zeppa di caricature, diceva. Certo che San Pietro è grande, diceva, ma non si può dire che non sia ridicola. Provi a entrare in San Pietro e a sbarazzarsi completamente delle centinaia e delle migliaia e dei milioni di menzogne storiche del cattolicesimo, e vedrà che senza dover aspettare a lungo tutta San Pietro si trasformerà per lei in una cosa ridicola. Provi a recarsi a un’udienza privata e ad aspettare il Papa, e vedrà che ancora prima che arrivi, il Papa le sembrerà ridicolo, e in effetti è proprio ridicolo quando si presenta nel candore kitsch del suo abito di pura seta. Ovunque in Vaticano lei volga lo sguardo, tutto è ridicolo; purché lei si sia sbarazzato delle menzogne storiche del cattolicesimo e dei sentimentalismi storici del cattolicesimo e della piccineria universale del cattolicesimo, diceva Reger. Vede, il Papa cattolico se ne sta seduto come un burattino giramondo, imbellettato e impantofolato sotto la sua campana di vetro antiproiettile, circondato da burattini di rango superiore e inferiore imbellettati e impantofolati e il tutto è ridicolo, disgustosamente ridicolo. Provi a parlare con uno dei nostri ultimi querimoniosi sovrani, quant’è ridicolo, con uno dei nostri dirigenti comunisti coi paraocchi, quant’è ridicolo. Provi a recarsi al ricevimento di Capodanno del nostro verboso presidente della Repubblica che demolisce qualsiasi cosa con le sue ciance senili da Padre della Patria, e vedrà che le verrà il voltastomaco da quanto la situazione è ridicola. La Cripta dei Cappuccini, la Hofburg, di un ridicolo stomachevole, diceva. Vada alla chiesa dei Cavalieri di Malta e osservi i Cavalieri di Malta che nei loro abiti neri da Cavalieri di Malta fanno luccicare la loro candida crapa pseudoaristocratica sotto i lampadari della chiesa, tutto questo le sembrerà ridicolo e nient’altro. Vada alla conferenza di un cardinale cattolico, partecipi a una inaugurazione dell’anno accademico, e vedrà quant’è ridicolo. Ovunque guardiamo oggi, in questo paese, finiamo col guardare in un pozzo nero di ridicolaggine, diceva Reger. Ogni mattina ci sale alle guance il rossore della vergogna, talmente è ridicolo tutto, caro il mio Atzbacher, la verità è questa. Vada al conferimento di un premio, Atzbacher, e vedrà com’è ridicolo; personaggi ridicoli; e quanto più è grande lo sfarzo che li accompagna tanto più sono ridicoli, diceva, tutto è soltanto caricatura, diceva, semplicemente tutto. Così lei si prende per amico un brav’uomo, ed ecco che improvvisamente costui si fa nominare professore emerito, e da quel momento in poi si fa chiamare professore, e fa stampare il titolo di professore sulla propria carta da lettere, e sua moglie, di punto in bianco, si presenta dal macellaio come moglie del professore per non dover aspettare come le altre che non hanno un professore per marito. Quant’è ridicolo, diceva. Scale dorate, poltrone dorate, panche dorate alla Hofburg, diceva, e seduti sulle panche tutti quegli idioti pseudodemocratici, che cosa ridicola. Lei cammina per la Kärntnerstrasse e tutto le sembra ridicolo, tutta la gente è soltanto ridicola e nient’altro, lei attraversa tutta Vienna in lungo e in largo e tutta Vienna ad un tratto le appare ridicola, tutta la gente che incontra è ridicola, tutto quello che incontra è ridicolo, lei vive in un mondo che è ridicolo da cima a fondo, un mondo realmente alla deriva, diceva. Bisogna che di colpo lei trasformi il mondo intero in una caricatura. Lei ce l’ha la forza di trasformare il mondo in una caricatura, diceva, la somma potenza dell’ingegno necessaria a questo scopo, diceva, l’unica forza che ci permette di sopravvivere, diceva. Solo le cose che alla fine troviamo ridicole siamo in grado di padroneggiare, solo nel momento in cui troviamo ridicolo il mondo e la vita in questo mondo facciamo dei passi avanti, non c’è altro metodo, non c’è metodo migliore, diceva. In uno stato di ammirazione non possiamo resistere a lungo, e se ad esso non mettiamo fine per tempo, diceva, andiamo in malora. Io, del resto, in tutta la mia vita non mi sono mai lasciato prendere dall’ammirazione, l’ammirazione mi è estranea, poiché non esiste il miracolo l’ammirazione mi è sempre stata estranea, e niente mi ripugna come osservare la gente che ammira, la gente che soffre di una qualsiasi forma di ammirazione. Lei va in una chiesa e la gente ammira, va in un museo e la gente ammira. Va a un concerto e la gente ammira, che cosa ripugnante. L’uomo dotato di autentico intelletto non conosce l’ammirazione, prende atto, rispetta, considera, e questo è tutto, diceva. La gente entra in tutte le chiese e in tutti i musei come se portasse sulle proprie spalle un sacco pieno di ammirazione, per questa ragione tutti hanno sempre quella disgustosa andatura da gobbi che in effetti ha chiunque entri in un museo o in una chiesa, diceva. Non ho mai visto una persona entrare in una chiesa o in un museo in tutta scioltezza, ma la cosa più disgustosa è osservare la gente a Cnosso o ad Agrigento, quando è giunta alla meta del suo viaggio all’insegna dell’ammirazione, perché questa gente non viaggia se non all’insegna dell’ammirazione, diceva. L’ammirazione rende ciechi, diceva ieri Reger, rende ottuso colui che ammira. La maggior parte della gente, una volta intrappolata nell’ammirazione non se ne libera più, e questo già la rende ottusa. La maggior parte della gente rimane ottusa per tutta la vita solo perché ammira. Non c’è niente da ammirare, diceva ieri Reger, niente, assolutamente niente. Dato però che la stima e il rispetto sono troppo difficili, la gente si limita ad ammirare, le torna più comodo ammirare, diceva Reger. L’ammirazione è più facile del rispetto e della stima, lo stato di ammirazione è la prerogativa degli idioti, diceva Reger. Solo l’idiota ammira, l’uomo intelligente non ammira, l’uomo intelligente rispetta, stima, capisce, e basta. Ma per rispettare, per stimare, per capire, ci vuole ingegno, e la gente non ha ingegno, dei perfetti imbecilli che sono in effetti del tutto privi di ingegno si spingono fino alle piramidi e si aggirano tra le colonne siciliane e si fermano davanti ai templi persiani inondando di ammirazione se stessi e la propria ottusità, diceva. Lo stato di ammirazione è uno stato di deficienza mentale, diceva ieri Reger, quasi tutti vivono in questo stato di deficienza mentale. Anche al Kunsthistorisches Museum entrano quasi tutti in questo stato di deficienza mentale, diceva. La gente trascina con sé il suo pesante fardello di ammirazione perché non ha il coraggio di deporre l’ammirazione al guardaroba insieme al cappotto. Così si trascinano faticosamente da una sala all’altra gravati di ammirazione, diceva Reger, una cosa da far venire il voltastomaco. L’ammirazione però non è soltanto una caratteristica delle cosiddette persone incolte, la si trova anzi in proporzioni assolutamente spaventose, addirittura terrificanti, direi, anche e soprattutto presso le cosiddette persone colte, il che è ancora più ripugnante. La persona incolta ammira semplicemente perché è troppo stupida per non ammirare, la persona colta invece perché è troppo perversa, diceva Reger. L’ammirazione dei cosiddetti incolti è del tutto naturale, l’ammirazione dei cosiddetti colti è addirittura l’apoteosi della perversione, diceva Reger. Prenda Beethoven, il depresso cronico, l’artista di Stato, il compositore di Stato per eccellenza, la gente lo ammira, eppure Beethoven è in fondo una figura in tutto e per tutto ripugnante, in Beethoven ogni cosa è più o meno comica, quando ascoltiamo Beethoven sentiamo ininterrottamente una comica sprovvedutezza, il rombo, lo slancio titanico, l’ottusità delle marce militari perfino nella sua musica da camera. Quando ascoltiamo la musica di Beethoven sentiamo più frastuono che musica, note cupe e cadenzate come marce nazionali, diceva Reger. Ascolto per un po di tempo Beethoven, l’Eroica, per esempio, ascolto con attenzione e finisco in effetti in uno stato filosofico matematico, e rimango anche piuttosto a lungo in quello stato filosofico matematico, diceva Reger, finché ad un tratto non vedo l’artefice dell’Eroica e per me tutto crolla, tutto va in frantumi, perché in Beethoven tutto, veramente tutto è in marcia, io sento l’Eroica, che in realtà è una vera e propria musica filosofica, una musica filosofico matematica da ogni punto di vista, diceva Reger, e ad un tratto ai miei occhi tutto si guasta, tutto va in frantumi, perché io, mentre i Filarmonici suonano questa musica in modo naturale, sento da un momento all’altro lo scacco di Beethoven, sento il suo scacco, vedo la sua faccia da marcia militare, lei mi capisce, diceva Reger. Allora Beethoven mi riesce insopportabile, come del resto mi riesce insopportabile ascoltare uno di quei nostri cantanti, con o senza pancia, che massacra la Winterreise, sa, quel cantante di Lieder che appoggiato al pianoforte a coda con indosso il frac canta la Krähe mi è sempre sembrato insopportabile e ridicolo, è una caricatura sotto ogni aspetto, non c’è davvero niente di più ridicolo, diceva Reger, di un cantante di arie o di Lieder in frac appoggiato al pianoforte a coda. Com’è sublime la musica di Schubert quando non vediamo come viene eseguita, quando non vediamo quegli interpreti di una idiozia abissale con i loro capelli vanitosamente inanellati, ma naturalmente quando siamo in una sala da concerto quei cantanti li vediamo, e vedendoli tutto diventa penoso e ridicolo, una vera catastrofe per l’udito e per la vista. Non so, diceva Reger, se sono più ridicoli i pianisti o i cantanti al pianoforte, dipende dallo stato mentale in cui al momento ci troviamo. Naturalmente quello che noi vediamo quando viene eseguita della musica è ridicolo, caricaturale, e per conseguenza penoso, diceva. Il cantante è ridicolo e penoso comunque canti, sia egli tenore o basso, e le cantanti, tutte le cantanti, sono sempre e soltanto ridicole e penose, comunque siano vestite e qualsiasi cosa cantino, diceva. Uno che sfrega le corde, uno che sul podio esegue un pizzicato, è troppo ridicolo, diceva. Persino quel ciccione puzzolente di Bach, seduto all’organo di San Tommaso, era solo una figura ridicola e profondamente penosa, su questo non c’è da discutere. No no, gli artisti, anche i più importanti e, come si suol dire, i più grandi, non sono altro che personaggi kitsch, penosi e ridicoli. Toscanini, Furtwängler, uno troppo piccolo, l’altro troppo grande, ridicoli e kitsch. E se lei va a teatro, le verrà addirittura il voltastomaco tanto è ridicolo e penoso e kitsch quello che vede. Qualunque cosa recitino e comunque la recitino, le verrà il voltastomaco. Se recitano qualcosa di classico le verrà il voltastomaco, se recitano qualcosa di popolare le verrà il voltastomaco. E cosa sono tutte queste opere teatrali classiche e moderne, queste cosiddette opere sublimi o queste opere popolari, che cosa sono se non buffonate teatrali e rappresentazioni penose e kitsch. Il mondo intero è oggi un mondo ridicolo, profondamente penoso e kitsch, la verità è questa. Irrsigler si avvicinò a Reger e di nuovo gli sussurrò qualcosa all’orecchio. Reger si alzò in piedi, si guardò intorno, e uscì con Irrsigler dalla Sala Bordone. Io guardai l’orologio, mancavano dieci minuti alle undici e mezzo. Una delle ragioni per cui ero andato al museo fin dalle dieci e mezzo era la mia intenzione di essere perfettamente puntuale, perché Reger pretendeva innanzitutto la puntualità, come anch’io ho sempre preteso innanzitutto la puntualità, per me infatti nei rapporti con gli altri la puntualità è in assoluto la cosa più importante. Concepisco solo la puntualità, le persone non puntuali non le sopporto. La puntualità è un tratto essenziale di Reger, così com’è anche un mio tratto essenziale, se ho un appuntamento io lo rispetto con perfetta puntualità, come pure Reger rispetta con puntualità i suoi appuntamenti, mi ha già tenuto parecchi discorsi sulla puntualità e anche sull’affidabilità, puntualità e affidabilità sono le qualità più importanti di un essere umano, così Reger molto spesso. Io posso dire di essere una persona puntuale al cento per cento, ho sempre detestato la mancanza di puntualità che del resto non mi sono neppure mai potuto permettere. Reger è la persona più puntuale che io conosca. Finora in vita sua non è mai arrivato in ritardo, almeno non per sua colpa, come dice lui, e così, almeno nella mia vita adulta, neanch’io sono mai arrivato in ritardo per colpa mia, le persone non puntuali sono ai miei occhi le più disgustose, con le persone non puntuali non ho niente da spartire, con le persone non puntuali non ho rapporti, con le persone non puntuali non ho niente a che fare, non voglio avere niente a che fare. La mancanza di puntualità è un difetto inammissibile che io disprezzo e aborrisco, e che agli esseri umani non procura altro che solitudine e infelicità. La mancanza di puntualità è una malattia che porta alla morte chi non è puntuale, così Reger una volta. Reger si è alzato ed è uscito dalla Sala Bordone proprio mentre un gruppo di uomini anziani, dei russi, come ho potuto subito constatare, guidati, come avevo constatato altrettanto velocemente, da una interprete ucraina, era entrato nella Sala Bordone passandomi accanto e facendolo in modo tale da costringermi a scostarmi e a rintanarmi in un angolo. La gente si accalca nella sala e ti spinge via, e nemmeno si scusa, pensai, e già mi ritrovavo appiattito contro la parete. Reger era uscito dalla Sala Bordone dopo che Irrsigler gli aveva sussurrato qualcosa all’orecchio e contemporaneamente il gruppo dei russi era entrato nella Sala Bordone e si era sistemato nella Sala Bordone, era entrato e si era sistemato nella Sala Bordone in modo tale per cui non mi fu più possibile guardare dalla Sala Sebastiano nella Sala Bordone, il gruppo dei russi mi aveva completamente ostruito la visuale nella Sala Bordone. Non vedevo che le schiene del gruppo dei russi e sentivo quello che raccontava l’interprete ucraina, come tutte le altre guide del Kunsthistorisches Museum diceva sciocchezze, quelle che ficcava nelle teste delle sue vittime russe non erano altro che le solite sgradevoli chiacchiere sull’arte. Guardate là, diceva, guardate la bocca, là, guardate bene, diceva, guardate le orecchie come sono sporgenti, e là, guardate il rosa delicato sulla gota dell’angelo, e qui, guardate l’orizzonte sullo sfondo, come se tutto ciò, nei quadri di Tintoretto, non l’avrebbe visto chiunque anche senza quelle stupide osservazioni. Le guide nei musei trattano sempre gli individui che sono stati loro affidati come se questi non fossero altro che dei cretini, nient’altro che incomparabili cretini, mentre costoro non sono mai così cretini, ma le guide imperterrite spiegano sempre di preferenza ciò che per sua natura risulta quanto mai evidente, e cioè cose che non hanno bisogno di spiegazioni, eppure le guide non smettono mai di spiegare, non smettono mai di indicare e non smettono mai di parlare. Le guide nei musei non sono altro che ingranaggi vanesi per la produzione della chiacchiera, ingranaggi tenuti in funzione per tutto il tempo in cui accompagnano un gruppo attraverso il museo, e questo ingranaggio per la produzione della chiacchiera ripete sempre, anno dopo anno, le stesse cose. Le guide dei musei non sono altro che produttori vanesi della chiacchiera sull’arte, individui che non hanno dell’arte la benché minima idea e che sfruttano l’arte riducendola a chiacchiera disgustosa senza farsi alcuno scrupolo. Le guide nei musei scodellano tutto l’anno la loro chiacchiera sull’arte incassando in compenso un mucchio di quattrini.

Io ero stato spintonato nell’angolo dal gruppo dei russi e ormai non vedevo altro che schiene russe, e cioè nient’altro che pesanti pastrani invernali russi dai quali emanava un odore penetrante di naftalina, perché evidentemente il gruppo dei russi era stato costretto a percorrere a piedi, sotto l’acquerugiola, la strada che dall’autobus porta direttamente alla Pinacoteca. Poiché soffro da decenni di difficoltà respiratorie e ho comunque più volte al giorno la sensazione di essere sul punto di soffocare persino all’aria aperta, quegli istanti, che in effetti furono minuti, dietro al gruppo dei russi sono stati per me davvero sgradevoli, costretto in un angolo della Sala Bordone, io inspiravo continuamente un’aria che puzzava di naftalina, aria di gran lunga troppo pesante per i miei polmoni debilitati. La respirazione all’interno del Kunsthistorisches Museum mi risulta già di per sé alquanto difficoltosa, per non parlare di circostanze come quella che si è venuta a creare quando è comparso il gruppo dei russi. La guida ucraina parlava con il gruppo dei russi il cosiddetto russo moscovita classico che io in gran parte capivo, ma quando diceva qualche cosa in tedesco aveva una pronuncia terribile, un suono addirittura lancinante, il suo modo di pronunciare la parola Engelskopf era semplicemente atroce. In un primo momento non avrei saputo dire se l’interprete era venuta dalla Russia con il gruppo dei russi, o se invece era una di quelle emigranti russe che si sono trasferite a Vienna dopo la guerra e che ancora oggi si trasferiscono a Vienna, una di quelle emigranti ebree russe di grande intelligenza che pur rimanendo nell’ombra hanno sempre dato un tono a Vienna, a tutto vantaggio, da sempre, della società intellettuale viennese. Queste emigranti ebree russe sono infatti il vero e proprio sale della vita mondana viennese, lo sono state sempre, senza di loro la vita mondana viennese sarebbe priva di interesse. E’ vero che questa gente quando diventa megalomane, come si suol dire, e vorrebbe tenere sotto controllo ora questo ora quello, finisce col dare sui nervi, ma l’interprete in questione non era un tipico esemplare di quel genere di emigrante russa di cui ora sto parlando, ammesso, come dicevo, che fosse effettivamente una di quelle emigranti russe, quella donna sembrava piuttosto essere arrivata a Vienna dalla Russia con il gruppo dei russi, il modo in cui parlava il suo russo davanti al gruppo dei russi è in contrasto con l’ipotesi che la vuole una emigrante russa, mentre conforta l’ipotesi secondo cui era arrivata a Vienna col gruppo dei russi, probabilmente solo quel giorno stesso, questa fu almeno la mia impressione non appena ebbi osservato il suo abbigliamento, soprattutto gli stivali, non indossava infatti niente di occidentale, probabilmente è una comunista che ha studiato storia dell’arte, pensai, mentre, come si suol dire, la squadravo dalla testa ai piedi non appena ebbi l’occasione di farlo. Quasi sempre le emigranti russe residenti a Vienna di cui ho parlato poco fa si vestono infatti all’occidentale, non proprio all’occidentale come i veri occidentali, ma comunque all’occidentale. No, l’interprete non è un’emigrante russa, pensai, ha passato la frontiera durante la notte con il gruppo dei russi e la notte scorsa non ha neppure dormito, così come non ha dormito il gruppo dei russi a lei affidato, il gruppo si è per così dire catapultato direttamente dalla Russia, e da quel lurido autobus direttamente nel museo, lo si vede dall’aspetto, l’aspetto dell’interprete e l’aspetto del gruppo. Poiché il gruppo dei russi mi ostruiva la visuale, adesso non riuscivo nemmeno più a vedere la panca rivestita di velluto nella Sala Bordone, sicché non potevo vedere se Reger fosse sempre assente o se fosse rientrato. La Sala Sebastiano dove io mi trovavo, schiacciato contro la parete, è la peggio ventilata di tutto il Kunsthistorisches Museum, proprio nella Sala Sebastiano dovevo farmi schiacciare contro la parete da quel gruppo di russi, pensai, e proprio da questa gente, poi, che puzza di aglio e di sterco e di umido. Ho sempre detestato gli assembramenti, li ho evitati per tutta la vita, non ho mai partecipato a un’assemblea, a nessun tipo di assemblea, a causa del mio odio per la massa, come del resto anche Reger non c’è mai andato, non c’è niente che io odi più profondamente della massa, della folla, e infatti ho costantemente l’impressione, anche se non mi ci trovo in mezzo, che la massa o la folla stiano per sopraffarmi. Già da bambino mi tenevo lontano dalla massa, già allora odiavo la folla, gli assembramenti, quella concentrazione di bassezza e stupidità e menzogna. Tanto dovremmo amare il singolo individuo, penso, quanto odiamo le masse.

Ma questo gruppo di russi non era naturalmente il primo che mi capitava di incontrare al Kunsthistorisches Museum e che per così dire mi coglieva alla sprovvista e mi schiacciava contro la parete, ultimamente i gruppi russi al Kunsthistorisches Museum sono in aumento, sembra addirittura che al Kunsthistorisches Museum vengano più gruppi russi che gruppi italiani. I russi e gli italiani si presentano sempre in gruppo al Kunsthistorisches Museum, al contrario degli inglesi che non si presentano mai in gruppo, ma sempre come singoli, e dei francesi che pure si presentano sempre come singoli. Certi giorni le guide russe, maschi e femmine, gareggiano con quelle italiane a chi grida più forte, così che il Kunsthistorisches Museum si trasforma in un urlatoio. Naturalmente questo capita soprattutto di sabato, proprio il giorno in cui Reger e io non andiamo mai al Kunsthistorisches Museum, perché il fatto che io e Reger si sia venuti oggi, di sabato, al Kunsthistorisches Museum, è uno strappo alla regola, ed è evidente che abbiamo sempre fatto bene a non andare di sabato al Kunsthistorisches Museum, anche se di sabato, come di domenica, la visita è gratuita. Preferisco pagare i venti scellini del biglietto di ingresso, così Reger una volta, e non dovermi subire questi terrificanti gruppi di visitatori. Dover subire i gruppi che visitano il museo è un castigo di Dio, non conosco niente di più atroce, così Reger una volta. Certamente per lui, anche se, come si suol dire, se l’era voluto, aver preso appuntamento con me al Kunsthistorisches Museum proprio quel sabato era un castigo di Dio, pensavo, e mi chiedevo, non riuscendo a darmi una risposta, a che scopo l’avrà fatto? Naturalmente mi sarebbe anche piaciuto sapere che cosa aveva sussurrato adesso Irrsigler, per la seconda volta, all’orecchio di Reger, la prima volta era stata una cosa che non sembrava minimamente averlo colpito, la seconda volta invece una cosa che aveva subito indotto Reger ad alzarsi dalla panca della Sala Bordone e a uscire dalla Sala Bordone. Irrsigler non perde occasione di dire che il suo è un posto di responsabilità, è commovente quando lo dice, e lo dice così spesso che più passa il tempo e più diventa commovente. Irrsigler fa con la testa un cenno di saluto quando Reger arriva e lui lo nota, cosa che non fa quando arrivo io e vede me. Irrsigler ha già ottenuto tre volte da Reger un prestito a lunga scadenza allo scopo di arredare l’appartamento, prestito che poi non ha mai dovuto rimborsare a Reger. Reger ha già regalato più volte a Irrsigler degli abiti smessi, capi preziosi, davvero di gran classe, confezionati con stoffe di raffinatissimo tweed, tutto quello che indosso, mi ha detto Reger una volta, viene dalle Ebridi. Ma Irrsigler non ha quasi mai l’occasione di indossare i preziosi capi di Reger, perché durante tutta la settimana presta servizio nella sua uniforme al Kunsthistorisches Museum, tutti i giorni salvo il lunedì, e il lunedì lo passa tutto il giorno aggirandosi per la casa in tuta da meccanico perché lui il lunedì lo dedica interamente ai lavori di casa. Fa tutto da sé. Dipinge, esegue i lavori di falegnameria, pianta chiodi, lavora con il trapano, e addirittura salda, tutto, tutto fa da sé. L’ottanta per cento degli austriaci nel tempo libero si aggira in tuta per la casa, sostiene Reger, e la maggior parte di loro lo fa persino la domenica e nei giorni festivi, la maggior parte degli austriaci la domenica e nei giorni festivi si aggira per casa in tuta da lavoro e imbianca la casa, e pianta chiodi, e salda. Il tempo libero è per gli austriaci il vero e proprio tempo di lavoro, sostiene Reger. La maggior parte degli austriaci non sa che cosa farsene del tempo libero e lo spreca lavorando ottusamente. Per tutta la settimana stanno seduti nei loro uffici o in piedi nei loro cantieri, dice Reger, di domenica e nei giorni festivi li si vede sempre mentre sbrigano i lavori di casa nelle loro tute, imbiancano le loro quattro mura o piantano qualche chiodo sul tetto o lavano l’automobile. Irrsigler è uno di questi tipici austriaci, dice Reger, e quelli del Burgenland sono gli austriaci più tipici. L’abitante del Burgenland si infila l’abito domenicale solo una volta la settimana per due ore, tutt’al più due ore e mezzo, quando va in chiesa, il resto del tempo e per tutta la vita indossa la tuta, dice Reger, che poi è la sua tuta da lavoro. L’abitante del Burgenland lavora tutta la settimana in tuta, dorme poco, veramente poco ma bene, e di domenica e nei giorni festivi va in chiesa con l’abito domenicale per elevare un canto al Signore ma poi, subito dopo, si toglie l’abito domenicale e si rinfila la tuta. Anche nella società industriale di oggigiorno l’abitante del Burgenland è rimasto in tutto e per tutto un contadino, sebbene l’abitante del Burgenland vada a lavorare in fabbrica ormai da decenni, egli è comunque rimasto in tutto e per tutto un contadino come lo erano i suoi antenati, l’abitante del Burgenland, diceva Reger, sarà sempre un contadino. Irrsigler è a Vienna ormai da molto tempo, eppure è rimasto un contadino, così Reger. Il contadino, del resto, ha sempre portato bene l’uniforme, qualsiasi uniforme, diceva Reger. Il contadino o fa il contadino oppure s’infila un’uniforme, diceva Reger. Se i figli erano molti, uno diventava e rimaneva contadino, gli altri s’infilavano l’uniforme dello Stato o quella della Chiesa