IL DISASTRO DELLE POLITICHE GREEN IN GERMANIA
Una delle principali cause del tracollo di consensi che ha sgretolato la coalizione “semaforo” del governo di Olaf Scholz è stata con tutta evidenza l’abnegazione zelante nel varo di politiche “green” per il raggiungimento delle emissioni a impatto zero.
A cominciare dalla legge sul riscaldamento domestico, varata nel settembre 2023 tra enormi polemiche, che ha obbligato alla sostituzione delle caldaie a gas con costose pompe di calore, causando un calo dei prezzi delle abitazioni e un conseguente impoverimento per molte famiglie tedesche. Ed in più, queste misure, unite alle normative sulla responsabilità sociale delle imprese, hanno fatto lievitare i costi ed enormemente aumentato gli impatti burocratici sulle aziende.
Eppure, solo un anno fa, Scholz aveva previsto che gli investimenti nella transizione verde avrebbero portato tassi di crescita simili a quelli del “miracolo economico” tedesco degli anni ’50 e ’60, ma la realtà si è dimostrata ben diversa: il declino dell’industria tedesca procede inarrestabile e ogni settimana emergono notizie di chiusure di fabbriche e licenziamenti nel settore automobilistico e nel suo indotto.
Non solo. Come ha osservato Federico Rampini sul Corriere della Sera, la rigidità dell’ambientalismo tedesco ha imposto la chiusura delle centrali nucleari, che avrebbero garantito energia a buon mercato e zero emissioni, proprio mentre altri paesi rilanciavano il nucleare (Cina, America, perfino il Giappone). Tutto ciò ignorando le avanzate competenze tedesche in questo campo e il suo enorme potenziale strategico. La perdita simultanea del gas russo a buon mercato, in conseguenza della guerra in Ucraina, e dell’energia nucleare ha lasciato la Germania in una posizione di forte vulnerabilità energetica, con i costi per l’approvvigionamento che sono lievitati. Per alcuni settori chiave dell’industria tedesca, per cui il gas è la più importante fonte energetica (circa un terzo del totale), il colpo è stato durissimo.
Il governo Scholz è stato anche uno dei principali sostenitori del Green Deal europeo, che com’è noto impone severi obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 per l’industria automobilistica e il divieto delle auto a combustione entro il 2035. Uno scenario che, con il notevole contributo di una serie di incredibili errori di valutazione del management, sta annientando l’industria automobilistica europea e segnatamente quella tedesca che traina l’economia del paese, contribuendo per circa il 5 per cento del PIL e dando lavoro a oltre 770.000 persone.
È di inizio dicembre il report OCSE che mette l’economia tedesca agli ultimi posti tra quelle dei paesi industrializzati, con una crescita stimata per il 2025 dello 0,7%, pochi punti percentuale al di sotto di quella italiana (+0,9%). (cfr. Germania in crisi: un’analisi della situazione politica ed economica)
La fine annunciata del governo di Olaf Scholz e la crisi strutturale che sta annichilendo l’economia tedesca dovrebbe rappresentare un monito per tutte quelle forze politiche che continuano a cavalcare – senza criterio né buonsenso – il karma della cosiddetta transizione verde. Ma permetteteci di dubitare che i soliti integralisti ebri d’ideologia ne terranno conto.