mercoledì 11 dicembre 2024

ELOGIO Estratto da "Elogio de la sombra" Adelphi Jorge Luis Borges

 


ELOGIO

Estratto da "Elogio de la sombra" Adelphi

Jorge Luis Borges

Ci sono poesie che incontriamo più volte nella vita, nei momenti decisivi o quando meno ce lo aspettiamo o magari quando siamo pronti a fare un bilancio, ed è probabile che Borges rileggendo alcuni versi in El otro, el mismo, del 1964 – «Al fin he descubierto / la recóndita clave de mis años […] En el espejo de esta noche alcanzó / mi insospechado rostro eterno. El círculo / se va a cerrar. Yo aguardo que así sea», ‘Alla fine ho scoperto / la nascosta chiave dei miei anni […] Nello specchio di questa notte tocco / il mio impensato volto eterno. Il cerchio / va chiudendosi. Attendo che ciò avvenga’ – abbia sentito un residuo sul tema della morte (nel quale si riflette quello del senso della vita), un quid mai detto, non rimosso ma appena velato, da spingerlo a scrivere altri versi come quelli di Elogio de la sombra che chiudono l’omonima raccolta del 1969 ( nella traduzione di Tommaso Scarano, Adelphi, Milano, 2017); e abbia deciso di spiegare, come il personaggio di alcuni suoi racconti, quei versi con altri versi, certo che non sarebbe riuscito a toccare la profondità di una imago inabissatasi in fondo al lago della memoria, quantunque la fantasia avesse provato in qualche modo a restituirla.

ELOGIO

La vecchiaia (è questo il nome che le danno)

    può essere la nostra età felice.

    L’animale è morto, o quasi è morto.

    Restano l’uomo e la sua anima.

    Vivo tra forme luminose e vaghe

    che ancora non sono tenebra.

    Buenos Aires,

    che un tempo si lacerava in sobborghi

    verso la pianura incessante,

    è tornata a essere la Recoleta, il Retiro,

    le confuse strade del quartiere Once

    e le precarie case vecchie

    che ancora chiamiamo il Sud.

    Nella mia vita sono sempre state troppe le cose;

    Democrito di Abdera si strappò gli occhi per pensare;

    il tempo è stato il mio Democrito.

    Questa penombra è lenta e non fa male;

    scorre per un dolce declivio

    e assomiglia all’ eternità.

    I miei amici non hanno volto,

    le donne sono com’erano tanti anni fa, 

    ogni angolo di strada può essere un altro,

    non ci sono lettere sulle pagine dei libri.

    Dovrebbe sgomentarmi tutto questo,

    e invece è una dolcezza, un ritorno.

    Delle generazioni di testi che sono nel mondo

    ne avrò letti solo alcuni,

    quei pochi che continuo a leggere nella memoria,

    a leggere e a trasformare.

    Dal sud, dall’est, dall’ovest e dal nord

    convergono i cammini che mi han condotto

    al mio segreto centro.

    Furono echi e passi quei cammini,

    donne, uomini, agonie, resurrezioni,

    giorni e notti,

    dormiveglia e sogni,

    ogni minimo istante del mio ieri

    e degli ieri del mondo,

    la salda spada del danese e la luna del persiano,

    le imprese dei morti,

    l’amore condiviso, le parole,

    Emerson e la neve e tante cose.

    Ora posso dimenticarle. Giungo al mio centro,

    alla mia chiave e alla mia algebra,

    giungo al mio specchio.

    Presto saprò chi sono.