cristiano cattolica, così è sempre stato, diceva Reger. Un abitante del Burgenland o fa il contadino oppure s’infila un’uniforme, e se non può né fare il contadino né infilarsi un’uniforme, è inevitabile che vada in rovina, così Reger. Da secoli i contadini, quando sono sfuggiti alla loro sorte di contadini, lo hanno fatto per rifugiarsi in un’uniforme, diceva Reger. Irrsigler, lo diceva anche lui, aveva avuto fortuna, perché il posto di custode, di dipendente statale al Kunsthistorisches Museum, non viene assegnato che una volta ogni paio d’anni, ovvero soltanto quando uno dei custodi va in pensione o muore. La gente del Burgenland viene assunta volentieri a ricoprire il posto di custode nei musei, lo stesso Irrsigler non avrebbe saputo dirne la ragione, ma sta di fatto che la maggior parte dei custodi nei musei di Vienna proviene dal Burgenland. Probabilmente, così Irrsigler una volta, perché la gente del Burgenland è conosciuta per essere particolarmente sincera ma anche particolarmente stupida, e per essere modesta. Perché loro, la gente del Burgenland, avrebbero conservato fino a oggi un carattere integerrimo. Quando gli capitava di osservare come andavano le cose nella polizia, era contento che la polizia non lo avesse accettato. Accennò anche al fatto che una volta si era messo in mente di entrare in un convento, anche lì infatti forniscono l’abbigliamento, e poi mai come al giorno d’oggi i conventi cercavano nuove leve, ma in convento in qualità di frate laico sarebbe stato semplicemente sfruttato dai suoi superiori, come lui si esprimeva, dagli officianti, i quali fanno in convento proprio una bella vita, a scapito dei frati laici che sono ad essi completamente asserviti. Certo che lì non avrebbe dovuto far altro che spaccare la legna e foraggiare i maiali, e d’estate, sotto il sole a picco, selezionare i cavoli, e d’inverno spalare i viottoli del convento, diceva. I frati laici sono dei poveracci, così Irrsigler una volta, e lui non aveva voluto diventare un poveraccio. Sebbene i suoi genitori vedessero di buon occhio la sua entrata in convento, avrei anche potuto entrare subito, diceva, in Tirolo lo aspettavano già. Fare il frate laico è ancora peggio che essere rinchiuso in un penitenziario, così Irrsigler. I monaci officianti se la passano bene, così lui, ma i frati laici non sono altro che schiavi. Secondo lui nei conventi regna ancora la schiavitù del Medioevo per i frati laici, i quali hanno ben poco da ridere e, come se non bastasse, da mangiare ricevono soltanto gli avanzi. Lui si era rifiutato di diventare il servo dei religiosi satolli, profanatori del Signore, per dirla con Reger, che sguazzano nell’abbondanza dei conventi godendosi la vita, aveva detto di no per tempo. Lui, Reger, era andato una volta al Prater con la famiglia Irrsigler, allora la moglie di Reger era già gravemente ammalata. Reger era sempre stato ipersensibile nei rapporti con i bambini, sopportava i bambini solo per brevissimo tempo, quando andava a trovare dei bambini non doveva essere nel mezzo di un processo lavorativo, era stata un’avventura invitare la famiglia Irrsigler un giorno al Prater, lui, Reger, aveva già da tempo, da anni, la sensazione, queste le sue parole, di essere in debito con Irrsigler, perché in effetti io al Kunsthistorisches Museum approfitto di una cosa che non mi spetta, rimango seduto per ore sulla panca della Sala Bordone, così Reger, a pensare, a riflettere, e perfino a leggere libri e articoli, mi siedo sulla panca della Sala Bordone che è stata collocata lì per i normali visitatori del museo, non per me, e comunque non certo per me da più di trent’anni, così Reger. Pretendo da Irrsigler che ogni due giorni mi lasci prendere posto sulla panca della Sala Bordone senza averne il diritto, in fin dei conti nella Sala Bordone capita molto spesso che la gente si voglia sedere sulla panca e che non si possa sedere perché sulla panca della Sala Bordone sono seduto io, diceva Reger. D’altronde la panca della Sala Bordone è ormai diventata addirittura una condizione pressoché indispensabile del mio pensare, così Reger ieri ancora una volta, la panca della Sala Bordone mi è infatti molto più congeniale dell’Ambassador, dove non mi manca certo un posto a sedere ideale per pensare, eppure sulla panca della Sala Bordone penso con un’intensità molto maggiore che all’Ambassador, dove peraltro penso comunque, perché di pensare non smetto mai, così Reger, come lei sa io penso in continuazione, penso addirittura nel sonno, ma sulla panca della Sala Bordone penso nel modo per me più vantaggioso, quindi per pensare mi siedo sulla panca della Sala Bordone. A giorni alterni prendo posto sulla panca della Sala Bordone, così Reger, non tutti i giorni, è naturale, perché la cosa in effetti potrebbe alla lunga rivelarsi disastrosa, se tutti i giorni infatti io mi sedessi sulla panca della Sala Bordone distruggerei tutto ciò che considero importante, e com’è naturale niente è per me più importante del pensare, io penso dunque vivo, io vivo dunque penso, così Reger, e dunque mi siedo a giorni alterni sulla panca della Sala Bordone e per almeno tre o quattro ore resto seduto sulla panca della Sala Bordone, il che significa semplicemente che durante quelle tre o quattro, e a volte anche cinque ore, accaparro per me solo la panca della Sala Bordone e nessun altro può prendervi posto. Per quei visitatori stremati del museo, che entrano qui nella Sala Bordone completamente esausti e si vorrebbero sedere sulla panca della Sala Bordone, è ovviamente una vera sfortuna che io sia seduto sulla panca della Sala Bordone, ma non posso fare diversamente, infatti già a casa, al momento del risveglio, per non lasciarmi andare alla disperazione, penso che quanto prima mi metterò a sedere sulla panca della Sala Bordone; se una volta non dovessi potermi sedere sulla panca della Sala Bordone sarei il più disperato degli uomini, così Reger. In questi trent’anni e più, Irrsigler ha sempre tenuto libera per me la panca della Sala Bordone, così Reger, solo una volta arrivai nella Sala Bordone e la panca della Sala Bordone era occupata, un inglese coi pantaloni alla zuava aveva preso posto sulla panca della Sala Bordone, e non ci fu verso di farlo alzare dalla panca della Sala Bordone, non servirono neppure le insistenti preghiere di Irrsigler, neppure le mie preghiere, ogni sforzo fu vano, l’inglese rimaneva seduto sulla panca della Sala Bordone, così Reger, senza curarsi né di me né di Irrsigler. Era venuto apposta dall’Inghilterra, dal Galles, per la precisione, era venuto a Vienna, al Kunsthistorisches Museum, per guardarsi l’Uomo dalla barba bianca di Tintoretto, disse l’inglese del Galles, così Reger, e non vedeva perché mai avrebbe dovuto alzarsi dalla panca che era lì apposta perché su di essa si sedessero i visitatori del museo che si interessavano particolarmente all’Uomo dalla barba bianca di Tintoretto. Io avevo tentato a lungo di convincere l’inglese, ma l’inglese ha finito per non darmi più retta, assolutamente, e poiché non lo interessava affatto quello che io dicevo per fargli capire come per me fosse importante rimanere seduto sulla panca della Sala Bordone, quale significato avesse per me quella panca della Sala Bordone, Irrsigler disse a più riprese all’inglese, il quale tra parentesi indossava una giacca scozzese di gran classe, così Reger, che la panca sulla quale era seduto era riservata a me, cosa assolutamente contraria al regolamento perché nessuna panca del Kunsthistorisches Museum può essere una panca riservata a chicchessia, sicché Irrsigler con questa affermazione, così Reger, si era messo dalla parte del torto, eppure disse in effetti che la panca era riservata; ma l’inglese da quel momento in poi non fece più caso né a quello che diceva Irrsigler né a quello che dicevo io a proposito della panca della Sala Bordone, l’inglese ci lasciò parlare e intanto prendeva appunti su un piccolo taccuino, probabilmente, suppongo, appunti sull’Uomo dalla barba bianca. L’inglese del Galles potrebbe essere un uomo interessante, ho pensato, così Reger, e intanto, prima di imbarcarmi in piedi in una discussione con lui che era ormai inutile e priva di senso sulla panca della Sala Bordone, panca, pensai, della quale non posso comunque fargli capire l’importanza che ha per me, intanto, ho pensato, ora mi siedo accanto a lui sulla panca, semplicemente mi siedo, con la massima cortesia, s’intende, sulla panca accanto all’inglese del Galles, questo ho pensato, e semplicemente mi sono seduto accanto a lui sulla panca. L’inglese del Galles si spostò di qualche centimetro verso destra in modo che io potessi prendere posto sulla sinistra. Non mi ero mai seduto in coppia, per così dire, sulla panca della Sala Bordone, quella fu la prima volta. Irrsigler era evidentemente contento che io avessi sdrammatizzato la situazione sedendomi sulla panca della Sala Bordone, e quindi scomparve immediatamente a un mio rapido cenno, così Reger, mentre io, come l’inglese del Galles, ripresi l’osservazione dell’Uomo dalla barba bianca. Ma la interessa davvero questo Uomo dalla barba bianca? ho chiesto all’inglese, e per tutta risposta, in certo modo differita, ho ricevuto un secco cenno affermativo della sua testa inglese. La mia domanda non aveva senso e mi dispiacque immediatamente di averla fatta, adesso, pensai, ho fatto una delle domande più imbecilli che uno possa sognarsi di fare, così Reger, e decisi di non dire più niente e di aspettare che l’inglese si alzasse e se ne andasse nel più assoluto silenzio. L’inglese però non pensava affatto di alzarsi e di andarsene, anzi estrasse dalla tasca della giacca un libro piuttosto grosso rilegato in pelle nera, e si mise a leggere; alternativamente leggeva il suo libro e guardava l’Uomo dalla barba bianca, io nel frattempo avevo notato che usava Aqua brava, un profumo che non mi dispiaceva. Se l’inglese usa Aqua brava, pensai, vuol dire che ha buon gusto. La gente che usa Aqua brava ha senz’altro buon gusto, un inglese, per di più un inglese del Galles che usa Aqua brava, non può ovviamente non essermi simpatico, pensai, così Reger. Di tanto in tanto compariva Irrsigler per controllare se l’inglese se ne fosse finalmente andato, così Reger, ma l’inglese non ci pensava neppure ad andarsene, continuava a leggere qualche pagina del suo libro rilegato in pelle nera e poi di nuovo guardava per qualche minuto l’Uomo dalla barba bianca e così via, aveva tutta l’aria di voler rimanere seduto molto a lungo sulla panca della Sala Bordone. Gli inglesi affrontano tutto quello che affrontano con grandissimo zelo, proprio come i tedeschi quando si tratta dell’arte, così Reger, e in fatto di arte un inglese più zelante di quello io in vita mia non l’avevo mai visto. Senza alcun dubbio sedeva ora accanto a me un cosiddetto intenditore d’arte, e allora, pensai, così Reger, ma tu li hai sempre odiati gli intenditori d’arte, e adesso eccoti seduto accanto a uno di questi intenditori d’arte che trovi anche simpatico, non solo perché usa Aqua brava, non solo per il suo abbigliamento scozzese di gran classe, a poco a poco questo individuo ti riesce simpatico nel suo insieme, così Reger. Per farla breve, così Reger, l’inglese lesse per almeno mezz’ora e anche di più il suo libro rilegato in pelle nera, e per un’altra mezz’ora guardò l’Uomo dalla barba bianca di Tintoretto, rimase dunque un’ora intera seduto accanto a me sulla panca della Sala Bordone, finché ad un tratto si alzò e si voltò verso di me e mi chiese che cosa ci facessi io nella Sala Bordone, era pur sempre un fatto inconsueto, disse, che qualcuno si trattenesse per più di un’ora intera in una sala come la Sala Bordone, seduto su questa panca estremamente scomoda a fissare l’Uomo dalla barba bianca. A quelle parole, com’è naturale, rimasi completamente esterrefatto, così Reger, e sul momento non seppi che cosa rispondere all’inglese. Ma sì, dissi, non so nemmeno io che cosa ci faccio qui, così ho detto all’inglese del Galles, non mi è venuto in mente nient’altro da dirgli. L’inglese mi osservò irritato, come se mi ritenesse completamente pazzo. Bordone, disse l’inglese, insignificante, Tintoretto, d’accordo, disse. L’inglese prese il fazzoletto dalla tasca sinistra dei pantaloni e lo infilò nella tasca destra. Un tipico gesto per togliersi d’imbarazzo, mi dissi, e siccome l’inglese, che d’un tratto aveva cominciato a divertirmi, voleva andarsene, essendosi da tempo rimesso in tasca il suo libro rilegato in pelle nera e il suo taccuino, io lo invitai a riprendere posto sulla panca della Sala Bordone e a tenermi compagnia ancora per un po, con franchezza gli dissi che lui mi interessava, gli dissi perfino che ai miei occhi sprigionava un certo fascino, così Reger a me. In tal modo conobbi per la prima volta un inglese del Galles che trovai assolutamente simpatico, diceva Reger, perché gli inglesi in genere non mi sono simpatici, e neppure i francesi del resto, e neppure i polacchi, e neppure i russi, per non parlare degli scandinavi, che mi sono sempre stati antipatici. Un inglese simpatico è una rarità, pensai tra me e me, mentre, dopo essermi alzato con l’inglese quando questi si era levato, mi risiedevo con lui. Mi interessava sapere se l’inglese era in effetti venuto al Kunsthistorisches Museum solo per l’Uomo dalla barba bianca, così Reger, sicché gli domandai se fosse proprio quella la ragione del suo viaggio, e l’inglese rispose con un cenno affermativo del capo. L’inglese tra l’altro parlava inglese, cosa a me gradita, ma poi tutt’a un tratto incominciò a parlare tedesco, un tedesco molto stentato, quel tedesco stentato degli inglesi che tutti gli inglesi parlano quando credono di sapere il tedesco che invece non sanno mai, così Reger, probabilmente l’inglese voleva parlare tedesco e non inglese per migliorare il suo tedesco, perché no del resto, se uno non è un perfetto imbecille, preferisce, quando va all’estero, parlare la lingua del paese in cui si trova, e così lui raccontò nel suo stentato tedesco da inglese di essere venuto in Austria e a Vienna solo per l’Uomo dalla barba bianca, non per Tintoretto, disse, diceva Reger, ma solo per l’Uomo dalla barba bianca, il museo nel suo insieme non lo interessava, non lo interessava affatto, non aveva la benché minima passione per i musei, detestava i musei e nei musei era sempre entrato solo di malavoglia, al Kunsthistorisches Museum, infatti, era entrato esclusivamente per studiare l’Uomo dalla barba bianca, perché a casa sua aveva un Uomo dalla barba bianca tale e quale a questo appeso sopra il camino della sua camera da letto nel Galles, proprio lo stesso Uomo dalla barba bianca, disse l’inglese, diceva Reger. Ho sentito dire, disse l’inglese, diceva Reger, che al Kunsthistorisches Museum di Vienna è esposto un Uomo dalla barba bianca tale e quale a quello che c’è nella mia camera da letto nel Galles, questa notizia non mi ha più dato pace e allora sono venuto a Vienna. Per due anni non ho più avuto pace nella mia camera da letto nel Galles all’idea che probabilmente, appeso alle pareti del Kunsthistorisches Museum di Vienna, vi fosse proprio un Uomo dalla barba bianca di Tintoretto tale e quale a quello della mia camera da letto, e così ieri mi sono messo in viaggio e sono venuto a Vienna. Che lei mi creda o no, così l’inglese, così Reger a me, l’Uomo dalla barba bianca di Tintoretto che è appeso nella mia camera da letto nel Galles è uguale a quello che è appeso qui. Non credevo ai miei occhi, disse l’inglese ovviamente in inglese, quando ho avuto la certezza che questo Uomo dalla barba bianca è uguale a quello della mia camera da letto, naturalmente la notizia mi ha profondamente turbato. Questo turbamento è riuscito però a dissimularlo benissimo, ho detto io all’inglese, diceva Reger a me. Del resto gli inglesi sono sempre stati maestri di autocontrollo, ho detto all’inglese del Galles, diceva Reger, anche nei momenti di massimo turbamento conservano calma e sangue freddo, ho detto all’inglese, mi diceva Reger. Non ho smesso un attimo di confrontare il mio Uomo dalla barba bianca di Tintoretto, appeso nella mia camera da letto nel Galles, con l’Uomo dalla barba bianca di Tintoretto esposto in questa sala, disse l’inglese ed estrasse dalla tasca della giacca il suo libro rilegato in pelle nera e su quel libro mi mostrò la riproduzione del suo Tintoretto. In effetti, dissi io all’inglese, il Tintoretto riprodotto sul libro è uguale a quello appeso a questa parete. Ecco, vede, lo dice anche lei! disse l’inglese del Galles. I due quadri coincidono fin nei minimi dettagli, dissi io, l’Uomo dalla barba bianca di Tintoretto qui riprodotto nel suo libro è identico a quest’altro appeso alla parete. Può in effetti confrontarli, come si suol dire, fin nei minimi dettagli, e sarà costretto ad ammettere che tutto coincide in maniera davvero sorprendente, come se si trattasse dello stesso quadro, dissi io, diceva Reger a me. Ma l’inglese non era affatto agitato, diceva Reger, se il quadro nella Sala Bordone fosse stato identico al quadro appeso nella mia camera da letto, io non sarei certo rimasto così freddo, diceva Reger, l’inglese continuava a guardare alternativamente il suo libro rilegato in pelle nera dov’era riprodotto a tutta pagina e a colori, come si suol dire, l’Uomo dalla barba bianca della sua camera da letto nel Galles e poi di nuovo l’Uomo dalla barba bianca della Sala Bordone. Un mio nipote, due anni fa, è stato a Vienna e non volendo andare tutti i giorni al Konzerthaus, un martedì, senza che la cosa lo interessasse veramente, è venuto qui al Kunsthistorisches Museum, disse l’inglese, così Reger, uno dei miei tanti nipoti che ogni anno viaggiano in lungo e in largo per l’Europa o l’America o l’Asia o chissà dove, e allora, al Kunsthistorisches Museum, ha visto l’Uomo dalla barba bianca di Tintoretto appeso alla parete, è arrivato da me agitatissimo e mi ha detto di aver visto, per così dire, il mio Tintoretto esposto al Kunsthistorisches Museum. Io naturalmente non ho creduto alle sue parole e gli ho riso in faccia, disse l’inglese, diceva Reger, pensai che si trattasse di un brutto scherzo, uno di quei brutti scherzi che i miei nipoti mi infliggono tutto l’anno traendone un’intima soddisfazione. Il mio Tintoretto a Vienna, al Kunsthistorisches Museum? dissi, e dissi a mio nipote che doveva avere le allucinazioni, che si togliesse dalla mente una simile assurdità. Mio nipote insisteva però nel dire di aver visto a Vienna, al Kunsthistorisches Museum, il mio Tintoretto appeso alla parete. Naturalmente questa incredibile notizia riferitami da mio nipote mi assillava, disse l’inglese, diceva Reger, e in fondo non mi dava pace. Mio nipote è vittima di un errore, pensavo in continuazione. Eppure non riuscivo più a togliermi questa storia dalla mente. Santo cielo, disse l’inglese, lei non ha idea del valore di questo Tintoretto, è un’eredità, una mia prozia da parte di madre che viene chiamata la zia di Glasgow mi ha lasciato il Tintoretto in eredità, disse l’inglese, diceva Reger. Ho appeso il quadro nella mia camera da letto perché mi sembra il luogo più sicuro, è lì appeso sopra il mio letto con la peggiore illuminazione che uno possa immaginare, disse l’inglese, diceva Reger. In Inghilterra vengono rubate ogni giorno migliaia di opere di Antichi Maestri, disse l’inglese, diceva Reger, in Inghilterra centinaia di organizzazioni si sono specializzate nel furto di Antichi Maestri, soprattutto italiani, che in Inghilterra sono particolarmente richiesti. Non sono un intenditore d’arte, caro signore, così l’inglese, diceva Reger, di arte io non capisco assolutamente niente, anche se naturalmente so apprezzare un simile capolavoro. Mi si sono già presentate parecchie occasioni per vendere questo dipinto, ma per ora non ne ho bisogno, non ancora, disse l’inglese, diceva Reger, ma naturalmente può venire il momento in cui sarò costretto a vendere l’Uomo dalla barba bianca.

Del resto non ho solo l’Uomo dalla barba bianca di Tintoretto, possiedo parecchie dozzine di italiani, un Lotto, Crespi, Strozzi, Giordano, un Bassano, tutti grandissimi maestri da ogni punto di vista. Tutti regalati da questa zia di Glasgow, disse l’inglese, diceva Reger. Non sarei mai venuto a Vienna se non mi avesse costantemente tormentato il sospetto che forse mio nipote poteva dopotutto aver ragione, che forse il mio Tintoretto era davvero esposto al Kunsthistorisches Museum di Vienna, Vienna non mi ha mai interessato perché non sono un intenditore di musica, e nemmeno un musicofilo, disse l’inglese, diceva Reger, niente mi avrebbe indotto a venire in Austria se non questo sospetto. E adesso sono seduto qui, e vedo che il mio Tintoretto è in effetti appeso a questa parete del Kunsthistorisches Museum. Guardi pure lei stesso, quest’Uomo dalla barba bianca che è qui ritratto e che si trova appeso nella mia camera da letto nel Galles è il Tintoretto che è appeso qui, alla parete del Kunsthistorisches Museum, disse l’inglese, diceva Reger, e di nuovo l’inglese mi tenne aperto davanti agli occhi il libro rilegato in pelle nera. E’ come se non solo fosse uguale, è come se fosse assolutamente lo stesso, disse l’inglese, diceva Reger. L’inglese si alzò dalla panca e si avvicinò moltissimo all’Uomo dalla barba bianca e rimase per un momento immobile davanti all’Uomo dalla barba bianca. Io osservavo l’inglese e nello stesso tempo lo ammiravo, perché in vita mia non avevo mai visto una persona dotata di un simile sovrumano autocontrollo, diceva Reger, io osservavo l’inglese del Galles e pensavo che io stesso, di fronte a un fatto così inaudito, e cioè alla constatazione che al Kunsthistorisches Museum è appeso lo stesso identico quadro che si trova in camera mia, nel Galles, sopra il mio letto, avrei completamente perso il controllo. Osservavo l’inglese che avanzò fino ad arrivare vicinissimo all’Uomo dalla barba bianca e si mise a fissarlo, e poiché io lo guardavo da dietro, non potevo, com’è naturale, vederlo in faccia, mi diceva Reger, ma naturalmente, pur guardandolo di spalle, sapevo che lui fissava l’Uomo dalla barba bianca e che mentre lo faceva campeggiava sul suo volto qualcosa di simile allo sconcerto. L’inglese non si voltò per molto tempo, e quando lo fece il suo volto era cereo, diceva Reger. Un volto così cereo l’avevo visto raramente in vita mia, così Reger, e mai in un inglese. L’inglese, infatti, prima di alzarsi in piedi e di mettersi a fissare l’Uomo dalla barba bianca, aveva il tipico volto rubizzo degli inglesi, mentre adesso il suo volto non poteva che dirsi cereo, così Reger dell’inglese. Sconcertato non è neppure la parola appropriata, diceva Reger dell’inglese. Irrsigler ha osservato per tutto il tempo la scena, diceva Reger, Irrsigler era rimasto in piedi zitto zitto in un angolo, nel punto della sala in cui iniziano i quadri di Veronese, così Reger. L’inglese si sedette di nuovo sulla panca della Sala Bordone dove io ero rimasto a sedere per tutto quel tempo e disse che si trattava effettivamente dello stesso identico dipinto, ovvero che quello appeso in camera sua nel Galles sopra il suo letto e quello appeso qui alla parete del Kunsthistorisches Museum nella Sala Bordone erano lo stesso identico dipinto. Era alloggiato all’Hotel Imperial consigliatogli da suo nipote, disse l’inglese, diceva Reger. Detesto quel lusso, ma d’altra parte, quando ne ho voglia, me lo godo. Scendeva solo nei migliori alberghi, disse l’inglese, diceva Reger, quindi, ovviamente, all’Imperial di Vienna, come al Ritz di Madrid e al Timeo di Taormina. Ma viaggio sempre malvolentieri, solamente una volta ogni due o tre anni, e quasi mai vado a divertirmi, disse l’inglese, diceva Reger. E’ assolutamente chiaro che uno di questi due Tintoretto è un falso, disse poi l’inglese, diceva Reger, può essere un falso questo del Kunsthistorisches Museum oppure il mio, appeso sopra il mio letto in camera mia nel Galles. Uno dei due dev’essere un falso, disse l’inglese, e per un momento appoggiò il suo busto vigoroso allo schienale della panca della Sala Bordone; ma subito si risollevò e disse, in questo mio nipote aveva proprio ragione. Ho maledetto mio nipote perché ero certo che mi avesse raccontato delle scempiaggini, com’è nello stile di questo mio nipote, il quale appunto di tanto in tanto mi fa arrabbiare per qualcosa oppure mi offende; del resto è il mio nipote prediletto, anche se mi dà sui nervi da quand’è nato e se dopotutto è un buono a nulla. Comunque è il mio nipote prediletto. E’ il più tremendo di tutti i miei nipoti, ma è il mio nipote prediletto. Ha visto giusto, disse l’inglese, in effetti il Tintoretto esposto qui è identico al Tintoretto che ho io nel Galles. Ma il fatto è che ci sono due Tintoretto, disse poi l’inglese adagiandosi di nuovo allo schienale della panca della Sala Bordone per poi risollevarsi subito dopo. Uno dei due è falso, disse, e io naturalmente mi chiedo se è falso il mio o questo del Kunsthistorisches Museum. E’ ben possibile infatti che il Kunsthistorisches Museum possegga un falso e che il mio Tintoretto sia quello autentico, e anzi, per come conosco le circostanze in cui la mia zia di Glasgow è venuta in possesso di quel quadro, la cosa è addirittura probabile. Già poco tempo dopo che Tintoretto aveva dipinto questo Uomo dalla barba bianca, l’Uomo dalla barba bianca è stato infatti venduto in Inghilterra, prima alla famiglia del duca di Kent, poi alla mia zia di Glasgow. D’altronde l’attuale duca di Kent è sposato con un’austriaca, questo lo saprà anche lei, mi disse ad un tratto l’inglese, concedendosi una piccola digressione, diceva Reger, per aggiungere subito dopo che certamente questo Tintoretto, e cioè l’Uomo dalla barba bianca del Kunsthistorisches Museum, era un falso.

Un falso assolutamente straordinario, disse poi l’inglese. Scoprirò prestissimo qual è il vero e quale il falso Uomo dalla barba bianca, disse l’inglese, diceva Reger, ma poi disse anche che era possibilissimo che entrambi gli Uomini dalla barba bianca fossero autentici, ovvero entrambi di Tintoretto ed entrambi autentici. Solo un grande artista come Tintoretto, così l’inglese, diceva Reger, può essere effettivamente riuscito a dipingere un secondo quadro che è non solo uguale al primo da ogni punto di vista, ma da ogni punto di vista lo stesso quadro. Questo già sarebbe un fatto sensazionale, disse l’inglese, diceva Reger, e l’inglese uscì dalla Sala Bordone. Si congedò da me con un semplice Good bye e con lo stesso Good bye si congedò poi anche da Irrsigler, che era stato testimone di tutta la scena, così Reger a me. Non so come sia poi andata a finire la faccenda, diceva Reger, non me ne sono più occupato. In ogni caso l’inglese, così Reger, fu quello che un giorno, entrando nella Sala Bordone, trovai seduto sulla panca della Sala Bordone. Lui e nessun altro. Da più di trent’anni Reger ha il chiodo fisso della panca della Sala Bordone, egli sostiene di non riuscire a pensare adeguatamente, vale a dire di non riuscire a pensare secondo le capacità della sua mente, se non è seduto sulla panca della Sala Bordone. All’Ambassador mi vengono delle ottime idee, così Reger di tanto in tanto, ma sulla panca della Sala Bordone del Kunsthistorisches Museum me ne vengono di migliori, anzi mi vengono senz’altro le migliori idee in assoluto, se all’Ambassador è quasi impossibile che si metta in moto un cosiddetto pensiero filosofico, sulla panca della Sala Bordone il pensiero filosofico si mette invece in moto con la massima naturalezza. All’Ambassador penso, come chiunque altro, le cose di tutti i giorni, le cose che servono tutti i giorni, sulla panca della Sala Bordone penso invece sempre di più cose eccezionali e straordinarie. Per esempio all’Ambassador non gli sarebbe stato possibile illustrare la Tempesta con la stessa concentrazione con cui l’aveva illustrata sulla panca della Sala Bordone, e quanto a tenere una conferenza sull’Arte della fuga considerandone profondamente ogni peculiarità e singolarità, all’Ambassador gli sarebbe stato assolutamente impossibile, perché all’Ambassador mancano completamente le condizioni per farlo, così Reger. Sulla panca della Sala Bordone poteva cogliere e inseguire anche pensieri complicatissimi e alla fine annodarli gli uni agli altri ottenendo un risultato interessante, all’Ambassador no. Ma l’Ambassador ha naturalmente una serie di vantaggi che il Kunsthistorisches Museum non ha, diceva Reger, a prescindere dal fatto che ogni volta all’Ambassador mi entusiasmo per la toilette, da quando, recentemente, questa toilette è stata rifatta, lei certo saprà che a Vienna, dove in effetti le toilette sono fatiscenti come in nessun’altra grande città d’Europa, è una vera rarità trovare una toilette dove uno non si senta rivoltare lo stomaco e non si senta costretto, per tutto il tempo in cui si trattiene nella toilette, a tapparsi gli occhi e il naso; le toilette di Vienna sono complessivamente uno scandalo, neanche nei Balcani inferiori troverà da nessuna parte delle toilette così fatiscenti, diceva Reger. Vienna non ha assolutamente la cultura della toilette, diceva Reger, Vienna è un vero scandalo in fatto di toilette, persino negli alberghi più noti della città ci sono delle toilette scandalose, i gabinetti più immondi li troverà a Vienna, a Vienna i gabinetti sono più immondi che in qualsiasi altra città, se ha bisogno di pisciare ne vedrà delle belle, diceva. Solo in superficie Vienna è celebre per la sua Opera, in effetti Vienna è temuta e aborrita per le sue scandalose toilette. I viennesi e gli austriaci in genere non hanno affatto la cultura della toilette, in tutto il mondo lei non troverà dei gabinetti luridi e puzzolenti come a Vienna, diceva Reger. A Vienna dover andare al gabinetto è quasi sempre un disastro, se non si è degli acrobati ci si sporca, e la puzza che c’è è così forte che spesso i vestiti ne rimangono impregnati per varie settimane. E comunque, diceva Reger, i viennesi sono sporchi, non esiste metropoli europea i cui abitanti siano più sporchi, e del resto è noto che gli appartamenti più sporchi d’Europa sono quelli di Vienna, gli appartamenti di Vienna sono ancora più sporchi delle toilette di Vienna. I viennesi dicono in continuazione che nei Balcani tutto è lurido, queste son dicerie che può sentire ovunque, ma a Vienna tutto è cento volte più sporco ancora che nei Balcani, così Reger. Se lei entra con un viennese nel suo appartamento, il più delle volte rimane di stucco da quanto è sporco. Naturalmente esistono delle eccezioni, ma di regola si trovano proprio a Vienna gli appartamenti più sporchi del mondo. Mi chiedo sempre che cosa penseranno gli stranieri quando devono andare alla toilette a Vienna, che cosa penserà questa gente, che è certo abituata a toilette più pulite, quando deve entrare in queste toilette che sono le toilette più sporche d’Europa. La gente va al cesso soltanto per pisciare il più in fretta possibile, e ne esce esterrefatta per la grande sporcizia. Ovunque ristagna la stessa puzza nauseabonda, in tutti i gabinetti pubblici, che lei ci vada alla stazione o ne abbia bisogno nel metro, finirà comunque nei gabinetti più sporchi d’Europa. Anche e soprattutto nei caffè di Vienna le toilette sono nauseabonde, diceva Reger. Da un lato questo gigantesco e delirante culto per dolci e torte, dall’altro queste toilette orribilmente sporche, diceva. Molte di queste toilette danno l’impressione che nessuno le pulisca da anni. Se da un lato i proprietari dei caffè proteggono i loro dolci da ogni più piccola corrente d’aria, ciò che naturalmente è un vantaggio per i dolci, d’altra parte però non attribuiscono la minima importanza alla pulizia dei loro gabinetti. Se per caso, diceva Reger, in uno di quei caffè perlopiù rinomatissimi le capita di dover andare alla toilette prima di aver incominciato a mangiare i dolci, quando uscirà da quella toilette le sarà completamente passata la voglia di assaggiare anche un solo boccone di quei dolci che le vengono offerti o che magari le sono già stati serviti. Ma a Vienna sono sporchi anche i ristoranti, io sostengo che sono i più luridi d’Europa. Ad ogni piè sospinto ci si trova davanti una tovaglia impataccata, e se lei fa notare al cameriere che la tovaglia è tutta impataccata e che lei non ha intenzione di consumare il suo pasto su una tovaglia impataccata da cima a fondo, la tovaglia impataccata verrà sì portata via e sostituita con un’altra tovaglia, ma non senza riluttanza, e se lei pretende che le sostituiscano una tovaglia sporca, non farà altro che attirare su di sé occhiate furenti e socialmente pericolose. Nella maggior parte delle trattorie non le mettono neppure la tovaglia sul tavolo, e se lei chiede che per piacere le tolgano almeno il grosso della sporcizia dal vassoio lurido e molto spesso letteralmente inondato di birra, otterrà in risposta un brontolio maleducato e nient’altro, diceva Reger. A Vienna il problema delle toilette e il problema delle tovaglie non sono risolti, diceva Reger. In tutte le metropoli del mondo, e io a questo punto le ho visitate quasi tutte e in gran parte le conosco in un modo che non è affatto superficiale, è ovvio e normale che uno ottenga una tovaglia pulita sulla tavola prima di cominciare il suo pasto. A Vienna la tovaglia pulita o se non altro il piano del tavolo pulito non sono affatto una cosa ovvia e normale. E questo vale anche per le toilette, quelle toilette viennesi che sono le più nauseabonde non solo d’Europa, ma del mondo intero. Come potrà mai godere un ottimo pranzo se, prima ancora di cominciare a mangiare, le passa l’appetito andando alla toilette, e che cosa potrà mai rimanerle di un’ottima cena se poi, alla toilette, le si rivolta lo stomaco, diceva. I viennesi, e gli austriaci in generale, non hanno proprio la cultura della toilette, i gabinetti austriaci sono sempre stati un vero disastro, diceva. Tanto è famosa Vienna per la sua cucina, che in gran parte, si sa, è davvero eccellente, almeno la pasticceria, quanto è ingloriosa la sua fama in fatto di toilette. Fino a poco fa anche l’Ambassador aveva delle toilette di indescrivibile sporcizia. Ma un giorno la direzione, avendo considerato a fondo la cosa, le ha fatte rifare, e le nuove toilette sono riuscite straordinariamente bene, toilette veramente perfette in ogni dettaglio, non solo dal punto di vista architettonico ma anche da quello sociosanitario. I viennesi sono in effetti la gente più sporca d’Europa ed è scientificamente provato che il viennese prende in mano il sapone una sola volta la settimana, così come è scientificamente provato che il viennese cambia le mutande una sola volta la settimana e che anche la camicia la cambia tutt’al più due volte la settimana, e la maggior parte dei viennesi cambia le lenzuola soltanto una volta al mese, così Reger. I calzini o pedalini il viennese li porta mediamente fino a dodici giorni consecutivi, diceva Reger. Stando così le cose, non c’è nessun altro luogo in Europa dove i fabbricanti di sapone e gli industriali della biancheria intima facciano così pessimi affari come a Vienna e naturalmente in tutta l’Austria, così Reger. In compenso i viennesi fanno un uso spropositato di profumi di qualità infima, e puzzano, puzzano tutti intensamente, già di lontano, di violetta o di garofano, di mughetto o di bosso. E naturalmente è logico inferire dal sudiciume esteriore dei viennesi il loro sudiciume interiore, così Reger, e infatti i viennesi non sono dentro meno sudici che fuori, e può darsi addirittura, diceva Reger, dico può darsi e quindi non ne sono assolutamente certo, precisò, che i viennesi siano dentro molto ma molto più sudici che fuori. Tutto fa pensare che siano, dentro, assai più sudici che fuori. Non ho però nessuna voglia di pensarci, aveva detto poi, scrivere uno studio su questo argomento sarebbe in tutto e per tutto un compito per cosiddetti sociologi. Probabilmente da questo studio i viennesi risulterebbero soltanto come la gente più sudicia che esista in Europa, intendeva Reger. Come sono contento, diceva, che all’Ambassador abbiano rifatto le toilette, al Kunsthistorisches Museum ci sono ancora le vecchie toilette. Dato che col passare dei giorni divento sempre più vecchio e non certo più giovane, negli ultimi tempi anche al Kunsthistorisches Museum mi tocca correre al gabinetto sempre più spesso, diceva Reger, il che, viste le condizioni in cui sono tuttora i gabinetti del Kunsthistorisches Museum, è una seccatura che mi dà ogni giorno sui nervi, perché i gabinetti del Kunsthistorisches Museum sono assolutamente indecenti. Come del resto sono assolutamente indecenti i gabinetti del Musikverein. Una volta, in una delle mie critiche per il Times, mi sono addirittura permesso di accennare scherzosamente al fatto che al Musikverein, e quindi nel sommo tra i templi più eccelsi della musica viennese, i gabinetti sono in uno stato indescrivibile, e ho scritto che per questa ragione, per la situazione scandalosa dei gabinetti, diceva Reger, mi costa ogni volta uno sforzo immane entrare al Musikverein, e che non di rado mi chiedo a casa mia se sia il caso o meno di andare al Musikverein, perché data la mia età e lo stato dei miei reni, durante una serata al Musikverein sono costretto a correre al gabinetto almeno due volte. Tuttavia sono andato ancora ripetutamente al Musikverein, ci sono andato per Mozart e per Beethoven, per Berg e per Schönberg, per Bartòk e per Webern, ogni volta superando l’angoscia del gabinetto. Dev’essere straordinaria la musica che viene suonata al Musikverein, diceva Reger, se io continuo comunque ad andarci, persino adesso che sono costretto a correre al gabinetto del Musikverein due volte almeno nel corso di una serata. L’arte è impietosa, mi dico ogni volta che al Musikverein varco la soglia del gabinetto ed entro in quel gabinetto, diceva Reger. Con gli occhi chiusi e, possibilmente, il naso tappato, io piscio nel gabinetto del Musikverein, diceva, è questa un’arte tutta particolare, arte che da parecchio tempo domino comunque con virtuosismo. E pur prescindendo dal fatto che le toilette di Vienna, e complessivamente i gabinetti di Vienna, sono i più sudici del mondo, se escludiamo i cosiddetti paesi in via di sviluppo, in quei gabinetti e in quelle toilette non c’è niente che funzioni, neppure sul versante degli impianti sanitari, l’acqua, per esempio, o non arriva o non scorre, oppure non arriva e non scorre, può capitare che per mesi nessuno si preoccupi di sapere se le toilette e i gabinetti funzionino o meno, diceva Reger. Probabilmente l’unico modo per migliorare lo stato disastroso delle toilette di Vienna, e complessivamente di tutti i gabinetti di Vienna, è che la Città o lo Stato, o chi per essi, emani delle leggi estremamente severe sulle toilette e sui gabinetti, leggi di un rigore tale che gli albergatori e i ristoratori e i proprietari dei caffè siano effettivamente costretti a garantire le buone condizioni delle loro toilette e dei loro gabinetti. Gli albergatori e i ristoratori e i proprietari dei caffè non modificano la situazione e di sicuro continueranno a tenersi per l’eternità queste porcherie di toilette e di gabinetti, a meno che non vengano costretti dalla Città o dallo Stato a migliorarne le condizioni. Vienna è la città della musica, ho scritto una volta sul Times, ma è anche la città che vanta le toilette e i gabinetti più nauseabondi del mondo. Così nel frattempo a Londra si è sparsa questa notizia, mentre a Vienna nessuno sa niente perché i viennesi non leggono il Times, i viennesi si accontentano dei giornalacci più primitivi e più infami che si stampano nel mondo intero con lo scopo preciso di rincretinire il pubblico, i viennesi si accontentano cioè di quei giornali che sono giusto l’ideale per la perversione degli animi e degli spiriti viennesi. Il gruppo dei russi se n’era andato, la panca della Sala Bordone era vuota. Reger si era alzato, questo ero ancora riuscito a vederlo, dopo che Irrsigler gli aveva sussurrato qualcosa all’orecchio, ed era uscito con in testa il cappello nero che in tutto quel tempo non si era mai tolto. Adesso mancavano due minuti alle undici e mezzo. Il gruppo dei russi si trovava nella cosiddetta Sala Veronese, adesso l’interprete ucraina parlava di Veronese, ma quello che diceva di Veronese lo aveva già detto prima di Bordone e di Tintoretto, le stesse futilità, le stesse chiacchiere, nello stesso tono e con la stessa voce sgradevole, non solo il solito modo di parlare sgradevole delle donne russe, che in definitiva dà sempre sui nervi, più che altro quella donna parlava senza sosta e, come si suol dire, con una voce stridula che mi riusciva quasi insopportabile, così che in effetti per tutto quel tempo mi è toccato soffrire di un dolore lancinante ai condotti uditivi. Un udito come il mio è sensibile, e soprattutto sopporta a fatica le brutte voci femminili con quel particolare suono stridulo. Né io sapevo per quale ragione anche Irrsigler adesso non si facesse più vedere già da un po di tempo, sebbene fosse tenuto, in base al regolamento, ad affacciarsi frequentemente anche nella Sala Bordone, a me sembrava davvero molto strano che lui e Reger fossero usciti insieme dalla Sala Bordone e non vi fossero rientrati per tanto tempo. Ma avendo io appuntamento con Reger per le undici e mezzo proprio nella Sala Bordone, e poiché Reger è l’uomo più puntuale e affidabile che io conosca, Reger alle undici e mezzo precise sarà di ritorno nella Sala Bordone, pensai, e non avevo finito di pensarlo che già Reger era tornato nella Sala Bordone, e prima di sedersi di nuovo definitivamente sulla panca della Sala Bordone, non aveva mancato di guardarsi attorno in tutte le direzioni, ma io, prevedendo quella mossa, non appena lo avevo sentito rientrare nella Sala Bordone mi ero immediatamente ritirato nella Sala Sebastiano, e nella Sala Sebastiano ero tornato a mettermi nell’angolo nel quale ero stato costretto dallo zotico gruppo dei russi e da dove potevo comunque osservare comodamente Reger, rientrato nella Sala Bordone, questo Reger così diffidente, pensai, che si guarda sempre attorno, in ogni direzione, per sentirsi al sicuro, e che, tra le altre cose, per tutta la vita ha sofferto di una mania di persecuzione addirittura micidiale, la quale, com’è naturale, gli è sempre stata utile, senza mai diventare davvero pericolosa né per sé né per gli altri. Adesso Reger era di nuovo seduto sulla panca della Sala Bordone e osservava l’Uomo dalla barba bianca di Tintoretto. Alle undici e mezzo in punto guardò l’orologio da tasca estratto fulmineamente dalla giacca, e proprio in quell’istante io stesso uscii dalla Sala Sebastiano ed entrai nella Sala Bordone e mi presentai davanti a Reger. Che orrore questi gruppi di russi, disse Reger, che orrore. Odio questi gruppi di russi, ripetè. Mi invitò cortesemente a sedermi sulla panca della Sala Bordone, si sieda pure accanto a me, disse. Tutte le persone puntuali mi fanno felice, disse. La maggior parte della gente non è puntuale, questo è tremendo. Ma lei è sempre stato puntuale, disse, è uno dei suoi grandi pregi. Ah, disse poi, sapesse che brutta notte ho passato, ho trangugiato una doppia dose di pastiglie, e ho dormito male, malissimo. Ho sognato ininterrottamente di mia moglie, non riuscirò mai più a liberarmi di questi incubi durante i quali sogno di mia moglie. E poi ho riflettuto su di lei, sull’evoluzione che lei ha subito in questi ultimi anni. Curiosa l’evoluzione che ha subito, disse. In fondo lei conduce un’esistenza rara, un’esistenza pressoché del tutto indipendente, pur tenendo conto, com’è ovvio, del fatto che al mondo non esistono esseri umani indipendenti, e men che meno esiste poi l’essere umano del tutto indipendente. Se non avessi l’Ambassador, disse, i pomeriggi mi riuscirebbero insopportabili. Negli ultimi tempi vengono talmente tanti arabi all’Ambassador che l’Ambassador diventerà ben presto un albergo di arabi, mentre, com’è noto, è sempre stato l’albergo degli ebrei, degli ebrei e degli ungheresi e soprattutto degli ebrei ungheresi, è per questo che da decenni mi trovo così a mio agio in questo albergo, disse, neppure i mercanti di tappeti persiani che all’Ambassador vendono e comprano i loro tappeti mi danno fastidio. Ma non crede anche lei che stia alla lunga diventando pericoloso starsene seduti all’Ambassador, non è forse vero che all’Ambassador potrebbe esplodere una bomba da un momento all’altro, provi a immaginare, un edificio costantemente popolato da ebrei israeliani, e arabi egiziani. Santo cielo, disse, non che me ne importi gran che di saltare in aria, purché la morte sia istantanea. La mattinata al Kunsthistorisches Museum, il pomeriggio all’Ambassador, e a mezzogiorno all’Astoria o al Bristol a mangiar bene, disse, sono queste le cose che apprezzo. Con quello che mi dà il Times non potrei certo condurre questo tipo di vita, mentì, quello che il Times mi manda in Austria basta sì e no per le piccole spese. E le azioni comunque non vanno bene, il mercato delle azioni è un disastro. E in Austria la vita diventa ogni giorno più cara. D’altra parte io ho calcolato che se non scoppia la cosiddetta terza guerra mondiale, con quello che possiedo potrei vivere ancora tranquillamente una ventina d’anni. Questo è rassicurante, sebbene ogni cosa si assottigli col passare del tempo. Lei è il tipico studioso in proprio, Atzbacher, mi disse, lei è addirittura la quintessenza dello studioso in proprio, lei è in realtà la quintessenza dell’individuo in proprio, inattuale in tutto e per tutto, disse Reger. L’ho pensato oggi mentre salivo di nuovo con grande fatica quella tremenda scala ed entravo nella Sala Bordone, pensavo che lei è l’autentico e tipico individuo in proprio, probabilmente l’unico che io conosca, eppure io conosco una quantità di persone che sono tutti individui in proprio, ma lei è il tipico, l’autentico individuo in proprio. Come farà lei a lavorare per dei decenni sempre a una stessa opera senza pubblicarne il più piccolo stralcio. Io non potrei farlo. Io, almeno una volta al mese, devo poter godere della pubblicazione di un mio lavoro, disse, questa abitudine è diventata per me un’esigenza irrinunciabile e per questo sono riconoscente al Times che mi asseconda regolarmente in questa mia abitudine e per di più mi paga per averla. Scrivere, del resto, è per me un vero piacere, disse, questi brevi pezzi di bravura che non superano mai le due pagine, che fanno sempre tre colonne e mezzo sul Times, disse. Non ha mai pensato di dare alle stampe almeno una piccola parte del suo lavoro? disse, un frammento qualsiasi, dai suoi accenni in proposito mi sono fatto l’idea che il suo lavoro sia eccellente, ma d’altra parte anche quello di non pubblicare niente, assolutamente niente, è un piacere sublime, disse. Eppure verrà il momento in cui anche lei vorrà conoscere le reazioni al suo lavoro, disse, e allora ne pubblicherà almeno una parte. Da un lato è formidabile trattenere il cosiddetto lavoro di tutta una vita e per tutta la vita non pubblicarlo, così come dall’altro è formidabile pubblicare. Io sono un pubblicatore nato mentre lei è un non pubblicatore nato. Probabilmente il suo lavoro e lei e quindi il suo lavoro a causa sua e lei in relazione al suo lavoro, può dirlo come vuole, siete condannati alla non pubblicazione, perché lei di sicuro soffre di continuo per il fatto che lavora al suo lavoro e il suo lavoro però non lo pubblica, la verità è questa, penso, solo che lei non lo ammette, neppure con se stesso ammette di soffrire per questa cosiddetta coazione alla non pubblicazione. Io soffrirei se non dovessi pubblicare il mio lavoro di pubblicista. Ma naturalmente il suo lavoro non è paragonabile al mio. In ogni modo io non conosco un solo scrittore, o comunque un solo individuo che scrive, il quale alla lunga sopporti di non pubblicare quello che ha scritto, non conosco un solo individuo che non sia curioso di sapere ciò che dice il pubblico di quello che ha scritto, io brucio sempre dal desiderio di saperlo, diceva Reger, sebbene dica sempre che non brucio dal desiderio, che non mi interessa affatto, che non sono curioso di sapere quale sia l’opinione del pubblico riguardo a ciò che ho scritto, in realtà brucio dal desiderio di saperlo, e com’è ovvio mento quando dico che non brucio dal desiderio di saperlo, in realtà io brucio costantemente dal desiderio di saperlo, questo lo ammetto, brucio sempre dal desiderio di saperlo, incessantemente, disse. Voglio sapere ciò che dice la gente di quello che ho scritto, disse, lo voglio sapere in ogni momento e da tutti, e invece dico in continuazione, non mi interessa quello che dice la gente, dico, non mi interessa, mi lascia indifferente, e intanto non faccio altro tutto il tempo che bruciare dal desiderio di saperlo, e non c’è niente che io aspetti con altrettanta trepidazione, disse. Mento quando dico, a me non interessa l’opinione del pubblico, a me non interessano i miei lettori, mento quando dico che non voglio assolutamente sapere quello che si pensa di ciò che io scrivo, che non leggo quanto si scrive in proposito, mento quando dico queste cose, mento in un modo assolutamente meschino, disse, perché invece brucio incessantemente dal desiderio di sapere che cosa dice la gente di quello che ho scritto, voglio saperlo sempre, in ogni momento, e qualunque cosa dica la gente dei miei scritti, io ne rimango colpito, la verità è questa. Naturalmente io sento solo cosa ne dicono quelli del Times e non sempre essi dicono cose lusinghiere, disse Reger, e quanto a lei, essendo uno scrittore per così dire filosofeggiante, anche lei dovrebbe bruciare dal desiderio di sapere che cosa dice la gente dei suoi scritti filosofeggianti, che cosa ne pensa, io non riesco a capire perché lei non voglia pubblicare i suoi scritti, neppure qualche brano, non foss’altro per venire a sapere una buona volta che cosa ne pensa il pubblico, che cosa ne pensa il cosiddetto pubblico competente, sebbene io stesso sostenga d’altra parte che questo pubblico competente non esiste, a dire il vero non esiste neppure la competenza, la competenza non è mai esistita e non esisterà mai; ma davvero non le pesa il fatto di scrivere in continuazione, di pensare in continuazione, e di scrivere quello che ha pensato, e di continuare a scrivere costantemente, tutto questo senza alcuna eco? disse. Certamente a causa del suo stupido non pubblicare molte cose le sfuggono, disse, e forse le sfuggono addirittura le cose decisive. Lei adesso scrive il suo lavoro ormai da decenni e dice di scrivere questo lavoro solo per se stesso, ma è atroce, non c’è nessuno che scriva un lavoro soltanto per se stesso, quando uno dice di scrivere quello che scrive solo per se stesso dice una menzogna, ma lei sa quanto me che nessuno è più bugiardo di colui che scrive, da che mondo è mondo non si conoscono individui più bugiardi di quelli che scrivono, più presuntuosi e più bugiardi, disse Reger. Se lei sapesse che notte orribile ho passato di nuovo, mi alzavo in continuazione con crampi atroci che partivano dalle dita dei piedi e salivano, attraverso i polpacci, fin nella cassa toracica, crampi dovuti al diuretico che sono costretto a prendere per il cuore. Sono intrappolato in un ciclo infernale, disse. Ogni notte è uno sfacelo, ogni volta che penso, adesso riuscirò a prender sonno, mi ritornano quei crampi e sono costretto ad alzarmi e a camminare su e giù per la stanza. Pressoché tutta la notte non ho fatto altro che camminare su e giù, e non sono riuscito a prender sonno, venivo svegliato di soprassalto da quegli incubi di cui le ho parlato. Durante quegli incubi sogno mia moglie, è una cosa tremenda. Dal giorno della sua morte mi assalgono quegli incubi, ininterrottamente, tutte le notti.

Creda, molto spesso mi chiedo se non sarebbe stato meglio se l’avessi fatta finita anch’io il giorno della morte di mia moglie. Questa codardia non me la perdono. Questa incessante autocommiserazione, che ormai è diventata morbosa, la trovo insopportabile ma non riesco a liberarmene, disse. Se almeno al Musikverein ci fosse un concerto decente, disse, ma il programma di quest’inverno è orribile, non suonano altro che cose trite e stantie, sempre gli stessi concerti di Mozart e di Brahms e di Beethoven che ormai mi danno sui nervi, tutti questi cicli su Mozart su Brahms e su Beethoven, non se ne può veramente più. E all’Opera regna il dilettantismo. Se almeno l’Opera fosse interessante, ma ora come ora anche l’Opera non suscita il minimo interesse, lavori scadenti, cantanti scadenti e, come se non bastasse, un’orchestra che fa pietà. Se si pensa che cos’erano i Filarmonici solo due o tre anni fa! disse, e che cosa sono oggi, un’orchestra dozzinale. Si figuri, la settimana scorsa sono andato a sentire la Winterreise cantata da un basso di Lipsia, il nome neanche glielo menziono perché in realtà non le direbbe niente, del resto dal punto di vista teorico a lei la musica non interessa affatto, si consideri fortunato, disse, quel basso era un disastro. Si ostinano a fare la Krähe, disse, non si può più resistere. Per un concerto così non vale neppure la pena di cambiarsi d’abito, mi è spiaciuto per la camicia fresca di bucato. Di una schifezza simile non mi metto certo a scrivere sul Times, disse. Mahler, Mahler, Mahler, disse, anche quello è estenuante. Ma la moda di Mahler, grazie a Dio, è già oltre il suo apice, disse, Mahler è comunque il compositore più sopravvalutato del secolo. Mahler è stato un direttore d’orchestra straordinario ma è un compositore mediocre, come tutti i buoni direttori d’orchestra, Hindemith per esempio, o Klemperer. In tutti questi anni ho provato per la moda di Mahler un senso di orrore, il mondo intero era caduto nei confronti di Mahler in preda a una vera e propria ebbrezza, che cosa insopportabile. Lo sa lei che la tomba di mia moglie, nella quale del resto verrò sepolto anch’io, si trova proprio accanto alla tomba di Mahler? Che vuole, al cimitero uno può anche permettersi di non badare a chi gli giace accanto, persino il fatto di giacere accanto a Mahler non mi mette in agitazione. Das Lied von der Erde con la Kathleen Ferrier ancora ancora, disse Reger, ma per il resto l’opera di Mahler non la tollero, non vale niente, non regge a un esame puntiglioso. Webern, allora, è un vero genio al confronto, per non parlare di Schönberg e di Berg. No, Mahler è stato un’aberrazione. Mahler è il tipico compositore Jugendstil alla moda, naturalmente molto ma molto peggio di Bruckner, il quale ha peraltro con Mahler molti aspetti kitsch in comune. In questa stagione Vienna non offre niente a chi ha degli interessi intellettuali, e purtroppo offre molto poco anche a chi si interessa di musica, disse. Ma naturalmente gli stranieri che vengono in città si fa in fretta ad accontentarli, all’Opera ci vanno comunque, qualunque cosa venga rappresentata, anche se si tratta di una boiata impareggiabile, e vanno anche ai concerti più orribili e applaudono da far crollare i teatri e, come può vedere, vanno a frotte anche al Naturhistorisches Museum e al Kunsthistorisches Museum. Immensa è la fame di cultura nell’umanità civilizzata, la perversità che si nasconde in quella fame non conosce frontiere. Vienna è un’idea della cultura, disse Reger, sebbene a Vienna la cultura sia quasi del tutto scomparsa da parecchio tempo, e persino se un giorno non dovesse davvero più esserci cultura a Vienna, anche allora Vienna continuerebbe a essere un’idea della cultura, Vienna sarà sempre un’idea della cultura, e lo sarà tanto più tenacemente quanto meno vi sarà cultura. E ben presto non ci sarà davvero più traccia di cultura in questa città, disse. Questi governi che abbiamo in Austria e che diventano sempre più stupidi, ci penseranno senz’altro loro, col passare del tempo, a far sì che ben presto non ci sia più in Austria alcun genere di cultura, ma solo filisteismo, disse Reger. L’atmosfera qui in Austria diventa sempre più avversa alla cultura, di anno in anno diventa più avversa alla cultura e tutto fa credere che entro non molto tempo l’Austria sarà un paese del tutto privo di cultura. Ma io non vivrò più abbastanza da vedere questa fine deprimente, lei forse sì, disse Reger, lei forse sì ma io no, io ormai, vecchio come sono, non vivrò più abbastanza da vedere la decadenza definitiva e l’effettiva scomparsa della cultura in Austria. In Austria si sta spegnendo la luce della cultura, questo glielo assicuro io, l’ottusità che ormai da tanto tempo regna sovrana in questo paese spegnerà in tempi non troppo lunghi la luce della cultura. Allora in Austria si farà buio fitto, disse Reger. Ma lei può dire quello che vuole su questo argomento, nessuno la starà a sentire, e se qualcuno lo farà la prenderà per pazzo. Che senso ha che io scriva sul Times quello che penso dell’Austria, che parli di ciò che presto o tardi, ma comunque in un futuro non lontano, accadrà all’Austria? Non ha senso, disse Reger, non ha il benché minimo senso. Peccato che io non possa più vivere tanto da vedere gli austriaci che brancolano nel buio perché in Austria si è spenta la luce della cultura. Peccato che io non possa più partecipare a questo evento, disse. Lei si domanderà come mai anche oggi l’ho di nuovo convocata qui, come mai anche oggi l’ho pregata di venire. Una ragione c’è. Ma questa ragione gliela dirò soltanto più tardi. Non so come devo dirgliela questa ragione. Non lo so proprio. E’ tutto il tempo che ci penso e non lo so. Sono ormai delle ore che sto qui e che ci penso e non lo so. Irrsigler mi è testimone, disse Reger, sono ormai delle ore che sto qui seduto sulla panca e penso come devo dirle la ragione per cui l’ho pregata di venire anche oggi al Kunsthistorisches Museum. Più tardi, più tardi, disse Reger, mi lasci tempo. Commettiamo un crimine e non siamo in grado di raccontare la cosa semplicemente, senza tanti fronzoli, disse Reger. Mi dia il tempo di calmarmi, disse, a Irrsigler l’ho già detto, ma a lei ancora non posso dirlo, disse, è una cosa veramente infame. Peraltro, ciò che le ho detto ieri sulla sonata detta Tempesta è sicuramente interessante, e sono anche certo che quanto le ho detto a proposito della sonata detta Tempesta è giusto, ma è comunque probabile che sia più interessante per me che per lei. Accade sempre così, del resto, parliamo di un tema perché questo tema ci affascina, ma siamo più noi a esserne affascinati di colui che in fin dei conti costringiamo ad ascoltarci con immensa, spasmodica spietatezza. Io ieri l’ho costretta ad ascoltare le mie idee sulla sonata detta Tempesta, questo è un dato di fatto. Nel quadro della mia relazione sull’Arte della fuga, disse, mi è parso necessario occuparmi anche della sonata detta Tempesta e ieri mi trovavo appunto in una disposizione addirittura ideale a questo scopo, e ho fatto di lei la vittima della mia passione musicologica, del resto mi capita molto spesso di fare della sua persona la vittima delle mie passioni musicologiche, perché non ho sotto mano altri soggetti che si prestino altrettanto bene allo scopo. Molto spesso penso, lei è proprio arrivato al momento giusto, che cosa farei senza di lei! disse. Ieri l’ho importunata con la Tempesta, chissà quale brano musicale userò dopodomani per importunarla, ho in mente una quantità di temi musicologici che mi piacerebbe immensamente illustrare; ma ho bisogno di un ascoltatore, di una cosiddetta vittima della mia logorrea musicologica, disse, perché questo mio continuo parlare di questioni musicologiche è davvero una sorta di logorrea musicologica.

Ciascuno ha la propria peculiare, la propria peculiarissima logorrea, la mia è una logorrea musicologica. Questa logorrea musicologica io l’ho sempre avuta durante tutta la mia vita musicologica, perché la mia vita, senza dubbio, non è stata altro che una vita musicologica, così come la sua è una vita filosofeggiante, questo mi sembra innegabile. Naturalmente oggi io posso anche dire che tutto quello che ho detto ieri a proposito della Tempesta è oggi un’assurdità, così come è assurdo in realtà tutto quello che viene detto, ma noi queste assurdità le diciamo in modo convincente, disse Reger. Tutto ciò che è stato detto presto o tardi risulta assurdo, ma se noi lo diciamo in modo convincente, con l’impeto più straordinario di cui siamo capaci, smette di essere un crimine, disse. Quello che pensiamo vogliamo anche dirlo, disse Reger, e in fondo, finché non l’abbiamo detto non ci diamo pace, e se non diciamo quello che pensiamo il pensiero ci soffoca. L’umanità sarebbe soffocata da tempo se avesse taciuto le assurdità che ha pensato nel corso della propria storia, chiunque soffoca se tace troppo a lungo, anche l’umanità non può tacere troppo a lungo, perché poi soffoca, anche se in definitiva quelle che pensa l’individuo e quelle che pensa l’umanità e quelle che hanno pensato l’individuo e l’umanità nel corso del tempo altro non sono che assurdità. Noi siamo, di volta in volta, artisti della parola e artisti del silenzio, e perfezioniamo il più possibile quest’arte, disse, e la nostra vita risulta interessante solo nella misura in cui riusciamo a sviluppare in noi l’arte della parola e l’arte del silenzio. La Tempesta non è in fondo un gran brano, disse Reger, a guardar bene non è altro che una delle tante cosiddette opere minori, in fondo è un brano kitsch. Il pregio di questo brano sta più nel fatto che se ne può discutere molto bene che non nel brano stesso. Beethoven era il tipico artista tormentato, monotono, un individuo violento, non propriamente la mia passione. Mi ha sempre divertito descrivere il carattere della Tempesta, è la tipica opera di Beethoven, la sua opera fatale, attraverso la Tempesta si può far luce su Beethoven, sulla sua personalità, sui suoi aspetti geniali e su quelli kitsch, se ne tracciano i limiti. Ma io in ogni caso le ho parlato della Tempesta solo perché ieri volevo spiegarle meglio e con maggiore impegno l’Arte della fuga, e a questo scopo era necessario fare riferimento alla Tempesta, disse Reger. D’altronde io detesto questo tipo di definizioni, Tempesta o Eroica o Incompiuta o Colpo di timpano, sono un genere di definizioni che trovo ripugnante. Così come mi ripugna dal più profondo del cuore quando si dice Il mago del Nord. Ed è proprio perché la musica, sotto il profilo teorico, non le interessa affatto, che lei rappresenta la vittima ideale dei miei contenziosi con la musica, disse Reger. Lei ascolta attentamente e non replica, disse, lei non disturba la mia loquacità, è di questo che ho bisogno, quello che dico infatti, poco importa il suo valore, non serve ad altro che a spianarmi la strada attraverso questa atroce esistenza musicale, un’esistenza, mi creda, che in effetti di rado ci rende felici. Ciò che penso è estenuante, annichilente, disse, ma d’altra parte io ne sono estenuato e annichilito da talmente tanto tempo che non ho più ragione di averne paura. Pensavo che lei sarebbe stato puntuale e lei è puntuale, disse, del resto non mi aspetto altro da lei che la puntualità, e la puntualità, lei lo sa bene, è ciò che apprezzo sopra ogni altra cosa, dove ci sono esseri umani, deve regnare la puntualità e l’affidabilità che con la puntualità fa causa comune, disse. Scoccavano le undici e mezzo e lei è comparso, disse, ho guardato l’orologio ed erano le undici e mezzo e lei si è presentato davanti a me. Non ho un essere umano che mi sia più utile di lei, disse. Probabilmente riesco a sopravvivere solo grazie a lei. Questo non avrei dovuto dirlo, disse Reger, dirlo è stata un’impudenza, disse, un’impudenza senza pari, ma ormai l’ho detto, lei è l’essere umano che mi permette di continuare a esistere, non ne ho effettivamente altri. E poi, lo sa che mia moglie l’amava molto? A lei non l’ha mai detto, ma a me l’ha detto, e più di una volta. Lei ha una mente libera, disse Reger, e al mondo non c’è cosa più preziosa. Lei è un originale che ha conservato la sua originalità, mi raccomando, la conservi finché vive, disse Reger. Io mi sono infilato di soppiatto nell’arte per sfuggire alla vita, in fin dei conti potrei metterla anche così, disse. Sono sgusciato via nell’arte, disse. Ho aspettato il momento più opportuno e poi ho approfittato di quel momento opportuno per sgusciare via dal mondo e rifugiarmi nell’arte, nella musica, disse. Al pari di altri che sgusciano via nelle arti figurative, o nell’arte drammatica, disse. Questa gente che dopotutto, come me, odia effettivamente il mondo, da un momento all’altro sguscia via dall’odiato mondo e si rifugia nell’arte, che infatti si trova completamente al di fuori dell’odiato mondo. Sono sgusciato via nella musica, disse, in tutta segretezza. Perché ho avuto la possibilità di farlo, mentre la maggior parte degli esseri umani non dispone assolutamente di questa possibilità. Lei è sgusciato via nella filosofia e nella scrittura, disse Reger, pur non essendo né filosofo né scrittore, è appunto questa la cosa interessante e fatale della e nella sua persona, perché lei non è certo un vero filosofo e non è neppure un vero scrittore, perché per essere un filosofo le mancano tutte quelle che sono le caratteristiche del filosofo e per essere uno scrittore lo stesso, e sebbene lei sia esattamente quello che io chiamo uno scrittore filosofico, la sua filosofia non è vera filosofia e la sua scrittura non è una scrittura da vero scrittore, ripeté. E poi, in fondo, uno scrittore che non pubblica non è veramente uno scrittore. Probabilmente lei soffre di un’angoscia da pubblicazione, disse Reger, il fatto che lei non pubblichi è dovuto a un trauma di natura editoriale. Ieri all’Ambassador lei aveva una pelliccia di montone con un bellissimo taglio, è una pelliccia che viene certo dalla Polonia, disse di punto in bianco, e io dissi, sì, ha ragione, avevo addosso una pelliccia di montone polacca, infatti, come lei sa, dissi a Reger, sono stato più volte in Polonia, la Polonia è uno dei miei due paesi prediletti, amo la Polonia e il Portogallo, dissi, ma probabilmente la Polonia più ancora del Portogallo e durante la mia ultima visita a Cracovia, ma ormai sono passati otto o nove anni dall’ultima volta che sono stato a Cracovia, mi sono comperato questa pelliccia, sono andato apposta al confine russo per comperarla, perché solo al confine russo-polacco hanno le pellicce di montone con questo taglio. Già, disse Reger, è davvero un piacere vedere di tanto in tanto una persona ben vestita, una persona ben vestita e di bell’aspetto, tanto più quando il tempo è così grigio, e la mente pressoché obnubilata, e l’umore pessimo. Qualche volta, adesso, anche in questa Vienna degenerata si vedono persone ben vestite e di bell’aspetto, mentre per molti anni, a Vienna, tutti avevano addosso solamente abiti di cattivo gusto, quella deprimente produzione di massa. Adesso invece sembra che nell’abbigliamento torni un po di colore, ma sono talmente rare le persone ben fatte, lei cammina per ore in questa Vienna degenerata e non vede altro che facce deprimenti e abiti di cattivo gusto, come se incrociasse continuamente degli storpi. Il cattivo gusto e la monotonia dei viennesi mi hanno depresso per decenni. Ho sempre pensato, solo in Germania sono monotoni e privi di gusto, invece i viennesi sono altrettanto monotoni e privi di gusto. Soltanto negli ultimi tempi il quadro sta cambiando, la gente ha un aspetto decisamente migliore, portano di nuovo abiti che hanno scelto personalmente, disse, quando lei indossa questa pelliccia di montone ha un’aria prestante, disse Reger. Sono talmente poche le persone ben vestite e intelligenti che si vedono in giro, disse. Per parecchi anni ho sempre girovagato a testa bassa in questa Vienna degenerata perché non sopportavo la vista di tanta bruttura di massa per le strade, quegli individui totalmente privi di gusto che a frotte ti venivano incontro erano semplicemente insopportabili. Quelle centinaia di migliaia di esseri umani vestiti in serie, che non appena mettevo piede per strada mi toglievano l’aria, disse. E non solo nei cosiddetti quartieri proletari, ma anche nel cosiddetto centro quelle masse di esseri grigi vestiti in serie mi toglievano l’aria, proprio nel centro della città, disse. Adesso tuttavia si direbbe che le cose stiano cambiando, la gente ha di nuovo il coraggio di vestirsi con originalità, disse. Adesso i giovani che camminano per le strade, benché sempre privi di gusto, portano però colori più allegri, è come se soltanto adesso, quarant’anni dopo la sua fine, tutta questa gente avesse superato la guerra, il trauma della guerra, disse Reger, il trauma che per quasi quarant’anni ha conferito agli esseri umani un aspetto così tetro e squallido. Ma naturalmente una persona ben vestita, in questa Vienna degenerata, lei la vede, come si suol dire, solo ogni morte di vescovo. Vedere una persona ben vestita ci colma naturalmente di gioia, disse, e poi: soltanto Gould, comunque, eseguiva la Tempesta in modo ineccepibile, soltanto lui la rendeva sopportabile, nessun altro. Chiunque altro, alle mie orecchie, l’ha resa insopportabile. E’ grossolana, la Tempesta, davvero molto grossolana, disse Reger, come tante opere di Beethoven. D’altra parte neppure Mozart è sfuggito al kitsch, soprattutto le sue opere sono terribilmente kitsch, anche nella musica di queste opere superficiali l’aspetto malizioso e quello pedante si accavallano in maniera spesso intollerabile. Una tortorella qui una tortorella là, un indice alzato qui un indice alzato là, diceva Reger, anche questo è Mozart. La musica di Mozart è anche piena del kitsch della sottanella e del pantaloncino, disse. E il compositore di Stato Beethoven, come dimostra soprattutto la Tempesta, è di una serietà addirittura ridicola. Ma dove andremmo a finire se sottoponessimo ogni cosa a questo micidiale punto di vista, disse Reger. Pedanteria e kitsch sono d’altronde le qualità fondamentali dell’uomo cosiddetto civilizzato, talmente stilizzato nel corso dei secoli e dei millenni da essersi ridotto a una figura grottesca, disse. Dove l’uomo mette mano tutto è kitsch, disse, su questo non c’è alcun dubbio. Anche la grande arte e l’arte grandissima lo sono. Per lui, che in realtà si sentiva più a casa propria a Londra che a Vienna, ritornare a Vienna da Londra era stato un autentico shock. Ma a Londra non sarei potuto rimanere in nessun caso, in primo luogo per via della mia salute incerta, sempre sul punto di trasformarsi in malattia pericolosa, in malattia mortale, così Reger. A Londra avevo vissuto, a Vienna non ho mai veramente vissuto, a Londra la mia testa si è trovata bene, a Vienna la mia testa non si è mai trovata veramente bene, a Londra mi sono venute le idee migliori, disse. Il periodo londinese è stato il mio periodo migliore, disse. A Londra avevo sempre avuto tutte le possibilità che a Vienna non ho mai avuto, disse. Dopo la morte dei miei genitori ritornare a Vienna mi era sembrato ovvio, in questa città grigia, avvilita dalla guerra, in questa città insulsa, dove in un primo momento e per parecchi anni ho sempre vissuto nel terrore. Ma nel momento in cui non sapevo più come andare avanti ho conosciuto mia moglie, disse. Mia moglie mi ha salvato, e aggiunse che aveva sempre temuto il sesso femminile e aveva effettivamente odiato le donne, come si suol dire, con tutta l’anima, ma che sua moglie lo aveva salvato. Lo sa lei dove ho conosciuto mia moglie? disse, gliel’ho mai detto? disse, e io pensai che me l’aveva già detto più volte, ma non lo dissi, e lui mi disse, ho conosciuto mia moglie al Kunsthistorisches Museum. E lo sa dove, al Kunsthistorisches Museum? chiese, e io pensai, certo che lo so dove l’ha conosciuta al Kunsthistorisches Museum, e lui disse, qui, nella Sala Bordone, su questa panca, lo disse come se davvero si fosse dimenticato di avermi già detto centinaia di volte che aveva conosciuto sua moglie sulla panca della Sala Bordone, e io, quando lo disse ancora una volta, finsi di non averglielo mai sentito dire. La giornata era cupa, disse, io ero disperato, mi occupavo allora molto intensamente di Schopenhauer, essendomi passata la voglia di leggere Descartes e in generale, allora, tutti i filosofi francesi, ed ero seduto qui, su questa panca, e almanaccavo su una certa frase di Schopenhauer, non saprei più dire quale fosse questa frase, disse. Ed ecco che di punto in bianco accanto a me, sulla panca, si siede una donna cocciuta e non si alza più. Avevo fatto un cenno a Irrsigler, ma Irrsigler dapprima non capì il significato del mio cenno, e poi non fu comunque in grado di convincere la donna che sedeva accanto a me ad alzarsi e andarsene, la donna era lì seduta e fissava l’Uomo dalla barba bianca, disse Reger, e credo che abbia fissato l’Uomo dalla barba bianca per un’ora intera. Le piace così tanto l’Uomo dalla barba bianca di Tintoretto? chiesi a colei che sedeva accanto a me, disse Reger, e in un primo momento non ottenni risposta alla mia domanda.

Solo dopo qualche tempo la donna accanto a me pronunciò un no che io trovai davvero affascinante, fino a quel no non avevo mai sentito un simile no, disse Reger. Dunque l’Uomo dalla barba bianca non le piace per niente? ho domandato alla donna. No, non mi piace, mi ha risposto la donna. Si dipanò allora, come si suol dire, una conversazione sull’arte, in particolare sulla pittura, sugli Antichi Maestri, disse Reger, una conversazione che ad un tratto e per molto tempo non desiderai affatto che venisse interrotta, per tutta la durata di quella conversazione non ero interessato ai suoi contenuti ma piuttosto al modo in cui essa veniva condotta. Alla fine, dopo aver riflettuto a lungo sui pro e i contro, proposi alla donna che pranzassimo insieme all’Astoria, e lei accettò, e dopo non molto tempo ci siamo sposati. A questo punto è venuto fuori che lei era oltretutto molto ricca, che possedeva diversi negozi in centro e anche degli immobili con appartamenti in affitto nella Singerstrasse e nella Spiegelgasse, e uno persino al Kohlmarkt, disse. Senza contare tutto il resto. D’un tratto io ebbi per moglie una ricca e intelligente cosmopolita, disse Reger, che con la sua intelligenza e la sua ricchezza mi ha salvato, perché mia moglie mi ha salvato, quando io ho conosciuto mia moglie ero, come si suol dire, completamente a terra, disse. Come vede, devo non poco a questo Kunsthistorisches Museum, disse. Forse è addirittura la gratitudine che mi spinge a venire al Kunsthistorisches Museum un giorno sì e un giorno no, disse ridendo, ma no, non è così, ovviamente. Lo sa lei che nella casa di mia moglie, detta casa della Himmelstrasse, nella cosiddetta Himmelstrasse a Grinzing, c’era una cassaforte alla quale avrebbero potuto accedere parecchie persone? disse. In quella cassaforte lei teneva dei preziosissimi Stradivari, Guarneri, Maggini, disse. Senza contare il resto. Durante la guerra mia moglie era a Londra, proprio come me, ed è davvero sorprendente che io non l’abbia conosciuta già a Londra, perché mia moglie allora, nella stessa epoca in cui io mi trovavo a Londra, frequentava gli stessi ambienti londinesi che frequentavo io. Per anni, a Londra, ci siamo sfiorati. Mia moglie, tra l’altro, prima che ci sposassimo, ha lasciato in donazione parecchi quadri al Kunsthistorisches Museum, disse Reger, tra cui un Furini di grande valore, neanche tanto malriuscito, lo può trovare del resto proprio accanto al Cigoli e all’Empoli, per la precisione tra l’Empoli e il Cigoli, che a me peraltro non piace affatto. Dopo il matrimonio mia moglie di quadri non ne ha più regalati, disse, le ho fatto capire che fare doni non ha senso, fare doni è di per sé un atto rivoltante, disse. Si figuri che mia moglie, prima che ci unissimo in matrimonio ha donato una veduta Biedermeier di Vienna, credo che fosse di Gauermann, a una delle sue nipoti. Quando un anno dopo, un giorno, più per caso che per interesse, per ammazzare il tempo tra un pasto e l’altro, come si suol dire, fece un giretto al Museum der Stadt Wien, scoprì nel Museum der Stadt Wien, che peraltro non vale un accidente, questa è la mia opinione, il Gauermann che aveva donato a sua nipote. Può immaginare quale shock sia stato per lei. Era andata di corsa alla direzione del museo, e lì aveva appreso che sua nipote aveva venduto il quadro al Museum der Stadt Wien per duecentomila scellini già poche settimane o addirittura pochi giorni dopo che lo aveva ricevuto in dono da lei, sua zia, la mia futura moglie. Fare doni è una delle cose più insensate che esistano, disse Reger. Questo l’ho fatto capire molto presto a mia moglie e lei non ha più fatto doni di nessun genere. Sradichiamo dalla nostra vita un oggetto a noi caro, un oggetto che, come si suol dire, ci sta a cuore, e colui che lo riceve in dono va e lo vende per una somma scandalosa, mostruosa, disse Reger. Fare doni è un’abitudine atroce, che deriva naturalmente dalla coscienza sporca o anche, frequentemente, dalla paura che molti hanno di rimanere soli, disse Reger, è un grave segno di inciviltà, il dono, e quindi l’oggetto donato non viene apprezzato, ogni volta chi lo riceve avrebbe voluto qualcosa di più, sempre di più, e alla fine il dono non fa che suscitare odio, disse. Io non ho mai fatto doni in vita mia, disse, e mi sono però anche sempre rifiutato di ricevere doni, ho addirittura paventato per tutta la vita che qualcuno mi facesse dei doni. E lo sa, disse Reger, che anche Irrsigler ha la sua parte in questo matrimonio? Irrsigler, come ho saputo più tardi, aveva detto a mia moglie, nella Sala Sebastiano, dove lei ad un tratto si era appoggiata alla parete completamente esausta, che andasse a sedersi nella Sala Bordone, sulla panca della Sala Bordone, è Irrsigler che l’ha accompagnata dalla Sala Sebastiano nella Sala Bordone, è su consiglio di Irrsigler che lei si è seduta sulla panca della Sala Bordone, disse Reger. Se Irrsigler non l’avesse accompagnata nella Sala Bordone, con ogni probabilità io non avrei mai fatto la sua conoscenza, disse Reger. Lei sa che io non credo al caso, disse. Stando così le cose, Irrsigler è il nostro sensale, disse Reger. Per molto tempo io e mia moglie non avevamo pensato al fatto che Irrsigler, in fondo, era stato il sensale del nostro matrimonio, finché un giorno, ricostruendo la nostra relazione, ce ne siamo resi conto. Irrsigler ha detto una volta che allora aveva osservato a lungo la mia futura moglie nella Sala Sebastiano, non riusciva a capire quale fosse la ragione di quello che gli era parso in lei fin dall’inizio un comportamento singolare, addirittura gli era venuto in mente che mia moglie poteva essere in procinto di fotografare uno dei dipinti appesi nella Sala Sebastiano, ciò che è severamente proibito, dapprima aveva pensato che nella sua borsa straordinariamente grande, che sarebbe peraltro proibito portare nel museo, fosse nascosta una macchina fotografica, e solo in seguito aveva capito che lei era semplicemente allo stremo delle forze. Gli individui che vanno nei musei commettono sempre l’errore di voler fare troppe cose, di voler vedere tutto, così camminano e camminano, guardano e guardano e poi, all’improvviso, crollano, semplicemente perché hanno fatto indigestione di opere d’arte. Così anche la mia futura moglie, che Irrsigler aveva preso per un braccio e accompagnato nella Sala Bordone, come abbiamo ricostruito più tardi, con estrema gentilezza, così Reger. Il profano va al museo e poi, avendo visto troppo, finisce per trovare tutto stomachevole, disse Reger. Ma naturalmente non si possono dare consigli in fatto di visite ai musei. L’intenditore va al museo per esaminare non più di un quadro, una statua, un oggetto, disse Reger, va al museo per guardare, valutare, un Veronese, un Velazquez, disse Reger. Ma questi intenditori d’arte mi disgustano tutti profondamente, disse Reger, puntano decisi su un’opera d’arte, la ispezionano in quel loro modo spudorato e senza scrupoli, dopo di che se ne vanno dal museo, detesto questa gente, disse Reger. D’altra parte, al museo, anche quando vedo un profano mi si rivolta lo stomaco, quando lo vedo trangugiare tutto con indifferenza, magari tutta la pittura occidentale in una mattinata, cose che qui, del resto, vediamo tutti i giorni. Mia moglie aveva un cosiddetto conflitto di coscienza il giorno in cui l’ho conosciuta, aveva camminato in centro per parecchie ore non sapendo se comprarsi un cappotto alla sartoria Braun o un tailleur alla sartoria Knize. Così, dibattuta tra la sartoria Braun e la sartoria Knize, decise alla fine di non comprarsi né il cappotto alla sartoria Braun né il tailleur alla sartoria Knize, e di visitare invece il Kunsthistorisches Museum, dove, fino a quel momento, era stata una sola volta in vita sua, condotta per mano da suo padre, che era stato un uomo dotato di grande sensibilità artistica. Naturalmente Irrsigler è conscio della sua funzione di sensale, disse Reger. E pensi se Irrsigler avesse portato nella Sala Bordone una donna di tutt’altro tipo, così penso spesso, disse Reger, una donna di tutt’altro tipo, ripeté, una inglese o una francese, pensi che cosa inconcepibile, disse. Siamo seduti su questa panca e abbiamo perso completamente la testa, disse Reger, e siamo più o meno il ritratto della depressione, della disperazione, intendeva Reger, e ci fanno sedere accanto una donna, e noi la sposiamo e siamo salvi. Milioni di coniugi si sono conosciuti su una panchina, disse Reger, questa è davvero una delle realtà più insulse che ci siano, ma proprio a una simile ridicolaggine insulsa io devo la mia esistenza, perché se non avessi conosciuto mia moglie non avrei certo potuto continuare a vivere, di questo mi rendo conto oggi più che mai. Per anni mi sono seduto su questa panca a un passo dalla disperazione più profonda, e poi tutt’a un tratto sono stato salvato. A Irrsigler devo dunque pressoché tutto quello che sono, perché senza Irrsigler io già da molto tempo non esisterei più, disse Reger nell’istante in cui Irrsigler dalla Sala Sebastiano guardò dentro nella Sala Bordone. Di solito, verso mezzogiorno il Kunsthistorisches Museum è piuttosto vuoto e anche quel giorno non si vedeva più molta gente in giro, e nella cosiddetta sezione italiana non c’era nessuno all’infuori di noi. Irrsigler avanzando di un passo uscì dalla Sala Sebastiano ed entrò nella Sala Bordone come se volesse dare a Reger la possibilità di esprimere un desiderio, ma Reger non aveva desideri da esprimere e così Irrsigler si ritirò subito nella Sala Sebastiano, in effetti indietreggiò per uscire dalla Sala Bordone ed entrare nella Sala Sebastiano. Si sentiva legato a Irrsigler più di quanto non lo fosse mai stato a un qualunque parente prossimo, sostenne Reger, a questo essere umano mi legano molte più cose di quante cose mi abbiano mai legato a un mio parente, disse. Siamo sempre riusciti a mantenere la nostra relazione in un equilibrio ideale, disse Reger, già da decenni in questo equilibrio ideale. Irrsigler ha costantemente la sensazione che io lo protegga, quantunque non sappia esattamente in quali circostanze sia protetto da me, e io stesso a mia volta ho sempre la sensazione di essere protetto da Irrsigler, ma anch’io, com’è naturale, senza sapere con esattezza in quali circostanze ciò avvenga, disse Reger. Il mio legame con Irrsigler è assolutamente ideale, il nostro è un rapporto a distanza ideale da ogni punto di vista, aggiunse. Naturalmente Irrsigler di me non sa niente, disse Reger adesso, e sarebbe completamente assurdo che io gli dicessi di più sul mio conto, proprio perché lui di me non sa niente, la nostra è una relazione ideale, proprio perché io stesso non so quasi niente di lui, disse Reger, perché io di Irrsigler conosco proprio solo gli aspetti esteriori, i più banali, e anche lui d’altra parte conosce me solo dal di fuori e nel modo più banale possibile. Non dobbiamo cercare di conoscere un uomo con il quale abbiamo un rapporto ideale più di quanto già lo conosciamo, altrimenti quel rapporto ideale lo distruggiamo, disse Reger. E’ Irrsigler che detta legge qui, disse Reger, io sono completamente nelle sue mani, se Irrsigler oggi dicesse, signor Reger, lei da oggi in poi non si siede più su questa panca, io non potrei farci niente, disse Reger, perché recarsi per più di trent’anni al Kunsthistorisches Museum e tenere occupata questa panca nella Sala Bordone è certo qualcosa di più di una stravaganza. Non credo che Irrsigler abbia mai riferito ai suoi superiori che io da più di trent’anni vengo al Kunsthistorisches Museum e che un giorno sì e un giorno no mi siedo sulla panca della Sala Bordone, questo no, non l’ha fatto sicuramente, da come lo conosco, lui sa che non deve farlo, che la direzione non deve saperne nulla. La gente infatti non ci mette niente a spedire una persona come me al manicomio, e quindi a spedirmi allo Steinhof se viene a sapere che questa persona da trent’anni un giorno sì e un giorno no va al Kunsthistorisches Museum per prendere posto sulla panca della Sala Bordone. Per gli psichiatri, poi, uno come me sarebbe la manna, disse Reger. Per finire in manicomio non c’è bisogno che uno si sieda per più di trent’anni un giorno sì e un giorno no sulla panca della Sala Bordone davanti all’Uomo dalla barba bianca di Tintoretto, sarebbe più che sufficiente che un individuo avesse questa abitudine per due o tre settimane soltanto, ma io questa abitudine l’ho ormai da trent’anni, disse Reger. E non ho rinunciato a questa abitudine neppure quando mi sono sposato, anzi, con mia moglie ho addirittura consolidato l’abitudine di andare un giorno sì e un giorno no al Kunsthistorisches Museum e di sedermi sulla panca della Sala Bordone.

Io per gli psichiatri sarei una manna e un pozzo di san Patrizio, come si suol dire, ma gli psichiatri non avranno l’opportunità di trasformarmi nella loro manna, nel loro pozzo di san Patrizio, disse Reger. Negli ospedali psichiatrici ci sono del resto migliaia di persone che hanno commesso, per così dire, una stravaganza che neanche lontanamente si può paragonare alla mia, disse Reger. Negli ospedali psichiatrici sono rinchiuse persone che una volta soltanto non hanno alzato la mano quando avrebbero dovuto alzarla, disse Reger, che una volta soltanto hanno detto bianco invece che nero, disse Reger, provi a immaginare. Eppure io non sono pazzo, disse, io sono soltanto una persona straordinariamente abitudinaria, che ha un’abitudine non comune, la non comune abitudine, appunto, di recarsi da più di trent’anni un giorno sì e un giorno no al Kunsthistorisches Museum e di sedersi sulla panca della Sala Bordone. Se mia moglie in un primo tempo l’aveva considerata una dannata abitudine, questa diventò alla fine per lei una cara abitudine, e negli ultimi anni, quando le chiedevo che cosa ne pensasse, diceva sempre che per lei era una cara abitudine quella di recarsi con me al Kunsthistorisches Museum, dal nostro Uomo dalla barba bianca di Tintoretto e prendere posto sulla panca della Sala Bordone, disse Reger. Penso infatti che il Kunsthistorisches Museum sia l’unico rifugio che mi è rimasto, disse Reger, è dagli Antichi Maestri che io devo andare per poter continuare a esistere, proprio da quei cosiddetti Antichi Maestri che a dire il vero detesto da tempo, da decenni, infatti, non c’è niente che io detesti di più di questi cosiddetti Antichi Maestri del Kunsthistorisches Museum e degli Antichi Maestri in generale, di tutti gli Antichi Maestri, quale che sia il loro nome, in qualunque modo abbiano dipinto, disse Reger, pur essendo loro, gli Antichi Maestri, quelli che mi tengono in vita. Così cammino per la città e penso che non sopporto più questa città, e che non soltanto non sopporto più la città ma non sopporto più il mondo intero e, per conseguenza, l’intera umanità, perché il mondo e l’intera umanità sono diventati nel frattempo così terrificanti che ben presto saranno insopportabili, se non altro per un essere umano come me. Deve sapere, Atzbacher, che per un essere umano d’intelletto e per un essere umano sensibile come me ben presto il mondo e l’umanità non saranno più sopportabili.

Non trovo più niente di importante in questo mondo e in mezzo a questi esseri umani, disse, in questo mondo tutto è ottuso, e in questa umanità tutto è altrettanto ottuso. Oggi questo mondo e l’umanità hanno raggiunto un tale grado di ottusità che un essere umano come me non se li può più permettere, disse, un essere umano come me non può continuare a vivere con un mondo simile, un essere umano come me e una simile umanità non possono seguitare a coesistere, disse Reger. Tutto in questo mondo e in questa umanità è degenerato ai livelli più infimi di ottusità, disse Reger, in questo mondo e in questa umanità tutto ha raggiunto un tale grado di pericolosità e di ignobile brutalità che ormai mi è addirittura quasi impossibile tirare avanti, se non altro giorno dopo giorno in questo mondo e in questa umanità. Un grado simile di volgarità e ottusità non lo consideravano possibile neppure i pensatori più perspicaci che mai siano esistiti, disse Reger, neppure Schopenhauer, neppure Nietzsche, per non parlare di Montaigne, disse Reger, e quanto ai nostri eccellenti poeti che hanno cantato il mondo e l’umanità, ebbene, ciò che essi hanno previsto e predetto al mondo e all’umanità in fatto di orrore e decadenza non è niente se lo confrontiamo con lo stato attuale delle cose. Lo stesso Dostoevskij, uno dei nostri massimi vati, ha descritto il futuro solo come un ridicolo idillio, come del resto Diderot, che, lui pure, ha descritto un futuro idilliaco assolutamente ridicolo, l’inferno terrificante di Dostoevskij è talmente innocuo a paragone di quello in cui oggi ci troviamo, che a pensarci può solo venirci un gran freddo alla schiena, e lo stesso vale per gli inferi che ha predetto e profetizzato Diderot. L’uno, dal suo punto di vista russo e orientale, ha tanto poco previsto e predetto e profetizzato questo inferno assoluto quanto il suo antagonista occidentale, il pensatore e scrittore Diderot, disse Reger. Il mondo e l’umanità si trovano ormai in uno stato infernale, uno stato che, nella loro storia, il mondo e l’umanità non avevano mai raggiunto, la verità è questa, così Reger. E’ addirittura idilliaco quello che i grandi pensatori e i grandi scrittori hanno profetizzato, disse Reger, tutti loro, sebbene ritenessero di aver descritto l’inferno, hanno descritto unicamente un idillio che a paragone dell’inferno in cui oggi noi esistiamo è addirittura un idillio meraviglioso, così Reger. Tutto oggi è colmo di volgarità e malvagità, di menzogna e tradimento, disse Reger, l’umanità non è mai stata così sfrontata e perfida come oggi. Possiamo guardare quel che ci pare, possiamo andare dove ci pare, vediamo solo malvagità e bassezza e tradimento e menzogna e ipocrisia, e sempre nient’altro che l’assoluta abiezione, qualunque cosa guardiamo, ovunque andiamo, ci troviamo di fronte malvagità e menzogna e ipocrisia. Non c’è nient’altro che noi vediamo, qui, oltre alla menzogna e alla malvagità, oltre all’ipocrisia e al tradimento, oltre alla più immane abiezione, quando camminiamo per la strada, quando osiamo camminare per la strada, disse Reger. Camminiamo per la strada e ci addentriamo nell’abiezione, disse, nell’abiezione e nell’indecenza, nell’ipocrisia e nella malvagità. Diciamo, non c’è un paese più bugiardo e più ipocrita e più malvagio di questo, ma se usciamo da questo paese, o se anche ci limitiamo a guardare fuori, vediamo che anche fuori del nostro paese prevalgono sempre malvagità, ipocrisia, menzogna e abiezione. Abbiamo il governo più disgustoso che uno possa immaginare, il più bugiardo, il più malvagio, il più volgare e, nello stesso tempo, il più stupido, diciamo, e naturalmente ciò che pensiamo è vero, e lo diciamo tutti i momenti, disse Reger, ma guardando fuori da questo paese abietto, ipocrita e malvagio e bugiardo e stupido, vediamo che gli altri paesi sono altrettanto bugiardi e ipocriti e tutto sommato altrettanto abietti, disse Reger. Ma di questi altri paesi ci importa poco, disse Reger, ci importa soltanto del nostro paese, e per questa ragione riceviamo in testa ogni giorno dei colpi tali che ormai da tempo ci tocca vivere in uno stato di vero e proprio stordimento, in un paese in cui il governo è volgare e ottuso e ipocrita e bugiardo, e per di più è anche abissalmente stupido. Ogni giorno, se ci mettiamo a pensare, non avvertiamo altro che questo, che siamo retti da un governo ipocrita e bugiardo e volgare, che per di più è anche il governo più stupido che uno possa immaginare, disse Reger, e pensiamo che non possiamo farci niente, ecco l’atrocità, che non possiamo farci niente, che dobbiamo semplicemente stare a guardare, impotenti, questo governo che ogni giorno diventa più bugiardo e ipocrita e volgare e abietto, che dobbiamo stare a guardare, in uno stato di sconcerto pressoché perenne, questo governo che diventa ogni giorno peggiore, ogni giorno più insopportabile. Ma non soltanto il governo è bugiardo e ipocrita e volgare e abietto, anche il parlamento è così, disse Reger, e a volte mi sembra quasi che il parlamento sia ancora più ipocrita e bugiardo del governo, e infine, quant’è bugiarda e volgare la giustizia in questo paese, e la stampa in questo paese, e la cultura in questo paese, e insomma tutto in questo paese; in questo paese, ormai da decenni, regnano sovrane la menzogna e l’ipocrisia e la volgarità e l’abiezione, disse Reger. Questo paese, infatti, ha ora toccato il fondo, disse Reger, e presto avrà rinunciato alla sua ragion d’essere, al suo fine e al suo spirito. E dappertutto questi disgustosi sproloqui sulla democrazia! Lei cammina per strada, sostenne, e costantemente deve tapparsi gli occhi, le orecchie, e anche il naso per poter sopravvivere in questo paese che in fin dei conti è diventato uno Stato socialmente pericoloso, disse Reger. Ogni giorno lei fatica a credere ai suoi occhi e alle sue orecchie, disse, ogni giorno vive con maggiore spavento il declino di questo paese devastato, e di questo Stato corrotto, e di questo popolo rincretinito. E gli esseri umani che vivono in questo paese e in questo Stato non alzano un dito, disse Reger, è questo che tormenta ogni giorno un essere umano come me. Gli esseri umani vedono o per lo meno avvertono, naturalmente, che questo Stato si fa ogni giorno più abietto e volgare, ma non alzano un dito, i politici sono gli assassini, anzi i veri e propri massacratori di quei paesi e di quegli Stati che capitano loro tra le mani, disse Reger, da secoli i politici assassinano i paesi e gli Stati e nessuno impedisce loro di farlo. E noi austriaci, nei panni di assassini del paese e dello Stato disponiamo dei politici più imbroglioni e al tempo stesso più sventati che esistano al mondo, disse Reger. Alla testa del nostro Stato ci sono dei politici nei panni di assassini dello Stato e nel nostro parlamento siedono dei politici nei panni di assassini dello Stato, disse, la verità è questa. Ogni cancelliere e ogni ministro è un assassino dello Stato e, per conseguenza, anche un assassino del paese, disse Reger, e quando se ne va uno, ne viene un altro, disse Reger, quando se ne va l’assassino nei panni di cancelliere, già arriva l’altro, il cancelliere nei panni di assassino, se ne va un ministro nei panni di assassino dello Stato e già arriva l’altro. Il popolo non è nient’altro che un popolo assassinato dai politici, disse Reger, ma il popolo non lo vede, sente che è così ma non vede niente di quanto accade, questa è la tragedia, così Reger. Non abbiamo il tempo di rallegrarci perché un assassino dello Stato, nei panni di cancelliere, se n’è andato, che già arriva l’altro, disse Reger, è una cosa atroce. I politici sono assassini dello Stato e assassini del paese, disse Reger, e finché sono al potere, commettono indisturbati i loro delitti, e la giustizia dello Stato sostiene quel loro assassinare infame e abietto, quel loro infame e abietto abuso.

Ma tutti i popoli e tutte le società meritano naturalmente lo Stato che hanno, e quindi meritano anche i propri assassini nei panni dei politici, disse Reger. Che gente infame e ottusa, sfruttatori dello Stato, che gente infame e perfida, sfruttatori della democrazia, esclamò. I politici hanno il perfetto controllo della scena austriaca, disse poi Reger, gli assassini dello Stato hanno il perfetto controllo della scena austriaca. Al momento la situazione politica, in questo paese, è così deprimente che non dovrebbe consentire altro che notti insonni, ma oggi in Austria la situazione è altrettanto deprimente anche in tutti gli altri campi. Se lei dovesse una volta avere a che fare con la giustizia, si accorgerebbe che la giustizia è completamente corrotta e infame e abietta, senza contare che negli ultimi anni i cosiddetti errori giudiziari sono in vertiginoso aumento, non passa settimana senza che un procedimento, chiuso da tempo, venga riaperto per gravi difetti procedurali e senza che la cosiddetta sentenza di primo grado venga annullata, un’alta percentuale, rivelatrice della perfidia di questa giustizia, un’alta percentuale delle sentenze che hanno pronunciato negli ultimi anni i tribunali austriaci sono errori giudiziari cosiddetti politici, così Reger. Oggi in Austria abbiamo a che fare non solo con uno Stato completamente corrotto e diabolico, ma anche con una giustizia completamente corrotta e diabolica, così Reger. Già da molti anni la giustizia austriaca non è più degna di fede, essendo il suo un comportamento indegnamente politico e non indipendente come dovrebbe essere. Parlare di una giustizia indipendente in Austria non significa altro che prendersi apertamente gioco della verità, disse Reger. La giustizia in Austria è oggi una giustizia politica, non una giustizia indipendente. La giustizia austriaca è diventata in effetti al giorno d’oggi una giustizia politica socialmente pericolosa, così Reger, so bene di cosa sto parlando, disse. La giustizia oggi fa causa comune con la politica, disse Reger, le basterà occuparsene una volta un po da vicino di questa giustizia cattolica e nazionalsocialista, studiarla a mente lucida, così Reger. L’Austria oggi è il paese che vanta, non solo in Europa ma nel mondo intero, il maggior numero di cosiddetti errori giudiziari, questa è la catastrofe. Provi ad avere a che fare con la giustizia, quanto a me, come lei sa, ho già avuto molto spesso a che fare con la giustizia, e constaterà che la giustizia austriaca è un pericoloso mulino macinauomini cattolico-nazionalsocialista, il cui funzionamento non si fonda sul diritto, come sarebbe auspicabile, bensì sull’ingiustizia, e in cui regna una situazione estremamente caotica, non c’è in tutta Europa una giustizia più caotica di quella austriaca, non ce n’è una socialmente più pericolosa, più perfida, disse Reger, e nell’amministrazione cattolico-nazionalsocialista austriaca ciò che oggi domina non è tanto il caso, dominio della stupidità, quanto le mire di una politica meschina, così Reger. Se lei, in Austria, viene portato davanti a un tribunale, si ritroverà abbandonato nelle mani di una giustizia in tutto e per tutto caotica e cattolico-nazionalsocialista che stravolge la verità e la realtà, così Reger. La giustizia austriaca non solo è un sopruso, è anche una perfida macchina macinauomini nella quale il diritto viene stritolato dalle assurde macine dell’ingiustizia. Per non parlare poi della cultura di questo paese, disse Reger, se pensiamo alla cultura il voltastomaco diventa incontenibile. Per non parlare della cosiddetta Arte Antica, che è stantia e sfibrata e svenduta e da tempo, ormai, non merita più la nostra attenzione, questo lei lo sa quanto me, e d’altra parte la cosiddetta arte contemporanea non vale, come si suol dire, un fico secco. L’arte austriaca contemporanea è così infima da non meritare neppure la nostra vergogna, disse Reger. Sono decenni che gli artisti austriaci producono solo della merda kitsch, una merda che, se dipendesse da me, finirebbe effettivamente in un letamaio. I pittori dipingono merda, i compositori compongono merda, gli scrittori scrivono merda, disse. E la merda peggiore la producono gli scultori austriaci, disse Reger. Gli scultori austriaci producono la merda peggiore e raccolgono in cambio la più grande considerazione, così Reger, il che è caratteristico della idiozia di questa nostra epoca. Gli attuali compositori austriaci non sono nient’altro, dopotutto, che piccoli borghesi imbecilli produttori di merda che impesta in modo scandaloso le nostre sale da concerto. E gli scrittori austriaci, nel loro insieme, non hanno proprio niente da dire, e quello che non hanno da dire non riescono neppure a scriverlo. Nessuno di questi scrittori austriaci contemporanei è in grado di scrivere, tutti mettono giù alla rinfusa una letteratura epigonale, sentimentale fino alla nausea, ovunque scrivano mettono giù soltanto della merda, merda stiriana e salisburghese e carinziana e burgenlandese e della Bassa Austria e dell’Alta Austria e tirolese e vorarlberghiana, spudorati e avidi di gloria, riversano questa merda da copertina a copertina, così Reger. Se ne stanno nei loro appartamenti di proprietà del Comune di Vienna o nei masi carinziani d’occasione o di circostanza, o nei cortili interni stiriani, e scrivono merda, la merda epigonale, fetida, senza spirito e senza cervello degli scrittori austriaci, disse Reger, nella quale la stupidità patetica di questa gente appesta l’aria e grida vendetta, così Reger. I loro libri non sono altro che la merda di due o addirittura tre generazioni che non hanno mai imparato a scrivere, perché non hanno mai imparato a pensare, tutti questi scrittori scrivono una merda epigonale totalmente sprovvista di ingegno fingendosi filosofi e amanti della patria, disse Reger. I libri di questi scrittori, che sono tutti opportunisti e servi dello Stato più o meno rivoltanti, non sono altro che libri plagiati, disse Reger, ogni riga nei loro libri è una riga rubata, ogni parola una parola predata. Da decenni questa gente non scrive altro che una letteratura senza idee, tutta roba scritta soltanto per compiacenza, e altresì pubblicata solo per compiacenza, così Reger. Battono a macchina le loro imbecillità abissali e per queste imbecillità abissali e insulse si portano a casa ogni sorta di premi possibili e immaginabili, disse Reger. Allora persino uno come Stifter diventa un gigante, disse Reger, se lo paragono a questi austriaci imbecilli che scrivono oggi. La merda di questa gente, disse Reger, che non è capace di una sola idea originale, è infarcita di falsa filosofia e di falso amor di patria, che ora come ora sono di gran moda. I libri di questa gente non dovrebbero stare nelle librerie, dovrebbero finire immediatamente nel letamaio, disse Reger. Cosa che ormai vale per tutta l’arte austriaca contemporanea, il cui posto è nel letamaio. Perché, che cosa suonano all’Opera se non merda, che cosa al Musikverein se non merda, e questi brutali e volgari proletari armati di scalpello che con arrogante insolenza si fanno addirittura chiamare scultori, che altro producono se non merda di marmo e di granito! E’ spaventoso, per mezzo secolo, senza interruzione, nient’altro che questa deprimente mediocrità, disse Reger. Se almeno l’Austria fosse un manicomio, e invece è un ospizio, disse. I vecchi non hanno niente da dire, disse Reger, ma i giovani hanno da dire ancor meno, questa è la situazione odierna. E naturalmente tutta questa gente che si dedica all’arte se la passa fin troppo bene, disse. Tutta questa gente viene rimpinzata di sovvenzioni e di premi, ogni momento c’è un dottore honoris causa qui e un dottore honoris causa là, e una onorificenza qui e una onorificenza là, e tutti i momenti sono seduti accanto al tal ministro, e poco dopo accanto al tal altro, e oggi sono dal cancelliere federale e domani dal presidente del consiglio, e oggi sono nella sede del sindacato socialista e domani nell’istituto per la formazione dei lavoratori cattolici, e si fanno festeggiare e mantenere. Questi artisti contemporanei, infatti, non sono falsi soltanto nelle loro cosiddette opere, sono falsi anche nella vita, disse Reger. La falsità nel lavoro si alterna continuamente, in loro, alla falsità nella vita, è falso quello che scrivono, è falso quello che vivono, disse Reger. E poi questi scrittori fanno le cosiddette tournées di letture, e viaggiano in lungo e in largo per tutta la Germania e per tutta l’Austria e per tutta la Svizzera, e non trascurano i buchi più oscuri della provincia pur di leggere a voce alta qualche pagina della loro merda e farsi festeggiare, e si fanno rimpinzare le tasche di marchi, di scellini e di franchi, così Reger. Non c’è niente di più disgustoso di una cosiddetta lettura pubblica, disse Reger, non c’è quasi nulla che io detesti di più, mentre tutta questa gente non ci trova niente di male a leggere dappertutto a voce alta la propria merda. A nessuno interessa, in definitiva, ciò che questi individui hanno raffazzonato nel corso dei loro saccheggi letterari, ma loro lo leggono lo stesso a voce alta, si mettono sul podio e leggono a voce alta, e si inchinano servilmente davanti a ogni consigliere di Stato per idiota che sia, davanti a ogni consigliere comunale per imbecille che sia, davanti a ogni germanista imbesuito, così Reger. Leggono a voce alta la loro merda da Flensburg a Bolzano e si fanno mantenere sfacciatamente e senza farsi il benché minimo scrupolo. Per me non c’è niente di più insopportabile di una cosiddetta lettura pubblica, disse Reger, è ripugnante sedersi e leggere a voce alta la propria merda, perché davvero questa gente non legge a voce alta nient’altro che merda. Finché sono molto giovani si può anche accettare, disse Reger, ma quando cominciano a essere un po anziani, sui cinquanta e oltre, allora è soltanto disgustoso. Ma sono proprio questi imbrattacarte di mezza età, disse Reger, che leggono ovunque a voce alta, e salgono su qualunque podio, e si mettono a sedere a qualunque tavolo, pur di declamare la loro merda poetica, la loro prosa ottusa e senile, così Reger. Perfino se la dentiera non è più in grado di trattenere una sola delle loro parole bugiarde nella cavità orale, essi salgono sul podio di una qualsiasi sala municipale e leggono le loro idiozie da ciarlatani, così Reger. Un cantante che canta dei Lieder è già una cosa insopportabile, ma uno scrittore che declama i propri prodotti è assai più insopportabile ancora, così Reger. Lo scrittore che sale su un podio pubblico per leggere a voce alta la propria merda opportunista, se anche la cerimonia si svolgesse nella Paulskirche di Francoforte, non è altro che un miserabile guitto, disse Reger. La terra brulica di tutti questi guitti opportunisti, disse Reger. In Germania, in Austria, in Svizzera, la terra brulica di tutti questi guitti opportunisti, così Reger. Sì, sì, disse, la logica conseguenza sarebbe sempre la totale disperazione per ogni cosa. Ma io mi difendo da questa totale disperazione per ogni cosa. Ho ottantadue anni, adesso, e mi difendo con le unghie e con i denti da questa totale disperazione per ogni cosa, così Reger. In questo mondo e in questa epoca, disse, dove ogni cosa è possibile, presto niente sarà più possibile. Comparve Irrsigler e Reger gli fece un cenno con il capo, quasi avesse voluto dirgli, tu sì che stai bene, e Irrsigler si voltò e scomparve di nuovo. Reger era appoggiato al bastone che teneva stretto tra le ginocchia quando disse: Provi a pensare, Atzbacher, cosa significa avere l’ambizione di comporre la sinfonia più lunga della storia della musica. Solo a Mahler poteva venire in mente una simile assurdità. Certa gente dice che Mahler è stato l’ultimo grande compositore austriaco, questo è ridicolo. Un uomo che in pieno possesso delle proprie facoltà mentali fa suonare cinquanta archi solo per sbaragliare Wagner è ridicolo. Con Mahler la musica austriaca ha toccato il fondo, disse Reger. Puro kitsch che accende l’isteria di massa, il che vale anche per Klimt, disse. Schiele è un pittore di una certa importanza. Oggi persino un fiacco dipinto kitsch di Klimt costa parecchi milioni di scellini, disse Reger, è disgustoso. Schiele non è kitsch, ma neanche Schiele naturalmente è un grandissimo pittore. In questo secolo, ci sono stati parecchi pittori austriaci della qualità di Schiele, ma, all’infuori di Kokoschka, non ce n’è neanche uno che sia stato veramente importante, veramente grande, come si suol dire. D’altra parte dobbiamo ammettere che noi non siamo assolutamente in grado di sapere che cosa sia la vera grande pittura. Di cosiddetta grande pittura, infatti, qui al Kunsthistorisches Museum, ne abbiamo a iosa, disse Reger, ma col tempo non ci appare più veramente grande, non più così importante, perché l’abbiamo studiata troppo minuziosamente. Quello che studiamo minuziosamente perde valore ai nostri occhi, disse Reger. Dunque dovremmo guardarci in generale dallo studiare minuziosamente alcunché. Eppure non possiamo far altro che studiare ogni cosa minuziosamente, questa è la nostra disgrazia, e così facendo disgreghiamo tutto e tutto riduciamo in polvere, abbiamo già ridotto quasi tutto in polvere. Una riga di Goethe, disse Reger, la studiamo fintanto che non ci sembra più così sublime come ci era parsa in un primo momento, via via essa perde per noi il suo valore e quella che all’inizio poteva esserci sembrata la riga più sublime in assoluto è diventata per noi alla fine una cocente delusione. Tutto ciò che studiamo minuziosamente alla fine ci delude. Un meccanismo di scomposizione e smembramento, disse Reger, è ciò a cui ho fatto l’abitudine fin da giovane, senza sapere che sarebbe stato la mia iattura. Persino Shakespeare ci si sbriciola completamente tra le mani se per un certo periodo di tempo ci occupiamo di lui studiandolo, le sue frasi ci danno sui nervi, i personaggi si disfano prima del dramma facendo sì che tutto per noi si riduca in polvere, disse. Alla fine non proviamo più alcun piacere per l’arte, e nemmeno per la vita, ma questo è naturale, perché col passare del tempo abbiamo perso l’ingenuità, e con l’ingenuità la stupidità. Ma in cambio non abbiamo avuto altro che infelicità, disse Reger. Oggi mi è diventato assolutamente impossibile leggere Goethe, disse Reger, ascoltare Mozart, guardare Leonardo o Giotto, mi mancano assolutamente tutti i presupposti per poterlo fare. La settimana prossima andrò di nuovo a pranzare all’Astoria con Irrsigler, disse Reger, finché è vissuta mia moglie sono andato almeno tre volte l’anno a pranzare con lei e con Irrsigler all’Astoria, è una cosa che devo a Irrsigler, non posso smettere di offrirgli questi pranzi all’Astoria, disse. Non è giusto approfittare e basta di un tipo come Irrsigler, abbiamo anche il dovere ogni tanto di manifestargli un po di gratitudine. E la cosa migliore è che io vada a mangiare con Irrsigler all’Astoria. Potrei anche andare più spesso al Prater con la sua famiglia, ma non ne ho la forza, i figli di Irrsigler mi si attaccano come sanguisughe e nella loro esuberanza quasi mi strappano i panni di dosso, disse. E poi il Prater lo trovo talmente disgustoso, la vista di tutti quegli ubriachi, uomini e donne, che se ne escono con le loro battute da quattro soldi davanti ai baracconi del tiro a segno dando via libera alla propria terrificante primitività, capirà che dopo essere stato al Prater mi sento sporco dalla testa ai piedi. Il fatto è che il Prater di oggi non è più quello di una volta, non è più il turbolento parco di divertimenti della mia infanzia; oggi il Prater è un disgustoso assembramento di gente ordinaria, un assembramento di esistenze criminali. Tutto il Prater puzza di birra e di crimini, e vi si incontrano soltanto la brutalità e l’imbecillità indecente dei viennesi più volgari e sfrontati. Non passa giorno in cui i quotidiani non parlino di un omicidio al Prater, e degli stupri, quasi sempre più di uno nel corso della giornata. Nella mia infanzia il giorno in cui si andava al Prater era sempre un giorno di festa, e in primavera si sentiva davvero il profumo dei lillà e dei castagni. Oggi al Prater il fetore della perversione proletaria arriva fino al cielo. Il Prater, la più incantevole delle invenzioni per il divertimento, disse Reger, non è altro oggi che un’ignobile fiera della volgarità. Certo, se il Prater fosse ancora com’era nella mia infanzia, disse Reger, ci andrei con la famiglia Irrsigler, ma così non ci vado, non me lo posso permettere; se vado al Prater con la famiglia Irrsigler, sono poi distrutto per intere settimane. Ancora mia madre veniva portata al Prater in calesse con i suoi genitori e camminava lungo il viale principale del Prater in un vaporoso abito di seta. Queste immagini sono storia, disse Reger, è acqua passata. Oggi lei può già dirsi fortunato se al Prater non le sparano nella schiena, disse Reger, se non le piantano una coltellata nelle costole o quanto meno non le sfilano il portafogli dalla giacca. La nostra è un’epoca brutalizzata da cima a fondo. Con i figli di Irrsigler al Prater ci sono stato una sola volta, poi mai più. Mi si attaccano come sanguisughe e mi strappano i panni di dosso, e pretendono ogni momento che io salga con loro sul treno della paura oppure sulla giostra. A me in giostra è venuta la nausea, disse Reger. Naturalmente non ho niente contro i figli di Irrsigler, disse Reger, però non li sopporto. Irrsigler da solo va bene, ma tutta la famiglia no. Con Irrsigler all’Astoria, al mio tavolo d’angolo con vista sulla Maysedergasse deserta, va bene, ma al Prater con la famiglia Irrsigler no. Ogni volta invento una nuova scusa per non dover andare al Prater con la famiglia Irrsigler. Una visita al Prater con la famiglia Irrsigler me la immagino come una visita all’inferno. Inoltre non tollero la voce della signora Irrsigler, disse Reger, quella voce non la sopporto. Del resto anche i figli di Irrsigler hanno voci spaventose, chissà quando diventano adulte, quelle voci, disse. Una persona così tranquilla e piacevole come Irrsigler e una donna chiassosa come la moglie di Irrsigler e bambini chiassosi come i figli di Irrsigler. Una volta Irrsigler mi ha proposto di andare con lui e la sua famiglia in campagna, nei dintorni di Vienna. Ho rifiutato anche questo e da anni tergiverso nel tentativo di sottrarmi a una simile gita nei dintorni di Vienna con la famiglia Irrsigler. Si figuri se io vado a passeggiare nei dintorni di Vienna con la famiglia Irrsigler, e magari con i figli di Irrsigler che si mettono anche a cantare. Non potrei sopportare che i figli di Irrsigler pretendano da me che io passeggi con loro per i boschi nei dintorni di Vienna, davanti la Irrsigler, dietro Irrsigler, e con me, magari mano nella mano, i figli di Irrsigler. E non è detto che la famiglia Irrsigler non arrivi addirittura a pretendere che anch’io mi metta a cantare. La gente semplice prova un’attrazione istintiva per la natura, per l’aria aperta, io quest’attrazione non l’ho mai provata, così Reger. Non mi potrebbe accadere niente di più raccapricciante che trovarmi a passeggiare con la famiglia Irrsigler nei dintorni di Vienna, e poi sostare in una trattoria con giardino. Mi verrebbe la nausea già solo per il fatto che la famiglia Irrsigler mangi cotolette impanate in mia presenza e si riempia la pancia di vino e di birra e di sidro a mie spese. Con Irrsigler all’Astoria, questo sì che fa piacere anche a me, non ho bisogno di fingere per andare tre volte l’anno a mangiare all’Astoria con Irrsigler e accompagnare il pasto con un bicchiere di vino, disse Reger, l’Astoria va bene, tutto il resto no. Il Prater è assolutamente inconcepibile, anche i dintorni di Vienna sono assolutamente inconcepibili. Se Irrsigler avesse in sé anche solo un briciolo di musicalità, disse Reger, di tanto in tanto lo porterei a un concerto, o addirittura gli presterei la mia tessera di recensore, ma Irrsigler non ha la benché minima sensibilità musicale, soffre le pene dell’inferno quando deve ascoltare la musica. Chiunque altro, anche se ascoltare la musica fosse per lui un supplizio, si siederebbe comunque nella terza o quarta fila al Musikverein per ascoltare la Quinta di Beethoven, perché qui, più che in qualsiasi altro luogo, tutto appaga la vanità degli esseri umani; Irrsigler no, lui si è sempre rifiutato di andare al Musikverein, e ogni volta lo ha fatto dichiarando semplicemente: Non mi piace la musica, signor Reger, così Reger. Da tre anni la famiglia Irrsigler aspetta che io vada con loro al Prater, disse Reger, e io una volta dico che ho mal di testa, l’altra che ho mal di gola e una volta che sono immerso nel lavoro e l’altra che ho un mare di corrispondenza da sbrigare, e ogni volta mi disgusta doverlo dire. Irrsigler sa benissimo perché non vado al Prater con la sua famiglia, io non gli ho detto il perché ma Irrsigler non è affatto stupido, disse Reger. All’Astoria ordina sempre il solito Tafelspitz, la lombata di manzo col suo brodo, perché io ordino sempre il solito Tafelspitz. Aspetta che io mi sia ordinato un Tafelspitz e poi si ordina anche lui un Tafelspitz, così Reger. Ma mentre io bevo soltanto acqua minerale, Irrsigler accompagna il Tafelspitz con un bicchiere di vino. All’Astoria il Tafelspitz non sempre è di prim’ordine, semplicemente è all’Astoria che io lo preferisco. Irrsigler mangia lentamente, è questa in lui la cosa strana. Quanto a me, mangio il mio Tafelspitz così lentamente che penso di mangiarlo ancora più lentamente di Irrsigler, ma Irrsigler, anche se io mangio il mio Tafelspitz più lentamente che posso, mangia il suo ancora più lentamente di me. Ah, Irrsigler, gli ho detto l’ultima volta all’Astoria, le devo così tanto, probabilmente le devo tutto, ma questo, com’è naturale, lui non l’ha capito. Il fatto è che dopo la morte di mia moglie mi sono ritrovato improvvisamente solo, avevo, è vero, un mucchio di gente, ma in realtà non avevo nessuno, e non volevo importunare lei, nello stato spaventoso in cui ero. Per sei mesi ho evitato ogni contatto con chicchessia, non foss’altro per evitare le atroci domande della gente, la gente, si sa, fa sempre con disinvoltura e in ogni occasione, quelle atroci domande sulle cause di morte; io volevo evitare tutto questo, e dunque non mi restava che Irrsigler. Eppure, quasi sei mesi dopo la morte di mia moglie ancora non avevo rimesso piede al Kunsthistorisches Museum, sono solo sei mesi che ci vengo di nuovo, e i primi tempi naturalmente non ci venivo come al solito un giorno sì e un giorno no, ma tutt’al più una volta la settimana. Adesso però sono già più di sei mesi che vengo di nuovo un giorno sì e un giorno no al Kunsthistorisches Museum. Irrsigler, non avendomi mai chiesto niente, era l’unico essere umano possibile, disse Reger. Ogni volta torno a chiedermi, devo andare all’Astoria o all’Imperial con Irrsigler, andrò in ogni caso in uno dei migliori ristoranti di Vienna, ma Irrsigler all’Imperial non si trova così bene come all’Astoria, l’assoluta maestosità dell’Imperial una persona come Irrsigler non la sopporta, così Reger. E poi a dire il vero l’Astoria è molto più riservato. Insomma, è così che spero di poter ogni tanto testimoniare a Irrsigler, persona per me importantissima, la mia gratitudine, disse Reger. Irrsigler possiede la gradevole virtù di saper ascoltare, e per di più di saperlo fare in maniera assolutamente discreta. Tanto Irrsigler è per me una persona estremamente gradevole, quanto la famiglia Irrsigler al completo mi è invece estremamente sgradevole. Come può una persona come Irrsigler, così Reger, finire con una donna come la Irrsigler, con quella voce stridula e quel modo di camminare da gallina. Del resto capita spesso di domandarsi come possano finire insieme certi tipi così agli antipodi, disse Reger. Una donna con una simile voce da animale isterico e un modo di camminare da gallina con un uomo come Irrsigler, così pacato, così gradevole. E naturalmente i figli di Irrsigler hanno preso quasi tutto dalla madre e quasi niente dal padre. Uno peggio dell’altro, disse Reger. I figli di Irrsigler sono tutti mal riusciti, disse Reger, ma naturalmente i genitori credono di avere dei figli ben riusciti, il che del resto è quel che credono tutti i genitori. Fa addirittura spavento l’idea di quel che ne sarà, un giorno, di questi figli di Irrsigler, disse Reger, già oggi, quando vedo questi figli di Irrsigler, non vedo neppure degli esseri umani mediocri, vedo degli esseri umani decisamente al di sotto della media, con un carattere a dir poco labile. Pensando a loro mi viene sempre in mente il concetto della stupida nidiata, disse Reger, è questo l’aspetto poco piacevole della famiglia Irrsigler. Un uomo così notevole, con un carattere così risoluto, un individuo così ben riuscito, e una famiglia così mal messa. Tutto questo è assolutamente comune, disse Reger. Gli austriaci, in quanto opportunisti nati, sono tipici struzzi, disse ora, e la loro vita è fatta di dissimulazione e di oblio. Non c’è nefandezza politica, per grande che sia, non c’è crimine, per grande che sia, che a distanza di una settimana gli austriaci non abbiano già dimenticato. L’austriaco in realtà è un insabbiatore di crimini nato, l’austriaco insabbia qualsiasi crimine, anche il più infame, perché, come si diceva, non è nient’altro fin dalla nascita che uno struzzo opportunista. Per decenni i nostri ministri commettono crimini orrendi che vengono coperti da questi struzzi opportunisti che sono gli austriaci. Per decenni i ministri perpetrano imbrogli letali che vengono coperti da questi struzzi. Per decenni i ministri austriaci senza scrupoli mentono agli austriaci e li ingannano, eppure vengono coperti da questi struzzi. E’ già un miracolo se di quando in quando uno di questi ministri criminali e imbroglioni, essendo stato imputato dei pesanti crimini che per decenni ha commesso, viene mandato al diavolo, disse Reger, ma già una settimana dopo la faccenda è dimenticata, perché gli struzzi l’hanno dimenticata. Chi ruba venti scellini viene perseguitato dalla giustizia e cacciato dietro le sbarre, ma l’imbroglione che nei panni di ministro ha frodato per milioni e miliardi, nel migliore dei casi viene mandato a casa con una pensione da capogiro e subito dopo dimenticato, così Reger. In effetti è un vero miracolo, così poi Reger, che adesso sia stato cacciato un altro ministro, ma vede, appena è stato destituito, appena i giornali hanno scritto che ha frodato per miliardi, e appena gli stessi giornali hanno scritto che questo ministro ha commesso pesanti crimini e che bisognerebbe trascinarlo in tribunale, subito quel ministro è stato dimenticato per sempre dagli stessi giornali, e quindi anche da tutto il pubblico. E mentre meriterebbe di essere incriminato, e trascinato davanti a un tribunale, e messo in prigione, è proprio il caso di dirlo, a vita, per il crimine che ha commesso, il ministro si gode invece la sua grassa pensione nella villa sul Kahlenberg e nessuno pensa più a disturbarlo. Fa una vita cosiddetta da nababbo in quanto ministro in pensione, e quando un giorno o l’altro muore, gli fanno anche i funerali di Stato e il mausoleo al cimitero centrale, così Reger, accanto ai suoi colleghi ministri che sono morti prima di lui e che sono stati dei criminali non meno di lui. L’austriaco è uno struzzo opportunista nato, è un insabbiatore e un obliante nato quando si tratta di nefandezze e crimini commessi dai ministri e da tutti gli altri governanti, così Reger. L’austriaco nasconde per tutta la vita la testa nella sabbia e copre per tutta la vita le più grandi nefandezze e i più grandi crimini per poter sopravvivere, la verità è questa, disse Reger. I giornali non fanno altro che constatare e denunciare e naturalmente gonfiare, ma poi, per opportunismo, subito dopo rettificano e, per opportunismo, dimenticano. Sono i giornali che smascherano e sobillano, ma poi sono ancora i giornali che insabbiano e occultano e passano sotto silenzio tutto ciò che riguarda le nefandezze politiche e i crimini politici, così Reger. I giornali, subito dopo aver tuonato contro il ministro dimissionario, e dopo avergli mosso accuse gravissime e averlo, come si suol dire, fatto fuori, e dopo aver costretto il Cancelliere federale a destituire quel criminale di un ministro, non appena il Cancelliere federale ha destituito il ministro, hanno già dimenticato quello stesso ministro e con lui hanno dimenticato le nefandezze e i crimini che egli ha effettivamente commesso, così Reger. La giustizia austriaca è una giustizia tenuta a bada dai politici austriaci, disse Reger, tutto il resto è menzogna. Il fatto che questa faccenda sia stata insabbiata non solo dal governo ma anche dai giornali non mi dà pace, disse Reger. Ma sono anni, ormai, che in quanto cittadini austriaci non possiamo darci pace, perché in questi ultimi anni non è passato giorno senza che ci fosse uno scandalo politico, e le mascalzonate dei politici hanno assunto dimensioni che ancora pochi anni fa erano impensabili, così Reger. Comunque sia occupata la mia testa, questi scandali politici vi sono costantemente presenti e la irritano. Qualunque cosa io faccia, ho in testa questi scandali politici, disse Reger, di qualunque cosa io mi occupi, questi scandali politici sono presenti nella mia mente, così Reger. Ogni volta che apriamo il giornale, ecco un nuovo scandalo politico, disse Reger, ogni giorno uno scandalo in cui sono implicati politici che hanno abusato delle loro funzioni e che si sono compromessi con la criminalità, i politici di questo Stato, tanto mutilato da essere ormai irriconoscibile. Quando lei apre il giornale, ha l’impressione di vivere in uno Stato in cui la nefandezza politica e il crimine politico sono diventati pratica quotidiana. Dapprima mi sono detto, è inutile che mi agiti perché oggi questo Stato non è più degno ormai di alcuna considerazione, ma adesso, in questo Stato atroce, il quale addirittura ogni giorno ci terrorizza e ogni giorno ci mette in apprensione, adesso ad un tratto non riesco assolutamente più a non agitarmi, quando lei di primo mattino apre il giornale, automaticamente non può far altro che agitarsi per le nefandezze e i crimini dei nostri politici. Automaticamente, lei avrà l’impressione che tutti i politici siano dei loschi criminali e dei delinquenti dalla testa ai piedi, insomma una manica di sporche canaglie, così Reger. Perciò, negli ultimi tempi, ho perso l’abitudine di leggere il giornale di primo mattino, cosa che ero abituato a fare da decenni, mi è più che sufficiente aprirlo nel pomeriggio. Se il lettore di giornali apre il giornale di primo mattino, fin dal mattino si guasta lo stomaco, e se lo guasta per tutta la giornata e addirittura per la notte seguente, così Reger, perché ogni volta si trova di fronte scandali politici sempre più gravi e mascalzonate politiche sempre più gravi, così Reger. Del resto sono anni ormai che in questo paese il lettore di giornali non legge sui giornali nient’altro che scandali, nelle prime tre pagine gli scandali politici e nelle pagine successive gli altri, e comunque non legge altro che scandali perché i giornali austriaci non riportano altro che scandali e mascalzonate, nient’altro che questo. I giornali austriaci hanno raggiunto un livello tale di abiezione che già questo fatto è di per sé uno scandalo, disse Reger, non ci sono al mondo giornali più abietti e volgari e disgustosi di quelli austriaci, e d’altra parte questi giornali austriaci non possono che essere nefandi e abietti come essi sono in effetti, perché la società austriaca e soprattutto la società politica austriaca e questo Stato, appunto, sono nefandi e abietti. Non era mai accaduto finora in questo paese di avere una società austriaca così nefanda e abietta e uno Stato austriaco così nefando e abietto, disse Reger, ma nessuno in questo Stato e in questo paese ritiene la cosa un’onta, nessuno si ribella veramente a questa situazione, così Reger. L’austriaco ha sempre accettato tutto, di qualunque cosa si trattasse, ha sempre accettato le più grandi nefandezze o le più grandi abiezioni, compresa la più inaudita di tutte le mostruosità, così Reger. L’austriaco è tutt’altro che un rivoluzionario perché non è assolutamente un fanatico della verità, l’austriaco vive ormai da secoli insieme alla menzogna e ad essa ha fatto l’abitudine, così Reger, sono secoli ormai che l’austriaco ha sposato la menzogna, ogni genere di menzogna, così Reger, ma con più trasporto e in primo luogo si è sposato con la menzogna di Stato. Gli austriaci vivono in modo del tutto naturale la loro vita meschina e abietta di austriaci con la menzogna di Stato, disse Reger, questo è il loro aspetto più ripugnante. Il cosiddetto amabile austriaco è uno scaltro opportunista che tende insidie, così Reger, che tende sempre e dovunque le sue insidie da opportunista, il cosiddetto amabile austriaco è un campione di infamia e di volgarità, sotto la sua cosiddetta amabilità si nasconde un essere vile, spudorato e senza scrupoli che, proprio per questo, è l’essere più menzognero che si possa immaginare, così Reger. Pur essendo io stato per tutta la vita un fanatico lettore di giornali, così Reger, a questo punto per me aprire i giornali è diventato quasi insopportabile perché i giornali non contengono altro che scandali. Ma i giornali sono come la società, così Reger. Lei può cercare per un anno intero in questi fogli di merda, disse Reger, non troverà una sola proposizione davvero ricca d’ingegno. Ma cosa vengo a dire queste cose a lei, che ha così grande familiarità con tutti i problemi dell’Austria, disse Reger. Oggi mi sono svegliato e ho pensato allo scandalo del ministro e non riesco a togliermi dalla testa lo scandalo del ministro, è appunto questa la tragedia della mia testa, disse Reger, non riesco a togliermi questi scandali dalla testa, soprattutto gli scandali politici penetrano nella mia testa e la corrodono sempre più in profondità, è questa la tragedia. Bisogna che mi tolga dalla testa tutti questi scandali e queste nefandezze, penso, e le nefandezze e gli scandali penetrano nella mia testa corrodendola sempre più in profondità. Ma naturalmente discutere con lei di tutte queste cose e in particolare di queste nefandezze e di questi scandali politici placa il mio animo, ogni giorno, di primo mattino, meno male che ho l’Ambassador dove posso discutere con lei, penso, e naturalmente non solo di scandali e di nefandezze, perché poi, com’è naturale, c’è anche dell’altro, argomenti più piacevoli come per esempio la musica, così Reger. Finché avrò ancora voglia di parlare della sonata detta Tempesta o dell’Arte della fuga, fino a quel momento mi guarderò bene dal darmi per vinto, disse Reger. La musica del resto ogni volta mi salva, mi salva il fatto che in me la musica continua a vivere, e infatti, vive in me come il primo giorno, così Reger. Grazie alla musica salvarsi ogni giorno di nuovo, tirarsi fuori da tutte le nefandezze e le cose disgustose, è questo il trucco, disse, ritrovare ogni giorno la salvezza grazie alla musica, ridiventare ogni giorno, di primo mattino, un vero essere umano che pensa e sente, mi capisce! disse. Ma sì, disse Reger, l’arte, anche se la malediciamo e se a volte ci sembra del tutto pleonastica, e se anche siamo costretti ad ammettere che essa in realtà non vale un accidente, se osserviamo, qui, i quadri di questi cosiddetti Antichi Maestri, che molto spesso, e com’è naturale sempre di più con il passare degli anni, ci sembrano senza senso e senza scopo, nient’altro che maldestri tentativi di piazzarsi artisticamente sulla faccia della terra, malgrado tutto non c’è nient’altro che salvi la gente della nostra fatta se non proprio quest’arte maledetta e dannata, e spesso funesta e disgustosa da far vomitare, così Reger. L’austriaco è sempre un essere umano fallito, disse Reger, profondamente consapevole di esserlo. Questa è l’origine di tutti i suoi guai, della sua debolezza di carattere, perché il peggiore dei suoi guai è proprio la debolezza di carattere. Ma questo lo rende assai più interessante di tutti gli altri, così Reger. L’austriaco è infatti il più interessante di tutti gli esseri umani d’Europa perché ha tutte le qualità di tutti gli esseri umani d’Europa e in più la debolezza di carattere. E’ questo l’aspetto affascinante dell’austriaco, disse Reger, fin dalla nascita sono presenti in lui tutte le qualità di tutti gli altri, e in più la sua qualità peculiare che è la debolezza di carattere. Se rimaniamo in Austria vita natural durante, non vediamo mai l’austriaco come è realmente, ma se torniamo in Austria dopo una lunga assenza, come appunto è accaduto a me quando sono tornato da Londra, lo vediamo distintamente e lui a quel punto non ci può più dare a intendere nulla. L’austriaco è un geniale turlupinatore, è il più geniale di tutti i teatranti, disse Reger, è capace di farti credere qualsiasi cosa, e non dice mai il vero, questo è il suo tratto più caratteristico. L’austriaco è benvoluto in tutto il mondo, o per lo meno lo è stato fino a oggi, e tutto il mondo è sempre andato pazzo, come si suol dire, per lui, ma proprio perché è l’essere umano europeo più interessante di tutti, è sempre nello stesso tempo anche il più pericoloso. L’austriaco, molto probabilmente, è in assoluto l’essere umano più pericoloso che ci sia, più del tedesco, più di tutti gli altri europei, l’austriaco è senz’altro l’animale politico più pericoloso, e infatti è stato ripetutamente causa di immani sciagure, in Europa, e spesso in effetti nel mondo intero. A un austriaco, che per quanto ci possa sembrare interessante e unico nel suo genere, è comunque un infame nazista o quanto meno uno stupido cattolico, non dobbiamo lasciare in mano il timone della politica, disse Reger, perché un austriaco al timone guida sempre tutto ineluttabilmente in un baratro infernale. Una notte insonne, in preda alla più grande agitazione dovuta unicamente agli scandali politici, disse poi Reger. Sì, ho pensato questa mattina all’alba, incontrerai Atzbacher al Kunsthistorisches Museum per fargli una proposta, e sai perfettamente che gli farai una proposta del tutto insensata, e comunque gli farai quella proposta. Una cosa ridicola, e nondimeno mostruosa, disse Reger. Per due mesi, dopo la morte di sua moglie, Reger non è più uscito dal suo appartamento della Singerstrasse, per sei mesi interi dopo la morte di sua moglie non ha più incontrato anima viva. Per tutti quei sei mesi ha lasciato che fosse la domestica a occuparsi di lui, una donna ordinaria e terribile, e non è andato una sola volta al Kunsthistorisches Museum dove per decenni era andato un giorno sì e un giorno no in compagnia di sua moglie, penso. La domestica ha cucinato per lui e gli ha lavato la biancheria, il tutto, bisogna dire, con una trasandatezza da far rizzare i capelli, così Reger più volte, eppure la sua presenza ha fatto in modo che lui non deperisse completamente. L’essere umano che di colpo viene lasciato solo, si sa, deperisce molto in fretta, così lo stesso Reger, per mesi non ho mangiato altro che minestra di semolino, così Reger, perché con i miei denti fuori posto non potevo più mangiare carne, e nemmeno verdura. L’appartamento della Singerstrasse adesso è vuoto e vi regna un silenzio sepolcrale, questo è il quadro della situazione tracciato dallo stesso Reger quando io l’ho rivisto per la prima volta all’Ambassador dopo la morte di sua moglie, smagrito, pallido, taciturno per quasi tutto il tempo, appoggiato al suo bastone, le stringhe delle scarpe slacciate e i mutandoni invernali che gli sporgevano dai pantaloni. Non abbiamo più nessuna voglia di continuare a vivere quando abbiamo perso l’essere umano che ci era più vicino, così lui allora all’Ambassador, ma dobbiamo continuare a vivere, non ci ammazziamo perché siamo troppo vili, e ancora promettiamo sulla tomba aperta che presto verremo anche noi, ma poi, sei mesi dopo, siamo ancora in vita e abbiamo orrore per noi stessi, così Reger allora all’Ambassador. A ottantasette anni era arrivata sua moglie, ma avrebbe senz’altro potuto oltrepassare i cento, se non fosse caduta, così Reger allora all’Ambassador. La Città di Vienna e lo Stato austriaco e la Chiesa cattolica, disse Reger allora all’Ambassador, sono colpevoli della sua morte, perché se la Città di Vienna, alla quale appartiene la strada che porta al Kunsthistorisches Museum, avesse cosparso di sabbia la strada che porta al Kunsthistorisches Museum, mia moglie non sarebbe caduta, e se il Kunsthistorisches Museum, che appartiene allo Stato, avesse avvertito l’ambulanza immediatamente e non mezz’ora dopo, mia moglie non sarebbe arrivata all’Ospedale dei Fratelli della Carità un’ora dopo la sua caduta, e i chirurghi dell’Ospedale dei Fratelli della Carità, che appartiene alla Chiesa cattolica, non avrebbero improvvisato l’operazione, così Reger allora all’Ambassador. La Città di Vienna, lo Stato austriaco e la Chiesa cattolica sono colpevoli della morte di mia moglie, disse Reger all’Ambassador, questo pensai mentre ero seduto accanto a lui sulla panca della Sala Bordone, penso. La Città di Vienna non cosparge di sabbia la strada che porta al Kunsthistorisches Museum in una giornata in cui le strade sono scivolose come lastre di ghiaccio, e il Kunsthistorisches Museum avverte l’ambulanza solo dopo insistenti richieste, e per finire i chirurghi dei Fratelli della Carità improvvisano l’operazione e alla fine mia moglie muore, disse Reger all’Ambassador. Perdiamo l’essere umano che tra tutti gli esseri umani abbiamo amato più intensamente solo per la negligenza della Città di Vienna e per la negligenza dello Stato austriaco e per l’avventatezza della Chiesa cattolica, disse Reger allora all’Ambassador. Perdiamo l’essere umano per noi più importante perché Città, Stato e Chiesa hanno agito in modo avventato e ignobile, così Reger allora all’Ambassador. Ci muore l’essere umano col quale per quasi quarant’anni abbiamo condiviso la nostra vita con la massima naturalezza e nel rispetto e nell’amore, perché la Città e lo Stato e la Chiesa hanno agito in modo avventato e ignobile, così Reger allora all’Ambassador. Ci muore l’unico essere umano che abbiamo perché la Città e lo Stato e la Chiesa si sono comportati in modo avventato e ignobile, così Reger allora all’Ambassador. Veniamo di colpo lasciati soli dall’unico essere umano che in fondo è stato nostro, perché la Città e lo Stato e la Chiesa hanno agito in modo avventato e ignobile, così Reger allora all’Ambassador. Di colpo siamo separati dall’essere umano al quale in fondo dobbiamo tutto e che in effetti ci ha dato tutto, disse Reger allora all’Ambassador. D’un tratto siamo soli nel nostro appartamento, senza l’essere umano che ci ha mantenuto in vita per decenni con le più grandi attenzioni perché Città, Stato e Chiesa cattolica hanno commesso il crimine della negligenza, così Reger allora all’Ambassador. D’un tratto ci ritroviamo davanti alla tomba aperta di quell’essere umano senza il quale non avevamo mai immaginato di poter vivere, disse Reger allora all’Ambassador, penso. La Città di Vienna e lo Stato austriaco e la Chiesa cattolica sono colpevoli del fatto che io adesso sono solo e che dovrò rimanere solo per tutta la vita, disse Reger allora all’Ambassador. L’essere umano che è sempre stato sano e che aveva tutte le prerogative possibili e immaginabili di un essere intelligente e femminile, e che nella mia vita è stato effettivamente quello che mi ha dato più amore, questo essere muore solo perché la Città di Vienna non cosparge di sabbia la strada che porta al Kunsthistorisches Museum, solo perché il Kunsthistorisches Museum, che appartiene allo Stato, non avverte tempestivamente l’ambulanza e perché i chirurghi dell’Ospedale dei Fratelli della Carità improvvisano l’operazione, così Reger allora all’Ambassador. Più di cent’anni avrebbe potuto vivere mia moglie, di questo sono convinto, se la Città di Vienna avesse cosparso di sabbia la strada che porta al Kunsthistorisches Museum, così Reger allora all’Ambassador. E oggi sarebbe sicuramente ancora in vita se il Kunsthistorisches Museum avesse avvertito tempestivamente l’ambulanza e se i chirurghi dell’Ospedale dei Fratelli della Carità non avessero improvvisato l’operazione. In fondo non avrei mai più dovuto mettere piede nel Kunsthistorisches Museum, così Reger dopo avervi rimesso piede sette mesi dopo la morte di sua moglie. Adesso la strada che porta al Kunsthistorisches Museum viene cosparsa di sabbia, adesso che mia moglie è morta, disse Reger. Proprio all’Ospedale dei Fratelli della Carità hanno portato mia moglie, proprio in quell’ospedale del quale non ho mai sentito dire niente di buono, così Reger. Sono profondamente refrattario a tutti gli ospedali nel cui nome compaia la parola carità, così Reger. Non c’è un’altra parola di cui si abusi così tanto quanto della parola carità, disse Reger. Gli ospedali della Carità sono i meno caritatevoli che io conosca, per lo più vi regnano sovrane l’incompetenza e l’avidità, unite a una religiosità ipocrita e gretta, così Reger allora all’Ambassador. Adesso non mi è rimasto che l’Ambassador, così Reger allora all’Ambassador, questo tavolino d’angolo al quale nel corso dei decenni mi sono affezionato. Ho due posti in cui mi posso rifugiare quando non so più come andare avanti, il tavolino d’angolo qui all’Ambassador e la panca del Kunsthistorisches Museum. Ma ritrovarsi completamente soli qui all’Ambassador, seduti al tavolino d’angolo, anche questo è atroce, disse Reger allora all’Ambassador. Starmene seduto qui con mia moglie era una delle mie abitudini preferite, non starmene seduto qui da solo, non da solo, caro il mio Atzbacher, così Reger allora all’Ambassador, e starmene seduto da solo sulla panca della Sala Bordone al Kunsthistorisches Museum, anche questo è straziante, quando per più di trent’anni mi ci sono seduto con mia moglie. Cammino per la Città di Vienna e penso tutto il tempo che la Città di Vienna è colpevole della morte di mia moglie e che lo Stato austriaco è colpevole della sua morte e che la Chiesa cattolica è colpevole della sua morte, ovunque io vada, e in qualunque momento, non riesco più a togliermi queste idee dalla testa, così Reger. Nei miei confronti è stato commesso un crimine, una mostruosità comunale-statale-cattolica alla quale non posso ribellarmi in alcun modo, e questo è atroce, così Reger. In fondo, disse Reger quel giorno all’Ambassador, nel momento in cui è morta mia moglie sono morto anch’io. La verità è che a me sembra proprio di essere un morto, un morto che deve continuare a vivere. Questo è il mio problema, disse Reger allora all’Ambassador. L’appartamento è vuoto e morto, disse più volte Reger allora all’Ambassador. In questi vent’anni sono stato solo due volte nell’appartamento di Reger alla Singerstrasse, un appartamento di dieci, dodici stanze in una casa di inizio secolo che adesso, dopo la morte di sua moglie, appartiene a Reger. Pieno dei mobili della famiglia di sua moglie, l’appartamento di Reger alla Singerstrasse è il tipico esempio di un cosiddetto appartamento Jugendstil, dove i Klimt e i Schiele e i Gerstl e i Kokoschka sono effettivamente appesi alle pareti in gran numero, tutti quadri che mia moglie teneva in grande considerazione, così Reger una volta, ma che in me personalmente hanno sempre suscitato il più profondo disgusto. Ogni singola stanza di questo appartamento regeriano alla Singerstrasse è stata accomodata all’inizio del secolo da un celebre ebanista slovacco che ne ha fatto una vera e propria opera d’arte, fatico a credere che esista a Vienna un altro appartamento dove l’arte dell’ebanisteria slovacca abbia ottenuto risultati di una simile perfezione e di un livello qualitativo così sublime, Atzbacher. Quanto a Reger, lui stesso lo ripete di continuo, non tiene in alcuna considerazione il cosiddetto Jugendstil, lo detesta, perché tutto lo Jugendstil non è altro che kitsch, è pur vero che diceva di apprezzare, e di continuo lo ripeteva, l’atmosfera accogliente nell’appartamento di sua moglie alla Singerstrasse, le proporzioni armoniose degli spazi interni, soprattutto le dimensioni del suo studio, ma non importandogli assolutamente niente del cosiddetto Jugendstil, che come dicevo riteneva kitsch, la cosa che apprezzava non era l’arredamento, bensì la comodità delle stanze della Singerstrasse, una comodità che lui aveva sempre definito ideale per noi due. Quando mi recai per la prima volta nell’appartamento dei Reger alla Singerstrasse, e mi accolse Reger perché sua moglie era partita per Praga, mi fece attraversare rapidamente tutto l’appartamento, ecco, vede, è qui che vivo, aveva detto allora, qui, vede, in queste stanze che mi sono molto congeniali, sebbene questi mobili orribili e scomodi non siano affatto di mio gusto. Tutto, qui, rispecchia il gusto di mia moglie e non il mio, così Reger allora, e quando io guardavo i quadri alle pareti, lui non faceva che ripetere, ah sì, dev’essere un Schiele, ah sì, dev’essere un Klimt, ah sì, dev’essere un Kokoschka. Tutta la pittura dell’inizio del secolo è kitsch, e poi non è il mio genere, disse a più riprese, mentre mia moglie ne è sempre stata attratta seppure non affascinata, sì, ne è stata attratta, è questa l’espressione giusta, così Reger allora. Schiele forse, ma Klimt no, Kokoschka sì, Gerstl no, queste le sue osservazioni. Un Loos, dicono, un Hoffmann, dicono, mi rispose quando chiesi se quello fosse proprio un tavolo di Adolf Loos, se quella fosse proprio una poltrona di Josef Hoffmann. Sa, disse Reger in quell’occasione, io sono sempre disgustato dalle cose che in un dato momento vengono ritenute moderne, e in questo momento Loos e Hoffmann sono così moderni che io ne sono naturalmente disgustato. E Schiele e Klimt, questi maestri del kitsch, sono oggi in realtà i più moderni di tutti, per questo in fondo Klimt e Schiele mi disgustano tanto. Al giorno d’oggi, del resto, la gente ascolta prevalentemente Webern e Schönberg e Berg e i loro scimmiottatori, e come se non bastasse anche Mahler, il che mi disgusta. Tutto ciò che è di moda mi ha sempre disgustato. Probabilmente soffro anch’io di quello che sono solito chiamare egoismo artistico, in fatto di arte voglio che tutto appartenga soltanto a me, voglio essere soltanto io a possedere il mio Schopenhauer, il mio Pascal, il mio Novalis, e il mio amatissimo Gogol’, voglio essere solo e soltanto io a possedere questi prodotti artistici, queste invettive artistiche geniali, io solo voglio possedere Michelangelo, Renoir, Goya, disse, quasi non riesco a sopportare che al di fuori di me ci sia qualcun altro che possiede e gode i prodotti di questi artisti, di questi geni, e già l’idea che qualcun altro all’infuori di me apprezzi anche solo Janàcek, Martinu o Schopenhauer o Descartes, mi è quasi insopportabile, voglio essere l’unico, questo è naturalmente un atteggiamento tremendo, aveva detto Reger allora. Sono un pensatore possessivo, così Reger allora nel suo appartamento. Presterei volentieri fede all’idea che Goya abbia dipinto solo e soltanto per me, che Gogol’ e Goethe abbiano scritto solo e soltanto per me, che Bach abbia composto solo e soltanto per me. Ma poiché questa è un’idea balzana e per giunta oltremodo meschina, io in definitiva sono sempre infelice, lei certo mi capisce, aveva detto Reger allora. Per quanto ciò sia assurdo, così Reger allora, quando leggo un libro ho comunque la sensazione e la convinzione che il libro sia stato scritto solamente per me, se guardo un quadro, ho la sensazione e la convinzione che sia stato dipinto solamente per me, e così il brano musicale che ascolto, composto solamente per me. In tal caso, com’è naturale, leggo e ascolto e guardo in un grave errore, e provo tuttavia un piacere immenso, così Reger allora. Qui, su questa poltrona, mi disse Reger allora, e mi mostrò una cosiddetta orribile poltrona di Loos, che Loos ha tra l’altro progettato a Bruxelles e ha fatto produrre a Bruxelles, qui trent’anni fa ho introdotto mia moglie all’Arte della fuga. Quell’orribile poltrona di Loos si trova ancora nello stesso posto. E’ lì, su quell’orribile panca di Loos, e mi aveva invitato a sedermi, su quell’orribile panca di Loos sistemata davanti a una finestra che dava sulla Singerstrasse, ho letto per un anno a voce alta Wieland a mia moglie, Wieland il grande sottovalutato della letteratura tedesca, Wieland che ha lasciato Weimar perché Goethe gli aveva reso la vita impossibile, mentre Schiller ha avuto nella faccenda una parte disgustosa, così Reger; un anno dopo mia moglie era un’esperta di Wieland, già dopo un anno soltanto! ha esclamato Reger allora. E qui, su questo sgabello di Loos, orribile non meno che scomodo, dicono che anche questo sgabello l’abbia progettato quell’uomo insopportabile e patetico che fu Loos, sedeva mia moglie, e negli anni Sessantasei e Sessantasette, tra l’una e le due del mattino mi ha letto tutto Kant a voce alta. Dapprima ho fatto un’enorme fatica a introdurre mia moglie nel mondo della letteratura e della filosofia e della musica, così Reger allora. Infatti è chiaro che la letteratura senza la filosofia e viceversa, e la filosofia senza la musica, e la letteratura senza la musica e viceversa non sono concepibili, disse, ci sono voluti degli anni perché mia moglie lo capisse, così Reger allora nell’appartamento della Singerstrasse. Con mia moglie sono stato costretto a cominciare da zero, sebbene lei, grazie alle sue origini, fosse molto colta quando io la conobbi. In un primo momento avevo addirittura creduto che la convivenza sarebbe stata impossibile, eppure poi fu possibile, così Reger, perché mia moglie si è assoggettata, naturalmente, perché questa era in effetti la condizione della nostra convivenza, che comunque, alla fine, potei definire una convivenza ideale. Una donna come mia moglie impara con difficoltà solo nei primi anni di un simile addestramento, da un certo punto in poi impara facilmente e poi sempre più facilmente, così Reger. Su questo orribile e scomodo sgabello di Loos si è acceso in mia moglie il cosiddetto lume della filosofia, disse Reger allora nell’appartamento della Singerstrasse. Per anni, cercando di istruire, di illuminare una persona, percorriamo la strada sbagliata, finché da un momento all’altro non vediamo la strada giusta e, da quel momento in poi, tutto procede molto in fretta, da quel momento in poi mia moglie ha capito tutto molto in fretta, ma naturalmente avrei ancora potuto lavorare su di lei per anni, se non per decenni, così Reger allora nell’appartamento della Singerstrasse. Prendiamo una moglie e non sappiamo perché l’abbiamo presa, certo non solo perché lei ci molesti con la sua domestica operosità, com’è tipico del sesso femminile, così Reger allora nell’appartamento della Singerstrasse, la prendiamo invece perché vogliamo farle conoscere il valore vero della vita, la vogliamo illuminare su ciò che può essere la vita se è guidata dallo spirito. Naturalmente, con una donna così non dobbiamo commettere l’errore di martellarle nel cervello le cose dello spirito, come ho tentato di fare io all’inizio, operazione che era ovviamente destinata a fallire, in questo caso, come sempre del resto, la cautela dà i risultati migliori, disse Reger allora nell’appartamento della Singerstrasse. Tutte le cose che mia moglie amava prima che io la conoscessi, dopo che io l’ho istruita ha smesso di amarle, tutto salvo questa isteria dello Jugendstil, questo cosiddetto Jugendstil, questo rivoltante kitsch artistico, questa nauseante aberrazione del gusto che è lo Jugendstil; per quel che riguarda lo Jugendstil, non avevo speranza. Ma col tempo naturalmente sono riuscito a farle passare l’inclinazione per la letteratura falsa e quindi senza valore, per la musica falsa e quindi senza valore, disse Reger, e le ho fatto conoscere i capisaldi della filosofia mondiale. Il cervello della donna è il più refrattario, così Reger allora nell’appartamento della Singerstrasse, lo crediamo accessibile mentre è inaccessibile. Aveva fatto tanti di quei viaggi insensati, mia moglie, prima che io la sposassi, così Reger allora, viaggi che col passare del tempo non fece più, aveva infatti, come oggi la maggior parte delle donne, la smania di viaggiare, oggi qua domani là, è questo il loro motto, e in definitiva non fanno esperienze di nessun genere, non vedono niente e non portano a casa nient’altro che il portafogli vuoto. Dopo il nostro matrimonio mia moglie non ha più viaggiato, così Reger, non ha fatto altro che questi viaggi dello spirito che io intraprendevo con lei, abbiamo viaggiato in Schopenhauer, in Nietzsche e in Descartes e in Montaigne e in Pascal, e ogni volta per anni, così Reger. Qui, vede, disse allora nell’appartamento della Singerstrasse, e si mise a sedere su una poltrona, un’orrenda poltrona di Otto Wagner, su questa orrenda poltrona di Otto Wagner mia moglie mi ha confessato che lei, sebbene io, per un anno intero, le avessi impartito lezioni su Schleiermacher, non aveva capito Schleiermacher. Siccome però lei stessa, nel corso di queste lezioni su Schleiermacher, mi aveva fatto passare la voglia di leggere Schleiermacher, e siccome quindi ad un tratto neanch’io avevo più il benché minimo interesse per Schleiermacher, ho semplicemente preso atto del fatto che lei non aveva capito Schleiermacher e di Schleiermacher non mi sono più occupato; in un caso del genere dobbiamo semplicemente lasciar perdere, come si suol dire, quel certo filosofo che nostra moglie non ha capito, un filosofo come Schleiermacher appunto, e andare avanti. Cominciai subito con un’iniziazione a Herder, che fu per entrambi un sollievo, così Reger allora nell’appartamento della Singerstrasse. Dopo la morte di mia moglie avevo pensato, lascerò il nostro appartamento, eppure poi non l’ho lasciato, semplicemente perché sono troppo vecchio. Il trasloco è una fatica superiore alle mie forze, così Reger. Due locali naturalmente basterebbero, così Reger, ma se non abbiamo più la forza di andarcene, dobbiamo adattarci alle dieci, dodici stanze, quante ne ha l’appartamento della Singerstrasse. Tutto in questo appartamento mi ricorda mia moglie, disse Reger, ovunque io guardi sempre c’è lei, in piedi, seduta, che esce dall’una o dall’altra stanza e viene verso di me, è terribile, e nello stesso tempo struggente, sì, è davvero struggente, disse Reger. Allora, quando sono stato per la prima volta nell’appartamento della Singerstrasse e sua moglie viveva ancora, lui, guardando giù nella Singerstrasse, sa Atzbacher, mi ha detto, niente mi fa più paura dell’idea di poter essere improvvisamente abbandonato da mia moglie e di restare solo, la cosa più spaventosa che mi possa capitare è che lei muoia e che mi lasci solo. Ma mia moglie è sana e mi sopravviverà di molti anni, così Reger allora. Quando amiamo un essere umano così fervidamente come io amo mia moglie, non possiamo immaginare la sua morte, non ne sopportiamo neppure l’idea, così Reger allora. Quando mi recai per la seconda volta nell’appartamento della Singerstrasse, ero andato a ritirare un vecchio volume degli scritti di Spinoza che Reger mi aveva procurato per un prezzo più vantaggioso del normale, non tramite una libreria ufficiale, appunto, ma tramite un commerciante abusivo, appena entrato nel suo appartamento della Singerstrasse, Reger mi invitò ad accomodarmi sulla prima poltrona che gli capitò davanti, anche quella un’orribile poltrona di Loos, poi scomparve nella sua biblioteca per ritornare poco dopo con un volume di aforismi di Novalis. Adesso le leggerò per un’ora gli aforismi di Novalis, disse, e mentre io fui costretto a rimanere seduto sull’orribile poltrona di Loos, lui rimase in piedi e mi lesse in effetti per un’ora intera gli aforismi di Novalis. Novalis l’ho amato da sempre, disse in capo a un’ora dopo aver richiuso il libro degli aforismi di Novalis, e lo amo ancora oggi. Novalis è l’unico poeta che io ho amato in tutta la mia vita, sempre allo stesso modo e sempre con lo stesso fervore, come nessun altro. Tutti, col tempo, chi più chi meno, mi hanno dato sui nervi, tutti mi hanno profondamente deluso, si sono rivelati assurdi oppure inconcludenti, nonché, come capita molto spesso dopotutto, insignificanti e inutilizzabili, con Novalis invece niente di tutto questo. Non avevo mai creduto di poter amare uno scrittore che è nello stesso tempo anche un filosofo, Novalis lo amo, l’ho amato sempre e lo amerò anche in futuro con lo stesso trasporto con cui l’ho sempre amato, così Reger allora. Ma è davvero singolare che mia moglie nei confronti di Novalis non abbia mai avuto una [pre]dilezione, neppure una [pre]dilezione, mentre io Novalis l’ho sempre amato di un amore totale. Ci sono tante cose, ma non Novalis, che col tempo sono riuscito a far apprezzare a mia moglie, sebbene proprio Novalis sia il poeta che avrebbe potuto darle di più, disse. Inizialmente lei si rifiutava di venire con me al Kunsthistorisches Museum, disse Reger allora, si difendeva per così dire con le unghie e con i denti da questa eventualità, ma poi ha finito per venirci, con me, con la stessa regolarità con cui ci andavo io, e sono persuaso che se mi fosse sopravvissuta, e non io a lei come è accaduto, continuerebbe a recarsi da sola, senza di me, al Kunsthistorisches Museum, così come io faccio adesso, che ci vado da solo senza di lei.

Reger ora guardò di nuovo l’Uomo dalla barba bianca e disse: A quarant’anni dalla fine della guerra l’Austria ha di nuovo toccato il fondo, la situazione morale è abissalmente buia, è questo il fatto deprimente. Un paese così bello, disse Reger, e un pantano morale così insondabile, un paese così bello e una società così brutale e ignobile e votata all’autodistruzione da ogni punto di vista. La cosa atroce, poi, è che siamo costretti ad assistere attoniti a questa catastrofe, che non possiamo fare nulla per impedirla, così Reger. Reger guardò l’Uomo dalla barba bianca e disse: Un giorno sì e un giorno no vado sulla tomba di mia moglie, ovvero quando non vado al Kunsthistorisches Museum vado sulla tomba di mia moglie, e rimango una mezz’ora sulla sua tomba, e non provo niente. E’ curioso, non faccio altro che pensare a mia moglie più o meno tutto il tempo, e quando sono sulla sua tomba non provo niente nei suoi confronti. Sono lì, in piedi, e non provo assolutamente niente. Solo quando mi allontano dalla sua tomba, sento di nuovo com’è atroce il fatto che lei mi abbia lasciato solo. Penso sempre, ora vado sulla sua tomba per esserle particolarmente vicino, ma quando sono sulla sua tomba non provo niente nei suoi confronti. Allora strappo le erbacce che crescono sulla sua tomba e guardo a terra, ma non provo niente. Ormai comunque ho preso l’abitudine di andare un giorno sì e un giorno no sulla tomba di mia moglie, che prima o poi sarà anche la mia tomba, così Reger. Se penso alle cose abominevoli che sono accadute in occasione dei suoi funerali, mi sento male ancora oggi. La tipografia, cui avevo dato l’incarico di preparare la partecipazione funebre, ha sbagliato a più riprese il lavoro, una volta i caratteri erano troppo grassi, una volta troppo magri, una volta c’erano troppe virgole, una volta troppo poche, disse, ogni volta che mi facevo presentare una prova di stampa, tutto era sbagliato, davvero una cosa disperante. Al colmo della disperazione ho detto al tipografo che io gli avevo dato un modello assolutamente preciso, e che invece le prove di stampa non si attenevano mai al mio originale e che sulle prove di stampa tutto era sempre sbagliato. A quel punto il tipografo mi ha detto che lo sapeva lui come va stampato quel genere di partecipazione funebre, non io, che lo sapeva lui come va composto il testo, non io, che lo sapeva lui dove vanno messe le virgole, non io. Ma io non gli ho dato pace e alla fine ho avuto tra le mani la partecipazione funebre che volevo io; ma sono dovuto andare cinque volte in tipografia, disse Reger, per ottenere una partecipazione funebre come io la volevo. I tipografi sono gente presuntuosa, continuano a sostenere di aver ragione anche quando loro stessi hanno capito da tempo di non avere ragione. Con i tipografi non bisogna attaccar briga, disse Reger, diventano subito arroganti e ti minacciano di mandar tutto in fumo se tu non ti pieghi alla loro stupida mentalità. Ma io non mi sono mai piegato di fronte ai tipografi, così Reger. Sulla partecipazione funebre c’era una sola frase, il luogo e l’ora della morte di mia moglie, eppure sono dovuto andare cinque volte in tipografia e ho persino dovuto attaccar briga con il tipografo. Mia moglie, a dire il vero, di partecipazioni funebri non ne voleva, ne avevo parlato con lei, eppure io ho fatto stampare le partecipazioni funebri, così Reger, ma poi non ho spedito nemmeno una partecipazione, perché tutt’a un tratto, quando le ho volute spedire, mi è parso assurdo spedire le partecipazioni funebri. Mi sono limitato a far pubblicare sul giornale un’unica breve frase in cui dicevo appunto che mia moglie era morta, disse Reger. La gente spende e spande in modo terrificante quando muore qualcuno, io ho cercato di fare tutto nel modo più semplice possibile, così Reger, sebbene io stesso oggi non sappia se mi sono comportato nel modo giusto, continuamente mi sorgono dei dubbi in proposito, questi dubbi, dalla morte di mia moglie, mi vengono ogni giorno, non è passato giorno senza dubbi di questo genere, il che col passare del tempo è logorante, così Reger. Per la successione non c’è stata la minima difficoltà, perché lei, nel suo testamento, mi ha nominato, come si suol dire, erede universale, come me che a mia volta ho nominato lei, nel mio testamento, erede universale. Un simile caso di morte, per quanto sia profondo il dolore, e sebbene si abbia davvero l’impressione di doverne rimanere sopraffatti, ha anche il suo lato comico, così Reger. Le cose più atroci, del resto, sono sempre anche comiche, così Reger. In fondo il funerale di mia moglie non è stato soltanto un funerale semplice, è stato in effetti un funerale deprimente, disse Reger. Vogliamo un funerale semplice, con il minor numero possibile di persone, disse Reger, e poi non abbiamo fatto altro che organizzare un funerale deprimente. Niente musica, diciamo, niente discorso, diciamo, così il funerale sarà semplicissimo e noi stessi, pensiamo, lo sopporteremo meglio, e invece quel funerale ci deprime profondamente, così Reger. Solo sette o otto persone, davvero soltanto le più vicine, se possibile nessuno del parentado, solo le persone più vicine, pensiamo, e in effetti vengono solo questi, i più vicini, ai quali per di più abbiamo detto, niente fiori, niente di niente, e poi tutto è comunque molto deprimente. Seguiamo il feretro passo dopo passo e tutto è deprimente. Tutto procede molto in fretta, non dura nemmeno tre quarti d’ora e ci deprime, e abbiamo l’impressione che sia durato un’eternità, disse Reger. Vado sulla tomba di mia moglie e non provo assolutamente niente. A casa, ancora oggi, che lei ci creda o no, mi viene da piangere almeno una volta al giorno, disse, eppure sulla tomba di mia moglie non provo assolutamente niente. Sto lì, e strappo l’erba, e faccio tutti quei piccoli gesti ridicoli e nervosi, ben sapendo che non sono altro che un modo malsano di distendere i nervi, e guardandomi intorno vedo le altre tombe di pessimo gusto, quelle tombe sono una peggio dell’altra, così Reger. Nei cimiteri abbiamo brutalmente sotto gli occhi il cattivo gusto più indecente dell’umanità. Sulla nostra tomba cresce solo erba e neppure c’è un nome sulla nostra tomba, così Reger, questo l’avevo deciso con mia moglie. Nessuna iscrizione, niente di niente. Gli scalpellini deturpano i cimiteri e i cosiddetti artisti figurativi coronano l’opera aggiungendo ovunque un tocco di kitsch, disse Reger. Ma naturalmente dalla tomba di mia moglie lei può godere una vista stupenda su Grinzing e sul Kahlenberg che gli sta dietro. E sul Danubio che scorre sotto. La tomba è situata così in alto che lei, da lassù, può vedere tutta Vienna. Certo non ha importanza il luogo in cui l’essere umano viene sepolto, ma se uno già possiede una tomba in concessione perpetua, com’è il caso mio e di mia moglie, allora è giusto che si faccia seppellire nella propria tomba. Mi sta bene essere sepolta ovunque, purché non sia al Cimitero centrale, diceva spesso mia moglie, così Reger, e neanch’io, del resto, desidero essere sepolto al Cimitero centrale, per quanto in fin dei conti, come dicevo, è indifferente il luogo in cui l’essere umano viene sepolto. Il mio nipote di Leoben, l’unico parente che mi è rimasto, disse Reger, sa che io non voglio essere sepolto al Cimitero centrale, bensì nella mia tomba, la tomba che è di mia proprietà per concessione perpetua, così Reger, ma naturalmente se muoio a più di trecento chilometri da Vienna, allora voglio essere sepolto sul posto, a Vienna se muoio entro un raggio di trecento chilometri, altrimenti sul posto, ho detto al mio nipote di Leoben; lui si atterrà a quanto gli ho detto io perché è il mio erede, così Reger. Reger guardò l’Uomo dalla barba bianca e disse: Ancora un anno fa, poco prima della morte di mia moglie, camminavo volentieri un paio d’ore in giro per Vienna, adesso non ne ho più voglia. La morte di mia moglie mi ha davvero molto debilitato, non sono più lo stesso di prima della sua morte. E Vienna, del resto, è diventata talmente brutta, disse. In inverno, penso, mi salverà la primavera, in primavera, penso, mi salverà l’estate, in estate, penso, l’autunno, e in autunno, l’inverno, è sempre la stessa cosa, da una stagione all’altra, quella che io spero. Ma naturalmente questa è una sventurata prerogativa del mio carattere, una prerogativa che mi è innata, io non dico, che bello, è inverno, l’inverno è proprio la tua stagione, come non dico, ecco la primavera, è proprio la tua stagione, come non dico, ecco l’autunno, è proprio la tua stagione, l’estate, e via di seguito. Attribuisco sempre la colpa della mia sventura alla stagione nella quale dovrò vivere, è questa la mia sventura. Io non appartengo a quel genere di persone che si godono il presente, questo è il punto, sono uno di quegli infelici che si godono il passato, la verità è questa, uno di quelli che considerano il presente sempre e soltanto un’offesa, la verità è questa, disse Reger, io considero il presente un’offesa e un affronto, questa è la mia sventura. Ma com’è naturale le cose non stanno neppure esattamente così, disse Reger, perché io sono comunque in grado di vedere ogni volta anche il presente nella sua realtà, e com’è naturale non si tratta sempre e soltanto di un presente funesto, che rende infelici, lo so, proprio come il passato non è quella cosa che sempre rende felici al solo pensarci, anche questo lo so. Del resto anche il fatto che non ho un medico di cui mi possa fidare è una vera disgrazia, ho avuto tanti medici in vita mia, ma in fondo nessuno di questi medici mi ha ispirato fiducia, tutti alla fine mi hanno deluso, disse Reger. Mi sento completamente stremato, e ogni momento ho l’impressione di crollare. Quando dico, adesso mi viene un colpo, ho davvero l’impressione che stia per venirmi un colpo, anche se l’ho già detto migliaia di volte, disse Reger, tanto che ormai dà sui nervi persino a me, ogni momento dico, mi viene un colpo, e il colpo non mi è mai venuto, disse Reger. Anche in sua presenza, del resto, ho già detto più volte, credo che mi stia per venire un colpo, eppure non mi è mai venuto, non lo dico affatto per abitudine, ma perché ho la precisa sensazione che mi stia per venire un colpo. Dal punto di vista fisico, non c’è più niente in me che funzioni, disse Reger. Se almeno avessi un buon medico, e invece non ho un buon medico. Alla Singerstrasse ci sarebbero peraltro ben quattro medici generici e due internisti, ma tutti questi medici non valgono niente. I miei occhi sono tanto mal messi che ben presto non vedrò più niente, eppure non ho un buon oculista. E naturalmente non vado mai dal medico, anche perché ho paura che il medico possa confermare il sospetto che ho di essere affetto da una malattia mortale. Da anni soffro di una malattia mortale, lo dicevo già sempre a mia moglie, disse Reger, e davo per certo che sarei morto prima io, non lei, eppure lei, per via di quell’insieme di atroci circostanze, è comunque morta prima di me; ho avuto, per tutta la vita, una grande paura dei medici. Un buon medico è il meglio che ci possa capitare, disse Reger, ma non c’è quasi nessuno che abbia un buon medico, si sa, abbiamo sempre a che fare solo con pasticcioni, con ciarlatani della medicina, e se una volta crediamo di aver finalmente trovato un buon medico, allora è troppo vecchio o troppo giovane, o s’intende della medicina più recente e non ha esperienza, oppure ha esperienza e non sa nulla della medicina più recente, così stanno le cose, disse Reger. L’essere umano ha urgentissimo bisogno di un medico del corpo e di un medico dell’anima e non trova né l’uno né l’altro, vita natural durante è alla ricerca di un buon medico del corpo e di un buon medico dell’anima, e per lui non esistono né l’uno né l’altro, la verità è questa. Lo sa lei che cosa mi hanno detto i medici all’Ospedale dei Fratelli della Carità quando io ho fatto loro presente che avevano causato la morte di mia moglie e che quindi l’avevano sulla coscienza? Era giunta la sua ora, hanno detto, questa frase banalissima mi hanno detto e non l’ha detta solo colui che ha improvvisato l’operazione di mia moglie, tutti i medici dell’Ospedale dei Fratelli della Carità hanno detto questa frase banalissima. Era giunta la sua ora, era giunta la sua ora, era giunta la sua ora, hanno ripetuto senza sosta, come se quella fosse stata la loro parola d’ordine, così Reger. Se abbiamo un medico in cui possiamo avere fiducia e nelle cui mani possiamo sentirci al sicuro, disse Reger, abbiamo la cosa che più importa nella vecchiaia, ma questo medico non l’abbiamo. Adesso io questo medico neanche lo cerco più, perché morire prima o morire dopo mi è del tutto indifferente, mi sta bene qualsiasi momento, ma come tutti gli esseri umani voglio una morte il più possibile rapida, e nello stesso tempo il più possibile indolore. Mia moglie ha sofferto solo per un paio di giorni, disse Reger, per un paio di giorni ha sofferto e per un paio di giorni è rimasta in coma, disse. Quella gente voleva un abito per vestire la morta, ma io l’ho fatta semplicemente avvolgere in un lenzuolo fresco di lino, così Reger. L’incaricato del Comune che organizzava lo svolgimento dei funerali ha fatto il suo lavoro in maniera eccellente. E’ un bene occuparsi di persona di tutte le faccende connesse ai funerali, perché in tal modo non c’è assolutamente tempo di starsene a casa e lasciarsi sopraffare dalla disperazione. Otto giorni è durata la mia corsa su e giù per Vienna, da un ufficio all’altro per la questione dei funerali, e in quell’occasione ho imparato una volta di più a conoscere lo Stato in tutta la sua burocratica brutalità, così Reger. A Vienna gli uffici ai quali dobbiamo rivolgerci in occasione di un funerale sono molto lontani uno dall’altro e ci vuole almeno una settimana intera per sistemare tutto quello che serve per un funerale. Sempre, dovunque io mi trovassi, non facevo che ripetere, voglio un funerale semplicissimo per mia moglie, cosa che quelli non capivano, perché gli altri, lo so, vogliono tutti un funerale dispendioso. Mi è costata una gran fatica ottenere alla fine un funerale semplicissimo, disse Reger. Solo l’incaricato del Comune di Währing mi ha capito, era il solo che mi capisse quando io dicevo, un funerale semplice, quell’uomo capiva che non volevo un funerale a buon mercato, come credevano gli altri, bensì un funerale semplice, tutti, quando dicevo che ne volevo uno semplice credevano sempre che ne volessi uno a buon mercato, solo l’incaricato del Comune di Währing mi ha capito subito, quando ho detto, un funerale semplice, ha capito che intendevo appunto un funerale semplice e non un funerale a buon mercato. Si stenta a credere ogni volta quanto può in effetti essere stupida la gente con cui si ha a che fare negli uffici, disse Reger. Non credevo proprio che avrei visto questo inverno, tanto meno poi che lo avrei superato, disse ora. Sta di fatto che per un anno intero ho condotto un’esistenza completamente priva di ogni interesse, salvo i miei impegni per i concerti e salvo appunto i miei pezzi di bravura per il Times, dopo la morte di mia moglie non c’è stato niente, in effetti, che mi abbia interessato; la verità è che non mi interessava più nessun essere umano, neanche lei, disse Reger, per mesi non ho più avuto alcun interesse neppure per lei. Non leggevo quasi niente e non uscivo neppure di casa, se non per andare ai concerti, ma l’anno scorso tutti quei concerti non valeva la pena di andarli a sentire, cosa che è risultata immancabilmente dai miei pezzi di bravura per il Times. A volte mi chiedo perché, dopotutto, non smetto di scrivere i resoconti da Vienna per il Times, quando qui, in questa Vienna acefala, si assiste ormai anche in campo musicale a un declino addirittura spaventoso, perché Vienna, sia al Musikverein sia al Konzerthaus, non offre in realtà più niente di straordinario, i concerti viennesi hanno perso da tempo il loro carattere di unicità, la stessa cosa che lei sente qui avrebbe potuto sentirla già molto tempo prima ad Amburgo o a Zurigo o a Dinkelsbühl, disse Reger. La mia voglia di scrivere è grandissima, ma quello che offrono i concerti viennesi è sempre meno interessante. Da molto tempo ormai non sono più quel fanatico dei concerti che ero una volta, disse, un fanatico della musica sì, ma non più un fanatico dei concerti, inoltre per me diventa sempre più faticoso andare al Musikverein o al Konzerthaus, entrambi sono per me difficilmente raggiungibili a piedi, e il taxi non lo prendo, e di tram che passano dalla Singerstrasse e arrivano fin lì non ce ne sono. E come se non bastasse negli ultimi tempi il pubblico del Konzerthaus, non meno del pubblico del Musikverein, è diventato molto ordinario e provinciale, mi duole doverlo dire, ma quel pubblico si è fatto insensibile ed è chiaro già da parecchi anni che non è più un pubblico di intenditori, il che è deplorevole. Lontani sono i tempi in cui il cantante dei cantanti George London cantava all’Opera la parte di Don Giovanni e la figlia del macellaio Lipp la parte della Regina della notte, così come sono lontani i tempi in cui Menuhin, sessantenne, dirigeva al Konzerthaus e Karajan, cinquantenne, al Musikverein. Ormai non ascoltiamo altro che gente mediocre, delle nullità. Gli idoli, i migliori, gli impareggiabili e i più competenti sono diventati vecchi e incompetenti, disse Reger. Le nuove generazioni, cosa strana, non sono più così esigenti nei confronti della musica come lo si era ancora noi quindici o vent’anni fa. Ciò è dovuto al fatto che grazie alla tecnica l’ascolto della musica è diventato una banalità quotidiana. L’ascolto della musica non è più un fatto eccezionale, lei oggi sente musica dappertutto, in qualunque posto si trovi, è addirittura costretto ad ascoltare musica in ogni supermercato, in ogni ambulatorio medico, a ogni angolo di strada, lei oggi non può più in alcun modo sottrarsi alla musica, anche se vuole evitarla non può farlo, tutta la nostra epoca ha un sottofondo musicale, questa è la catastrofe, così Reger. Nella nostra epoca è scoppiata la musica totale, si è costretti a sentirla ovunque tra il Polo Nord e il Polo Sud, che ci si trovi in città o in campagna, al mare o nel deserto, così Reger. Gli esseri umani vengono quotidianamente rimpinzati di musica da così tanto tempo che tutti ormai hanno perso qualsiasi sensibilità musicale. Questa atrocità si ripercuote naturalmente anche sui concerti che si sentono oggi, non c’è più niente di straordinario, tutta la musica, nel mondo intero, è straordinaria, e dove tutto è straordinario, non c’è più niente di straordinario, naturalmente, perciò sono davvero commoventi, così Reger, quel paio di ridicoli virtuosi che continuano ancora a darsi la pena di essere straordinari, non lo sono più perché non possono più esserlo. Il mondo è pervaso da cima a fondo dalla musica totale, disse Reger, questa è la rovina, a ogni angolo di strada lei sente della musica straordinaria e perfetta, e ne sente così tanta che, in realtà, avrebbe dovuto già da tempo tapparsi i condotti uditivi per non impazzire. Gli uomini del giorno d’oggi, non essendo loro rimasto nient’altro, soffrono di un consumismo musicale morboso, così Reger, e l’industria che amministra gli uomini del giorno d’oggi incrementerà a tal punto questo consumismo musicale che finirà col mandare in rovina tutti gli uomini; oggi si parla tanto dei rifiuti e della chimica che manderebbero tutto in rovina, ma è la musica la nostra rovina, ancora più dei rifiuti e della chimica è la musica che alla fine manderà ogni cosa totalmente in rovina, glielo dico io. In un primo tempo l’industria musicale rovina i condotti uditivi degli uomini, poi, quale logica conseguenza, gli uomini stessi, la verità è questa, così Reger. Lo vedo già, l’uomo completamente distrutto dall’industria musicale, disse Reger, queste masse di vittime dell’industria musicale che alla fine popolano i continenti con il loro cadaverico fetore musicale, caro il mio Atzbacher, l’industria musicale ha ormai gli uomini sulla coscienza, e alla fine quasi certamente avrà l’umanità intera sulla coscienza, non l’avranno sulla coscienza soltanto la chimica e i rifiuti, glielo dico io. L’industria musicale è l’assassina degli esseri umani, l’industria musicale è la vera e propria massacratrice dell’umanità, la quale, se l’industria musicale continuerà a comportarsi come ha fatto finora, già tra qualche decennio non avrà più alcuna speranza, caro il mio Atzbacher, così Reger agitato. Presto un individuo con un udito sensibile non riuscirà neanche più a camminare per la strada; provi a entrare in un caffè, entri in una trattoria, entri in un supermercato, ovunque, che lo voglia o no, sarà costretto a sentire della musica, può viaggiare in treno o in aereo, la musica oggi la perseguita dappertutto. Questa musica ininterrotta è la cosa più brutale che l’umanità debba oggi sopportare e subire, così Reger. Dal mattino presto fino a notte fonda l’umanità viene rimpinzata di Mozart e Beethoven, di Bach e di Händel, disse Reger. Dovunque lei decida di andare, non sfuggirà a questa tortura. E’ addirittura un miracolo, disse Reger, che non si sia costretti ad ascoltare ininterrottamente della musica anche al Kunsthistorisches Museum, ci mancherebbe solo questo. Dopo i funerali di mia moglie mi sono rinchiuso per sei settimane nell’appartamento della Singerstrasse e non ho lasciato entrare neppure la domestica, così Reger. Subito dopo i funerali, Reger era entrato nella cappella che si trova vicino al cimitero e aveva acceso un cero senza sapere perché e, cosa strana, appena uscito dalla cappella era entrato nella cattedrale di Santo Stefano dove pure aveva acceso un cero, anche in questo caso senza, in realtà, sapere il perché. Dopo aver acceso il cero nella cattedrale di Santo Stefano era sceso per un tratto della Wollzeile con l’intenzione di suicidarsi. Non avevo però un’idea precisa su come suicidarmi, e alla fine sono riuscito a scacciare dalla mente, se non altro a breve termine, l’idea del suicidio, così Reger a me. Avevo due alternative, potevo camminare per giorni e magari per settimane su e giù per la città, oppure rimanere per settimane chiuso in casa, così Reger a me, e scelsi di rimanere per settimane chiuso in casa. Dopo i funerali di sua moglie non aveva più voluto vedere anima viva, e in un primo momento non aveva nemmeno più voluto mangiare, ma nessuno resiste più di tre o quattro giorni bevendo solo acqua pura, e infatti lui era dimagrito molto in fretta, e un mattino, di punto in bianco, non aveva quasi più avuto la forza di alzarsi, quello fu un segnale, così Reger a me, e ho ricominciato a mangiare, e poi ho anche ricominciato a occuparmi di Schopenhauer, proprio di Schopenhauer ci stavamo occupando mia moglie e io quando lei è caduta a terra dietro di me e si è rotta il cosiddetto collo del femore, così Reger pensoso. In quelle sei settimane ho avuto solo un paio di conversazioni telefoniche con l’amministratore del mio patrimonio e ho letto Schopenhauer, questo probabilmente mi ha salvato, così Reger, quantunque io non sia certo che salvarmi sia stato giusto, probabilmente, così Reger, sarebbe stato meglio se non mi fossi salvato, se mi fossi suicidato. Ma il fatto stesso di aver dovuto correre così tanto a destra e a sinistra per via dei funerali non mi ha lasciato un minuto di tempo per suicidarmi. D’altra parte, se non ci suicidiamo subito non ci suicidiamo più, è questa l’infamia, disse. Sentiamo il desiderio di essere morti, come lo è la persona più cara al nostro cuore, eppure non ci suicidiamo, ci pensiamo, eppure non lo facciamo, disse Reger. Stranamente in quelle sei settimane non sopportavo nessun tipo di musica, non mi sono seduto neppure una volta al pianoforte, una volta ho fatto un tentativo mentale con un brano dal Clavicembalo ben temperato, ma ho abbandonato subito quel tentativo, non è stata la musica che mi ha salvato in quelle sei settimane, è stato Schopenhauer, di tanto in tanto qualche riga di Schopenhauer, così Reger. Non è stato neppure Nietzsche, solo Schopenhauer mi ha salvato. Mi mettevo seduto nel mio letto, leggevo due frasi di Schopenhauer e le meditavo, poi leggevo altre due frasi di Schopenhauer e le meditavo, così Reger. Dopo quattro giorni passati senza far altro che bere acqua e leggere Schopenhauer, mangiai per la prima volta un pezzo di pane, del pane talmente duro che ho dovuto farlo a pezzi con il tritacarne. Mi sedetti sullo sgabello accanto alla finestra che dava sulla Singerstrasse, quell’orribile sgabello di Loos, e guardai giù nella Singerstrasse. Si figuri, era la fine di maggio e c’era una bufera di neve, disse. Evitavo la gente. Dal mio appartamento li osservavo mentre giù nella Singerstrasse andavano e venivano stracarichi di pacchi pieni di capi di vestiario e di generi alimentari, e mi facevano orrore. Pensavo, non voglio più tornare da quella gente, da quella gente no, e altra gente non ce n’è, così Reger. Guardando giù nella Singerstrasse mi sono reso conto del fatto che di gente diversa da quella che va e viene nella Singerstrasse non ce n’è. Guardavo giù nella Singerstrasse e odiavo la gente e pensavo, non voglio più tornare tra quella gente, così Reger. In quel crogiolo di volgarità e di miseria umana non voglio più tornarci, mi dicevo, così Reger. Estrassi i cassetti di diversi comò e ne ispezionai il contenuto e di volta in volta ne cavai fotografie, scritti, corrispondenza di mia moglie, e appoggiai tutto sul tavolo, una cosa dopo l’altra, e via via guardai ogni cosa, caro il mio Atzbacher, e poiché sono sincero, devo dirle che intanto piangevo. Improvvisamente piansi tutte le mie lacrime, non avevo pianto per decenni e d’un tratto piansi tutte le mie lacrime, così Reger. Ero lì seduto e piansi tutte le mie lacrime, e piansi e piansi e piansi e piansi, così Reger. Non avevo pianto per decenni, non piangevo più dall’infanzia, e d’un tratto piansi tutte le mie lacrime, mi disse Reger all’Ambassador. Del resto non ho niente da nascondere e niente da tacere, disse, con i miei ottantadue anni non ho più la benché minima cosa da nascondere o da tacere, disse Reger, dunque non vedo perché dovrei tacere il fatto che d’un tratto mi sono sfogato piangendo e ho continuato a sfogarmi piangendo, per giorni e giorni, così Reger. Ero lì seduto e guardavo le lettere che mia moglie mi ha scritto nel corso del tempo, e leggevo gli appunti che ha preso nel corso del tempo, e mi sfogavo piangendo. Naturalmente ci abituiamo, col passare dei decenni, a un essere umano e lo amiamo per decenni, e alla fine lo amiamo più di tutto il resto e a lui ci incateniamo, e quando lo perdiamo è davvero come se avessimo perso tutto. Ho sempre creduto che fosse la musica a significare tutto per me, a volte anche la filosofia e il prodotto letterario di alto, altissimo, di supremo livello, così come ho creduto che fosse semplicemente l’arte in generale, ma tutto questo, tutta l’arte, quale che sia, non è niente se paragonata al solo e unico essere umano che abbiamo amato. Cosa non abbiamo fatto a questo solo e unico essere umano, disse Reger, in quante migliaia e centinaia di migliaia di sofferenze lo abbiamo precipitato questo essere umano che abbiamo amato più di ogni altro, come lo abbiamo tormentato questo essere umano, pur avendolo amato più di ogni altro, disse Reger. Quando muore l’essere umano che abbiamo amato più di ogni altro al mondo, noi rimaniamo con un’atroce coscienza sporca, così Reger, con una coscienza sporca terrificante con la quale siamo costretti a convivere dopo la sua morte e che un giorno ci soffocherà, disse Reger. Tutti quei libri e quegli scritti che io ho raccolto nel corso della mia vita e ho portato nell’appartamento della Singerstrasse per poi stiparli in tutti quegli scaffali alla fine non sono serviti a niente, io ero stato lasciato solo da mia moglie e tutti quei libri e quegli scritti erano ridicoli. Crediamo di poterci aggrappare a Shakespeare o a Kant in un momento così, ma è un’illusione, Shakespeare e Kant e tutti gli altri, che noi nel corso della nostra vita abbiamo innalzato al rango di cosiddetti grandi, ci piantano in asso proprio nel momento in cui avremmo un grandissimo bisogno di loro, così Reger, non sono una soluzione per noi e non ci sono di alcun conforto, d’un tratto essi sono per noi semplicemente disgustosi ed estranei, tutto quanto hanno pensato e poi anche scritto quei cosiddetti grandi, importantissimi personaggi, ci lascia indifferenti. Crediamo sempre di poter fare affidamento, in un momento decisivo e quindi nel momento decisivo della nostra vita, su questi cosiddetti importantissimi, grandi personaggi, o comunque li si voglia definire, ma questo è un errore, perché proprio nel momento decisivo della nostra vita veniamo abbandonati da quei grandi, importantissimi personaggi i quali, come si suol dire, sono anche immortali, in un momento così decisivo per la nostra vita essi non ci danno altro che la conferma del fatto che anche in mezzo a loro noi siamo soli, che siamo abbandonati a noi stessi e che tutto questo è assolutamente atroce, così Reger. Solo e soltanto Schopenhauer mi ha aiutato, perché io con la massima semplicità ho abusato di lui per garantirmi la sopravvivenza, così Reger a me all’Ambassador. Poiché tutti gli altri, inclusi per esempio Goethe, Shakespeare e Kant, mi disgustavano, nella mia disperazione mi sono semplicemente gettato su Schopenhauer, e con Schopenhauer mi sono seduto sullo sgabello che dà sulla Singerstrasse per poter sopravvivere, perché infatti d’un tratto io volevo sopravvivere e non morire, non volevo seguire mia moglie nella tomba, ma rimanere in vita, restare al mondo, mi sente Atzbacher, così Reger all’Ambassador. Ma naturalmente lo stesso Schopenhauer ha rappresentato per me una possibilità di sopravvivenza solo perché io ho abusato di lui per i miei fini e l’ho contraffatto nel modo più infame, così Reger, facendone semplicemente un rimedio per la sopravvivenza, ciò che lui non è affatto, in realtà, come non lo sono gli altri che ho menzionato. Confidiamo per tutta la vita negli spiriti magni nonché nei cosiddetti Antichi Maestri, così Reger, e poi fatalmente ne siamo delusi perché essi non adempiono al loro compito nel momento decisivo. Tesaurizziamo gli spiriti magni e gli Antichi Maestri credendo di poterli utilizzare in seguito per i nostri fini nel momento decisivo per la sopravvivenza, il che, in realtà, significa [ab]usarne per i nostri fini e nient’altro, ciò che si rivela un errore micidiale. Riempiamo la cassaforte del nostro spirito di questi spiriti magni e di questi Antichi Maestri e nel momento decisivo per la nostra vita ricorriamo a loro; ma quando l’apriamo, la cassaforte dello spirito è vuota, la verità è questa, siamo lì, davanti alla cassaforte dello spirito vuota e ci accorgiamo di essere soli e privi in effetti di qualsiasi risorsa, così Reger. Per tutta la sua vita e in ogni campo l’essere umano accumula e tesaurizza, ma alla fine si ritrova vuoto, così Reger, anche per quanto concerne il suo patrimonio spirituale. Pensi quale gigantesco patrimonio spirituale ho tesaurizzato io, così Reger all’Ambassador, eppure alla fine mi ritrovo comunque completamente vuoto. Solo grazie a un trucco meschino sono riuscito ad abusare di Schopenhauer per i miei fini, e quindi a garantirmi la sopravvivenza, così Reger. Lei capisce che cos’è il vuoto quando ad un tratto si ritrova tra migliaia e migliaia di libri e di scritti che l’hanno completamente abbandonata e che di colpo per lei non significano più niente, se non appunto questo vuoto atroce, così Reger. Quando lei ha perso la persona più vicina al suo cuore, tutto le sembra vuoto, dovunque lei guardi tutto è vuoto, e lei guarda e riguarda e vede che tutto è realmente vuoto, e lo sarà per sempre, così Reger. Così capisce che non sono gli spiriti magni e neppure gli Antichi Maestri che l’hanno tenuta in vita per decenni, ma solo quell’unico essere umano che lei ha amato più di ogni altro. E lei, con questa ammissione e in questa ammissione è solo, e niente e nessuno può esserle d’aiuto, così Reger. Si chiude a chiave nel suo appartamento e si dispera, così Reger, e di giorno in giorno la sua disperazione si fa più profonda, e settimana dopo settimana cade in una disperazione sempre più abissale, così Reger, ma poi di punto in bianco esce da questa disperazione. Si alza in piedi ed esce da questa mortale disperazione, ha ancora la forza per uscire da questa profondissima disperazione, così Reger, io ad un tratto mi sono alzato dallo sgabello che dà sulla Singerstrasse e sono uscito dalla mia disperazione e sono sceso nella Singerstrasse, così Reger, e ho percorso più o meno duecento metri in direzione del centro; mi sono alzato dallo sgabello che dà sulla Singerstrasse e sono uscito dall’appartamento e mi sono incamminato per le strade del centro con l’idea di fare ancora un tentativo di sopravvivenza, l’ultimo, così Reger. Sono uscito dall’appartamento della Singerstrasse e ho pensato, faccio un ultimo tentativo di sopravvivenza, e con questa idea mi sono incamminato per le strade del centro, così Reger. E questo tentativo di sopravvivenza è andato a buon fine perché mi sono alzato dallo sgabello che dà sulla Singerstrasse probabilmente nel momento decisivo e probabilmente nell’ultimo momento possibile, e sono sceso giù nella Singerstrasse e mi sono incamminato per le strade del centro, così Reger. Poi, naturalmente, rientrato a casa nel mio appartamento, ho subito un contraccolpo dopo l’altro, può ben immaginare anche lei che con quel solo tentativo di sopravvivenza la partita non era chiusa, dovetti farne poi diverse centinaia di quei tentativi di sopravvivenza, ma ho continuato a farli e ho continuato ad alzarmi dallo sgabello che dà sulla Singerstrasse e a scendere in strada, e allora mi sono davvero ritrovato in mezzo a esseri umani, tra gli esseri umani, e alla fine mi sono salvato, così Reger. Naturalmente mi chiedo se sia stato giusto e non sbagliato, invece, che io mi sia salvato, ma non è questo il punto, così Reger. Vogliamo con tutta l’anima seguire nella tomba la persona amata, ma poi di nuovo non lo vogliamo, così Reger, da più di un anno, ormai, deve sapere, io vivo tormentato dalla disperazione. Odiamo gli esseri umani ma vogliamo stare con loro, perché solo con e tra gli esseri umani ci è data una possibilità di continuare a vivere e di non impazzire. Soli, infatti, non resistiamo a lungo, così Reger, crediamo di poter resistere nella solitudine, crediamo di poter sopportare l’abbandono, cerchiamo di convincerci che possiamo tirare avanti da soli, così Reger, ma è un’idea cervellotica. Crediamo di potercela cavare senza gli esseri umani, crediamo addirittura di potercela cavare senza un solo essere umano e magari ci mettiamo in mente che la nostra unica possibilità è proprio quella di rimanere soli con noi stessi, ma è un’idea cervellotica. Senza gli esseri umani non abbiamo la benché minima possibilità di sopravvivere, disse Reger, nonostante tutti gli spiriti magni e gli Antichi Maestri che ci siamo scelti come compagni di strada, essi non potranno mai sostituire un essere umano, così Reger, alla fine sono soprattutto questi cosiddetti spiriti magni e questi cosiddetti Antichi Maestri che ci abbandonano, e ci accorgiamo che gli spiriti magni e gli Antichi Maestri si fanno addirittura beffe di noi nella maniera più infame, e constatiamo che con questi spiriti magni e con questi Antichi Maestri abbiamo sempre vissuto solo in un rapporto di reciproca beffa. Dapprima, nell’appartamento della Singerstrasse, aveva mangiato, come si è detto, solo pane e acqua, poi, verso l’ottavo o nono giorno, un po di carne in scatola che lui stesso si era riscaldato in cucina, metteva a mollo delle prugne secche e le mangiava con spaghetti cotti in acqua bollente, dopo di che ogni volta gli veniva la nausea. L’ottavo o nono giorno aveva ripreso in casa la domestica e l’aveva mandata a ritirare i pasti all’Hotel Royal che si trova di fronte al suo appartamento. Ero lì seduto e mangiavo, solo come un cane, così Reger. Con l’Hotel Royal aveva fatto un accordo conveniente, a partire dalla fine di maggio mi forniva tutti i giorni, tramite la domestica, che da noi è sempre stata chiamata Stella sebbene si chiamasse Rosa!, così Reger, una minestra e un secondo in recipienti di alluminio acquistati appositamente per me. Pagavo due porzioni, così Reger a me all’Ambassador, mezza porzione la mangiavo io, una porzione e mezza la domestica, così Reger. Mangiavo le pietanze del Royal con una certa riluttanza, così Reger, eppure le mangiavo perché non mi rimaneva altro da fare, le mangiavo perché dovevo mangiarle, così Reger, ma in realtà, non foss’altro che per il fatto di dover guardare la domestica, la quale com’è ovvio durante i pasti era seduta di fronte a me, quelle pietanze mi davano la nausea, non ho mai potuto soffrire quella domestica che difatti è sempre stata la domestica di mia moglie, io non avrei mai assunto una persona simile, così Reger, quella persona stupida e bugiarda, così Reger, che sedeva in effetti di fronte a me e mangiava una porzione e mezza delle pietanze del Royal mentre io non ne mangiavo che mezza porzione. Ci accolliamo delle domestiche perché in caso contrario finiremmo inevitabilmente per morire soffocati dalla nostra sporcizia, disse Reger all’Ambassador, ma dopotutto le domestiche sono sempre rivoltanti. Dipendiamo dalle domestiche, questo è il problema, così Reger. E come se non bastasse la domestica ritornava sempre dal Royal con una pietanza che lei aveva voglia di mangiare, che aveva scelto per sé, non con una pietanza che sarebbe piaciuta a me. Lei mangia di preferenza carne di maiale, quindi portava sempre a casa della carne di maiale, io invece, se vengo interpellato, mangio solo carne di manzo, così Reger. Sono sempre stato un divoratore di carne di manzo, le domestiche sono tutte divoratrici di carne di maiale. Dopo la morte di mia moglie, e precisamente subito dopo i funerali, così Reger, la domestica mi ha fatto presente che mia moglie le aveva legato questo e quell’altro, così Reger, sebbene io sappia che mia moglie non ha legato assolutamente niente alla domestica, perché mia moglie non pensava affatto di dover morire e quindi non parlava con nessuno delle cose da legare o da lasciare in eredità, non ne parlava neppure con me, figurarsi con la domestica. La domestica però era venuta da me subito dopo i funerali e mi aveva detto che mia moglie le aveva legato questo e quell’altro, vestiti, scarpe, stoviglie, stoffe e così via. Le domestiche, si sa, non si lasciano intimorire neppure dalle situazioni più imbarazzanti, disse Reger all’Ambassador. Sono assolutamente spudorate nelle loro pretese. Sempre e ovunque si cantano le lodi delle domestiche, per quanto la gente sappia bene che le domestiche di oggigiorno non sono persone degne di lode, che le domestiche di oggigiorno sono disgustose nelle loro pretese e in tutto e per tutto approssimative nel loro lavoro, la gente preferisce fingere che le domestiche siano persone degne di lode, perché da esse dipende, così Reger all’Ambassador. Mia moglie non ha mai pensato neppure per un attimo di legare qualcosa alla domestica, mia moglie, infatti, ancora due giorni prima del decesso non sospettava affatto di dover morire, come avrebbe potuto quindi promettere qualcosa alla domestica? così Reger. Questa donna mente, ho pensato quando la domestica ha richiamato la mia attenzione sul fatto che mia moglie le aveva promesso diversi oggetti, le persone che avevano partecipato alle esequie non erano neppure uscite dal cimitero, e già la domestica mi si era piantata davanti dicendo che mia moglie le aveva promesso questo e quell’altro. Prendiamo continuamente le difese di certe persone, perché non ci riesce di credere, e nemmeno lo vogliamo credere, che si possa essere ignobili fino a quel punto, finché non sperimentiamo ripetutamente che quelle persone sono veramente ignobili, che lo sono in una misura che mai avevamo ritenuto possibile. A più riprese, quando io mi trovavo ancora davanti alla tomba aperta, la domestica ha pronunciato le parole tegame dei fritti, così Reger, si figuri, ripeteva di continuo tegame dei fritti mentre io mi trovavo ancora davanti alla tomba aperta di mia moglie. Per diverse settimane mi è rimasta nelle orecchie la voce della domestica con quella sua menzogna infame secondo la quale mia moglie le avrebbe promesso diverse cose. Ma io, come si suol dire, non le ho dato retta. Solo tre mesi dopo la morte di mia moglie ho detto alla domestica che tra gli abiti, che io avevo peraltro destinato alle nipoti di mia moglie, poteva sceglierne alcuni, e che inoltre poteva prendere, tra le pentole in cucina, quelle che riteneva potessero servirle. Come crede si sia comportata la domestica a quel punto! Quella donna, così Reger, si è riempita le braccia degli abiti di mia moglie e li ha ficcati a piene mani nei sacchi da cento chili che aveva preparato, dopo di che ha continuato a ficcare a piene mani gli abiti di mia moglie nei sacchi da cento chili, finché nei sacchi non c’è stato più posto. Io, sgomento, sono rimasto lì a osservare la scena. La domestica correva come impazzita nell’appartamento e arraffava alla rinfusa tutto quello che riusciva ad arraffare. Alla fine aveva riempito fino all’orlo cinque sacchi da cento chili e in tre grandi valigie aveva fatto entrare a forza tutto ciò che non era riuscita a ficcare nei sacchi da cento chili. Alla fine poi è addirittura comparsa sua figlia per aiutarla a trasportare i sacchi e le valigie giù nella Singerstrasse, dove la figlia aveva parcheggiato un camioncino preso a nolo. Quando le due donne ebbero portato tutti i sacchi e tutte le valigie giù nella Singerstrasse, la domestica depose sul pavimento altre dozzine di pentole, senza neppure chiedermi se ero d’accordo che si portasse via anche le pentole. Questa o quella pentola, comunque, me l’avrebbe lasciata, disse legando le pentole le une alle altre con uno spago che aveva fatto passare attraverso i manici per poterle trasportare meglio giù nella Singerstrasse. Io, sgomento, osservavo la scena della domestica e di sua figlia che, come indemoniate, trascinavano anche le pentole fuori dall’appartamento. Mia moglie, fra l’altro, non aveva mai visto la figlia della domestica, così Reger, se l’avesse vista anche una sola volta nei molti anni in cui la domestica era stata a servizio da noi, ne sarebbe certo rimasta inorridita, così Reger. Più noi investiamo, come si suol dire, nelle persone, e più siamo cordiali con loro, tanto peggio veniamo ricambiati, così disse Reger all’Ambassador. Questa esperienza con la domestica e sua figlia mi ha effettivamente insegnato una volta di più quanto la gente possa essere profondamente abominevole, così Reger. Le cosiddette classi inferiori, diciamoci la verità, sono altrettanto ignobili e abiette e altrettanto bugiarde delle classi superiori. Uno degli aspetti più rivoltanti della nostra epoca è che sempre si sostiene che la cosiddetta gente semplice e i cosiddetti oppressi siano buoni e gli altri sono cattivi, menzogna, questa, fra le più disgustose che io conosca, così Reger. Gli esseri umani sono tutti ugualmente abietti e ignobili e bugiardi, così Reger. La cosiddetta domestica non è affatto migliore della cosiddetta padrona, semmai oggi in effetti è vero addirittura l’opposto, in realtà tutto è capovolto oggi, disse Reger, è la domestica che oggi fa da padrona e non viceversa. Oggi i veri potenti sono i cosiddetti diseredati e non viceversa, disse Reger all’Ambassador. Mentre guardavo l’Uomo dalla barba bianca, sentivo quello che Reger mi aveva detto all’Ambassador, che oggi tutto è capovolto, continuava a dirmi, più volte mi aveva detto, oggi tutto è capovolto. Ero ancora in piedi davanti alla tomba aperta, e già la domestica cercava di convincermi del fatto che mia moglie le aveva legato il cappotto invernale verde che una volta si era comprata a Badgastein. Figurarsi se proprio quel capo così bello e costoso mia moglie lo ha legato alla domestica, disse Reger furioso. Questi individui approfittano di ogni situazione e niente li intimorisce, per stupidi che siano, questi sfruttano tutto, anche le cose più disgustose, a proprio vantaggio. E noi ci facciamo continuamente abbindolare da questi individui, perché, rispetto a noi, loro, com’è naturale, sono più forti quando si tratta di affrontare le avversità quotidiane, così Reger. Anche il populismo ipocrita, del resto, è disgustoso, disse Reger, quel continuo farsi garanti per il popolo, per esempio, che è tipico dei politici. Se abbiamo una rappresentazione idealistica del mondo prima o poi risulta sempre che questa rappresentazione non è altro che una rappresentazione insensata, così Reger, e disse, bisogna saper invecchiare, non c’è niente di più rivoltante dell’anziano che, non gradito, si prende delle confidenze con i giovani, mi ha sempre profondamente disgustato, caro il mio Atzbacher, vedere un anziano che, non gradito, si prende delle confidenze con i giovani e disse, l’essere umano oggi è un essere umano abbandonato a se stesso, indifeso, oggi abbiamo un essere umano totalmente abbandonato a se stesso e totalmente indifeso, una decina d’anni fa gli esseri umani si sentivano ancora relativamente protetti, ma oggi sono privi di qualsiasi protezione, disse Reger all’Ambassador. Non ci si può più nascondere, non ci sono più rifugi, è questa la cosa tremenda, così Reger, tutto è diventato completamente trasparente e privo della benché minima protezione; questo significa che oggi non ci sono più possibilità di fuga, gli esseri umani, oggi, ovunque siano, vengono perseguitati e incalzati e scappano e se ne vanno e non trovano più neanche un buco dove potersi rifugiare, a meno di trovare riparo nella morte, questo è il fatto, così Reger, questa è la cosa inquietante, perché nel mondo non ci si sente più a casa, ormai il mondo è inquietante e nient’altro. Bisogna che lei si rassegni a questo mondo inquietante, Atzbacher, che lo voglia o no, lei è in balia di questo mondo inquietante, anima e corpo, e se cercano di convincerla che non è così, allora cercano di convincerla di una menzogna, di questa menzogna che oggi le viene martellata ininterrottamente nelle orecchie, la menzogna in cui si sono specializzati soprattutto i politici e i fanfaroni della politica, così Reger. Il mondo è tutto un luogo inquietante nel quale nessun essere umano trova più protezione, non uno, così Reger all’Ambassador. A quel punto Reger guardò l’Uomo dalla barba bianca e disse, del resto la morte di mia moglie non è soltanto un’immensa disgrazia per me, è anche stata una liberazione. Con la morte di mia moglie sono diventato libero, disse, e quando dico libero intendo totalmente libero, del tutto libero, completamente libero, sempre che lei sappia, o almeno intuisca che cosa questo significa. Non sto più ad aspettare la morte, verrà da sé senza che io ci pensi, che venga pure, non mi importa minimamente sapere quando. La morte della persona amata, infatti, è anche una enorme liberazione per tutto il nostro sistema, disse Reger adesso. Con questa sensazione, la sensazione di essere adesso completamente libero, vivo ormai da parecchio tempo. Posso lasciare che mi capiti qualsiasi cosa, adesso, davvero qualsiasi cosa, senza dovermene difendere, non mi difendo più, ecco, così Reger adesso. Guardando l’Uomo dalla barba bianca, sì, disse, l’Uomo dalla barba bianca l’ho sempre amato, Tintoretto non l’ho mai amato, ma l’Uomo dalla barba bianca di Tintoretto l’ho sempre amato. Sono più di trent’anni che guardo quel quadro, eppure riesco ancora a guardarlo, non c’è un altro quadro che avrei potuto guardare per più di trent’anni. Gli Antichi Maestri stancano presto se li guardiamo senza farci nessuno scrupolo e deludono sempre se li sottoponiamo a un esame approfondito, se, impietosamente, come si suol dire, li rendiamo oggetto della nostra intelligenza critica. A questo vero e proprio esame critico non resiste nessuno dei cosiddetti Antichi Maestri, così Reger adesso. Leonardo, Michelangelo, Tiziano, tutto ci svanisce sotto gli oc chi in un battibaleno, e alla fine si riduce a un misero se pur genialissimo espediente per sopravvivere, inteso come tentativo di sopravvivenza. Goya in questo senso è già un osso duro, disse Reger, ma anche Goya alla fine non ci è di nessuna utilità e non significa nulla per noi. Tutto qui, al Kunsthistorisches Museum, che non possiede nemmeno un Goya, disse Reger adesso, alla fine, e cioè nel momento decisivo della nostra esistenza, non significa più nulla per noi. In tutti questi quadri, se li studiamo con insistenza, constatiamo prima o poi una goffaggine, addirittura un vero e proprio errore, persino nelle creazioni più grandi e più significative, se siamo intransigenti, constatiamo un errore palese, che via via ci fa perdere il gusto per tutti questi quadri, forse perché le nostre aspettative erano eccessive, così Reger. Anche l’arte nel suo insieme non è altro infatti che un’arte di sopravvivere, questo fatto non dobbiamo perderlo mai di vista, l’arte, insomma, è il tentativo reiterato, che commuove persino l’intelligenza, di sbrogliarsela in questo mondo e nelle sue avversità, cosa che, come sappiamo, è possibile solo facendo ripetutamente uso della menzogna e della falsità, dell’ipocrisia e dell’autoinganno, così Reger. Questi quadri sono pieni di falsità e di menzogne e pieni di ipocrisia e di autoinganno, e se prescindiamo dall’abilità spesso geniale con cui sono stati dipinti, in essi non c’è nient’altro. Tutti questi quadri sono inoltre l’espressione dell’assoluta incapacità dell’essere umano di sbrogliarsela con se stesso e con quanto lo circonda vita natural durante. Nient’altro esprimono tutti questi quadri, solo questa incapacità, da un lato umiliante per il cervello, e dall’altro, per lo stesso cervello, sconcertante e commovente da morire, così Reger. L’Uomo dalla barba bianca ha tenuto testa al mio intelletto e ai miei sentimenti per più di trent’anni, così Reger, per questa ragione è per me la cosa più preziosa tra quelle esposte qui, al Kunsthistorisches Museum. Più di trent’anni fa, quasi l’avessi già saputo, mi sono seduto per la prima volta su questa panca, proprio di fronte all’Uomo dalla barba bianca. Tutti questi cosiddetti Antichi Maestri, del resto, sono dei falliti, tutti senza eccezione erano condannati al fallimento, e un osservatore attento può constatare questo fallimento in ogni particolare dei loro lavori, in ogni pennellata, così Reger, nel più piccolo, nel più infimo dettaglio. Senza contare poi che tutti questi cosiddetti Antichi Maestri hanno sempre dipinto solo un dettaglio dei loro quadri in modo davvero geniale, nessuno di loro ha dipinto un quadro geniale al cento per cento, nessuno di questi cosiddetti Antichi Maestri c’è mai riuscito; o falliscono nel dipingere il mento, o il ginocchio, o le palpebre, così Reger. La maggior parte di loro fallisce nelle mani, non c’è un solo quadro al Kunsthistorisches Museum in cui si possa vedere una mano dipinta in modo geniale, o anche solo straordinario, nient’altro che mani mancate in maniera assolutamente tragicomica, così Reger, guardi qui in tutti questi ritratti, persino nei più celebri. Un mento se non altro insolito o un ginocchio effettivamente riuscito non è stato in grado di dipingerlo nessuno di questi Antichi Maestri. El Greco non ha mai saputo dipingere una mano che fosse una, le mani di El Greco hanno tutte l’aspetto di stracci sporchi e bagnati, disse Reger adesso, ma di El Greco, al Kunsthistorisches Museum, com’è noto non ce ne sono affatto. E Goya, che pure non è presente affatto al Kunsthistorisches Museum, si è guardato bene dal dipingere nitidamente una sola mano, perché, quanto alle mani, persino Goya è rimasto impantanato nel dilettantismo, quell’atroce, formidabile Goya che io metto al di sopra di tutti i pittori che mai abbiano dipinto, così Reger. E oltretutto è davvero deprimente, qui, in questo Kunsthistorisches Museum, vedere soltanto un’arte per la quale non c’è altra definizione che arte di Stato, un’arte di Stato asburgico-cattolica che è ostile allo spirito. Sono decenni che si ripete la stessa cosa, vado al Kunsthistorisches Museum e penso, il Kunsthistorisches Museum non ha neppure un Goya! Che non abbia neppure un El Greco, per me e per la mia sensibilità artistica non è una sciagura, ma che il Kunsthistorisches Museum non abbia neppure un Goya è una vera sciagura, così Reger. Se adottiamo un metro universale, così Reger, dobbiamo ammettere che il Kunsthistorisches Museum, contrariamente alla sua reputazione, non è affatto un museo di prim’ordine, perché non possiede neppure Goya, il grande, l’insuperato Goya. Va detto inoltre che il Kunsthistorisches Museum rispecchia totalmente il gusto artistico degli Asburgo, i quali com’è noto, se non altro in fatto di pittura, avevano un gusto rivoltante improntato al più insulso cattolicesimo. L’interesse dei cattolici Asburgo per la pittura non era più intenso di quello che nutrivano per la letteratura, perché gli Asburgo hanno sempre ritenuto la pittura e la letteratura arti pericolose, a differenza della musica, che per loro non avrebbe mai potuto rappresentare un pericolo e alla quale loro, i cattolici Asburgo, proprio perché erano così insulsi, hanno permesso di svilupparsi rigogliosamente, come ho letto una volta in un cosiddetto libro d’arte. Falsità asburgica, imbecillità asburgica, fideistica perversità asburgica sono appese a tutte queste pareti, la verità è questa, così Reger. E poi in tutti questi quadri, persino nei paesaggi, l’infantilismo perverso della fede cattolica. L’ignobile impostura della Chiesa traspare persino nei quadri con le più grandi, con le massime ambizioni pittoriche, è questa la cosa rivoltante. Tutto ciò che è esposto al Kunsthistorisches Museum ha un’aureola cattolica, e neppure Giotto, a mio parere, fa eccezione, così Reger. Questi disgustosi veneziani che si aggrappano al cielo cattolico delle Prealpi con ogni zampa che hanno dipinto, disse ora. Al Kunsthistorisches Museum non le riuscirà di vedere un solo viso dipinto con naturalezza, vedrà sempre e soltanto volti cattolici. Provi una volta a osservare per un po di tempo una testa ben dipinta, alla fine non è nient’altro che una testa cattolica, così Reger. Persino l’erba che cresce in questi quadri è un’erba cattolica, e persino la minestra nelle ciotole da minestra olandesi non è nient’altro che una minestra cattolica, disse Reger adesso. E’ uno sfrontato cattolicesimo su tela questo, nient’altro, così Reger. In questi trentasei anni, sono venuto al Kunsthistorisches Museum soltanto perché qui regna tutto l’anno la temperatura ideale di diciotto gradi centigradi, che è l’ideale non solo per la tela di queste opere d’arte ma anche per la mia pelle e soprattutto per il mio sensibilissimo cervello, così Reger. Osservazione accurata delle opere d’arte, metodo suicida, acquisizione con l’età di una certa maestria, disse Reger adesso. Nessun diritto consuetudinario al Kunsthistorisches Museum, disse, odio per l’arte, in fondo, delirio artistico irreparabile. Senza dubbio, caro il mio Atzbacher, siamo ormai quasi al culmine della nostra epoca del caos e del kitsch, disse, e poi: tutta l’Austria, in realtà, non è nient’altro che un Kunsthistorisches Museum, un atroce museo dell’arte cattolico-nazionalsocialista. Impostura democratica, disse. E’ un caotico letamaio, quest’Austria di oggi, questo ridicolo staterello che gronda presunzione e che adesso, a distanza di quarant’anni dalla cosiddetta seconda guerra mondiale, ha toccato, in una forma totalmente amputata, il punto più basso in assoluto; questo ridicolo staterello in cui la pratica del pensare è entrata in disuso e dove ormai da mezzo secolo non regna altro che la meschina ottusità della politica governativa e la bigotta imbecillità governativa, così Reger. Un mondo confuso e brutale, disse. Troppo vecchio per scomparire, disse, io sono troppo vecchio per andarmene via, Atzbacher, capisce, ho ottantadue anni! Sono sempre stato solo! Adesso sono definitivamente in trappola, Atzbacher. Ovunque oggi ci guardiamo intorno, in questo paese, guardiamo dentro un pozzo nero di comicità, disse Reger. Follia di massa, un vero disastro, disse. Tutti, sa, sono più o meno depressi, ma noi siamo quelli che con l’Ungheria hanno il tasso di suicidi più alto d’Europa. Spesso ho pensato, vado in Svizzera, ma la Svizzera sarebbe per me assai più grave ancora. Lei non può immaginare fino a che punto io ami il nostro paese, disse Reger, ma detesto dal più profondo del cuore lo Stato che ci governa; con questo Stato in futuro non voglio avere più niente a che fare, non c’è giorno in cui questo Stato non mi dia la nausea. Tutte le persone che agiscono e governano in questo Stato hanno sempre delle facce orribili, primitive e insulse, in questo Stato sull’orlo del fallimento lei non vede altro ormai che un mucchio gigantesco di spaventosa spazzatura fisiognomica, disse. Cosa non pensiamo e cosa non diciamo nella convinzione di essere competenti, eppure non lo siamo, questa è la commedia, e quando ci chiediamo, e poi? quella è la tragedia, caro il mio Atzbacher. Comparve Irrsigler e portò il Times che Reger gli aveva chiesto, gli era bastato uscire dal museo e attraversare la strada, dove c’è il chiosco dei giornali. Reger prese in mano il Times e alzatosi in piedi uscì dalla Sala Bordone con un passo, pensai, più risoluto del solito, scese la grande scalinata centrale, uscì all’aperto e io lo seguii. Davanti al volgare monumento a Maria Teresa si fermò e disse che io dovevo essere molto sorpreso del fatto che lui fino a quel momento non mi avesse ancora svelato la vera ragione per cui aveva voluto incontrarmi di nuovo già oggi al Kunsthistorisches Museum. Faticai a credere alle mie orecchie quando mi disse che aveva preso due biglietti, due ottimi posti di platea, per «La brocca rotta» al Burgtheater, e che la vera ragione per cui già oggi mi aveva convocato di nuovo al Kunsthistorisches Museum, era che voleva propormi di andare con lui al Burgtheater a vedere La brocca rotta. Lei lo sa, da decenni non sono più stato al Burgtheater, e non c’è niente che io detesti di più del Burgtheater, insomma davvero niente che detesti di più dell’arte drammatica, disse, ma ieri ho pensato, domani vado al Burgtheater a vedere La brocca rotta. Caro il mio Atzbacher, così Reger, non so come mi sia venuta l’idea di andare oggi al Burgtheater, e per di più in compagnia sua e di nessun altro, a vedere La brocca rotta. Mi prenda pure per pazzo, disse Reger adesso, i miei giorni sono contati; e ho pensato in effetti che lei oggi sarebbe venuto con me al Burgtheater, dopotutto La brocca rotta è la migliore commedia tedesca che ci sia e per di più il Burgtheater è il migliore palcoscenico del mondo. Per tre ore mi ha tormentato l’idea di doverle dire che dovrà accompagnarmi a vedere La brocca rotta, perché io, da solo, a vedere La brocca rotta non ci vado, disse Reger adesso, scrive Atzbacher, per tre ore tormentose ho riflettuto sul modo in cui le avrei detto che ho comprato due biglietti per La brocca rotta e che in quel mentre ho pensato solamente a lei e a me, perché sono decenni che lei mi sente definire il Burgtheater come il palcoscenico più abominevole del mondo, e adesso, d’un tratto, lei dovrebbe addirittura venire con me a vedere La brocca rotta al Burgtheater, cosa che persino Irrsigler non riesce a concepire. Prenda il secondo biglietto, disse, e venga questa sera con me al Burgtheater, divida con me il piacere di questa perversa follia, caro il mio Atzbacher, disse Reger, scrive Atzbacher. Sì, dissi io a Reger, scrive Atzbacher, se è suo espresso desiderio, e Reger disse, sì, è mio espresso desiderio, e mi diede il secondo biglietto. La sera mi recai effettivamente con Reger al Burgtheater a vedere La brocca rotta, scrive Atzbacher. Lo spettacolo era tremendo.